Frank Horvat

Photography is the art of not pushing the button

Frank Horvat (Abbazia, 28 aprile 1928) è un fotografo italiano. È conosciuto per le sue foto di moda, pubblicate tra la metà degli anni cinquanta e la fine degli anni ottanta. I suoi lavori fotografici includono anche fotogiornalismo, ritratti, paesaggi, natura e scultura. Nel 1988 ha realizzato un libro di interviste con alcuni tra i più importanti fotografi, come Don McCullin, Robert Doisneau, Sarah Moon, Helmut Newton, Marc Riboud. All’inizio degli anni novanta è stato uno dei primi fotografi a sperimentare con Photoshop.

Nato da una famiglia ebraica d’Europa Centrale (suo padre Karl era un medico ungherese, sua madre Adele una psichiatra di Vienna), Horvat ha vissuto in Svizzera, in Italia, nel Pakistan, in India, in Inghilterra e negli Stati uniti. Dal 1955 vive in Francia

La carriera fotografica di Frank Horvat è stata influenzata da Henri Cartier-Bresson. Dopo averlo incontrato nel 1950, seguì il suo consiglio di sostituire la sua Rollei con una Leica e partì per un viaggio di due anni in Asia, come fotogiornalista freelance. Le fotografie di questo viaggio sono state pubblicate da Life, Réalités, Match, Picture Post, Die Woche e Revue. Una di esse è stata inclusa nella famosa esposizione Family of Man al MOMA di New York.

Come molti fotografi della sua generazione, Horvat ha capito che un apparecchio 35mm gli permetteva di lavorare più rapidamente, e che le diverse focali disponibili gli consentivano di esplorare aspetti della realtà che l’occhio nudo non coglie. Nel 1955, per esempio, dopo essersi trasferito da Londra a Parigi, ha avuto l’impressione che l’atmosfera della città e gli atteggiamenti dei suoi abitanti erano assai diversi dal romanticismo messo in rilievo dai cosiddetti “fotografi umanisti”. Questo gli diede l’idea di servirsi di un teleobiettivo, che permetteva inquadrature e avvicinamenti che non erano possibili con un obiettivo «normale». Nel 1957, la rivista svizzera Camera dedicò un intero numero a questo lavoro.

Nel 1957, Horvat sposta il suo interesse verso un altro aspetto della fotografia, producendo fotografie di moda per Jardin des Modes. A questo fine si serve di una Leica, apparecchio raramente utilizzato per la moda. L’innovazione è bene accolta dagli stilisti del ready-to-wear, perché permette di presentare le loro creazioni in un contesto più quotidiano, cioè proprio quello per cui sono concepite. Negli anni seguenti, Horvat riceve incarichi simili da Elle a Parigi, Vogue a Londra, Harper’s Bazaar a New York e altre riviste del genere.

Tra il 1962 e il 1963, Horvat torna al fotogiornalismo, con un viaggio attorno al mondo per la rivista tedesca Revue. In seguito sperimenta con il cinema e la video. Nel 1976 decide di diventare “cliente di se stesso” producendo tre lavori personali: Portraits of Trees (1976–82), Very Similar (1982-86) e New York up and down (1982–87), che chiama «il suo trittico» benché queste imprese siano molto diverse tra loro. I tre lavori sono a colori.

Negli anni ’80, Horvat soffre di un disturbo ad un occhio e per qualche tempo deve sostituire la sua vista con l’udito. Questo handicap gli suggerisce un nuovo progetto: una serie di interviste con altri fotografi, come Edouard Boubat, Robert Doisneau, Mario Giacomelli, Josef Koudelka, Don McCullin, Sarah Moon, Helmut Newton, Marc Riboud, Jean-Loup Sieff e Joel-Peter Witkin. Il libro che le riunisce è pubblicato in Francia sotto il titolo Entre Vues.

Negli anni ’90, Horvat si decide ad un altro cambiamento radicale, adottando l’informatica. Per cominciare, con Yao the Cat (1993), poi con Bestiary (1994) e Ovid’s Metamorphoses (1995), in cui trasgredisce la regola bressoniana del “momento decisivo”, e combina immagini (o frammenti di immagini) realizzate a momenti ed in luoghi diversi. La novità non è tanto il fotomontaggio – già praticato nell’Ottocento – quanto l’ambiguità creata da queste composizioni che quasi non rivelano l’artificio, anche se Horvat riconosce che potrebbero essere considerate estranee alla fotografia.[3] È in parte per questo che Horvat non prosegue in questa direzione, che riprende solo 14 anni più tardi con il progetto A Trip to Carrara.

La complementarità tra fotografia tradizionale – prima analogica, poi digitale – e postproduzione informatica diventa evidente nel suo saggio Figures Romanes (pubblicato nel 2000, con un testo di Michel Pastoureau). Questa raccolta di immagini è il risultato di 2 anni di ricerca sulla scultura romanica in Francia (XI et XII secolo).

I tre progetti successivi di Frank Horvat sono forse il suo lavoro più personale. 1999 è un foto-diario dell’ultimo anno del millennio, fatto con un piccolo apparecchio analogico destinato ai dilettanti.

In seguito, con La Véronique (2002-2003), Horvat integra nel suo lavoro gli effetti di un problema cardiaco di cui soffre in quegli anni, limitandosi a fotografare, con la sua prima Nikon digitale, in un raggio di 30 metri nella sua casa in Provenza o nelle immediate vicinanze.

Eye at the fingertips è un progetto che inizia nel 2006 e che è ancora in fase di realizzazione. Tutte fotografie sono fatte con una fotocamera digitale compatta, molto più leggera e introdotta appunto in quegli anni.

Nei tre progetti, Horvat esplora i piccoli miracoli della vita quotidiana, contro la tendenza di quella fotografia che tende a mettere in mostra quello che sembra eccezionale o estremo. Ma ciò che soprattutto lo interessa è che queste immagini, che potrebbero essere prese per dei “candid shoots” e che sono fatte con un apparecchio che ogni dilettante può acquistare, rappresentano invece la somma delle sue esperienze visuali ed emozionali, ridotte alla loro essenza da una rigorosa eliminazione di tutto ciò che lui – nei momenti in cui le scatta, le seleziona e le ritocca – giudica superfluo o distraente.

La sua più recente impresa è un’Applicazione per iPad, intitolata Horvatland, ‘’un viaggio attraverso un mente’’ che riunisce più di 2000 fotografie prodotte nel corso di 65 anni, 200.000 parole di testo e 20 ore di commenti.

Nel 2008, Frank Horvat ha ricevuto il premio della Fondazione del Centenario di Lugano (Svizzera) per il suo contributo alla cultura europea.

Fonte Wikipedia

Questo è il suo sito con la sua opera completa.