Il 16 luglio 2010 Kevin Systrom, durante una vacanza in Messico con la sua fidanzata, caricava una foto su Codename, il primo nome di un social rivoluzionario: Instagram. Certo non è la foto che ci si aspetta da Instagram: un cane ripreso da sopra che ci guarda coi I suoi occhioni e un piede. Quasto avveniva alcuni mesi prima del lancio ufficiale dell’app.
La prima fotografia pubblicata su Instagram
In una puntata di “Chi vuol essere milionario?” al concorrente Valerio Liprandi viene chiesto, per 150mila euro, cosa ritraeva la prima foto postata su Instagram. Non so se abbia risposto correttamente! Una foto banale, postata per fare un test, che ha comunque ha un grande valore storico. A oggi, questa immagine conta circa 100mila ‘Mi piace’, niente in confronto a moltissime fotografie dello stesso social.
Credo che nemmeno Kevin Systrom potesse immaginare che Instagram raggiungesse un tale successo e tanto meno che lui si sarebbe arricchito fino a diventare milionario. Systrom dice: «Se lo avessi saputo, mi sarei impegnato un po’ di più, anche se era solo una semplice foto di prova ne avrei potuta scegliere una migliore». Systrom e il collega Mike Krieger volevano creare un nuovo social network, che fosse adatto ai dispositivi mobili e che consentisse di pubblicare fotografie in modo veloce e semplice, per raccontare la vita quotidiana. In due anni Instagram aveva già raggiunto 50 milioni di utenti in tutto il mondo tanto che Facebook decide di comprare la compagnia per un miliardo di dollari.
Oggi, invece, il social network vanta quasi un miliardo di utenti attivi mensili.
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Diretto da Richard Bright, The Many Lives of William Klein fa parte di una serie televisiva della BBC. Nel cast alcuni dei grandi maestri della fotografia come: Don McCullin, Martin Parr e William Klein stesso. Il film è stato girato a New York un mese prima di una grande mostra della Tate Modern che celebra il suo lavoro, William Klein + Daido Moriyama, nel 2012.
Fotografia di William Klein
William Klein (19 aprile 1928) è un fotografo americano noto per aver incorporato elementi insoliti nelle sue fotografie e nei suoi video. Nato a New York, ebreo in una zona in cui l’antisemitismo era molto presente, si avvicina alla fotografia per sfuggire ai suoi coetanei. W.Klein studia al City College di New York. Nel 1948, parte per un viaggiò in Francia, studia pittura con Fernand Léger e si iscrive successivamente alla Sorbona.
Fotografia di William Klein
Klein studia pittura e ha lavora brevemente come assistente di Fernand Léger a Parigi, anche se non ha mai ricevuto una effettivamente un formazione in fotografia, lavora nella moda (pubblicherà su Vogue) ed èpubblica numerosi libri fotografici iconici, tra cui Life is good e good for you in New York (1957) e Tokyo (1964). Negli anni ’80, si è dedica a progetti cinematografici producendo numerosi documentari e film memorabili, come Muhammed Ali, The Greatest (1969). Klein fotografa inizialmente con una Rolleiflex, passerà poi a Leica. Soltanto all’inizio degli anni ’80, riprende a fotografare e in questa occasione vengono riscoperte anche le sue prime fotografie.
Fotografia di William Klein
Con Klein nasce un nuovo modo di fotografare, le sue immagini sembrano accidentali, deformate caratterizzate dal mosso e dal contrasto esagerato. Per questo William Klein è considerato una della figure più anticonformiste della fotografia americana del dopoguerra. Klein attualmente vive e lavora a Parigi, in Francia. Le sue opere sono conservate nelle collezioni del Museum of Modern Art di New York, della National Gallery of Art di Washington, DC e dell’Art Institute di Chicago, tra gli altri.
Una foto di strada può avere un aspetto nitido, dove tutto è a fuoco e “congelato”, ma può anche essere tremolante, mossa, per trasmettere dinamismo e instabilità. Chiaramente, il mosso può sia essere una scelta voluta, usando tempi di esposizione lunghi, oppure un obbligo nel caso in cui ci si trovi in una situazione di scarsità di luce. Una parolina tanto abusata oggi è: mosso creativo. Tengo a sottolineare che non esiste il “mosso creativo” in sé… è l’insieme tra tecnica, composizione, messaggio, progetto, che fa della foto una foto creativa. Purtroppo per noi, non basta muovere la macchina o lanciarla nel vuoto mentre si scatta. Anche il mosso fa parte del linguaggio e va usato con consapevolezza. Esistono, sostanzialmente, quattro tipi di mosso nella street photography. Il primo tipo è quando utilizziamo un tempo lungo e muoviamo noi la macchina fotografica. In questo caso la percezione è di mosso generale nell’immagine. Nella prima immagine alla pagina successiva, tutto è mosso, la bambina e lo sfondo che la circonda.
Be the bee body be boom, est east. Sara Munari
Nel secondo tipo è il soggetto in movimento che crea la sensazione di mosso, ma lo sfondo rimane nitido e la percezione è che sia fermo
Be the bee body be boom, est east. Sara Munari
Il terzo tipo è il panning, una tecnica fotografica che si utilizza per trasmettere la percezione del movimento. È possibile ottenere un effetto panning su immagini verticali, in genere però viene sfruttato su elementi che si spostano orizzontalmente davanti al fotografo, seguendo tre semplici azioni: ❙ si inquadra il soggetto; ❙ si scatta con tempi lunghi; ❙ si muove la fotocamera mantenendo il fuoco sul soggetto mentre lo si segue con la macchina fotografica. Lo scatto, in questo caso, deve essere realizzato in modalità M (manuale) o a priorità di tempi. Dato che i soggetti sono in movimento, è necessario capire quale sia il tempo corretto da impostare. Non ci sono tempi di scatto giusti in assoluto. Dipendono, infatti: ❙ dalla velocità del soggetto; ❙ dalla quantità di effetto panning che si vuole ottenere.
Be the bee body be boom, est east. Sara Munari
Il quarto modo si ha scattando con il flash e con tempi relativamente lunghi, nell’ordine di 1/30, 1/15 o 1/8. Il sensore, rimanendo esposto più a lungo del lampo del flash, registra anche la luce dell’ambiente. Il colpo di flash congelerà parte del movimento, la restante parte risulterà mossa a causa del lungo tempo dell’esposizione.
Simona Guerra si occupa di fotografia da circa vent’anni. Insomma, ne sa molto!
Curatrice, autrice e docente, porta la sua lunga esperienza, nell’ultimo libro, che tratta della stretta relazione che esiste tra scrittura e fotografia.
Simona inizia con una riflessione sulla fotografia e da questo punto di partenza, ci porta a riflettere sul modo in cui la scrittura, possa esserne al servizio. Un testo scorrevole e di piacevole fruizione.
Il tentativo è di affrontare le strutture che normalmente stanno alla base della fotografia e quelle che stanno alla base della scrittura, accostandole e facendole collaborare.
La fotografia è per Simona, oggi, libera da ogni vincolo, quindi anche dai condizionamenti della parola, nasce quindi la possibilità, in qualche caso necessità, di farle cooperare.
Il libro nasce da uno studio durato anni che può aiutare a capire come, parlando di molti tipi di fotografia (concettuale, reportagistica, ecc) un titolo, una didascalia, un testo, un’annotazione o addirittura una firma, possano aiutarne la funzionalità e completarne il significato. Conoscere certe dinamiche e comprenderle, diventa un arricchimento per ogni fotografo che voglia esplorare questo aspetto.
Il testo offre anche un ventaglio di contenuti che potrebbero essere letti da fotografi, per valutare differentemente e in modo più approfondito, il rapporto coi due linguaggi.
Quindi, come il testo può supportare la fotografia? Come possono camminare insieme? A chi di dobbiamo rivolgerci e affidare i nostri progetti per scrivere le nostre sinossi, postfazioni o didascalie? Che titolo dobbiamo dare al nostro portfolio, al nostro libro, che ragionamenti fare per sceglierlo?
Chi parla e scrive di te, ti rappresenta, quindi è fondamentale saperlo scegliere e costruire un rapporto, durante il progetto, che si basi su fiducia e professionalità.
Tutte domande sulle quali S. ci fa ragionare, con consigli anche pratici. Da avere in libreria!
Cosa c’entra Gianni Rodari con le immagini? E perché scrittori come George Perec, Dante Alighieri o Salvatore Quasimodo occupano intere pagine di un saggio sul linguaggio e la struttura della fotografia? Perché in questo libro la fotografia va a lezione dalla scrittura. L’obiettivo è capire come la fotografia possa essere potenziata nella sua capacità comunicativa ed espressiva grazie all’aiuto delle parole. Dopo il suo saggio “Fotografia Consapevole” del 2016, l’autrice condivide qui l’esito delle sue ultime ricerche e di otto anni di esperienze didattiche sulla relazione tra fotografia e scrittura. Nel libro vengono affrontati aspetti del “sistema fotografia” spesso ignorati, che chi scatta dovrebbe conoscere al pari della tecnica, della composizione e della Storia della fotografia. Un saggio che analizza la relazione tra l’espressione visiva e quella testuale e che suggerisce come fare, in pratica, a usare la scrittura per migliorare la propria produzione fotografica oppure per farla coesistere con le immagini in modo equilibrato. Un testo sconsigliato a chi afferma che “…se devo spiegare le mie fotografie con le parole vuol dire che non funzionano!” o a chi pensa che il linguaggio della scrittura abbia poco da insegnare ai fotografi. Il libro rivela infatti come la fotografia e la scrittura possano essere armonizzabili l’una con l’altra e diventare complici, potenziando una comunicazione, pur mantenendo le proprie specificità. È poi presente una sezione dedicata al fotografo costretto ad usare le parole: istruzioni e suggerimenti per chi ha bisogno di orientarsi meglio tra titoli, didascalie, testi introduttivi, paralleli, curatoriali ed altre tipologie di paratesti.
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Le Interviste Immaginarie raccolgono conversazioni di fantasia con dodici artiste del passato che Laura Malaterra ha immaginato di intervistare sulla base di fatti realmente avvenuti. Domande rivolte con leggerezza per scoprire vita, passioni, progetti, segreti e umanità di queste donne, ricostruiti sulla base del nostro sogno e sulla realtà della storia, per capire veramente come e perché siano state così importanti per la nostra cultura. Geniali, coraggiose e, soprattutto, sempre un po’ controcorrente che guardavano al futuro con uno sguardo curioso e innovativo. Un viaggio nel tempo tra libri e web per rintracciare frammenti di storie vissute, ideando parole, dialoghi ed anche emozioni, perché tutte sono diventate una sorta di amiche confidenti. Durante le interviste sembra proprio di sentirne le voci raccontare episodi, curiosità ed eventi delle loro vite. Sono state fantasiosamente intervistate le fotografe Ruth Bernhard, Inge Morath, Margaret Bourke-White, Bettye Lane, Dora Maar e Lucia Moholy, la graphic designer Jacqueline Casey, la designer Annelise Fleischmann Albers, l’architetto e designer Eileen Gray, la geniale collezionista d’arte Peggy Guggenheim, gli architetti e designer Charles e Ray Eames, la pittrice Suzanne Valadon.
Poco prima di essere ucciso a colpi di arma da fuoco da un soldato del governo boliviano, il rivoluzionario Ernesto “Che” Guevara disse al suo carnefice: “Spara, codardo! Ucciderai solo un uomo! ” Guevara morì poco dopo, il 9 ottobre 1967 all’età di 39 anni, ma aveva ragione nella sua affermazione la sua morte ha creato un mito immortale.
Oggi il Che, viene ricordato e riprodotto praticamente in un’unica immagine dal titolo Guerrillero Heroico che è diventata una tra le fotografie più famose del mondo( io l’ho vista, oltre che in Europa e a Cuba, in Vietnam, Cina e India, per dire).
La foto fu scattata il 5 marzo 1960, sette anni prima della morte di Guevara, in occasione di un funerale di alcuni lavoratori uccisi in un’esplosione in un porto cubano. Guevara, stava guardando Castro durante l’ orazione funebre. La fotografia fu ripresa da Alberto Díaz Gutiérrez, noto anche come Alberto Korda.
Korda scattò due foto di Guevara prima che lo stesso si ritirasse tra la folla.
L’immagine è ritagliata, il campo era più ampio e comprendeva altre persone.
All’epoca il giornale La Revolución si rifiutò di usarla.
Korda chiamò il ritratto Guerrillero Heroico – “Heroic Guerrilla Warrior” – e lo appese al muro, distribuendo occasionalmente copie agli ospiti. Fu solo nel 1967 che il pubblico vide per la prima volta l’immagine, che apparve sulla rivista Paris Match, insieme a un articolo sui movimenti di guerriglia latinoamericani.
Guevara fu ucciso nell’ottobre di quell’anno, catturato mentre combatteva con i rivoluzionari boliviani. Durante il suo servizio commemorativo a L’Avana, un’enorme stampa di Guerrillero Heroico venne appesa sulla facciata del Ministero degli Interni.
Il Che oggi, viene considerato da molti martire della rivoluzione globale e icona di ribellione.
Dal 1968 l’immagine di Guevara divenne virale, Il 1968 è stato un anno di sconvolgimenti in tutto il mondo e l’immagine di Guevara ha avuto un ruolo di primo piano durante le rivolte studentesche.
L’immagine di Guevara è diventata popolare e oggi è stampata su magliette e poster ovunque.
Buona giornata
Sara
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La Sacra Sindone è la reliquia più sacra della religione Cattolica, migliaia di pellegrini l’hanno visitata e ancora la visitano.
Il Duca Emanuele Filiberto nel 1578 (anno in cui Torino diventa capitale), la portò nella città.
La prima fotografia della Sindone è stata ripresa il 25 maggio 1898, da un avvocato piemontese, Secondo Pia.
Appunti del fotografo
Pia nasce ad Asti il 9 settembre del 1855 e anche se avvocato, si avvicina alla fotografia proprio agli albori della stessa, nel 1870.
Membro del Club fotografi dilettanti di Torino, scatta immagini che fanno oggi parte della collezione storica del Museo del Cinema di Torino. Il 1898 fu un anno particolare per la Città di Torino, ricco di celebrazioni. Durante quest’anno fu anche organizzata la grande Esposizione Nazionale, con la mostra di Arte Sacra nel Parco del Valentino. Re Umberto I di Savoia volle mostrare quindi la sindone e autorizzò che venisse fatta una fotografia del telo. Il 25 maggio di quell’anno assegnarono a Secondo Pia la riproduzione fotografica.
Riproduzione della sacra sindone
Il fotografo si rese subito conto che l’immagine impressa sul telo, sarebbe stata poco visibile, data l’illuminazione scarsa ed il riflesso della luce sul vetro della teca, impossibile da gestire; Pia scattò comunque due fotografie, che sviluppò subito dopo.
Dai negativi si rese conto che si intravedeva chiaramente un volto, decise quindi di tornare, la sera del 28 maggio, per una seconda sessione fotografica.
Il volto era ancora presente.
La strabiliante scoperta di Pia aprì una serie di ricerche e studi sul volto dell’uomo comparso sul telo, presumibilmente Gesù, in tutto il mondo.
Innumerevoli indagini sono state fatte da quel momento, portando a discussioni che ci accompagnano ancora oggi.
Ciao
Sara
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