Premio LILT per la Fotografia Contemporanea

LILT Associazione metropolitana di Bologna (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori) lancia la prima edizione del Premio LILT per la Fotografia Contemporanea per favorire, attraverso il dialogo tra Arte e Scienza, i temi della prevenzione e del vivere sano.

Il Premio è gratuito e aperto a tutti i fotografi residenti in Italia, professionisti ed emergenti, che alla data della propria iscrizione abbiano compiuto il diciottesimo anno di età. Il regolamento completo e la scheda di partecipazione sono scaricabili dal sito ufficiale di LILT, che dedica al concorso un’apposita sezione: www.legatumoribologna.it/premio-lilt-per-fotografia-contemporanea.

Il tema scelto per la prima edizione del Premio è Metamorfosi, un concetto ampio e trasversale, che affonda le proprie radici in epoca antica, nella mitologia, nella religione, nella filosofia e nel sapere. Molto spesso il concetto di metamorfosi si è ampliato sino a coincidere con un innato ed ancestrale senso di mistero ed indeterminatezza che accompagna l’umano vivere ed è per questo che LILT, nella sua quotidiana lotta contro i tumori, ha scelto di affidare alla fotografia e al suo linguaggio una nuova narrazione sul tema della metamorfosi, intesa come atto di trasformazione in positivo, visione in grado di rispondere ai cambiamenti che la vita pone in essere e reazione ad essi.

«L’intento – spiega il presidente di LILT Bologna Francesco Rivelli – è quello di costruire un corpus di opere fotografiche capaci di edificare frammenti di memoria futuribile, il cui vocabolario è ormai universale. Sarà interessante scoprire nuovi parallelismi tra Scienza, Arte e Psiche. Noi medici affidiamo agli strumenti fotografici un ruolo importantissimo nella ricerca e nella clinica chirurgica, questa volta affidiamo ai fotografi un nuovo modo di fare ricerca…».

Ad ogni partecipante è richiesto l’invio di un portfolio di minimo 8 e massimo 10 immagini, unitamente ad un breve curriculum vitae. I progetti saranno valutati da una Giuria composta da Shobha (presidente della giuria – fotografa, vincitrice di due World Press Photo), Benedetta Donato (curatrice e critica di fotografia, specializzata in mostre e progetti editoriali), Massimo Mattioli (giornalista, vicedirettore di ArtsLife, saggista, critico e curatore), Loretta Secchi (UniBo, curatore responsabile del Museo Anteros, Istituto Ciechi F. Cavazza, Bologna) ed Enrico Stefanelli (direttore artistico di Photolux Festival, Lucca). La commissione giudicatrice sarà supportata da Anna Rosati (visual artist, fotografa e graphic designer) e da Azzurra Immediato (storica dell’arte e curatrice, art editor per diverse testate), alle quali è affidata la direzione artistica del Premio, unitamente a Francesco Rivelli, medico oncologo e presidente LILT Bologna.

Con questo progetto, LILT Bologna chiede ai fotografi italiani di farsi portavoce di un messaggio importante, ovvero che prevenire è vivere, in un momento storico in cui la fotografia è divenuta una sorta di esperanto, compresa da tutti e diffusa in maniera trasversale tra le generazioni.

Per partecipare www.legatumoribologna.it/premio-lilt-per-fotografia-contemporanea

U.PHO.S. Unidentified Photographic Subjects

Unidentified Photographic Subjects

Per oltre vent’anni Mauro Fiorese ha documentato luoghi e situazioni al limite tra reale e immaginario. Ciò che lo ha spinto in quest’indagine è stata la necessità di andare oltre le informazioni visive in cui ci imbattiamo ogni giorno per scoprire, tramite la fotografia, nuove realtà.

Dopo un lungo periodo di ricerca iconografica, condotto sia su archivi amatoriali on-line che in archivi di Stato recentemente resi pubblici, l’autore ha intrapreso innumerevoli viaggi in remote località del nostro Pianeta con l’intento di produrre il primo archivio ufficiale di Soggetti Fotografici non Identificati (U.Pho.S.).

Le fotografie di Fiorese ci parlano contemporaneamente di presenza e di assenza: il soggetto fotografato è reale, in quanto esistente dinnanzi al fotografo nel momento dello scatto, ma rimane sempre e misteriosamente difficile da identificare. Si tratta infatti spesso di oggetti lontani dal nostro quotidiano oppure di oggetti comuni che, decontestualizzati, subiscono una trasfigurazione suggerendoci sensazioni inquietanti.

L’opera finale assume il significato di “prova fotografica”, in un’accezione quasi scientifica del termine, chiamata a testimoniare un momento solo cronologicamente e geograficamente definito.

Mauro Fiorese è stato autore e docente di fotografia per oltre vent’anni, ha tenuto corsi presso l’Accademia di Belle Arti e l’Università degli Studi di Verona, allʼIstituto Europeo di Design di Milano e alla University of Illinois at Urbana-Champaign.
I suoi lavori sono stati premiati ed esposti dal 1996 negli Stati Uniti, in Giappone, Canada, ed Europa, in gallerie private, istituzioni pubbliche, festival e rassegne internazionali inclusa la 54esima Biennale di Venezia. Le sue opere fanno parte di collezioni private e pubbliche internazionali (Museum of Fine Arts di Houston, Texas, Bibliothèque nationale de France di Parigi, Museo di Fotografia Contemporanea di Milano).
Negli Stati Uniti è stato inserito nella TOP 100 World Photographers list dellʼedizione 1997 dellʼErnst Haas/Golden Light Award e, nel 2012, ha esposto presso la George Eastman House di Rochester (New York), il primo e più importante museo americano dedicato alla Fotografia e al Cinema.
Ha organizzato diversi incontri sulla fotografia dʼautore e ha curato mostre di alcuni tra i più grandi maestri della fotografia contemporanea presso il Centro Internazionale di Fotografia “Scavi Scaligeri” del Comune di Verona.
Il suo progetto U.Pho.S. Unidentified Photographic Subject, è stato incluso nel libro “Dalla Fotografia d’Arte all’Arte della Fotografia” edito da ALINARI 24Ore ed esposto nel 2014 in occasione della 3.a Quadriennale di Düsseldorf.
Nel 2015 e 2016 tre nuovi traguardi: uno scatto del progetto Treasure Rooms si aggiudica il primo premio di Codice Mia, assegnato da una giuria internazionale; mentre nell’ambito di ArtVerona la Fondazione Domus acquisce Depositi della Galleria degli Uffizi – Firenze, 2014 e la Galleria d’Arte Moderna Achille Forti, con l’istituzione del Premio “Ottella For GAM”, un lavoro dal titolo Treasure Rooms degli Scavi di Pompei – Napoli 2015.
A gennaio 2016 è stato invitato come Cultural Leader al World Economic Forum di Davos.
Si spegne per una malattia nella sua Verona a soli 46 anni nel dicembre 2016.
Sulla sua vita è in lavorazione un docu-film.

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Le immagini hanno solo scopo culturale e didattico, rimangono di proprietà dell’autore.

Dima Gavrysh, zona di conflitto

Inshallah © Dima Gavrysh

Dima Gavrysh, nato a Kiev, Ucraina nel 1978, è un visual artist che ha scelto come mezzo per esprimersi la fotografia. Questa grande passione che ormai coltiva da più di due decenni lo ha portato da Detroit a Kabul e dalla Crimea alla Patagonia. Attualmente risiede a Portland, Oregon.

Dopo essersi laureato a Kiev nel 2000 come Director of Photography in Motion Picture Imaging, Master che, come lui afferma, gli ha insegnato a vedere fotograficamente, nel 2012 ha conseguito un secondo Master of Fine Arts presso la Rhode Island School of Design che lo ha aiutato a liberarsi del confinamento bidimensionale del frame e gli ha permesso di sviluppare il suo pensiero come autore e documentarista.[1]

A partire dal 1998 ha iniziato a collaborare con diverse testate ed agenzie in tutto il mondo. Inoltre ha lavorato a molti progetti in collaborazione con Medici Senza Frontiere ed il Fondo delle Nazioni Unite in Uganda, Senegal e Niger. Dal 2009 ha iniziato a lavorare ad un progetto che si proponeva di documentare la Guerra americana in Afghanistan per mezzo di video-installazioni, fotografie e dati concreti. Questo lavoro, Inshallah, prese la forma di un libro fotografico e venne pubblicato nel 2015 da Kehrer Verlag.[2]

In Inshallah, che in arabo significa “Se dio vuole”, Dima Gavrysh documenta l’occupazione dell’Afghanistan da parte dell’esercito Sovietico ed Americano. L’autore, cresciuto nell’ex Unione Sovietica, è sempre stato esposto ad una presentazione idealizzata ed eroica della guerra, ideologia che trovava conferma nei numerosi ricordi della Seconda Guerra Mondiale che poteva osservare in film eroici, monumenti e celebrazioni annuali della vittoria. Una volta trasferitosi nel 2004 negli Stati Uniti ebbe modo di ritrovare in questa nuova terra un paese che aveva un complesso rapporto culturale con la guerra, così come lo aveva il suo paese nativo. Questo lavoro, Inshallah, si forma per mezzo di una visione molto personale dell’autore per quanto riguarda la guerra: qui intreccia tra di loro scene del fronte con ricordi dell’infanzia, fantasmi, sogni ed esperienze interculturali.[3]

Nel 2009, Dima Gavrysh, fu mandato per conto della Associated Press in Afghanistan al fianco dell’esercito degli Stati Uniti. Il lavoro è stato realizzato con immagini scattate con il suo iPhone, prediligendo il bianco e nero. La decisione di non usare la sua macchina fotografica lo ha aiutato nel prendere le distanze dalla sua routine di fotografia documentarista e a trovare il giusto modo per unire il reportage diretto della guerra cruda e la sua interpretazione personale. Molte immagini fanno capire come il fotografo abbia preferito immortalare frammenti di vita che normalmente non assoceremmo a una zona di conflitto. Grazie al sapiente uso di schemi, di ombre e di fughe di luce Dima Gavrysh costruisce un racconto sensibile ed introspettivo.

“I create a dark fairytale filled with my fears and dreams, based on my fascination with the army’s strength and order, set on the front lines of what has become America’s longest running war in history. Mesmerized by the complexity of the Afghan chaos, I strive to better comprehend my personal relationship to these wars: two empires, two mentalities, same battlefield, twelve years apart.”[4]

www.vimeo.com/121453786

TUTTE LE FOTO PRESE DA https://www.dimagavrysh.com/Inshallah

SITOGRAFIA

https://www.dimagavrysh.com


[1] https://www.dimagavrysh.com/Bio

[2] https://www.dimagavrysh.com/Bio

[3] https://collectordaily.com/dima-gavrysh-inshallah/

[4] Creo una favola oscura piena delle mie paure e dei miei sogni, basata sul mio fascino per la forza e l’ordine dell’esercito, in prima linea in quella che è diventata la guerra più lunga d’America nella storia. Ipnotizzato dalla complessità del caos afghano, mi sforzo di comprendere meglio il mio rapporto personale con queste guerre: due imperi, due mentalità, stesso campo di battaglia, a dodici anni di distanza.

https://www.dimagavrysh.com/Inshallah

Articolo di Ylenia Bonacina

Mostre segnalate per Marzo

Ciao a tutti,

sono diverse le mostre interessanti a marzo. In mezzo a tanti giganti della fotografia, mi permetto di segnalarne anche una mia.

Anna

MAN RAY. OPERE 1912-1975

Man Ray, Le Violon d'Ingres, 1924
© Wikimedia Commons | Man Ray, Le Violon d’Ingres, 1924

La mostra Man Ray. Opere 1912-1975 rende omaggio al lavoro del grande maestro Emmanuel Radnitzky, in arte Man Ray, nato a Filadelfia nel 1890 e morto a Parigi nel 1976, passato alla storia come uno dei più grandi fotografi del secolo scorso, ma anche straordinario pittore, scultore e regista d’avanguardia.
 
Il progetto è firmato Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura di Genova e Suazes, impresa culturale e creativa con la quale Fondazione è alla sua quinta collaborazione.
 
La mostra – curata da Walter Guadagnini e Giangavino Pazzola – raccoglie circa 340 pezzi, fra fotografie, disegni, dipinti, sculture e  film:  il percorso espositivo è, per la qualità delle opere e per la loro provenienza da importanti collezioni nazionali e internazionali, un appuntamento imperdibile  per tutti coloro che desiderano immergersi nel fecondo periodo delle avanguardie di inizio Novecento e nella creatività di uno dei protagonisti assoluti di quella stagione, attivo poi anche nella seconda metà del secolo.
 
La volontà dell’artista di rompere gli schemi e creare nuove estetiche, unita all’ironia e alla sensualità che permeano ogni sua opera, sono gli elementi che ne hanno ispirato e caratterizzato la poetica. Lo stesso Man Ray racconta nella sua autobiografia del carico di «entusiasmo a ogni nuova direzione imboccata dalla mia fantasia, e con l’aiuto dello spirito di contraddizione progettavo nuove escursioni nell’ignoto».
 
La mostra di Palazzo Ducale si articola in sezioni che ne ripercorrono cronologicamente la biografia, dai suoi esordi nella New York di inizi Novecento, passando per la Parigi delle avanguardie storiche tra anni Venti e Trenta, fino a giungere agli ultimi anni della sua carriera e della vita, trascorsi tra gli Stati Uniti e Parigi.
Un viaggio che comincia – nella prima sezione – con una serie di autoritratti dell’artista, nei quali già si ritrova quell’idea di corpo che sarà centrale in tutta la sua produzione; autoritratti fotografici, tra cui quello celeberrimo con la barba tagliata a metà, ma anche calchi dorati, maschere, in una continua rappresentazione di sé e della propria ambigua e sempre mutante identità.  Ad essi si affiancano alcuni ritratti di Man Ray realizzati da grandi protagonisti dell’arte della seconda metà del Novecento come Andy Warhol (una splendida tela e una preziosa serigrafia), David Hockney e Giulio Paolini, a dimostrazione del rispetto e della considerazione di cui Man Ray ha sempre goduto nell’ambiente artistico.
La seconda sezione della mostra – “New York” – racconta il rapporto con la metropoli americana, dove l’artista tiene la sua prima personale alla Daniel Gallery nel 1915. In questo periodo realizza alcuni dei suoi primi capolavori, come i collages della serie Revolving Doors esposti in mostra, e le due versioni della scultura By Itself. È la stagione del Dada americano, che Man Ray vive da protagonista assieme a colui che sarà prima il suo mentore e poi l’amico e complice artistico di una vita, Marcel Duchamp, autentico faro dell’avanguardia mondiale nella prima metà del Novecento. 
 
È proprio questo rapporto creativo con Marcel Duchamp a costituire la terza sezione della mostra genovese. Qui si trovano due autentiche icone dell’arte del XX secolo come La tonsure e Elevage de poussiére (entrambe realizzate nel 1921), fotografie che rimettono in discussione l’idea stessa di ritratto e di realtà, là dove la superficie impolverata di un vetro diventa un paesaggio alieno, futuribile. 
 
La sezione che segue è dedicata a Parigi e alla “scoperta della luce”. Man Ray giunge nella capitale francese nel 1921, accolto dallo stesso Duchamp e dall’intera comunità dadaista: il racconto degli Anni Venti e Trenta e dell’evasione dell’artista dalle abitudini e dalle convenzioni sociali americane viene sviluppato interamente attraverso la fotografia, tecnica alla quale Man Ray deve la parte più consistente della sua fama. A Parigi tiene una personale alla Librairie Six di Parigi e l’anno dopo pubblica i primi Rayographs, le immagini fotografiche ottenute senza la macchina fotografica che saranno accolte con entusiasmo dalla comunità artistica parigina. Una comunità che vive, tra Dadaismo e Surrealismo, la sua stagione d’oro negli anni Venti e Trenta, e di cui Man Ray è insieme protagonista e testimone.
 
Proprio in questa sezione sono esposte le immagini dei personaggi che animavano il contesto culturale dell’epoca, che diventano protagoniste di alcuni dei capolavori assoluti dell’artista. Ad esempio, la leggendaria modella Kiki De Montparnasse (soggetto di una delle icone più celebri del XX secolo, Le Violon d’Ingres, esposto in mostra), oppure Lee Miller (assistente, compagna, musa ispiratrice e a sua volta grande fotografa, protagonista e complice di alcuni degli scatti più celebri di Man Ray), Meret Oppenheim e Nush Eluard, o artisti e intellettuali come Erik Satie, Antonin Artaud e Georges Braque. Nella  “Ville Lumière”,  Man Ray decide infatti di dedicarsi alla fotografia anche come professione, trovando uno studio, relazioni e strumenti propri per sostentarsi economicamente e instaurare legami di committenza con il mondo della moda, dell’arte e della cultura. È così che l’artista diventa il narratore per immagini di una delle stagioni più ricche di fascino della cultura del XX secolo, il ritrattista di un mondo irripetibile. 
La mostra prosegue con le sezioni “Corpo surrealista” e “Corpo, ritratto e nudo”. Temi fondamentali e ricorrenti nella ricerca visiva di Man Ray sono quelli del corpo e della sensualità, che nel periodo surrealista  diventano il centro della sua ispirazione, come dimostrano alcune delle immagini più note dell’artista  esposte in questa occasione: le fotografie come Larmes, La Prière, Blanche et Noire, dipinti e grafiche come A l’heure de l’observatoire – Les Amoureux,  con le labbra di Lee Miller ingigantite che volano sopra il paesaggio, un’altra delle grandi icone inventate da Man Ray nella sua carrieraper giungere a una scultura come Venus restaurée, ironica e geniale riflessione sulla classicità. Unpunto cardine nella storia del movimento è l’Exposition Internationale du Surréalisme del 1938, illustrata all’interno del percorso espositivo dalla serie fotografica Resurrection des mannequins(1938), e da numerosi prodotti editoriali creati a più mani per raccontare le varie modalità di rappresentare questa rivoluzione culturale e le intersezioni dell’avanguardia con il mondo reale. Nella serie Mode au Congo (1937), ad esempio, i copricapi centrafricani acquistati da Man Ray all’Esposizione coloniale di Parigi del 1931 sono sfoggiati come haute coutureda modelle femminili, tra cui la compagna dell’epoca Ady Fidelin.  In questa sezione sono mostrate anche altre opere fotografiche come i ritratti di Meret Oppenheim al torchio da Louis Marcoussis e Models (1937), nucleo di lavori che presenta una raccolta quotidiana di fotografie di modelle e artiste che Man Ray aveva frequentato durante il primo periodo parigino, espressione di come l’erotismo e l’amore libero rappresentino non solo uno dei ricordi più intimi dell’autore ma anche uno dei motori propulsori della sua creatività.
Il 1940 segna l’anno del ritorno di Man Ray in America – prima a New York e successivamente a Los Angeles  –, un ritorno causato dall’impossibilità di vivere nella Parigi occupata dai nazisti. Nella sezione “Los Angeles/Paris” vengono indagati gli anni in cui l’artista preferisce rimanere ai margini della scena e lavorare in ritiro solitario, dedicandosi in particolare alla sua prima grande passione, la pittura. Allo stesso tempo, sono tempi segnati dalla relazione con la ballerina e modella Juliet Browner, musa della sua vita e protagonista della meravigliosa serie fotografica 50 Faces of Juliet, realizzata tra il 1941 e il 1955. Si tratta di cinquanta ritratti della donna realizzati con diverse tecniche e stili, spaziando tra i vari registri per esplorare le possibilità creative offerte dalla fotografia. Continua comunque in questi anni anche la realizzazione di nuovi ready made, così come possibile vedere ad esempio in Mr Knife and Miss Fork (1944-1973).
 
La sezione finale della mostra vede Man Ray attivo nuovamente a Parigi e in Europa, dove si consolida la sua fama di maestro dell’arte delle avanguardie. È una sorta di revisione, rilettura e aggiornamento del proprio percorso, rappresentata in mostra dagli splendidi dipinti Decanter (1942) e Corps à Corps (1952), da ready made come Pêchage (1972) e Pomme à vis (1973). La mostra si chiude dunque come era cominciata, con un maestro della luce che continua a reinventare il mondo attraverso l’arte, con infinita ironia e intelligenza. 
 
La mostra evidenzia l’originalità, le innovazioni e i contributi dell’artista nell’evoluzione e nell’ideazione anche del cinema d’avanguardia, con pellicole storiche proiettate in un ambiente autonomo quali – tra le altre – Le Retour à la raison (1923), Emak Bakia (1926), L’Étoile de mer (1928) e Les Mystères du château du dé (1929). 

Dal 11 Marzo 2023 al 09 Luglio 2023 – Palazzo Ducale – GENOVA

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ELLIOTT ERWITT. FAMILY

Elliott Erwitt, <em>USA, New York</em>, 1974 | © Elliott Erwitt
Elliott Erwitt, USA, New York, 1974 | © Elliott Erwitt

Elliott Erwitt, il grande autore che ha fatto la storia fotografica del nostro secolo, con il suo stile unico, potente e leggero, romantico o leggermente ironico, affronta in modo trasversale il tema della Famiglia.

La curatrice della mostra, la Dottoressa Biba Giacchetti, ha chiesto a uno dei più importanti maestri della fotografia di creare un album personale e pubblico, storico e contemporaneo, serissimo e al contempo ironico: è nata così “Elliott Erwitt – FAMILY”.

Alla Palazzina di Caccia di Stupinigi le fotografie che nella lunghissima carriera di Erwitt – oggi 94enne – meglio hanno descritto e rappresentato tutte le sfaccettature del concetto così inesprimibile e totalizzante dell’essere famiglia. Niente è infatti più assoluto e relativo, mutevole, universale e altrettanto particolare come il tema della famiglia, che ha a che fare con la genetica, il sociale, il diritto, la sicurezza, la protezione e l’abuso, la felicità e la tristezza. Mai come oggi la famiglia è tutto e il suo contrario.

Gli scatti esposti in mostra nelle antiche cucine della Palazzina di Caccia di Stuinigi sono stati selezionati da Erwitt in persona e raccontano trasversalmente settant’anni di storia della famiglia e delle sue infinite sfaccettature intime e sociali.

Si offrono indifferentemente all’osservatore istanti di vita dei potenti della terra, come Jackie al funerale di JFK, accanto a scene intime come la madre che osserva rapita la neonata, che poi è Ellen, la primogenita del fotografo.

Scorci rigorosamente in bianco e nero da tutto il mondo.
Dalla Provenza, in Francia, un adulto che porta con sé un bambino, in bicicletta, su un viale alberato che pare non avere fine, un’immagine celebre e tanto amata.
Dall’Irlanda due anziani, di spalle, si godono la brezza del mare, curvati e appesantiti dall’età, ma insieme.
Dalla Cina un bimbo aiuta la sua mamma a spingere un carrellino pieno di povere cose.
Dagli Stati Uniti la protagonista del manifesto della mostra: un’elegante signora, vestita con soprabito e stivali alti, raffigurata mentre porta a passeggio un buffo e minuscolo cagnolino da una parte e un altrettanto imponente cane dall’altra; la celebre immagine iconica di Erwitt: Felix Gladys and Rover.

La cifra di Erwitt si esprime in questa mostra con un ritmo esilarante eppure profondo su un tema che certamente ha avuto un’importanza determinante nella sua vita personale, visti i quattro matrimoni, i sei figli e un numero di nipoti e pronipoti tutt’ora in divenire.

Come sempre Elliott Erwitt – spiega Biba Giacchetti “è voluto uscire dai canoni classici e sviluppare il concetto di famiglia in modo libero e provocatorio. Immagini romantiche si alternano a immagini di denuncia (come quella del Ku Klux Klan), fino alla ben nota ironia che vuole assolvere chi elegge a membro prediletto della propria famiglia l’animale più amato, che sia un cane, un maiale o un cavallo, e celebrare così con serietà e sorriso, il sentimento universale che ci lega a chi amiamo”.

Dal 04 Marzo 2023 al 11 Giugno 2023 – Palazzina di Caccia di Stupinigi – Nichelino (TO)

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LACHAPELLE PER CERUTI – Nomad in a Beautiful Land

LaChapelle per Ceruti | Courtesy Brescia Musei<br />
LaChapelle per Ceruti | Courtesy Brescia Musei

David LaChapelle per Giacomo Ceruti. Nomad in a Beautiful Land è una mostra fotografica originale, che presenta un’opera inedita eseguita dal celebre artista americano per Brescia e ispirata alla produzione pauperistica di Giacomo Ceruti. La Pinacoteca Tosio Martinengo, il museo che conserva il più alto numero di opere di Ceruti nel mondo, ospiterà questo scatto per narrare, attraverso un linguaggio nuovo e contemporaneo, le sale solitamente dedicate al pittore degli ultimi. Insieme alla serie Jesus is my homeboy (2003), la nuova fotografia di LaChapelle si insinuerà tra le fitte pieghe del presente, per fornirne un’interpretazione attenta e consapevole della marginalità: un’ode alla decadenza sociale.

Giocando con una smaccata ambivalenza di linguaggi, la mostra si pone l’obiettivo di strutturare un’architettura espositiva e itinerante, nella quale l’universo classico di Giacomo Ceruti incontra l’immaginario di David LaChapelle, in una sinergia museale tra Fondazione Brescia Musei e il Getty Center che vedrà le opere pauperistiche di Ceruti approdare a Los Angeles. Questa coinvolgente sfida, al contempo, farà arrivare presso la Pinacoteca Tosio Martinengo la serie Jesus is my homeboy (2003), accompagnata dalla nuovissima opera Gated Community di LaChapelle. Arte classica e fotografia si aprono al dialogo, mettendo in campo le loro differenze formali allo scopo di scuotere una contemporaneità afflitta dall’aridità relazionale. Gated Community, scattata a Los Angels nel mese di dicembre 2022, rappresenta una messa in scena ideologica del sacro e del profano, in cui una lunghissima tendopoli, rifugio dei senzatetto, affolla i marciapiedi della città, colorandosi di opulenza hollywoodiana.

Dal 14 Febbraio 2023 al 10 Novembre 2023 – Museo di Santa Giulia – BRESCIA

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EVE ARNOLD. L’OPERA 1950-1980

Eve Arnold, Actress Marilyn Monroe in the Nevada desert during the filming of "The Misfits", directed by John Huston, 1960 USA © Eve Arnold/Magnum Photo
Eve Arnold, Actress Marilyn Monroe in the Nevada desert during the filming of “The Misfits”, directed by John Huston, 1960 USA © Eve Arnold/Magnum Photo

La celebre fotografa americana Eve Arnold, che ha stretto con Marilyn Monroe un vero e proprio sodalizio artistico grazie al quale sono nati alcuni dei suoi scatti più iconici, è la protagonista della prima mostra del 2023 a CAMERA, che si aprirà a fine febbraio.

Prima donna, insieme a Inge Morath, a far parte dal 1951 dell’Agenzia Magnum, Eve Arnold ha fotografato le grandi star del cinema e dello spettacolo del dopoguerra, da Marlene Dietrich a Joan Crawford a Orson Welles, ma ha anche affrontato temi e questioni assolutamente centrali nel dibattito pubblico attuale, come la questione del razzismo negli Stati Uniti, l’emancipazione femminile, l’interazione fra le differenti culture del mondo. Tra le sue immagini più note si ricorda non a caso uno straordinario ritratto di Malcom X, che sarà esposto in mostra insieme ad altri scatti realizzati ad Harlem negli anni Cinquanta e ai raduni dei Black Muslims negli anni Sessanta. L’esposizione, composta da 170 fotografie, è realizzata in collaborazione con Magnum Photos.

Ripercorrendo le tappe salienti della sua carriera, a partire dai primi scatti in bianco e nero della New York degli anni Cinquanta fino agli ultimi lavori a colori realizzati all’età di 85 anni, la mostra vuole raccontarne l’«appassionato approccio personale», come lei stessa più volte definisce il proprio atteggiamento.

Dal 25 Febbraio 2023 al 04 Giugno 2023 – CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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RITRATTI AFRICANI. SEYDOU KEÏTA, MALICK SIDIBÉ, SAMUEL FOSSO

Seydou Keïta, Senza titolo, 1949-1951. Stampa alla gelatina ai sali d’argento. Courtesy Jean Pigozzi African Art Collection
Seydou Keïta, Senza titolo, 1949-1951. Stampa alla gelatina ai sali d’argento. Courtesy Jean Pigozzi African Art Collection

Ormai celebrati in tutto il mondo fra i protagonisti della fotografia dell’ultimo mezzo secolo, i tre artisti si sono stati scoperti in occidente solo in anni recenti e le loro storie personali hanno contribuito a rendere ancora più affascinanti le loro opere.

L’esposizione, prodotta e organizzata da ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia, presenta per la prima volta in Italia un’importante selezione di più di cento opere dei tre fotografi, messe a disposizione dalla C.A.A.C. The Contemporary African Art Collection di Ginevra, dalla Galleria Jean Marc Patras di Parigi, dalla Fondazione Modena Arti Visive e da numerosi prestatori privati. 

Seydou Keïta e Malik Sidibé nascono da famiglie modeste e iniziano la propria carriera in piccoli studi fotografici nella capitale del Mali, Bamako. Davanti al loro obiettivo sfilano i propri concittadini, in anni cruciali per la storia del Paese e dell’Africa. Essi immortalano con abilità straordinaria non solo una eccezionale galleria di volti e di figure, ma soprattutto catturano le aspirazioni, le mode, l’evoluzione di una società che a partire dagli anni Cinquanta muta rapidamente sia in conseguenza della riconquistata indipendenza politica del Mali nel 1960, ma anche del desiderio dei giovani africani di stare al passo con i propri coetanei europei.

Di una generazione successiva a quella di Keïta e Sidibé, Samuel Fosso riparte da dove gli altri avevano lasciato. Anche lui inizia la propria carriera in un piccolo studio fotografico senza l’ambizione di essere artista, ma la sua opera, che al bianco e nero alterna il colore, non si compone come quella di Keïta e Sidibé di ritratti di altri. Fosso inizia quasi per gioco a ritrarre sé stesso, e il suo lavoro si sviluppa attraverso autoritratti in cui egli interpreta ironicamente gli stereotipi dell’Africa vista con gli occhi dell’Occidente o in cui reincarna, a partire da Malcolm X, le figure simbolo dell’emancipazione dei neri.

Il percorso si può configurare come una “staffetta”, come lo definisce il curatore Filippo Maggia, che permette di coprire un lungo periodo di storia africana. “Keïta – scrive Maggia – è attivo negli anni che precedono l’indipendenza del Mali (avvenuta nel 1960), Sidibé vive e racconta gli anni immediatamente successivi all’indipendenza, Fosso nasce negli anni in cui diversi Paesi africani raggiungono l’indipendenza. Una staffetta che riscontriamo anche nei contenuti delle loro immagini, come se il filo narrativo tracciato da Keïta alla fine degli anni Quaranta avesse poi trovato un suo percorso evolutivo che corre di pari passo con la progressiva conquista e manifestazione di una consapevole ‘africanità’, segno distintivo che leggiamo nei loro ritratti, che non casualmente divengono autoritratti in Fosso”.

Attraverso il genere del ritratto, che per ragioni storiche, politiche, sociali e religiose è stato quello prediletto da molti fotografi africani, l’esposizione al Magazzino delle idee racconta dunque attraverso immagini di straordinaria bellezza un’Africa di rinascita e di ricerca della propria identità, documentando le aspirazioni sociali dei soggetti fotografati sullo sfondo di una realtà culturale, politica ed economica con caratteristiche e urgenze lontane da quelle occidentali.

Dal 17 Febbraio 2023 al 11 Giugno 2023 – Magazzino delle Idee – Trieste

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INGE MORATH. FOTOGRAFARE DA VENEZIA IN POI

Inge Morath, <em>Venezia</em>, 1955 | © Fotohof archiv / Inge Morath / Magnum Photos
Inge Morath, Venezia, 1955 | © Fotohof archiv / Inge Morath / Magnum Photos

Il Museo di Palazzo Grimani di Venezia celebra la figura della fotografa Inge Morath (Graz 1923 – New York 2002) con una sezione inedita per l’Italia dedicata alla città lagunare dove la sua carriera ebbe avvio.

E’ stato l’amore a condurre nel novembre del 1951 Inge Morath e Lionel Burch, neo sposi, a Venezia. E sono stati il maltempo in Laguna e Robert Capa, a far diventare lei, che con la fotografia non aveva dimestichezza diretta ma che collaborava già con la celebre agenzia fotografica parigina, la prima donna fotografa dell’Agenzia Magnum Photos.

La mostra che dal 18 gennaio al 4 giugno 2023 si ammirerà al Museo di Palazzo Grimani focalizza la Venezia di Inge Morath, attraverso il celebre reportage che la fotografa austriaca realizzò in Laguna, quando l’Agenzia Magnum la inviò in città per conto de L’Oeil, rivista d’arte che aveva scelto di corredare con scorci veneziani un reportage della mitica Mary McCarthy.

Inge Morath Fotografare da Venezia in poi” è curata da Kurt Kaidl e Brigitte Blüml, con Valeria Finocchi; promossa dalla Direzione regionale Musei Veneto (direttore Daniele Ferrara) e la società Suazes che, alcuni anni fa, ha fatto conoscere in maniera dettagliata la carriera di questa fotografa in Italia.

All’epoca del primo soggiorno veneziano, la Morath lavorava in Magnum non come fotografa ma come collaboratrice redazionale. In pratica si occupava, anche grazie alla sua conoscenza delle lingue, della realizzazione delle didascalie che accompagnavano le immagini dei suoi colleghi fotografi, del calibro di Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e Robert Capa.

Non fotografava, ma non le mancavano occhio e sensibilità. In quel novembre, la luce di Venezia sotto la pioggia la stregò, tanto da indurla a chiamare Robert Capa, responsabile della Magnum, per suggerirgli di inviare un fotografo in grado di catturare la magia che tanto la stava stupendo. Capa le rispose che un fotografo di Magnum a Venezia c’era già: era lei con la macchina fotografica. Non restava che comprare un rullino, caricarla e iniziare a fotografare.

“Ero tutta eccitata. Sono andata nel luogo in cui volevo scattare le mie fotografie e mi sono fermata: un angolo di strada dove la gente passava in un modo che mi sembrava interessante. Ho regolato la fotocamera e ho premuto il pulsante di scatto non appena ho visto che tutto era esattamente come volevo. È stata come una rivelazione. Realizzare in un istante qualcosa che mi era rimasto dentro per così tanto tempo, catturandolo nel momento in cui aveva assunto la forma che sentivo giusta. Dopo di che, non c’è stato più modo di fermarmi”.

Nel 1955, quattro anni dopo quelle prime fotografie, arriva l’incarico dalla rivista L’Oeil. Una volta a Venezia, avverte l’urgenza di esplorare la città e così “per ore andai in giro senza meta, solo a guardare, ossessionata dalla pura gioia di vedere e scoprire un luogo. Ovviamente avevo divorato libri su Venezia, sulla pittura e su quello che avrei dovuto fare. Il mio cervello ne era pieno… “.

“Il mio divertimento maggiore era quello di sedermi alla Scuola degli Schiavoni ed immergermi nelle opere di Carpaccio, quasi sempre da sola. O passare il tempo in compagnia del Tiepolo, era la fine del mondo. La sera i miei piedi erano stanchi e anche nel sonno mi trovavo ancora a camminare su innumerevoli ponti, le onde dei canali come pietrificate”.

Poi il Cimitero all’Isola di San Michele, Burano, Murano, Torcello, le processioni, il Redentore, i gatti ed i panni stesi, monumento, acqua e la gente comune…

“Come sarei felice di aver catturato con la mia macchina fotografica qualcosa che mi ha commosso, come la donna davanti al cancello del Palazzo Furstenberg con i gomiti piegati dietro la schiena o le scarpe dimenticate davanti a una fontana, la quotidianità in tutto la sua precaria bellezza”.

“Fotografare era diventata per me una necessità e non volevo assolutamente più farne a meno”.

La mostra nel suo complesso raccoglie circa 200 fotografie che avranno un focus specifico e inedito su Venezia anche con il supporto di documentazione inedita. Molte di queste fotografie veneziane, circa un’ottantina, non sono mai state esposte prima in Italia.

A corredo una selezione dei suoi principali reportage fotografici dedicati alla Spagna, Iran, Francia, Inghilterra-Irlanda, Stati Uniti d’America, Cina e Russia, oltre che la sezione dedicata ai ritratti, sezione molto importante nella sua ultima parte di carriera.
Un progetto che cade in concomitanza dei cento anni della nascita di Inge Morath (Graz 1923).

Come dichiara Daniele Ferrara, direttore regionale Musei Veneto: “Prosegue il rapporto del Museo di Palazzo Grimani, Istituto statale della Direzione regionale musei Veneto – Ministero della Cultura, con espressioni alte della creatività contemporanea Il concetto è quello di un museo laboratorio, che eredita quella funzione di crogiuolo di esperienze artistiche svolta dal Palazzo tra il Cinque e il Settecento. Successivamente ad “Archinto”, mostra site specific del maestro tedesco Georg Baselitz con opere dialoganti con lo spazio del Palazzo e la sua collezione, il museo ha accolto l’esposizione di importanti artisti italiani del fumetto, “Dopo la fine. Architetture narrative e nuove umanità”. Ora il Museo volge lo sguardo alla fotografia ed è scelta che scaturisce anche dall’impegno congiunto della Direzione Musei Veneto e dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione per lo studio, la tutela e la valorizzazione del patrimonio fotografico”.

Concetti che vengono confermati da Valeria Finocchi, direttrice del Museo di Palazzo Grimani: “Il Museo da alcuni anni è oggetto di un’importante processo di valorizzazione grazie alla fattiva collaborazione pubblico-privato con prestigiose realtà come la Fondazione Venetian Heritage e all’incessante lavoro di costruzione di nuovi contenuti e nuove prospettive di lettura del suo prezioso patrimonio artistico e architettonico, che impegnano lo staff interno e i collaboratori dalla ricerca storico-museologica fino alla progettazione di esperienze di alta divulgazione ed educative. Attraverso il riallestimento di numerosi ambienti del piano nobile, tra cui la celebre Tribuna, nel 2019, e la Sala del Doge, nel 2021, il Palazzo è tornato al centro della scena culturale veneziana e oggi si rivolge a pubblici differenziati, in un rinnovato rapporto con la città stessa grazie a progetti dedicati al recupero del patrimonio immateriale del territorio di riferimento”.

Marco Minuz di Suazes come coorganizzatore del progetto espositivo: “Questa collaborazione con la Direzione museale del Veneto e con il Museo di Palazzo Grimani valorizza un lavoro da noi intrapreso qualche anno fa per far scoprire al nostro paese la figura di questa straordinari fotografa”.

Dal 18 Gennaio 2023 al 04 Giugno 2023 – Museo di Palazzo Grimani – Venezia

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RUTH ORKIN. UNA NUOVA SCOPERTA

Ruth Orkin, Two American Tourists, Rome, Italy, 1956. Modern Print, 2021
Ruth Orkin, Two American Tourists, Rome, Italy, 1956. Modern Print, 2021

Dal 17 marzo al 16 luglio 2023, le Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino ospitano la più vasta antologica mai organizzata in Italia di Ruth Orkin (Boston 1921 – New York 1985), fotoreporter, fotografa e regista statunitense, tra le più rilevanti del XX secolo.
 
L’esposizione dal titolo RUTH ORKIN. Una nuova scoperta, curata da Anne Morin, organizzata da diChroma, prodotta dalla Società Ares srl con i Musei Reali e il patrocinio del Comune di Torino, riunisce 156 fotografie, la maggior parte delle quali originali, che ripercorrono la traiettoria di una delle personalità più importanti della fotografia del XX secolo, in particolare tra il 1939 e la fine degli anni Sessanta, attraverso alcune opere capitali come VE-DayJimmy racconta una storiaAmerican Girl in Italy, uno dei suoi scatti più iconici della storia della fotografia,i ritratti di personalità quali Robert Capa, Albert Einstein, Marlon Brando, Orson Welles, Lauren Bacall, Vittorio De Sica, Woody Allen e altri.
 
“Come curatore e storico della fotografia – afferma Anne Morin -, mi è sempre sembrato che il lavoro di Ruth Orkin non abbia ricevuto il riconoscimento che merita. Eppure, se questa fotografa ha un destino affascinante, il suo lavoro lo è altrettanto. Questa mostra si propone di rivisitare il lavoro della donna che voleva essere una regista e che, a causa delle circostanze, essendo un mondo cinematografico maschile, ha dovuto trovare il suo posto altrove. Non ha rinunciato al suo sogno, ma lo ha affrontato in modo diverso, creando un linguaggio singolare, estremamente ricco e nuovo attraverso la fotografia. Il lavoro fotografico di Ruth Orkin riguarda le immagini, il cinema, le storie e, in definitiva, la vita. Questa mostra è l’affermazione definitiva del lavoro di questa giovane donna che ha reinventato un altro tipo di fotografia.”
“Dopo il grande successo di Vivian Maier – dichiara Edoardo Accattino, Amministratore Ares srl -, portiamo a Torino una nuova mostra, dedicata a Ruth Orkin, fotografa elegante e sofisticata. La più ampia antologia mai realizzata su una delle firme più importanti del XX secolo, la cui opera è ancora oggi poco nota. Per questo, abbiamo voluto creare un percorso coinvolgente che accompagnerà i visitatori a scoprire e conoscere un’artista sensibile, la cui straordinaria opera affascinerà il pubblico torinese”.
 
“L’esposizione monografica su Ruth Orkin – sostiene Enrica Pagella, Direttrice dei Musei Reali – continua la serie di mostre dedicate alla fotografia quale cifra identitaria delle Sale Chiablese, spazio che i Musei Reali riservano soprattutto alle arti contemporanee e alla riflessione sui mezzi di comunicazione che hanno contribuito a mutare il volto della storia e della società. Dopo Vivian Maier. Inedita e Focus on Future.  14 fotografi per l’Agenda ONU 2030, questa antologica restituisce una riflessione attenta ai diversi linguaggi che hanno condotto l’artista ad accreditarsi e a distinguersi nel panorama della fotografia mondiale, attestando il primato e la visionarietà di uno sguardo ancora da approfondire, fedele alla narrazione di un’epoca in cui l’affermazione di genere era una conquista lontana, anche in ambito artistico”.
 
La mostra affronta il suo lavoro da una prospettiva completamente nuova, all’incrocio tra l’immagine fissa e l’immagine in movimento. Affascinata dal cinema, Ruth Orkin sognava infatti di diventare una regista, grazie anche all’influenza della madre, Mary Ruby, attrice di film muti, che la portò a frequentare le quinte della Hollywood degli anni Venti e Trenta del Novecento. Nella prima metà del secolo scorso, tuttavia, per una donna la strada per intraprendere questa carriera era disseminata di ostacoli. Ruth Orkin dovette quindi rinunciare al sogno di diventare cineasta o perlomeno dovette reinventarlo e trasformarlo; complice il regalo della sua prima macchina fotografica, una Univex da 39 centesimi, si avvicinò alla fotografia, ma senza mai trascurare il fascino del cinema. 
 
Proprio l’appuntamento mancato con la sua vocazione, la costringerà a inventare un linguaggio alla confluenza tra queste due arti sorelle, tra l’immagine fissa e l’illusione dell’immagine in movimento, un linguaggio che induceva una corrispondenza costante tra due temporalità non parallele. Attraverso un’analisi molto specifica dell’opera di Orkin, la rassegna permette di capire i meccanismi messi in atto per evocare il fantasma del cinema nel suo lavoro. Come avviene nel suo primo Road Movie del 1939, quando attraversò in bicicletta gli Stati Uniti da Los Angeles a New York. In quell’occasione, Ruth Orkin tenne un diario che diventò una sequenza cinematografica, un reportage che raccontava questo viaggio e la cui linearità temporale si svolge in ordine cronologico. Ispirandosi ai taccuini e agli album in cui la madre documentava le riprese dei suoi film, e utilizzando lo stesso tipo di didascalie scritte a mano, l’artista inseriva l’immagine fotografica in una narrazione che riprendeva lo schema della progressione cinematografica, come se le fotografie fossero immagini fisse di un film mai girato e di cui vengono esposte 22 pagine.
 
 
Il percorso propone inoltre lavori come I giocatori di carte o Jimmy racconta una storia, del 1947, in cui Ruth Orkin usa la macchina fotografica per filmare, o meglio, per fissare dei momenti, lasciando allo sguardo dello spettatore il compito di comporre la scena e riprodurre il movimento, ma anche le immagini e il film Little fugitive (1953), candidato al Premio Oscar per la migliore storia cinematografica e vincitore del Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia, che racconta la storia di un bambino di sette anni di nome Joey (Richie Andrusco) che fugge a Coney Island dopo essere stato indotto con l’inganno a credere di aver ucciso suo fratello maggiore Lennie e che François Truffaut riteneva di fondamentale importanza per la nascita della Nouvelle vague.
Nei primi anni Quaranta, Ruth Orkin si trasferisce a New York, dove diventa membro della Photo League, cooperativa di fotografi newyorkesi, e instaura prestigiose collaborazioni con importanti riviste, tanto da diventare una delle firme femminili del momento.
È in questo periodo che realizza alcuni degli scatti più interessanti della sua carriera. Con Dall’alto Orkin cattura perpendicolarmente da una finestra gli avvenimenti che si svolgono per strada, riprendendo alcune persone del tutto ignare di essere oggetto del suo sguardo fotografico: un gruppo di signore che danno da mangiare ai gatti di strada; un padre che, acquistata una fetta di anguria, la porge alla figlia davanti al chiosco del venditore ambulante; due poliziotti che fanno cordone attorno a un materasso logoro abbandonato per strada; due bambine che giocano a farsi volteggiare l’un l’altra; un gruppo di marinai che incedono speditamente e che divengono riconoscibili per i loro cappelli che si stagliano come dischi bianchi sul fondale grigio dell’asfalto.
A molti anni di distanza, tornò a questo genere di scatti: da una finestra con vista Central Park, l’artista riproponeva lo stesso gesto e la stessa inquadratura, nelle diverse stagioni, registrando la fisionomia degli alberi, la tonalità delle loro foglie: il soggetto è proprio il tempo e il suo scorrere, sotto forma di una sequenza che parla dell’elasticità del tempo filmico. 
 
La mostra darà poi conto del reportage per la rivista LIFE, realizzato nel 1951 in Israele a seguito della Israeli Philarmonic Orchestra e del viaggio compiuto in Italia, visitando Venezia, Roma e Firenze, città dove incontra Nina Lee Craig, una studentessa americana, alla quale chiede di farle da modella per un servizio volto a narrare per immagini l’esperienza di una donna che viaggia da sola in un paese straniero e che divenne soggetto di American Girl in Italy, una delle sue fotografie più iconiche e più famose della storia della fotografia; la scena che immortala Nina Lee Craig passeggiare per le strade di Firenze tra un gruppo di uomini che ammiccano al suo passaggio, riesce a ispirare a Ruth Orkin la foto-racconto che cercava da tempo.

Dal 17 Marzo 2023 al 16 Luglio 2023 – Musei Reali | Sale Chiablese – Torino

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Fuori dal Mondo – Marco Palombi

FUORI DAL MONDO
Più di venti anni, la voglia di conoscere, lontano da casa.
I loro occhi, i miei occhi.
Accolto con stupore nelle loro vite, spazio condiviso, cibo condiviso, gioia e tristezza.
Ma tu chi sei?
Fuori dal mondo loro, o io? o noi?
Differenze affascinanti, la natura cambia, il clima cambia.
Lasciare la terra dove sei nato, umanità in fuga con i pochi averi tutti in una valligia, a
volte in una busta.
La guerra. Sangue e merda.
Il miraggio di avere un’istruzione, cure mediche.
Fotografare come apprezzare e scoprire terre sconosciute.
Il mondo ora corre troppo, rimanere più tempo nei luoghi per scoprire una vita vera,
un sentimento di comunità che noi abbiamo perso, ritrovare un senso di grande
dignità, non di povertà.
Volti che non puoi mai dimenticare
Marco Palombi

Scatti presentati in grande formato per un site specific incentrato sugli sguardi e sui ritratti di popoli costretti alla fuga dai propri territori per le guerre, per la fame, per la siccità o per calamità naturali, destinati così alla dissoluzione delle loro civiltà. La mostra include anche una serie di foto di piccolo e medio formato a testimonianza di etnie che a breve saranno fuori dal mondo non avendo più futuro.

Marco Palombi, fotoreporter free lance, inviato di Repubblica, La Stampa ed altre testate, dagli anni ’90 del secolo scorso viaggia per raccogliere immagini per i suoi reportage, dove le minoranze etniche, i popoli nomadi e i contrasti tra occidente e oriente diventano il fulcro della sua ricerca fotografica.

Dal 1 al 31 marzo – galleria BiancoContemporaneo – Roma 

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LIBRARIUM – FULVIO MAGURNO

Alessia Paladini Gallery è lieta di presentare Librarium, fotografie di Fulvio Magurno. Un viaggio nel mondo della lettura e del libro attarverso una suggestiva serie di immagini in bianco e nero, scattate da Fulvio Magurno tra la metà degli anni Ottanta e la
metà degli anni Novanta in Europa, Africa, Asia. In queste raffinate fotografie l’oggetto scritto è l’unico soggetto, la fascinazione per la parola scritta emerge in ogni scatto: nelle pagine consumate di un antico volume, nelle pagine fermate da un sasso per impedire alla brezza marina di scompigliarle, nello sguardo assorto di un bambino immerso nella lettura, nei dorsi di volumi celati dal velo di una tenda, scolpite su pietra consumata.
Il legame di Fulvio Magurno con la letteratura è ricorrente nel suo processo creativo: sperimentatore, fotografo e sofisticato intellettuale, costantemente alla ricerca di legami interdisciplinari tra le più diverse forme artistiche, Fulvio Magurno sublima nei
suoi scatti, al tempo stesso modernissimi e classici, un universo culturale profondo e stimolante.
In un momento come quello attuale, dove la “lentezza” della lettura, il gesto di sfogliare un libro, il sentire la consistenza delle pagine tra le dite sembrano appartenere ad un mondo in via d’estinzione, sopraffatto dalla voracità del mondo digitale, Librarium appare come un’oasi di calma e di riflessione.
“Un libro, una lettera, una poesia sono parole scritte e parole lette. Librarium di Fulvio Magurno è un viaggio di immagini vicine e lontane (…) per accompagnare chi guarda dentro un mondo fatto di parole, scritte e lette, che riverberano nel bianco e nero della
stampa fotogafica, lasciando ben impressa una sensazione di passato che resta immutato. (…) “ (Anna Orlando).

1 marzo – 14 aprile 2023 – Alessia Paladini Gallery – Milano

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LUCENTE – ANNA BRENNA

Le origini del nome del fiume Lambro sono da ricercare nella parola greca λαμπρως (lampròs) che significa limpido, lucente e anche un vecchio detto in dialetto milanese recita “ciar com’el Làmber”, cioè limpido come il Lambro.

l fiume Lambro nasce in provincia di Como e lungo il suo corso attraversa la Lombardia da nord a sud, attraversando 52 comuni, toccando sei province e percorrendo silenziosamente tutta la periferia orientale della città di Milano, per poi sfociare nel Po poco a sud di Lodi, con un percorso di 130km.

Purtroppo il Lambro è noto per essere tutt’altro che limpido, è infatti uno dei grandi fiumi italiani che più ha risentito della pesantissima industrializzazione avvenuta sulle sue rive. Il corso è stato modificato e danneggiato a favore delle città e ciò è stato causa di esondazioni e inquinamento.

Solo dalla fine degli anni novanta, la situazione è decisamente migliorata soprattutto grazie agli interventi di bonifica promossi anche dall’Unione Europea e al sistema depurativo della città di Milano.

Numerosi parchi cittadini ospitano tratti del fiume Lambro, dal Parco di Monza al Parco Lambro di Milano, solo per citare i più importanti, offrendo polmoni verde a una delle zone più industrializzate d’Italia. Diverse piste ciclopedonali sono inoltre state create lungo le rive del fiume, tra cascine, mulini, campi coltivati a mais, balle di fieno arrotolate e uccelli, che numerosi popolano le aree fluviali.

Ho percorso in cinque mesi l’intero corso del fiume, dalla sorgente alla foce, cercando di catturare immagini del fiume e dell’ambiente circostante, che rappresentassero il rapporto dell’uomo con il fiume e i cambiamenti nel paesaggio che ne ospita il corso, principalmente dovuti all’intervento umano.

Ho amato perdermi nella campagna, le sensazioni di lentezza e l’immobilità che caratterizzano il fiume, le atmosfere a tratti fiabesche, la presenza umana che si perde nel paesaggio o che lascia solo tracce del proprio passaggio.

Dal 25 marzo al 6 aprile – Biblioteca Comunale di Costa Masnaga (LC)

Diachronicles Giulia Parlato

Con il progetto Diachronicles Giulia Parlato ha vinto Giovane Fotografia Italiana | Premio Luigi Ghirri 2022, ideato e promosso dal Comune di Reggio Emilia in collaborazione con Triennale Milano, GAI – Associazione per il Circuito dei Giovani Artisti Italiani e Fotografia Europea, con il contributo di Reire srl. Diachronicles racconta lo spazio storico come contenitore immaginario in cui un’apparente raccolta di prove apre al fantastico. In questo spazio, i tentativi di ricostruire il passato si perdono in vuoti fantasmagorici, dove gli oggetti vengono generati, usati, sepolti, dissotterrati, trasportati e trasferiti.

Fino al 26 marzo 2023 – La Triennale di Milano

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AARON SCHUMAN – SONATA

Sonata è un ampio corpo di lavoro composto da immagini realizzate da Aaron Schuman in Italia nell’arco di quattro anni. Presentato inizialmente in un volume monografico edito nel 2022 dagli inglesi di MACK (che trovate qui), acclamato dalla critica, trae ispirazione da Viaggio in Italia di Johann Wolfgang von Goethe (1786-1788) e ricerca quelle che Goethe definiva le “impressioni dei sensi“. Come Goethe nei suoi viaggi in terra italiana, Schuman cerca risposte alle stesse riflessioni introspettive: “L’esenziale si è, che io prendo di bel nuovo interessamento alle cose di questo mondo; che io cerco di bel nuovo di esercitare il mio spirito di osservazione, per quanto i miei lumi e le mie cognizioni lo consentono; che la mia vista è pronta ad afferrare rapidamente quanto si offre allo sguardo; e che il mio animo può di bel nuovo esercitare le sue facoltà, le quali erano rimaste oppresse ed irrigidite.”

Sonata non cerca di cogliere e raccontare la realtà oggettiva; piuttosto, la filtra consapevolmente, rileggendola attraverso i miti, le idealizzazioni, le fascinazioni e le fantasie associate al nostro paese e a ciò che ha rappresentato nell’immaginario degli innumerevoli viaggiatori che lo hanno visitato nel corso dei secoli. Schuman stesso – prima con i suoi genitori, poi con la moglie e i figli – ha sviluppato fin dall’infanzia un legame viscerale, quasi primordiale, con l’Italia; un legame che è certamente, evidentemente quello di uno straniero, ma che è comunque forte, intuitivo, profondamente sincero e personale. Con Sonata, Schuman ci invita a esplorare un’Italia tanto simbolica quanto reale: intrisa dell’euforia e del terrore, dell’armonia e della dissonanza delle sue eredità culturali e storiche, eppure sempre nuova, rinvigorente e risonante nelle sue suggestioni sensoriali e psicologiche.

Micamera è orgogliosa di presentare una mostra e un’installazione site-specific di Sonata, concepita e realizzata in collaborazione con l’artista stesso. Oltre alle bellissime stampe, l’esposizione includerà anche una selezione di oggetti provenienti dalla collezione personale di Schuman, fotografie ed ephimera che hanno imperniato questo lavoro, e dialogherà con una selezione curata di libri dagli scaffali di Micamera.

Conosci tu il paese dove i limoni fioriscono,
nel fogliame buio fulgon le arance d’oro?
– Johann Wolfgang von Goethe, 1796

dall’11 marzo al 22 aprile – MICamera – Milano

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Ecco i premi di fotografia in scadenza a Marzo 2023

Buongiorno, ecco la lista dei premi fotografici in scadenza a Marzo 2023, mi raccomando, partecipate!

Ciao

Annalisa Melas

BIG PICTURE NATURAL WORLD PHOTOGRAPHY 2023 COMPETITION

Giunto alla sua decima edizione, BigPicture incoraggia i fotografi di tutto il mondo a contribuire con il loro lavoro a questo concorso che celebra e illustra la ricca diversità della vita sulla Terra e ispira azioni per proteggerla e conservarla attraverso il potere delle immagini. Presieduto dal pluripremiato fotografo di conservazione Suzi Eszterhas, BigPicture accoglie immagini di natura, fauna selvatica e conservazione di alta qualità ed è aperto a tutti i fotografi di tutto il mondo. Inserisci il tuo lavoro per avere la possibilità di vincere premi in denaro ed essere esposto alla California Academy of Sciences.

Deadline: 1 March 2023

Website: https://www.bigpicturecompetition.org/

7TH ONYX 2023 INTERNATIONAL EXHIBITION OF PHOTOGRAPHY

La 7a Mostra Internazionale di Fotografia ONYX 2023 è aperta a fotografi amatoriali e professionisti di tutto il mondo. La mostra è conforme alle regole della Photographic Society of America (PSA), della Global Photographic Union (GPU) e della Image Colleague Society (ICS). Questa mostra è approvata da PSA e le accettazioni ricevute dai membri di PSA sono idonee per le valutazioni a stelle PSA, elencate nel PSA mondiale Who’s Who of Photography e accreditate per le PSA Distinctions di QPSA, PPSA, EPSA, MPSA, MPSA2 e GMPSA, GMPSA/ B, GMPSA/S, GMPSA/G e GMPSA/P. Le accettazioni in questa mostra sono idonee anche per le Distinzioni ICS, GPU e Campina Photographic Exhibitions Society (CPE).

Deadline: 1 March 2023

Website: https://campinaexhibitions.net/onyx

TOP 25 BEST AUTHORS – CAMPINA PHOTOGRAPHIC EXHIBITIONS SOCIETY

Questa classifica si basa sulle accettazioni e sui premi delle nostre 2 mostre annuali CAMPINA e ONYX, da tutte le sezioni. Questo top viene realizzato ogni anno dopo la fine della stagione delle mostre. Il calcolo della classifica viene effettuato dopo i punteggi dei giudici di tutte le sezioni delle nostre 2 esibizioni. In caso di parità tra 2 o più autori, saranno classificati dai nostri giudici internazionali (Tibor Jakab, Teodor Radu Pantea e Mircea Anghel).
Al termine della stagione espositiva verrà stilata la graduatoria e verranno resi noti i migliori autori.
Gli Autori riceveranno le Medaglie, i Premi e gli Attestati per posta, gratuitamente; inoltre non ci sono costi di spedizione!

Deadline: 1 March 2023

Website: https://campinaexhibitions.net/top-25/

ISEM PRIZES FOR DOCUMENTARY PHOTOGRAPHY 2023

Quanti fotografi di talento, in Francia o altrove, non hanno i mezzi per portare a termine un progetto? Quanti, dopo aver trascorso diversi mesi a documentare un argomento, si fermano. Perché il loro argomento è più complesso di quanto pensassero, perché richiede più tempo di quanto immaginassero. I fotografi poi passano ad altre cose sperando di trovare una storia più redditizia, richiedendo meno fondi propri.

Deadline: 15 March 2023

Website: http://prixisem.imagesingulieres.com/

4TH VINCENT VAN GOGH PHOTO AWARD 2023

Nuenen – La quarta edizione di questa mostra fotografica si svolgerà nella magnifica cornice della zona giorno e lavoro di Vincent van Gogh (1883 – 1885 a Nuenen). Da sabato 9 settembre a domenica 1 ottobre 2023 sarà esposta una selezione di 50 foto nominate di questo Concorso Fotografico Internazionale.

Lasciati ispirare dal tema “Libertà!?” in chiave contemporanea. Pensa fuori dagli schemi, proprio come faceva Vincent. Sorprendi tutti! Lascia che la fotocamera sia il tuo pennello e partecipa a questo concorso! La fotografia è il tipo di arte più popolare e in rapida crescita.
Cosa avrebbe fotografato Vincent van Gogh se fosse vissuto oggi? Dove viaggerebbe per fotografare se le distanze non contano? Le persone e la natura, in ogni forma e veste, sono state le sue principali fonti di ispirazione.
Anche la luce ha avuto un ruolo importante nei suoi dipinti. Vincent aveva la capacità di catturare la luce sulla tela in modo miracoloso. Infatti la fotografia non è altro che dipingere con la luce.

Deadline: 30 March 2023

Website: http://www.vincentvangoghphotoaward.com

BOYNES EMERGING ARTIST AWARD 8TH EDITION

Il Boynes Emerging Artist Award è un concorso internazionale di belle arti aperto a tutti gli artisti emergenti 2D e 3D di tutto il mondo.
Siamo lieti di annunciare l’apertura dell’ottava edizione del Boynes Emerging Artist Award.
In questa edizione gli artisti emergenti di tutto il mondo avranno molteplici opportunità di vincere 1000 premi in denaro e una mostra personale virtuale di 1 mese con il nostro partner [The Smart Artist Hub](https://www.smartartisthub.com/), una funzionalità sul loro sito Web, pubblicazione e molto altro ancora.
Non c’è un tema fisso in questo premio.

Deadline: 28 March 2023

Website: https://boynesartistaward.com/

AMERICANA

Americana è una mostra che ritrae gli oggetti, le persone, i luoghi, la storia e il folklore degli Stati Uniti d’America. L’idea di Americana è soggettiva e spesso influenzata dalla nostalgia o dagli stereotipi della cultura americana. L’ethos o le convinzioni e gli ideali guida che sono venuti a rappresentare l’America, come la libertà e il sogno americano, sono fondamentali per il concetto. Nel bene e nel male, dalle onde ambrate del grano, una torta di mele, il baseball, le automobili, la droga, il calcio, le pistole e la maestà delle montagne viola, come ritrae il crogiolo di un paradosso conosciuto come gli Stati Uniti d’America?

Americana è una mostra collettiva internazionale con giuria aperta a fotografi dai 18 anni in su. Tutti i processi di post-produzione fotografica in bianco e nero, a colori, convenzionale, non tradizionale e digitale sono i benvenuti.

Deadline: 15 March 2023

Website: http://chateaugallery.com/americana-submission-form

ANALOGUE NOW: REVELATION

In occasione della 5a edizione di PhotoWeekend, anaogueNOW! è lieta di invitare fotografi cinematografici e artisti che lavorano con tecniche analogiche o ibride a partecipare alla loro prossima mostra collettiva internazionale sul tema RIVELAZIONE.
Lo scopo della open call è quello di raccogliere progetti che facciano emergere argomenti e intuizioni inediti o sconosciuti che porteranno lo spettatore a sperimentare una rivelazione, così come progetti che fanno dell’atto fotografico di rivelare il loro soggetto. Il tema può essere compreso in un approccio diretto o in senso astratto. La mostra esplorerà la presunta trasparenza, indicalità della fotografia analogica, nonché il ruolo sociale e politico che ne deriva.

Deadline: 12 March 2023

Website: https://analoguenow.com/

DOUG PENSINGER PHOTOGRAPHY FUND 2023

Il Doug Pensinger Photography Fund sostiene i fotografi sportivi emergenti e all’inizio della carriera.
I fotografi con più di 3 anni di esperienza cumulativa nella fotografia sportiva professionale retribuita sono considerati al di fuori dell’ambito dei programmi del DPPF.
Il DPPF si impegna a promuovere l’inclusività e la diversità e a fornire un accesso gratuito basato sul merito ai suoi programmi.
Il processo non è limitato ai cittadini statunitensi, anche se i richiedenti internazionali devono essere consapevoli del fatto che il trasporto a pagamento per lo Sports Photography Gathering è limitato al biglietto aereo nazionale degli Stati Uniti e che il DPPF non è in grado di fornire supporto per l’ottenimento del visto.

Deadline: 15 March 2023

Website: https://dougpensingerphotographyfund.org/grants/

ANJA NIEDRINGHAUS COURAGE IN PHOTOJOURNALISM AWARD 2023

L’International Women’s Media Foundation è l’unica organizzazione globale creata per soddisfare le esigenze olistiche delle donne e dei giornalisti non binari. Siamo un’organizzazione audace e inclusiva che supporta i giornalisti ovunque si trovino con premi, opportunità di reportage, borse di studio, sovvenzioni, formazione sulla sicurezza e aiuti di emergenza. In quanto uno dei maggiori sostenitori del giornalismo prodotto da donne, il nostro lavoro di trasformazione rafforza le pari opportunità e la libertà di stampa in tutto il mondo.

Criteri di ammissibilità:
– Il premio è aperto a giornaliste donne, non binarie e gender nonconforming.
– Il candidato deve lavorare come giornalista a tempo pieno e il giornalismo deve essere la sua professione principale.
– Sono ammessi sia i giornalisti freelance che quelli affiliati a organizzazioni di media.

Deadline: 3 March 2023

Website: https://site.picter.com/2023-iwmf-anja-niedringhaus-award

N.B.: Vi ricordiamo come sempre di prestare attenzione prima di candidarvi ai premi.
I concorsi da noi pubblicati sono frutto di ricerche su internet e anche se i dati inseriti sono stati selezionati, restano di carattere indicativo e pertanto sta a voi verificare con attenzione i contenuti e i regolamenti prima di partecipare ai premi.
Ci scusiamo per eventuali errori di traduzione e trascrizione dei contenuti.

Provateci e in bocca al lupo !

Annalisa

Sonja Braas, la fotografa che ricostruisce scenari possibili

Sonja Braas è una fotografa tedesca, nata nel 1968 a Siegen. Dopo aver studiato Comunicazione Visiva, Fotografia e Design presso l’Università delle Scienze Applicate di Dortmund, si trasferì a New York per continuare gli studi presso la School of Visual Arts.

La fotografa tedesca ricostruisce scenari idealizzati all’interno di uno studio fotografico rifacendosi alla tradizione della pittura di paesaggio del XVIII secolo che posponeva la realtà della natura alla sua rappresentazione ideale.

Tutto, nelle sue fotografie, appare perfetto: in Tornado, ad esempio, la tromba di un uragano occupa il centro dell’immagine e ne divide il campo secondo le regole di composizione della sezione aurea; il colore scuro del cielo fa sì che il vortice d’aria risalti contro lo sfondo, esaltandone la plasticità. In Lava flow, il campo dell’immagine è suddiviso dalle colate di lava; si direbbero pennellate di giallo oro sullo sfondo nero di una tela.

Sonja Braas si è occupata fin dai suoi primi lavori di immagini artificiali della natura. Per la serie “You are here” ha presentato una serie di fotografie di paesaggi naturali “confezionati”, scattate in giardini zoologici o musei di scienze naturali e, accanto ad esse, ha posto delle foto di paesaggi “veri”: l’osservatore che si trova a confrontare queste immagini distingue con difficoltà la natura “vera” da quella “falsa”.  Le sue opere rimandano così alla concezione della natura tipica dell’uomo moderno, una concezione influenzata e profondamente caratterizzata delle immagini mediatiche. L’onnipresenza dei mass-media pone allora l’esigenza di una rappresentazione “autentica” delle catastrofi naturali. Con le sue fotografie, Sonja Braas si sottrae a questa richiesta e presenta provocatoriamente all’osservatore la rappresentazione di una rappresentazione.

Nella serie “The Quiet of Dissolution” Sonja Braas affronta la tematica della preoccupazione per la conservazione dei nostri ecosistemi e delle catastrofi naturali : una catastrofe si verifica quando si rompe un equilibrio e ciò può accadere o perché entra in gioco una nuova grande forza che causa la catastrofe nel sistema oppure perché una piccola causa interviene in una situazione di equilibrio instabile.

Le fotografie dell’artista non hanno niente in comune con le consuete immagini di terremoti, incendi, tornadi e inondazioni che ci vengono regolarmente proposte dai media. Siamo abituati a immagini in bassa definizione, spesso scattate con telefoni cellulari, oppure filmati vacillanti e quasi amatoriali. Al contrario, le immagini di catastrofi naturali create da Sonja Braas rinunciano a qualsiasi intenzione narrativa e trasmettono un senso di serenità; del tutto prive di contatto e contaminazione con il destino umano, appaiono colte in un tempo immobile. Il tornado non minaccia alcuna città e il fiume di lava può essere ammirato in tutta la sua maestosità poiché l’eruzione sembra assolutamente priva di conseguenze.  

Fotografate in primo piano estremo, quasi come se la fotocamera fosse proprio in mezzo a loro, le catastrofi di Sonja Braas non toccano la presenza umana, concentrandosi poco sull’effetto quanto sul fatto stesso. Immagini che rinunciano a qualsiasi intenzione narrativa, rappresentando i disastri nella loro bellezza spettacolare, come fossero immersi in un atmosfera estetica di tranquillità. 

L’osservatore è portato a chiedersi in che modo l’artista sia riuscita a scattare queste immagini e come abbia potuto spingersi così vicino al tornado e in che modo abbia posizionato la sua camera. Le immagini presentate dall’artista non provengono, infatti, da teatri di sconvolgenti catastrofi naturali, ma nascono nel suo atelier come modelli idealizzati del reale. Sonja Braas ci presenta delle fotografie di modelli di vulcani e tornado realizzati da lei stessa con straordinaria precisione, al fine di costruire immagini ideali e perfette che simulano eventi naturali.

«Le immagini, illuminate artificialmente da sorgenti luminose esistenti, sono state scattate in location in Virginia e Massachusetts. MI e MII sono immagini di set che ho costruito (fisicamente non digitalmente) nel mio studio a Brooklyn, New York».

Creare una reazione emotiva immediata è ciò che Braas immagina sulla modalità della fotografia. La parte centrale del suo lavoro è infatti generare sospetto nella percezione chi guarda.

Tutte le immagini sono di ©Sonja Braas, il post ha solo scopo didattico e divulgativo, le immagini non verranno usate per scopi commerciali.

Sitografia:

https://www.sonjabraas.com/

http://www.strozzina.org/manipulatingreality/braas.php

https://fotografiaartistica.it/sonja-braas-the-quiet-of-dissolution/

Articolo di Rossella Mele

Workshop di Storytelling fotografico, raccontare Lanzarote

Buongiorno a tutti, come state? Vi propongo questo workshop a Lanzarote, una terra che mi ha rubato il cuore. Raccontiamo questo posto meraviglioso insieme?

Buona giornata

sara

Questo è un workshop di storytelling nell’isola di Lanzarote con lo scopo di raccontare in modo personale un luogo sconvolgente e impervio, in cui la componente umana si fonde con un ambiente maestoso. Scopriremo luoghi di incredibile bellezza attorniati da vulcani, da piccole cittadine sulla costa, coltivazioni alla base dei vulcani, paesaggi e persone, al fine di produrre un progetto che sia funzionale per la mostra che verrà organizzata presso Musa fotografia e un progetto personale da utilizzare per mostre, letture portfolio, partecipazione a premi, ecc.

FINALITA’
Lo scopo del workshop è duplice, costruire una mostra fotografica che verrà esposta nella sede di Musa Fotografia, pubblicata sul Blog http://www.saramunari.blog e diffusa sui social network. Costruire un portfolio personale da utilizzare per mostre, letture portfolio, partecipazione a premi, ecc. Ragionare, ideare e costruire un progetto fotografico in loco, su un tema specifico scelto dal partecipante. Le lezioni sono adatte a chi incontra difficoltà nell’ideazione di una storia e nella sua traduzione con una narrativa efficace o a chi vuole fare un’esperienza formativa sulla costruzione di una storia più in generale. Lo scopo del workshop, oltre alla costruzione di un progetto, sarà fornire delle basi concrete per poter poi sviluppare lavori personali futuri in autonomia.

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