Mostre da non perdere ad agosto!

Ciao, anche per agosto vi segnaliamo mostre interessantissime. Se siete in vacanza in quelle zone, prendete nota, altrimenti potete cogliere l’occasione delle mostre per farvi qualche gita.

A presto

Anna

Le mostre di Cortona On the Move

Il festival internazionale Cortona On The Move è il primo festival italiano a ripartire dopo l’emergenza sanitaria e alla sua decima edizione compie una svolta verso il visual narrative. Il programma di eventi e mostre saranno strutturati nel rispetto delle normative previste per fronteggiare l’emergenza Covid-19.

Sarà un’edizione speciale; perché interamente dedicata a The COVID-19 Visual Project. A Time of Distance.

Avrai la possibilità di vedere una selezione esclusiva dei lavori raccolti nel progetto. Nel quale, artisti visivi internazionali, hanno raccontato alcune storie legate a questo periodo che cambierà per sempre il nostro pianeta.

Le 21 mostre saranno esposte a Cortona in Palazzo Capannelli, in esterna nel centro storico del borgo toscano e presso la Fortezza del Girifalco.

Tra tutti i fotografi che esporranno, vi segnaliamo in particolar modo Alex Majoli, Andrea Frazzetta, Paolo Woods e Gabriele Galimberti, Davide Bertuccio e Serena Vittorini. Ma direi che ve le dovreste vedere tutte.

Dal 11 Luglio 2020 al 27 Settembre 2020 – CORTONA – Sedi varie

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FRIULI VENEZIA GIULIA FOTOGRAFIA #CHANGE.

Il Centro Ricerca e Archiviazione della Fotografia inaugura la storica rassegna in auge dal 1987 e rilancia la cultura attraverso grandi autori.
La manifestazione si occuperà delle radicali trasformazioni del pianeta, dei cambiamenti climatici e dell’uomo.
Il CRAF utilizza quest’anno l’arte della fotografia per innescare una virtuosa riflessione e sceglie il claim, #CHANGE, iconico e trasversale, affinché sia d’ispirazione per un vero cambiamento sociale, urgente e fondamentale alla sopravvivenza della Terra e delle specie viventi che la popolano.
La rassegna è realizzata grazie alla collaborazione della Regione Friuli Venezia Giulia con il sostegno della Fondazione Friuli e il patrocinio dell’Università degli Studi di Udine.

Le tre mostre in programma:

ALESSANDRO GRASSANI
Environmental migrants – The last illusion

4 luglio – 6 settembre 2020
Chiesa di San Lorenzo, San Vito al Tagliamento

FRANCESCO COMELLO
L’Isola della salvezza

9 ottobre – 15 novembre 2020
Palazzo Ricchieri, Pordenone

YANN ARTHUS-BERTRAND
Home

20 febbraio – 25 aprile 2021
Palazzo Tadea, Spilimbergo

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PETERSON – LAVINE. COME AS YOU ARE: KURT COBAIN AND THE GRUNGE REVOLUTION

Inaugurata lo scorso marzo e chiusa dopo pochi giorni per l’emergenza coronavirus, riapre giovedì 2 luglio la mostra fotografica “Peterson – Lavine. Come as you are: Kurt Cobain and the Grunge Revolution”, a Palazzo Medici Riccardi, Firenze.

A cura di ONO arte contemporanea, l’esposizione è organizzata e promossa da OEO Firenze Art e Le Nozze di Figaro, in collaborazione con MUS.E e con il patrocinio di Città Metropolitana di Firenze e Comune di Firenze.

“Peterson – Lavine. Come as you are: Kurt Cobain and the Grunge Revolution” è un viaggio nella storia della scena musicale grunge e in quella del suo eroe, Kurt Cobain, simbolo della controcultura americana della fine del XX secolo.

La mostra presenta oltre 80 foto, tra cui alcune inedite, di Charles Peterson e Michael Lavine, proposte in un accostamento inusuale che immerge il pubblico nella fascinazione di quegli anni straordinari, in cui i fan erano parte integrante di una rivoluzione musicale, e ci restituisce un ritratto ora intimo ora iconico del leader di un gruppo che ha segnato la storia del rock contemporaneo.

“Per raccontare l’avventura di Kurt Cobain, dei Nirvana e il grunge abbiamo scelto le fotografie di Michael Lavine e di Charles Peterson – spiega Vittoria Mainoldi, curatrice della mostra per ONO arte contemporanea –  non solo perché sono alcune delle più iconiche ma anche perché, meglio di chiunque altro, i loro lavori restituiscono quello che era il clima culturale nella mitica Seattle anni ’90. Il percorso espositivo, che compenetra perfettamente i bianconeri di Peterson con i colori pop di Lavine, segue quella che è la cronologia della band, partendo dai primi anni, quando al posto del batterista Dave Grohl c’era Chad Channing, fino a quelli del successo internazionale per concludersi con una sezione dedicata ad altri gruppi che hanno popolato la scena musicale grunge”

“In mezzo a tutto il caos di un concerto dal vivo, volevo trovare come un senso di grazia, volevo che le persone sperimentassero come fosse l’essere lì: il sudore, il rumore, l’essere schiacciati gli unici contro gli altri”.
(Charles Peterson)

Peterson, utilizzando uno stile personale, crea un proprio marchio di fabbrica inconfondibile: i suoi flash, molto potenti per poter squarciare il buio dei club, sono in grado di isolare i soggetti in modo classico e iconico al tempo stesso; il suo è un Cobain ritratto in immagini intime e rivelatrici come quella scattata sul palco dello storico Reading Festival in UK nell’agosto del ’92 quando il cantante, di cui già si vociferavano le precarie condizioni psicofisiche, si presentò sul palco in sedia a rotelle, esibendosi in uno degli show più memorabili nella storia del gruppo.
Oppure quella, in mostra come la precedente, del ’92 che lo vede assieme alla figlia, davanti agli elementi di un collage che rappresenta modellini di feti umani su una distesa di gigli e orchidee, idea che gli ispirò poi la realizzazione del retro della copertina dell’album In Utero. Charles Peterson fu chiamato da Kurt proprio per immortalare l’opera d’arte del collage, abbozzato sul pavimento di casa a Seattle, ma il fotografo non si lasciò sfuggire l’occasione di fotografare Kurt e Francis Bean, proprio davanti a tutti quegli elementi sparsi sul pavimento.
 
“Ripensandoci adesso è eccezionale come io abbia cominciato come un ragazzino con una macchina fotografica nel mezzo del nulla e abbia finito con il grande privilegio di testimoniare e documentare un pezzo così importante e forte della storia del rock”.

(Michael Lavine)

Lavine immortala il gruppo in studio dai mesi della loro prima formazione, fino agli anni del successo mondiale, quando accanto al leader della band c’era la moglie Courtney Love.  Contraddistinto da una cifra stilistica del tutto inconsueta, pop e patinata, Lavine viene molto apprezzato fin dai suoi primi lavori fotografici e subito gli vengono commissionati servizi per le cover di celebri album musicali. Californiano di nascita, giunto a Seattle nei primi Anni ’90, Lavine stringe amicizia con molti dei membri delle band della scena grunge, e su tutti con Kurt Cobain, cosa che gli permette di cogliere immagini dei Nirvana nei diversi momenti della loro breve ma intensa storia musicale, proprio fino a pochi giorni prima dalla scomparsa di Cobain stesso.

Iconiche le foto in mostra delle sessioni fotografiche per la promozione degli album “Nevermind” e “In Utero”.  Questi scatti, diventati simbolo di un’era, sono una vera e propria registrazione visiva del gruppo, che il fotografo accompagna in studio in tutti i diversi momenti della propria parabola, fino a pochi giorni dalla scomparsa del suo leader. Lavine è capace di cogliere immagini di un mondo che di lì a poco sarebbe scomparso, soprattutto dopo la drammatica morte di Kurt Cobain e la fine dei Nirvana.

Nel novembre del 1993 i Nirvana registrano un concerto acustico, il celebre MTV Unplugged, ma a fine anno le condizioni di Cobain peggiorano drasticamente. Nonostante questo, la band parte all’inizio del 1994 per un nuovo tour europeo, che viene però bruscamente interrotto il 4 marzo, a Roma, quando Courtney Love trova il marito privo di sensi nella stanza d’albergo. La band fa immediato ritorno negli Stati Uniti, dove Cobain comincia una riabilitazione in clinica che dura solo una settimana. Dopo un’altra settimana di latitanza, l’8 aprile 1994, Cobain viene trovato morto nella sua casa di Seattle: un colpo di fucile alla testa e una lettera di addio.

La mostra, che grazie alla selezione musicale di sottofondo permette ai visitatori di ascoltare i brani più significativi del movimento grunge, si conclude con una sezione interamente dedicata agli altri esponenti della scena di Seattle tra cui Pearl Jam, Soundgarden, Mudhoney, immortalando così non solo l’epopea di un gruppo ma le atmosfere di un periodo fortemente significativo della recente storia americana.

Dal 02 Luglio 2020 al 18 Ottobre 2020 – FIRENZE – Palazzo Medici Riccardi

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NINO MIGLIORI. STRAGEDIA

Nel 2020 ricorre il 40° anniversario della Strage di Ustica che, tra le numerose iniziative, verrà ricordato tramite la mostra Nino Migliori. Stragedia, promossa dal Dipartimento Cultura e Promozione della Città del Comune di Bologna e dall’Associazione Parenti della Strage di Ustica.

L’esposizione, a cura del responsabile Area Arte Moderna e Contemporanea dell’Istituzione, Lorenzo Balbi, si terrà negli spazi dell’Ex Chiesa di San Mattia, con inaugurazione sabato 27 giugno, data in cui avvenne la tragedia nel 1980, per proseguire fino al 27 settembre.

Il progetto, che si svilupperà in una video-installazione immersiva, nasce da una rielaborazione di immagini scattate dal grande fotografo nel 2007 durante l’allestimento dei resti del velivolo negli spazi del Museo per la Memoria di Ustica. Gli 81 scatti, corrispondenti al numero di vittime della strage, sono eseguiti a “lume di candela” tecnica utilizzata dal fotografo nel 2006 per la serie Lumen. Nino Migliori, oltre alle ricerche di stampo realista sull’Italia del dopoguerra, è noto per le sperimentazioni sul materiale fotografico eseguite mediante tecniche di sua invenzione come le ossidazioni e i pirogrammi. 

Dal 27 Giugno 2020 al 27 Settembre 2020 – BOLOGNA – Ex Chiesa di San Mattia

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MARIO CRESCI. COMBINAZIONI PROVVISORIE

In occasione dei cinque anni dall’apertura della galleria, Matèria è lieta di presentare per la prima volta nei suoi spazi la personale di Mario Cresci (Chiavari, 1942). La mostra dal titolo Combinazioni provvisorie è accompagnata dal testo critico di Mauro Zanchiepresenta due lavori dell’autore: Analogie e memoria (1980) e l’installazione Cronistorie (1970).
 
In Analogie e memoria, lavoro nato a Matera tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, Mario Cresci ingloba segni, immagini, scritte, disegni, appunti, frammenti di icone tenute negli archivi e nelle cassettiere insieme a progetti, collage, manifesti, estratti di testi e immagini stampate, fotografie di altri autori. Un diario di un viaggio iconico, in cui tutti gli elementi sono composti tra loro come un menabò in doppie pagine di un grande libro. Le fotocopie – 56 delle quali ospitate nella prima sala della galleria – qui sono “opere” nel senso di arte come idea, da intendere come proposizioni che assolvono a un assunto conoscitivo. Cresci fa ricorso a mezzi di comunicazione più anonimi: sostituisce l’utilizzo della macchina fotografica con l’atto di porre sul piano di una fotocopiatrice tutto il suo mondo, tra realtà visibile e esplorazioni cognitive, per evitare tutti i possibili risvolti formalistici connessi all’idea di immagine fotografica realizzata secondo i canoni classici.
 
In Cronistorie, Cresci, con un girato in pellicola 16mm di circa quaranta minuti e recentemente rimontato in un cortometraggio di 10’, realizza un racconto, un’indagine – al contempo realistica e visionaria, tra tradizione e avanguardia, tra opera d’arte e proiezione misterica – sulle culture popolari in Basilicata: le immagini si muovono in scenari densamente antropologici, dentro il mistero dei riti contadini, dei sacrifici animali, delle processioni religiose, dentro le zone d’ombra dell’inconscio collettivo rurale. La narrazione attinge a una fonte inesauribile di immagini latenti del mondo e porta alla luce segni, tracciati, impronte, mappe oniriche, che si muovono a livello formale e percettivo: «Cronistorie si colloca nel 1970 dentro a un coacervo di esperienze, di contaminazioni di pensiero e di sguardi, coni ottici spesso lievemente anarchici, sguardi fuori dal seminato, perché volevo capire le ragioni del mio disadattamento verso le norme del sentire e del vedere, che animavano la realtà di quegli anni. L’arte era per me l’unico modo per sopravvivere e restare lontano da tutto ciò che ritenevo e che sentivo disumano, sbagliato e falso. Il filmato è in fondo anche questo: un concentrato di malessere, che trova in un luogo particolare come Tricarico quello che poi riscontrai essere simile a Macondo in Cent’anni di solitudine». (Mario Cresci)

Dal 23 Giugno 2020 al 31 Ottobre 2020 – Roma – Matèria

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JACQUES HENRI LARTIGUE. L’INVENZIONE DELLA FELICITÀ

La Casa dei Tre Oci di Venezia riapre dopo l’emergenza Coronavirus con la più ampia retrospettiva mai organizzata in Italia, dedicata al fotografo francese Jacques Henri Lartigue (1894-1986).
 
L’esposizione, inizialmente prevista dal 4 marzo al 12 giugno 2020, ma aperta solo pochi giorni a causa dei provvedimenti per contenere il contagio da Covid-19, si terrà dall’11 luglio 2020 al 10 gennaio 2021.
 
Per celebrare la riapertura, sabato 11 luglio, la mostra sarà aperta con ingresso gratuito, dalle 14.00 alle 19.00. Nei mesi di luglio e agosto, si potrà visitare la rassegna dal venerdì alla domenica, dalle 11 alle 19, pagando il solo biglietto ridotto speciale (€9,00 anziché 13).
 
L’invenzione della felicità, curata da Marion Perceval e Charles-Antoine Revol, rispettivamente direttrice e project manager della Donation Jacques Henri Lartigue, e da Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci, è organizzata da Civita Tre Venezie e promossa da Fondazione di Venezia, in stretta collaborazione con la Donation Jacques Henri Lartigue di Parigi, con il patrocinio del Ministero della Cultura francese.
 
“Con la riapertura al pubblico della Casa dei Tre Oci la Fondazione di Venezia conferma il suo impegno al fianco della città, dopo la grave crisi generata da Covid-19, per un rilancio internazionale che non può non passare attraverso la cultura – sottolinea il Presidente della Fondazione di Venezia, Michele Bugliesi –. I Tre Oci sono ormai da anni una straordinaria casa della fotografia in cui sono ospitate mostre di grande respiro come questa dedicata a Jacques Henri Lartigue. Poter rendere nuovamente la Casa dei Tre Oci un bene al servizio della città è il segno tangibile della volontà della Fondazione di essere sotto ogni forma attore proattivo per lo sviluppo di Venezia e del suo territorio”.
 
La rassegna presenta 120 immagini, di cui 55 inedite, tutte provenienti dagli album fotografici personali di Lartigue, dei quali saranno esposte alcune pagine in fac-simile. A queste si aggiungono alcuni materiali d’archivio, libri quali il Diary of the Century (pubblicato con il titolo “Instants de ma vie” in francese), riviste dell’epoca, un diaporama con le pagine degli album, tre stereoscopie con immagini che rappresentano paesaggi innevati ed eleganti scenari parigini. Questi documenti ripercorrono la sua intera carriera, dagli esordi dei primi anni del ‘900 fino agli anni ‘80 e ricostruiscono la storia di questo fotografo e la sua riscoperta. Il 1963 è in tale contesto un anno cruciale: John Szarkowski, da poco nominato direttore del dipartimento di fotografia del MoMa – il Museum of Modern Art di New York, espone i suoi lavori al Museo newyorkese, permettendogli di raggiungere il successo quando Lartigue è vicino ormai ai settant’anni.
 
Il percorso de L’invenzione della felicità si articola intorno a questi grandi momenti di riscoperta dell’opera di Lartigue, a cominciare dalla rassegna del museo newyorkese, durante la quale sono presentati i suoi primi scatti precedenti la Prima Guerra Mondiale, e che fanno di lui l’enfant prodige della fotografia. Ispirato dai giornali e dalle riviste illustrate di quest’epoca, Lartigue s’interessa alla ricca borghesia parigina che si ritrovava ai Grandi premi automobilistici, alle corse ippiche di Auteuil, oltre che agli uomini e alle donne eleganti che le frequentavano.
 
“La ‘parte di mondo’ di Lartigue – scrive Denis Curti nel suo testo in catalogo – è quella di una Parigi ricca e borghese del nouveau siècle, e anche quando l’Europa verrà attraversata dagli orrori delle due guerre mondiali, Lartigue continuerà a preservare la purezza del suo microcosmo fotografico, continuando a fissare sulla pellicola solo ciò che vuole ricordare, conservare. Fermare il tempo, salvare l’attimo dal suo inevitabile passaggio. La fotografia diventa per Lartigue il mezzo per riesumare la vita, per rivivere i momenti felici, ancora e ancora”.
 
A seguito del successo ottenuto con la mostra al MoMa, verso la fine degli anni ‘60, Lartigue incontra Richard Avedon e Hiro, due tra i più influenti fotografi di moda di allora, che si appassionano immediatamente alla sua arte.
Avedon, in particolare, gli chiese di scavare nel suo archivio per riportare alla luce alcuni scatti al fine di creare un ‘giornale’ fotografico. La selezione di queste immagini, fatta dallo stesso Avedon e da Bea Feitler, photoeditor di Harper’s magazine, portò alla pubblicazione del volume, nel 1970, Diary of a Century che lo consacrò definitivamente tra i grandi della fotografia del Novecento.
 
Tuttavia, Lartigue non è più da tempo il fotografo amatoriale di inizio secolo. Dagli anni ‘40 pubblica le sue fotografie su riviste, combinando i suoi incontri mondani e le inquadrature ricercate.
 
Dopo l’approfondimento del periodo della sua riscoperta, le ultime sezioni si concentrano sugli anni ‘70 e ‘80, segnati dalle collaborazioni con il mondo del cinema, dove lavora come fotografo di scena per numerosi film, e della moda. L’occhio di Lartigue, tuttavia, non riuscì mai ad allontanarsi dalla vita di tutti i giorni, immortalando sempre molti dettagli curiosi e carichi d’ironia.
 
Un interessante focus è inoltre riservato alle memorie che Lartigue scrisse negli anni ‘60 e ‘70, quando inizia a ricomporre i suoi album nei quali aveva raccolto tutti i suoi scatti.
 
La mostra è accompagnata da un catalogo bilingue Marsilio Editori, con una testimonianza di Ferdinando Scianna.
 
In occasione della riapertura, la Casa dei Tre Oci mette a disposizione gratuitamente innovative modalità di fruizione della mostra, perfezionate dalla Fondazione di Venezia in collaborazione con Civita Tre Venezie nel periodo di lockdown nell’ambito del progetto FDVonair. Si tratta di un sistema di particolari QRcode, ovvero codici scansionabili con la fotocamera del proprio cellulare, associati a podcast che consentiranno ai visitatori di approfondire una significativa selezione di immagini attraverso la voce del direttore artistico Denis Curti e di ascoltare la playlist ispirata ai temi del fotografo della felicità.
 
Dall’11 luglio riapre, inoltre, nelle sale De Maria della Casa dei Tre Oci, la personale di Daniele Duca (Ancona, 1967), dal titolo Da Vicino, che presenta una serie di scatti di oggetti (grucce, penne, trame di tessuti, pasta, peperoni) che, privati del loro contesto, diventano delle nature morte contemporanee.
 
L’accesso alla Casa dei Tre Oci è contingentato, nel rispetto delle attuali norme sulla sicurezza, con alcune prescrizioni, quali l’uso della mascherina, la distanza di sicurezza di almeno 1 metro, l’obbligo di igienizzarsi le mani all’ingresso e all’interno delle sale espositive, grazie ai dispenser igienizzanti posti in più punti della Casa.

Dal 11 Luglio 2020 al 10 Gennaio 2021 – Venezia – Casa dei Tre Oci

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PIERGIORGIO BRANZI. IL GIRO DELL’OCCHIO. FOTOGRAFIE 1950-2010

Potrà sembrare un’affermazione azzardata ma, a mio giudizio,
fotografare è un’operazione compromettente.
Piergiorgio Branzi

Dal 23 giugno al 6 settembre 2020, il Castello Visconteo Sforzesco di Novara ospita una mostra che documenta oltre cinquant’anni di fotografie di Piergiorgio Branzi (Signa, FI, 1928), uno dei più importanti e riconosciuti interpreti di questa particolare forma d’arte.

La rassegna, dal titolo Il giro dell’occhio, curata da Alessandra Mauro, organizzata da Contrasto con Fondazione Forma per la Fotografia e Contrasto Galleria in collaborazione con Fondazione Castello visconteo-sforzesco di Novara e con il patrocinio del Comune di Novarapresenta 60 immagini tra le più iconiche realizzate dal fotografo toscano in mezzo secolo di sguardi sul mondo.

“Il giro dell’occhio in cui ci conduce Piergiorgio Branzi con le sue fotografie – afferma Alessandra Mauro – è un turbine d’immagini e memorie, di ricordi, impressioni e scelte meditate. Di osservazioni coerenti in cui lo sguardo è sempre pronto a percorrere il mondo, tracciare e nominare la visione di profili di terre e di pietre. Una serie di vedute e “rivedute” che comunicano la stessa esperienza esistenziale dell’autore, il suo respiro. Quello di un corpo profondamente attento, lieto di continuare a vivere di meraviglia e di osservazione”.

Il percorso espositivo, ordinato per cicli tematici cronologici, delinea una mappa geografica che dalla sua Toscana si sposta verso l’Italia del sud e il Mediterraneo, per poi salire a Parigi e a Mosca, dove Branzi lavorò come inviato della RAI.

Si parte idealmente dai chiaroscuri toscani, come omaggio alla sua regione d’origine, con fotografie scattate negli anni cinquanta che appartengono alla prima parte della sua carriera, tutte rigorosamente in bianco e nero per rispettare il cromatismo di quella terra che, secondo Branzi, si gioca tra il grigio grafite e l’ocra spento delle pietre che caratterizzano i palazzi e le strade di Firenze e tra il verde scuro del cipresso e il verde argento degli ulivi che contraddistinguono la campagna toscana.

Per Branzi, fotografare significava disegnare; e proprio il disegno divenne una pratica che l’artista non abbandonò mai e che risulta particolarmente evidente in questa serie di scatti, come nelle immagini dell’Arena e del Giardino di Boboli sotto la neve, o in quella del muro nero con suo fratello, spesso usato come modello, rattrappito nel fondo di quella che sembra una bottiglia scavata nella parete.

Il viaggio di Piergiorgio Branzi si allarga a tutta l’Italia, in particolare al Meridione, che trovò come un paese arcaico e doloroso e che accomunava con la Spagna e le Grecia, le altre due nazioni che attraversò con la sua macchina fotografica.
Sono immagini che lo stesso Branzi definiva di “realismo-formale” a valenza sociale, che gettavano uno sguardo di attenzione, ma ancor più di compassione, verso una realtà sociale uscita dalla guerra da meno di un decennio.

La mostra prosegue proponendo gli scatti realizzati tra il 1962 e il 1966 a Mosca, l’allora capitale sovietica dove Branzi lavorò come inviato della RAI. Quello che ne risulta è l’incontro con la quotidianità di una società, allora misteriosa e certamente poco conosciuta ma in lento e costante mutamento dove, tra i paesaggi urbani innevati e le celebrazioni del regime comunista, ci si trova di fronte a incontri di straordinaria umanità.

E poi Parigi che Branzi visse da vero flaneur, girovagando senza meta per le sue piazze, i suoi boulevard e i suoi bistrot, lasciandosi stupire dagli sguardi e sorprendere dagli incontri fortuiti.
L’esposizione si chiude con la sezione dedicata a Le Forme, ovvero alla produzione più recente del fotografo toscano, decisamente più sperimentale.

Dal 23 Giugno 2020 al 06 Settembre 2020 – Castello Visconteo Sforzesco – Novara

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MARIO CRESCI. LORO DEL TEMPO

Le immagini in bianco e nero esposte in mostra contribuiscono a riattivare i significati stratificati di alcune delle fotografie conservate in ICCD, una fruttuosa modalità per risvegliare tali depositi a distanza di tempo. E proprio al tempo rimanda il titolo del lavoro, che riprende una frase di André Breton: “Je cherche l’or du temps”. Una dichiarazione di intenti: l’instancabile ricerca di ciò che di prezioso e incorruttibile (come l’oro) persiste nel fluire del tempo. Il lavoro illumina di nuova “brillantezza” immagini che altre mani affidarono al tempo.
Il programma di ‘residenza d’artista’ è uno dei tanti progetti che l’Istituto sta portando avanti nell’ambito delle politiche sul contemporaneo che mirano, da un lato, a interrogare i materiali fotografici storici attraverso sguardi diversi, dall’altro a incrementare le collezioni con nuove produzioni. Il fatto che Cresci abbia da tempo rivolto la sua attenzione anche ai musei, alle istituzioni, alle collezioni, all’arte “fatta da altri” ha costituito un motivo in più per coinvolgerlo.
Nel corso delle sue visite in ICCD Cresci ha potuto così conoscere l’immenso patrimonio conservato, nutrire la sua curiosità per autori lontani nel tempo ma alle prese con lo stesso desiderio di esplorare il mezzo fotografico, ripercorrere generi e stili, approfondire gli aspetti tecnici della fotografia dell’800, toccando con mano albumine, aristotipi, dagherrotipi e carte salate. 
Nel suo lavoro Cresci pone la rappresentazione della figura umana al centro della ricerca. Da un lato i ritratti del fondo di Mario Nunes Vais, fotografati a cavallo tra otto e novecento – palpitanti di vita, sguardi, carne e sangue -, dall’altro le fotografie di sculture per lo più di ambito greco-romano facenti parte dell’archivio del Gabinetto Fotografico Nazionale. 
E così, l’affascinante ritratto dell’attrice Emma Gramatica o la Testa di Apollo Sauroktono, diventano pretesto per una serie di sperimentazioni visive ottenute alterando, isolando e reiterando alcuni particolari delle fotografie, pur nel rispetto – sempre presente in Cresci –  dell’autore che le pensò in origine. 
Alcune scelte formali sottolineano inoltre l’importanza che Cresci assegna alla natura ‘fisica’ dell’oggetto fotografico. L’utilizzo dei numeri di inventario al posto delle didascalie, l’inclusione del bordo nero del negativo nella stampa finale, così come la scelta grafica del catalogo (fogli sciolti racchiusi in una scatola di tipo conservativo) rimandano al concetto di archivio e ci ricordano che anche la collocazione fisica degli oggetti fotografici, nel loro destino errante, merita di essere osservata con intelligenza.
Come spiega Francesca Fabiani, curatrice della mostra e responsabile dei progetti sul contemporaneo dell’ICCD, “L’approccio di Cresci alla fotografia è globale: l’interesse per l’autore, per la storia, per la tecnica, per il soggetto e per l’oggetto fotografico, si sommano a quello per la fotografia intesa come linguaggio di segni, grammatica visiva, esperienza percettiva”.
La mostra è accompagnata da un libro d’artista, in copie numerate e firmate dall’autore, a tiratura limitata, edito da Postcart.

Dal 23 Giugno 2020 al 30 Ottobre 2020 – Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) – Roma

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Mostre di fotografia segnalate per Aprile

Ciao a tutti,

un mese così ricco di mostre fantastiche non credo di averlo mai visto. Vi faccio solo qualche nome: Cartier-Bresson, Bourke-White, Doisneau.

Non aggiungo altro. Date un’occhiata e sono certa troverete qualcosa che non vorrete perdervi.

Compatibilmente con le conseguenze legate alla situazione, le mostre saranno visitabili anche quando potremo visitarle.

Anna

Massimo Vitali – Costellazioni Umane

La mostra si articola in circa 30 opere scelte in venticinque anni di produzione dell’artista. Il percorso espositivo non scandito in ordine cronologico è, a tutti gli effetti, una sorta di mostra antologica.
Per chi conosce l’opera di Vitali sarà importante ritrovare le spiagge italiane assolate e gremite di gente in vacanza (1995), ma sarà anche una sorpresa vedere, per la prima volta in assoluto, gli scatti dei concerti di Jovanotti nel suo ultimo tour italiano del 2019.
L’opera di Massimo Vitali attinge esteticamente alla storia dell’arte e non solo a quella della fotografia.

Italiano d’origine, anglosassone di formazione e con una visione internazionale e attenta all’evolversi della ricerca d’avanguardia a cavallo tra il secolo scorso e quello attuale, l’artista appare come un fotografo incline a non lasciare tracce nelle sue opere di momenti legati a fatti storici identificabili. Il suo mondo estremamente raggelato e cristallizzato, appare come sospeso in un fermo immagine cinematografico. Non vi sono mai dettagli identificabili con fatti storici attuali, se non per i titoli che, talvolta, rimandano a raduni affollati o a serate di divertimento in discoteca.

La sua opera appare come conseguente a un periodo “illuminista”, dove vengono registrati luoghi che, al di là del loro interesse geografico, paesaggistico o atmosferico, sono immortalati per ciò che sono e “catturati” da un occhio algido e preciso per quantità di dettagli e particolari illustrati fino al parossismo. Le costruzioni vengono restituite in tutta la loro identità e fisicità architettonica; le montagne sono riprese, per quanto impossibile, fino all’ultima roccia e lichene; le spiagge e le dune di sabbia, ammorbidite dai riflessi e dalle ombre percepibili fino all’orizzonte. Come Canaletto e molta della pittura settecentesca, il suo occhio capta ogni minimo dettaglio e lo trasferisce sulla carta fotografica in modo realistico e analitico.
L’atmosfera – per intenderci quella leonardesca dello sfumato e della percezione spaziale della nebulizzazione nell’aria dell’acqua e della polvere – è inesistente nelle sue fotografie. Tutto è definito. Come in Canaletto le figurine poi recitano parti di una commedia scritta in modo corale, le persone appaiono come dirette da un regista fuori scena e obbediscono a dettami predefiniti anche se in modo ovviamente inconscio.
Tutto è proiettato su uno schermo in cui i protagonisti recitano, come attori istruiti, parti a loro destinate dai fatti contingenti.
I titoli delle opere tendono a confondere lo spettatore come se l’artista avesse destinato, alle persone ritratte, parti precise e ruoli da primo attore.
In opere come De Haan Kiss (2001), in cui due ragazzi in primo piano si scambiano un bacio, o in Cefalù Orange Yellow Blue (2008), dove vi sono costumi da bagno colorati, è il caso che determina il titolo dell’opera deciso in post produzione dopo un attento riesame della fotografia.

Invece, in opere come Carcavelos Pier Paddle (2016), il ragazzino – che sulla sinistra dell’opera è immortalato per sempre nel suo tuffo acrobatico, riprendendo la grande storia delle immagini sportive, dal tuffatore del notissimo affresco di epoca romana a Paestum fino al Tuffatore (1951) di Nino Migliori – non dà nessun titolo all’opera, pur avendone “pieno diritto”. Ciò non significa comunque che le opere di Vitali siano dei “d’après” ma, al contrario, sono degli originali che continuano la storia della fotografia in modo innovativo e personale.
L’opera di Vitali è – dopo oltre trent’anni di lavoro – quella di un grande autore classico, totalmente immerso nella storia dell’arte italiana e internazionale, che lo colloca fra i maggiori artisti dei nostri tempi.
Due volumi antologici, editi da Steidl, documentano il lavoro dell’artista con le riproduzioni di tutte le opere esposte.

dal 26 febbraio al 5 luglio 2020 – Museo Ettore Fico di Torino

Tutti i dettagli qua

HENRI CARTIER-BRESSON: LE GRAND JEU

Palazzo Grassi presenta “Henri Cartier-Bresson: Le Grand Jeu”, realizzata con la Bibliothèque nationale de France e in collaborazione con la Fondation Henri Cartier-Bresson.

Il progetto della mostra, ideato e coordinato da Matthieu Humery, mette a confronto lo sguardo di cinque curatori sull’opera di Cartier-Bresson (1908 – 2004), e in particolare sulla “Master Collection”, una selezione di 385 immagini che l’artista ha individuato agli inizi degli Settanta, su invito dei suoi amici collezionisti Jean e Dominique de Menil, come le più significative della sua opera.

La fotografa Annie Leibovitz, il regista Wim Wenders, lo scrittore Javier Cercas, la conservatrice e direttrice del dipartimento di Stampe e Fotografia della Bibliothèque nationale de France Sylvie Aubenas, il collezionista François Pinault, sono stati invitati a loro volta a scegliere ciascuno una cinquantina di immagini a partire dalla “Master Collection” originale, della quale esistono cinque esemplari.

Attraverso la loro selezione, ognuno di loro condivide la propria visione personale della fotografia, e dell’opera di questo grande artista. Rinnovare e arricchire il nostro sguardo sull’opera di Henri Cartier-Bresson attraverso quello di cinque personalità diverse è la sfida del progetto espositivo “Le Grand Jeu” a Palazzo Grassi.

La mostra “Henri Cartier-Bresson: Le Grand Jeu” sarà presentata alla Bibliothèque nationale de France, a Parigi, nella primavera 2021.

Dal 22 Marzo 2020 al 10 Gennaio 2021 – Venezia Palazzo Grassi

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YOUSSEF NABIL. ONCE UPON A DREAM

Insieme alla mostra dedicata a Henri Cartier-Bresson, a cui sarà riservato il primo piano espositivo, Palazzo Grassi presenta una mostra monografica dedicata all’artista Youssef Nabil (Il Cairo, 1972), dal titolo “Once Upon a Dream” curata da Matthieu Humery Jean-Jacques Aillagon.

Realizzate con la tecnica tradizionale egiziana largamente utilizzata per i ritratti fotografici di famiglia e per i manifesti dei film che popolavano le strade de Il Cairo, le fotografie successivamente dipinte a mano da Youssef Nabil restituiscono la suggestione di un Egitto leggendario tra simbolismo e astrazione.

La ricerca dei reperti identitari, le preoccupazioni ideologiche, sociali e politiche del XXI secolo, la malinconia di un passato lontano sono i soggetti che Nabil predilige nella sua ricerca artistica. L’esposizione intende invitare a un’immersione libera nella carriera dell’artista attraverso sezioni tematiche che riproducono i suoi primi lavori fino alle opere più recenti. Ad arricchire il percorso la produzione video di Nabil con i suoi tre video Arabian Happy Ending, I Saved My Belly Dancer e You Never Left.

22/03/2020 – 10/01/2021 – Palazzo Grassi Venezia

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PRIMA, DONNA. MARGARET BOURKE-WHITE

La mostra raccoglie, in una selezione del tutto inedita, le più straordinarie immagini realizzate da Margaret Bourke-White – tra le figure più rappresentative ed emblematiche del fotogiornalismo – nel corso della sua lunga carriera. Accanto alle fotografie, una serie di documenti e immagini personali, video e testi autobiografici, raccontano la personalità di un’importante fotografa, una grande donna, la sua visione e la sua vita controcorrente.

Sarà possibile ammirare oltre 100 immagini, provenienti dall’archivio Life di New York e divise in 10 gruppi tematici che, in una visione cronologica, rintracciano il filo del percorso esistenziale di Margaret Bourke-White e mostrano la sua capacità visionaria e insieme narrativa, in grado di comporre “storie” fotografiche dense e folgoranti.

L’esposizione rientra ne “I talenti delle donne”, un palinsesto promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano dedicato all’universo delle donne, focalizzando l’attenzione di un intero anno – il 2020 – sulle loro opere, le loro priorità, le loro capacità. Si vuole  rendere visibili i contributi che le donne nel corso del tempo hanno offerto e offrono in tutte le aree della vita collettiva, a partire da quella culturale ma anche in ambito scientifico e imprenditoriale, al progresso dell’umanità.

L’obiettivo è non solo produrre nuovi livelli di consapevolezza sul ruolo delle figure femminili nella vita sociale ma anche aiutare concretamente a perseguire quel principio di equità e di pari opportunità che, dalla nostra Costituzione, deve potersi trasferire nelle rappresentazioni e culture quotidiane.

Dal 18 Marzo 2020 al 28 Giugno 2020 – Palazzo Reale MILANO

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ROBERT DOISNEAU

Dal 6 marzo al 21 giugno 2020 Palazzo Pallavicini ospita un’importante retrospettiva dedicata al grande fotografo parigino  Robert Doisneau (Gentilly, 14 aprile 1912 – Montrouge, 1º aprile 1994), celebre per il suo approccio poetico alla street photography, autore di Le baiser de l’hôtel de ville, una delle immagini più famose della storia della fotografia del secondo dopoguerra.

La mostra è curata dall’Atelier Robert Doisneau, creato da Francine Deroudille e Annette Doisneau per conservare e rappresentare le opere del fotografo, ed è organizzata da Pallavicini s.r.l. di Chiara CampagnoliDeborah Petroni e Rubens Fogacci in collaborazione con diChroma photography.

Sono 143 le opere in mostra nelle prestigiose sale di Via San Felice, tutte provenienti dall’Atelier. L’esposizione è il risultato di un ambizioso progetto del 1986 di Francine Deroudille e della sorella Annette – le figlie di Robert Doisneau – che hanno selezionato da 450.000 negativi, prodotti in oltre 60 anni di attività dell’artista, le immagini della mostra che ci raccontano l’appassionante storia autobiografica dell’artista.

I sobborghi grigi delle periferie parigine, le fabbriche, i piccoli negozi, i bambini solitari o ribelli, la guerra dalla parte della Resistenza, il popolo parigino al lavoro o in festa, gli scorci nella campagna francese, gli incontri con artisti e le celebrità dell’epoca, il mondo della moda e i personaggi eccentrici incontrati nei caffè parigini, sono i protagonisti del racconto fotografico di un mondo che “non ha nulla a che fare con la realtà, ma è infinitamente più interessante”. Doisneau non cattura la vita così come si presenta, ma come vuole che sia. Di natura ribelle, il suo lavoro è intriso di momenti di disobbedienza e di rifiuto per le regole stabilite, di immagini giocose e ironiche giustapposizioni di elementi tradizionali e anticonformisti.

Influenzato dall’opera di André Kertész, Eugène Atget e Henri Cartier-Bresson, Doisneau conferisce importanza e dignità alla cultura di strada, con una particolare attenzione per i bambini, di cui coglie momenti di libertà e di gioco fuori dal controllo dei genitori, trasmettendoci una visione affascinante della fragilità umana.

Le meraviglie della vita quotidiana sono così eccitanti;
nessun regista può ricreare l’inaspettato che trovi per strada.
Robert Doisneau

Dal 06 Marzo 2020 al 21 Giugno 2020 – Palazzo Pallavicini – Bologna

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PETER LINDBERGH. HEIMAT. A SENSE OF BELONGING

In occasione della settimana della moda di Milano, Giorgio Armani inaugura negli spazi di Armani/Silos la nuova mostra dedicata al lavoro del fotografo Peter Lindbergh. Intitolata Heimat. A Sense of Belonging, la mostra presenta un’ampia selezione dell’opera di Lindbergh, percorrendo vari decenni del lavoro del fotografo, pubblicato come inedito.

Curata personalmente da Giorgio Armani in collaborazione con la Fondazione Peter Lindbergh, la mostra evidenzia le straordinarie affinità tra due figure visionarie, il cui originale senso di identità ha definito standard molto personali e molto alti, tanto nell’arte quanto nella vita. Giorgio Armani e Peter Lindbergh hanno condiviso valori che hanno permeato tutta la loro estetica. In particolare, l’apprezzamento per la verità e l’anima che da essa emana, e la ricerca dell’onestà in opposizione all’artificio, hanno dato vita a una stretta collaborazione iniziata negli anni Ottanta e proseguita nel corso delle rispettive carriere.

Incentrata sugli aspetti noti e meno noti del lavoro di Lindbergh e allestita al piano terra di Armani/Silos, Heimat. A Sense of Belonging si sviluppa come un movimento in tre sezioni. Il punto di vista unico del fotografo, la sua idea di spazio e di bellezza, la sua estetica inconfondibile e le sue fonti di ispirazione si svelano in un viaggio che va oltre l’idea della fotografia di moda. Si parte dai ritratti di The Naked Truth, si prosegue con le possenti atmosfere di Heimat, si conclude con la sorprendente schiettezza delle immagini di The Modern Heroine.

La comprensione della femminilità dimostrata da Lindbergh, il suo interesse per la personalità e la sua propensione per la verità, lo hanno sempre distinto dai suoi colleghi. C’è un’onestà intrinseca nel lavoro di Lindbergh che è strettamente legata alla sua stessa Heimat. La parola Heimat, in tedesco, significa qualcosa di più di casa: è un luogo del cuore, il luogo a cui si appartiene. Per Lindbergh, Heimat é il background industriale di Duisburg, con le sue fabbriche, la nebbia, il metallo e il cemento. L’estetica della Berlino degli anni ’20 ha lasciato un’altra indelebile impronta nel suo lavoro. Attraverso il filtro di uno sguardo pieno di umanità, tali spunti hanno generato un senso di cruda bellezza che connota l’intera opera del fotografo.

Il cuore della mostra ospitata nell’Armani/Silos ruota intorno a immagini in cui l’espressivo ambiente industriale è qualcosa di più di un semplice sfondo: un protagonista narrativo, splendidamente nudo nella sua verità, così come lo sono i ritratti di Lindbergh, sempre spogli da qualsiasi artificio, insieme alla sua idea di eroina moderna come donna piena di potere, che mostra con orgoglio i segni dell’età e del tempo. All’interno di questi tre movimenti, Heimat descrive la complessità e l’immediatezza dell’opera di Lindbergh, e la sua atemporalità.

“Ho sempre ammirato Peter per la coerenza e l’intensità del suo lavoro. Essere senza tempo è una qualità a cui aspiro personalmente, e che Peter sicuramente possedeva. Con questa mostra all’Armani/Silos voglio rendere omaggio a un compagno di lavoro meraviglioso il cui amore per la bellezza rappresenta un contributo indelebile per la nostra cultura, non soltanto per la moda” afferma Giorgio Armani.

Noto per le sue immagini cinematografiche, Peter Lindbergh (1944-2019) nasce a Leszno, in Polonia, e trascorre l’infanzia a Duisburg (Renania Settentrionale-Vestfalia). Studia belle arti a Berlino e pittura a Krefeld, rivolgendo il suo interesse alla fotografia dopo essersi trasferito a Düsseldorf nel 1971. Entrato a far parte della famiglia della rivista Stern insieme a leggende della fotografia quali Helmut Newton, Guy Bourdin e Hans Feurer, si trasferisce a Parigi nel 1978 per proseguire la carriera. In poco tempo Lindbergh introduce una forma di nuovo realismo, dando priorità all’anima e alla personalità dei suoi soggetti, modificando così in modo definitivo gli standard della fotografia di moda, e allontanandosi dagli stereotipi riguardanti età e bellezza. Il suo lavoro è conosciuto soprattutto per i ritratti semplici e rivelatori, e per le forti influenze esercitate su di esso dal cinema tedesco e dall’ambiente industriale della sua infanzia.

Dalla fine degli anni Settanta, Peter Lindbergh ha collaborato con prestigiose riviste, tra cui l’edizione americana e italiana di Vogue, Rolling Stone, Vanity Fair, l’edizione americana di Harper’s Bazaar, Wall Street Journal Magazine, Visionaire, Interview e W. Ha realizzato le foto di tre calendari Pirelli, rispettivamente nel 1996, 2002 e 2017, e i suoi lavori sono presenti nelle collezioni permanenti del Victoria & Albert Museum (Londra), del Centre Pompidou (Parigi), del MoMA PS1 (New York). Sue mostre personali sono state ospitate all’Hamburger Banhof (Berlino), al Bunkamura Museum of Art (Tokyo), al Pushkin Museum of Fine Arts (Mosca) alla Kunsthal di Rotterdam, alla Kunsthalle di Monaco di Baviera, alla Reggia di Venaria (Torino) e al Kunstpalast (Düsseldorf).

Peter Lindbergh ha diretto una serie di film e documentari acclamati dalla critica: Models, The Film (1991); Inner Voices (1999), che si è guadagnato il premio Best Documentary al Toronto International Film Festival (TIFF) nel 2000; Pina Bausch, Der Fensterputzer (2001) e Everywhere at Once (2007), con la voce narrante di Jeanne Moreau, presentato a Cannes e al Tribeca Film Festival.

Dal 22 Febbraio 2020 al 02 Agosto 2020 – Armani/Silos – Milano

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ELLIOTT ERWITT. ICONS

Inaugura venerdì 21 febbraio al WeGil, l’hub culturale della Regione Lazio a Trastevere, ELLIOTT ERWITT ICONS, la mostra a cura di Biba Giacchetti che celebra uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea. In programma dal 22 febbraio al 17 maggio 2020, la retrospettiva, promossa dalla Regione Lazio e organizzata da LAZIOcrea in collaborazione con SudEst57, raccoglie settanta degli scatti più celebri di Erwitt: uno spaccato della storia e del costume del Novecento visti attraverso lo sguardo tipicamente ironico del fotografo, specchio della sua vena surreale e romantica.
 
L’obiettivo di Erwitt ha catturato alcuni degli istanti fondamentali della storia del secolo scorso che, grazie alle sue fotografie, sono rimasti impressi nell’immaginario collettivo. Tra le foto in mostra, non mancheranno i celebri ritratti di Che Guevara, Marlene Dietrich e la famosa serie dedicata a Marilyn Monroe. Il pubblico potrà ammirare alcuni degli scatti più iconici e amati di Erwitt come il “California Kiss” in cui emerge la vena più romantica del maestro.
 
Completa l’esposizione il catalogo della mostra a cura di SudEst57 in cui ogni fotografia è accompagnata da un dialogo tra Elliott Erwitt e Biba Giacchetti attraverso cui scoprire i segreti, le avventure e il senso di ognuna di esse.

Dal 21 Febbraio 2020 al 17 Maggio 2020 – WeGil – Roma

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Dorothea Lange –  Words & Pictures

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Toward the end of her life, Dorothea Lange (1895–1965) reflected, “All photographs—not only those that are so called ‘documentary’…can be fortified by words.” A committed social observer, Lange paid sharp attention to the human condition, conveying stories of everyday life through her photographs and the voices they drew in. Dorothea Lange: Words & Pictures, the first major MoMA exhibition of Lange’s in 50 years, brings iconic works from the collection together with less seen photographs—from early street photography to projects on criminal justice reform. The work’s complex relationships to words show Lange’s interest in art’s power to deliver public awareness and to connect to intimate narratives in the world.

In her landmark 1939 photobook An American Exodus—a central focus of the show—Lange experiments with combining words and pictures to convey the human impact of Dust Bowl migration. Conceived in collaboration with her husband, agricultural economist Paul Taylor, the book weaves together field notes, folk song lyrics, newspaper excerpts, and observations from contemporary sociologists. These are accompanied by a chorus of first-person quotations from the sharecroppers, displaced families, and migrant workers at the center of her pictures. Presenting Lange’s work in its diverse contexts—photobooks, Depression-era government reports, newspapers, magazines, poems—along with the voices of contemporary artists, writers, and thinkers, the exhibition offers a more nuanced understanding of Lange’s vocation, and new means for considering words and pictures today.

Through May 9 2020 – MOMA – New York
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At Home In Sweden, Germany And America – Gerry Johansson

Nelle fotografia di Johansson l’uomo è traccia, è ciò che fa e che ha fatto, ciò che resta nel paesaggio. E il paesaggio è ovunque arrivi lo sguardo del fotografo, camminatore e osservatore attento a quel microcosmo di elementi che fanno la differenza una volta individuati e contenuti nel perimetro dell’immagine. – Laura De Marco

At home in Sweden, Germany and America è la mostra personale del fotografo svedese Gerry Johansson nata dalla collaborazione tra Spazio Labo’ e OMNE – Osservatorio Mobile Nord Est di Castelfranco Veneto che con i curatori Stefania Rössl e Massimo Sordi si occupa di progetti di fotografia contemporanea con particolare attenzione al tema del paesaggio. 

La mostra è una retrospettiva della celebre trilogia di libri Amerika (1998), Sverige (2005) e Deutschland (2012) che raccolgono fotografie realizzate da Johansson nel corso di svariati viaggi compiuti tra il 1993 e il 2018 in Svezia, Germania e America. 

Oltre vent’anni di campagne fotografiche sul paesaggio americano, svedese e tedesco: paesaggi urbani e agricoli, città e piccoli centri urbani, poca presenza umana ma molte tracce dell’uomo. Uno sguardo sul paesaggio antropizzato che ricorda quello dello storico gruppo dei New topographics – da Lewis Baltz ai coniugi Becher per limitare le citazioni ai nomi più noti – a cui sicuramente Johansson si è ispirato all’inizio della sua carriera ma da cui successivamente si è mosso per costruire uno sguardo proprio, all’apparenza distaccato ma in cui l’occhio attento riscontra una certa intimità e una ricorrenza di temi e simbologie propri dell’autore svedese.

Nelle fotografia di Johansson l’uomo è traccia, è ciò che fa e che ha fatto, ciò che resta nel paesaggio. E il paesaggio è ovunque arrivi lo sguardo del fotografo, camminatore e osservatore attento a quel microcosmo di elementi che fanno la differenza una volta individuati e contenuti nel perimetro dell’immagine. 

Ogni immagine vive di vita propria e chiede di essere letta nella sua individualità, svincolata da una narrazione rigida o premeditata. Ma allo stesso tempo Johansson tesse le fila di un discorso più ampio, ci riporta a casa ovunque ci troviamo, sia in Svezia, Germania o America. La sua casa, quella del suo sguardo.

Pur appartenendo a luoghi geograficamente distanti, le fotografie in mostra possiedono la capacità di restituire i frammenti di un universo che trova il modo di ricomporsi attraverso la dimensione autoriale del fotografo svedese. 

Comparabili a molte realtà appartenenti al territorio italiano,  le immagini presentate possiedono un valore iconico e invitano l’osservatore a decifrare, attraverso ogni singolo dettaglio, la visione d’insieme che avvicina al presente.

Il caratteristico uso del bianco e nero dai toni morbidi che, come un rituale, Johansson sviluppa e stampa rigorosamente in camera oscura, e la composizione precisa di ogni fotografia suggeriscono, nella loro combinazione, il superamento della dimensione soggettiva dell’immagine aperta ai molteplici aspetti del paesaggio contemporaneo. 

Accanto alle fotografie la mostra presenta una selezione della produzione editoriale di Johansson che raccoglie, ad oggi, più di trenta volumi. In mostra saranno esposte anche fotografie finora inedite. 

La mostra è organizzata in collaborazione con OMNE – Osservatorio Mobile Nord Est, Alma Mater Studiorum / Università di Bologna / Dipartimento di Architettura, Spazio HEA e Circolo Fotografico El Paveion di Castelfranco Veneto.

Dall’11 marzo al 3 aprile – Spazio Labò – Bologna

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Mostre: segnalazioni per marzo

Ciao,

anche a marzo vi segnaliamo diverse mostre interessanti. Date comunque alla nostra pagina per tutte le mostre in corso.

Anna

Ara Güler

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Una monografia dedicata al più importante rappresentante della fotografia creativa in Turchia, scomparso alla fine del 2018: Ara Güler.

Lucido osservatore della storia e società turca, Güler ha lasciato in eredità un archivio di oltre due milioni di foto, di cui una selezione di circa 80 immagini è in mostra, una grande retrospettiva dedicata in particolare alla città di Istanbul, una sezione è riservata ai ritratti di personaggi famosi tra i quali, Federico Fellini, Pablo Picasso, Salvator Dalì, Sophia Loren.

Nominato uno dei sette fotografi migliori al mondo dal British Journal of Photography Yearbook e insignito del prestigioso titolo di “Master of Leica”, il maestro turco Ara Güler approda a Roma con una mostra monografica dedicata ai suoi scatti in bianco e nero. La tappa romana arriva al Museo di Roma in Trastevere, dopo le esposizioni alla Galleria Saatchi a Londra, alla Galleria Polka a Parigi, al Tempio di Tofukuji a Kyoto, nell’ambito del vertice del G-20, e alla Alexander Hamilton Custom House a New York in concomitanza con l’Assemblea Generale dell’ONU, prima di continuare il suo percorso a Mogadiscio.

La mostra è composta in gran parte dalle fotografie di Istanbul scattate da Ara Güler a partire dagli anni ’50, periodo fondamentale in cui fu reclutato da Henri Cartier-Bresson per l’Agenzia Magnum e divenne corrispondente per il Vicino Oriente prima per Time Life nel 1956, e poi per Paris Match e Stern nel 1958. Le 45 vedute in bianco e nero della città presenti in mostra costituiranno una preziosa testimonianza di un’umanità ormai quasi cancellata dalla memoria e si affiancheranno ad una sezione, composta da 37 immagini in tutto, dedicata ai ritratti di personaggi importanti del mondo dell’arte, della letteratura, della scienza e della politica: da Federico Fellini a Sophia Loren, da Bernardo Bertolucci ad Antonio Tabucchi, da Papa Paolo VI a Winston Churchill.

Ara Güler era “un marchio globale” per la sua professione a tutti gli effetti – dichiara il Presidente Recep Tayyip Erdoğan – La sua maestria è comprovata dal fatto che tutti i personaggi più importanti degli ultimi 65 anni, che hanno lasciato un segno indelebile nella nostra memoria collettiva con le loro lotte politiche, la loro leadership come uomini di Stato, le loro idee, la loro arte e la loro sensibilità, furono immortalati dal suo obiettivo. È un motivo di grande orgoglio per l’intera nazione vedere le sue fotografie, scattate nel corso di una lunga carriera, che inizia nel 1950 e dura fino al suo ultimo respiro, esposte ancora oggi nelle sezioni più prestigiose di mostre, collezioni e raccolte in ogni angolo del mondo.

Il viaggio artistico di Ara Güler, che mise Istanbul, dove fu nato e cresciuto, al centro della sua vita e della sua arte, racchiude in sé una sintesi della nostra storia recente. Lo ricorderemo sempre con profondo rispetto come una delle più edificanti testimonianze della figura del “vero artista” nel nostro Paese, con il suo linguaggio originale, avvincente e prolifico, libero da ogni forma di bigottismo.

30/01 – 03/05/2020 – Museo di Roma in Trastevere

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JACQUES HENRI LARTIGUE. L’INVENZIONE DELLA FELICITA’. FOTOGRAFIE

Dal 29 febbraio al 12 giugno 2020 la Casa dei Tre Oci di Venezia ospita la più ampia retrospettiva mai organizzata in Italia, dedicata al fotografo francese Jacques Henri Lartigue (1894-1986). 

L’invenzione della felicità, curata da Marion Perceval e Charles-Antoine Revol, rispettivamente direttrice e project manager della Donation Jacques Henri Lartigue, e da Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci, è organizzata da Civita Tre Venezie e promossa da Fondazione di Venezia, in stretta collaborazione con la Donation Jacques Henri Lartigue di Parigi, con il patrocinio del Ministero della Cultura francese. 

La rassegna presenta 120 immagini, di cui 55 inedite, tutte provenienti dagli album fotografici personali di Lartigue, dei quali saranno esposte alcune pagine in fac-simile.

A queste si aggiungono alcuni materiali d’archivio che ripercorrono l’intera sua carriera, dagli esordi dei primi del ‘900 fino agli anni ’80 e ricostruiscono la storia di questo fotografo e la sua riscoperta. 

Il 1963 è in tale contesto un anno cruciale: John Szarkowski, da poco nominato direttore del dipartimento di fotografia del MoMa – il Museum of Modern Art di New York, espone i suoi lavori al Museo newyorkese, permettendogli di raggiungere il successo quando Lartigue è vicino ormai ai settant’anni.

Il percorso de L’invenzione della felicità si articola intorno a questi grandi momenti di riscoperta dell’opera di Lartigue, a cominciare dalla rassegna del museo newyorkese, durante la quale sono presentati i suoi primi scatti precedenti la Prima Guerra Mondiale, e che fanno di lui l’enfant prodige della fotografia. Ispirato dai giornali e dalle riviste illustrate di quest’epoca, Lartigue s’interessa alla ricca borghesia parigina che si ritrovava ai Grandi premi automobilistici, alle corse ippiche di Auteuil, oltre che agli uomini e alle donne eleganti che le frequentavano.

“La ‘parte di mondo’ di Lartigue – scrive Denis Curti nel suo testo in catalogo – è quella di una Parigi ricca e borghese del nouveau siècle, e anche quando l’Europa verrà attraversata dagli orrori delle due guerre mondiali, Lartigue continuerà a preservare la purezza del suo microcosmo fotografico, continuando a fissare sulla pellicola solo ciò che vuole ricordare, conservare. Fermare il tempo, salvare l’attimo dal suo inevitabile passaggio. La fotografia diventa per Lartigue il mezzo per riesumare la vita, per rivivere i momenti felici, ancora e ancora”.

A seguito del successo ottenuto con la mostra al MoMa, verso la fine degli anni ‘60, Lartigue incontra Richard Avedon e Hiro, due tra i più influenti fotografi di moda di allora, che si appassionano immediatamente alla sua arte.

Avedon, in particolare, gli propone presto di realizzare un lavoro che prenda la forma di un “giornale fotografico”, mostrando un po’ di più degli archivi di Lartigue. Aiutato da Bea Feitler, l’allora direttrice artistica di Harper’s Bazaar, pubblicano nel 1970 il Diary of a Century che lo consacra definitivamente tra i grandi della fotografia del XX secolo.

Tuttavia, Lartigue non è più da tempo il fotografo amatoriale di inizio secolo. Dagli anni ‘40 pubblica le sue fotografie su riviste, combinando i suoi incontri mondani e le inquadrature ricercate.

Dopo l’approfondimento del periodo della sua riscoperta, le ultime sezioni si concentrano sugli anni ‘70 e ‘80, segnati dalle collaborazioni con il mondo del cinema, dove lavora come fotografo di scena per numerosi film, e della moda. L’occhio di Lartigue, tuttavia, non riuscì mai ad allontanarsi dalla vita di tutti i giorni, immortalando sempre molti dettagli curiosi e carichi d’ironia.

Un interessante focus è inoltre riservato alle memorie che Lartigue scrisse negli anni ‘60 e ‘70, quando inizia a ricomporre i suoi album nei quali aveva raccolto tutti i suoi scatti.

Accompagna la rassegna un catalogo bilingue Marsilio Editori.

29.02 > 12.06.2020 – VENEZIA / TRE OCI

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SEBASTIANO SALGADO. EXODUS. IN CAMMINO SULLE STRADE DELLE MIGRAZIONI

È passata quasi una generazione da quando queste fotografie sono state esposte per la prima volta. Eppure, per molti aspetti il mondo che ritraggono è cambiato poco, visto che la povertà, i disastri naturali, la violenza e la guerra costringono ancora milioni di persone ogni anno ad abbandonare le loro case. In alcuni casi, vanno a finire in campi profughi che presto si espandono fino a diventare piccole città; in altri, sono pronti a investire tutti i risparmi, e perfino la vita, per inseguire il sogno di una mitica Terra Promessa. I migranti e i profughi di oggi sono senza dubbio il prodotto di nuove crisi, ma la disperazione e i barlumi di speranza che vediamo sui loro volti non sono poi molto diversi da quelli documentati in queste immagini.

Quasi tutto ciò che accade sulla Terra è in qualche modo collegato. Siamo tutti colpiti dal crescente divario tra ricchi e poveri, dalla crescita demografica, dalla meccanizzazione dell’agricoltura, dalla distruzione dell’ambiente, dal fanatismo sfruttato a fini politici. Le persone strappate dalle loro case sono solo le vittime più visibili di un processo globale.

Le fotografie che qui presentiamo catturano i momenti tragici, drammatici ed eroici di singoli individui. Eppure, tutte insieme, ci raccontano anche la storia del nostro tempo. Non offrono risposte, ma al contrario pongono una domanda: nel nostro cammino verso il futuro non stiamo forse lasciando indietro gran parte del genere umano?

Lélia Wanick Salgado

Dal 08 Febbraio 2020 al 14 Giugno 2020 – Pistoia – Palazzo Buontalenti / Antico Palazzo dei Vescovi

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GANGA MA. GIULIO DI STURCO

La fotografia torna protagonista alla Fondazione Stelline, che apre la propria stagione espositiva 2020 con la mostra di Ganga Ma. Giulio Di Sturco(Roccasecca – FR , 1979), a cura di Eimear Martin, dal 6 febbraio al 22 marzo 2020.

Ganga Ma è il frutto di una ricerca fotografica decennale sul fiume Gange che documenta gli effetti devastanti dell’inquinamento, della industrializzazione e dei cambiamenti climatici. Il progetto segue il fiume per oltre 2.500 miglia, dalla sua sorgente nel ghiacciaio del Gangotri, situato nella catena dell’Himalaya, fino alla foce nel Golfo del Bengala, in Bangladesh. Il risultato è una riflessione filosofica per immagini che presagisce un futuro non troppo lontano, consentendoci di percepire l’incombenza di un mondo tossico e post-apocalittico.

Ganga Ma è iniziato come progetto documentario a lungo termine, concepito come testimonianza dello svolgimento di un disastro ecologico in corso. Tuttavia, nel processo creativo Giulio Di Sturco ha modellato un vero e proprio linguaggio visivo, capace di mostrarsi sensibile ai cambiamenti già avvenuti sul Gange e di indagare il paesaggio in cerca di segni di ciò che ci aspetta. Il Gange è un esempio emblematico della contraddizione irrisolta tra uomo e ambiente, poiché è un fiume intimamente connesso con ogni aspetto – fisico e spirituale – della vita indiana.
Giulio Di Sturco ci invita a entrare nell’opera e dopo l’iniziale stordimento dell’immagine seducente e poetica, che rivela la maestosità della natura dalla prospettiva del fiume e delle sue rive, a vedere la sua tossicità, l’effetto devastante della industrializzazione ma anche dei cambiamenti climatici e dell’urbanizzazione.

La mostra è accompagnata dalla omonima monografia (Gost Books, 2019), con un bellissimo saggio introduttivo di Vandana Shiva, scrittrice e ambientalista indiana, tra i principali leader dell’International Forum on Globalization, e della curatrice.

Dal 06 Febbraio 2020 al 22 Marzo 2020 Milano Palazzo delle Stelline

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Cesare Colombo. Fotografie/Photographs  1952-2012

Il Comune di Milano e il Civico Archivio Fotografico rendono omaggio con una grande mostra a Cesare Colombo, uno dei principali fotografi e studiosi della fotografia del Novecento. Curatore di importanti mostre e animatore di dibattiti, sin dal Dopoguerra ha contribuito a far crescere in modo significativo la cultura fotografica in Italia. La rassegna dal titolo Cesare Colombo. Fotografie/Photographs  1952-2012 è curata da Silvia Paoli, con Sabina e Silvia Colombo, oggi responsabili dell’Archivio di Colombo e si tiene dal 21 febbraio al 14 giugno 2020 alla Sala Viscontea del Castello Sforzesco.

Quasi quarant’anni, una vita, dedicati da un fotografo a vedere Milano, grande città italiana e nello stesso tempo simbolo di una qualsiasi grande città del mondo.  

Scriveva così Corrado Stajano nel 1990 sul catalogo Alinari che accompagnava la prima grande mostra milanese di Cesare Colombo, allestita all’Arengario.Dopo tre decenni una nuova rassegna riprende e completa l’eredità lasciata per restituire un nuovo affresco dell’attività fotografica dedicata da Colombo alla sua città, nella quale le foto più conosciute si uniscono a immagini inedite e a vere e proprie riscoperte d’archivio.

A partire dal corpus di fotografie recentemente entrate a far parte delle collezioni del Civico Archivio Fotografico del Castello Sforzesco, la mostra restituisce la sua visione coinvolgente e appassionata della metropoli lombarda. Il percorso comprende oltre 100 fotografie esemplificative dell’intera carriera di Colombo, divise in sei sezioni, dove la città viene descritta nei suoi molteplici aspetti culturali, politici e sociali e offre un vivido racconto biografico lungo sessant’anni (1952-2012) di sviluppo urbano, trasformazioni del lavoro e mutamenti del tessuto sociale. Il mondo delle fabbriche e le manifestazioni sindacali, le rivolte studentesche e le periferie, ma anche uno sguardo attento su una città in continuo cambiamento, che produce e crea: le fiere e i negozi,  la moda e il design, l’arte e lo spettacolo. Punti di vista di una città ‘abitata’ di uno dei suoi più attivi interpreti.

L’allestimento e la grafica di Italo Lupi,  aiuteranno il visitatore a ricostruire la figura di Cesare Colombo nella sua complessità. In mostra un tavolo biografico, lungo venticinque metri, ricostruirà la vita di Cesare Colombo dalla sua formazione giovanile, ai primi lavori, ai progetti di comunicazione pubblicitaria, alla sua vita familiare, alle sue molte collaborazioni con l’editoria, all’impegno politico e ai suoi impegni culturali.

Un affresco coloratissimo che fa da contraltare al rigore delle fotografie in bianco e nero, affiancato da un altro lungo tavolo più sobrio di colori e grafica, con brani di suoi scritti e citazioni di differenti testi critici e letterari.

Il catalogo a cura di Silvia Paoli, edito da Silvana (Italiano-Inglese) contiene il saggio critico del curatore (Oltre i bordi dell’inquadratura. Cesare Colombo 1935-2016, fotografo, storico, critico), una sezione dedicata all’allestimento con una nota di Italo Lupi e ricchi apparati bio-bibliografici a cura di Sofia Brugo.Tutte le fotografie sono riprodotte nel volume divise secondo le sezioni della mostra:  Album Metropolitano, Stagioni di lotta, Offerte di lavoro, Ingresso Libero, La città della moda e del design, Arte in scena.

L’esposizione e il catalogo sono l’esito di un lungo lavoro di ricerca il cui intento è di contribuire alla conoscenza di questo importante autore della fotografia italiana, aprendo anche nuovi orizzonti di studio.

dal 21 febbraio al 14 giugno 2020 – Sala Viscontea del Castello Sforzesco – Milano

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Le mostre di Closer – Dentro il Reportage

La quarta edizione del festival di fotografia sociale Closer – Dentro il Reportage torna a Bologna da venerdì 13 a domenica 15 marzo 2020 tra mostre, incontri, workshop e letture portfolio.

Negli spazi di QR Photogallery (via Sant’Isaia 90) e nel vivaio urbano Senape (Via Santa Croce 10/ABC), Closer apre spazi di visibilità per fotografi e temi –selezionati tra le numerose proposte della open call provenienti da diverse parti del mondo–  e promuove occasioni di confronto e formazione, tra internazionalità e territorio. Con Closer il mezzo fotografico si fa portavoce di istanze rilevanti e attuali, che arrivano dai diversi angoli del mondo nella città di Bologna a suscitare riflessioni condivise per una società inclusiva.

Venerdì 13 marzo alle ore 18.30 negli spazi di QR Photogallery, fondata dall’associazione TerzoTropico nell’affascinante quadriportico dell’ex-ospedale psichiatrico Roncati (Via Sant’Isaia 90, Bologna), Closer – Dentro il Reportage inaugura la mostra collettiva dei fotografi selezionati tramite open call.

La quarta edizione del festival parte da lontano, dalla città di Lahore (Pakistan), protagonista di For the Love of Lahore, del fotografo Aun Raza: registrazione diretta sebbene metaforica di una città in via di disintegrazione ambientale e sociale, il reportage vuol essere al tempo stesso un antidoto ai poteri nefasti nelle cui mani Lahore è caduta. I panorami della città entrano quindi in risonanza e creano dittici mentali con i ritratti di musicisti, poeti, scrittori, artisti, artigiani, attivisti, che rappresentano il tessuto e l’anima della Lahore che cerca di resistere, di mantenere apertura, curiosità, amore per il dialogo.

Dalla città del Pakistan ci si sposta a Quito, la capitale dell’Ecuador costruita nel mezzo delle Ande, dove Chiara Negrello ha realizzato il progetto fotografico Recicladoras, che riflette sui temi della condizione femminile e dell’ecologia mostrando il lavoro –spossante, denigrato, rischioso– di donne che, dalle 6 del pomeriggio alle 3 del mattino, raccolgono più immondizia possibile prima che passi il camion per la raccolta dei rifiuti, per guadagnare pochi dollari al mese vendendo a privati il materiale salvato dagli scarti.

Ancora America Latina per Vita e morte – rapsodia messicana in cui Giuseppe Cardoni narra per immagini i rituali nel Dia de Los Muertos: dal 31 ottobre al 2 novembre i cimiteri diventano un’esplosione di vita, il lutto è esibito con suoni, costumi, musiche, danze, colori ma anche con maschere e presenze inquietanti, per esorcizzare la paura, rendere familiare e amica la morte. Una persistenza contemporanea delle culture pre-colombiane, nonostante il tentativo di soffocamento da parte delle dominazioni spagnole e della Chiesa.

Con Anima Nera di Claudio Rizzini Closer torna in Italia e testimonia l’avanzare del neofascismo, di quel «cuore di tenebra che è tornato a battere dal passato», come lo definisce il fotoreporter bresciano che documenta gli eventi di piazza, le periferie, i raduni segreti in cui il cameratismo, le dimostrazioni di forza, la xenofobia e lo slancio patriottico riempiono spazi vuoti e solitudini.

Di segno opposto è Nomadelfia descritta in immagini da Enrico Genovesi: un piccolo popolo comunitario, in un villaggio nei dintorni di Grosseto, con una sua Costituzione che si basa sul Vangelo. Una comunità fondata nel 1948 nell’ex campo di concentramento di Fossoli da don Zeno Saltini con lo scopo di «dare un papà e una mamma ai bambini abbandonati» come racconta il fotografo toscano, che dal 1984 si dedica prevalentemente a reportage a sfondo sociale su storie italiane.

Le mostre, che saranno visitabili fino al 4 aprile dal lunedì al sabato dalle ore 9 alle 19, al termine di Closer saranno esposte al festival di fotografia indipendente Stop di Parma.

Contestualmente all’inaugurazione della mostra collettiva dei 5 reportage vincitori, il 13 marzo ci sarà l’apertura della mostra dedicata alle foto singole –anch ‘esse selezionate tramite open call– dei fotografi Nicola Zolin, Ignazio Sfragara, Emanuela Caiazza, Daniele Stefanizzi, Vincenzo Di Pilato.

Sabato 14 marzo alle ore 20.30 da Senape Vivaio Urbano (via Santa Croce 10/ABC, Bologna) sarà infine inaugurata la mostra The Wretched and the Earth di Gabriele Cecconi: un intenso reportage sulla drammatica condizione della popolazione musulmana Rohingya a Cox’s Bazar, nel sud del Bangladesh.

Dal 13 marzo al 4 aprile – QR Photogallery e Senape – Bologna

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LA GUERRA TOTALE

In occasione del 75° della fine della Seconda Guerra Mondiale, avvenuta ufficialmente il 1° maggio in Italia, l’8 maggio in Europa e il 2 settembre nel Pacifico, l’esposizione fotografica racconta la storia del più devastante conflitto che l’uomo abbia mai conosciuto attraverso le fotografie più suggestive e famose degli Archivi di Stato americani – National Archives and Records Administration, Library of Congress, US Navy, US Marines Corp, US Army, etc.  Composta di circa 60 immagini, la mostra ripercorre infatti tutti i principali eventi del Secondo Conflitto Mondiale sui fronti europei, nord africani e del Pacifico: l’invasione della Francia e i bombardamenti sulla Gran Bretagna, l’attacco a sorpresa di Pearl Harbor e l’invasione della Russia, la guerra in Nord Africa e la riconquista isola per isola dell’Oceano Pacifico, i campi di sterminio e la riduzione in schiavitù di milioni di Europei per sostituire i Tedeschi al fronte nelle fabbriche, i movimenti di liberazione e le punizioni ai collaborazionisti, la guerra in Italia e il D-Day, la sconfitta dei Tedeschi e le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, la resa del Giappone e la caccia ai gerarchi nazisti.

L’esposizione fa parte del progetto History & Photography, che ha per obiettivo raccontare la Storia con la Fotografia (e la Storia della Fotografia) valorizzando e rendendo fruibili al grande pubblico e ai più giovani gli archivi storico fotografici italiani e internazionali pubblici e privati. Alle scuole e ora anche ai privati sono proposte visite guidate, foto-proiezioni e l’innovativa possibilità di utilizzare in classe le immagini della mostra (anche una volta terminata) tramite un link riservato e una password a tempo – una soluzione inedita per rendere concreto il concetto di scuola digitale e connessa

​15 febbraio – 27 giugno 2020 – La Casa di Vetro – Milano

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Peterson – Lavine – Come as you are,  Kurt Cobain and the Grunge Revolution

Oltre 80 foto, tra cui alcune inedite, per ripercorrere la storia della scena musicale grunge e quella del suo eroe indiscusso, Kurt Cobain, simbolo della controcultura americana degli anni ’90, tra la fine della guerra fredda e l’illusione della New Economy.
Dal 7 marzo al 14 giugno 2020, a Firenze, Palazzo Medici Riccardi ospita la mostra fotografica “Peterson – Lavine. Come as you are: Kurt Cobain and the Grunge Revolution”. A cura di ONO arte contemporanea, l’esposizione è organizzata e promossa da OEO Firenze Art e Le Nozze di Figaro, in collaborazione con Città Metropolitana di Firenze, Comune di Firenze e  Mus.e.
“A ventisei anni dalla morte di Kurt Cobain, il mito dei Nirvana non tende a svanire  e continua ad avere una forza comunicativa ed espressiva che riesce a far breccia nelle più giovani generazioni facendo palpitare il cuore a chi ha vissuto negli anni ’90 la loro saga”.

Due le sezioni: da un lato le immagini di Charles Peterson, fotografo ufficiale della Sub Pop Records, sulla nascita dei Nirvana, i concerti e la scena grunge di Seattle. Dall’altro gli scatti di Michael Lavine, celebre fotografo pubblicitario, tratti da servizi posati e immagini per riviste. Un accostamento inedito che immerge il pubblico nella fascinazione di quei giorni straordinari, dove i fan erano parte integrante di una rivoluzione musicale, e non solo.

Michael Lavine immortala i Nirvana in studio in quattro diversi momenti, dai mesi della loro prima formazione, fino agli anni del successo mondiale, quando accanto al leader della band c’era la moglie Courtney Love: scatti che sono diventati simbolo di un’era. La sua amicizia con Cobain gli permette di creare una vera registrazione visiva del gruppo, che accompagna in studio in tutti i diversi momenti della propria parabola, fino a pochi giorni dalla scomparsa del suo leader.
L’apporto di Charles Peterson risulta invece fondamentale non solo per la storia dei Nirvana ma anche per la nascita del grunge. Utilizzando uno stile personale crea un proprio marchio di fabbrica, inconfondibile: i suoi flash, molto potenti per poter squarciare il buio dei club, al tempo stesso sono in grado di isolare i soggetti in modo classico e iconico; il suo è un Cobain ritratto in immagini intime, che pienamente mostrano come il peso del successo avesse provato l’artista.

E ancora, immagini di Pearl Jam, Soundgarden, Mudhoney… L’esposizione apre a tutta la scena musicale di Seattle di fine millennio, immortalando un periodo fondamentale e recente della storia americana: la crisi dell’edonismo reaganiano, le nuove periferie (e le sue controculture) e l’incipiente New Economy che proprio a Seattle genererà i suoi colossi.

“Come as you are” è una mostra sound e vision, nelle cui immagini evocative più generazioni si potranno riconoscere, rivivendo illusioni, speranze e quello stile che agli sgoccioli del secondo millennio le hanno viste identificarsi in una colonna sonora e nei suoi eroi.

Dal 7 marzo al 14 giugno – Palazzo Medici Riccardi Firenze

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Masculinities – Liberation through Photography

Through the medium of film and photography, this major exhibition considers how masculinity has been coded, performed, and socially constructed from the 1960s to the present day.

Examining depictions of masculinity from behind the lens, the Barbican brings together the work of over 50 international artists, photographers and filmmakers including Laurie Anderson, Sunil Gupta, Rotimi Fani-Kayode, Isaac Julien and Catherine Opie.

In the wake of #MeToo the image of masculinity has come into sharper focus, with ideas of toxic and fragile masculinity permeating today’s society. This exhibition charts the often complex and sometimes contradictory representations of masculinities, and how they have developed and evolved over time. Touching on themes including power, patriarchy, queer identity, female perceptions of men, hypermasculine stereotypes, tenderness and the family, the exhibition shows how central photography and film have been to the way masculinities are imagined and understood in contemporary culture.

20 Feb — 17 May 2020 – Barbican Art Gallery – London

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WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR

La 55esima edizione della mostra Wildlife Photographer of the Year debutterà in anteprima per l’Italia ancora una volta al Forte di Bard dal 1° febbraio al 2 giugno 2020.

Un emozionante percorso espositivo che ripercorre gli scatti più spettacolari realizzati nel 2019: 100 immagini che testimoniano il lato più affascinante del mondo animale e vegetale, spaziando da sorprendenti ritratti rubati ai più sublimi paesaggi del nostro pianeta.

Vincitore del prestigioso titolo Wildlife Photographer of the Year 2019 è il fotografo cinese Yongqing Bao con lo scatto “The Moment”. L’immagine ritrae lo scontro tra una volpe e una marmotta, uscita dalla sua tana dopo il letargo, sull’altopiano del Qinghai, in Tibet. La foto cattura il dramma e l’intensità della natura: il potere del predatore che mostra i suoi denti, il terrore della sua preda, l’intensità della vita e della morte scritte sui loro volti.

Il quattordicenne Cruz Erdmann, Nuova Zelanda, invece, ha ricevuto il premio per lo Young Wildlife Photographer of the Year 2019con il suo scatto “Night glow”, fatto durante una immersione notturna al largo di Sulawesi, in Indonesia. L’immagine raffigura un calamaro durante un corteggiamento. Tra i vincitori anche due italiani: il giovane Riccardo Marchegiani con “Early riser”, categoria 15-17 anni, e l’altoatesino Manuel Plaickner con “Pondworld”, per la categoria Behaviour: Amphibians and Reptiles.
Protagonista dello scatto di Riccardo Marchegiani una femmina di babbuino Gelada con il suo cucciolo all’alba su un altopiano nel Parco Nazionale del Simien in Etiopia, dove era andato con suo padre e un suo amico. La foto di Manuel Plaickner, invece, immortala delle rane comuni in uno stagno durante il periodo dell’accoppiamento. Il fotografo ha seguito ogni primavera, per oltre un decennio, la migrazione di massa delle rane in Alto Adige.

Altri tre fotografi italiani hanno ricevuto la menzione highly commended in quanto parte delle cento immagini finaliste del concorso fotografico: Stefano Unterthiner (categoria ‘Animals in their Environment’), Lorenzo Shoubridge (categoria ‘Behaviour: Invertebrates’) e Roberto Zanette (categoria ‘Earth’s Environments’).

Dal 01 Febbraio 2020 al 02 Giugno 2020 – Forte di Bard – Aosta

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UNIFORM INTO THE WORK/OUT OF THE WORK 

UNIFORM INTO THE WORK/OUT OF THE WORK è il nuovo progetto espositivo della Fondazione MAST curato da Urs Stahel e dedicato alle uniformi da lavoro, che attraverso oltre 600 scatti di grandi fotografi internazionali mostra le molteplici tipologie di abbigliamento indossate dai lavoratori in contesti storici, sociali e professionali diversi. Nate per distinguere chi le indossa, le uniformi da un lato mostrano l’appartenenza a una categoria, a un ordinamento o a un corpo, senza distinzioni di classe e di censo, dall’altro possono evidenziare una separazione dalla collettività. Le parole italiane “uniforme” e “divisa” evocano, allo stesso tempo, inclusione ed esclusione.

UNIFORM INTO THE WORK/OUT OF THE WORK comprende una mostra collettiva sulle divise da lavoro nelle immagini di 44 fotografi e un’esposizione monografica di Walead Beshty, che raccoglie centinaia di ritratti di addetti ai lavori del mondo dell’arte incontrati dall’artista nel corso della sua carriera, per i quali l’abbigliamento professionale, estremamente differenziato e individualistico, rispetta una sorta di tacito codice dell’anti-uniforme.

Artisti in mostra:

PAOLA AGOSTI, SONJA BRAAS, SERGEY BRATKOV, MANUEL ÁLVAREZ BRAVO, ULRICH BURCHERT, SONG CHAO, CLEGG & GUTTMANN, HANS DANUSER, BARBARA DAVATZ, RINEKE DIJKSTRA, ALFRED EISENSTAEDT, WALKER EVANS, ARNO FISCHER, ROLAND FISCHER, ANDRÉ GELPKE, WERONIKA GESICKA, BRAD HERNDON, LIU HEUNG SHING, GRACIELA ITURBIDE, TOBIAS KASPAR, HERLINDE KOELBL, HIROJI KUBOTA, L.G. ROSE COMMERCIAL PHOTOGRAPHER, ERICH LESSING, DANNY LYON, DOUG MENUEZ, MARIANNE MUELLER, NASA PHOTOGRAPHS, HELGA PARIS, PAOLO PELLEGRIN, IRVING PENN, ANDRI POL, MARION POST WOLCOTT, TIMM RAUTERT, HERBERT RITTS, JUDITH JOY ROSS, SEBASTIÃO SALGADO, AUGUST SANDER, OLIVER SIEBER, HITOSHI TSUKIJI, ALBRECHT TÜBKE, FLORIAN VAN ROEKEL, STEPHEN WADDELL

Dal 25 gennaio al 3 marzo – Mast Gallery Foyer – Bologna

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GIANNI BERENGO GARDINCOME IN UNO SPECCHIO

Inaugura l’11 febbraio alle 18.30 a Forma Meravigli, Milano, la mostra di Gianni Berengo Gardin “Come in uno specchio. Fotografie con testi d’autore”, un progetto espositivo prodotto da Contrasto in collaborazione con Fondazione Forma per la Fotografia. Un omaggio a Gianni Berengo Gardin che viene proposto nella sua città d’adozione, Milano, nell’anno del suo novantesimo compleanno.

Accompagna l’esposizione il volume “Vera fotografia” edito da Contrasto – Official Fan Page.

12 febbraio – 5 aprile 2020 – FORMA MERAVIGLI – Milano

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PhotoAnsa 2019

Si trasforma in progetto espositivo il volume fotografico PhotoAnsa che raccoglie le immagini più significative dell’anno dei grandi fatti di attualità in Italia e nel mondo, realizzate dai fotografi della principale agenzia stampa del nostro Paese.

Oltre cento le immagini in mostra al Forte di Bard dall’8 febbraio al 7 giugno 2020 suddivise in dodici sezioni tematiche che toccano moltissimi temi: le tragedie dei migranti, le campagne di sensibilizzazione dei giovani di tutto il mondo in piazza con la giovane attivista Greta Thunberg contro il cambiamento climatico, la città di Genova un anno dopo il disastro del ponte Morandi, il rogo della cattedrale di Notre-Dame a Parigi, l’odissea delle famiglie al confine messicano davanti al grande muro di Trump, il nuovo Parlamento europeo, Parigi sotto assedio per le proteste dei gilet gialli.
In mostra trovano spazio anche le grandi imprese sportive dell’anno che si è appena concluso: la travolgente nazionale femminile di calcio, la nuotatrice dei record Federica Pellegrini e il boom degli eSports.

Il progetto – inedito ed in anteprima assoluta per l’Italia – è frutto di una collaborazione tra Agenzia Ansa e Forte di Bard.

8 Febbraio 2020 – 7 Giugno 2020 – Forte di Bard – Aosta

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+D1 – Ritratti corali – Marina Alessi

Un ritratto (fotografico) è fatto di tante ‘p’: posa, psicologia, pazienza, professione e professionalità, protagonisti, punctum… È il risultato dell’attimo in cui si consuma una performance che contiene una discreta varietà di emozioni e di sfaccettature prismatiche, riflesso della personalità degli attori: davanti e dietro l’obiettivo. C’è anche chi lo paragona a un passo di danza, quando i soggetti sono due, presupponendo l’abbraccio, l’armonia, il trasporto e la complicità. Per Roland Barthes è un campo chiuso di forze. Il noto critico e semiologo francese ne parla in uno dei suoi saggi più noti, La camera chiara. Nota sulla fotografia (1980). “Quattro immaginari vi s’incontrano, vi si affrontano, vi si deformano. Davanti all’obbiettivo, io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte”. Parole che sono la sintesi eloquente di come la fotografia debba essere sempre considerata la traccia visibile della soggettività di uno sguardo. Per Marina Alessi quello sguardo traduce innegabilmente una scelta professionale che risale alla fine degli anni Ottanta, in cui si è delineato sempre più chiaramente l’orientamento di ricerca nell’ambito autoriale. Ideale proseguimento della performance fotografica della Black Room, realizzata al MACRO Asilo di Roma nel novembre 2019, con Legàmi e il precedente Legàmi al femminile, il progetto +D1 – Ritratti corali entra nello spazio della Galleria Gallerati con una nuova serie di ritratti fotografici che va a implementare un repertorio che contempla donne, uomini, coppie, famiglie (con o senza bambini e animali domestici), generazioni a confronto. La fotografa ha ritratto Daniele Di Gennaro con Luca Briasco della casa editrice Minimun Fax, Mario Tronco con tre musicisti dell’Orchestra di piazza Vittorio, Chicco Testa con Marco Tardelli e, tra i numerosi altri, Emiliano Ponzi con Stefano Cipolla e Sonia (Zhou Fenxia) con la sua famiglia. Volti e corpi che attraverso il body language – si sfiorano, si abbracciano, si baciano – si fanno portavoce di storie personali che sconfinano nelle dinamiche psicologiche e sociali, restituendo al contempo il riflesso di un’idea (o di un ideale) che in parte è anche la traduzione di un dato reale. Ansie, trepidazioni, insicurezze, ma anche felicità, amore, condivisione, unione… in questi ritratti leggiamo stati d’animo, emozioni più o meno sfuggenti come raggi proiettati oltre una distanza di grandezze omogenee. È presente, naturalmente, anche la complicità nell’interazione della fotografa con il suo occhio intransigente e rigoroso, ma in fondo anche un po’ indulgente. “Ho sempre fotografato persone. Alla fine dei miei studi, per l’esame finale allo IED avevo fatto dei ritratti di una coppia di amici”, afferma Marina Alessi. “Mi piace la complicità che si crea con le persone che ritraggo e questa maniera di entrare in punta di piedi nel sentimento, nel legame. Soprattutto quando si tratta di ritratti di gruppo – famiglie con figli – ragiono molto in libertà. Non c’è la finzione della messa in posa. Anche per questo i miei ritratti rimangono classici, non di maniera: ritratti di cuore”. Cercare il punto d’incontro vuol dire mettersi in gioco, sia per i soggetti che per l’autrice. L’imprevisto è altrettanto importante, perché il momento – l’incontro – non è mai lo stesso. Può anche capitare che le persone recitino un ruolo, interpreti di un’idea di sé. In questi casi, pur nella consapevolezza delle strategie che sono in atto, la fotografa asseconda la volontà altrui. Inizia a fotografare e via via prova a lasciarsi andare in una direzione che chiama “dimensione di rotondità, di equilibrio geometrico e anche affettivo”. Quello di Alessi non è il tradizionale affanno nel cogliere illusoriamente ‘l’anima’ del soggetto che è di fronte a lei e al suo apparecchio fotografico, piuttosto a intercettare il suo sguardo è il momento che, come un’alchimia, sintetizza l’essenza dell’incontro tra gli esseri umani. Decisiva è la scelta di utilizzare un fondale neutro dove la presenza (o l’assenza) della gestualità pone gli attori su un unico piano. “L’incontro è un luogo neutro per tutti. Usciamo dalla messinscena e dal mostrare”. Diversamente dalla costruzione del ritratto di famiglia di cui parla anche Annie Ernaux nel romanzo Gli anni (2008), in cui la descrizione della foto che “inscrive la ‘famigliola’ all’interno di una stabilità di cui lei (quella ‘lei’ è la scrittrice stessa, immersa nel flusso di ricordi) ha predisposto la prova rassicurante a uso e consumo dei nonni che ne hanno ricevuto una copia”, il fondale a cui ricorre Marina Alessi, oltre a evitare distrazioni, riconduce l’immagine all’interno di confini atemporali in cui la sospensione è enfatizzata dall’utilizzo del linguaggio del bianco e nero. Eppure, alla dilatazione temporale prodotta dall’oggetto-ritratto fotografico corrisponde la necessità di tempi di lavoro piuttosto veloci, soprattutto quando l’azione è performante e la tensione del momento incalzante. Un procedimento che la fotografa ha affinato nel tempo, attraverso l’esperienza quasi decennale dei ritratti fotografici degli scrittori e dei personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo realizzati per Vanity Fair al Festivaletteratura di Mantova con la fotocamera Polaroid Giant Camera 50×60 e con la Linhof Technika con le lastrine 4×5. Marina Alessi porta fuori la sua ‘scatola vuota’ (ovvero lo studio), munita della fotocamera, del cavalletto, del fondale e del bank (o soft box) che garantisce una diffusione omogenea della luce e restituisce maggiore dettaglio al soggetto, pur conservando la qualità luminosa di morbidezza. È lì, in quella zona neutra, che avviene l’incontro. In fondo, come diceva Irving Penn, “fotografare una persona è avere una storia d’amore, per quanto breve”. (Manuela De Leonardis)

12 marzo – 9 aprile 2020 – Galleria Gallerati – Roma

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SEGNI E SOGNI D’ALPEPassione, orgoglio e resilienza – Marco Mazzoleni

“Segni e Sogni d’alpe. Passione, orgoglio e resilienza” è la mostra fotografica, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Bergamo che, da venerdì 21 febbraio fino a domenica 17 maggio 2020 ad ingresso libero, racconterà la montagna e la ricchezza del patrimonio gastronomico orobico attraverso l’obiettivo di Marco Mazzoleni nella splendida cornice della Sala delle Capriate di Palazzo della Ragione in Città Alta di Bergamo.   

In occasione del riconoscimento di Bergamo a Città Creativa per la Gastronomia – Unesco”, la rete creata nel 2004 dall’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura con lo scopo di promuovere la cooperazione tra le località che hanno identificato la creatività come elemento strategico per lo sviluppo urbano sostenibile, la mostra “Segni e Sogni d’alpe. Passione, orgoglio e resilienza” si focalizza sull’attenzione e sulla cura della realtà orobica di conservare e tramandare le tradizioni alle nuove generazioni in modo spontaneo e in maniera rispettosa verso l’ambiente attraverso una selezione straordinaria di 70 foto che parla di paesaggio, cultura gastronomica, tipicità ed eccellenze del nostro territorio (Orobie bergamasche, lecchesi e valtellinesi) e dialoga con il tema del disegno storicizzato del paesaggio. I territori ricchi di storia uniscono l’elevata biodiversità a una produzione agraria di qualità maturata da antiche tradizioni e da un equilibrio tra intervento dell’uomo e natura che conferisce ai luoghi una bellezza fatta di piccoli segni che cambiano al cambiare delle stagioni.

Cercare, trovare e interpretare questi segni aiuta a comprendere la storia, l’eleganza e la fragilità di un territorio che pur mantenendo un occhio al passato è rivolto al futuro per definire nuovi orizzonti e produrre innovazione e opportunità.

Il progetto vede il coinvolgimento di tre autori d’eccezione che hanno contribuito con i loro contenuti a sostenere la ricerca fotografica di Marco Mazzoleni: Roberto Mantovani (giornalista e storico dell’alpinismo), Prof. Renato Ferlinghetti (Professore di Geografia dell’Università degli studi di Bergamo) e Francesco Quarna (speaker di Radio Deejay, appassionato di alpinismo).

La mostra verrà presentata alla stampa giovedì 20 febbraio 2020 alle ore 11 presso la Sala della Capriate di Palazzo della Ragione di Città Alta di Bergamo.

21 febbraio – 17 maggio 2020 – PALAZZO DELLA RAGIONE – SALA DELLE CAPRIATE BERGAMO

Ecco le mostre di fotografia da non perdere a ottobre!

Ciao a tutti!

Eccoci, come tutti i mesi, al consueto appuntamento con le mostre. Di seguito trovate le mie segnalazioni per il mese di ottobre. Le mostre sono davvero tante e una più bella dell’altra!

Sulla pagina dedicata, trovate tutte le mostre in corso.

Anna

Sguardi (Dinamiche del volto) – AAVV

Dall’iconico ritratto di Marella Agnelli, il Cigno di Richard Avedon, all’ironia degli scatti di Gianni Berengo Gardin e Piergiorgio Branzi, ai miti dello spettacolo immortalati nelle fotografie di Federico Garolla ed Elliott Erwitt, alle interpretazioni più contemporanee e misteriose del tema nelle coloratissime opere di Bill Armstrong e Janet Sternburg, la mostra propone inoltre alcuni scatti di Sebastião Salgado e Marco Gualazzini, oltre a Martin Schoeller, quest’ultimo noto per i suoi a volte impietosi “close up”.

Il titolo della mostra è preso a prestito da un interessante saggio sull’argomento dello scrittore Paolo Donini, che si sofferma sull’etimologia della parola volto: “Viso deriva da visum, participio passato del verbo videre, e sta per cosa vista, immagine, visione apparizione. L’etimo è illuminante: visum è nella sua radice ciò che è visto; l’immagine. Il pittore nel dipingere il viso, dipinge il visum. Egli dichiara in arte ciò che è visto e l’immagine-volto diviene la sua dichiarazione di poetica. (…)

Volto deriva dal latino voltum, con una corrispondenza che alcuni studiosi allegano al gotico *uel che è vedere. (…) il volto si radica nel visum: in ciò che è visto, nel suo atto – il vedere – e nel suo oggetto – l’immagine. Vale a dire nel luogo e nell’atto specifici dell’arte visiva. Un’ultima ricognizione lessicale rimanda poi a volto come participio passato del verbo volgere.

Volto sta per rivolto, girato. In questa accezione, la pittura del volto è l’arte di ciò che è rivolto, girato, voltato. Legando infine le accezioni delle parole viso e volto nel loro disvelamento etimologico complessivo, ecco che la pittura di viso e di volto diverrà la pittura di ciò che è in vista e, ad un tempo, girato: la pittura del mistero di portare alla vista ciò che è voltato.(…) Ancora il volto si radica nel visum: in ciò che è visto, nel suo atto – il vedere – e nel suo oggetto – l’immagine. Vale a dire nel luogo e nell’atto specifici dell’arte visiva”.

Il ritratto inteso dunque come chiave di lettura delle specificità di un artista, pittore o fotografo,  come forma espressiva del sé attraverso il volto dell’altro.

dal 19 settembre al 23 dicembre 2019 – Forma Meravigli – Milano

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ELLIOTT ERWITT. FAMILY

Niente è più assoluto e relativo, mutevole, universale e altrettanto particolare come il tema della famiglia. La famiglia ha a che fare con la genetica, il sociale, il diritto, la sicurezza, la protezione e l’abuso; la felicità e l’infelicità. Mai come oggi è tutto ed il suo contrario, e niente è capace di scaldare di più gli animi, accendere polemiche, unire e dividere come il senso da attribuire al termine famiglia. Solido, eppure così delicato. Là, dove la parola si ferma o si espande a dismisura, può intervenire la fotografia, che sin dalla sua nascita tanto fu legata proprio a questo tema.
Il suo diffondersi nelle classi sociali della media borghesia accompagnava il desiderio di un racconto privato e personale degli eventi che ne segnavano le tappe: i ritratti degli avi, le nascite, i matrimoni, le ricorrenze, tutto condensato in quei volumi che nelle prime decadi dello scorso secolo arredavano il salotto buono. Gli album di famiglia.
Abbiamo chiesto ad uno dei più importanti fotografi viventi, che ha attraversato quasi un secolo, di crearne uno personale e pubblico, storico e contemporaneo, serissimo ed ironico e di dedicarlo in una anteprima assoluta al Mudec Photo. Questa la genesi della mostra, Elliott Erwitt. Family.
Elliott Erwitt, ha acconsentito e selezionato personalmente con Biba Giacchetti, curatrice della mostra, le immagini che a suo sentire avrebbero potuto illustrare alcune delle sfaccettature di questo inesprimibile e totalizzante concetto.

Elliott, che ha attraversato la storia del mondo, ci offre istanti di vita dei potenti della terra come Jackie al funerale di JFK, accanto a scene privatissime, come la celebre foto della bambina neonata sul letto, che poi è Ellen, la sua primogenita. La collezione selezionata per Mudec Photo alterna immagini ironiche a spaccati sociali, matrimoni nudisti, famiglie allargate, o molto singolari, metafore e finali aperti come la fotografia del matrimonio di Bratsk.
Come sempre Elliott Erwitt ci racconta i grandi eventi che hanno fatto la storia e i piccoli accidenti della quotidianità, ci ricorda che possiamo essere la famiglia che scegliamo, quella americana, ingessata e rigida che posa sul sofà negli anni Sessanta, o quella che infrange la barriera della solitudine eleggendo a membro l’animale prediletto. Famiglie diverse, in cui riconoscersi, o da cui prendere le distanze con un sorriso.
Un tema universale, che riguarda l’umanità, interpretato da Elliott Erwitt con il suo stile unico, potente e leggero, romantico o gentilmente ironico, cifra che ha reso questo autore uno dei fotografi più amati e seguiti di sempre.

Dal 16 ottobre 2019 al 15 marzo 2020 – Mudec Milano

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Le mostre del Festival della Fotografia Etica

Come di consueto, ormai da diversi anni, ad ottobre ci aspetta il Festival della Fotografia Etica a Lodi. Quest’anno ci proporranno ben 23 mostre con oltre 600 foto esposte ed il programma è quanto mai ricco.

Le sezioni proposte sono :

Spazio tematico con le mostre di Letizia Battaglia, Mariano Silletti e Terraproject, tra gli altri

Spazio approfondimento con la mostra di Monica Bulaj, Broken Songlines

Uno sguardo sul mondo, con le mostre dei fotografi AFP, Marco Zorxanello e Nick Hannes, tra gli altri

Il consueto Spazio No profit, quest’anno dedicato al vincitore della sezione dedicata del World Report Award, Giulio Piscitelli per Emergency

World Report Award che include tutti i vincitori delle varie categorie del concorso

Corporate for festival, per festeggiare i suoi 20 anni Banca Etica propone un’esposizione di immagini liberamente tratte dal proprio archivio storico

Spazio Ludesan Life, indagine sulla realtà degli immigrati nel territorio Lodigiano attraverso il potere delle immagini.

Potete comunque trovare tutto il programma del festival qua

Dal 5 al 27 ottobre – Lodi

WO | MAN RAY. Le seduzioni della fotografia

Dal 17 ottobre 2019 al 19 gennaio 2020, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia rende omaggio al grande maestro con la mostra WO | MAN RAY. Le seduzioni della fotografia che racchiuderà circa duecento fotografie, realizzate a partire dagli anni Venti fino alla morte (avvenuta nel 1976), tutte dedicate a un preciso soggetto, la donna, fonte di ispirazione primaria dell’intera sua poetica, proprio nella sua declinazione fotografica.

In mostra alcune delle immagini che hanno fatto la storia della fotografia del XX secolo e che sono entrate nell’immaginario collettivo grazie alla capacità di Man Ray di reinventare non solo il linguaggio fotografico, ma anche la rappresentazione del corpo e del volto, i generi stessi del nudo e del ritratto. Attraverso i suoi rayographs, le solarizzazioni, le doppie esposizioni, il corpo femminile è sottoposto a una continua metamorfosi di forme e significati, divenendo di volta in volta forma astratta, oggetto di seduzione, memoria classica, ritratto realista, in una straordinaria – giocosa e raffinatissima – riflessione sul tempo e sui modi della rappresentazione, fotografica e non solo.

Assistenti, muse ispiratrici, complici in diversi passi di questa avventura di vita e intellettuale sono state figure come quelle di Lee Miller, Berenice Abbott, Dora Maar, con la costante, ineludibile presenza di Juliet, la compagna di una vita a cui è dedicato lo strepitoso portfolio “The Fifty Faces of Juliet” (1943-1944) dove si assiste alla sua straordinaria trasformazione in tante figure diverse, in un gioco di affetti e seduzioni, citazioni e provocazioni.

Ma queste donne sono state, a loro volta, grandi artiste, e la mostra si concentrerà anche su questo aspetto, presentando un corpus di opere, riferite in particolare agli anni Trenta e Quaranta, vale a dire quelli della loro più diretta frequentazione con Man Ray e con l’ambiente dell’avanguardia dada e surrealista parigina.

Una mostra unica, dunque, sia per la qualità delle fotografie esposte, sia per il taglio innovativo nell’accostamento insieme biografico e artistico dei protagonisti di queste vicende. Un grande repertorio di immagini a disposizione del pubblico reso possibile grazie alla collaborazione con numerose istituzioni e gallerie nazionali e internazionali dallo CSAC di Parma all’ASAC di Venezia, dal Lee Miller Archive del Sussex al Mast di Bologna alla Fondazione Marconi di Milano. Realtà che hanno contribuito, tanto con i prestiti quanto con le proprie competenze scientifiche, a rendere il più esaustiva possibile tale ricognizione su uno dei periodi più innovativi del Novecento, con autentici capolavori dell’arte fotografica come i portfoli “Electricitè” (1931) e il rarissimo “Les mannequins. Résurrection des mannequins” (1938), testimonianza unica di uno degli eventi cruciali della storia del surrealismo e delle pratiche espositive del XX secolo, l’Exposition Internationale du Surréalisme di Parigi del 1938.

Dal 17 ottobre 2019 al 19 gennaio 2020-  CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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Le mostre di Colorno Photo Life

Ritorna ad ottobre il festival di Colorno Photo Life, giunto alla sua decima edizione.

Numerose le mostre proposte, tra cui vi segnaliamo in particolare:

LUIGI GHIRRI – IL LABIRINTO E LA SUA MAPPA, Luoghi dispersi salvati dalla bellezza, dalle collezioni CSAC

SARA MUNARI – POLVERE

FRANCESCO COMELLO – YO SOY FIDEL

LORENZO ZOPPOLATO – LA LUCE NECESSARIA

e nella location collegata di Palazzo Pigorini a Parma

MARCO GUALAZZINI – RESILIENT

Dal 18 al 20 ottobre 2019 – Reggia di Colorno (PR)

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Gerry JohanssonAmerica so far, 1962-2018

Mettete su un disco jazz, qualcosa come Kind of Blue di Miles Davis con il sassofono contralto di Cannonball Adderley, immaginate di essere nei primi anni ’60.

E’ mattina presto e seduto su un pullman dal New Jersey a New York c’è un adolescente svedese di nome Gerry Johansson. È qui che inizia il nostro viaggio.
È prima delle fotografie quadrate che conosciamo. Con le immagini di Paul Strand in mente, un adolescente Gerry Johansson trascorre le giornate vagando per la Grande Mela e scattando foto. Frequenta il Village Camera Club e ha portato dalla Svezia un ingranditore per sviluppare e stampare in camera oscura – cosa che fa e ama fare tutt’ora, sperimentando con diverse carte per trovare sempre il supporto perfetto per ogni immagine. (Allo stesso modo, costruisce da sé anche le cornici, dipingendole in tonalità di bianco leggermente diverse per abbinarle alle stampe)

Ma ora siamo nei primi anni settanta. Nel corso del tempo, Johansson assimila il lavoro di Lee Friedlander e Garry Winogrand, cui seguono William Eggleston e Robert Adams.
Gli Stati Uniti, la musica jazz e la cultura di questo paese, avranno una grande influenza su di lui. Tornerà a vivere in Svezia, viaggiando qui comunque spesso: sarà a Chicago nel 1976, attraverserà il paese dalla costa occidentale a quella orientale nel 1983. Nel 1993 è negli stati del sud. E altre visite seguiranno nel corso degli anni, scattando immagini che verranno pubblicate in diversi libri. L’ultimo, American Winter (MACK, 2018) raccoglie fotografie realizzate negli stati centro-occidentali tra il 2017 e il 2018: Kansas, Nebraska, South Dakota, North Dakota, Montana, Wyoming e Colorado.

Per la mostra di Milano, abbiamo chiesto all’autore di ripartire dal principio e di percorrere, appunto, un lungo viaggio, presentando una selezione di 32 immagini scattate negli Stati Uniti nell’arco di quasi 60 anni. E’ un viaggio incredibile e prezioso che comprende diversi formati e persino immagini a colori; dalla street photography dei primi anni ’60 ai paesaggi quadrati dove, pur mancando le persone, la presenza umana è fortemente percepita, perché Johansson fotografa l’effetto che gli uomini hanno sull’ambiente circostante. Come dice l’autore, “Tutto quello che fotografo è creato dall’uomo“.

La fotografia di Johansson è in gran parte guidata dall’intuizione ma poi organizzata con logica e un ordine rigorosi. In genere evita di creare storie, considera ogni immagine a sé stante, individuale. Questa mostra è una sorta di eccezione, ha un certo sottofondo jazz, evidente nella selezione che scorre armoniosamente attraverso una carriera straordinaria, includendo liberamente toni diversi che fanno risuonare in noi le immagini di Lee Friedlander o Mark Steinmetz, o di Robert Adams, per arrivare a un chiaro e definito stile Gerry Johansson.

Come diceva Charles Mingus: “Rendere complicato il semplice è cosa banale; trasformare ciò che è complicato in qualcosa di semplice, incredibilmente semplice: questa è creatività“.

20 settembre – 19 ottobre 2019 – Micamera – Milano

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Tutte le immagini dormono – Kensuke Koike

La poliedrica ricerca dell’artista giapponese Kenuske Koike (Nagoya, 1980) è protagonista di una mostra personale a Palazzo Zuckermann dove verranno esposti oltre trenta lavori realizzati manipolando delle fotografie vintage di gusto vernacolare come ritratti d’epoca, cartoline di paesaggi e immagini di famiglia. Il risultato è suggestivo, e a tratti destabilizzante, perché l’autore con un intervento minimale sovverte il senso originario delle fotografie rendendole surreali, ironiche e talvolta inquietanti. Il processo dell’artista è mosso – per citare le sue parole – dalla volontà di «scoprire dove nasce l’immaginazione e quando si manifesta». L’autore, attraverso la sua ricerca, rivela come ogni immagine «nasconde la potenzialità di diventare qualcosa d’altro, basta che ci si confronti con essa. Fino a quel momento tutte le immagini dormono attendendo l’occasione per rivivere modificate».
Le opere di Kensuke Koike entreranno in dialogo con Palazzo Zuckermann – pregiato museo di arti applicate e decorative – attraverso un allestimento che sfrutta una serie di teche che usualmente contengono manufatti e documenti antichi. Il visitatore si troverà così di fronte ad un display sospeso tra passato e presente, come le opere dell’artista che conferiscono una nuova ‘vita’ e delle suggestioni contemporanee a immagini prima dimenticate in cassetti domestici e mercatini d’antiquariato.

dal 21/09 al 27/10/2019 – Palazzo Zuckermann – Padova

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OBSOLETE & DISCONTINUED: THE EXHIBITION

Il 20 settembre 2019 alle 19:00 Magazzini Fotografici dà il via ad una nuova grande stagione di mostre portando nelle sue sale Obsolete & Discontinued, un progetto che attraverso la raccolta di materiali fotografici di scarto, restituisce nuova vita alla fotografia analogica considerata obsoleta.

Nel marzo 2015 il fotografo e stampatore inglese Mike Crawford riceve in regalo da un cliente una grossa quantità di carta e film fotografici obsoleti: numerose scatole e pacchetti, la maggior parte dei quali vecchi oltre i 20-30 anni, andati da molto tempo fuori produzione. La carta fotografica ha una durata di conservazione solitamente limitata ma con grande stupore, dopo aver effettuato alcuni test, Crawford si rende conto che i risultati ottenuti sono invece incoraggianti. Le carte che sembravano inutilizzabili e degradate rispondevano bene alle tecniche di stampa moderne.

Ed è per questo motivo che decide di dare il via al progetto Obsolete&Discontinued: Crawford chiama a raccolta oltre 50 grandi nomi della fotografia e dell’arte, affinché accettassero la sfida di produrre nuovi lavori usando quella carta destinata al macero.

Tra i fotografi partecipanti:  Melanie King, Jaden Hastings, Yaz Norris, Joan Teixidor ,Angela Easterling, Peter Moseley, Tina Rowe, Helen Nias, Andrew Whittle, Brian Griffin, Robin Gillanders, Hiro Matsuoka, Gabriela Mazowiecka, Rosie Holtom, David Bruce, Andrew Firth, Borut Peterlin, Guillaume Zuili, Jim Lister, Nicola Jane Maskrey, Andy Billington, Asya Gefter, Beth Dow, Wolfgang Moersch, Anna C. Wagner and Tobias D. Kern, Andres Pantoja, Morten Kolve, Debbie Sears, Keith Taylor, Tanja Verlak, Joakim Ahnfelt, Sheila McKinney, Joachim Falck-Hansen, Laura Ellenberger, Sebnem Ugural, Anna C. Wagner, Laurie Baggett, Douglas Nicolson, Andrew Chisholm, Angela Easterling, Constanza Isaza Martinez, Molly Behagg, Mike Crawford, Claus Dieter Geissler, Ky Lewis, Myka Baum, Hannah Fletcher, Holly Shackleton, Madaleine Trigg, Brittonie Fletcher, Daniel P. Berrange, Andrej Lamut, Jacqueline Butler, Evan Thomas, Guy Paterson, Almudena Romero. Le opere riconsegnate erano state sviluppate con i processi più disparati come gelatina d’argento, litografia, collodio umido, carta negativa e diverse tecniche ibride analogiche e digitali, componendo un progetto che esalta totalmente il potenziale unico della fotografia analogica.

Dal 20 settembre al 3 novembre 2019 – Magazzini Fotografici – Napoli

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Leggere – Steve McCurry

L’esposizione presenta 70 immagini del fotografo statunitense, dedicate alla passione universale per la lettura, che ritraggono persone, còlte in ogni angolo del mondo, nell’intimo atto di leggere.

Dal 13 settembre 2019 al 6 gennaio 2020, la Sala Mostre delle Gallerie Estensi di Modena ospita la mostra Leggere di Steve McCurry, uno dei fotografi più celebrati a livello internazionale per la sua capacità d’interpretare il tempo e la società attuale.

L’esposizione, promossa dalle Galleria Estensi Modena, organizzata da Civita Mostre e Musei, curata da Biba Giacchetti, con i contributi letterari dello scrittore Roberto Cotroneo, presenta 70 immagini, dedicate alla passione universale per la lettura, realizzate dall’artista americano (Philadelphia, 1950) in quarant’anni di carriera e che comprendono la serie che egli stesso ha riunito in un volume, pubblicato come omaggio al grande fotografo ungherese André Kertész, uno dei suoi maestri.

Gli scatti ritraggono persone di tutto il mondo, assorte nell’atto intimo di leggere, còlte dall’obiettivo di McCurry che testimoniano la sua capacità di trasportarle in mondi immaginati, nei ricordi, nel presente, nel passato e nel futuro e nella mente dell’uomo.

I contesti sono i più vari, dai i luoghi di preghiera in Turchia, alle strade dei mercati in Italia, dai rumori dell’India ai silenzi dell’Asia orientale, dall’Afghanistan a Cuba, dall’Africa agli Stati Uniti. Sono immagini che documentano momenti di quiete durante i quali le persone si immergono nei libri, nei giornali, nelle riviste. Giovani o anziani, ricchi o poveri, religiosi o laici; per chiunque e dovunque c’è un momento per la lettura.

In una sorta di percorso parallelo, le fotografie sono accompagnate da una serie di brani letterari scelti da Roberto Cotroneo. Un contrappunto di parole dedicate alla lettura che affiancano gli scatti di McCurry, coinvolgendo il visitatore in un rapporto intimo e diretto con la lettura e con le immagini.

La mostra è completata dalla sezione Leggere McCurry, dedicata ai libri pubblicati a partire dal 1985 con le foto di Steve McCurry, molti dei quali tradotti in varie lingue: ne sono esposti 15, alcuni ormai introvabili, insieme ai più recenti, tra cui il volume edito da Mondadori che ha ispirato la realizzazione di questa mostra. Tutti i libri sono accompagnati dalle foto utilizzate per le copertine, che sono spesso le icone che lo hanno reso celebre in tutto il mondo.

Dal 13 settembre 2019 al 6 gennaio 2020 – Gallerie Estensi di Modena

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La battaglia di Mosul di Emanuele Satolli
Life, Still di Alessio Romenzi

Syria, Raqqa: A totally destroyed by airstrike building in front of the National Hospital. Alessio Romenzi

Rovine di cemento e colonne di fumo disegnano il paesaggio della guerra più assurda e incomprensibile che 
avremmo mai potuto immaginare: Mondo contro Stato Islamico.  
Renata Ferri

Osservare la guerra oggi significa declinare una nuova grammatica dell’atto del guardare. 
Porsi in una relazione intima tra chi guarda e il mondo guardato.
Tenere insieme la cronaca e la storia.
Francesca Mannocchi

Emanuele Satolli

Si inaugura martedì 10 settembre alle 18.30 a Forma Meravigli, Milano, la mostra Di fronte a una guerra che presenta i lavori dei due fotografi che hanno vinto le ultime edizioni del Premio Amilcare Ponchielli: “La battaglia di Mosul” di Emanuele Satolli (2017) e “Life; Still” di Alessio Romenzi (2018). L’esposizione promossa e organizzata dal GRIN (Gruppo Redattori Iconografici Nazionale), a cura di Renata Ferri, è a ingresso gratuito e resterà aperta fino al 20 ottobre 2019. Forma Meravigli è una iniziativa di Fondazione Forma per la Fotografia in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano e Contrasto. Il Premio Amilcare G. Ponchielli, riservato a fotografi italiani o residenti in Italia, è stato creato dal GRIN nel 2004 e premia ogni anno un progetto fotografico pensato per la pubblicazione su un giornale, un sito web o di un libro.

Le fotografie di Satolli e Romenzi – simili per formazione ed esperienza, differenti per scelta linguistica e formale – che hanno documentato con profonda sensibilità e grande professionalità la guerra alla brama di un assurdo califfato del terzo millennio, la guerra dell’Isis. Un conflitto che ha cambiato per sempre l’immaginario dei conflitti contemporanei, imprimendo drammaticamente nei nostri occhi scene di apocalisse cinematografica colme di echi di guerre passate.

Emanuele Satolli, vincitore dell’edizione 2017, ha ricevuto il riconoscimento per il lavoro “La battaglia di Mosul”: una straordinaria documentazione della guerra che ha visto Mosul, seconda città più popolosa dell’Iraq, cadere nelle mani dello Stato Islamico nel giugno del 2014. Due anni dopo è iniziata la battaglia dell’esercito iracheno, affiancato dai curdi pashmerga e dalle forze speciali americane, per liberarla. Un anno di guerra che si è concluso il 10 luglio 2017 con un bilancio terrificante di migliaia di vittime civili, non a caso definito il più duro conflitto urbano dalla fine della Seconda guerra mondiale. Satolli durante questo periodo ha compiuto sei viaggi, spesso embedded con le forze irachene, alcuni su commissione di testate internazionali, altri come freelance. Il suo lavoro esposto è una sintesi di questo impegno, coraggioso e paziente, che trova negli sguardi degli innocenti la denuncia dell’orrore. Si avvicina ai prigionieri, catturati ovunque e ammassati sul selciato, segue le milizie per testimoniare le deflagrazioni, fotografa i soccorsi ai feriti, la fuga delle donne con i bambini in braccio.

Alessio Romenzi ha vinto l’ultima edizione del Premio Ponchielli con il lavoro “Life, Still”. Il teatro di guerra è lo stesso o meglio, è ancora più ampio, comprende la Libia, la Siria e l’Iraq. La battaglia si è appena conclusa e il nemico, l’Isis, forse è sconfitto. Romenzi realizza questa serie tra dicembre 2018 e aprile 2019. Abbandona la sua lunga e significativa esperienza di fotoreporter per una fotografia più lenta e riflessiva. Il corpo immobile, il cavalletto, il formato panoramico a dilatare la scena, la ricerca e l’attesa per la migliore inquadratura. Il fotografo non corre più tra i sibili dei proiettili e il fragore delle granate. Nel silenzio dell’apocalisse si guarda intorno. Davanti ai suoi occhi cumuli di macerie, Mosul, Raqqa e Sirte, città fantasma in cui piccole tracce di vita si manifestano con timore: un semaforo acceso, due ragazzi sullo scooter, un negozio di vernici circondato da edifici ridotti in polvere.

Dal 10 settembre al 20 ottobre – Forma Meravigli – Milano

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Lorenzo Castore «A Beginning »

Exhibited for the first time in Paris, the series 1994-2001 | A Beginning is the first chapter of a life-story that is a hybrid between a memoir and a literary autobiography, where reality and fiction merge. This deeply personal series consists of photographs taken around the world between 1994 and 2001 and it is about a boy becoming a young man, childhood memories and brotherhood, rites of passage and discovering.

September 13 – October 26 – Galerie Folia – Paris

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Contatti e contrasti – AAVV

South Ossetia, 2008. A woman celebrating the recognition of independence by Russia. Claimed by Georgia, and de facto independent, South Ossetia, is recognized Sovereign state by Russia in the August 26th 2008, followed by Nicaragua and Venezuela.

S’intitola ‘Contatti & contrasti‘ la mostra di Maestri della fotografia edizione 2019, appuntamento che galleria Valeria Bella organizza dal 2012, a cura di Michele Bella.

Una collettiva con fotografie – tra gli altri – di Ugo Mulas, Luigi Ghirri, Carlo Orsi, Toni Thorimbert, Davide Monteleone e Guido Guidi.

dal 4 al 24 ottobre 2019 – Galleria Valeria Bella – Milano

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Viaggio, Racconto, Memoria. Ferdinando Scianna 

Non sono più sicuro, una volta lo ero, che si possa migliorare il mondo con una fotografia. Rimango convinto, però, del fatto che le cattive fotografie lo peggioranoFerdinando Scianna

La mostra ripercorre oltre 50 anni di carriera del fotografo siciliano, attraverso 180 opere in bianco e nero, divise in tre grandi temi – Viaggio, Racconto, Memoria. Per l’occasione, verrà esposta una serie d’immagini di moda che Scianna ha realizzato a Venezia come testimonianza del suo forte legame con la città lagunare.

Ferdinando Scianna ha iniziato ad appassionarsi alla fotografia negli anni sessanta, raccontando per immagini la cultura e le tradizioni della sua regione d’origine, la Sicilia.

Il suo lungo percorso artistico si snoda attraverso varie tematiche – l’attualità, la guerra, il viaggio, la religiosità popolare – tutte legate da un unico filo conduttore: la costante ricerca di una forma nel caos della vita.

In oltre 50 anni di narrazioni, non mancano di certo le suggestioni: da Bagheria alle Ande boliviane, dalle feste religiose – esordio della sua carriera – all’esperienza nel mondo della moda, iniziata con Dolce & Gabbana e con la sua modella icona Marpessa. Poi i reportage (è il primo italiano a far parte, dal 1982, dell’agenzia fotogiornalistica Magnum), i paesaggi, le sue ossessioni tematiche come gli specchi, gli animali, le cose e infine i ritratti dei suoi amici, maestri del mondo dell’arte e della cultura come Leonardo Sciascia, Henri Cartier-Bresson, Jorge Louis Borges, solo per citarne alcuni.

Dotato di grande autoironia, Scianna ha scelto un testo di Giorgio Manganelli per sintetizzare questa sua mostra: “Una antologia è una legittima strage, una carneficina vista con favore dalle autorità civili e religiose. Una pulita operazione di sbranare i libri che vanno per il mondo sotto il nome dell’autore per ricavarne uno stufato, un timballo, uno spezzatino…“.

Come fotografo – ha affermato lo stesso Scianna, parlando del suo lavoro – mi considero un reporter. Come reporter il mio riferimento fondamentale è quello del mio maestro per eccellenza, Henri Cartier-Bresson, per il quale il fotografo deve ambire ad essere un testimone invisibile, che mai interviene per modificare il mondo e gli istanti che della realtà legge e interpreta. Ho sempre fatto una distinzione netta tra le immagini trovate e quelle costruite. Ho sempre considerato di appartenere al versante dei fotografi che le immagini le trovano, quelle che raccontano e ti raccontano, come in uno specchio. Persino le fotografie di moda le ho sempre trovate nell’azzardo degli incontri con il mondo“.

Dal 31/08/19 al 02/02/20 Casa dei Tre Oci – Venezia

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Le mostre di Phest

See Beyond the Sea.

“Noi siamo una grande penisola gettata nel Mediterraneo e certe volte ce ne dimentichiamo.”

Franco Cassano, Il pensiero meridiano, 1996

PhEST è fotografia, cinema, musica, arte, contaminazioni dal Mediterraneo.

Torna dal 6 settembre al 3 novembre il festival internazionale di fotografia di Monopoli, con un’edizione a tema Religioni e Miti, quanto mai ricca di spunti interessanti.

Tra gli altri, vi segnaliamo le mostre di Giulia Bianchi, Sanne De Wilde, Michela Benaglia e Alinka Echeverria, ma date un’occhiata al programma completo che trovate qua

Dal 6 settembre al 3 novembre – Monopoli (BA) Sedi Varie

Cristina Vatielli Sin Hombre

La Galleria del Cembalo propone fino al 30 novembre 2019 Sin Hombre, una mostra di fotografie di Cristina Vatielli dedicate alle vicende di due donne realmente vissute in Galizia, nel nord della Spagna, alla fine dell’Ottocento. Dopo Le donne di Picasso, Cristina Vatielli prosegue la sua personale ricerca su emblematiche figure femminili vissute a cavallo dei due secoli passati. Sin Hombre è, infatti, la prima tappa di un nuovo progetto, ampio e complesso, che vuole indagare storie di donne che nell’ombra hanno lasciato un segno nella storia. Sin Hombre è la libera ricostruzione di un amore difficile, impossibile, in un ambiente dominato da una cultura prevalentemente maschile, ispirata al libro biografico di Narciso de Gabriel, che narra le vicende di Elisa Sánchez Lorica e Marcela Gracia Ibeas che ebbero luogo in Galizia all’inizio del 1900, a La Coruña. Cristina Vatielli per rappresentare la storia adotta lo stile che più le è congeniale: la messa in scena. Sceglie Antonella, attrice di teatro e Maria, illustratrice e tarologa. La casa di un’anziana guaritrice in Abruzzo diventa l’ambiente perfetto per riprodurre il periodo in cui le donne vivevano insieme in povertà. A fare da sfondo, i paesaggi forti della Galizia, metafora del rapporto tra le protagoniste. Lavora prevalentemente in inverno, ricreando le atmosfere di una storia dura, ricca di ombre, profondamente intense. 
dal 25 settembre al 30 novembre 2019 – Galleria Del Cembalo – Roma

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Ladies – Lady Tarin

L’esposizione, curata da Denis Curti, propone 25 scatti, tra cui molti inediti, provenienti dai nuovi progetti ‘Untitled (The Fight)’ e ‘Girls Love Bar Basso’.

«Ladies è il titolo della mia mostra – afferma l’autrice -, dove attraverso le mie immagini voglio esorcizzare la sensazione della colpa che accompagna troppo spesso la vita di una donna e vorrei anche lo spettatore si astenesse dal giudizio, non attribuisse colpe, per riuscire a vedere una figura femminile sensuale e libera». 

La volontà di Lady Tarin è quella di liberare la donna da una bellezza costruita per compiacere l’uomo e quasi mai se stessa, di restituire all’eros femminile la spontaneità e la consapevolezza troppo spesso negata.

Le ragazze che Lady Tarin immortala sembrano raggiungere l’obiettivo, forse proprio perché accompagnate da uno sguardo femminile e quindi complice, in grado di coglierne e interpretare i desideri più intimi.

“In questi scatti, in particolare, ho cercato di catturare la massima espressione di libertà anche grazie alla sinergia con le “Ladies”.  Consapevolezza e spontaneità sono elementi necessari nel mio lavoro, uniti alla forte energia che si crea sul set “

11 ottobre – 10 novembre 2019 – Still Fotografia – Milano

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UBIF – Una breve indagine fotografica

Una mostra fotografica collettiva di giovani autori che racconta anche il disastro della tempesta di Vaia che ha colpito lo scorso anno le montagne del Triveneto. “UBIF – Una breve indagine fotografica” è una mostra collettiva che presenta sei progetti realizzati durante il percorso formativo curato da Alberto Sinigaglia e Teresa Piardi. Si terrà a Vicenza, presso lo Spazio Nadir, dal 18 settembre al 5 ottobre 2019. I lavori dei partecipanti sono stati realizzati durante un anno di formazione sui linguaggi della fotografia contemporanea, portando avanti una riflessione sul mezzo fotografico attraverso le sue evoluzioni storiche.
Lara Bacchiega (spazio libero cosmo), Valentina Gerolimetto (l’amar), Roberta Moras (RUZEN), Sacha Catalano (Ongoing project), Giovanni Ongaro (There is no elsewhere) e Stefano Pevarello (Sun Down) sono i fotografi che hanno lavorato sui diversi temi che saranno esposti e che vanno dalla costruzione di una “mitologia personale” attraverso la memoria alla recente tempesta di Vaia sulle montagne del Triveneto. Dal paesaggio dei luoghi balneari nel silenzio dell’inverno ai dialoghi sorprendenti di immagini apparentemente distanti fra loro, fino ad arrivare all’evocazione di quello “spazio di passaggio” che può rappresentare una casa di riposo.
Per ogni progetto è stato realizzato un libro in copie limitate; la mostra e tutti i libri saranno presentati dagli autori il 28 settembre presso lo Spazio Nadir alle ore 18.30. In quell’occasione sarà presentata la seconda edizione del percorso formativo di UBIF che inizierà il prossimo fine ottobre.

18 Settembre – 5 Ottobre 2019 – Spazio Nadir – Vicenza

Sulle mie ossa – Andrea Lombardo

La mostra Sulle mie ossa, di Andrea Lombardo, a cura di Emanuele Salvagno, verrà inaugurata sabato 21 settembre alle ore 11.00 negli spazi espositivi di Spazio Cartabianca, la mostra fa parte del circuito FuoriFestival di Photo Open Up.

La mostra, aperta al pubblico fino a sabato 26 ottobre 2019, prosegue il ciclo di mostre fotografiche per la promozione dei giovani fotografi emergenti che da sempre ha caratterizzato la proposta culturale della nostra galleria.

“Qui, dove il tempo non scorre, è ben naturale che le ossa recenti, e meno recenti e antichissime, rimangano, ugualmente presenti, dinanzi al piede del passeggero.” Carlo Levi

Nelle sue immagini, Andrea Lombardo rappresenta la società urbana contemporanea, la decontestualizza e la amplifica immergendola nel silenzio di una nostra futuribile assenza, priva di mezzi e persone in movimento, come se tutto fosse finito e di noi fosse rimasto soltanto il cemento. Le strade sopraelevate, ossatura di città stratificate, si fanno fossili silenziosi e imponenti della nostra civiltà al massimo del suo splendore, antiche e moderne campate che sostengono il tessuto urbano e sociale in un intreccio quasi morboso, nella ricerca di raggiungere sempre più velocemente luoghi lontani.
Grazie alle fotografie in mostra, come in un viaggio nel tempo riusciamo a fermarci e a contemplare ciò che di solito scorre ignorato al di là dei finestrini, una testimonianza architettonica e sociale di città a noi vicine e lontane, ma accomunate dalla stessa necessità sociale di ascendere verso l’utopia di un mondo più vicino.

Dal 21 settembre al 26 ottbre 2019 – Spazio Cartabianca – Albignasego (PD)

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Mostre per giugno

Mostre fantastiche vi aspettano a giugno. Ce n’è davvero per soddisfare ogni palato. Non perdetevele!

E qua trovate anche tutte le altre mostre in corso.

Anna

Paolo Pellegrin – Confini di Umanità

La mostra fotografica, realizzata appositamente per Pistoia – Dialoghi sull’uomo, propone sessanta scatti, in parte inediti, di uno dei fotografi più apprezzati nel panorama mondiale, grazie al suo impegno e all’innovativa estetica documentaria. Realizzate in Algeria, Egitto, Kurdistan, Palestina, Iraq e Stati Uniti, le immagini sono accompagnate da un video dello stesso Paolo Pellegrin, realizzato in America per indagare le linee razziali che ancora dividono il Paese, confini invisibili ma ancor più insormontabili di quelli fisici. Le immagini coprono un arco temporale di quasi trent’anni, sviluppando, per sottrazione e opposizione, l’impervio percorso della convivenza, ostacolata da muri, guerre, mari in tempesta e deserti, ovvero tutte le frontiere, naturali e artificiali, visibili e invisibili, che dividono, imprigionano e isolano gli esseri umani. La mostra ci conduce dunque lungo i confini dell’umanità, per mostrare lo sforzo continuo, ma necessario, alla base della convivenza. Catalogo edito da Contrasto.

dal 24 maggio al 30 giugno – Palazzo Comunale Pistoia

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David La Chapelle

La mostra è una grande monografica di David LaChapelle, uno dei più noti fotografi e registi contemporanei a livello mondiale.

I suoi soggetti sono celebrities (i fratelli Michael e Janet Jackson, Hillary Clinton e Muhammad Ali, Jeff Koons e Madonna, Uma Thurman e David Bowie…), insieme agli scatti delle sue recentissime ricerche che lo hanno portato a sviluppare una dimensione più privata e filosofica, i valori assoluti.

La religione, la sensualità e la sessualità, il passare del tempo, il rispetto per la natura: il tutto è svolto nella maniera onirica, linguaggio tipico del fotografo americano, ma che sempre fa i conti con la dimensione reale perché, al contrario delle apparenze, tutto ciò che compare in queste immagini è il frutto di una ricostruzione reale, molto lontana dalle ricostruzioni digitali.

Dal 14 giugno al 6 gennaio 2020 – Citroniera delle Scuiderie Juvarriane – Reggia di Venaria (TO)

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Giostre! Storie, immagini, giochi

Completamente dedicata alla fantasiosa iconografia delle giostre, questa mostra, sfaccettata e divertente, è anche pensosa, e vuole suscitare nel pubblico un vero e proprio effetto-giostra, tra il gioco più semplice e genuino che rimanda all’infanzia e la riflessione sulla vita, sul tempo che passa, sul mondo che gira, sul destino.

A proporla (Palazzo Roverella, dal 23 marzo al 30 giugno 2019) è la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo insieme al Comune di Rovigo e all’ Accademia dei Concordi, per la cura di Roberta Valtorta, con la collaborazione di Mario Finazzi per il percorso riservato alla pittura.

“Il Polesine, anticipa il Presidente della Fondazione, prof. Gilberto Muraro, è da sempre terra di giostre e giostrai. Qui, e in particolare nel territorio di Bergantino, vengono realizzate giostre destinate ai parchi di divertimento e agli spettacoli viaggianti di tutto il mondo. Ed è con il Museo della Giostra e dello Spettacolo Popolare di Bergantino che questa nostra mostra idealmente si coniuga. In una unione complementare: il Museo indaga il passato di una grande tradizione. La mostra legge il tema della giostra in chiave soprattutto sociale, affidandosi a grandi fotografi e a grandi artisti che l’hanno declinato nelle loro opere”.
In mostra, infatti, vengono proposte immagini di giostre grandi e piccole, così come sono state raffigurate soprattutto in fotografia, ma anche in pittura, grafica, nei numerosissimi giocattoli, nei modellini, fino ai carillon. Presenti in mostra anche “pezzi” di antiche giostre come organi e cavalli di legno.
La struttura della giostra è stata infatti ampiamente rappresentata in mille forme di straordinari giocattoli meccanici per bambini ma anche per adulti, dalle forme articolate e varie, talvolta carillon, talvolta orologi e soprammobili, divenuti nel tempo oggetto di collezionismo.

L’ampia sezione di fotografie comprende opere di più di sessanta importanti fotografi dall’Ottocento a oggi. Tra questi, le immagini ottocentesche di Celestino Degoix e di Arnoux; quella della Parigi dell’inizio del Novecento di Eugène Atget e dei Frères Seeberger; le fotografie degli anni Quaranta-Sessanta di Henri Cartier Bresson, Mario Cattaneo, Cesare Colombo, Bruce Davidson, Robert Doisneau, Eliot Erwitt, Izis, Mario Giacomelli, Paolo Monti, Willy Ronis, Lamberto Vitali, David Seymour; per l’epoca contemporanea, le immagini di Bruno Barbey, Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, John Batho, René Burri, Stefano Cerio, Raymond Depardon, Luigi Ghirri, Paolo Gioli, Guido Guidi, Jitka Hanzlovà, Guy Le Querrec, Raffaela Mariniello, Bernard Plossu, Pietro Privitera, Francesco Radino, Ferdinando Scianna.

La mostra è arricchita da una selezione di importanti opere pittoriche e da manifesti di fiere di paese e sagre popolari. Importante l’installazione dell’artista contemporanea Stephen Wilks “Donkey Roundabout” e il film di Adriano Sforza “Jodi delle giostre”, vincitore del David di Donatello 2011.

dal 23 marzo al 30 giugno 2019 – Palazzo Roverella – Rovigo

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Jessica Backhaus – A trilogy

Mutty, in collaborazione con Micamera presenta la mostra A Trilogy di Jessica Backhaus.
Una mostra che investiga i temi universali delle origini, dei desideri, dell’identità e del destino. Basandosi sulla sua storia personale, l’autrice si fa domande sull’importanza di conoscere le radici della propria esistenza e su quanto sia possibile rielaborarle.

Jessica Backhaus è nata nel 1970 a Cuxhaven, in Germania, in una famiglia di artisti. A sedici anni si  trasferisce a Parigi dove studia fotografia e comunicazione visiva. Qui nel 1992 incontra Gisèle Freund, fotografa della Magnum e grande personaggio della cultura, che diventa sua grande amica e affezionata maestra. Nel 1995, la passione per la fotografia la porta a New York, dove lavora come assistente di diversi fotografi, sviluppa i propri progetti personali e vive fino al 2009. E’ considerata una delle voci più originali nel panorama della fotografia contemporanea.

Gli ultimi due libri di Jessica Backhaus segnano due momenti fondamentali nella carriera dell’autrice. Six Degrees of Freedom è l’espressione della ricerca delle proprie radici. Dopo il rientro in Europa dagli Stati Uniti, Backhaus decide di scoprire l’identità del padre biologico. Ne ha origine un lavoro particolarmente intenso: l’uso del colore carico di sentimenti, tipico di tutta la sua produzione, vero e proprio segno distintivo, assume qui una valenza particolarmente drammatica, seguendo l’autrice nel percorso di ricostruzione delle proprie origini.

Avviene in questo lavoro un passaggio fondamentale: Backhaus (che usa solo luce naturale) inizia a intervenire spostando gli oggetti nello spazio. Ricollocando gli oggetti, sembra voler riprendere in mano il proprio destino.

E’ l’inizio di una trasformazione che A Trilogy conferma, procedendo verso una sempre maggiore astrazione. Il volume contiene tre serie differenti: Beyond Blue, Shifting Clouds e New Horizon che saranno in mostra nello spazio espositivo di Mutty.

L’artista sarà presente all’inaugurazione della mostra venerdì 24 maggio alle ore 19.30 

25 maggio – 21 giugno – Mutty – Castiglione delle Stiviere (MN)

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Roger Ballen – The Body, the Mind, the Space

In occasione di Milano Photoweek la Fondazione Sozzani dedica una grande mostra alla fotografia di Roger Ballen, uno tra i fotografi contemporanei più originali che indaga l’invisibile. Roger Ballen sarà presente all’inaugurazione della sua mostra

dal 9 giugno 2019 al 8 settembre 2019 – Fondazione Sozzani – Milano

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EVE ARNOLD. Tutto sulle donne – All about women

USA. New York. American actress Marlene DIETRICH at Columbia records’s studios. Part of a sequence showing Marlene Dietrich during a recording session when she was 51 years old, with her famous World War II songs including Lilli Marlene. 1952 Images for use only in connection with direct publicity for the exhibition “Women” by Eve Arnold presented at Abano Terme, Italy, from May 17th to December 8th 2019.

Che si tratti delle donne afroamericane del ghetto di Harlem, dell’iconica Marylin Monroe, di Marlene Dietrich o delle donne nell’Afghanistan del 1969, poco cambia. L’intensità e la potenza espressiva degli scatti di Eve Arnold raggiungono sempre livelli di straordinarietà. La fotografa americana ha sempre messo la sua sensibilità femminile al servizio di un mestiere troppo a lungo precluso alle donne e al quale ha saputo dare un valore aggiunto del tutto personale.

A questa intensa interprete dell’arte della fotografia, la Casa-Museo Villa Bassi, nel cuore di Abano Terme, dedica un’a ampia retrospettiva, interamente centrata sui suoi celebri ed originali ritratti femminili. Quella proposta in Villa Bassi dal Comune di Abano Terme e da Suasez, con la curatela di Marco Minuz, è la prima retrospettiva italiana su questo tema dedicata alla grande fotografa statunitense.

Eve Arnold, nata Cohen, figlia di un rabbino emigrato dalla Russia in America, contende ad Inge Morath il primato di prima fotografa donna ad essere entrata a far parte della Magnum. Furono infatti loro due le prime fotografe ad essere ammesse a pieno titolo nell’agenzia parigina fondata da Robert Capa nel 1947. Un’agenzia prima di loro, riservata a solo grandi fotografi uomini come Henri Cartier Bresson o Werner Bischof.

Ed è un caso fortunato che le due prime donne di Magnum siano protagoniste di altrettante retrospettive parallele in Italia entrambe promosse per iniziativa di Suazes: la Morath a Treviso, in Casa dei Carraresi, e ora la Arnold ad Abano Terme in questa mostra.

A chiamare Eve Arnold In Magnum fu, nel 1951, Henri Cartier -Bresson, colpito dagli scatti newyorkesi della fotografa. Erano le immagini di sfilate nel quartiere afroamericano di Harlem, a New York. Quelle stesse immagini rifiutate in America per essere troppo “scandalose”, vennero pubblicate dalla rivista inglese Picture Post.

Nel 1952 insieme alla famiglia Eve Arnold si trasferisce a Long Island, dove realizza uno dei reportage più toccanti della sua carriera: “A baby’s first five minutes”, raccontando i primi cinque minuti di vita dei piccoli nati al Mother Hospital di Port Jefferson. Nel 1956 si reca con un amica psicologa ad Haiti per documentare i segreti delle pratiche Woodoo.

Chiamata a sostituire il fotografo Ernst Haas per un reportage su Marlene Dietrich, inizia la frequentazione con le celebreties di Hollywood e con lo star system americano. Nel 1950 l’incontro con Marylin Monroe, inizio di un profondo sodalizio che fu interrotto solo dalla morte dell’attrice. Per il suo obiettivo Joan Crawford svela i segreti della sua magica bellezza. Nel 1960 documenta le riprese del celebre film ”The Misfits”, “Gli spostati”, con Marylin Monroe e Clark Gable, alla regia John Houston e alla sceneggiatura il marito dell’epoca di Marylin Arthur Miller.

Trasferitasi a Londra nel 1962, Eve Arnold continua a lavorare con e per le stelle del cinema, ma si dedica anche ai reportage di viaggio: in molti Paesi del Medio ed Estremo Oriente tra cui Afghanistan, Cina e Mongolia.

Fra il 1969 e il 1971 realizza il progetto “Dietro al velo”, che diventa anche un documentario, testimonianza della condizione della donna in Medio Oriente.

«Paradossalmente penso che il fotografo debba essere un dilettante nel cuore, qualcuno che ama il mestiere. Deve avere una costituzione sana, uno stomaco forte, una volontà distinta, riflessi pronti e un senso di avventura. Ed essere pronto a correre dei rischi.» Così Eve Arnold definisce la figura del fotografo. Benché il suo lavoro sia testimonianza di una lotta per uscire dalla definizione limitante di “fotografa donna”, la sua fortuna fu proprio quella capacità di farsi interprete della femminilità, come “donna fra le donne”.

17 Maggio 2019 – 08 Dicembre 2019 – Abano Terme (Pd), Casa Museo Villa Bassi

MAGNUM’S FIRST. LA PRIMA MOSTRA DI MAGNUM

La mostra Gesicht der Zeit (Il volto del tempo) venne presentata tra il giugno 1955 e il febbraio 1956 in cinque città austriache ed è la prima mostra indipendente organizzata dal gruppo Magnum. Se ne era persa completamente la memoria sino al 2006, quando nella cantina dell’Istituto Francese di Innsbruck vennero ritrovate due vecchie casse, contenenti i pannelli colorati della mostra su cui erano montate ottantatre fotografie in bianco e nero di alcuni  fotografi della Magnum, insieme al testo di presentazione, ai cartellini con i nomi dei fotografi, alla locandina originale e alle istruzioni dattiloscritte per il montaggio della mostra stessa.
I responsabili di Magnum Photos, prontamente avvisati del ritrovamento, si sono immediatamente resi conto dell’eccezionalità della scoperta. Si trattava di una rassegna collettiva ordinata e omogenea di otto tra i più grandi maestri del fotogiornalismo. Gli autori delle foto erano tra i più celebri fotoreporter dell’agenzia: Robert Capa, Marc Riboud, Werner Bischof, Henri Cartier-Bresson, Erns Haas, Erich Lessing, Jean Marquis e Inge Morath.
Gli scatti fotografici sono stati sottoposti ad un intervento di pulitura e tutti i materiali originali sono stati restaurati. Dopo oltre cinquant’anni la prima mostra Magnum è tornata così visibile al pubblico ed è stato possibile ricostruirne la storia.

Probabilmente la mostra fu organizzata dopo che il gruppo Magnum, nel maggio 1955, aveva preso parte alla Biennale Photo Cinéma Optique al Grand Palais a Parigi, che aveva suscitato un notevole gradimento. Dopo quel primo successo, l’agenzia decise di collaborare con l’Università di Parigi per organizzare una mostra indipendente. Nacque forse così l’idea di Gesichte der Zeit (Il volto del tempo).
La mostra divenne itinerante: dopo la prima tappa tenutasi all’Istituto Francese di Innsbruck si è spostata a Vienna, a Bregenz e poi a Graz. Tappa finale è stata probabilmente la Neue Galerie a Linz. Da qui le foto della mostra sono state restituite a Innsbruck nel febbraio del 1956, forse in vista di una tappa ulteriore, ma li sono rimaste sino al ritrovamento nel 2006.

Insieme all’esposizione di Werner Bischof presso la Galleria St. Annahof di Zurigo del 1953 e a quella dei fotografi Magnum alla fiera Photokina di Colonia del 1956, delle quali nulla è rimasto, la mostra Gesichte der Zeit (Il volto del tempo) è la prova che, sin dall’inizio, la Magnum era diversa dalle altre agenzie fotografiche. Con il fitto programma di mostre ed eventi, la Magnum mostrò infatti chiaro l’intento di difendere sia il valore della foto come documento sia il valore artistico degli scatti dei fotografi dell’agenzia.

Dal ritrovamento del 2006 la rassegna, con il titolo Magnum’s First, è stata allestita in diverse città europee, e viene anche oggi riproposta qui nel suo allestimento originario.

L’esposizione è realizzata in collaborazione con Magnum Photos, col patrocinio del Comune di Milano e il sostegno di Rinascente.

08-05-2019/ 06-10-2019 – Museo Diocesano – MIlano

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13 STORIE DALLA STRADA

Una mostra che risveglia le coscienze e fa riflettere: questo è il proposito di 13 storie dalla strada. Fotografi senza fissa dimora, visitabile dal 28 maggio fino al 1 settembre alle Gallerie d’Italia di Milano.

Un viaggio dalla periferia al cuore della città

Tutto nasce dai workshop di fotografia per senzatetto organizzati dalla onlus Ri-scatti in collaborazione con Fondazione Cariplo: tra di loro c’era chi teneva in mano la macchina fotografica per la prima volta e chi, dopo tanto tempo, ritornava a usarla, ne ritrovava i segreti e la potenza espressiva.

Il passo successivo è stato chiedere ai fotografi che avevano partecipato ai workshop di documentare la realtà di Fondazione Cariplo – un patrimonio di persone e di progetti in continua evoluzione – e di affidare a loro il racconto della propria identità.

Puoi vederne i risultati nel nostro museo di Milano: 52 immagini inedite scelte tra i 9.800 scatti che i 13 autori hanno realizzato nel corso di un anno, fotografando 13 progetti scelti fra i 1.500 che Fondazione Cariplo porta avanti ogni anno (la comunità allegra di un orto urbano, il volo di un acrobata, un appartamento dove vivono ragazzi disabili, il volto di una scienziata).

Qualcuno dei fotografi senza fissa dimora è arrivato fino alla fine di questo percorso, qualcuno si è perso per strada, lasciandoci solo le sue immagini: è stato un percorso emozionante che ha incrociato fragilità e speranze, paure e orizzonti.

Una prospettiva che ha unito l’atto del raccontare a quello del raccontarsi: oltre alle immagini saranno proiettate nella mostra le video-interviste ai fotografi. Una testimonianza che illumina le vite di persone che ogni giorno attraversano l’anima periferica, fragile, marginale di Milano. Vincendo la loro ritrosia, i 13 protagonisti hanno accettato di svelare chi sono, dove trascorrono la giornata, dove mangiano, come si lavano, chi hanno perso per strada, quali luoghi chiamano casa, che cosa desiderano e che cosa hanno ritrovato osservando il mondo con la macchina fotografica.

Dal 28 maggio fino al 1 settembre 2019 – Gallerie d’Italia – Milano

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Chris Steele-Perkins – Japan

Il 14 giugno 2019 alle h19:00 il fotografo Magnum Photos Chris Steele-Perkins presenta a Magazzini Fotografici il suo progetto _JAPAN_ Una mostra a cura di Laura Noble, direttrice della L A Noble Gallery.

Il forte legame che il fotografo Chris Steele-Perkins ha con il Giappone è nato molti anni fa e si è consolidato con le sue 48 visite al paese. In questi suoi numerosi viaggi si sono susseguite esperienze ed avvenimenti di varia natura, tra cui il tragico tsunami del Tōhoku del 2011.

Il Giappone è un luogo di contraddizione, molto legato alle antiche tradizioni ma allo stesso tempo artefice costante di nuove tendenze, che vanno dalla moda alla tecnologia, adottate da tutto il paese con un entusiasmo sfrenato.

Per noi occidentali le usanze giapponesi risultano essere completamente estranee al nostro modo di vivere e di conseguenza assumono un fascino particolare.

Le città e le comunità rurali regalano al paese atmosfere e ambienti completamente diversi tra loro. Le luci al neon sempre accese di Tokyo sono vivaci e sorprendenti ma nel frastuono della città, la silenziosa maestà del Monte Fuji appare sempre presente, immobile e senza tempo.

Steele-Perkins, con il suo progetto Japan, celebra questa deliziosa combinazione di bello e bizzarro e racconta i molti strati di una cultura ricca di tradizione e nuove tendenze.

Abitudini, sport, modi di vestire diversi si alternano tra la radicata cultura conservatrice e il moderno culto della stravaganza. Questo strano e particolare equilibrio ci permette di godere della peculiare natura di una nazione molto diversa dall’Occidente e della sua immensa ricchezza culturale.

Dal 14 giugno al 13 luglio – Magazzini Fotografici – Napoli

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Tommaso Clavarino – Confiteor

A partire dal 2004 più di 3.500 casi di abusi su minori commessi da preti e membri della Chiesa sono stati riportati al Vaticano. Nel 2014 un report delle Nazioni Unite ha accusato il Vaticano di adottare sistematicamente azioni che hanno permesso a preti e membri della Chiesa di abusare e molestare migliaia di bambini in tutto il mondo.

Centinaia di casi sono stati registrati, e continuano ad essere registrati, in Italia, dove l’influenza del Vaticano è più forte che altrove, e pervade vari livelli della società.

Spesso gli abusi cadono nel silenzio, i casi vengono nascosti, le vittime hanno paura di far sentire la loro voce. Hanno paura della reazione delle persone, dei loro cari, dei loro amici, delle comunità nelle quali vivono. Le vittime sono barricate in un silenzio agonizzante, non vogliono far sapere nulla delle violenze subite.

Costrette a vivere con un peso che si porteranno dietro tutta la vita, incapaci di dimenticare il passato.

Le ferite sono profonde, le memorie pesanti, i silenzi assordanti.

“Confiteor (Io Confesso)” è un viaggio di due anni in queste memorie, in queste ferite, in questi silenzi.

Dal 24 maggio al 14 giugno – Officine Fotografiche Roma

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Mussolinia or how Sicilians cheated Fascism – Filippo M. Nicoletti

How Sicilians cheated Fascism
«Mussolinia non esistiva. O meglio, esistiva ma in fotografia» (Andrea Camilleri, Privo di Titolo).

Mussolinia è il progetto di una città che doveva nascere nei pressi di Caltagirone, ma che non venne mai realizzata se non tramite fotomontaggio per ingannare il Duce. Photo book e mostra di Filippo M. Nicoletti, a cura di Laura Davì.

Inauguriamo la mostra MUSSOLINIA or How Sicilians cheated Fascism e celebriamo la Festa della Repubblica italiana con un confronto fra giovani generazioni su immagini e parole. Filippo M. Nicoletti, con un lavoro molto attuale, rimette in discussione il concetto di fake news in relazione a un passato collettivo recente. L’inaugurazione di Mussolinia è fissata per domenica 2 giugno dalle 11.30 alle 13.00, quando è previsto un confronto tra giovani generazioni su un passato che non passa, sulle fake news e sul ruolo delle immagini piegate a usi utilitaristici secondo convenienza; dialogano con l’autore Filippo M. Nicoletti, Irene Guandalini, curatrice indipendente esperta di fotografia e immaginari contemporanei, e Simone Pisano di Lapsus – Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo. Modera la curatrice Laura Davì. 

dal 3 al 9 giugno – SGallery – Milano

ZAKHEM | FERITE | WOUNDS. LA GUERRA A CASA | WHEN WAR COMES HOME

In occasione del suo venticinquesimo compleanno, EMERGENCY organizza ‘Zakhem|Ferite|Wounds. La guerra a casa|When war comes home’, una mostra fotografica di Giulio Piscitelli, realizzata da EMERGENCY con il supporto di Contrasto.

Piscitelli (Napoli, 1981), che ha visitato i nostri Centri chirurgici per vittime di guerra a Kabul e Lashkar-gah, ha dato a quelle vittime un volto e un nome, ha scoperto le loro storie. Storie che parlano di una violenza che irrompe nella vita quotidiana, senza preavviso. Storie che mostrano la ferita – zakhem, si dice in dari – provocata dalla guerra.

Le ferite fisiche causate dai proiettili e dalle schegge sono al centro del racconto fotografico, ma si vedono anche le ferite più profonde, quelle psicologiche. I dittici di Giulio Piscitelli mostrano la forza del popolo afgano e trasportano i soggetti in un mondo quasi irreale, illuminato, in una fissità senza tempo né spazio, nella verità della guerra di sempre e ovunque. Il suo lavoro ha reso queste ferite comprensibili, semplici, potenti ed eloquenti.

La mostra sarà inaugurata mercoledì 15 maggio alle ore 19.00, con una conversazione tra Giulio Piscitelli, fotografo, Gino Strada, fondatore di Emergency, Rossella Miccio, Presidente di Emergency e Giulia Tonari, curatrice della mostra e direttrice Contrasto. L’evento sarà moderato da Fabrizio Foschini, analista Afghanistan Analyst Network.

Dal 16 maggio al 9 giugno – Casa Emergency – Milano

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Irene Kung. Monumenti

Irene Kung. Monumenti – CAMERA

Nella Project Room di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, verrà inaugurata giovedì 30 maggio, alle ore 18.00, la mostra personale di Irene Kung (Berna, 1958) intitolata Monumenti, curata dal direttore dell’istituto torinese, Walter Guadagnini.

A partire dalla giustapposizione di immagini appartenenti a due serie fotografiche precedenti, Le città invisibili (2012) e Trees (2014), Kung compie una selezione visiva che ricompone un’indagine al tempo stesso introspettiva e sociale sul paesaggio, sia esso urbano, archeologico o naturale. Tali elementi sono per l’autrice svizzera come fondamenti puri della visione che, spogliati dal disturbo visivo generato dalle forme di progresso e dall’incuria umana, si presentano allo spettatore come ritratti aulici che emergono dall’oscurità. Nelle diciotto opere di grande formato esposte in questa occasione, alberi, antiche rovine e architetture contemporanee assumono un carattere salvifico, diventano monumenti contemporanei che – grazie al potere dell’estetica e alla forza dell’immagine – annullano il tempo e ordinano il caos con la loro armonia costruttiva.

Formatasi in ambito pittorico, Kung ha adottato la fotografia come medium privilegiato della propria produzione artistica da circa un decennio, sfruttando la sua formazione non solo per impreziosire la componente lirica ed emotiva della sua ricerca artistica, ma anche quella gestuale ed istintiva.  L’essenzialità delle inquadrature e la capacità di far emergere i suoi soggetti dall’oscurità, infatti, esprimono una vicinanza stilistica e concettuale al Rinascimento pittorico italiano: i suoi lavori evidenziano il desiderio razionale di individuare nuove strade possibili per un futuro sostenibile e la rinnovata attenzione all’equilibrio tra umano e naturale. Allo stesso tempo le composizioni di Kung evidenziano per contrasto l’ambiguità dell’urbanizzazione e della negligenza umana, facendo emergere dalla bellezza una sottile inquietudine. Descrivere la sofferenza attraverso una rappresentazione raffinata e onirica è – dichiara la Kung – un tentativo di generare un nuovo significato a partire dalle percezioni di un’esperienza emotiva, è un’astrazione che mi conduce dalle zone più in ombra alla dimensione meditativa, fino agli spazi inconsci dell’anima.

30 maggio – 28 luglio 2019 – CAMERA Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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L’ARIA DEL TEMPO – Massimo Sestini

Inaugura martedì 7 maggio 2019 alle 18.30 la mostra di Massimo Sestini “L’aria del tempo” presso Forma Meravigli a Milano. In contemporanea sarà presentato il libro a cui la mostra si ispira, edito da Contrasto. L’esposizione, a cura di Alessandra Mauro, resterà aperta fino al 4 agosto. 

Come fotogiornalista tra i più importanti e apprezzati del nostro paese, Massimo Sestini è in grado di realizzare sensazionali scoop da prima pagina. In tanti anni di lavoro Sestini ha puntato molte volte l’obiettivo sulla nostra penisola e, col tempo, ha realizzato un preciso e appassionato itinerario alla scoperta del nostro paese.  A Forma Meravigli saranno esposte circa 40 fotografie di grande e medio formato, che l’autore ha realizzato immortalando l’Italia in modo inusuale e accattivante. Dall’alto. 

Fatti di cronaca, bellezze naturali, drammi, avvenimenti politici, tragedie e momenti di svago: è riuscito a raccontare tutto con la sua macchina fotografica e tutto con un punto di vista nuovo e diverso.

Le immagini in mostra, alcune di grande formato, permettono di vivere e di sentire le visioni aeree ed eteree dei luoghi che l’autore ci propone. Sempre alla ricerca della “foto diversa”, nel corso degli anni Sestini ha perfezionato il suo metodo fino alla ripresa perpendicolare che gli permette di ottenere un impatto dimensionale amplificato. Con la visione zenitale il fotografo gioca nel capovolgere le nostre percezioni visive, fa navigare la Concordia spiaggiata, ribalta cielo e terra inseguendo un Eurofighter, osa nelle proiezioni delle ombre animate. 

Dall’alto di un elicottero o di un aereo, attraverso la visione completa di un fatto di cronaca (il barcone dei migranti fotografato dal cielo: un’immagine che ha fatto storia e ha vinto numerosi premi come il prestigioso World Press Photo, o ancora l’affondamento della Costa Concordia all’isola del Giglio), di una consuetudine (il ferragosto sulla spiaggia di Ostia), di un dramma naturale (il terremoto del Centro-Italia), di avvenimenti storici e culturali (dalla strage di Capaci al funerale del Papa), nelle immagini di Sestini l’Italia svela in un modo unico le sue bellezze, le sue fragilità, la sua grandiosa complessità.

Nato a Prato nel 1963, Massimo Sestini è considerato tra i migliori fotoreporter italiani. I primi scoop arrivano a metà anni Ottanta, da Licio Gelli ripreso a Ginevra mentre è portato in carcere, all’attentato al Rapido 904 nella galleria di San Benedetto Val di Sambro. Sarà il solo a riprendere il primo, clamoroso, bikini di Lady D; ma sarà anche testimone della tragedia della Moby Prince, e autore delle foto dall’alto degli attentati a Falcone e a Borsellino. Nel 2014 è testimone delle operazioni di salvataggio “Mare Nostrum”, al largo delle coste libiche. Dopo dodici giorni di tempesta, riesce a riprendere dall’elicottero un barcone di migranti tratto in salvo. La foto vince il WPP nel 2015, nella sezione General News.

Dall’8 maggio al 4 agosto – Forma Meravigli – Milano

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Gian Paolo Barbieri – POLAROIDS AND MORE

Dal 10 maggio al 27 luglio 2019, 29 ARTS IN PROGRESS gallery di Milano (Via San Vittore 13) presenta in prima assoluta la più vasta retrospettiva sulla fotografia istantanea di Gian Paolo Barbieri intitolata “Polaroids and more”, a pochi mesi dal premio ricevuto ai Lucie Awards 2018 di New York come miglior Fotografo di Moda Internazionale.

La mostra, curata da Giovanni Pelloso, riunisce una selezione di oltre 120 Polaroid inedite e traccia per la prima volta l’uso della fotografia istantanea di Gian Paolo Barbieri negli ultimi trent’anni; un percorso articolato che abbraccia i ritratti e gli studi di figura, la moda e i suoi protagonisti, svelandone i segreti e i retroscena.
Per quanto aderente alla realtà possa essere, la fotografia di moda per Barbieri è scenario, spettacolo, teatro, bellezza, metafora e realtà.
Al centro di questa scena, animata spesso da una ludica e irriverente ironia, c’è la donna. Non mitizzata, la sua immagine rispecchia la profonda convinzione dell’autore che il mistero dell’universo femminile non debba mai essere completamente rivelato.
In questo atteggiamento vi sono il rispetto e l’ammirazione per l’eterna e, nello stesso tempo, mutevole bellezza, ma anche la consapevolezza della ricchezza della sua personalità e delle sue innumerevoli metamorfosi.
Le immagini risultano fantastiche e magiche, oniriche e ludiche, ironiche e teatrali.
Sono istantanee seducenti. La superficie bidimensionale della stampa fotografica diventa, grazie alla sensibilità del fotografo milanese, un “oggetto di fascino”, uno stimolante invito all’immaginazione e alla fantasia, un territorio che cattura lo sguardo e che richiama il lettore a decifrarne i misteri.

Le Polaroid di Gian Paolo Barbieri non solo raccontano il making of della fotografia di moda per le più grandi maison di sempre, ma lasciano trasparire sguardi intimistici rivolti a soggetti diversi, dalla più iconica top model all’autoctono polinesiano. Un secondo corpo di opere è dedicato, infatti, agli indigeni colti nel loro habitat naturale, a nudi audaci concepiti spesso come lavori preparatori, e ai fiori, grande passione dell’artista.

Molte di queste piccole icone trasferiscono tenerezza e vulnerabilità, altre, durezza e immediatezza. A differenza delle immagini rigorosamente ideate e concepite in studio e per le quali Barbieri è diventato famoso nel mondo, queste disarmanti fotografie sono contrassegnate dalla spontaneità e dall’invenzione, offrendo nell’insieme un’inedita visione della sua straordinaria carriera.

Un’altra anteprima assoluta in mostra sarà una selezione di nuovi lavori ispirati all’opera di William Shakespeare, a cui Barbieri lavora da circa tre anni, nel quarto centenario della sua scomparsa: «Come mi è sempre piaciuto fare – ricorda l’autore – attingo dal passato per guardare al futuro».

Dal 10 maggio al 27 luglio 2019 – 29 ARTS IN PROGRESS gallery – Milano

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LA PRESUNZIONE DELLO SGUARDO – UMBERTO VERDOLIVA

Luigi Ghirri ci ricorda che il non vedere nitidamente crea una incertezza e distrugge ogni presunzione dello sguardo. Un vetro, una superficie opaca trasparente, un velo, le ombre chiuse, offrono anche la possibilità di non vedere, ed è grazie a questo diaframma che l’occhio può ritrovare quella veggenza negata dall’eccesso di visibilità. Uno schermo trasparente che separa creando dubbi così come i volti nascosti nella oscurità delle ombre, possono restituire senso alle immagini con il vantaggio di alludere ed illudere lasciando immaginare. Le fotografie esposte portano con sé tale ricerca. L’intento è quello di far soffermare l’osservatore sul mistero e sul fascino ambiguo che le immagini trasmettono già al primo sguardo, suggerendo, attraverso una stratificazione visuale, una sorte di incanto.

Dal 18 maggio al 7 giugno – Spazio Raw – Milano

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J’AI PLUS DE SOUVENIRS QUE SI J’AVAIS MILLE ANS – Pietro Baroni

La Mostra Fotografica “J’AI PLUS DE SOUVENIRS QUE SI J’AVAIS MILLE ANS” di Pietro Baroni, dopo essere stata a New York, Firenze e Bologna, viene presentata da Leica Camera Italia per la prima volta anche a Roma.

Emozioni, pensieri e desideri nascosti di persone comuni messe a nudo davanti all’obiettivo.

“Ho dentro più ricordi che se avessi mille anni” scrisse Baudelaire né “I Fiori del Male”. Il titolo della mostra vuole indicare che nella vita si provano emozioni così intense, che ci sembra di aver vissuto più della nostra vera età.

Grazie a questa ispirazione, Baroni è riuscito a far emergere i pensieri inconfessabili, le paure e le insicurezze più profonde che ci portiamo dentro tutti i giorni, senza rendercene conto. Tutti abbiamo paure e insicurezze che non abbiamo voglia che gli altri vedano. O che ci piacerebbe possano vedere per poter essere aiutati. Sono così profondamente intime che non sono visibili al mondo esterno. Ma ce le portiamo dietro tutti i giorni, addosso, sulla pelle.

Con questo lavoro Pietro Baroni ha reso leggibile ciò che ci è tatuato addosso ma che solitamente non viene visto. Ha chiesto alle persone che ha ritratto di entrare in empatia con queste paure, insicurezze e pensieri per catturarli in un instante.

Con questo lavoro Baroni ha vinto numerosi premi e menzioni internazionali tra cui si segnalano IPOTY – International Photographer of the Year, PX3 Prix de la Photographie Paris, Black&White International Award Rome, MonoVision Photography Awards. Lens Culture lo ha eletto nel 2017 come Emerging Photographer of the Year premiando questo progetto.

Dal 5 giugno al 7 luglio – Leica Store Roma

London Street Photography

In esposizione una collezione di immagini, inedite in Italia, opera di giovani street photographer internazionali selezionati nel 2018 nell’ambito dell’importante rassegna londinese.
In collaborazione con Camera Work London.
La mostra resterà aperta fino al 19 giugno e sarà visitabile durante gli eventi del calendario di Spazio Lomellini 17, il mercoledì alle ore 18 su prenotazione a lasettimanale@gmail.com e per gruppi di almeno 10 persone in orario da definirsi su prenotazione a lasettimanale@gmail.com

Dal 30 maggio al 19 giugno 2019 – Spazio Lomellini 17, Genova

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NOTTURNO PIÙ

C’è chi vede il notturno nella cometa di Giotto, o chi ne la Liberazione di San Pietro di Raffaello, oppure chi quasi in tutta l’opera di Tintoretto, o anche nei Due uomini che contemplano la luna di David Caspar Friedrich o poeticamente in Alla Luna di Giacomo Leopardi, quando non nella cromia blu dorata di Whistler, oppure chi nelle stelle solari di Van Gogh, o nelle opere dei futuristi Balla e Boccioni. Potremmo andare ancora avanti e indietro dall’alba al tramonto e da lì nella notte di nuovo verso l’alba nello stendere la lista delle opere d’arte che hanno come soggetto o ambientazione la notte dall’alba dell’umanità a oggi. Certamente la notte è stata molto corteggiata dai romantici, epoca in cui nasce il notturno (nocturne en français), come opera per prima musicale, una forma di musica libera, dolce e moderata che si riallacciava alla serenata: Chopin ne scrisse 21, Beetohoven ci allieta con la sonata Chiaro di luna, anche Satie e Debussy non si sottrassero all’impresa. Ma anche la letteratura non si è fatta mancare la notte e il notturno come Theodor Amadeus Hoffmann oppure ancora Leopardi con il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia e, per chi non lo sa, l’invito della presente mostra Notturno Più è mutuato dalla prima copertina del libro Notturno una raccolta di pizzini intimistici scritti a mano con gli occhi bendati a causa di ferite dal Vate Gabriele D’Annunzio. È in questa grafica evocativa che abbiamo inscritto informazioni e nomi degli artisti della mostra Notturno Più. Sono sulle cui opere poter tornare con l’immaginazione e il ricordo nella notte, in quello spazio tempo di confine in cui l’immaginazione si allarga confidenzialmente con le poetiche di Mario Airò, Atelier Biagetti, Laura Baldassari, Bertozzi & Casoni, Michel Courtemanche, Meriella Bettineschi, Tommaso Binga, Stefano Cerio, CTRL ZAK, Eteri Chkadua, Jan Fabre, Patrick Jacobs, Ugo La Pietra, Lorenzo Marini, Maria Teresa Meloni, Alessandro Mendini, Aldo Mondino, Francesca Montinaro. Fabio Novembre, Maurizio Orrico, OVO, Paola Pivi, Sarah Revoltella, Jonathan Rider, Andrea Salvatori, Denis Santachiara, Federico Solmi, Giuseppe Stampone, Patrick Tuttofuoco, Vedovamazzei, Alice Visentin.

Ma il nostro non è solo notturno è Notturno Più, in quanto la notte e il notturno sono intesi anche nella forma del Blues e del Jazz; non soltanto perché musica dell’anima, ma per la possibilità di jam session che offre soprattutto la seconda. Dunque, si tratta di una mostra che è di forma libera e dolcemente moderata, intesa come uno spartito musicale e allestita in modalità di scrittura di scena come amava dire Carmelo Bene. Una scrittura – mostra in cui  ogni artista entra ed è mostrato con la sua e per la sua opera differente e diversa per componimento di una visione collettivamente diversificata con le proprie poetiche uniche  e complesse come quelle originarie di Mario Airò,  del lusso ospitale dell’Atelier Biagetti, o i ritratti dalla fisiognomica nascosta della pittura lisergica di Laura Baldassari, il realismo ceramico di Bertozzi & Casoni, l’abilità plastica di Michel Courtemanche, il doppio sguardo femminile di Mariella Bettineschi, l’alfabeto femminista di Tomaso Binga, i non luoghi fotografici di Stefano Cerio, il progetto rovesciato di CTRL ZAK, la pittura testimonianza dei miti e della quotidianità della Georgia di Eteri Chkadua, la malinconica metamorfica ora blu di Jan Fabre, i minuziosi e silenti diorami  lillipuziani di Patrick Jacobs, le critiche riflessioni architettoniche paesaggistiche di Ugo La Pietra, gli alfabeti cromaticamente e futuristicamente mobili di Lorenzo Marini, i dettagliati e studiati all’antica ritratti fotografici di Maria Teresa Meloni, i segni-decoro astratto-futuristi di Alessandro Mendini, le illuminanti ironiche sculture di Aldo Mondino, le piante in vaso che nascondono sculture di ambienti migranti di Francesca Montinaro. La progettualità tirata verso l’inutile di Fabio Novembre, i dipinti astratto-informali di Maurizio Orrico, il progetto precariamente cartonato di OVO, l’energia espansivamente segnica di Paola Pivi, i ritratti scultorei delle famiglie polarizzate di Sarah Revoltella, le discrete e quasi invisibili sculture ambientali di Jonathan Rider, i vasi cosmici di Andrea Salvatori, il progetto animato-figurato di Denis Santachiara, le esuberanti, chiassose e ironiche opere di Federico Solmi,  i disegni responsabilmente etici di Giuseppe Stampone, la rilettura dei codici visivi quotidiani alla luce della multidisciplinarità di Patrick Tuttofuoco, gli ironici e strafottenti paesaggi di Vedovamazzei,  le pitture giocosamente sciamaniche di  Alice Visentin.

Con queste diversità di trentuno artisti la mostra è una coralità espressiva di poetiche, tecniche, materiali che formano quel Notturno Più, dove quel più che non è più solo quello della notte, ma del giorno e della notte insieme che, come la nostra vita, non possono essere più solo solitari, anche perché questo è un group show, una pratica espositiva in cui bisogna essere almeno in due, l’uno e l’altro, per dirsi tale, iniziando quella comunità dell’arte che qui conta 31 altri, 31 artisti dalle innumerevoli opere a noi, come a loro, necessarie sia di giorno che di notte da trovare nel Notturno Più.

8 Maggio-15 Giugno 2019 – THE POOL NYC a PALAZZO CESARI MARCHESI – Venezia

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Milano – Arte Pubblica – Matteo Cirenei

Inaugura martedì 4 giugno 2019 alla Galleria Anna Maria Consadori la mostra “Milano – Arte Pubblica” inserita all’interno della terza edizione di Milano Photo Week, la rassegna interamente dedicata alla fotografia che coinvolgerà tutta la città.

Coerentemente all’indirizzo artistico della galleria, che promuove l’arte e il design del XX secolo, l’esposizione presenta il lavoro di Matteo Cirenei, fotografo di architettura e paesaggio urbano, che negli ultimi quattro anni si è dedicato a un progetto che indaga la costituzione dell’immaginario culturale rispetto a ciò che è “spazio pubblico”, e cos’è “arte pubblica”.

L’ambito in cui sono collocate le opere è parte della città, per questo motivo Il progetto vuole porre in risalto il dialogo con l’ambiente che le circonda: le opere d’arte infatti aggiungono qualità visiva a un ambiente costruito, e un’attenta strategia di progettazione urbana promuove un più alto livello di integrazione tra arte, architettura e paesaggio. Milano negli ultimi anni sta riqualificando molto il proprio tessuto urbano, migliorando notevolmente gli spazi pubblici promuovendo la mobilità alternativa e come conseguenza valorizzando le aree verdi e quelle pedonali.

dal 4 al 8 giugno 2019 – Galleria Anna Maria Consadori – Milano

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IL SILENZIO DELLA LUCE – Alessandra Calò

Giovane artista tra le più interessanti del panorama italiano, Alessandra Calò porta alla galleria Artesì una mostra in cui i suoi tre progetti più recenti si ricollegano uno all’altro in un unico racconto intorno alla ricerca dell’identità e al recupero delle memorie del passato.

Parlare di fotografia per definire il lavoro di Alessandra Calò è sempre un po’ riduttivo, perché se dalla fotografia parte, il risultato va molto oltre, attingendo agli ambiti della scultura e dell’installazione. Come accade nel progetto Secret garden, presentato al pubblico come un paesaggio di scatole nere illuminate: una serie di lightbox dedicati a figure femminili del passato. Per la realizzazione, l’artista parte da lastre negative originali, recuperate nei mercatini, raffiguranti donne, bambine e ragazze. Persone sconosciute e consegnate all’oblio a cui Alessandra decide di restituire una storia anche grazie alla collaborazione di poetesse e scrittrici che dedicano a ogni figura un breve scritto. L’abbinamento con l’elemento vegetale (da cui l’ispirazione per il titolo), posto all’interno dei lightbox e visibile solo in trasparenza, dona nuove letture all’immagine, spezzando la continuità della visione ed enfatizzando la tridimensionalità di quei piccoli solidi scuri che si trasformano in vere e proprie “scatole nere” delle memorie perdute.

Ancora al passato – e in particolare a due pioniere della fotografia come Constance Talbot e Anna Atkins – fa riferimento il progetto Les inconnues. Qui, però, il percorso dell’artista è a ritroso. Partendo da volti femminili vintage trovati sul web, Alessandra costruisce lei stessa delle lastre in negativo, per poi stamparle su cristallo. L’elemento vegetale torna qui sotto una forma diversa, e duplice. Da un lato, isolato, va a sovrapporsi al viso; dall’altro, enormemente ingrandito, funge da pattern su cui la figura si appoggia, una figura che ingaggia con lo spettatore un suggestivo gioco di sguardi.

Kochan, infine, è il più strettamente fotografico tra i progetti in mostra, e anche il più autobiografico, anche se il viso e il corpo dell’artista – che qui si autoritrae per dettagli – è simbolo di un corpo universale. Ispirato alla dolorosa scoperta del proprio sé più autentico condotta dal protagonista delle Confessioni di una maschera di Yukio Mishima – da cui la serie prende il nome – il progetto vede la sovrapposizione dei frammenti della figura a una serie di vecchie carte topografiche dalla collezione della Public Library di New York. Mappe, però, che l’artista parzialmente cancella, di cui rende incerte le collocazioni e i confini, comunicandoci un senso di incertezza e di spaesamento. (Alessandra Redaelli)

dal 18.05.2019 al 16.06.2019 – Galleria ArteSI – Modena

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Luci del Nord-est – Cig Harvey

Le foto di Cig Harvey, per la prima volta in mostra in Italia presso la Galleria del Cembalo dal 30 maggio al 6 luglio, sono visioni reali, istantanee della sua vita nel Maine.

Nonostante i soggetti delle sue foto siano persone e luoghi a lei familiari, gli scatti li ritraggono nel momento in cui risultano quasi irriconoscibili all’artista. È una fotografia che guarda al reale ma crede fermamente ci sia in ‘una luce particolare o nella sfumatura di un tramonto qualcosa di nuovo da scoprire’. In questi scatti predomina la convinzione che il medium fotografico catturi già di per sé una componente magica e inaspettata e che l’uso del colore la restituisca nella realtà – per come la vediamo.

Se il marito Doug, la figlia Scout, i suoi amici, i vicini di casa e la loro vita quotidiana siano i soggetti di questi scatti o tasselli di un puzzle più grande che restituisce un autoritratto della fotografa stessa è una domanda su cui il suo lavoro pone fortemente l’accento.

Per Cig Harvey, l’immagine è una dicotomia tra forma e contenuto che non può essere scissa, e la fotografia non riproduce, ma racconta. La storia è il susseguirsi di persone della comunità a lei cara e del Maine, le sue stagioni e le ombre dei suoi rami, i quadrifogli verdeggianti e le farfalle colorate. C’è una scelta accurata e meditata di ciò che viene posto davanti l’obiettivo ma Cig Harvey lavora nell’immediatezza di quello che accade, con la consapevolezza che tutto può accadere.

L’atto del fotografare è sentito ed irripetibile, un espediente che l’artista utilizza, quasi in modo catartico, per bilanciare ciò che accade nella sua vita. Ecco il motivo per cui questi lavori, realizzati in momenti di serenità, possono risultare a tratti drammatici, come l’immagine che ritrae una donna con un cappotto rosso in un piccolo giaciglio in una distesa di neve bianchissima oppure lo sguardo compassionevole di Scout di fronte al cormorano senza vita.

I lavori presenti appartengono a progetti differenti, tra cui You Look At Me Like An Emergency (2012), Gardening at Night (2015), You an Orchestra You a Bomb (2017) e quello più recente, ancora in corso, Pink is a Touch. Red is a Stare.

dal 30 maggio al 6 luglio – Galleria del Cembalo – Roma

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Tempo e Sospensione

“Tempo e Sospensione” è il titolo della mostra che vede sei artisti presentare una decina circa di lavori ciascuno tra pittura e fotografia in un serrato dialogo e confronto tra loro e lo spazio che li ospita. La mostra inaugura il 12 giugno e si conclude il 15 ottobre 2019 presso Annunciata galleria d’arte che, presente dal 1939 sul territorio milanese e non solo, (Milano è stata infatti un centro propulsivo di idee progettiste e artistiche e luogo privilegiato di scambi culturali fecondi a livello internazionale, oggi nuovamente in ripresa) racconta da allora il pensiero dell’arte ad opera di maestri di culture diverse, tenuti insieme dallo stesso periodo storico, quello del XX secolo. Ciò che caratterizza la migliore arte del XX secolo è essenzialmente la necessità di riflettere su se stessa e di fondare l’elaborazione dell’oggetto artistico su basi intellegibili: l’oggetto richiede allo spettatore di partecipare con la sua sensibilità, con il suo personale pensiero al gioco dell’arte e per ottenere questo risultato deve mostrare agli altri com’è fatto. Avanguardie che come tali si sono fatte tradizione, per lasciare posto a nuove leve, ad altre posizioni, capaci di consolidare il risultato ottenuto e di perpetuare quello stato di eccitazione innovatrice. La storia dell’Annunciata dunque, portavoce di un Tempo senza tempo, di una memoria continua, di uno stato di eterna Sospensione creativa, chiama a sé sei artisti emergenti che con la loro personale visione e cifra linguistica raccontano del loro intimo sguardo sul nostro tempo, il XXI secolo. Ciascuno esprime un interesse sincero verso quegli aspetti della condizione umana che possiedono validità universale, contribuendo a stabilire in certa misura un continuum con ciò che è stato nella storia dell’arte ed ognuno dando al linguaggio un proprio peso ed incidenza. Tra loro c’è chi si sofferma maggiormente sulla ricerca di un linguaggio inedito e fortemente personale (Elena Santoro; Luisa Pineri), raccontando quindi più di sé, del proprio mondo interiore, altri che, mettendo meno in risalto la questione del linguaggio, si orientano a rivelare dimensioni della realtà che riguardano tutti (Pietro di Girolamo; Donata Zanotti); altri, infine, che mescolano queste due componenti, linguaggio audacemente personale e realtà (Francesca Giraudi; Francesca Meloni). “Il percorso così proposto si apre all’ascolto. Sulla superficie, nelle forme, è impressa la traccia di un gesto ispirato e capace di un’istantaneità che pesca nel profondo senza l’obbligo di “dare a vedere”. Alla memoria si guarda non come forma nostalgica rivolta a un passato da mitizzare, ma come esperienza e vissuto, come formula, a volte ossessiva, di scoperta di un sé molteplice. Nessuna forma esclude l’altra, anche quando, in apparenza, risulta oppositiva. L’unica fedeltà è qui legata a una dimensione di ricerca mai completamente esaustiva perché mai definitiva”. (G. Pelloso*: dal testo critico “Fratture surmoderne”)

La fotografia, declinata in sperimentale, d’architettura, narrativa, la pittura informale e la performance,  sono legate da un unico filo rosso: la traccia dell’Assente. Assenza di una presenza in una corrente artistica predominante e omologante; assenza di un desiderio di frapporsi fra l’opera ed il pubblico, assenza di frastuono, quanto, invece, desiderio di vivere e donare Sospensione, di un Tempo che ha a che fare con la profondità.

dal 13 Giugno al 15 Ottobre 2019 – Annunciata Galleria d’Arte – Milano
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Le montagne del castello – Alberto Battarelli

“Questa mostra è il frutto di numerosi anni di esplorazione e osservazione delle montagne intorno al Castello.
Durante le giornate passate a percorrere sentieri e creste per raggiungere valli e cime, la macchina fotografica mi ha sempre accompagnato, permettendomi di interpretare il paesaggio davanti ai miei occhi. Un paesaggio declinato in bianco e nero, per coglierne l’essenza, l’aspetto più intimo ed essenziale.
L’attesa del momento e della luce giusta è stata spesso la parte più importante oltre al semplice scatto.

L’intento di questa esposizione è quello di trasmettere le stesse emozioni e gli sguardi vissuti da me nel momento dello scatto”.

L’autore, Alberto Battarelli, è nato e vissuto a Trento ed è molto legato alle zone del Livinallongo: il nonno materno, Giacomo Crepaz, maestro elementare, nato a Larzonei, ha vissuto ad Andraz.

Dal 15 giugno al 21 luglio – Castello di Andraz – Livinallongo del Col di Lana (Belluno)

MUHAMMAD ALI

HOUSTON,TX – NOVEMBER 14,1966: Muhammad Ali celebrates after knocking out Cleveland Williams during the fight at the Astrodome in Houston, Texas. Muhammad Ali won the World Heavyweight Title by a TKO 3. (Photo by: The Ring Magazine/Getty Images)

100 fotografie immortalano la carriera e la vita del “Re del Mondo” a cura di Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi

“Non c’è bisogno di stare in un ring di pugilato per essere un grande combattente. Finché si resterà fedeli a se stessi, si avrà successo nella propria lotta, per quello in cui si crede.”

Napoli rende omaggio a Muhammad Ali, una delle icone sportive più famose e celebrate del XX secolo, con una mostra in programma dal 22 marzo al 16 giugno 2019, al PAN – Palazzo delle Arti Napoli.

La rassegna, promossa dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, organizzata da ViDi – Visit Different, curata da Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi, presenta 100 immagini, provenienti dai più grandi archivi fotografici internazionali quali New York Post Archives, Sygma Photo Archives, The Life Images Collection che colgono Ali in situazioni e momenti fondamentali della sua vita non solo sportiva.

Ogni sala è dedicata a uno dei “doni” che Ali ha offerto a ogni singola persona come un tesoro senza prezzo e senza tempo: doni agli appassionati di boxe, al linguaggio, alla dignità umana, ai compagni di viaggio, ai bambini, al coraggio, alla memoria.

Nelle sale del PAN va in scena un lungo racconto per immagini di una tra le più straordinarie personalità del Novecento; il ritratto a 360° di un uomo che è stato capace di battersi con successo su ring diversi tra loro. Quelli che gli hanno dato per tre volte il titolo mondiale dei pesi massimi, quello della lotta per i diritti civili dei neri americani, quello dell’integrazione, quello della comunicazione.

Dal 22 marzo al 16 giugno – PAN Palazzo delle Arti Napoli

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Mostre per marzo

Ciao,

eccoci di nuovo a consigliarvi nuove mostre da non perdere durante il mese di marzo.

Per avere l’elenco completo delle mostre in corso in ogni momento, date un’occhiata qua

Anna

Franco Fontana. Sintesi

Modena rende omaggio a Franco Fontana (1933), uno dei suoi artisti più importanti e tra i più conosciuti a livello internazionale. Dal 22 marzo al 25 agosto 2019, FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE, nelle tre sedi della Palazzina dei Giardini, del MATA – Ex Manifattura Tabacchi e della Sala Grande di Palazzo Santa Margherita, ospita la mostra, dal titolo Sintesi, che ripercorre oltre sessant’anni di carriera dell’artista modenese e traccia i suoi rapporti con alcuni dei più autorevoli autori della fotografia del Novecento. L’esposizione è suddivisa in due sezioni. La prima, curata da Diana Baldon, direttrice di FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE, allestita nella Sala Grande di Palazzo Santa Margherita e nella Palazzina dei Giardini, rappresenta la vera sintesi – come recita il titolo – del percorso artistico di Franco Fontana, attraverso trenta opere, la maggior parte delle quali inedite, realizzate tra il 1961 e il 2017, selezionate dal vasto archivio fotografico dell’artista. Questo nucleo si concentra su quei lavori che costituiscono la vera cifra espressiva di Fontana. Sono paesaggi urbani e naturali, che conducono il visitatore in un ideale viaggio che lega Modena a Cuba, alla Cina, agli Stati Uniti e al Kuwait. Fin dagli esordi, Fontana si è dedicato alla ricerca sull’immagine fotografica creativa attraverso audaci composizioni geometriche caratterizzate da prospettive e superfici astratte significandone e testimoniandone la forma. Queste riprendono soggetti vari, che spaziano dalla cultura di massa allo svago, dal viaggio alla velocità, quale allegoria della libertà dell’individuo, in cui la figura umana è quasi sempre assente o vista da lontano. Le sue fotografie sono state spesso associate alla pittura astratta modernista, per la quale il colore è un elemento centrale, mentre le linee geometriche delle forme dissimulano la rappresentazione della realtà. Questo suo innovativo approccio si è imposto, a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, come una carica innovatrice nel campo della fotografia creativa a colori. La seconda sezione, curata dallo stesso Franco Fontana, ospitata dal MATA – Ex Manifattura Tabacchi,propone una selezione di circa cento fotografie che Franco Fontana ha donato nel 1991 al Comune di Modena e Galleria Civica che costituisce un’importante costola del patrimonio collezionistico ora gestito da Fondazione Modena Arti Visive. Tale collezione delinea i rapporti intrecciati dall’artista con i grandi protagonisti della fotografia internazionale. A metà degli anni settanta, Fontana inizia infatti a scambiare stampe con altri fotografi internazionali, raccogliendo negli anni oltre 1600 opere di molti tra i nomi più significativi della fotografia italiana e internazionale, da Mario Giacomelli a Luigi Ghirri e Gianni Berengo Gardin, da Richard Avedon a Annie Leibovitz, da Arnold Newman a Josef Koudelka e Sebastião Salgado. Attraverso i ricordi in prima persona dell’artista, questa sezione testimonia la vastità e la genuinità delle relazioni di Fontana con colleghi di tutto il mondo, in molti casi divenute legami di amicizia profonda, e la stima di cui è circondato, attestata dalle affettuose dediche spesso presenti sulle fotografie. La mostra sarà accompagnata da un catalogo disponibile in mostra. La mostra Franco Fontana. Sintesi è realizzata in collaborazione con il festival Fotografia Europea di Reggio Emilia, che nell’edizione 2019 sarà dedicato al tema “LEGAMI. Intimità, relazioni, nuovi mondi”.

Dal 22 Marzo 2019 al 25 Agosto 2019 –  Sedi varie – Modena

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LETIZIA BATTAGLIA. Fotografia come scelta di vita

Dal 21 marzo al 18 agosto 2019, la Casa dei Tre Oci di Venezia ospita una grande antologica di Letizia Battaglia (Palermo, 1935), una delle protagoniste più significative della fotografia italiana, che ne ripercorre l’intera carriera. La mostra, curata da Francesca Alfano Miglietti, organizzata da Civita Tre Venezie, in collaborazione con l’Archivio Letizia Battaglia, con la partecipazione della Fondazione di Venezia, presenta 200 immagini, molte delle quali inedite, che rivelano il contesto sociale e politico nel quale sono state scattate. Il percorso espositivo, ordinato tematicamente, si focalizza su quegli argomenti che hanno costruito la cifra espressiva più caratteristica di Letizia Battaglia, che l’ha portata a fare una profonda e continua critica sociale, evitando i luoghi comuni e mettendo in discussione i presupposti visivi della cultura contemporanea. I ritratti di donne, di uomini o di animali, o di bimbi, sono solo alcuni capitoli che compongono la rassegna; a questi si aggiungono quelli sulle città come Palermo, e quindi sulla politica, sulla vita, sulla morte, sull’amore. Quello che ne risulta è il vero ritratto di Letizia Battaglia, una intellettuale controcorrente, ma anche una fotografa poetica e politica, una donna che si è interessata di ciò che la circondava e di quello che, lontano da lei, la incuriosiva. Conosciuta soprattutto per aver documentato con le sue fotografie quello che la mafia ha rappresentato per la sua città, dagli omicidi ai lutti, dagli intrighi politici alla lotta che s’identificava con le figure di Falcone e Borsellino, nel corso della sua carriera Letizia Battaglia ha raccontato anche la vita dei poveri e le rivolte delle piazze, tenendo sempre la città come spazio privilegiato per l’osservazione della realtà, oltre che del suo paesaggio urbano. I soggetti di Letizia, scelti non affatto casualmente, hanno tracciato un percorso finalizzato a rafforzare le proprie ideologie e convinzioni in merito alla società, all’impegno politico, alle realtà emarginate, alla violenza provocata dalle guerre di potere, all’emancipazione della donna.

VENEZIA/TRE OCI –  21.03>18.08.2019

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Don McCullin

This exhibition showcases some of the most impactful photographs captured over the last 60 years. It includes many of his iconic war photographs – including images from Vietnam, Northern Ireland and more recently Syria. But it also focuses on the work he did at home in England, recording scenes of poverty and working class life in London’s East End and the industrial north, as well as meditative landscapes of his beloved Somerset, where he lives. Sir Don McCullin was born in 1935 and grew up in a deprived area of north London. He got his first break when a newspaper published his photograph of friends who were in a local gang. From the 1960s he forged a career as probably the UK’s foremost war photographer, primarily working for the Sunday Times Magazine. His unforgettable and sometimes harrowing images are accompanied in the show with his brutally honest commentaries. With over 250 photographs, all printed by McCullin himself in his own darkroom, this exhibition will be a unique opportunity to appreciate the scope and achievements of his entire career.

5 February – 6 May 2019 – Tate Britain London

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Inge Morath

Casa dei Carraresi di Treviso accoglie, dopo il successo della mostra su Elliott Erwitt ed i suoi cani, la prima grande retrospettiva italiana di Inge Morath, la prima donna ad essere inserita nel cenacolo, all’epoca tutto maschile, della celebre agenzia fotografica Magnum Photos. Impropriamente nota alle cronache più per aver sostituito la mitica Marilyn Monroe nel cuore dello scrittore Arthur Miller, divenendone moglie e compagna di vita, è stata in realtà soprattutto una straordinaria fotografa ed una fine intellettuale. Il suo rapporto con la fotografia è stato un crescendo graduale: dopo aver lavorato come traduttrice e scrittrice in Austria, inizia a scattare nel 1952, e dall’anno successivo, grazie ad Ernst Haas inizia a lavorare per Magnum Photos a Parigi. Limitarsi a considerarla una fotografa di questa celebre agenzia è riduttivo. Le celebri fotografie realizzate durante i suoi viaggi, o gli intensi ritratti in grado di catturare le intimità più profonde dei suoi soggetti, si accompagnano ad una brillante attività intellettuale che si alimentava di amicizie con celebri scrittori, artisti, grafici e musicisti. Che si trattasse di raccontare paesaggi e Paesi, persone o situazioni, le sue foto erano sempre caratterizzate da una visione personale e da specifica sensibilità, in grado di arricchire la percezione del mondo che la circondava. Come Inge Morath era solita dire: “Ti fidi dei tuoi occhi e non puoi fare a meno di mettere a nudo la tua anima”. Ogni reportage di viaggio ed ogni incontro veniva da lei preparato con cura maniacale. La sua conoscenza di diverse lingue straniere le permetteva di analizzare in profondità ogni situazione e di entrare in contatto diretto e profondo con la gente. Per questa ampia retrospettiva a Casa dei Carraresi – una selezione di oltre 150 fotografie e decine di documenti riferiti al lavoro di Inge Morath – i curatori hanno dato vita ad un percorso che analizzerà tutte le principali fasi del lavoro della Morath, ma al contempo cercherà di far emergere l’umanità che incarna tutta la sua produzione. Una sensibilità segnata dell’esperienza tragica della seconda guerra mondiale, che con gli anni si rafforzerà e diventerà documentazione della resistenza dello spirito umano alle estreme difficoltà e consapevolezza del valore della vita. La mostra ripercorre tutti i principali reportage realizzati dalla fotografa austriaca: da quello dedicato alla città di Venezia a quello sul fiume Danubio; dalla Spagna alla Russia, dall’Iran alla Cina, alla Romania, agli Stati Uniti d’America passando per la nativa Austria. Contemporaneamente il percorso espositivo darà spazio ai suoi celebri ritratti di scrittori, pittori, poeti, tra cui lo stesso Arthur Miller, oltre ad Alberto Giacometti, Pablo Picasso e Alexander Calder: quest’ultimo suo vicino di casa a Roxbury, nel Connecticut, dove Inge Morath visse con il marito Premio Pulitzer per tutta la vita. Ci sarà poi spazio anche per il mondo del cinema. Nel 1960 Inge Morath viene infatti inviata dall’agenzia Magnum nel set della pellicola hollywoodiana “The Misfits”, un’enorme produzione cinematografica con alla regia John Houston, alla sceneggiatura Arthur Miller, ed attori del calibro di Clark Gable e Marilyn Monroe. All’epoca Miller e la Monroe erano sposati, ma la loro relazione era già in difficoltà. Proprio sul set del film, la Morath ebbe modo di conoscere lo scrittore, che sarebbe diventato poi suo marito. Come dichiara Marco Minuz: “E’ un progetto espositivo che vuole descrivere, nel dettaglio e per la prima volta in Italia, la straordinaria vita di questa fotografa; una donna dalle scelte coraggiose, emancipata, che ha saputo nella fotografia inserirci la sua sensibilità verso l’essere umano”. Questa prima retrospettiva italiana è prodotta da Suazes con Fotohof di Salisburgo, con la collaborazione di Fondazione Cassamarca, Inge Morath Foundation e Magnum Photos.

1 marzo – 9 giugno 2019 – Casa dei Carraresi, Treviso

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Internat di Carolyn Drake

A partire dal 15 febbraio 2019 Officine Fotografiche ospita a Roma Internat, progetto della fotografa statunitense Carolyn Drake, curato da Laura De Marco, in collaborazione con SI FestSavignano Immagini Festivale con il patrocinio della città di Savignano sul Rubicone. Tra il 2014 e il 2016, Carolyn Drake realizza una serie di immagini all’interno di un orfanotrofio russo che ospita giovani con disabilità, tra cui molte giovani donne che diventano adulte nel completo isolamento. Frutto di un percorso individuale ed esistenziale che nasce anni prima degli scatti realizzati, Internat è la testimonianza di un’intensa collaborazione tra la Drake e le ospiti della struttura che, su suo invito, hanno prodotto proprie creazioni, a partire dalle opere di Taras Shevchenko, artista ucraina, etnografa, poetessa e prigioniera politica. La natura, gli oggetti della vita quotidiana e le mura dell’orfanotrofio sono mezzi per discutere questioni quali il controllo sociale, l’identità individuale e collettiva, la libertà di immaginazione e la normalizzazione del comportamento femminile. Cosa definisce l’identità di una persona all’interno della società? La sua famiglia e i rapporti che si instaurano con essa; il cerchio allargato delle persone che via via incontra; le esperienze che fa del mondo, e così via. Cosa succede quando tutto questo viene negato? Quando si cresce all’interno dei confini murati di una istituzione? Questa è la premessa di Internat di Carolyn Drake, un lavoro su cui ha iniziato a riflettere dodici anni fa, ma che è stato poi sviluppato tra il 2014 e il 2017. Internat è una pensione immersa nella foresta attorno alla città di Ternopil’, in Ucraina. Sembrerebbe, così descritto, un posto idilliaco, ma è invece un edificio circondato da alte mura in cui vengono recluse ragazze adolescenti ritenute non abili a condurre una vita regolare in società. Quando nel 2006 Drake si imbatte in questo luogo, è convinta che a quelle ragazze, una volta cresciute, verrà garantito il ritorno alla vita nel mondo reale; ma anni dopo, quando ritorna con l’idea di andare a scoprire come sono cambiate le loro vite una volta uscite, la sconcertante scoperta che le allora adolescenti sono ora donne adulte, ancora rinchiuse tra quelle mura, porta l’artista a porsi le domande all’inizio di queste righe. Come si sviluppa l’identità di una giovane donna in queste condizioni? In un microcosmo come quello di un istituto, che rapporti si instaurano tra chi fa le regole, la direzione, e chi le subisce? Può una realtà di questo tipo essere vista come esempio in miniatura di ciò che accade nel macrocosmo della società “libera”? Probabilmente, sì. Drake inizia a fotografare la vita delle ragazze e a coinvolgerle nel suo lavoro utilizzando l’ambiente, le relazioni tra di loro e l’arte stessa per aprire un dialogo onesto e diretto e, soprattutto, una possibilità di confronto. Scopre così che la fantasia, la natura, i rapporti interpersonali e la routine delle azioni quotidiane sono tra le cose che l’essere umano riesce sempre a trovare per imparare a definire e a definirsi, anche creandosi un mondo del tutto personale e autonomo. Internat si sviluppa come una vera e propria pratica di collaborazione alla produzione del lavoro artistico: Drake condivide la sua autorialità con i soggetti coinvolti, nel tentativo di creare un progetto che possa fare luce sulle molteplici sfaccettature di questo micro mondo. Includendo i suoi soggetti nel processo creativo, Drake ha la possibilità di andare oltre a una annosa questione (non solo pratica, ma anche etica) della fotografia documentaria classica: chi è che racconta le storie e a favore di chi lo fa? Ovvero, i soggetti, soprattutto di storie delicate come questa, hanno effettivamente voce in capitolo nel momento in cui la loro storia viene raccontata o non si fa altro che diffondere narrazioni a una unica via, quella dell’autore che le racconta? Coinvolgendo le ragazze dell’orfanotrofio, non solo Drake stabilisce un rapporto più profondo con loro, e dunque ha accesso a una intimità maggiore, ma dà anche loro la possibilità di costruire la propria narrazione e avere il controllo su quella che è la loro storia. Approccio rischioso, dal punto di vista dell’artista, ma decisamente potente e illuminante.

dal 18 febbraio all’ 8 marzo 2019 – Officine Fotografiche Roma

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Ferdinando Scianna, Viaggio Racconto Memoria

“Non sono più sicuro, una volta lo ero, che si possa migliorare il mondo con una fotografia. Rimango convinto, però, del fatto che le cattive fotografie lo peggiorano” Ferdinando Scianna

Il 21 febbraio, negli spazi espositivi della Galleria d’arte moderna di Palermo, aprirà al pubblico la grande mostra antologica dedicata a Ferdinando Scianna, curata da Denis Curti, Paola Bergna e Alberto Bianda, art director della mostra, e organizzata da Civita. Con oltre 180 fotografie in bianco e nero stampate in diversi formati, la rassegna attraversa l’intera carriera del fotografo siciliano e si sviluppa lungo un articolato percorso narrativo, costruito su diversi capitoli e varie modalità di allestimento. Ferdinando Scianna è uno dei maestri della fotografia non solo italiana. Ha iniziato ad appassionarsi a questo linguaggio negli anni Sessanta, raccontando per immagini la cultura e le tradizioni della sua regione d’origine, la Sicilia. Il suo lungo percorso artistico si snoda attraverso varie tematiche – l’attualità, la guerra, il viaggio, la religiosità popolare – tutte legate da un unico filo conduttore: la costante ricerca di una forma nel caos della vita. In oltre 50 anni di racconti non mancano di certo le suggestioni: da Bagheria alle Ande boliviane, dalle feste religiose – esordio della sua carriera – all’esperienza nel mondo della moda, iniziata con Dolce & Gabbana e Marpessa. Poi i reportage (fa parte dell’agenzia foto giornalistica Magnum), i paesaggi, le sue ossessioni tematiche come gli specchi, gli animali, le cose e infine i ritratti dei suoi grandi amici, maestri del mondo dell’arte e della cultura come Leonardo Sciascia, Henri Cartier-Bresson, Jorge Louis Borges, solo per citarne alcuni. “Una grande mostra antologica come questa di Palermo, a settantacinque anni, è per un fotografo un complesso, affascinante e forse anche arbitrario viaggio nei cinquant’anni del proprio lavoro e nella memoria. Ecco già due parole chiave di questa mostra e del libro che l’accompagna: Memoria e Viaggio. La terza, fondamentale, è Racconto. Oltre 180 fotografie divise in tre grandi corpi, articolati in diciannove diversi temi. Questo tenta di essere questa mostra, un Racconto, un Viaggio nella Memoria. La storia di un fotografo in oltre mezzo secolo di fotografia”, dichiara Ferdinando Scianna. Avendo deciso di raccogliere in questa mostra la più ampia antologia dei suoi lavori fotografici, con la solita e spiccata autoironia, Ferdinando Scianna, in apertura del percorso espositivo, sceglie un testo di Giorgio Manganelli: “Una antologia è una legittima strage, una carneficina vista con favore dalle autorità civili e religiose. Una pulita operazione di sbranare i libri che vanno per il mondo sotto il nome dell’autore per ricavarne uno stufato, un timballo, uno spezzatino…” Ferdinando Scianna del suo lavoro scrive: come fotografo mi considero un reporter. Come reporter il mio riferimento fondamentale è quello del mio maestro per eccellenza, Henri Cartier-Bresson, per il quale il fotografo deve ambire ad essere un testimone invisibile, che mai interviene per modificare il mondo e gli istanti che della realtà legge e interpreta. Ho sempre fatto una distinzione netta tra le immagini trovate e quelle costruite. Ho sempre considerato di appartenere al versante dei fotografi che le immagini le trovano, quelle che raccontano e ti raccontano, come in uno specchio. Persino le fotografie di moda le ho sempre trovate nell’azzardo degli incontri con il mondo.

21 febbraio – 28 luglio 2019 – Palermo, Galleria d’arte Moderna

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Tina – Tina Modotti

La mostra Tina è un progetto ideato da Bonanni Del Rio Catalog in collaborazione con Reinhard Schultz della Galerie Bilderwelt di Berlino e inaugurerà il 7 marzo nello spazio BDC28, in borgo delle Colonne 28 a Parma. L’intento è quello di far conoscere Tina, donna emancipata e indipendente, ma soprattutto quello di celebrare la sua arte, rimasta a volte un po’ in ombra rispetto alla sua appassionante vicenda biografica. La scelta di celebrare Tina e la sua arte in occasione della festa della donna non è casuale, in quanto ancora oggi rappresenta un’icona di indipendenza ed emancipazione femminile. In tutto 80 scatti illustreranno la ricerca fotografica dagli inizi del suo breve percorso intorno agli anni ’20 del secolo scorso, in un Messico ricco di fermenti artistici e sociali, fino alle ultime foto scattate a Berlino nel 1930. Chiude la mostra l’omaggio all’artista di tre giovani fotografe parmigiane: Noemi Martorano, Alessia Leporati, e Chuli Paquin con una piccola selezione di loro opere, renderanno omaggio al talento di Tina Modotti. Il nuovo catalogo realizzato per la mostra contiene tutte le fotografie in esposizione e i contributi Tina Modotti: il mondo come geometria e lunga durata di Gloria Bianchino e I fuochi, le ombre, i silenzi di Pino Cacucci. L’esposizione proseguirà fino al 7 aprile con ingresso gratuito.

Dal 7 marzo al 7 aprile – Spazio BDC 41 – Parma

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Surrealist Lee Miller

Palazzo Pallavicini e ONO arte contemporanea sono lieti di presentare la mostra “Surrealist Lee Miller”, la prima personale italiana dedicata ad una delle fotografe più importanti del Novecento. Lanciata da CondéNast, sulla copertina di Vogue nel 1927, Lee Miller fin da subito diventa una delle modelle più apprezzate e richieste dalle riviste di moda. Molti i fotografi che la ritraggono – Edward Steichen, George Hoyningen-Huene o Arnold Genthe – e innumerevoli i servizi fotografici di cui è stata protagonista, fino a quando – all’incirca due anni più tardi – la Miller non decide di passare dall’altra parte dell’obiettivo. Donna caparbia e intraprendente, rimane colpita profondamente dalle immagini del fotografo più importante dell’epoca, Man Ray, che riesce ad incontrare diventandone modella e musa ispiratrice. Ma, cosa più importante, instaura con lui un duraturo sodalizio artistico e professionale che assieme li porterà a sviluppare la tecnica della solarizzazione. Amica di Picasso, di Ernst, Cocteau, Mirò e di tutta la cerchia dei surrealisti, Miller in questi anni apre a Parigi il suo primo studio diventando nota come ritrattista e fotografa di moda, anche se il nucleo più importante di opere in questo periodo è certamente rappresentato dalle immagini surrealiste, molte delle quali erroneamente attribuite a Man Ray. A questo corpus appartengono le celebri Nude bentforwardCondom e Tanja Ramm under a belljar, opere presenti in mostra, accanto ad altri celebri scatti che mostrano appieno come il percorso artistico di Lee Miller sia stato, non solo autonomo, ma tecnicamente maturo e concettualmente sofisticato. Dopo questa prima parentesi formativa, nel 1932 Miller decide di tornare a New York per aprire un nuovo studio fotografico che, nonostante il successo, chiude due anni più tardi quando per seguire il marito – il ricco uomo d’affari egiziano Aziz Eloui Bey – si trasferisce al Cairo. Intraprende lunghi viaggi nel deserto e fotografa villaggi e rovine, iniziando a confrontarsi con la fotografia di reportage, un genere che Lee Miller porta avanti anche negli anni successivi quando, insieme a Roland Penrose – l’artista surrealista che sarebbe diventato il suo secondo marito – viaggia sia nel sud che nell’est europeo. Poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel 1939, lascia l’Egitto per trasferirsi a Londra, ed ignorando gli ordini dall’ambasciata americanadi tornare in patria, inizia a lavorare come fotografa freelance per Vogue. Documenta gli incessanti bombardamenti su Londra ma il suo contributo più importante arriverà nel 1944 quando è corrispondente accreditata al seguito delle truppe americane e collaboratrice del fotografo David E. Scherman per le riviste “Life” e “Time”.

Fu lei l’unica fotografa donna a seguire gli alleati durante il D-Day, a documentare le attività al fronte a durante la liberazione. Le sue fotografie ci testimoniano in modo vivido e mai didascalico l’assedio di St. Malo, la Liberazione di Parigi, i combattimenti in Lussemburgo e in Alsazia e, inoltre, la liberazione dei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald. È proprio in questi giorni febbrili che viene fatta la scoperta degli appartamenti di Hitler a Monaco di Baviera ed è qui che scatta quella che probabilmente è la sua fotografia più celebre: l’autoritratto nella vasca da bagno del Führer. Dopo la guerra Lee Miller ha continuato a scattare per Vogue per altri due anni, occupandosi di moda e celebrità, ma lo stress post traumatico riportato in seguito alla permanenza al fronte contribuì al suo lento ritirarsi dalla scena artistica, anche se il suo apporto alle biografie scritte da Penrose su Picasso, Mirò, Man Ray e Tapies fu fondamentale, sia come apparato fotografico che aneddotico. La mostra (14 marzo – 9 giugno 2019), organizzata da Palazzo Pallavicini e curata da ONO arte contemporanea, si compone di 101 fotografie che ripercorrono l’intera carriera artistica della fotografa, attraverso quelli che sono i suoi scatti più famosi ed iconici. 

14 marzo – 9 giugno 2019 –  Bologna Palazzo Pallavicini

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Robert Frank’s America

Danziger Gallery is pleased to announce an exhibition devoted to the American photographs of Robert Frank, his best known and arguably most important work. The exhibition will be comprised of 40 photographs – 15 from Frank’s seminal book “The Americans” (now celebrating the 60thanniversary of its American publication) and 25 unpublished works from Frank’s travels at the time. Born in Zurich in 1924, Frank began his career in photography in the mid-1940s before emigrating to America in 1947. As an immigrant, Frank was fascinated by America and after his first travels around the country he applied for a Guggenheim Fellowship to fund a longer and deeper journey around all parts of the country. In his proposal to the Guggenheim Foundation Frank wrote: “The photographing of America is a large order – read at all literally, the phrase would be an absurdity.” The “total production” of such a project, he added, would be “voluminous.” However surprisingly the proposal was accepted and Frank embarked on a two-year journey around America during which he took over 28,000 photographs. Eighty-three of the images were subsequently published in the book “The Americans” — widely recognized as one of the greatest photography books ever published. What Frank brought to the medium was an improvisational quality that saw the world in a different but more truthful way than the commonly perceived visual clichés of his time. While the often dark and idiosyncratic nature of his vision shocked many people, it led the way to much of what has followed in photography. Sarah Greenough, senior curator of photography at the National Gallery of Art in Washington noted: “Frank revealed a people who were plagued by racism, ill-served by their politicians, and rendered increasingly numb by the rising culture of consumerism. But it’s also important to point out that he found new areas of beauty in those simple, overlooked corners of American life – in diners, or on the street. He pioneered a whole new subject matter that we now define as icons: cars, jukeboxes, even the road itself. All of these things, coupled with his style – which is seemingly intuitive, immediate, and off-kilter – were radically new at the time.” As with every photo editing process, out of necessity many great photographs were left out of “The Americans”, but rather than being forgotten, Frank chose to print these images in the same 11 x 14 inch format as the ones included in the book. There were no plans to ever publish a second volume, but from the quality of the unpublished images we will be exhibiting, it is clear there would have been little drop-off in quality. About the prints: By the late 1970s, Frank had turned his primary attention away from photography to film making and in order to fund both his life and his Film work, in 1978 he sold his existing archive of vintage prints along with many hundreds of prints made to complete the transaction. The prints exhibited here all come from that purchase — the largest collection of this most important figure in the history of the medium. They are either vintage prints (printed at approximately the same time as they were taken) or printed no later than 1978 by Sid Kaplan who made most of Robert Franks prints for three decades.

February 9 – March 31, 2019 – Danziger Gallery – New York

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Wildlife Photographer of the Year

La grande fotografia naturalistica in scena al Forte di Bard. Ancora una volta tocca al Forte di Bard l’onore di ospitare l’anteprima italiana della nuova edizione della mostra legata al prestigioso concorso fotografico Wildlife Photographer of the Year 2018. L’esposizione è in programma dal 2 febbraio al 2 giugno 2019. Il fotografo olandese Marsel van Oosten ha vinto l’ambito titolo Wildlife Photographer of the Year 2018 per il suo straordinario scatto, The Golden Couple, che raffigura due scimmie dal naso dorato nella foresta temperata delle montagne cinesi di Qinling, l’unico habitat per queste specie a rischio di estinzione. Il ritratto vincente coglie la bellezza e la fragilità della vita sulla terra oltre che uno scorcio di alcuni degli straordinari – ma facilmente riconoscibili – esseri con cui condividiamo il nostro pianeta. Il sedicenne Skye Meaker ha ricevuto il premio per Young Wildlife Photographer of the Year 2018 con il suo affascinante scatto di un leopardo che si sveglia dal sonno nella Mashatu Game Reserve, nel Botswana. Sette i fotografi italiani premiati in categorie quali ad esempio Fauna selvatica urbana, Ambiente terrestre, Animali nel loro ambiente e Ritratti di animali.

2 Febbraio 2019 – 2 Giugno 2019 – Forte di Bard Aosta

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Behind the Glass – Gianmarco Maraviglia

“Behind the Glass” è un lungo progetto di documentazione e di ricerca che esplora gli ambienti ricostruiti dall’uomo per gli animali nelle più grandi strutture europee. Un’indagine visiva e visionaria, a volte distopica e futuristica, sul rapporto di fruizione degli spazi creati ad immagine della realtà, attraverso lo studio attento della natura o dell’immaginario comune della realtà, per esseri viventi nati in ambiente controllato. “Behind the Glass” esplora il confine sottile tra verità e ricostruzione, dal punto di vista di chi potrà capirne la differenza, come in una metafora del reale e del contemporaneo, in cui la costruzione del verosimile diventa realtà de facto. Le immagini in mostra a Milano si riferiscono all’Acquario di Genova, il più grande d’Europa e una delle principali attrazioni turistiche. Gianmarco Maraviglia durante il suo lavoro, ha avuto eccezionalmente accesso a tutte le aree chiuse al pubblico per documentare la macchina operativa che permette il funzionamento della struttura.

dal 14 febbraio al 14 marzo 2019 – Officine Fotografiche Milano

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Zanele Muholi “Nobody can love you more than you”

La Galleria del Cembalo, propone fino al 6 aprile 2019, una selezione di una ventina di opere fotografiche dell’attivista visiva sudafricana Zanele Muholi. Nata a Umlazi, Durban, Muholi vive a Johannesburg. Nelle parole dell’artista l’obbiettivo della sua ricerca è “riscrivere una storia visiva del Sudafrica dal punto di vista della comunità nera, lesbica e trans, affinché il mondo conosca la nostra resistenza ed esistenza in un periodo in cui i crimini generati dall’odio sono all’apice, in Sudafrica e non solo”. Attingendo al linguaggio del teatro l’artista interpreta vari personaggi e archetipi, utilizzando parrucche, costumi e oggetti di uso quotidiano, dalle mollette per stendere i panni, alle pagliette di metallo per pulire le pentole, alle cannucce per le bibite, alle grucce per appendere gli abiti. Contrastando la sua pelle, e a volte schiarendosi le labbra, accentua le proprie caratteristiche fisiche per riaffermare la sua identità. Guardando negli occhi della sua auto-rappresentazione, in tutto il suo riflettere di nero splendore, molti di noi potrebbero trovarsi a distogliere lo sguardo velocemente, per imbarazzo o per soggezione di fronte all’intensità del suo sguardo. Stare davanti a una qualsiasi delle sue fotografie richiede quindi, prima di tutto, un esercizio individuale di autovalutazione e di analisi profonda nei confronti di una persona che si è messa nuda di fronte alla lente dell’obiettivo e che ha messo a nudo le sue istanze. Quasi fosse una marea asincrona, dopo una prima suggestione, arriva quindi alla mente dell’osservatore un secondo livello di riflessione, più razionale, circa le motivazioni che sostengono questo sacrificio individuale così poco negoziabile, relativo al significato politico delle sue immagini. Per capirlo è necessario chiedersi cosa provi una minoranza nel vivere ogni giorno la propria condizione sia fisica e reale, sia percettiva e ambientale, sintetizzata da Zanele Muholi in: «You live as a black person for 365 days». La mostra è stata realizzata in collaborazione con Tosetti Value, il Family Office.

Dal 9 febbraio al 6 aprile 2019 – Galleria del Cembalo Roma

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Sol de Mayo – El gaucho y la ganaderia – Gianluca Colonnese

Dal 23 febbraio al 16 marzo Villa Brivio ospita la mostra “Sol de Mayo – El gaucho y la ganaderia” di Gianluca Colonnese, promossa dalla Libera accademia di Pittura e curata da Raoul Iacometti, autore dell’anno 2015 FIAF. Inaugurazione 23 febbraio ore 17.

La mostra racconta il viaggio del fotografo tra la Pampa argentina, la città di Buenos Aires e San Pedro. Un viaggio tra sguardi, usanze e riti che riportano alla cultura gauchesca. Se si pensa all’Argentina, non si può di certo prescindere dalla figura del Gaucho, lo storico Cowboy della Pampa. Questo personaggio a tratti romantico ha origini antiche: si crede esista dal 1700 DC e, per come lo conosciamo oggi, sia una miscela di tradizioni spagnole, arabe ed aborigene; il suo stesso nome deriva dall’arabo e significa “Uomo a cavallo”. Tra le caratteristiche principali dei Gauchos emergono la loro fede nella religione Cattolica ed il loro amore per i cavalli e per la musica folkloristica Argentina. La notorietà della carne argentina la si deve soprattutto al loro duro lavoro ed al costante mantenimento delle antiche tradizioni di allevamento del bestiame. Colonnese ha cercato di cogliere l’essenza della tradizione gauchesca partendo dai pascoli sterminati che profumano di libertà, attraverso le aste del bestiame ed ancora passando dalle macellerie nel cuore di Buenos Aires, dove la carne arriva in piena notte. Racconta: << Sono stato accolto nelle loro case come una persona di famiglia. Mi chiamano Tano, come d’altronde fanno in maniera simpatica con chi ha origini italiane. Vivono a stretto contatto con la natura ed ancora tutto funziona in maniera “feudale”. Quando per esempio si parla del proprietario terriero, ci si toglie il cappello a modo di rispetto. Ho trovato quella semplicità, amore per la famiglia e per la propria terra, che mi ha fatto comprendere ancor di più quanto tutto quello che ho documentato fosse importante>>.

Dal 23 febbraio al 16 marzo –  Villa Brivio, Nova Milanese

Humanity without borders – Nuccio Zicari

S’intitola “Humanity without borders”, ossia “Umanità senza confini”, ed è la mostra fotografica realizzata da Nuccio Zicari allestita alla FAM Gallery di Agrigento, dal 16 febbraio e fino al 24 marzo. Inaugurazione sabato 16, ore 17.30.

Selezionati dall’autore, sono venticinque scatti nella nuda verità del bianco e nero raccolti tra il 2015 e il 2017 nell’hotspot di Porto Empedocle (AG), dove centinaia di volontari si sono impegnati ad accogliere, accudire, visitare, medicare, ascoltare i migranti in fuga da guerre, fame e povertà. 

Accompagnano l’esposizione, nel catalogo bilingue, i testi del fotoreporter Tony Gentile, del fotografo e raffinato ritrattista Franco Carlisi, del giornalista e scrittore Gaetano Savatteri e degli storici dell’arte Giuseppe Frazzetto e Dario La Mendola.  “Le fotografie di Zicari – spiega Franco Carlisi – sanno creare un intervallo di silenzio dentro di noi, un pensiero inquieto che ferma e sospende i nostri giudizi, incrina le nostre certezze e alimenta un moto di civile risentimento. Non vi è nulla – in queste immagini – dell’imponente architettura stilistica che caratterizza buona parte dei lavori dei reporter contemporanei. Le fotografie di Nuccio accettano la sfida della realtà. Lo spirito etico che guida la sfera creativa del fotografo punta a comunicare una toccante verità umana con nitida limpidezza, senza orpelli linguistici.”

Paolo Minacori, direttore della FAM Gallery, racconta il progetto espositivo: “Era indispensabile trovare un “diaframma” che consentisse la giusta profondità di campo: dare testimonianza degli avvenimenti e mettere bene a fuoco il lavoro di Zicari, la sua ricerca di un linguaggio personale e di una cifra stilistica che pur restituendo il dramma contemporaneo non si mostrasse mai scontata o evocativa.”

Trentatrè anni, medico di professione, fotografo per vocazione (con una laurea specifica a Milano), Zicari spiega così il fotoreportage di “Humanity without borders”: “Le mie foto non vogliono puntare l’attenzione sul problema o rintracciarne i responsabili; ma essere piuttosto un invito alla riflessione, a considerare il lato umano di questi uomini, donne, bambini, famiglie. Che piangono, cantano, ridono, sanguinano come noi, ma a differenza nostra, spesso non hanno la possibilità di scegliere. La vita è un dono identico per tutti e chiunque dovrebbe avere il diritto di scegliere come darle un senso”.

Dal 16 Febbraio 2019 al 24 Marzo 2019 – Fam Gallery – Agrigento

Other Identity

Giunta alla sua seconda edizione Other Identity desidera decifrare un fenomeno ormai diffuso che ha cambiato radicalmente il modo di “vivere” e “interpretare” la nostra immagine, costantemente esibita e pubblicizzata: il nostro modo di autoritrarci e di presentarci al mondo, la spettacolarizzazione di un privato che si trasforma in pubblico attraverso i social media, creando nuove forme di identità in continua trasformazione. “Other Identity” vuole essere una tappa di un progetto espositivo, che funga da cartina al tornasole capace di misurare di volta in volta lo stato di una nuova grammatica narrativa, di nuove forme di interpretazione della nostra immagine. A confrontarsi sul tema dell’identità e dell’autorappresentazione sono artisti italiani e stranieri uniti da una comune piattaforma emotiva e tematica, dalla quale poi sfociano ricerche personali ben distinte, e dal comune linguaggio fotografico. Una nostra peculiarità è quella di presentare artisti per la maggior parte inediti per la città per favorire e stimolare la conoscenza del loro lavoro e l’interesse del pubblico. La fotografia è qui il medium privilegiato in ogni sua forma, sia essa analogica o digitale, utilizzata attraverso reflex professionali o smartphone, usata sempre con consapevolezza e coerenza dall’artista che la piega alla propria ricerca personale, senza abusare di quelle post-produzioni spesso impiegate per mascherare un’inesistente qualità dell’immagine. Il comune denominatore dei nostri artisti è la loro “onestà intellettuale” nel senso di un consapevole, intelligente, lucido, semplice uso del mezzo espressivo, a tratti brutale nella sua desolante rappresentazione del reale, spesso filtrato da emotività malinconiche e sognanti, crudo iper-realismo, graffiante autobiografia, esibizionismo pubblicitario e complesse dinamiche di intimità familiari. Non è corretto parlare di “artisti selezionati”, ma di artisti che si sono scelti, avvicinati con quell’istinto “animale” che ci fa riconoscere i nostri simili anche in cattività, identificare una piattaforma emotiva comune da cui poi sfociano ricerche personali ben distinte legate però da questa tematica di fondo.

9 – 23 Marzo 2019 | GENOVA – Galleria ABC-ARTE, Galleria Guidi&Schoen-Arte Contemporanea, PRIMO PIANO di Palazzo Grillo, Sala Dogana-Palazzo Ducale

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Body Island Project – Photography, Performance & Multimedia

Segnaliamo che questo evento è in chiusura il 3 marzo.

Il 15 febbraio 2019 alle 19:00 Magazzini Fotografici presenta Body Island Project. Dopo il suo esordio nell’agosto 2018 a Capri nella suggestiva location di Villa Lysis, un tempo dimora del barone Fersen, il progetto arriva a Magazzini Fotografici con una mostra che sarà in allestimento dal 15 febbraio al 3 marzo ed una performance che unisce danza e video, replicata il 23 febbraio e il 2 marzo alle 19:30. Body Island Project è una performance itinerante, un’immersione poetica in un percorso spaziale ed emotivo nel quale il pubblico ha l’occasione di attraversare, percepire, osservare, conoscere alcune tracce dell’intimo rapporto tra corpo e isola. Fotografia, video e danza sono le voci narranti attraverso le quali il visitatore può cogliere questa relazione unica grazie ad una creazione artistica site-specific. Un quadro nel quadro, in un dialogo multimediale sulla bellezza, la luce, il tempo, la fragilità, l’anima e la carne, entrando e uscendo da verità e finzione, realtà e poesia. Il progetto Body Island è creato e realizzato da un team di 4 professionisti: l’idea, la regia e la coreografia sono a cura di Sara Lupoli; la direzione artistica è a cura di Roberta Fuorvia; la fotografia è di Valeria Laureano e i multimedia di Giuseppe Riccardi.

dal 15 febbraio al 3 marzo – Magazzini Fotografici – Napoli

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Marina Sersale: insolita Venezia. Da vedere.

Venezia
Marina Sersale
Di giorno o di notte, con sole, pioggia o neve, Venezia è la città più magica che abbia mai visto. Incredibilmente romantica – insopportabilmente così, come una torta troppo dolce intrisa di melassa in ogni vetrina.

Tutte le immagini sono di Marina Sersale
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