Quale miglior modo per trascorrere una piovosa domenica di novembre, se non godersi una di queste mostre di fotografia? Ce ne sono davvero tantissime, non lasciatevele sfuggire!
E altre ne trovate anche sulla pagina dedicata!
Buona visione! Ciao.
Anna
ENRICO GENOVESI Nomadelfia
Nomadelfia, “dove la fraternità è legge” (dal greco nomos e adelphia), è fertile luce in terra di Maremma e speranza autentica per il Belpaese. […] Era il 14 febbraio 1948 quando il giovane prete Zeno Saltini (1900-1981) fondava la sua comunità nell’ex campo di concentramento di Fossoli, con lo scopo di dare un papà e una mamma ai bambini abbandonati. […] La giovinezza e la bellezza di Nomadelfia sono oggi raccontate dalle immagini di Enrico Genovesi, frutto di un lavoro cominciato lo scorso anno in occasione della campagna nazionale che la FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) ha lanciato sul tema “La Famiglia in Italia”. […] Genovesi, che è stato selezionato tra i dieci Testimonial Fujifilm del progetto FIAF, ci mostra gli sguardi e i volti sorridenti dei bambini e degli anziani, i momenti del lavoro e i momenti della festa, i gruppi-famiglia…
Soprattutto rende immagine quei legami forti che fanno di questa piccola comunità un vero e proprio popolo che, come i primi cristiani, ha deciso di rinunciare alla proprietà privata e mettere tutto in comune, scegliendo come cuore e centro di tutto i bambini. Dice Genovesi: “Non ero mai stato a Nomadelfia, ma il tema della famiglia mi ha fatto subito pensare alla comunità di don Zeno. […] Ho cercato di capire lo spirito della comunità e fin da subito sono rimasto colpito dall’autentica fraternità che lega questo piccolo popolo di poco più di trecento persone. La maternità e paternità sono vissute in modo straordinario nella quotidianità: non si fa differenza alcuna tra figli naturali e figli in affido.
“parti estratte dall’articolo di Giovanni Gazzaneo per Avvenire del 10/02/2018”
REGGIA DI COLORNO – PIANO NOBILE – 9/25 novembre 2018
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FABIO MOSCATELLI Qui vive Jeeg
“Io non sono nato qui, ci sono capitato perché così ha voluto il destino, ma a differenza di molti sono arrivato senza nutrire alcun pregiudizio.
Ho scoperto Tor Bella Monaca nel corso degli anni – sono ormai quindici – imparando ad amare un quartiere da sempre legato alla cronaca nera; una fama triste e in gran parte immeritata, che sembra oramai un marchio indelebile.
Questa però è la mia periferia, quella che amo e quella che ho cercato di raccontare attraverso la sua straordinaria normalità, con la mia fotografia: qui vivono padri, madri, uomini e donne, bambini e ragazzi che non sono poi così diversi da quelli che possiamo incontrare nei quartieri ‘per bene’.
Sono le persone che non leggerete mai sui giornali, perché a TBM non si vive solo di spaccio, di omicidi e malaffare; si lavora, si studia, si conducono vite normali, di quelle che non riempiono le pagine di cronaca.
Recentemente anche il cinema ha preso in prestito gli scenari urbani e sociali di questo quartiere: Lo chiamavano Jeeg Robot ha mostrato la crudezza ma anche la bontà e soprattutto l’umanità che si respira nelle nostre torri, dove non circola solo droga e delinquenza, ma anche voglia di riscatto. Mia figlia è nata qui ed io ho intenzione di farcela crescere, perché questa è casa mia.
Io non sono nato qui, ma a TBM ci vivo.”
REGGIA di Colorno – APPARTAMENTO DUCA – 9/25 novembre 2018
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Francesca Woodman – Italian works
An exhibition of works made in Italy by the celebrated photographer Francesca Woodman (1958–1981), including examples from the Eel Series, created in Venice in 1978.
Born and raised in the United States, Francesca Woodman considered Italy her second home. She lived in Florence for a year as a child, attending second grade at a public school there, and spent her adolescent summers in Antella, Tuscany, where her parents purchased a farmhouse when the artist was 11 years-old. Shortly after this, at the age of 13, Woodman created her first self- portrait, and the genesis of her work until her death in 1981, aged just 22, is intrinsically linked to Italian art and culture.
This exhibition is comprised of Italian images, including those Woodman made in 1977 and 1978, during the year she spent in Rome at the Rhode Island School of Design’s European Honors programme. This year proved pivotal to her artistic development, and the works from this period emphasise the integral influence of Italian art and culture on her aesthetic vision. One of the key influences of Italian art on Woodman’s work was in her precise use of composition, which became more sophisticated during her time in Rome. She explored perspective and consciously used formal strategies learnt from her study of Florentine masters, particularly Giotto and Piero della Francesca, and classical sculpture.
In addition to immersing herself in the study of historic painting and sculpture in Rome, Woodman made strong connections with Italian artists her own age. She became friends with Giuseppe Gallo and Enrico Luzzi, and through them discovered the Pastificio Cerere, an abandoned pasta factory transformed into an art space that housed the studios of artists who became known as the ‘San Lorenzo Group’. It was in the cavernous spaces of the Cerere that she made some of her most iconic images. She also befriended the young painter Sabina Mirri, who became one of her favourite models.
Also crucial to her development in Rome was Woodman’s association with the Maldoror bookstore in Via di Parione, which specialised in avantgarde literature of the twentieth century as well as more obscure books on subjects including the fantastical and the grotesque. Woodman spent hours in the shop, learning more about early twentieth-century artistic and literary movements. Her first Italian solo exhibition took place in the bookshop’s basement gallery space.
The exhibition will explore Woodman’s fusion of Italian classicism with aspects of narrative and performance. In Italy Woodman extended her development of classical subject matter, predominantly the female nude and tropes of still life and classical composition. At the same time she was enhancing and extending her use of narrative and performative strategies. This is evident in her use of series of images, crucially in Self-deceit, 1978, which features scenarios where Woodman refers to classical and surrealist sculptural poses using her own naked body and a single prop, a rough-edged piece of mirrored glass. Further important series Woodman worked on during this time include the Angel series, which she commenced in Providence but extended in works made in the Cerere, and Eel Series, 1978, likely created in Venice on one of her frequent visits to the city.
Bringing these diverse works to Venice for the first time reveals the ways in which Italy and its culture underscored the development of an artist whose work has garnered exceptional public and critical interest in the 37 years since her untimely death.
15 September – 15 December 2018 – Victoria Miro Venice – Venezia
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Paolo Pellegrin – Un’antologia
Oltre 200 scatti per scoprire il percorso creativo e i temi che animano la ricerca del grande fotografo
Dopo un lavoro di due anni sull’archivio di Paolo Pellegrin, la mostra restituisce i temi che animano il percorso del fotografo che nei decenni ha intrecciato la visione del reporter con l’intensità visiva dell’artista.
Vincitore di dieci edizioni del World Press Photo Award e membro dell’agenzia Magnum dal 2005, l’opera di Pellegrin è approfondita in mostra attraverso due grandi sezioni: la prima dedicata all’essere umano, la seconda focalizzata sulla sua visione della natura, mostrandone le vicende intense e sofferenti.
Contestualmente alla progettazione e organizzazione della mostra, il MAXXI ha richiesto al fotografo di realizzare un lavoro dedicato a L’Aquila e alla sua ricostruzione.
07 novembre 2018 – 10 marzo 2019 – Maxxi – Roma
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INDEX G – Piergiorgio Casotti / Emanuele Brutti
INDEX G di Piergiorgio Casotti e Emanuele Brutti affronta la discontinuità tra sistemi spaziali adiacenti nella città di St. Louis. L’Indice Gini è una misura statistica di disuguaglianza, utilizzata anche per misurare la segregazione residenziale. St. Louis, la cui struttura urbana mostra chiaramente le linee di separazione spaziale e razziale esistenti, è una delle città con più alti livelli di segregazione degli Stati Uniti. A St. Louis, infatti, i codici postali sono importanti. A nord di Delmar blvd, 95% nero, l’aspettativa di vita è di 67 anni. A pochi passi, a poche centinaia di metri a sud di Delmar blvd, 70% bianco, una persona ha un’aspettativa di vita di 82 anni.
Index G è un lavoro complesso che mette insieme generi differenti di narrazione di finzione e tecniche documentarie d’inchiesta e d’analisi. La ricerca comprende foto di paesaggio urbano a colori, interni e ritratti in bianco e nero, e un lungo testo scritto in forma di sceneggiatura, che si pone quasi come negativo testuale di immagini possibili, che si stratificano e affiancano alle foto nel dipanarsi del senso lavoro. È sulla percezione sottile del fallimento – umano – che questo lavoro si concentra. Silenzio, incertezza, assenza sono le parole che guidano la ricerca.
Index G nasce dall’incontro, a tratti conflittuale, di due spazi vuoti che risuonano di diverse connotazioni. Le immagini a colori e in bianco e nero rivelano la tensione tra due mondi che fluiscono in un insieme parallelo. L’esterno e l’interno. La superficie visibile e ciò che è invisibile per la maggior parte di noi. Un limbo pieno di tensioni e dubbi.
Il colore è un paesaggio attraversato, una fotografia che si fa quasi anonima. Lo spazio esterno della strada, svuotato dal caos dell’azione, ricco di tutti i segni tipici del paesaggio americano, porta in sé la promessa del sogno del benessere e del consumo e il suo contrario. Lunghi viali percorribili solo in un senso dividono in maniera invalicabile i bianchi dai neri, linee impermeabili e dissonanti che segnano la geografia della città negando l’esperienza del corpo e dell’incontro. Lo spazio nero degli interni vuoti e dei ritratti stabilisce un’assenza assonante ma differente, dove è Il volume del nero ad imporsi sul bianco creando uno spostamento di senso anche linguistico.
Uno sbilanciamento narrativo e percettivo spinge il lettore verso una sensazione di stranezza e anomalia. Come in un dialogo visivo tra R. Carver ed E. Hopper, INDEX G si svolge come un’opera teatrale del silenzio, fatta di assenza di personaggi e delle loro storie, in cui le storie viste e raccontate rimangono non dette e sospese nel tempo, in quel momento specifico di incertezza in bilico tra qualcosa di inafferrabile appena accaduto, le cui conseguenze siamo solo in grado di percepire, e la sensazione eccitante che qualcosa accadrà presto. Fiorenza Pinna
dal 12.10 al 4.11.18 – Fonderia 20.9 – Verona
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Archivio Magazzini Chapter one – una mostra di Yvonne De Rosa
L’oggetto della ricerca fotografica di Yvonne è incentrato sul recupero e riutilizzo di materiale fotografico, concentrandosi particolarmente sull’osservazione dell’interazione tra passato e presente, alla ricerca di una narrativa senza tempo.
La missione che l’autrice si prefigge con il progetto ARCHIVIO MAGAZZINI è di riportare alla luce uno straordinario patrimonio culturale: “la valorizzazione del nostro territorio va di pari passo con la riscoperta e la conoscenza della nostra memoria storica”.
Il progetto ARCHIVIO MAGAZZINI ha l’obiettivo di recuperare oltre 10.000 negativi ritrovati in una scatola e salvati dalle intemperie, appartenenti ad un (sino ad ora) ignoto degli anni 50’, attraverso un lungo lavoro di restauro e digitalizzazione.
“La diffusione della cultura non può più prescindere dalla rete che, in termini di diffusione collettiva, è un potente strumento di conoscenza non solo per studiosi ed appassionati ma anche per studenti, artisti, ricercatori e per tutta la comunità locale. La digitalizzazione dell’archivio fotografico si presenta così come una grande occasione di studio a livello culturale e sociale. Un lavoro necessario non solo a bloccare i segni del tempo, ma doveroso nei confronti del valore delle opere in oggetto”.
In questa occasione verrà presentato soltanto un estratto del potenziale valore dell’ ARCHIVIO MAGAZZINI: la mostra presenta le prime foto digitalizzate rimaste inedite per oltre 60 anni e che ci rendono testimoni di un periodo storico che ha segnato una fase unica per la nostra regione.
Da Nino Taranto a Sophia Loren, da Anna Magnani a il sindaco Valenzi, da Edoardo de Filippo ai Kennedy passando per un vero e proprio spaccato di vita del nostro territorio con una sequenza di ritratti in bianco e nero che portano con sé tutto il fascino dei tempi passati.
Questo primo capitolo sarà in mostra a Magazzini Fotografici dal 12 ottobre 2018 alle ore 19:00 e resterà in allestimento fino al 2 dicembre 2018.
dal 12 ottobre al 2 dicembre – Magazzini Fotografici – Napoli
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Elliott Erwitt. Icons
Dal 13 ottobre 2018 al 24 gennaio 2019, le Scuderie del Castello Visconteo di Pavia celebrano Elliott Erwitt (Parigi, 1928), uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea, in occasione del suo novantesimo compleanno.
La retrospettiva Icons, curata da Biba Giacchetti, organizzata e prodotta da ViDi, con Civita Mostre e SudEst57 in collaborazione con la Fondazione Teatro Fraschini e il Comune di Pavia – Settore Cultura raccoglie settanta dei suoi scatti più famosi, in grado di offrire al visitatore uno spaccato della storia e del costume del Novecento, attraverso la tipica ironia di Erwitt, pervasa da una vena surreale e romantica.
L’obiettivo di Erwitt ha spesso colto momenti e situazioni che si sono iscritte nell’immaginario collettivo come vere e proprie icone; è il caso della lite tra Nixon e Kruschiev, dell’immagine di Jackie Kennedy durante il funerale del marito, del celebre incontro di pugilato tra Muhammad Alì e Joe Frazier, del fidanzamento di Grace Kelly con il principe Ranieri di Monaco. Nel percorso espositivo s’incontrano, inoltre, i famosi ritratti del Che Guevara, di Marlene Dietrich, della serie dedicata a Marilyn Monroe, così come i temi più amati dal pubblico per la loro forza romantica come il California Kiss, o quelli più intimi e privati, come quello della sua primogenita neonata sul letto, osservata dalla mamma.
A Pavia, non manca l’Erwitt più ironico, come testimoniano le immagini del matrimonio di Bratsk, o quelle dei suoi cani.
Chiude idealmente la rassegna una collezione di autoritratti che racconta come Erwitt ami prendere gioco anche di se stesso e una sezione documentale con i giornali e le pubblicazioni originali su cui comparvero per la prima volta le immagini
Accompagna la mostra un catalogo Sudest57, in cui ogni fotografia è accompagnata da un dialogo tra Elliott Erwitt e Biba Giacchetti, che ne farà scoprire i segreti, le avventure e il senso di ognuna di esse.
Dal 13 Ottobre 2018 al 24 Gennaio 2019 – Pavia – Scuderie del Castello Visconteo
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Sebastião Salgado – Genesi
Genesi è l’ultimo grande lavoro di Sebastião Salgado, il più importante fotografo documentario del nostro tempo. Uno sguardo appassionato, teso a sottolineare la necessità di salvaguardare il nostro pianeta, di cambiare il nostro stile di vita, di assumere nuovi comportamenti più rispettosi della natura e di quanto ci circonda, di conquistare una nuova armonia. Un viaggio alle origini del mondo per preservare il suo futuro.
La mostra è nata da un viaggio alla scoperta della bellezza nei luoghi più remoti del Pianeta, durato 8 anni.
Il frutto di questa curiosità sono le oltre 200 fotografie esposte in mostra, che ci raccontano con sguardo straordinario ed emozionante luoghi che vanno dalle foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia e della Nuova Guinea ai ghiacciai dell’Antartide, dalla taiga dell’Alaska ai deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle montagne dell’America, del Cile e della Siberia.
Il mondo come era, il mondo come è. La terra come risorsa magnifica da contemplare, conoscere, amare. Questo è lo scopo e il valore dello straordinario progetto di Sebastião Salgado.
Dal 29 settembre 2018 al 6 gennaio 2019 – La Mole Vanvitelliana – Ancona
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Sarah Moon – From one season to another
“Ho scelto di mescolare immagini di moda astratte con fotografie meno conosciute. Sono grata a Giorgio Armani per il suo invito e per la libertà che mi ha concesso con questa mostra. Apprezzo da sempre la sua couture senza tempo. A entrambi piace la sfida di fare di più con meno, e di lavorare con o senza colore.” – Sarah Moon
Intitolata From one season to another, la mostra dedicata al lavoro della fotografa Sarah Moon comprende un vasto numero di opere che copre quattro decenni, dalla metà degli anni Settanta al 2018.
L’esposizione offre una panoramica particolarmente ricca delle espressioni fotografiche dell’autrice. Composta da oltre centosettanta immagini di piccolo e grande formato, a colori e in bianco e nero, From one season to another è la prima esposizione di tali dimensioni e portata dedicata a Sarah Moon in Italia.
19 SETT. 2018 – 6 GEN. 2019 – Armani Silos
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Most Were Silent – Anush Hamzehian e Vittorio Mortarotti
C’è la storia, poi c’è la vera storia, poi c’è la storia di come è stata raccontata la storia. Poi c’è quello che lasci fuori dalla storia. Anche questo fa parte della storia.
Margaret Atwood
Per la realizzazione di Most Were Silent Anush Hamzehian e Vittorio Mortarotti hanno trascorso, tra aprile e maggio 2016, più di un mese ad Alamogordo, in New Mexico. In questa assolata e sonnolenta cittadina alle propaggini del deserto della Jornada del Muerto, nulla sembra oggi evocare il ricordo di eventi bellici. Eppure è qui, nel segreto di una base militare, che l’energia atomica venne usata per la prima volta come strumento di distruzione. L’esplosione avvenne il 16 luglio 1945 e nulla sarebbe più stato come prima. “We knew the world would not be the same” disse Robert Oppenheimer, il fisico a capo dello sviluppo della prima bomba nucleare, che proseguì l’intervista riportando le reazioni dei suoi colleghi del Manhattan Project, un ricordo da cui gli artisti traggono il titolo della mostra: “A few people laughed, a few people cried, most people were silent”. In questo scenario storico e geografico, Alamogordo è la città più vicina al luogo dove ebbe inizio l’era atomica nella sua potenza distruttiva (Hiroshima e Nagasaki) e dissuasiva (guerra fredda). Dal territorio che ha fatto da sfondo a questo evento epocale, gli artisti fanno partire la riflessione che affronta i temi atavici della violenza umana e della memoria storica. Temi che nel corso dei millenni sono stati indagati da ogni forma di espressione intellettuale (arti visive, letteratura, giornalismo) e che gli artisti affrontano da una prospettiva inaspettata e profonda.
Alle immagini in mostra sono infatti affiancati video d’archivio, oggetti e brevi documentari realizzati dal duo artistico; i riferimenti tra i contenuti sono indiretti e rimandano ad altre sfere sensoriali ed emotive, ricreando nuove prospettive, evitando la rincorsa alla verità ma mantenendo ben salda l’onestà del racconto.
Most Were Silent si può quasi definire un racconto sinestetico sul significato più profondo della Storia, una riflessione sulla guerra e le sue conseguenze. Un lavoro che prosegue la ricerca, iniziata anni fa con una serie di lavori sulle conseguenze fisiche e psicologiche dello tsunami in Giappone, gli effetti sociali della chiusura delle miniere in Belgio e la violenza del confine tra Armenia, Azerbaigian e Iran, che gli artisti rivolgono alla sperimentazione dei linguaggi dell’immagine documentaria (fotografica e filmica) applicata al racconto di marginalità storiche, geografiche e sociali da cui però emergono temi universali. Nella mostra, e nel libro da cui la mostra ha origine, molti racconti si intrecciano mantenendo il fil rouge della guerra senza tuttavia affrontare direttamente questo tema; Hamzehian e Mortarotti usano il prisma della sinestesia, un fenomeno sensoriale/percettivo che indica una “contaminazione” dei sensi, per ampliare la profondità percettiva del proprio lavoro e mostrare che la Storia è un processo di stratificazione e assorbimento modificabile secondo filtri individuali o collettivi.
In occasione dell’inaugurazione verrà presentato il libro Most Were Silent (Skinnerboox, 2018) da cui la mostra trae la sua origine. La serata sarà arricchita da un afterparty nel nuovo spazio di produzione artistica “Spazio Labo’ | Zanolini”, situato in via Zanolini 9, che verrà presentato al pubblico proprio in questa occasione. L’ingresso è gratuito, con prenotazione obbligatoria.
27 ottobre 2018 – 18 gennaio 2019 – Spazio Labo’ | Photography – Bologna
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Robert Capa – Retrospective
«Se le tue foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino»
Robert Capa
La mostra è dedicata alla figura di spicco del fotogiornalismo del XX secolo e presenta oltre 100 fotografie in bianco e nero, che il fotografo, fondatore di Magnum Photos nel 1947 insieme a Henri Cartier-Bresson, George Rodger, David “Chim” Seymour e William Vandivert, ha scattato dal 1936 al 1954, anno della sua morte in Indocina, per una mina anti-uomo.
Eliminando le barriere tra fotografo e soggetto, le sue opere raccontano la sofferenza, la miseria, il caos e la crudeltà della guerra. Gli scatti, divenuti iconici – basti pensare alle uniche fotografie (professionali) dello sbarco in Normandia delle truppe americane, il 6 giugno 1944 – ritraggono cinque grandi conflitti mondiali del XX secolo, di cui Capa è stato testimone oculare.
La rassegna è articolata in 13 sezioni e si conclude con una novità, un’aggiunta inedita per questa tappa monzese, la sezione “Gerda Taro e Robert Capa” un cammeo di tre scatti: un ritratto di Robert, un ritratto di Gerda scattato da Robert e un loro “doppio ritratto”, un modo per portare in mostra la loro vicenda umana e la loro relazione.
Dal 7/10/18 al 28/01/19 – Arengario di Monza
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Francesco Faraci – Atlante Umano Siciliano
Atlante.
Umano.
Siciliano.
Tre parole che insieme formano una frase, ma se messe in proprio ognuna di esse ha una sua identità precisa. Sicilia porta d’Europa, per qualcuno inizio di una nuova vita, punto d’approdo dalla vicina africa. Per altri, invece autoctoni è sguardo sul mondo, odora di radici.
Terra infima e meravigliosa dove nulla è mai come appare. Per contingenza, greca illusione.
Atlante è viaggio, ma non importa il come, bensì il dove e il perché. Percorrendo una geografia dell’anima, mediterranea, fatta di sensazioni, di percezioni che sgorgano dalla terra nuda dopo la mietitura. Il vento, il cielo, le correnti marine, il sole, la luna e il sale sulla pelle. Tutto concorre a tracciare su una cartina immaginaria i segni del passaggio del viandante, che nulla ha con sé se non le ossa, nudo e aperto com’è di fronte alla sorpresa, al fato, al destino.
Umano perché terreno. Perché l’uomo, in fondo, è al centro della ricerca. La sua condizione di “moderno” in una terra che fatica ad evolversi e che quando lo fa, o ci prova, cede ogni volta un pezzo della sua atavica identità.
Un lavoro sui contrasti, sugli opposti: vita\morte, caos\silenzio, gioia\tristezza, rassegnazione\riscatto.
Paesi ormai semi abbandonati, dove chi parte non fa più ritorno e l’età di mezzo è ormai un’utopia. Rimangono i vecchi, le pietre delle case dalle porte e dalle finestre sbarrate con la scritta “Vendesi”, che raccontano di ciò che si è stato e di cosa sarà nel prossimo futuro.
Dalla Sicilia si fugge, ma il territorio muore e nemmeno troppo lentamente. Si tratta di provare a salvare, a imprimere su carta quel che c’è. Il paradosso è che non mancano l’energia e nemmeno la poesia.
Nell’eterna lotta fra andare e restare ho scelto di resistere e raccontare la terra in cui vivo, in controtendenza forse con la fotografia esotica che fa dell’altrove, il più lontano possibile da noi, un vessillo. Eppure, aprendo le porte di casa, spalancando le finestre metaforiche di noi stessi, quindi aprendosi, il mondo accoglie, chiede di raccontarne la storia.
La vita, la morte, i sogni e le sconfitte.
Siciliano, dunque, per appartenenza non sempre fiera. Esserlo (siciliano) significa, oggi, mettersi in cammino, scavare a fondo nella terra sapendo che il mare, unico e definitivo confine, ha nella linea dell’orizzonte e nelle direzioni dei venti il suo unico limite.
Tre parole per dire di un luogo di frontiera, dunque. La ricerca di una piccola America. Ispirato da Robert Frank e dal suo “The Americans” mi sono messo in viaggio, ecco il senso di questo lavoro che implorava di venire fuori.
Dal 25 ottobre al 6 gennaio – Trieste – Civico Museo Sartorio
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BRUCE SPRINGSTEEN. FURTHER UP THE ROAD. THE PHOTOGRAPHY OF FRANK STEFANKO
THE PHOTOGRAPHY OF FRANK STEFANKO”, una retrospettiva che, attraverso le fotografie di Frank Stefanko, ripercorre 40 anni della carriera di uno dei cantautori e musicisti simbolo del rock americano, Bruce Springsteen.
Stefanko e Springsteen si incontrano grazie a Patti Smith, che aveva lavorato assieme al Boss su “Because the Night” ed era amica di Stefanko sin dai tempi del college, quando già il fotografo la usava come uno dei suoi soggetti, uno tra i primi ad immortalarla ad inizio carriera. Fu la stessa Patti a consigliare a Bruce di incontrarsi con il fotografo che all’epoca lavorava ancora part time in una fabbrica di confezionamento carni. Sin da subito i due creano un saldo rapporto di collaborazione che sarebbe durato negli anni. Molte erano infatti le cose che avevano in comune: non solo ovviamente la passione per la musica, ma anche l’estrazione sociale. Provenivano infatti entrambi dal New Jersey, da famiglie appartenenti alla classe operaia, figli di madre italiana, condividevano insomma un background culturale che gli permise di stringere subito amicizia e di far permeare i propri valori nel loro comune lavoro. Il primo shooting si svolse in un’unica fredda giornata invernale a Haddonfield, New Jersey, e Stefanko lavorò con il solo aiuto di una luce sostenuta dal figlio teenager dei vicini. Anche le location del servizio erano molto domestiche: la camera da letto del fotografo stesso con una vistosa carta da parati floreale, le strade della periferia ancora innevate, i gradini delle case popolari. Nella sua autobiografia Springsteen ricorda: “Le fotografie di Frank erano crude. Il suo talento è quello di spogliarti della tua celebrità, del tuo artificio e arrivare a te. Le sue foto erano ricche di semplicità e poesia di strada. Erano incantevoli e vere, ma non erano perfette. Frank cercava la tua vera essenza e naturalmente ha intuito i conflitti con i quali stavo venendo a patti. Le sue foto hanno catturato le persone di cui stavo scrivendo nelle mie anzoni e mi hanno mostrato quella parte di me che era ancora come loro. Avevamo altre opzioni per la copertina dell’album, ma non avevano la stessa “fame” delle foto di Frank.”
Springsteen, che prima di “Darkness on the edge of town” aveva già pubblicato tre album in studio, tra cui “Born to run”, fu quindi evidentemente colpito dal talento per la fotografia di Stefanko, ma ciò non di meno voleva mantenere il totale controllo sulla lavorazione dell’album, parte grafica compresa; non per nulla il suo soprannome è The Boss. Fu quindi una sua scelta personale quella della fotografia che divenne la copertina del nuovo album, proprio una di quelle scattate in camera da letto.
La mostra (18 ottobre – 18 novembre 2018) composta da 30 opere, è realizzata in collaborazione con Wall of ound Gallery ed è accompagnata dall’omonimo libro in tiratura limitata firmato da Frank Stefanko (400 agine, ed. Wall of Sound Editions). In occasione dell’inaugurazione della mostra Guido Harari, fotografo e curatore, presenterà il libro assieme a Cristina Arrigoni – autrice di “The Sound of Hands” appena edito da Wall of Sound Editions – e il cantautore americano Willie Nile, le cui strade si sono in più occasioni incrociate on quella di Springsteen e Stefanko. A seguire book signing e breve unplugged live di Nile.
Dal 18 ottobre al 18 novembre 2018 – Ono Arte Contemporanea – Bologna
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Alain Fleischer – Je ne suis qu’une image
La Galleria del Cembalo apre al pubblico, dal 27 ottobre 2018 al 19 gennaio 2019, una mostra di ampio respiro dedicata all’opera dell’artista francese Alain Fleischer: Je ne suis qu’une image. Attraverso un’articolata ed esaustiva selezione di fotografie e video, l’esposizione ripercorre tutta la carriera dell’artista, dai primi lavori degli anni settanta fino ai più recenti.
Alain Fleischer è un artista multidisciplinare, la cui produzione è tanto eclettica quanto prolifica. Lontano da qualsiasi trasversalità disciplinare, Fleischer utilizza ogni mezzo di espressione nella sua specificità. Non può essere definito “uno scrittore che fa film” oppure “un cineasta che fa l’artista”, né “un fotografo che fa video” ma uno scrittore, un cineasta, un fotografo. La sua produzione annovera più di 50 libri, 350 film e innumerevoli video, fotografie e installazioni.
L’attenzione allo studio della tecnica di ogni mezzo espressivo che utilizza, e la sua reinterpretazione anche facendo ricorso a modalità di bricolage, fanno nascere delle situazioni apparentemente improbabili: si crede di vedere, ad esempio, un vecchio disco di vinile che gira su un giradischi quando invece non si tratta che della sua immagine, filmata quando era in movimento, di cui il giradischi, ora inerte, ne diventa solo il supporto.
L’artista nell’esplorare il mezzo fotografico dà vita a immagini che sono liberate dalla necessità di rappresentare il visibile. Le fotografie rivendicano dunque il loro ruolo: “Je ne suis qu’une image”. Questa dichiarazione, a cui si deve il titolo della mostra, prende spunto dalla constatazione che nel cinema il suono si trasforma in un’immagine. La banda sonora presente sulla pellicola è un segnale ottico che in realtà presenta tutte le caratteristiche di una fotografia: contrasto, definizione della grana, nitidezza. Alain Fleischer ha così reinterpretato e trasferito l’immagine ottica della frase registrata “Je ne suis qu’une image” su diversi supporti. Il contorno del segnale, costituito da ondulazioni più o meno serrate, si trasforma nel rilievo di un paesaggio, nel ritaglio di un pezzo di carta, nel profilo di una lama, eccetera.
Alcuni temi sono ricorrenti nella sua opera: il viso e il corpo femminile, l’erotismo, il senso della sopravvivenza, la spettralità, l’illusione, il riflesso e il doppio, il rituale, il mondo dell’infanzia e il gioco, la trasfigurazione delle forme, la rovina, la natura selvaggia.
Tracce di avvenimenti o di situazioni che non hanno mai avuto luogo, memorie obiettive e pertanto menzognere dell’impronta fotografica, immagini fisse messe in movimento e immagini animate improvvisamente cristallizzate. E poi ancora riflessi, ricezioni, proiezioni, rotazioni propongono dubbi sulla loro natura e sulla loro stessa realtà. Emozioni, seduzioni e divertimenti vissuti dall’artista, vengono riproposti per essere condivisi intuitivamente dallo spettatore, senza la necessità o la costrizione di andare a cercare necessariamente un significato recondito oppure un valore simbolico. Nella serie Lumières oubliées, attraverso l’utilizzo di lanterne e tracce luminose, l’artista affronta il senso etimologico della parola “fotografia”. Nel percorso espositivo, tra i video e le installazioni illusionistiche, il visitatore scoprirà il fenomeno della “crestazione” dei cactus – termine botanico per definire la loro metamorfosi mostruosa, riconfigurata in algoritmo, poi applicato a qualsiasi tipo di oggetto.
dal 27 ottobre 2018 al 19 gennaio 2019 – Galleria del Cembalo – Roma
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“Yo soy Fidel” & “Il sottile riflesso” – Francesco Comello & Lorenzo Zoppolato
“Yo soy Fidel” – Francesco Comello
“Sono andato a Cuba per la prima volta nel dicembre 2016, per la morte di Fidel.
Sono ritornato due mesi dopo, perché le storie chiamano altre storie. Questa volta ho portato con me le parole scritte a macchina di un giornalista italiano, Saverio Tutino, inviato a Cuba negli anni 60/70 come corrispondente dell’Unità. Scriveva a sua figlia Barbara di 10 anni. Un mese di viaggio, girovagando per l’isola in cerca di tracce, di luoghi, di storie lette e di storie ancora da raccontare.”
“All’inizio degli anni Sessanta l’America Latina divenne il centro di una grandissima crisi. Nell’aprile del ’61 Kennedy (N.d.R. John Fitzgerald Kennedy, 1917-1963) autorizzò l’invasione di Cuba da parte di esuli addestrati dalla CIA, sperando che la popolazione si sarebbe sollevata contro il neonato regime socialista. Il tentativo fallì e Castro (N.d.R. Fidel Alejandro Castro Ruz, 1926- 2016) strinse alleanza con l’Unione Sovietica e si accordarono per l’installazione a Cuba di missili nucleari. Kennedy proclamò il blocco navale dell’isola, per impedire vi giungessero armi atomiche. La crisi si risolse solo con un compromesso: i Sovietici smantellarono le basi a Cuba e gli Stati Uniti si impegnarono a rispettare la sovranità del regime di Castro.”
“Il sottile riflesso” – Lorenzo Zoppolato
In Messico, percorrendo una strada sterrata a mezza giornata di cammino da Huahutla de Jimenez, in un remoto cimitero, i tempi della vita e della morte si sovrappongono. Lontano dai flash artificiali delle grandi città, la luce assume la forma di una chiave che utilizzo per aprire spiragli nella realtà: qui il mondo dei vivi e quello dei morti si prendono per mano.
In questo luogo trovo “la luce necessaria” per affrontare le mie paure e parlare ai miei fantasmi. Sciolgo le redini della mia fotografia: non cerco il racconto etnografico di qualcosa di lontano, ma cerco di documentare tra me, i miei soggetti e l’ambiente che ci circonda. L’ingrediente principe di questa storia è il realismo magico che tanto amo nella letteratura e che abita e feconda il mio immaginario. In punta di piedi prendo parte a riti ancestrali preispanici che si fondono con quelli cristiani e divento intimamente parte di ciò che fotografo. Confondo il reale con l’immaginario ed è proprio lì che la luce necessaria mi permette di vedere, come un riflesso, “la sorella del sonno”. Mi lascio prendere per mano e riesco a camminare in equilibrio sul confine, prima invisibile, tra la vita e la morte.
25 ottobre 2018 – 09 novembre 2018 – Sala Mostre Fenice Galleria Fenice 2 – Trieste
Tutti i dettagli qua
Taylor Wessing Photographic Portrait Prize Exhibition
The Taylor Wessing Photographic Portrait Prize 2018 is the leading international competition, open to all, which celebrates and promotes the very best in contemporary portrait photography from around the world.
Showcasing talented young photographers, gifted amateurs and established professionals, the competition, showcases a diverse range of images and tells the often fascinating stories behind the creation of the works, from formal commissioned portraits to more spontaneous and intimate moments capturing friends and family.
The selected images, many of which will be on display for the first time, explore both traditional and contemporary approaches to the photographic portrait whilst capturing a range of characters, moods and locations. The exhibition of fifty-seven works features all of the prestigious prize winners including the winner of the £15,000 first prize.
All details here
La promenade. Sesiones portena – Patricio Reig
Come ultima mostra (prima dello spostametno della sede nda), mc2 gallery è lieta di presentare la prima personale italiana di Patricio Reig (Argentina, 1959).
Da sempre interessato alla sperimentazione di processi fotografici alternativi, ha focalizzato la sua ricerca su tecniche quali il collodio umido, la carta salata o la fotografia stenopeica. Reig ha recentemente elaborato una tecnica personale, che utilizza bitume, caffè o emulsioni sensibili applicate a carte di diverso tipo che attribuiscono all’immagine un aspetto antico e prezioso. Il suo lavoro è talmente eterogeneo che è difficile darne una descrizione univoca, ma certamente ruota attorno al tema centrale del tempo e della memoria, ai cicli della vita e della morte e della figura femminile, tra i soggetti protagonisti indiscussi del lavoro di Reig.
Ne è l’emblema la sua serie TLMSLM (Todas Las Mujeres Son La Misma) costituita da 10 ritratti di donne. Mentre i volti sono stampati direttamente su plexiglass, dietro i ritratti all’interno delle cornici inserisce oggetti, stoffe,c arte di libri antichi che immagina essere appartenuti loro, creando così una sorta di scatola del tempo. Colleziona e utilizza fotografie anonime trovate nei mercatini, per parlare di un passato che appartiene a tutti noi, in un nostaglico specchio di storie e ricordi. Davanti alle sue splendide carte lavorate, qualcosa tocca le corde intime del nostro animo. Questo senso di memoria narrativa viene poi rinforzata dalla sua calligrafia d’altri tempi che aumenta la forza di questi rapporti per immagini.
Una mostra affascinante che accompaservatore in un viaggio introspettivo e nostalgico di grande impatto emotivo.
Dal 6 novembre al 6 dicembre – mc2 Gallery – Milano
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La mia famiglia – Efrem Raimondi
La mia famiglia è la personale che terrò da BDC28, splendido spazio espositivo nel cuore di Parma.
9 – 25 novembre. Inaugurazione l’8 alle 18,30.
Si inserisce nel programma del Colorno Photo Life che si svolge nella Reggia di Colorno,
e in questa sede sabato 10 alle 18,30 terrò la lectio Presente imperfetto.
La mia famiglia è una mostra particolare.
Che nasce da un confronto con Laura Manione – sua la curatela – sul tema della famiglia in Italia. E che cosa ho da dire fotograficamente su questo.
Niente.
Perché per come lavoro è un tema troppo grande, quasi privo di confini. E io ho bisogno di confini. Se non ci sono li pongo.
Non è un fatto espressivo, questo viaggia per fatti propri e lo assecondo.
Solo, è vitale una relazione nella quale riflettermi. E su questa abbiamo interagito.
Quindi sì, se la famiglia è la mia, va bene.
Nella prefazione al catalogo sono più netto:
C’è una famiglia che trovi e non è discutibile.
E una che scegli.
Una famiglia variabile.
Su questa mi sono regolato saltuariamente negli ultimi trent’anni.
Col mezzo fotografico di circostanza, e per me uno vale l’altro. Quasi.
Fuori dal confine di specie: i miei gatti – qui due – e una pianta
in particolare, un ficus elastica. Che mi è stata molto vicina.
E lo è ancora.
Un percorso intimo, anche straziante: la relazione con la mia
famiglia trasversale. Oltre il genere. Che non so che farmene.
Ed è ciò che realmente è esposto.
Poi per fortuna c’è la riflessione di Laura Manione che affronta questo insieme di quindici opere e dà loro ciò che serve per non scappare. Perché qualcuna è violenta.
E forse non avrebbe mai voluto essere appesa. Forse.
Il testo si trova nel catalogo o in mostra.
A proposito del catalogo… Questo inaugura la collana panniappesi col numero 01.
Ma c’è anche il numero 00, introdotto d’ufficio dalla mostra senese dell’anno scorso: Portrait for sale.
Esaurito.
Perché sono tirature limitatissime e numerate.
Ma del catalogo pubblicherò a breve.
Efrem Raimondi
9 – 25 novembre – BDC28 – Parma, Borgo delle Colonne 28
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ciao
vivo a Verona, ma non sapevo della mostra di via XX Settembre.
Questa mattina sono andato e devo dire che valeva veramente la pena di uscire anche sotto la pioggia.
Ho incontrato Emanuele, uno dei due autori, mi ha spiegato il progetto iniziale ed il lavoro di 3 anni che ha portato alla mostra con libro.
Complimenti agli autori ed un grazie a Musa.
Son contenta, bene, ho collaboratori eccezionali!
Son proprio felice che il mio articolo ti abbia fatto conoscere la Fonderia 20.9. I ragazzi sono bravissimi e le mostre che organizzano sono davvero interessanti!
Ciao
Anna