Mostre di fotografia da non perdere a febbraio

Ciao,

ecco le mostre che vi segnaliamo per il mese di febbraio.

Speriamo che suscitino il vostro interesse.

Anna

MISE EN ABYME: MAKING OF YYY – Yelena Yemchuk

Nell’ambito di ART CITY Bologna 2023 in occasione di ARTEFIERA, Spazio Labo’, in collaborazione con Départ Pour l’Image, presenta Mise en Abyme, un progetto espositivo ed editoriale intorno al libro YYY di Yelena Yemchuk a cura dei co-fondatori della casa editrice Départ Pour l’Image, Luca Reffo e Francesca Todde.

Mise en Abyme è pensato come uno spin-off di YYY, edito da Départ Pour l’Image nel luglio 2022, e nasce dal desiderio di amplificare i concetti alla base del libro attraverso l’utilizzo del materiale accessorio prodotto durante la sua progettazione, composizione e lavorazione tipografica. L’opportunità di mostrare la messa in opera dell’edizione attraverso fogli macchina di stampa, embossing, prove colore, disegni e variazioni sull’editing mira ad arricchire la conoscenza dei processi creativi nell’intervallo tra l’ideazione e la produzione industriale editoriale.

Se YYY – acronimo di Україна Yelena Yemchuk – era un sogno a occhi aperti che conduceva a un percorso a ritroso dal terzo al primo capitolo, Mise en Abyme è la sua prosecuzione in forma di riflesso fantasma che “dal laghetto del sacrificio” mette lo sguardo nell’abisso dell’immaginario.
Nel progetto la narrazione originaria – la sequenza come di flusso di coscienza – è riscritta grazie a imprevisti sviluppi del materiale residuo, sovrapposizioni, ingrandimenti e fortuiti ritrovamenti.
La sofisticazione dei registri mira, attraverso l’attitudine evocativa dell’immagine, all’emersione delle sensazioni, libere da contenuti, facendo sì che il sistema alla base di Mise en Abyme potrebbe idealmente ripetersi infinite volte, suggerendo illimitate differenti versioni.

La mostra è una co-produzione di Spazio Labo’ e Départ pour l’image ed è parte di Origami, rassegna di ispirazioni multidisciplinari dedicata all’interazione tra forme artistiche, ai punti di contatto, e all’ibridazione dei linguaggi.

Dal 1 febbraio 2023 – Spazio Labo’ – Bologna

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MAURIZIO GALIMBERTI. ISTANTI DI STORIA

Maurizio Galimberti, Disinfestazione a Wuhan, 2020 (2021), mosaico con Fuji-instax, cm 148x95. LUCHI Collection
Maurizio Galimberti

Dall’11 febbraio al 30 aprile il MAC Museo d’Arte Contemporanea di Lissone presenta Istanti di storia, una personale di Maurizio Galimberti (Como, 1956) curata da Francesca Guerisoli e Denis Curti.
La mostra presenta per la prima volta al pubblico il ciclo completo che si ispira alla storia del Novecento e ai suoi protagonistisessanta opere di grande formato costituite da assemblaggi di istantanee fotografiche che ripropongono alcune delle immagini più iconiche degli ultimi decenni, attraverso cui l’artista rilegge la memoria collettiva.
Galimberti seleziona fotografie di altri autori – tra le più rappresentative degli accadimenti che hanno caratterizzato il nostro passato più recente –, le fotografa più volte da prospettive differenti, le scompone e le ricompone “a mosaico”, reiterando così la loro valenza simbolica, come a voler sottolineare la forza di queste stesse immagini, il cui potere evocativo “vale più di mille parole”. Questi mosaici non “spiegano” i fatti, né intendono dare risposte precise sul corso della storia, bensì, se visti nella loro totalità, appaiono come un campionario di eventi memorabili che attraverso l’intervento artistico si svincolano dalla documentazione storicizzata per assumere le sembianze eteree di reliquie contemporanee, commenta Denis Curti.
Il percorso espositivo si sviluppa in senso cronologico presentando rielaborazioni di immagini simbolo tratte dal mondo dell’attualità, della cinematografia e dello spettacolo (lo sbarco sulla luna, l’immagine simbolo del film Easy Rider, Anna Magnani in Roma città aperta, il pianto di Sofia Loren in La Ciociara, Jimi Hendrix con la sua chitarra, la tragedia del Grande Torino); si addentra nel buio della storia (la battaglia di Iwo Jima, la bomba atomica su Hiroshima, l’ingresso dell’Armata Rossa a Berlino nel 1945, l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, la crisi del Medio Oriente e il terrorismo degli anni ‘70, Mani Pulite, l’attentato alle Torri Gemelle); ripercorre i dolorosi traumi dell’infanzia (il bambino del Ghetto di Varsavia, i bambini di Mengele, la celebre foto della bambina vietnamita bruciata dal Napalm); si sofferma davanti alle più grandi personalità del Novecento (Che Guevara con il suo celebre sigaro, Martin Luther King, Papa Giovanni Paolo II, Aldo Moro, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Michail Gorbačëv e Boris Eltsin, Nelson Mandela) fino ad arrivare alla pandemia di Covid-19. L’itinerario espositivo si chiude con un lavoro inedito: la toccante rilettura della tragedia di Marcinelle, quando nella calda giornata estiva dell’8 agosto 1956, poco distante dalla città belga si consumò uno degli incidenti minerari più gravi della storia: 262 i morti, tra cui 136 immigrati italiani.

Dal 11 Febbraio 2023 al 30 Aprile 2023 – MAC Museo d’Arte Contemporanea di Lissone

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Carlo e Luciana – Nice Balconi

Carlo e Luciana
da In Almost Every Picture n. 17
di Erik Kessels e Sergio Smerieri Carlo e Luciana è un racconto di viaggio: ciascuno fotografa l’altro e viceversa. Coppie di immagini che affiancate si completano, come le metà di un insieme. Erik Kessels è un artista, designer e curatore olandese, colleziona fotografie che trova nei mercati delle pulci, nelle fiere, nei ne gozi dell’usato, ricontestualizzandole e pubblicandole con KesselsKramer Publishing. Tra i suoi lavori più famosi e importanti vi sono la rivista Useful photography e In Almost Every Picture. 

Nice Balconi
Fotografia Vernacolare dall’archivio di Sergio Smerieri
Presso Isolo17 Gallery di via XX Settembre 31b è allestita una mostra di fotografia vernacolare che racconta il valore simbolico che il balcone assume in scatti amatoriali ritrovati nei mercatini dell’antiquariato, o in polverose soffitte. Il balcone, a metà tra cielo e terra è metonimia del dentro mentre si affaccia al “fuori”. È status symbol da cui osservare il mondo per mostrarsi ad esso. 
Un modo per sorridere del noto balcone di Giulietta smitizzando la sua fama con decine di scatti che hanno immortalato nel tempo donne, bambini, famiglie intere sui balconi di mezza Italia.

in dialogo con le immagini realizzate dagli studenti del corso di Forme e linguaggi dell’arte di MSTC Iusve

Progetto a cura di Simone Azzoni e Sergio Smerieri
Organizzazione Grenze Arsenali Fotografici in collaborazione con Gu.Pho e Isolo17Gallery

dal 4 al 28 febbraio 2023 – Galleria d’Arte Contemporanea – Verona

ELLIOTT ERWITT. VINTAGE

© Elliott Erwitt / Magnum Photos
© Elliott Erwitt / Magnum Photos

Il 2023 del Museo Villa Bassi Rathgeb di Abano Terme parte alla grande con una mostra dedicata ad uno dei più grandi fotografi viventi del 900: Elliott Erwitt.

Erwitt ha scattato le prime fotografie dei razzi sovietici e la fotografia che ritrae il confronto verbale tra Nikita Krusciov e Richard Nixon. Tuttavia la fama internazionale è arrivata con le sue immagini umoristiche legate al mondo dei cani anche se la sua carriera è vastissima e tocca davvero tantissimi ambiti.

“Raramente metto in scena immagini, le aspetto. . . lascio che si prendano il loro tempo. A volte pensi che succederà qualcosa, quindi aspetti. Potrebbe avere successo; potrebbe non esserlo. Questa è una cosa meravigliosa delle immagini: le cose possono succedere“, 
dichiarava Elliott Erwitt mettendo in evidenza la sua innata capacità di intuire cosa accadrà dopo.

Le sue 
fotografie in bianco e nero raccontano una visione del mondo assolutamente unica e personale, poco focalizzata sul contesto esterno e sul paesaggio e concentrata su ciò che fanno davvero le persone e gli animali. Rappresentano la vita quotidiana di tutti noi, ci raffigurano quasi in un “dipinto” senza tempo.

L’Assessore alla Cultura del Comune di Abano Terme, Michela Allocca, insieme a Suazes e in collaborazione con CoopCulture
, presenta al Museo Villa Bassi Rathgeb una grande retrospettiva dedicata al grande autore, Elliott Erwitt, che vedrà in esposizione ben 154 fotografie vintage di grande valore, raramente esposte al pubblico, e trenta scatti fotografici davvero iconici del suo lavoro: opere che coprono sessant’anni di storia della fotografia.

Un percorso che sarà arricchito da materiale audiovisivo dedicato al grande fotografo rendendolo una vera occasione di approfondimento del suo lavoro.

Questo straordinario corpus di fotografie permette di affrontare le principali tematiche che caratterizzano il grande lavoro di Erwitt
: dal tema dell’integrazione razziale in America nel secondo dopoguerra alle mutazioni sociali della società americana, per proseguire con il tanto discusso tema del nudismo… e poi ancora i cani, i bambini, i viaggi in tutto il  mondo. 
I suoi scatti raccontano uno spaccato della storia e del costume del Novecento attraverso uno sguardo profondamente ironico che caratterizza il grande Autore.

Il percorso di mostra darà vera soddisfazione agli amanti della fotografia e ai conoscitori del suo lavoro e a coloro che per la prima volta si avvicineranno ad Elliott Erwitt.

Come dichiara Erwitt “Fare ridere la gente è uno dei risultati più alti che puoi ottenere. E quando riesci a far ridere e piangere qualcuno, alternativamente, come fa Chaplin, questo è il più alto di tutti i risultati possibili”.

Nato nel 1928 da genitori russi emigrati a Parigi, cresce a Milano e a dieci anni emigra, con la sua famiglia, negli Stati Uniti d’America. La sua prima esperienza legata alla fotografia consiste nell’elaborazione di fotografie pubblicitarie in una camera oscura di Hollywood. In quel periodo iniziò anche a scattare fotografie per conto proprio, fotografie che mostravano la sua visione del mondo marcatamente umoristica.  Nel 1955 Robert Capa gli offre l’opportunità di unirsi alla Magnum Photos, fondata nel 1947. Nel 1955 il celebre direttore del dipartimento di fotografia del MoMA di New York Edward Steichen selezionò alcune delle sue fotografie per la celebre mostra “The Family of Man”. Lo stesso Museum of Modern Art ospitò la sua prima mostra personale nel 1965.

Da allora, le fotografie di Erwitt sono state esposte in musei e gallerie di tutto il mondo ed il suo lavoro è stato oggetto di numerose pubblicazioni.


Le fotografie saranno inserite all’interno degli straordinari spazi di Villa Bassi Rathgeb attraverso uno specifico allestimento che permetterà di valorizzare appieno gli interni della struttura museale, creando un suggestivo dialogo. Poche volte in Italia si sono raccolte così tante fotografie dedicate al suo lavoro.

“Con questa iniziativa si vuole dare continuità alla progettualità avviata con le due precedenti mostra dedicate ad Eve Arnold e Robert Capa, mostra quest’ultima che ha avuto uno straordinario successo con oltre 13.000 persone e che dimostra quanta potenzialità abbia il progetto incentrato sulla fotografia dei grandi maestri e fortemente voluto dall’Amministrazione Comunale” afferma l’Assessore alla Cultura Michela Allocca.

“Abano con questa nuova iniziativa persegue in una direzione ben precisa che è quella di approfondire il lavoro dei maestri indiscussi della scena fotografica internazionale con dei progetti di approfondimenti creati ad hoc per offrire al pubblico un’offerta di altissimo livello e connotare così gli spazi museali di Villa Bassi Rathgeb come luogo di dialoghi e confronti multidisciplinari” prosegue il curatore della mostra Marco Minuz.

Dal 28 Gennaio 2023 al 11 Giugno 2023 – Museo Villa Bassi Rathgeb, Abano Terme (PD)

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NIKOS ALIAGAS. REGARDS VÉNITIENS

Nikos Aliagas. Regards Vénitiens © Nikos Aliagas 2022
Nikos Aliagas. Regards Vénitiens © Nikos Aliagas 2022

Nikos Aliagas percorre le calli veneziane per incontrare quelli che in città non si vedono: gli abitanti, ossia coloro che evitano gli sguardi degli obiettivi dei turisti. Questo progetto è germogliato e cresciuto nell’anima dell’artista quando Nikos Aliagas, su invito della Fondazione dell’Albero d’Oro, ha visitato per la prima volta la laguna e ne ha potuto osservare la realtà misteriosa e affascinante. In quel momento è nata l’idea di guardare veramente all’interno di Venezia, esplorando il mondo che ruota intorno a Palazzo Vendramin Grimani. L’obiettivo di Nikos Aliagas viaggia nella quotidianità straordinaria di campo San Polo, per il sestiere di cui è il cuore e fra gli scorci veneziani, e lascia che siano le immagini a raccontare le storie di chi vive e fa vivere questi luoghi. Le immagini di Nikos Aliagas sono in bianco e nero: l’artista esplora contrasti, controluce, movimenti all’interno di inquadrature in cui le linee rette e curve si sposano, ad esempio su un volto oppure all’angolo di una calle.

«È ancora possibile improvvisare a Venezia? In una città fotografata milioni di volte da occhi di passaggio? Sì, se si parte dal principio che è Venezia a guardarci e osservarci.»

– Nikos Aliagas

4 febbraio → 2 aprile 2023 – Palazzo Vendramin Grimani – VENEZIA

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LEE JEFFRIES. PORTRAITS. L’ANIMA OLTRE L’IMMAGINE

© Lee Jeffries
© Lee Jeffries

Non si è mai trattato di scattare delle fotografie…
Non sono la documentazione della vita di una persona; 
sono la documentazione di emozioni e spiritualità

Il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano ospita, dal 27 gennaio al 16 aprile 2023, la personale di Lee Jeffries (Bolton, UK, 1971), il fotografo diventato la voce dei poveri e degli emarginati.
Curata da Barbara Silbe e Nadia Righi, la mostra, prodotta e organizzata dal Museo Diocesano di Milano, presenta una cinquantina d’immagini in bianco e nero e a colori che catturano i volti di quell’umanità nascosta e invisibile che popola le strade delle grandi metropoli dell’Europa e degli Stati Uniti.

Fotografo autodidatta, Jeffries inizia la sua carriera quasi per caso, nel giorno che precedeva la maratona di Londra del 2008 quando scatta una fotografia a una giovane ragazza senzatetto che sedeva all’ingresso di un negozio; rimproverato per averlo fatto senza autorizzazione, Jeffries si ferma a parlare con lei, a interrogarla sul suo passato, a stabilire un contatto che andasse al di là della semplice curiosità per scavare nel profondo dell’animo della persona che aveva di fronte.

Da allora inizia a interessarsi e a documentare le vite degli homeless, passando dai vicoli di Los Angeles fino alle zone più nascoste e pericolose delle città della Francia e dell’Italia.

Grazie al suo sguardo e alla sua arte spirituale, come lui stesso è solito definirla, Lee Jeffries fa emergere le persone senza fissa dimora dal buio in cui sono reclusi e cerca di ridare luce e dignità a ogni essere umano.
Il suo stile è caratterizzato da inquadrature in primo piano fortemente contrastate, e da interazioni molto ravvicinate con i soggetti, uomini e donne che vivono ai margini della società, incontrati per le strade del mondo.

La sua cifra stilistica più caratteristica è quella del ritratto, sempre frontale e ravvicinato, spesso con sfondi monocromatici scuri che, elaborati con un efficace lavoro su luci e ombre, fa emergere i volti nella loro straordinaria potenza espressiva, capace di comunicare la loro sofferenza, il loro disagio e la loro condizione infelice.

Dal 27 Gennaio 2023 al 16 Aprile 2023 – Museo Diocesano Carlo Maria Martini – MILANO

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MAST PHOTOGRAPHY GRANT ON INDUSTRY AND WORK 2023 – VII EDIZIONE

MAST PHOTOGRAPHY GRANT ON INDUSTRY AND WORK

La mostra dei cinque finalisti propone cinque progetti originali e innovativi che mettono a fuoco le radicali trasformazioni in atto nel lavoro. In mostra insieme alle opere degli artisti dell’edizione 2023, i progetti di tutti i finalisti dal 2008 celebrano i 15 anni del Grant, dando vita a un giro del mondo per immagini che svela realtà sconosciute o lontane, ma sorprendentemente connesse alla nostra vita.

Dal 25 Gennaio 2023 al 01 Maggio 2023 – Fondazione MAST – Bologna

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MIGUEL TRILLO. LA MOVIDA. SPAGNA 1980-1990

© Miguel Trillo
© Miguel Trillo

La movida. Spagna 1980-1990 è la prima mostra di una serie di esposizioni organizzate dall’Ambasciata di Spagna in Italia, che si propone di presentare questo periodo fondamentale della storia recente della Spagna attraverso la generazione di fotografi emersa in quegli anni.
Dopo 40 anni di dittatura militare e con la fine della censura, negli anni 1980-1990 inizia un periodo di costruzione della nuova Spagna democratica, che si lascia alle spalle un’eredità oscura per farsi largo tra i paesi occidentali. Mentre le generazioni precedenti danno forma a un nuovo quadro politico, i più giovani si concentrano sul godimento del regime di libertà e la Movida diventa l’immagine eccessiva di questa nuova Spagna nascente: giovane, selvaggia, irriverente, colorata, edonistica e libera.
Le canzoni e le fotografie, insieme al cinema, sono state il perfetto correlato del cambiamento politico spagnolo degli anni Ottanta. Ma Miguel Trillo, invece di condividere il fascino della sua generazione per i nuovi idoli musicali, si è fermato a guardare il pubblico che ha reso i musicisti star della cultura di massa. Nelle sue foto, la macchina fotografica dà le spalle al palco e si concentra sui partecipanti al concerto. E non lo fa in modo furtivo, come il reporter o il ricercatore che vuole catturare un istante evanescente: i protagonisti delle fotografie di Trillo sono consapevoli che la macchina fotografica li fisserà per sempre nel tempo, e si sforzano di mostrare chi sono nel miglior modo possibile.
Queste immagini testimoniano l’emergere di una nuova cultura in cui siamo immersi da allora, in cui il suono e l’immagine hanno sostituito la parola come elemento centrale.

Dal 20 Gennaio 2023 al 30 Aprile 2023 – Museo di Roma in Trastevere

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VINCENT PETERS. TIMELESS TIME

Vincent Peters, Charlize Theron, New York, 2008
© Vincent Peters | Vincent Peters, Charlize Theron, New York, 2008

Dal 12 gennaio al 26 febbraio 2023 Palazzo Reale porta a Milano gli scatti iconici e senza tempo del fotografo Vincent Peters con la mostra con ingresso gratuito dal titolo “Timeless Time”: un percorso fatto di ombre, riflessi e chiaroscuri, in un succedersi di volti noti resi familiari dall’uso della luce. 

La mostra promossa da Comune di Milano-Cultura, prodotta e organizzata da Palazzo Realee Nobile Agency, è curata da Alessia Glaviano, Curator & Head of Global Photovogue.

Vincent Peters scolpisce i personaggi che ritrae con la luce, creando volumi in grado di definirli in uno spazio sospeso e in un tempo senza età – afferma l’assessore alla Cultura del Comune di Milano Tommaso Sacchi -. Il suo sguardo è protagonista a Palazzo Reale di una mostra originale, in programma fino alla prossima Milano Fashion Week, che pone in un affascinante dialogo le opere dell’artista con le dodici stanze dell’Appartamento dei Principi”.
Christian Bale, Kim Basinger, Monica Bellucci, Vincent Cassel, Laetitia Casta, Cindy Crawford, Penelope Cruz, Cameron Diaz, Matt Dillon, Michael Fassbender, Scarlett Johansson, Milla Jovovich, John Malkovich, Charlize Theron, Emma Watson sono solo alcuni dei personaggi famosi i cui ritratti sono esposti a Palazzo Reale. Scatti realizzati tra il 2001 e il 2021 da Vincent Peters che, usando un’illuminazione impeccabile, eleva i suoi soggetti a una posizione che spesso trascende il loro status di celebrità.
Quello ritratto da Vincent Peters è il mondo delle star e delle celebrities, un moderno Olimpo che dissolvendosi in un’atmosfera da cinema neorealista italiano si avvicina allo sguardo del pubblico diventando familiare e riconoscibile. 
I suoi scatti sono storie oniriche, composte da un sovrapporsi di strati che dialogano tra loro completandosi. Il suo lavoro, infatti, si caratterizza per stratificazione e distinzione: ciascun elemento che converge e si condensa in ogni suo singolo scatto, forma uno strato che non perde mai la propria identità e distinzione. E nell’incontrarsi di questi strati singolari, ogni immagine di Peters arriva a raccontare una storia. Fino a diventare un film in un solo fotogramma.

Con uno stile senza tempo, i lavori di Vincent Peters esposti nell’ Appartamento dei Principi al piano nobile di Palazzo Reale sono valorizzati da un allestimento minimal curato da Suazes che esalta le potenti immagini in bianco e nero e al tempo stesso sposa la bellezza delle signorili sale quattrocentesche che lo ospitano.

Dal 12 Gennaio 2023 al 26 Febbraio 2023 – Palazzo Reale, Milano

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Ricreazione – Marco Lanza

Marco Lanza ha partecipato all’ultima edizione di Paris Photo

Noema Gallery a Roma dà il via alla stagione espositiva 2023con la nuova mostra fotografica “Ricreazionedi Marco Lanza a cura di Chiara Dall’Olio, visitabile dal 26 gennaio al 25 febbraio.

Il progetto espositivo di Marco Lanza, nato dall’acquisto di migliaia di fotografie vernacolari sciolte, si è sviluppato con l’osservazione di ogni singola immagine. Dalle fotografie color seppia di una vacanza in montagna ai momenti millimetrici di padre e figlia, dagli scatti di una conferenza a eventi familiari o sportivi, questi materiali coprono un lungo periodo, dal 1920 al 1970 circa.

Seguendo le linee della nuova selezione, Lanza ha tagliato le fotografie attraverso una mascherina di plexiglas rettangolare o quadrata e ricomponendole, ha ricavato nuove opere, letteralmente estratte dagli originali. Una rilettura che agisce sulla materia modificandola per sempre. Una ricreazione che si compie sia sulla parte selezionata che su quella che resta, apparente scarto che diviene un’opera aperta, dotata di infinite possibilità interpretative. Alcune stampe sono invece presentate integre, ma sovrapposte. In questi quadri la stratificazione della materia fotografica rimanda alla storia con la “s” minuscola, alle storie famigliari, di cui si percepisce solo la superficie. Ogni fotografia della mostra “Ricreazione” è quindi il segno di una storia, di un momento passato, che non sarà più e che si ammanta di una patina di nostalgia.

Come scrive la curatrice del progetto Chiara Dall’OlioLe composizioni seguono i criteri e i passaggi che l’artista ha percorso: grandi tableau in cui i dettagli che hanno colpito il suo occhio, dopo essere stati ritagliati, sono stati mescolati e ricomposti, creando un’armonia visiva di grande equilibrio. Solo avvicinandosi si colgono i soggetti e ci si può perdere nella contemplazione delle piccole foto, immaginandosi storie o chiedendosi come sarebbe stata la fotografia completa. Il taglio infatti, crea una pluralità di oggetti autonomi, dotati di una nuova estetica e di nuove possibilità interpretative che Lanza lascia esplorare all’osservatore”.

Marco Lanza ha partecipato all’ultima edizione di Paris Photo – una delle fiere fotografiche più importanti al mondo – dove tutte le sue opere sono state acquisite da collezionisti di settore, riscuotendo un grande successo di pubblico e di critica, tanto da arrivare sulle pagine del noto quotidiano Le Monde che ha dedicato un lungo articolo al suo lavoro e alle gallerie che hanno portato in fiera lavori nati da immagini di cui non si conosce l’autore. Stampe ritrovate nei mercati delle pulci o negli scatoloni passati di mano in mano attraverso traslochi e eredità, fotografie acquistate per poco denaro e poi, una volta lavorate e organizzate in un progetto organico, riproposte per l’occasione in fiera come oggetti da collezione, proprio come le opere originali di Marco Lanza. La fotografia vernacolare e la sua reinterpretazione stanno vivendo un nuovo revival tra collezionisti e galleristi, acquisendo un ruolo di primo piano nel mercato dell’arte internazionale. A conferma di questo forte interesse a livello mondiale, Marco Lanza sarà, dopo la mostra alla Noema Gallery, uno degli artisti della fiera The Photography Show a New York (dal 30 marzo al 2 aprile 2023) organizzata da AIPAD, alla quale parteciperà con la galleria parigina SIT DOWN. In mostra alla Noema Gallery il visitatore potrà ammirare un certo numero di “ricreazioni” originali, pezzi unici in varie dimensioni, incorniciati, in formato medio/grande e in altri formati più piccoli. Inoltre saranno presentate delle rielaborazioni digitali stampate in fineart in edizione limitata

Dal 26 gennaio al 25 febbraio 2023 – Noema Gallery – Roma

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EVE ARNOLD. L’opera


Eve Arnold. Actress Marilyn Monroe in the Nevada desert during the filming of “The Misfits”,
directed by John Huston
, 1960. USA © Eve Arnold/Magnum Photo

La celebre fotografa americana Eve Arnold, che ha stretto con Marilyn Monroe un vero e proprio sodalizio artistico grazie al quale sono nati alcuni dei suoi scatti più iconici, è la protagonista della prima mostra del 2023 a CAMERA, che si aprirà a fine febbraio.

Prima donna, insieme a Inge Morath, a far parte dal 1951 dell’Agenzia Magnum, Eve Arnold ha fotografato le grandi star del cinema e dello spettacolo del dopoguerra, da Marlene Dietrich a Joan Crawford a Orson Welles, ma ha anche affrontato temi e questioni assolutamente centrali nel dibattito pubblico attuale, come la questione del razzismo negli Stati Uniti, l’emancipazione femminile, l’interazione fra le differenti culture del mondo. Tra le sue immagini più note si ricorda non a caso uno straordinario ritratto di Malcom X, che sarà esposto in mostra insieme ad altri scatti realizzati ad Harlem negli anni Cinquanta e ai raduni dei Black Muslims negli anni Sessanta. L’esposizione, composta da 170 fotografie, è realizzata in collaborazione con Magnum Photos.

Ripercorrendo le tappe salienti della sua carriera, a partire dai primi scatti in bianco e nero della New York degli anni Cinquanta fino agli ultimi lavori a colori realizzati all’età di 85 anni, la mostra vuole raccontarne l’«appassionato approccio personale», come lei stessa più volte definisce il proprio atteggiamento.

25 febbraio – 4 giugno 2023 – CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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Mostre fotografiche da non perdere a Gennaio

Buongiorno a tutti!

Diamo il via all’anno nuovo, andando a visitare qualche bella mostra di fotografia. Ve ne segnaliamo alcune!

Ciao

Anna

ELLIOTT ERWITT. FAMILY

Elliott Erwitt. Family è un campionario di storie umane che racconta l’evoluzione della famiglia dal dopoguerra all’inizio del nuovo millennio. Questo tema universale è interpretato da Erwitt con il suo stile unico, potente e leggero, romantico o gentilmente ironico, che lo ha reso uno dei fotografi più amati e seguiti di sempre. Con immagini ironiche e spaccati sociali, matrimoni nudisti, famiglie allargate, oppure molto singolari, metafore e finali aperti, Erwitt ci conduce attraverso istanti di vita dei potenti della terra, come l’immagine di Jackie al funerale di Kennedy, accanto a scene privatissime come la celebre foto della neonata sul letto, che poi è Ellen, la sua primogenita. 

La mostra è composta da 58 fotografie in bianco e nero selezionate dall’autore insieme alla curatrice Biba Giachetti e include anche alcuni scatti inediti mai stampati prima. 

Promossa dal Comune di Riccione, l’esposizione è organizzata da Civita Mostre e Musei SpA e Maggioli Cultura, in collaborazione con SudEst57.
Sponsor Tecnico: Promhotels Riccione.

Dal 19 Dicembre 2021 al 03 Aprile 2022 –  Villa Mussolini – Riccione

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LIFE IN SYRIA: SGUARDI DI ALEPPO E IDLIB

Life in Syria è un progetto fotografico, divenuto poi anche un libro, nato con l’intento di mostrare la realtà che milioni di siriani sono costretti a vivere ogni giorno, attraverso gli scatti di cinque fotografi siriani e di un’associazione della società civile, e presenta alcuni dei momenti che hanno segnato il conflitto siriano dal 2011 al 2016.
La mostra fotografica è stata ospitata a Roma e Londra per le celebrazioni del World Refugee Day, in seguito è stata allestita anche a Milano, Liegi e Torino. Il libro, invece, è stato presentato all’Università Cà Foscari di Venezia, nel Middle East Now Festival di Firenze e in librerie nazionali e internazionali di Bruxelles, Roma e Innsbruck.
Dopo 10 anni di guerra, Life in Syria è ancora un progetto vivo che intende continuare a raccontare la vita e la difficile quotidianità della popolazione siriana. Infatti, dopo la produzione del libro e della mostra – finanziate rispettivamente da UNOCHA e UNHCR -, l’Associazione Propositivo (Pro+) intende appoggiare gli autori di Life in Syria in una nuova sfida: la produzione nel 2022 di un nuovo libro e una nuova mostra, coinvolgendo altri giovani fotoreporter presenti nelle varie regioni della Siria.

I temi prescelti dagli autori di Life in Syria saranno il ruolo delle donne e dei giovani nella Siria attuale. A questo scopo, una campagna di crowdfunding sarà lanciata il 18 dicembre e resterà attiva per tutta la durata della mostra.
L’inaugurazione della mostra fotografica Life in Syria si terrà sabato 18 dicembre alle ore 18:00 presso la Palazzina Mutilati e Invalidi di Guerra in Viale Cesare Maccari, 3 (La Lizza) a Siena. Parteciperanno Lorenzo Trombetta e Fouad Roueiha esperti di Medio Oriente e Siria e, in collegamento video, alcuni tra gli autori di “Life in Syria” che attualmente vivono ancora in patria e in altri paesi europei.
Alle ore 19:00 sarà inaugurata la mostra presso i locali interni del Bastione Madonna all’interno della Fortezza Medicea di Siena.

Dal 18 Dicembre 2021 al 23 Gennaio 2022 – Fortezza Medicea – Siena

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TINA MODOTTI. L’UMANO FERVORE

Tina Modotti è una delle protagoniste della grande avventura della fotografia della prima parte del Novecento e il PR2/assessorato alle Politiche giovanili del Comune di Ravenna – nella ricognizione sistemica che consolida Camera Work, il progetto di indagine sulla fotografia contemporanea tra giovane sperimentazione e racconto storicizzato – l’ha scelta come simbolo di pensiero e pratica di un linguaggio che ha intercettato, con la mostra “Umano fervore”, gran parte dei momenti storici più intensi e dolorosi del secolo scorso. L’assessorato alle Politiche Giovanili prosegue così il lavoro di approfondimento e ricerca sulla fotografia contemporanea, iniziato nel 2016, in collaborazione con la Scuola dei Beni culturali dell’Università di Bologna – campus di Ravenna. 

La mostra, a cura di Silvia Camporesi e del comitato Tina Modotti, sarà inaugurata a Palazzo Rasponi il 17 dicembre alle 17.30 e sarà visitabile a ingresso gratuito fino al 20 febbraio, dal martedì alla domenica dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19 (24 e 31 dicembre solo al mattino, 25, 26 dicembre e 6 gennaio chiusa). L’opening della mostra al PR2 sarà accompagnato dal reading dell’attrice Elena Bucci che, attraverso una selezione di scritti di e su Tina Modotti, introdurrà i visitatori alla visione delle opere della celebre fotografa.

L’esposizione presenta un nucleo di circa cinquanta opere che documentano il percorso di Modotti, breve e allo stesso tempo ricco di opere straordinarie. Si parte dalle celebri “Calle” del 1924 e dalla produzione nata dal sodalizio con Edward Weston sino ad arrivare all’ epos degli umili, attraversando le immagini raccolte nel Messico dolente e meraviglioso dei bambini, degli uomini e delle donne di Tehuantepec, in mezzo a un’umanità bellissima e straziante. L’allestimento include anche ritratti realizzati da Edward Weston, documenti biografici, testimonianze, scritti autografi e riflessioni che restituiscono il profilo di un’artista totale, trasparente e folgorante nelle intuizioni, nel talento inconfondibile e nella profonda puntualità di sguardo, innestato nel cuore della bellezza e della crudeltà del mondo.

Nella fotografia Modotti ha costruito una poetica struggente e meravigliosa, lasciando la traccia indelebile di un’identità nella quale si sono intrecciati arte ed esistenza, bellezza e passione, terra, corpo, cielo, polvere. La distanza del tempo permette ora di guardare con sguardo libero la produzione di quest’artista/militante rivoluzionaria, allontanandosi dallo stereotipo che, accompagnato da declinazioni romanzesche, ha spesso messo in secondo piano la sua qualità di artista, la straordinaria dimensione etica ed insieme estetica del suo lavoro.

“Il profilo artistico di Tina Modotti – commenta l’assessore alle Politiche giovanili Fabio Sbaraglia – è certamente tra i più intensi tra quelli della prima metà del XX secolo; in soli sette anni di attività Modotti ha lasciato un insieme di opere che hanno tracciato un solco profondo nell’arte e nella coscienza collettiva; è stata operaia, artista, attrice teatrale e cinematografica, attivista del Soccorso Rosso Internazionale, militante e rivoluzionaria, donna in grado di affermare un’identità straordinaria, profonda, connessa con alcuni dei momenti cruciali e più drammatici della storia del secolo scorso: la Rivoluzione Messicana, la Guerra di Spagna, la Russia di Stalin, l’Europa sulla quale si proiettava la lunga ombra nera della Seconda Guerra Mondiale. Ma soprattutto Tina è stata una grande fotografa, tesa tra il racconto necessario per entrare nella realtà, nella sua bellezza incandescente, senza sovrastrutture e compiacimenti estetici, e l’urgenza esistenziale e totale di cambiare il mondo”.

Dal 17 Dicembre 2021 al 20 Febbraio 2022 – Palazzo Rasponi 2 – Ravenna

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SILVIA CAMPORESI. DOMESTICA

È un racconto insolitamente intimo, un diario per immagini, quello di cui Silvia Camporesi rende partecipe il pubblico nella sua mostra “Domestica”.
La Other Size Gallery di Milano, dal 16 dicembre 2021 al 4 marzo 2022, presenta per la prima volta in una personale il progetto nato tra le mura domestiche della fotografa forlivese nei giorni difficili del lockdown di marzo-aprile 2020.
Curata da Claudio Composti, l’esposizione propone undici scatti di piccolo e grande formato in un allestimento che, nel creare l’illusione di trovarsi in una casa – contrassegnando con lo scotch le stanze che idealmente la compongono –, induce in chi guarda le stesse emozioni che l’autrice ha provato nei giorni dell’isolamento: un senso di claustrofobia cui solo la fantasia ha potuto offrire una via d’uscita. 
 
“Devo arrivare a sera con almeno una buona fotografia, questo è il mio compito quotidiano. Se non mi do ogni giorno questo obiettivo rischio di impazzire”. Così la Camporesi, nel testo che accompagna il progetto, descrive come il “fare” fotografia l’abbia aiutata a superare i momenti più duri. Da tale proposito è nato un nucleo di scatti che fermano il fluire di una quotidianità sempre uguale a se stessa e documentano i piccoli gestigli oggetti della vita casalinga, i momenti condivisi con la famiglia, i giochi semplici inventati con le figlie, trasfigurandoli in qualcosa di prezioso ammantato di una luce poetica.
 
Ne emerge, nonostante la paura che l’artista ammette di aver provato in quei giorni, un mondo quasi fatato fatto di colori pastello e personaggi fantastici: “Silvia ha immaginato mondi paralleli attraverso segni e oggetti quotidiani e inventato giochi e forme insieme alle figlie, per ingannare quel tempo che non passava mai e si svolgeva in giornate senza fine” scrive il curatore nel suo testo. “Solo la fotografia – prosegue – e le idee sono state alleate per riempire un vuoto. La fantasia, l’amore e l’immagine fotografica di cose quotidiane, traslate nel loro significato, hanno reso possibile narrare un mondo che, senza colore, sarebbe rimasto afono e noioso”.
 
Parallelamente al progetto pubblico che proprio nell’aprile 2020 l’ha portata in giro per l’Italia a documentare un paesaggio trasformato dalla pandemia contribuendo così a creare una memoria collettiva, Silvia Camporesi costruisce una memoria privata che solo apparentemente però le appartiene esclusivamente: una tazza rotta, i residui del pranzo disposti in un piatto a forma di sorriso, un muro scrostato, delle arance ritratte un attimo prima di essere spremute, due bimbe che inventano un gioco per sfuggire alla noia, sono infatti soggetti che appartengono al quotidiano di chiunque abbia vissuto quei faticosi momenti, trasformandoli in segni universali.
 
Il progetto è raccolto in una pubblicazione, disponibile in mostra, edita da Edizioni Postcart, con un testo della stessa autrice.

Dal 15 Dicembre 2021 al 04 Marzo 2022 – Other Size Gallery – Milano

GIOVANNI GASTEL. UN OMAGGIO

riennale Milano rende omaggio al fotografo Giovanni Gastel (Milano, 1955 –2021) attraverso due mostre: The people I likein collaborazione con il MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, I gioielli della fantasia, in collaborazione con il Museo di Fotografia Contemporanea. 

Afferma Stefano Boeri, Presidente di Triennale Milano: “Giovanni Gastel è stato un sofisticato ritrattista del mondo. Non solo visi, ma corpi, mode, gioielli, tessuti, ambienti. Con un sorriso, faceva sembrare facile il gesto infallibile e preciso di un grande fotografo. Il suo lavoro si è intrecciato più e più volte con i percorsi di Triennale, cui aveva regalato idee, progetti e ispirazioni. Con queste due mostre la nostra istituzione rende il primo doveroso omaggio a questo genio generoso e scanzonato che Milano e l’arte hanno perso, troppo presto.”

The people I like
, a cura di Uberto Frigerio con allestimento di Lissoni Associati, presenta oltre 200 ritratti che sono la testimonianza dell’immensa varietà d’incontri che ha caratterizzato la lunga carriera di Gastel. Un labirinto di volti, pose, sogni di personaggi del mondo della cultura, del design, dell’arte, della moda, della musica, dello spettacolo, della politica. Un ritratto collettivo di anime, incontrate nel corso di una carriera quarantennale. Tra i personaggi ritratti: Barack Obama, Marco PannellaForattiniEttore SottsassGermano Celant, Mimmo JodiceFiorello, ZuccheroTiziano Ferro, Vasco Rossi, Roberto Bolle, Bebe Vio, Bianca Balti, Luciana LittizzettoFranca SozzaniMiriam Leone,Monica Bellucci, Mara Venier, Carolina Crescentini

Il titolo della mostra è una dichiarazione d’intenti: il fotografo si svela nella sua più intima autenticità e consacra il “ritratto” opera artistica per eccellenza. Presentando oltre 200 ritratti, la mostra documenta una parte importante del suo lavoro. Modelle, attrici, artisti, operatori del settore, vip, cantanti, musicisti, politici, giornalisti, designer, chef fanno parte del caleidoscopio di fotografie esposte senza un ordine preciso né un’appartenenza a un determinato settore o categoria. 

I ritratti non sono percepiti come semplici rappresentazioni della fisionomia umana, ma lasciano trasparire un significato interiore più vero: lo scopo è quello di indagare ciò che va aldilà dell’esteriorità, cogliendo la complessità del soggetto. Al centro sempre l’anima che traspare dalla posa, dall’espressione del volto e dalla sua teatralità. I ritratti assumono un ruolo centrale che non si ferma all’analisi fisica, ma scava nella sfera psicologica del personaggio. 

Tutti ritratti sono in grande formato, la maggior parte in bianco e nero, mentre nella parte finale del percorso espositivo trovano spazio 80 immagini della serie dei colli neri, dei ritratti ai margini della spiritualità dell’anima. 

In parallelo, la piccola mostra I gioielli della fantasia, realizzata in collaborazione con il Museo di Fotografia Contemporanea, presenta come un prezioso castone, per usare un termine desunto dall’oreficeria, uno dei primi lavori che ha dato a Giovanni Gastel la notorietà internazionale. Sono esposte 20 immagini di un più ampio progetto commissionato all’autore da Daniel Swarowsky Corporation nel 1991 per l’omonimo libro, tradotto in quattro lingue, e la mostra di gioielli del XX secolo, entrambi curati da Deanna Farneti Cera. 

Dopo la prima presentazione al Museo Teatrale alla Scala, la mostra ha circolato per sei anni in alcuni dei più importanti musei europei di arte applicata (Museum Bellerive di Zurigo, Victoria and Albert Museum di Londra, Museum für Angewandte Kunst di Colonia, Kunstgewerbemuseum di Berlino) per raggiungere poi anche gli Stati Uniti. 

Giovanni Gastel dà vita a una reinterpretazione fantastica e immaginaria dei gioielli da cui emerge tutta la sua straordinaria vena creativa. Ritroviamo qui l’eleganza stilistica e i temi centrali della sua ricerca artistica, il dialogo sincretico tra il mondo degli oggetti e quello della figura umana, l’ironia, il corpo e la maschera, il travestimento e la metamorfosi: un filo rosso che accompagnerà per tutta la vita il suo itinerario creativo. 

Le fotografie in mostra sono state donate da Lanfranco Colombo a Regione Lombardia e sono conservate presso il Museo di Fotografia Contemporanea.

I Partner Istituzionali Eni e Lavazza, l’Institutional Media Partner Clear Channel e il Technical Partner ATM sostengono Triennale Milano anche per questo progetto espositivo. 

Dal 01 Dicembre 2021 al 13 Marzo 2022 – Triennale di Milano

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JULIA MARGARET CAMERON. UNO SGUARDO FUORI FUOCO

Senigallia Città della Fotografia, con il sostegno della Regione Marche e in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, prosegue il suo percorso espositivo dedicato ai grandi maestri della fotografia internazionale, proponendo uno sguardo sulle origini stesse della fotografia con la mostra dedicata a Julia Margaret Cameron, a cura di Massimo Minini e Mario Trevisan.

In mostra è presente un nucleo di 26 scatti di Julia provenienti dalla collezione del gallerista Massimo Minini; il nucleo più consistente ad oggi esistente in Italia. Il percorso si sviluppa secondo una narrazione che vuole raccontare l’esperienza fotografica della Cameron che con estrema sperimentazione si articola tra ritratti borghesi, ispirazioni preraffaellite, e la rappresentazione di scene letterarie.

Julia Margaret Cameron nasce nel 1815 a Calcutta, fotografa inglese esponente del pittoricismo, è stata la prima donna ad essere ammessa alla Royal Photographic Society. Scopre la passione per la fotografia all’età di cinquant’anni, grazie alla figlia che le regala la sua prima macchina fotografica. Le immagini traducono in arte l’atmosfera sognante dell’età Vittoriana, con il caratteristico “fuori fuoco” che evidenzia l’aspetto onirico tipico del gusto dell’epoca (vedi Proust La strada di Swann e Gérard de Nerval Sylvie).

Tra le personalità che si sono fermate davanti all’obiettivo della Cameron ci sono Thomas Carlyle, Lord Alfred Tennyson, Robert Browning, Henry Herschel, ritratti presenti anche nella collezione qui in mostra.

“È stato un amore a prima vista.” – racconta Massimo Minini del suo rapporto con Julia Margaret Cameron – “[…] un giorno di un mese di un anno che non ricordo vedo in una mostra delle strane foto, fotografie certo, albumine sicuramente. Ma con qualcosa che mi attira e che non so definire […] Da allora l’ho inseguita nei libri, nei musei, nelle aste. Queste foto sono il risultato di quell’inseguimento”.
Al percorso espositivo si aggiungono alcune fotografie di Roger Fenton, Robert Adamson e Oscar Gustave Rejlander, tra i più importanti esponenti alle origini della fotografia. Provenienti dalla collezione personale del curatore, queste foto integrano il quadro storico attorno al quale si muoveva la Cameron. Sempre dalla stessa collezione proviene uno scatto di Lewis Carroll, autore de Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie, il cui personaggio protagonista è ispirato a Alice Liddell, una tra le “modelle” di Julia presenti in mostra nelle vesti di antiche divinità.

L’esposizione è accompagnata da un catalogo dell’editore Danilo Montanari che raccoglie un prezioso saggio di Francesca Maria Bonetti.

Dal 26 Novembre 2021 al 28 Febbraio 2022 – SENIGALLIA – Palazzo del Duca

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LOST AND FOUND. FOTOGRAFIE ANONIME 1940 — 1960 CA.

Per la sua terza mostra, lo spazio creativo ed espositivo Arcipèlago presenta un’accurata selezione di una cinquantina di fotografie anonime scattate tra gli anni 40 e 60. Queste immagini, totalmente inedite, fanno parte della collezione personale di Cristian Malisan, che, da anni, recupera materiale fotografico nei mercatini: migliaia di negativi, rullini, diapositive e altrettanti momenti rubati che nessuno ricorda più e che, in occasione di questa mostra, saranno riscoperti.
 
Anonime e orfane, queste immagini sono degli enigmi . Nel corso degli anni hanno subito ineluttabilmente un’erosione narrativa legata alla scomparsa del fotografo, dei protagonisti, di tutti coloro che condividevano quei racconti di vita ordinaria. Fino ad arrivare al momento in cui, rimasto più nulla della realtà che portano impressa, sono finite ai bordi della spazzatura, pronte per essere dimenticata. Ed è proprio qui che la loro riscoperta ha del miracoloso. Queste immagini rappresentano una storia che , in fondo, tutti condividono. I momenti intimi di vita familiare – spesso divertenti, sorprendenti e commoventi – sono in qualche modo la storia di tutte le nostre vite.
 
“Immergersi nelle vite passate di questi stranieri è un viaggio affascinante attraverso unavasta memoria collettiva, un caleidoscopio universale eppure familiare. Perché se i nomi, le date e i luoghi si sono smarriti, la permanenza delle emozioni resiste. E questi cliché, che non appartengono più a nessuno, diventano le immagini di tutti.” spiega Artemio Croatto, co-curatore della mostra.
 
Attraverso il progetto “Lost and Found”, Arcipèlago esplora l’arte dell’ordinario e l’importanza della fotografia vernacolare. Questa pratica, spesso riservata ai dilettanti, si situa al di fuori di ciò che è considerato degno di interesse dalle principali istanze di legittimazione culturale. Si sviluppa alla periferia di ciò che è di riferimento in ambito artistico . È l’altro dell’arte.
 
“Ogni pratica amatoriale della fotografia con le sue inquadrature azzardate, le sue situazioni desuete, i suoi volti resi all’anonimato, è per natura «familiare». Sono raramente «bei» cliché nel senso artistico del termine: eppure trattengono, sollecitano più di qualsiasi altro oggetto. La mia non è una collezione in senso stretto, non colleziono queste immagini perché ben realizzate o perché spero presto o tardi di ritrovare il rullino del D-Day di Capa; la mia è piuttosto una missione: voglio salvare queste famiglie dalla cancellazione e dall’oblio del tempo . Penso che se questi negativi sono arrivati fino a me significa che le famiglie che vi sono rappresentate sono estinte, terminate, e che non c’è nessun parente, amico, conoscente in grado di raccoglierne e conservarne l’eredità.” spiega Cristian Malisan, co-curatore della mostra.
 
Per questa occasione sarà pubblicato un catalogo, con un contributo di Roberta Valtorta, storica della fotografia, direttrice scientifica del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo – Milano e docente di Storia e teoria della fotografia al Centro Bauer di Milano.

Dal 04 Dicembre 2021 al 22 Gennaio 2022 – Arcipèlago – Udine

MASSIMO RANA. FRONTSTAGE. RITRATTI SUL PALCO

David Bowie, Bruce Springsteen, Frank Zappa, gli AC/DC, Elton John, U2,  Ramones, Madonna e tanti altri. Sono questi i protagonisti della musica rock immortalati dal fotografo Massimo Rana tra gli anni Ottanta e Novanta durante una stagione di grandi concerti a Milano. Una parte di questi scatti si potranno ammirare dal 14 dicembre fino al 5 febbraio 2022 nella nuova sede dell’Archivio Iginio Balderi a Milano in via Ausonio 20; il primo evento organizzato nello spazio espositivo appena inaugurato a novembre che raccoglie una parte delle opere del grande scultore Iginio Balderi scomparso nel 2005.

La mostra fotografica si intitola “FrontStage. Ritratti sul palco”, promossa dall’Archivio Iginio Balderi e curata da Ivo Balderi. Comprende 28 fotografie di varie dimensioni, quasi tutte interamente inedite in un bellissimo bianco e nero a tiratura limitata, che sintetizzano una carrellata di 100 artisti e gruppi musicali del panorama internazionale. Fotografie di concerti che per anni sono rimaste nell’archivio di Rana.
Nel maggio 2021 un’ampia parte di queste immagini sono state raccolte in un volume, sempre con il titolo “FrontStage. Ritratti sul palco” Edizioni Crowdbooks acquistabile nelle migliori librerie.“Ho cominciato il mio lavoro come fotografo di agenzia – spiega Massimo Rana – ma poi grazie ad una collaborazione con un quotidiano, mi sono ritrovato sui palchi dei concerti più importanti che si sono svolti a Milano tra la seconda metà degli anni Ottanta e i primi anni del 2000. Poi, insieme alla mia passione per la musica, diventare un fotografo da concerti il passo è stato breve e in pochi anni mi sono ritrovato con un archivio immenso di immagini. Ognuna di queste foto ha una storia – aggiunge -, e sono il frutto di anni e anni in cui ho calcato il palco in quello spazio quasi irreale che sta tra i fans scatenati e il cantante sul palco. Sono diventato un testimone oculare dotato di obiettivo che entra nell’intimo dell’artista, indaga i suoi sguardi, scruta i suoi gesti e talvolta irrompe nei sentimenti. Così lo scatto che cogli da quella realtà, da quell’unico momento irripetibile viene trasportato in un altro tempo”. Tante storie di cui una in particolare legata a David Bowie. “E’ stata una tappa fondamentale del mio lavoro – racconta Rana – e ho sempre amato la sua musica e trovarmi così vicino a questo grande artista nel suo concerto nel 1990 al Palatrussardi è stato davvero il “concerto perfetto”. Dopo la sua scomparsa nel 2016 ho riguardato i negativi di quella serata e mi sono accorto che c’erano scatti che non avevo stampato; fotografie del “duca bianco” mai viste fino a quel momento”.

Dal 14 Dicembre 2021 al 05 Febbraio 2022 – Archivio Iginio Balderi – Milano

Torniamo a vedere qualche mostra di fotografia?

Ciao a tutti! Spero stiate bene, non ci sentiamo da un po’.

Abbiamo un po’ sospeso l’appuntamento con le segnalazioni delle mostre, a causa delle restrizioni che non consentivano ai musei e alle gallerie di ricevere visitatori.

Oggi torniamo a segnalarvi alcune mostre per il mese di marzo, sperando le cose non cambino di nuovo e riusciate ad andare a visitarle. Alcune sono mostre che vi abbiamo segnalato in passato e che sono state prorogate a causa del lockdown.

Mi raccomando, nel rispetto delle normative!

Anna

Josef Koudelka – Radici

Tappa unica in Italia, la mostra dedicata al grande fotografo dell’agenzia Magnum Photos documenta con oltre cento spettacolari immagini lo straordinario viaggio fotografico di Koudelka alla ricerca delle radici della nostra storia nei più importanti siti archeologici del Mediterraneo.

Il lavoro presentato è il frutto di un progetto unico nel suo genere, durato trent’anni, e realizzato esplorando e ritraendo con tenacia e continuità alcuni dei più rappresentativi e importanti siti archeologici del Mediterraneo.

Gli straordinari scatti in bianco e nero presentati in mostra sono realizzati dal fotografo ceco tra Siria, Grecia, Turchia, Libano, Cipro (Nord e Sud), Israele, Giordania, Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Portogallo, Spagna, Francia, Albania, Croazia e naturalmente Italia. Essi accompagnano il visitatore in una inedita e personalissima riflessione sull’antico, sul paesaggio, sulla bellezza che “suscita e nutre il pensiero”. I panorami senza tempo, ricchi di anima e fascino, caratterizzati da prospettive instabili, inaspettate, ambivalenti, ben rappresentano il lessico visuale e la cifra stilistica propri di Koudelka che, rifuggendo la semplice illustrazione e documentazione delle rovine, sceglie di dare respiro a ciò che resta delle vestigia delle antiche civiltà del Mediterraneo, rappresentandole in un’eterna tensione tra ciò che è visibile e ciò che resta nascosto, tra enigma ed evidenza.

Allestita nella cornice del Museo dell’Ara Pacis, a contatto diretto con le testimonianze monumentali della grande storia di Roma, la retrospettiva Radici vuol essere un eccezionale viaggio nell’opera di uno degli ultimi grandi maestri della fotografia moderna dedicatosi alla ricerca della bellezza caotica delle rovine e del paesaggio antico, trasformati dal tempo, dalla natura, dall’uomo. Le fotografie di Koudelka, esposte in stretto dialogo con uno dei monumenti più significativi della prima età imperiale, acquistano così, in questa speciale occasione, il valore unico, forte, di immagini memorabili, in un rapporto intenso di rimandi e di echi di una memoria che a Roma più che altrove diventa presente.

01/02 – 16/05/2021 – Museo dell’Ara Pacis – ROMA

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Sebastião Salgado – Amazônia

Per sei anni Sebastião Salgado ha viaggiato nell’Amazzonia brasiliana, fotografando la foresta, i fiumi, le montagne e le persone che vi abitano.

La mostra, in anteprima in Italia, con più di 200 opere ci immerge nell’universo della foresta mettendo insieme le impressionanti fotografie di Salgado con i suoni concreti della foresta. Il fruscio degli alberi, le grida degli animali, il canto degli uccelli o il fragore delle acque che scendono dalla cima delle montagne, raccolti in loco, compongono un paesaggio sonoro, creato da Jean-Michel Jarre.

La mostra mette in evidenza la fragilità di questo ecosistema, mostrando che nelle aree protette dove vivono le comunità indiane, guardiani ancestrali, la foresta non ha subito quasi alcun danno e ci invita a vedere, ascoltare e a riflettere sulla situazione ecologica e la relazione che gli uomini hanno oggi con essa.

01 ottobre 2021 – 13 febbraio 2022 – MAXXI – Roma

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PRIMA, DONNA. Margaret Bourke-White

Construction workers and taxi dancers enjoying a night out in bar room in frontier town. LIFE magazine’s first photo essay.

La mostra raccoglie, in una selezione del tutto inedita, le più straordinarie immagini realizzate da Margaret Bourke-White – tra le figure più rappresentative ed emblematiche del fotogiornalismo – nel corso della sua lunga carriera. Accanto alle fotografie, una serie di documenti e immagini personali, video e testi autobiografici, raccontano la personalità di un’importante fotografa, una grande donna, la sua visione e la sua vita controcorrente.

Pioniera dell’informazione e dell’immagine, Margaret Bourke-White ha esplorato ogni aspetto della fotografia: dalle prime immagini dedicate al mondo dell’industria e ai progetti corporate fino ai grandi reportage per le testate più importanti come Fortune Life; dalle cronache visive del secondo conflitto mondiale ai celebri ritratti di Stalin e Gandhi, dal Sud Africa dell’apartheid all’America dei conflitti razziali fino al brivido delle visioni aeree del continente americano.

E’ possibile ammirare oltre 100 immagini, provenienti dall’archivio Life di New York e divise in 11 gruppi tematici – L’incanto delle acciaierieConca di PolvereLifeSguardi sulla RussiaSul fronte dimenticatoNei campiL’India, Sud AfricaVoci del Sud biancoIn alto e a casaLa mia misteriosa malattia – che, in una visione cronologica, rintracciano il filo del percorso esistenziale di Margaret Bourke-White e mostrano la sua capacità visionaria e insieme narrativa, in grado di comporre “storie” fotografiche dense e folgoranti.

L’esposizione rientra ne “I talenti delle donne”, un palinsesto promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano dedicato all’universo delle donne: “I talenti delle donne” intende far conoscere al grande pubblico quanto, nel passato e nel presente – spesso in condizioni non favorevoli – le donne siano state e siano artefici di espressività artistiche originali e, insieme, di istanze sociali di mutamento. Si vuole  rendere visibili i contributi che le donne nel corso del tempo hanno offerto e offrono in tutte le aree della vita collettiva, a partire da quella culturale ma anche in ambito scientifico e imprenditoriale, al progresso dell’umanità. L’obiettivo è non solo produrre nuovi livelli di consapevolezza sul ruolo delle figure femminili nella vita sociale ma anche aiutare concretamente a perseguire quel principio di equità e di pari opportunità che, dalla nostra Costituzione, deve potersi trasferire nelle rappresentazioni e culture quotidiane.

dal 25.09.2020 al 02.06.2021 – Palazzo Reale – MIlano

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MARIO GIACOMELLI – COLLEZIONE PERMANENTE

Questa non è una mostra temporanea, ma un riallestimento della collezione che vuole raccontare l’universo poetico ed artistico del fotografo e renderlo fruibile in maniera permanente.

Il 2020 ha segnato il ventennale della scomparsa di Mario Giacomelli e il Comune di Senigallia, Città della Fotografia, continua a rendere omaggio anche nel 2021 a uno dei maestri internazionali della fotografia del Novecento, dedicando un’ala del Palazzo del Duca ad un’esposizione permanente delle sue opere donate negli anni ‘90 dall’artista stesso al Comune.

In una porzione riqualificata di Palazzo del Duca, che ospita da anni la programmazione espositiva della città di Senigallia, saranno fruibili circa 80 fotografie selezionate e allestite in collaborazione con gli archivi Giacomelli rappresentati dai due direttori Simone Giacomelli e Katiuscia Biondi.

Non una mostra temporanea quindi, ma una vera e propria musealizzazione che vuole raccontare l’universo poetico ed artistico del grande fotografo senigalliese e renderlo fruibile in maniera permanente a cittadinanza e visitatori. Inoltre si vuole fornire una lettura innovativa dell’opera del maestro che viene proposta non in modo antologico, ossia per anni e per serie, ma ne ripercorre la poetica mettendone in luce temi e suggestioni.

Il tratto saliente della personalità – privata e fotografica – di Mario Giacomelli è il forte radicamento alla sua terra, malvolentieri si spostava da essa, ma nonostante ciò riuscì sin da subito attraverso la sua arte a superare i confini geografici essendo il suo lavoro caratterizzato da un forte spirito di sperimentazione e da una vorace volontà di ricerca

Giacomelli parte dalla realtà non per documentarla con pretesa oggettività, ma per innalzare il particolare all’universale, per dirigere il tempo verso l’infinito circolare dell’eterno ritorno.” – scrive Katiuscia Biondi – “Usa la fotografia per immergersi nel mondo, e nelle proprie viscere, riconoscendo egli stesso trattarsi di una sorta di rito purificatorio. I singoli scatti sono fotogrammi insolubili di un unico racconto, quello della sua vita e del suo rapporto con il mondo, e ogni foto rimanda alle altre in un’unità stilistica simbolica e segnica che solo un maestro sa perseguire con tanta coerenza e potenza evocativa”.

Si mosse poco da Senigallia, visitò Scanno, Lourdes, Loreto, la Puglia e la Calabria, ma fu dal paesaggio e dai personaggi della sua terra che attinse a piene mani: i seminaristi di “Io non ho mani che mi accarezzino il volto”, gli anziani dell’ospizio di “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, la campagna con le persone che la abitano, gli amanti ispirati dall’antologia di Spoon River, i ritratti, tutto racconta di Senigallia e del suo territorio, dal mare all’entroterra.

Giacomelli parte dalla realtà non per documentarla con pretesa oggettività, ma per innalzare il particolare all’universale, per dirigere il tempo verso l’infinito circolare dell’eterno ritorno.” – continua Biondi – “Facendo suo l’insegnamento del maestro Cavalli, per una fotografia liberata dal puro documento ché non esiste un mondo al di là del nostro sguardo, Giacomelli porta questa visione all’eccesso, nel suo modo drammatico di far risuonare il reale”.

A completare l’esposizione permanente, una mostra temporanea Le realtà del Sogno dal xx al xx a Palazzetto Baviera che vuole documentare quel “laboratorio senigalliese” di fotografia che fu il Gruppo Misa fondato da Giuseppe Cavalli nel 1954 a cui un giovane e curioso Giacomelli aderì per un breve periodo insieme a Ferruccio Ferroni: un gruppo che contribuì all’importante dibattito teorico che si svolse in Italia in quegli anni intorno alle funzioni e alle estetiche della fotografia.

Esposte opere selezionate di Giacomelli, Ferroni e Cavalli sempre provenienti dalle Civiche raccolte, accanto ai loro discepoli ed epigoni, che hanno dato vita al Gruppo Misa. Un milieu comune che produsse però risultati molto diversi, sia nella resa fotografica, nella tecnica e nella poetica dei vari autori, uno straordinario laboratorio di idee che ebbe breve ma intensa vita e da cui il genio di Mario Giacomelli si distinse e si sviluppò per tutta la seconda metà del Novecento.

Senigallia – mostra permanente

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CARLO MARI. IO MILANO

Una Milano metafisica e surreale nelle fotografie di un grande fotografo.
Una Milano deserta, senza traffico e persone.
Una Milano in cui regnano vuoto e silenzio.
Una Milano diversa, mai vista, ma sempre bellissima.

Questa è la Milano ritratta negli scatti di Carlo Mari in mostra nel chiostro delle Gallerie d’Italia di Milano dall’11 febbraio all’11 aprile 2021.

Carlo Mari. Io Milano. Aprile 2020. La città vista dai Carabinieri attraverso l’occhio di un fotografo è un suggestivo racconto del capoluogo lombardo durante il lockdown che si compone di 47 gigantografie e 2 foto fine art in bianco e nero.

La Milano di Carlo Mari è una città inedita, lenta e riflessiva, quasi metafisica, ben lontana dai ritmi frenetici che l’avevano definita fino a un paio di mesi prima. E da questi luoghi conosciuti – come Piazza Duomo, Piazza della Scala e lo Stadio di San Siro – emerge una presenza discreta, ma sempre presente e rassicurante: quella dei Carabinieri che hanno accompagnato la città in un periodo storico così difficile e delicato.

11 febbraio – 11 aprile 2021 – Gallerie d’Italia – Milano

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FOTOGRAFIA. NUOVE PRODUZIONI 2020 PER LA COLLEZIONE ROMA

Fotografia. Nuove produzioni 2020 per la collezione Roma è una mostra nata dalla volontà dell’Assessorato alla Crescita Culturale di Roma Capitale di dare seguito al progetto sorto in seno a Fotografia Festival Internazionale di Roma che aveva istituito, già dal 2003, la residenza per un fotografo di fama internazionale. Sono state così raccolte per l’Archivio Fotografico del Museo di Roma le immagini di 15 grandi protagonisti della fotografia contemporanea che raccontano la Capitale attraverso il loro sguardo.

Nel 2019 è stato proposto a Francesco Zizola di curare la ripresa della pratica delle residenze temporaneamente interrotte, e così arricchire la collezione permanente. Zizola ha invitato a Roma 5 artisti noti nel mondo della produzione artistica e fotografica internazionale. Sono esposte al Mattatoio circa 130 immagini di Nadav KanderMartin KollarAlex MajoliSarah Moon (presente anche con un video) e Tommaso Protti. Tutti hanno lavorato in residenza a Roma nel corso del 2019, tranne Kollar che ha scelto di viaggiare a piedi e di elaborare il proprio lavoro attraverso un percorso di avvicinamento a Roma partendo dal Danubio.

Gli scatti di Alex Majoli rinnovano il linguaggio di espressione della documentazione del reale, quelli di Sarah Moon invece guardano al ruolo della memoria e del ricordo nel suo rapporto con la materia che la città di Roma offre. Nadav Kander, maestro riconosciuto nel panorama fotografico internazionale, ha esplorato con i suoi scatti il volto della Roma antica e secolare, che tramanda la sua essenza da una generazione alla successiva, mentre Tommaso Protti analizza il presente duro e ruvido delle periferie. Un discorso a parte va fatto per il lavoro di Kollar, che ha scelto di lavorare sull’antica collocazione di Roma al centro del mondo, camminando per 42 giorni da Bratislava alla Città Eterna su quelle strade che un tempo erano le arterie principali dell’Impero romano.

Attraverso la varietà di approcci visuali e concettuali, queste nuove produzioni offrono uno sguardo sfaccettato e profondo sulle molteplici anime della Città, e rappresentano un lascito importante per la collezione dell’Archivio Fotografico.
 

23 FEBBRAIO – 16 MAGGIO 2021 – Mattatoio di Roma

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Lisette Model. Street Life

La mostra dedicata a Lisette Model, a cura di Monica Poggi, è la prima antologica realizzata in Italia.
Con una selezione di oltre 100 fotografie, l’esposizione ripercorre la carriera dell’artista sottolineandone l’importanza avuta negli sviluppi della fotografia degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Il suo nome è spesso associato al periodo di insegnamento, durante il quale ha avuto come allievi diversi autori che sarebbero poi diventati a loro volta fotografi fra i più celebri  del Novecento, come Diane Arbus e Larry Fink. La sua influenza, tuttavia, ha avuto un raggio d’azione ben più vasto, anche grazie a una spiccata capacità nel cogliere con ironia e sfrontatezza gli aspetti più grotteschi della società americana del dopoguerra. Le inquadrature ravvicinate, l’uso ricorrente del flash, i contrasti esasperati sono tutti espedienti volti ad accentuare le imperfezioni dei corpi, gli abiti appariscenti, la gestualità sguaiata. Non c’è interazione fra Model e i suoi soggetti, colti tendenzialmente all’improvviso, mentre mangiano, cantano o gesticolano goffamente, trasformati dai suoi scatti nei personaggi di un’irriverente commedia umana.
Questa rivisitazione così personale all’approccio documentario la rende, di fatto, precorritrice di un modo di utilizzare la fotografia che troverà poi piena realizzazione con gli autori dell’epocale mostra “New Documents” al MoMA nel 1967. 

La mostra è realizzata grazie alla collaborazione con la mc2gallery di Milano e la Galerie Baudoin Lebon di Parigi.

Dal 24 marzo al 4 luglio 2021 – Camera Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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Horst P. Horst. Glitter and Gold

l percorso espositivo curato da Giangavino Pazzola si sviluppa in maniera cronologica e, con una selezione di oltre 120 opere di vario formato, prende in considerazione i principali periodi creativi di Horst, ripercorrendone la storia negli snodi fondamentali della sua evoluzione, dagli esordi alle ultime realizzazioni.

Le diverse sezioni si articolano in maniera tale da sottolineare alcuni punti salienti dell’intera produzione artistica di Horst: il legame con l’arte classica che, tuttavia, non esclude le influenze delle avanguardie; l’indagine visiva sull’armonia e l’eleganza della figura umana impreziosita dalla perfetta padronanza dell’illuminazione della scena; la proficua e duratura collaborazione con “Vogue”, rivista per la quale il fotografo ha firmato decine di copertine; i ritratti di personaggi del mondo della moda e dell’arte, spesso ambientati nelle proprie dimore, immagini attraverso le quali l’autore rivela ancora una volta le sue indiscutibili capacità compositive.

La mostra è realizzate grazie alla collaborazione con l’Horst P.Horst Estate e Paci contemporary gallery di Brescia.

Dal 24 marzo al 4 luglio 2021 – Camera Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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A Palazzo Zuckermann la mostra Gino Santini, fotografie 1937-1970

Omaggio al fotografo padovano che ha formato un’intera generazione

Il fotografo padovano Gino Santini ha lasciato una grande eredità artistica, il cui valore sarà possibile scoprire nella retrospettiva a lui dedicata a Palazzo Zuckermann dal 2 marzo al 5 aprile 2021 (orario 10-19, chiuso sabato e domenica; ingresso libero).

Sono passati oramai quarantaquattro anni da quando a Palazzo della Ragione, a due anni dalla sua scomparsa, venne organizzata una mostra in ricordo di questo importante autore della fotografia italiana, che con le sue foto ha formato una generazione di fotografi. Da allora poco si è sentito parlare o scritto di lui. Finalmente quest’anno, grazie all’impegno del nipote Marco Fogarolo, anch’egli valido fotografo, e dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova, si è potuta concretizzare una nuova ampia esposizione per presentare il suo lavoro. La retrospettiva, curata da Gustavo Millozzi, sarà un’occasione per ammirare la produzione in bianco e nero di Gino Santini e cogliere il suo stile personale e l’originalità delle sue immagini.

Gino Santini (1907-1974) è stato un fotografo molto apprezzato: con le sue opere, citate e riprodotte in moltissimi cataloghi di mostre, esposte e premiate in gran numero, ottenne nel 1969 l’ambito riconoscimento di EFIAP, ovvero Excellence de la FIAP, Fédération Internationale de l’Art Photographique, dalla quale già nel 1964 aveva ricevuto l’onorificenza di AFIAP Artiste de la FIAP.

Accompagna la mostra una monografia, edita dalla FIAF-Federazione Italiana Associazioni Fotografiche.

Di ritorno le mostre di fotografia. Cosa non perdere a Luglio.

Ciao a tutti,

pian piano si torna alla normalità ed ecco allora che vi ripropongo il nostro appuntamento fisso con le mostre di fotografia.

Spero apprezzerete…

Anna

INGE MORATH. LA VITA. LA FOTOGRAFIA

Inge Morath, <em>Audrey Hepburn sul set del film "Unforgiven"</em>, Messico, 1959 | © Fotohof archiv / Inge Morath / Magnum Photos<br />

Dal 19 giugno al 1° novembre 2020, il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano ospita una retrospettiva dedicata alla fotografa austriaca Inge Morath (Graz, 1923 – New York, 2002), la prima donna a essere accolta nell’agenzia Magnum Photos.

L’iniziativa è parte dei palinsesti culturali Aria di Cultura e I talenti delle donne, promossi e coordinati dal Comune di Milano.

Attraverso 150 immagini e documenti originali, l’esposizione, curata da Brigitte Blüml – Kaindl, Kurt Kaindl, e Marco Minuz, col supporto del Forum austriaco della cultura, col sostegno di Rinascente, media partner IGP Decaux, ripercorre il cammino umano e professionale di Inge Morath, dagli esordi al fianco di Ernst Haas ed Henri Cartier-Bresson fino alla collaborazione con prestigiose riviste quali Picture Post, LIFE, Paris Match, Saturday Evening Post e Vogue, attraverso i suoi principali reportage di viaggio, che preparava con cura maniacale, studiando la lingua, le tradizioni e la cultura di ogni paese dove si recava, fossero essi l’Italia, la Spagna, l’Iran, la Russia, la Cina, al punto che il marito, il celebre drammaturgo Arthur Miller, ebbe a ricordare che “Non appena vede una valigia, Inge comincia a prepararla”.

Il percorso espositivo dà conto di questa sua inclinazione, presentando alcuni dei suoi reportage più famosi, come quello realizzato a Venezia nel 1953, con immagini colte in luoghi meno frequentati e nei quartieri popolari della città lagunare, che sposano la tradizione fotografica dell’agenzia Magnum di ritrarre persone nella loro quotidianità. Alcune ambientazioni surreali e alcune composizioni fortemente grafiche sono un esplicito riferimento al lavoro del suo primo mentore Henri Cartier-Bresson.
Le immagini di Inge Morath riflettono le sue più intime necessità, ma al contempo sono come pagine del suo diario di vita, come lei stessa ha scritto: “La fotografia è essenzialmente una questione personale: la ricerca di una verità interiore”.
“Nelle fotografie di Inge Morath – scrive il curatore Marco Minuz – emerge sempre una componente di vicinanza, non solamente fisica, ma soprattutto emotiva. Il suo è un lavoro diretto, privo di zone d’incertezza o di mistero. Il suo lavoro è, come il buon giornalismo, schietto, privo di compassione e ambiguità. Le sue immagini hanno sempre la capacità di non semplificare mai ciò che è complesso, e mai complicare quello che è semplice; sono fortemente descrittive e al contempo fanno trasparire una rara capacità di analisi del contesto con il quale si confrontava. Un approccio sistematico che la spingeva, prima di ogni lavoro, a studiare e approfondire le culture con cui si sarebbe rapportata, per arrivare così a conoscere sette lingue. Ma in definitiva, in piena condivisione con uno dei dogmi dell’agenzia Magnum, la vera priorità per Inge Morath è sempre stato l’essere umano”.

L’itinerario di Inge Morath prosegue in Spagna, paese che visitò spesso, fin dal 1954 quando venne incaricata di riprodurre alcuni dipinti per la rivista d’arte francese L’Oeil e di ritrarre la sorella di Pablo Picasso, Lola, spesso restia a farsi fotografare, ma anche della Romania comunista, della natia Austria, del Regno Unito.
Non poteva mancare una sezione dedicata a Parigi, uno dei ‘luoghi del cuore’ di Inge Morath, dove incontrò i fondatori dell’agenzia Magnum: Henri Cartier-Bresson, David Seymour e Robert Capa. Essendo la più giovane fotografa dell’Agenzia, nella capitale francese le venivano affidati lavori minori come sfilate di moda, aste d’arte o feste locali; tuttavia, in queste immagini emerge chiaramente il suo interesse per gli aspetti bizzarri della vita quotidiana.
Il sogno di Inge Morath fu sempre quello di visitare la Russia. Si avvicinò a questo paese studiandone la cultura e imparandone la lingua prima del suo primo viaggio, avvenuto nel 1965, in compagnia di suo marito, Arthur Miller, allora presidente del PEN club – un’associazione internazionale non governativa di letterati, nel quale ebbero l’opportunità di far visita agli artisti e intellettuali russi oppressi dal regime, oltre che portare a termine programmi ufficiali. Da quel viaggio nacque un ampio lavoro fotografico che negli anni successivi si arricchì da altro materiale raccolto in altre occasioni.
L’ideale giro del mondo con Inge Morath prosegue in Iran, dove riuscì ad approfondire la conoscenza di quella regione, muovendosi all’interno della dimensione femminile e cogliendo il rapporto fra le vecchie tradizioni e le trasformazioni innescate dalla moderna società industriale in una nazione fortemente patriarcale e si chiude idealmente a New York dove nel 1957 realizza un reportage per conto della Magnum.
In questo periodo Inge realizzò fotografie sul quartiere ebraico, sulla vita quotidiana della città, oltre a ritratti di artisti con cui strinse amicizia. New York, come testimoniato dall’omonimo libro pubblicato nel 2002, rimarrà un luogo importante per tutta la sua vita.
Dopo il matrimonio con lo scrittore Arthur Miller, nel 1962, Morath si trasferì infatti in una vecchia e isolata fattoria a Roxbury, a circa due ore di auto da New York. Un luogo di campagna lontano dalla frenesia della città, dove crebbe i suoi due figli Rebecca e Daniel.
La mostra dà inoltre ampio spazio al ritratto, un tema che l’ha accompagnata per tutta la sua carriera. Da un lato era attratta da personaggi celebri, quali Igor Stravinsky, Alberto Giacometti, Pablo Picasso, Jean Arp, Alexander Calder, Audrey Hepburn, dall’altro dalle persone semplici incontrate durante i suoi reportage. Tra gli scatti più iconici, spicca la fotografia di Marilyn Monroe che esegue dei passi di danza all’ombra di un albero, realizzata sul set del film “Gli spostati” del 1960, lo stesso dove Inge conobbe Arthur Miller che all’epoca era sposato proprio con l’attrice americana.
Che si trattasse di persone comuni o artisti di chiara fama, il suo interesse era sempre rivolto all’essere umano in quanto tale. Il suo stile fotografico affonda le sue radici negli ideali umanistici del secondo dopoguerra ma anche nella fotografia del ‘momento decisivo’, così come l’aveva definita Henri Cartier-Bresson. Ogni suo ritratto si basava infatti su un rapporto intenso o anche su una conoscenza profonda della persona immortalata.
Una sezione propone, inoltre, la serie di curiosi ritratti ‘mascherati’ nati dalla collaborazione con il disegnatore Saul Steinberg che risalgono al suo primo viaggio a New York durante il quale conobbe la produzione artistica del disegnatore statunitense, rimanendone entusiasta.
Negli anni ‘60 Steinberg aveva iniziato a realizzare la sua serie di maschere e chiese a Inge Morath di trovare delle persone da fotografare con gli abiti adatti per queste maschere. Gli scatti hanno in comune il fatto di essere ambientati nella vita quotidiana newyorkese.

Dal 19 Giugno 2020 al 01 Novembre 2020 – Museo Diocesano Carlo Maria Martini – Milano

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WORLD PRESS PHOTO 2020

Si terrà dal 16 giugno al 2 agosto al Palazzo delle Esposizioni di Roma la mostra del World Press Photo 2020. La rassegna, inizialmente programmata per il 25 aprile e rinviata a causa dell’emergenza sanitaria, presenta in anteprima nazionale le 139 foto finaliste del prestigioso concorso internazionale di fotogiornalismo che dal 1955 premia ogni anno i migliori fotografi professionisti. L’esposizione è ideata dalla World Press Photo Foundation di Amsterdam, promossa da Roma CapitaleAssessorato alla Crescita culturale e organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con 10b Photography

In mostra, per la prima volta, anche una selezione delle foto iconiche che hanno vinto il premio come Foto dell’Anno dal 1955 ad oggi.

Oltre alle foto, in mostra per il secondo anno una sezione dedicata al Digital Storytelling con una serie di video che raccontano gli eventi cruciali del nostro tempo

La mostra “World Press Photo 2020” si conferma come l’appuntamento che dimostra e restituisce al mondo intero la enorme capacità documentale e narrativa delle immagini, rivelandone il fondamentale ruolo di testimonianza storica del nostro tempo.

Dal 16 Giugno 2020 al 02 Agosto 2020 – Palazzo delle Esposizioni – Roma

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REN HANG. NUDI

Tra i primi nuovi progetti a inaugurare in un museo italiano dopo la chiusura per l’emergenza sanitaria, dal 4 giugno al 23 agosto 2020 il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato presenta per la prima volta in Italia un corpus di opere dell’acclamato fotografo e poeta cinese Ren Hang (1987- 2017), tragicamente scomparso a neppure trent’anni.
 
Curata da Cristiana Perrella, la mostra Nudi raccoglie una selezione di 90 fotografie di Ren Hang provenienti da collezioni internazionali, accompagnate dalla documentazione del backstage di un suo shooting nel Wienerwald nel 2015 e da un’ampia selezione dei libri fotografici da lui realizzati.
 
Ren Hang, che non ha mai voluto essere considerato un artista politico – nonostante le sue fotografie fossero ritenute in Cina pornografiche e sovversive – è noto soprattutto per la sua ricerca su corpo, identità, sessualità e rapporto uomo-natura, che ha per protagonista una gioventù cinese nuova, libera e ribelle.
 
Per lo più nudi, i suoi soggetti appaiono su un tetto tra i grattacieli di Pechino, in una foresta di alberi ad alto fusto, in uno stagno con fiori di loto, in una vasca da bagno tra pesci rossi che nuotano oppure in una stanza spoglia, i loro volti impassibili, le loro membra piegate in pose innaturali. Cigni, pavoni, serpenti, ciliegie, mele, fiori e piante sono utilizzati come oggetti di scena assurdi ma dal grande potere evocativo. Sebbene spesso provocatoriamente esplicite nell’esposizione di organi sessuali e nelle pose, che a volte rimandano al sadomasochismo e al feticismo, le immagini di Ren Hang risultano di difficile definizione, scottanti e allo stesso tempo permeate da un senso di mistero e da un’eleganza formale tali da apparire poetiche e, per certi versi, melanconiche.
 
I corpi dei modelli – tutti simili tra loro, esili, glabri, dalla pelle bianchissima e i capelli neri, rossetto rosso e unghie smaltate per le donne – sono trasformati in forme scultoree dove il genere non è importante. Come ha ammesso l’autore: “Il genere […] per me è importante solo quando faccio sesso”. Piuttosto che suscitare desiderio, queste immagini sembrano voler rompere i tabù che circondano il corpo nudo, sfidando la morale tradizionale che ancora governa la società cinese. In Cina, infatti, il concetto di nudo non è separabile da quello di pornografia e il nudo, come genere, non trova spazio nella storia dell’arte. Le fotografie di Ren Hang sono state per questo spesso censurate. “Siamo nati nudi…io fotografo solo le cose nella loro condizione più naturale” (Ren Hang).

Dal 04 Giugno 2020 al 23 Agosto 2020 – Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci – Prato

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VEDERE (il) BAROCCO: lavori in corso

In occasione della mostra Sfida al Barocco alla Reggia di Venaria, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia presenta l’esposizione VEDERE (il) BAROCCO: lavori in corso a cura di Barbara Bergaglio e Pierangelo Cavanna, visitabile dal 19 giugno al 30 agosto nella Project Room del centro di Via delle Rosine 18 di Torino.

Attraverso 70 immagini, la mostra racconta il modo in cui un nutrito gruppo di fotografi – Paolo Beccaria, Gianni Berengo Gardin, Giancarlo Dall’Armi, Pino Dell’Aquila, Giuseppe Ferrazzino, Giorgio Jano, Mimmo Jodice, Aldo Moisio, Riccardo Moncalvo, Ernani Orcorte, Augusto Pedrini, Giustino Rampazzi, Daniele Regis, Roberto Schezen – hanno “guardato” al Barocco, in particolare alle sue architetture, nella Torino del XX secolo.

Il progetto e la sfida di questa mostra – commentano i curatori – nascono dalla necessità di comprendere come e in quale misura il dialogo con le architetture barocche di cui Torino è ricca abbia sollecitato i fotografi più sensibili a verificare e mettere in campo soluzioni descrittive che, superando l’intenzione documentaria, hanno progressivamente assunto un significato diverso, più interpretativo e critico.

La mostra si concentra, quindi, sui diversi modi di descrivere fotograficamente le architetture barocche, pratica che ha accompagnato la crescita della loro fortuna critica e della loro riconoscibilità nell’immaginario collettivo. Un modo di guardare che è mutato negli anni: dalla semplice intenzione descrittiva a fini documentari sino all’elaborazione di raffinati strumenti interpretativi, segnando il passaggio dal semplice “fotografare barocco” ad un effettivo “vedere barocco”. Fotografie – continuano i curatori – solo apparentemente bizzarre, momentaneamente irriconoscibili e incommensurabili rispetto al nostro consolidato modo di vedere. Fotografie che vivono di una barocca moltiplicazione delle fughe, degli scorci, delle deformazioni proiettive conseguenti per trattenere e trasmettere l’eccitazione indotta nell’occhio dell’osservatore. Per testimoniare un’esperienza, quindi.

Il confronto con gli spazi e i volumi delle architetture di Guarini, Juvarra e Vittone ha sollecitato, e quasi imposto, a questi fotografi la necessità di ridefinire l’idea di fotografia di architettura stessa, costituendo l’occasione per una continua trasformazione delle intenzioni narrative, che mutano nel tempo passando da una funzionalità descrittiva a una esplicitamente interpretativa e critica, nella quale barocco non è più solamente l’oggetto della ripresa ma connota le modalità con cui tale oggetto è riproposto.

La mostra ospita inoltre un video racconto del progetto di ricostruzione digitale della mostra del Barocco piemontese del 1937 con il nucleo delle 1345 lastre del fotografo Paolo Beccaria (archivio Fotografico Fondazione Torino Musei) a cura di Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura della Compagnia di San Paolo, in collaborazione con Centro di Conservazione e Restauro La Venaria Reale.

dal 19 giugno al 30 agosto Camera Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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Gabriele Basilico – Bord de Mer

A partire dal 19 giugno 2020 Magazzini Fotografici riapre le sue porte dopo la momentanea chiusura e ha il piacere di ospitare la mostra del progetto Bord de Mer di Gabriele Basilico. 

L’esposizione dà seguito, dopo la mostra di Letizia Battaglia e il Laboratorio SISF, alla collaborazione tra Magazzini Fotografici e LAB\ per un laboratorio irregolare di Antonio Biasiucci, due realtà attive nella promozione della fotografia.

Il progetto in mostra, Bord de Mer, è il risultato di una commissione ricevuta da Gabriele Basilico nel 1984/85, per conto del governo francese. L’autore fu, infatti, in quegli anni invitato a partecipare alla Mission Photographique de la DATAR (Délégation à l’Aménegement du Territoire et à l’Action Régionale), un grande progetto che coinvolgeva 20 fotografi di fama internazionale, chiamati a documentare e a interpretare attraverso le immagini, le grandi trasformazioni vissute negli anni 80’ dai paesaggi francesi. 
È da questa commissione che nel 1990 nacque il volume Bord de mer in cui Gabriele Basilico descrive attraverso la fotografia porti, spiagge, coste e scogliere a picco sul mare del Nord. Le immagini furono scattate in tre regioni francesi, da Dunkerque nel Nord-Pas-de-Calais fino a Mont Saint Michel in Normandia, passando per la Piccardia.

Il progetto organizzato dalla D.A.T.A.R, fu, come afferma lo stesso Basilico, un’azione concreta volta a mettere in rapporto il paesaggio con la fotografia e a porre in discussione i vecchi metodi di rappresentazione geografica, che si ritennero non più adeguati a indagare la realtà. Fu proprio la fotografia il medium prescelto come erede dei vecchi sistemi di rappresentazione del paesaggio. Questo nuovo importante “passaggio” di statuto influenzò ampiamente il futuro della fotografia tra gli anni Ottanta e Novanta, rilanciando una nuova identità professionale per la figura del fotografo. 

“ Con Bord de Mer entrava in gioco un movimento nuovo e opposto, destabilizzante, rispetto alla mia identità di fotografo, basata sulla rapidità. I sei mesi di lavoro stabiliti dal contratto erano un tempo infinito, che permetteva il ritmo lento, il decondizionarsi, influendo così radicalmente sulla mia stessa percezione della fotografia… Quei luoghi del nord Europa, con il mare burrascoso, i cieli profondi, le nubi pesanti, con la pioggia insistente, il vento, il sole e la luce che cambiava continuamente, mi hanno spalancato una porta verso una nuova visione del paesaggio. Era il paesaggio di pittori come il Canaletto e il Bellotto, o come i Fiamminghi… artisti descrittivi, che tuttavia mi avevano fatto ben intuire come quel frammento di mondo minuziosamente dipinto andasse molto oltre, superasse i bordi del quadro per espandersi verso altri orizzonti, forse addirittura verso il mondo intero.”

Dal 19 giugno al 1 novembre – Magazzini Fotografici – Napoli

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ARIANNA ARCARA. CARTE DA VISITE. UN ALBUM FOTOGRAFICO DI QUARTIERE

Carte de Visite è il risultato di un progetto di fotografia partecipata realizzato da Arianna Arcara, con la curatela di Roberta Pagani, nel quartiere Crocetta di Cinisello Balsamo grazie al sostegno di AESS Regione Lombardia.

L’artista ha aperto uno studio fotografico temporaneo come servizio agli abitanti del quartiere, realizzando tra novembre 2019 e febbraio 2020 oltre 600 ritratti a persone appartenenti alle diverse comunità per indagare le relazioni, le ritualità e gli usi legati al ritratto fotografico.

L’autorialità della fotografa si è messa al servizio degli abitanti di Crocetta producendo diversi formati di rappresentazione a seconda delle richieste. Foto ritratto individuali e di gruppo, di piccole comunità o di famiglie, di centri ricreativi, giovanili e per il sociale, festività e compleanni.

Adottando criteri sia artistici sia documentari, la mostra Carte de visite si propone di raccontare questa esperienza partecipata, dove a determinare i risvolti curatoriali ed espositivi è l’autodeterminazione dei soggetti stessi. Buona parte delle fotografie esposte rispondono infatti a criteri dipendenti dal diritto alla riservatezza dei partecipanti. La mostra si confronta dunque con il tema della privacy e con il significato della fotografia che si rivolge alla ritrattistica sociale, quando un progetto di documentazione si realizza dentro uno spazio privato e per fini privati prima che artistici o divulgativi.

Quello che emerge dalla selezione di fotografie prodotte è il rapporto di fiducia instauratosi tra l’autore e il soggetto, che ha lasciato all’interno dello studio Carte de visite un po’ della sua storia e, al contempo, ha portato a casa una o più delle fotografie esposte.

20 giugno – 01 novembre 2020 – MUFOCO – Cinisello Balsamo

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ESSERE (IN)DIVISIBILE

Sabato 20 Giugno inaugura la mostra “Essere (in)divisibile” a cura di Simona Guerra, con collage fotografici e opere di Re Barbus e Nora Ciottoli.

La mostra accosta due autrici per la prima volta esposte nelle Marche che stanno facendo della propria ricerca fotografica un percorso di consapevolezza e bellezza che ha come tramite il mondo femminile e la Natura.

I corpi senza tempo di Nora Ciottoli (Milano, 1968) dialogheranno con quelli nelle opere di Re Barbus (Roma, 1971) mostrandoci due mondi creativi così diversi, entrambi rivelati tramite l’uso diverso della tecnica del collage.

Dal 20 al 28 giugno – Spazio Piktart – Senigallia

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STEVE MCCURRY. ICONS

La mostra “Steve McCurry – Icons”, promossa dal Comune di Cagliari, Servizio Cultura e Spettacolo e organizzata da Civita Mostre e Musei SpA in collaborazione con Fondazione di Sardegna e SudEst57, presenta per la prima volta in Sardegna 100 immagini che ripercorrono la carriera del grande fotografo statunitense, dagli esordi ad oggi.

Saranno presenti i l Sindaco Paolo Truzzu, l’Assessore alla Cultura, Spettacolo e Verde Pubblico Paola Piroddi, la dirigente del Servizio Cultura e Spettacolo Antonella delle Donne.

Dopo l’emergenza sanitaria globale che ha investito il mondo intero, la mostra “Steve McCurry – Icons”, curata da Biba Giacchetti, assume per la Sardegna, ma più in generale per l’Italia, un messaggio di ripartenza attraverso le immagini iconiche del grande maestro della fotografia contemporanea che con i suoi reportage racconta il nostro tempo con uno sguardo sempre rivolto all’Uomo.

Dal 12 Giugno 2020 al 10 Gennaio 2021 – Palazzo di Città – Cagliari

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PERU. LUIS ARMANDO VEGA – MUSUK NOLTE – NICOLAS VILLAUME – VICTOR ZEA

Esposizione in collaborazione con National Geographic.

06/06/2020–11/10/2020 – Museo Lumen . Plan de Corones – Brunico

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Mexico – RICARDO AZARCOYA

Esposizione in collaborazione con National Geographic.

06/06/2020–11/10/2020 – Museo Lumen . Plan de Corones – Brunico

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Giorgio Lotti – Viaggio nel ‘900

Il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore, ente nato per volontà della FIAF – Federazione Italiana Associazioni Fotografiche,associazione senza fini di lucro che si prefigge lo scopo di divulgare e sostenere la fotografia su tutto il territorio nazionale, presenta la nuova mostra “Giorgio LottiViaggio nel ‘900” che inaugurerà sabato 27 giugno 2020 alle ore 18.00 presso il CIFA (Via delle Monache 2, Bibbiena, AR). Lo stesso giorno Roberto Rossi, Presidente della FIAF, con il contributo della Regione Toscana, inaugurerà a Bibbiena sei nuove opere che vanno ad aggiungersi al progetto Bibbiena Città della Fotografia – Galleria Permanente a Cielo Aperto. Le opere installate sono degli autori Mario De Biasi, Giorgio Lotti, Fulvio Roiter, Mario Cresci, Uliano Lucas, Lisetta Carmi.

“Siamo felici di poter riaprire le porte del CIFA con questa mostra di un Autore che, in un periodo come quello che stiamo vivendo, esprime con le sue immagini l’essenza del lavoro del perfetto fotogiornalista, colui che è capace di cogliere con l’occhio e ha la prontezza di fissare con il clic il senso degli eventi (le cronache), il carattere delle persone (i ritratti, appunto), la bellezza dei paesaggi e dell’arte (i reportage) – ha dichiarato Roberto Rossi, Presidente della FIAF – Tanto si potrebbe scrivere sulle fotografie di Giorgio Lotti ma vogliamo lasciare al pubblico il piacere di passeggiare tra i suoi lavori e riscoprire la grandezza di un fotografo, che occupandosi del reale, ha sempre unito alla professionalità, alla conoscenza tecnica, all’intuito nel prevedere e vedere ciò che sta per accadere, un talento naturale che va al di là di ogni spiegazione logica”.

La carriera fotografica di Giorgio Lotti, nato a Milano nel 1937, è indissolubilmente legata al settimanale Epoca, la rivista che, fra i settimanali italiani, si distinse subito per l’impostazione grafica: stampa su carta lucida ed ampio ricorso ai servizi fotografici, molti in esclusiva, oltre a un sapiente uso del colore.

In questa mostra vengono presentati, non in ordine cronologico, alcuni dei servizi più famosi realizzati e pubblicati su Epoca da Giorgio Lotti e una serie di immagini singole, molti ritratti, che riassumono, pur non esaustivamente, il suo lavoro di fotogiornalista.

Il percorso espositivo è una passeggiata immersiva nella storia del tragico e meraviglioso Novecento, superando di colpo ogni barriera dello spazio e del tempo, portando lo spettatore esattamente nel punto in cui le fotografie sono state scattate.

Sono immagini potenti che non hanno bisogno di spiegazioni, razionalizzazioni, aggiunte o sottrazioni, ma che semplicemente vanno contemplate, possibilmente con lo stesso sguardo pulito e lo stesso stupore fanciullesco che ha permesso all’Autore di realizzarle e di afferrare al volo frammenti di presente per consegnarli alla memoria e, quindi, alla Storia.

Ne è un esempio il lavoro sull’inquinamento prodotto dal tumultuoso sviluppo dell’Italia del boom economico, realizzato sul finire degli anni ‘60 e quanto mai attuale. Qui emergono due sue caratteristiche. Per prima, quando si appassiona a un tema e pensa valga la pena di svilupparlo, non scatta solo per la committenza, ma anche per sua ricerca personale. Per seconda, prima di affrontare un lavoro, Lotti approfondisce la tematica. Nel caso specifico si reca all’Università di Milano e in altri luoghi deputati alla ricerca scientifica, recupera la documentazione necessaria, legge rapporti e articoli giornalistici e, finalmente preparato, affronta fotograficamente l’argomento. Da questo lavoro durato tre anni e apparso in parte su Epoca nel ’68, vengono tratte le immagini pubblicate sul volume Venezia muore. La mostra itinerante viene curata dall’UNESCO, che la veicola nel mondo per raccogliere fondi per la salvaguardia della città lagunare.

A dimostrazione che tanti lavori di Giorgio Lotti sono di grande attualità, la serie del 1991 che, con partecipata intensità, affronta un altro tema attualissimo: gli sbarchi nei nostri porti di popolazioni che fuggono dai propri territori, resi inospitali dalle più svariate avversità. Lotti con un numero relativamente ridotto di scatti ci trasmette tutta la drammaticità dell’evento, il primo sbarco di albanesi a Brindisi. Così come accade con alcuni altri lavori sulle sciagure capitate nel nostro paese. Lotti ci comunica non solo i fatti che ci fanno entrare nel cuore degli avvenimenti, ma riesce a trasmetterci con le sue immagini i sentimenti di uomo che partecipa alle emozioni e al dolore degli altri.

Questa sua attitudine di entrare in empatia con chi è nel mirino della sua fotocamera e di fare assurgere un personaggio a simbolo di un intero evento, la possiamo cogliere in un paio di significativi esempi: due ritratti, pur molto diversi tra loro per tecnica di ripresa e di composizione scenica, che da soli riassumono questo aspetto specifico del suo talento.

Il primo è sicuramente il più noto a livello mondiale: il ritratto di Zhou Enlai scattato nel 1973. La fotografia, che probabilmente è stata la più diffusa nella storia della Cina e quella più stampata al mondo con oltre cento milioni di copie, ritrae il primo ministro seduto su una comune poltrona. Pubblicata sui libri di storia del fotogiornalismo, diviene il suo ritratto ufficiale. È pubblicato su Epoca di quell’anno nel primo di tre articoli dedicati alla Cina del dopo Rivoluzione Culturale. In quel momento storico, il grande paese asiatico ha bisogno di rassicurare i propri abitanti sulla stabilità del proprio futuro e allo stesso tempo inizia ad aprirsi agli stati occidentali da cui si era posto in isolamento. Questo scatto presenta l’uomo che in quel momento impersona il potere ufficiale della Cina. È il ritratto di una persona dallo sguardo fermo, ma rilassato. Volge gli occhi alla sua sinistra. Il volto esprime tranquillità con un sorriso appena accennato. Guarda al futuro del suo paese in modo fiducioso. Lo sfondo della fotografia è uniforme, solo una tazza di tè, inquadrata con grande intelligenza sulla sinistra, rafforza la serenità rassicurante della scena.

Il secondo non è da meno quanto a intensità espressiva. Torniamo indietro a quella che fu una drammatica sciagura umana e culturale del secondo dopoguerra: l’alluvione di Firenze del novembre 1966. Le immagini ci fanno rivivere quei momenti. La prima ci offre lo sguardo sofferente e preoccupato di una donna aggrappata su una barca in una via del centro storico di Firenze, mentre un uomo con in mano una pertica cerca disperatamente di non farla travolgere da un’auto quasi completamente sommersa dall’acqua limacciosa. Ma l’immagine simbolo del sentimento dei fiorentini in quei giorni è affidata al ritratto di un personaggio scelto non a caso. Un uomo di cultura che tutti conoscono. Tutti sappiamo che è di lì. Siamo abituati a vederlo vestito in panni eleganti e ricercati. Osservare Franco Zeffirelli, il grande regista, seduto su una sedia davanti alla Basilica di Santa Croce, i pantaloni e le scarpe intrise di fango, con lo sguardo incerto e sconsolato di chi non sa ancora se la città e i suoi tesori artistici potranno essere salvati e recuperati, ci racconta le sensazioni che tutti gli amanti dell’arte hanno avuto assistendo alle immagini dell’alluvione.

Se il ritratto, come singolo scatto che coglie l’espressione, il gesto e l’ambientazione cercata dall’autore, è molto praticato da Lotti e raggiunge sempre risultati di grande impatto emotivo, in occasioni particolari troviamo che l’insieme di più immagini viene utilizzato per raccontare l’emozione del soggetto, come nella sequenza realizzata in occasione dell’evento del secolo: lo sbarco dell’uomo sulla luna del luglio 1969. Molti di noi, mentre vivevano attaccati alla televisione in bianco e nero quei momenti, hanno pensato al valore storico dell’evento. Lotti non ha scelto di farci vedere le apparecchiature tecniche e scientifiche che hanno permesso questo passo. Ha delegato la sua rappresentazione all’entusiasmo di un uomo, Giuseppe Ungaretti, che con la scienza ha avuto poco a che fare, ma che, senza perdere i gesti del vivere quotidiano, con la sua anima di poeta riesce a trasmetterci l’entusiasmo e l’orgoglio dell’intera umanità.

Oppure nel caso della composizione multipla di nove scatti che testimonia le reazioni del poeta Eugenio Montale quando riceve la notizia di aver ricevuto il premio Nobel per la letteratura.

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Mostre: segnalazioni per marzo

Ciao,

anche a marzo vi segnaliamo diverse mostre interessanti. Date comunque alla nostra pagina per tutte le mostre in corso.

Anna

Ara Güler

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Una monografia dedicata al più importante rappresentante della fotografia creativa in Turchia, scomparso alla fine del 2018: Ara Güler.

Lucido osservatore della storia e società turca, Güler ha lasciato in eredità un archivio di oltre due milioni di foto, di cui una selezione di circa 80 immagini è in mostra, una grande retrospettiva dedicata in particolare alla città di Istanbul, una sezione è riservata ai ritratti di personaggi famosi tra i quali, Federico Fellini, Pablo Picasso, Salvator Dalì, Sophia Loren.

Nominato uno dei sette fotografi migliori al mondo dal British Journal of Photography Yearbook e insignito del prestigioso titolo di “Master of Leica”, il maestro turco Ara Güler approda a Roma con una mostra monografica dedicata ai suoi scatti in bianco e nero. La tappa romana arriva al Museo di Roma in Trastevere, dopo le esposizioni alla Galleria Saatchi a Londra, alla Galleria Polka a Parigi, al Tempio di Tofukuji a Kyoto, nell’ambito del vertice del G-20, e alla Alexander Hamilton Custom House a New York in concomitanza con l’Assemblea Generale dell’ONU, prima di continuare il suo percorso a Mogadiscio.

La mostra è composta in gran parte dalle fotografie di Istanbul scattate da Ara Güler a partire dagli anni ’50, periodo fondamentale in cui fu reclutato da Henri Cartier-Bresson per l’Agenzia Magnum e divenne corrispondente per il Vicino Oriente prima per Time Life nel 1956, e poi per Paris Match e Stern nel 1958. Le 45 vedute in bianco e nero della città presenti in mostra costituiranno una preziosa testimonianza di un’umanità ormai quasi cancellata dalla memoria e si affiancheranno ad una sezione, composta da 37 immagini in tutto, dedicata ai ritratti di personaggi importanti del mondo dell’arte, della letteratura, della scienza e della politica: da Federico Fellini a Sophia Loren, da Bernardo Bertolucci ad Antonio Tabucchi, da Papa Paolo VI a Winston Churchill.

Ara Güler era “un marchio globale” per la sua professione a tutti gli effetti – dichiara il Presidente Recep Tayyip Erdoğan – La sua maestria è comprovata dal fatto che tutti i personaggi più importanti degli ultimi 65 anni, che hanno lasciato un segno indelebile nella nostra memoria collettiva con le loro lotte politiche, la loro leadership come uomini di Stato, le loro idee, la loro arte e la loro sensibilità, furono immortalati dal suo obiettivo. È un motivo di grande orgoglio per l’intera nazione vedere le sue fotografie, scattate nel corso di una lunga carriera, che inizia nel 1950 e dura fino al suo ultimo respiro, esposte ancora oggi nelle sezioni più prestigiose di mostre, collezioni e raccolte in ogni angolo del mondo.

Il viaggio artistico di Ara Güler, che mise Istanbul, dove fu nato e cresciuto, al centro della sua vita e della sua arte, racchiude in sé una sintesi della nostra storia recente. Lo ricorderemo sempre con profondo rispetto come una delle più edificanti testimonianze della figura del “vero artista” nel nostro Paese, con il suo linguaggio originale, avvincente e prolifico, libero da ogni forma di bigottismo.

30/01 – 03/05/2020 – Museo di Roma in Trastevere

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JACQUES HENRI LARTIGUE. L’INVENZIONE DELLA FELICITA’. FOTOGRAFIE

Dal 29 febbraio al 12 giugno 2020 la Casa dei Tre Oci di Venezia ospita la più ampia retrospettiva mai organizzata in Italia, dedicata al fotografo francese Jacques Henri Lartigue (1894-1986). 

L’invenzione della felicità, curata da Marion Perceval e Charles-Antoine Revol, rispettivamente direttrice e project manager della Donation Jacques Henri Lartigue, e da Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci, è organizzata da Civita Tre Venezie e promossa da Fondazione di Venezia, in stretta collaborazione con la Donation Jacques Henri Lartigue di Parigi, con il patrocinio del Ministero della Cultura francese. 

La rassegna presenta 120 immagini, di cui 55 inedite, tutte provenienti dagli album fotografici personali di Lartigue, dei quali saranno esposte alcune pagine in fac-simile.

A queste si aggiungono alcuni materiali d’archivio che ripercorrono l’intera sua carriera, dagli esordi dei primi del ‘900 fino agli anni ’80 e ricostruiscono la storia di questo fotografo e la sua riscoperta. 

Il 1963 è in tale contesto un anno cruciale: John Szarkowski, da poco nominato direttore del dipartimento di fotografia del MoMa – il Museum of Modern Art di New York, espone i suoi lavori al Museo newyorkese, permettendogli di raggiungere il successo quando Lartigue è vicino ormai ai settant’anni.

Il percorso de L’invenzione della felicità si articola intorno a questi grandi momenti di riscoperta dell’opera di Lartigue, a cominciare dalla rassegna del museo newyorkese, durante la quale sono presentati i suoi primi scatti precedenti la Prima Guerra Mondiale, e che fanno di lui l’enfant prodige della fotografia. Ispirato dai giornali e dalle riviste illustrate di quest’epoca, Lartigue s’interessa alla ricca borghesia parigina che si ritrovava ai Grandi premi automobilistici, alle corse ippiche di Auteuil, oltre che agli uomini e alle donne eleganti che le frequentavano.

“La ‘parte di mondo’ di Lartigue – scrive Denis Curti nel suo testo in catalogo – è quella di una Parigi ricca e borghese del nouveau siècle, e anche quando l’Europa verrà attraversata dagli orrori delle due guerre mondiali, Lartigue continuerà a preservare la purezza del suo microcosmo fotografico, continuando a fissare sulla pellicola solo ciò che vuole ricordare, conservare. Fermare il tempo, salvare l’attimo dal suo inevitabile passaggio. La fotografia diventa per Lartigue il mezzo per riesumare la vita, per rivivere i momenti felici, ancora e ancora”.

A seguito del successo ottenuto con la mostra al MoMa, verso la fine degli anni ‘60, Lartigue incontra Richard Avedon e Hiro, due tra i più influenti fotografi di moda di allora, che si appassionano immediatamente alla sua arte.

Avedon, in particolare, gli propone presto di realizzare un lavoro che prenda la forma di un “giornale fotografico”, mostrando un po’ di più degli archivi di Lartigue. Aiutato da Bea Feitler, l’allora direttrice artistica di Harper’s Bazaar, pubblicano nel 1970 il Diary of a Century che lo consacra definitivamente tra i grandi della fotografia del XX secolo.

Tuttavia, Lartigue non è più da tempo il fotografo amatoriale di inizio secolo. Dagli anni ‘40 pubblica le sue fotografie su riviste, combinando i suoi incontri mondani e le inquadrature ricercate.

Dopo l’approfondimento del periodo della sua riscoperta, le ultime sezioni si concentrano sugli anni ‘70 e ‘80, segnati dalle collaborazioni con il mondo del cinema, dove lavora come fotografo di scena per numerosi film, e della moda. L’occhio di Lartigue, tuttavia, non riuscì mai ad allontanarsi dalla vita di tutti i giorni, immortalando sempre molti dettagli curiosi e carichi d’ironia.

Un interessante focus è inoltre riservato alle memorie che Lartigue scrisse negli anni ‘60 e ‘70, quando inizia a ricomporre i suoi album nei quali aveva raccolto tutti i suoi scatti.

Accompagna la rassegna un catalogo bilingue Marsilio Editori.

29.02 > 12.06.2020 – VENEZIA / TRE OCI

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SEBASTIANO SALGADO. EXODUS. IN CAMMINO SULLE STRADE DELLE MIGRAZIONI

È passata quasi una generazione da quando queste fotografie sono state esposte per la prima volta. Eppure, per molti aspetti il mondo che ritraggono è cambiato poco, visto che la povertà, i disastri naturali, la violenza e la guerra costringono ancora milioni di persone ogni anno ad abbandonare le loro case. In alcuni casi, vanno a finire in campi profughi che presto si espandono fino a diventare piccole città; in altri, sono pronti a investire tutti i risparmi, e perfino la vita, per inseguire il sogno di una mitica Terra Promessa. I migranti e i profughi di oggi sono senza dubbio il prodotto di nuove crisi, ma la disperazione e i barlumi di speranza che vediamo sui loro volti non sono poi molto diversi da quelli documentati in queste immagini.

Quasi tutto ciò che accade sulla Terra è in qualche modo collegato. Siamo tutti colpiti dal crescente divario tra ricchi e poveri, dalla crescita demografica, dalla meccanizzazione dell’agricoltura, dalla distruzione dell’ambiente, dal fanatismo sfruttato a fini politici. Le persone strappate dalle loro case sono solo le vittime più visibili di un processo globale.

Le fotografie che qui presentiamo catturano i momenti tragici, drammatici ed eroici di singoli individui. Eppure, tutte insieme, ci raccontano anche la storia del nostro tempo. Non offrono risposte, ma al contrario pongono una domanda: nel nostro cammino verso il futuro non stiamo forse lasciando indietro gran parte del genere umano?

Lélia Wanick Salgado

Dal 08 Febbraio 2020 al 14 Giugno 2020 – Pistoia – Palazzo Buontalenti / Antico Palazzo dei Vescovi

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GANGA MA. GIULIO DI STURCO

La fotografia torna protagonista alla Fondazione Stelline, che apre la propria stagione espositiva 2020 con la mostra di Ganga Ma. Giulio Di Sturco(Roccasecca – FR , 1979), a cura di Eimear Martin, dal 6 febbraio al 22 marzo 2020.

Ganga Ma è il frutto di una ricerca fotografica decennale sul fiume Gange che documenta gli effetti devastanti dell’inquinamento, della industrializzazione e dei cambiamenti climatici. Il progetto segue il fiume per oltre 2.500 miglia, dalla sua sorgente nel ghiacciaio del Gangotri, situato nella catena dell’Himalaya, fino alla foce nel Golfo del Bengala, in Bangladesh. Il risultato è una riflessione filosofica per immagini che presagisce un futuro non troppo lontano, consentendoci di percepire l’incombenza di un mondo tossico e post-apocalittico.

Ganga Ma è iniziato come progetto documentario a lungo termine, concepito come testimonianza dello svolgimento di un disastro ecologico in corso. Tuttavia, nel processo creativo Giulio Di Sturco ha modellato un vero e proprio linguaggio visivo, capace di mostrarsi sensibile ai cambiamenti già avvenuti sul Gange e di indagare il paesaggio in cerca di segni di ciò che ci aspetta. Il Gange è un esempio emblematico della contraddizione irrisolta tra uomo e ambiente, poiché è un fiume intimamente connesso con ogni aspetto – fisico e spirituale – della vita indiana.
Giulio Di Sturco ci invita a entrare nell’opera e dopo l’iniziale stordimento dell’immagine seducente e poetica, che rivela la maestosità della natura dalla prospettiva del fiume e delle sue rive, a vedere la sua tossicità, l’effetto devastante della industrializzazione ma anche dei cambiamenti climatici e dell’urbanizzazione.

La mostra è accompagnata dalla omonima monografia (Gost Books, 2019), con un bellissimo saggio introduttivo di Vandana Shiva, scrittrice e ambientalista indiana, tra i principali leader dell’International Forum on Globalization, e della curatrice.

Dal 06 Febbraio 2020 al 22 Marzo 2020 Milano Palazzo delle Stelline

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Cesare Colombo. Fotografie/Photographs  1952-2012

Il Comune di Milano e il Civico Archivio Fotografico rendono omaggio con una grande mostra a Cesare Colombo, uno dei principali fotografi e studiosi della fotografia del Novecento. Curatore di importanti mostre e animatore di dibattiti, sin dal Dopoguerra ha contribuito a far crescere in modo significativo la cultura fotografica in Italia. La rassegna dal titolo Cesare Colombo. Fotografie/Photographs  1952-2012 è curata da Silvia Paoli, con Sabina e Silvia Colombo, oggi responsabili dell’Archivio di Colombo e si tiene dal 21 febbraio al 14 giugno 2020 alla Sala Viscontea del Castello Sforzesco.

Quasi quarant’anni, una vita, dedicati da un fotografo a vedere Milano, grande città italiana e nello stesso tempo simbolo di una qualsiasi grande città del mondo.  

Scriveva così Corrado Stajano nel 1990 sul catalogo Alinari che accompagnava la prima grande mostra milanese di Cesare Colombo, allestita all’Arengario.Dopo tre decenni una nuova rassegna riprende e completa l’eredità lasciata per restituire un nuovo affresco dell’attività fotografica dedicata da Colombo alla sua città, nella quale le foto più conosciute si uniscono a immagini inedite e a vere e proprie riscoperte d’archivio.

A partire dal corpus di fotografie recentemente entrate a far parte delle collezioni del Civico Archivio Fotografico del Castello Sforzesco, la mostra restituisce la sua visione coinvolgente e appassionata della metropoli lombarda. Il percorso comprende oltre 100 fotografie esemplificative dell’intera carriera di Colombo, divise in sei sezioni, dove la città viene descritta nei suoi molteplici aspetti culturali, politici e sociali e offre un vivido racconto biografico lungo sessant’anni (1952-2012) di sviluppo urbano, trasformazioni del lavoro e mutamenti del tessuto sociale. Il mondo delle fabbriche e le manifestazioni sindacali, le rivolte studentesche e le periferie, ma anche uno sguardo attento su una città in continuo cambiamento, che produce e crea: le fiere e i negozi,  la moda e il design, l’arte e lo spettacolo. Punti di vista di una città ‘abitata’ di uno dei suoi più attivi interpreti.

L’allestimento e la grafica di Italo Lupi,  aiuteranno il visitatore a ricostruire la figura di Cesare Colombo nella sua complessità. In mostra un tavolo biografico, lungo venticinque metri, ricostruirà la vita di Cesare Colombo dalla sua formazione giovanile, ai primi lavori, ai progetti di comunicazione pubblicitaria, alla sua vita familiare, alle sue molte collaborazioni con l’editoria, all’impegno politico e ai suoi impegni culturali.

Un affresco coloratissimo che fa da contraltare al rigore delle fotografie in bianco e nero, affiancato da un altro lungo tavolo più sobrio di colori e grafica, con brani di suoi scritti e citazioni di differenti testi critici e letterari.

Il catalogo a cura di Silvia Paoli, edito da Silvana (Italiano-Inglese) contiene il saggio critico del curatore (Oltre i bordi dell’inquadratura. Cesare Colombo 1935-2016, fotografo, storico, critico), una sezione dedicata all’allestimento con una nota di Italo Lupi e ricchi apparati bio-bibliografici a cura di Sofia Brugo.Tutte le fotografie sono riprodotte nel volume divise secondo le sezioni della mostra:  Album Metropolitano, Stagioni di lotta, Offerte di lavoro, Ingresso Libero, La città della moda e del design, Arte in scena.

L’esposizione e il catalogo sono l’esito di un lungo lavoro di ricerca il cui intento è di contribuire alla conoscenza di questo importante autore della fotografia italiana, aprendo anche nuovi orizzonti di studio.

dal 21 febbraio al 14 giugno 2020 – Sala Viscontea del Castello Sforzesco – Milano

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Le mostre di Closer – Dentro il Reportage

La quarta edizione del festival di fotografia sociale Closer – Dentro il Reportage torna a Bologna da venerdì 13 a domenica 15 marzo 2020 tra mostre, incontri, workshop e letture portfolio.

Negli spazi di QR Photogallery (via Sant’Isaia 90) e nel vivaio urbano Senape (Via Santa Croce 10/ABC), Closer apre spazi di visibilità per fotografi e temi –selezionati tra le numerose proposte della open call provenienti da diverse parti del mondo–  e promuove occasioni di confronto e formazione, tra internazionalità e territorio. Con Closer il mezzo fotografico si fa portavoce di istanze rilevanti e attuali, che arrivano dai diversi angoli del mondo nella città di Bologna a suscitare riflessioni condivise per una società inclusiva.

Venerdì 13 marzo alle ore 18.30 negli spazi di QR Photogallery, fondata dall’associazione TerzoTropico nell’affascinante quadriportico dell’ex-ospedale psichiatrico Roncati (Via Sant’Isaia 90, Bologna), Closer – Dentro il Reportage inaugura la mostra collettiva dei fotografi selezionati tramite open call.

La quarta edizione del festival parte da lontano, dalla città di Lahore (Pakistan), protagonista di For the Love of Lahore, del fotografo Aun Raza: registrazione diretta sebbene metaforica di una città in via di disintegrazione ambientale e sociale, il reportage vuol essere al tempo stesso un antidoto ai poteri nefasti nelle cui mani Lahore è caduta. I panorami della città entrano quindi in risonanza e creano dittici mentali con i ritratti di musicisti, poeti, scrittori, artisti, artigiani, attivisti, che rappresentano il tessuto e l’anima della Lahore che cerca di resistere, di mantenere apertura, curiosità, amore per il dialogo.

Dalla città del Pakistan ci si sposta a Quito, la capitale dell’Ecuador costruita nel mezzo delle Ande, dove Chiara Negrello ha realizzato il progetto fotografico Recicladoras, che riflette sui temi della condizione femminile e dell’ecologia mostrando il lavoro –spossante, denigrato, rischioso– di donne che, dalle 6 del pomeriggio alle 3 del mattino, raccolgono più immondizia possibile prima che passi il camion per la raccolta dei rifiuti, per guadagnare pochi dollari al mese vendendo a privati il materiale salvato dagli scarti.

Ancora America Latina per Vita e morte – rapsodia messicana in cui Giuseppe Cardoni narra per immagini i rituali nel Dia de Los Muertos: dal 31 ottobre al 2 novembre i cimiteri diventano un’esplosione di vita, il lutto è esibito con suoni, costumi, musiche, danze, colori ma anche con maschere e presenze inquietanti, per esorcizzare la paura, rendere familiare e amica la morte. Una persistenza contemporanea delle culture pre-colombiane, nonostante il tentativo di soffocamento da parte delle dominazioni spagnole e della Chiesa.

Con Anima Nera di Claudio Rizzini Closer torna in Italia e testimonia l’avanzare del neofascismo, di quel «cuore di tenebra che è tornato a battere dal passato», come lo definisce il fotoreporter bresciano che documenta gli eventi di piazza, le periferie, i raduni segreti in cui il cameratismo, le dimostrazioni di forza, la xenofobia e lo slancio patriottico riempiono spazi vuoti e solitudini.

Di segno opposto è Nomadelfia descritta in immagini da Enrico Genovesi: un piccolo popolo comunitario, in un villaggio nei dintorni di Grosseto, con una sua Costituzione che si basa sul Vangelo. Una comunità fondata nel 1948 nell’ex campo di concentramento di Fossoli da don Zeno Saltini con lo scopo di «dare un papà e una mamma ai bambini abbandonati» come racconta il fotografo toscano, che dal 1984 si dedica prevalentemente a reportage a sfondo sociale su storie italiane.

Le mostre, che saranno visitabili fino al 4 aprile dal lunedì al sabato dalle ore 9 alle 19, al termine di Closer saranno esposte al festival di fotografia indipendente Stop di Parma.

Contestualmente all’inaugurazione della mostra collettiva dei 5 reportage vincitori, il 13 marzo ci sarà l’apertura della mostra dedicata alle foto singole –anch ‘esse selezionate tramite open call– dei fotografi Nicola Zolin, Ignazio Sfragara, Emanuela Caiazza, Daniele Stefanizzi, Vincenzo Di Pilato.

Sabato 14 marzo alle ore 20.30 da Senape Vivaio Urbano (via Santa Croce 10/ABC, Bologna) sarà infine inaugurata la mostra The Wretched and the Earth di Gabriele Cecconi: un intenso reportage sulla drammatica condizione della popolazione musulmana Rohingya a Cox’s Bazar, nel sud del Bangladesh.

Dal 13 marzo al 4 aprile – QR Photogallery e Senape – Bologna

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LA GUERRA TOTALE

In occasione del 75° della fine della Seconda Guerra Mondiale, avvenuta ufficialmente il 1° maggio in Italia, l’8 maggio in Europa e il 2 settembre nel Pacifico, l’esposizione fotografica racconta la storia del più devastante conflitto che l’uomo abbia mai conosciuto attraverso le fotografie più suggestive e famose degli Archivi di Stato americani – National Archives and Records Administration, Library of Congress, US Navy, US Marines Corp, US Army, etc.  Composta di circa 60 immagini, la mostra ripercorre infatti tutti i principali eventi del Secondo Conflitto Mondiale sui fronti europei, nord africani e del Pacifico: l’invasione della Francia e i bombardamenti sulla Gran Bretagna, l’attacco a sorpresa di Pearl Harbor e l’invasione della Russia, la guerra in Nord Africa e la riconquista isola per isola dell’Oceano Pacifico, i campi di sterminio e la riduzione in schiavitù di milioni di Europei per sostituire i Tedeschi al fronte nelle fabbriche, i movimenti di liberazione e le punizioni ai collaborazionisti, la guerra in Italia e il D-Day, la sconfitta dei Tedeschi e le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, la resa del Giappone e la caccia ai gerarchi nazisti.

L’esposizione fa parte del progetto History & Photography, che ha per obiettivo raccontare la Storia con la Fotografia (e la Storia della Fotografia) valorizzando e rendendo fruibili al grande pubblico e ai più giovani gli archivi storico fotografici italiani e internazionali pubblici e privati. Alle scuole e ora anche ai privati sono proposte visite guidate, foto-proiezioni e l’innovativa possibilità di utilizzare in classe le immagini della mostra (anche una volta terminata) tramite un link riservato e una password a tempo – una soluzione inedita per rendere concreto il concetto di scuola digitale e connessa

​15 febbraio – 27 giugno 2020 – La Casa di Vetro – Milano

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Peterson – Lavine – Come as you are,  Kurt Cobain and the Grunge Revolution

Oltre 80 foto, tra cui alcune inedite, per ripercorrere la storia della scena musicale grunge e quella del suo eroe indiscusso, Kurt Cobain, simbolo della controcultura americana degli anni ’90, tra la fine della guerra fredda e l’illusione della New Economy.
Dal 7 marzo al 14 giugno 2020, a Firenze, Palazzo Medici Riccardi ospita la mostra fotografica “Peterson – Lavine. Come as you are: Kurt Cobain and the Grunge Revolution”. A cura di ONO arte contemporanea, l’esposizione è organizzata e promossa da OEO Firenze Art e Le Nozze di Figaro, in collaborazione con Città Metropolitana di Firenze, Comune di Firenze e  Mus.e.
“A ventisei anni dalla morte di Kurt Cobain, il mito dei Nirvana non tende a svanire  e continua ad avere una forza comunicativa ed espressiva che riesce a far breccia nelle più giovani generazioni facendo palpitare il cuore a chi ha vissuto negli anni ’90 la loro saga”.

Due le sezioni: da un lato le immagini di Charles Peterson, fotografo ufficiale della Sub Pop Records, sulla nascita dei Nirvana, i concerti e la scena grunge di Seattle. Dall’altro gli scatti di Michael Lavine, celebre fotografo pubblicitario, tratti da servizi posati e immagini per riviste. Un accostamento inedito che immerge il pubblico nella fascinazione di quei giorni straordinari, dove i fan erano parte integrante di una rivoluzione musicale, e non solo.

Michael Lavine immortala i Nirvana in studio in quattro diversi momenti, dai mesi della loro prima formazione, fino agli anni del successo mondiale, quando accanto al leader della band c’era la moglie Courtney Love: scatti che sono diventati simbolo di un’era. La sua amicizia con Cobain gli permette di creare una vera registrazione visiva del gruppo, che accompagna in studio in tutti i diversi momenti della propria parabola, fino a pochi giorni dalla scomparsa del suo leader.
L’apporto di Charles Peterson risulta invece fondamentale non solo per la storia dei Nirvana ma anche per la nascita del grunge. Utilizzando uno stile personale crea un proprio marchio di fabbrica, inconfondibile: i suoi flash, molto potenti per poter squarciare il buio dei club, al tempo stesso sono in grado di isolare i soggetti in modo classico e iconico; il suo è un Cobain ritratto in immagini intime, che pienamente mostrano come il peso del successo avesse provato l’artista.

E ancora, immagini di Pearl Jam, Soundgarden, Mudhoney… L’esposizione apre a tutta la scena musicale di Seattle di fine millennio, immortalando un periodo fondamentale e recente della storia americana: la crisi dell’edonismo reaganiano, le nuove periferie (e le sue controculture) e l’incipiente New Economy che proprio a Seattle genererà i suoi colossi.

“Come as you are” è una mostra sound e vision, nelle cui immagini evocative più generazioni si potranno riconoscere, rivivendo illusioni, speranze e quello stile che agli sgoccioli del secondo millennio le hanno viste identificarsi in una colonna sonora e nei suoi eroi.

Dal 7 marzo al 14 giugno – Palazzo Medici Riccardi Firenze

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Masculinities – Liberation through Photography

Through the medium of film and photography, this major exhibition considers how masculinity has been coded, performed, and socially constructed from the 1960s to the present day.

Examining depictions of masculinity from behind the lens, the Barbican brings together the work of over 50 international artists, photographers and filmmakers including Laurie Anderson, Sunil Gupta, Rotimi Fani-Kayode, Isaac Julien and Catherine Opie.

In the wake of #MeToo the image of masculinity has come into sharper focus, with ideas of toxic and fragile masculinity permeating today’s society. This exhibition charts the often complex and sometimes contradictory representations of masculinities, and how they have developed and evolved over time. Touching on themes including power, patriarchy, queer identity, female perceptions of men, hypermasculine stereotypes, tenderness and the family, the exhibition shows how central photography and film have been to the way masculinities are imagined and understood in contemporary culture.

20 Feb — 17 May 2020 – Barbican Art Gallery – London

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WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR

La 55esima edizione della mostra Wildlife Photographer of the Year debutterà in anteprima per l’Italia ancora una volta al Forte di Bard dal 1° febbraio al 2 giugno 2020.

Un emozionante percorso espositivo che ripercorre gli scatti più spettacolari realizzati nel 2019: 100 immagini che testimoniano il lato più affascinante del mondo animale e vegetale, spaziando da sorprendenti ritratti rubati ai più sublimi paesaggi del nostro pianeta.

Vincitore del prestigioso titolo Wildlife Photographer of the Year 2019 è il fotografo cinese Yongqing Bao con lo scatto “The Moment”. L’immagine ritrae lo scontro tra una volpe e una marmotta, uscita dalla sua tana dopo il letargo, sull’altopiano del Qinghai, in Tibet. La foto cattura il dramma e l’intensità della natura: il potere del predatore che mostra i suoi denti, il terrore della sua preda, l’intensità della vita e della morte scritte sui loro volti.

Il quattordicenne Cruz Erdmann, Nuova Zelanda, invece, ha ricevuto il premio per lo Young Wildlife Photographer of the Year 2019con il suo scatto “Night glow”, fatto durante una immersione notturna al largo di Sulawesi, in Indonesia. L’immagine raffigura un calamaro durante un corteggiamento. Tra i vincitori anche due italiani: il giovane Riccardo Marchegiani con “Early riser”, categoria 15-17 anni, e l’altoatesino Manuel Plaickner con “Pondworld”, per la categoria Behaviour: Amphibians and Reptiles.
Protagonista dello scatto di Riccardo Marchegiani una femmina di babbuino Gelada con il suo cucciolo all’alba su un altopiano nel Parco Nazionale del Simien in Etiopia, dove era andato con suo padre e un suo amico. La foto di Manuel Plaickner, invece, immortala delle rane comuni in uno stagno durante il periodo dell’accoppiamento. Il fotografo ha seguito ogni primavera, per oltre un decennio, la migrazione di massa delle rane in Alto Adige.

Altri tre fotografi italiani hanno ricevuto la menzione highly commended in quanto parte delle cento immagini finaliste del concorso fotografico: Stefano Unterthiner (categoria ‘Animals in their Environment’), Lorenzo Shoubridge (categoria ‘Behaviour: Invertebrates’) e Roberto Zanette (categoria ‘Earth’s Environments’).

Dal 01 Febbraio 2020 al 02 Giugno 2020 – Forte di Bard – Aosta

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UNIFORM INTO THE WORK/OUT OF THE WORK 

UNIFORM INTO THE WORK/OUT OF THE WORK è il nuovo progetto espositivo della Fondazione MAST curato da Urs Stahel e dedicato alle uniformi da lavoro, che attraverso oltre 600 scatti di grandi fotografi internazionali mostra le molteplici tipologie di abbigliamento indossate dai lavoratori in contesti storici, sociali e professionali diversi. Nate per distinguere chi le indossa, le uniformi da un lato mostrano l’appartenenza a una categoria, a un ordinamento o a un corpo, senza distinzioni di classe e di censo, dall’altro possono evidenziare una separazione dalla collettività. Le parole italiane “uniforme” e “divisa” evocano, allo stesso tempo, inclusione ed esclusione.

UNIFORM INTO THE WORK/OUT OF THE WORK comprende una mostra collettiva sulle divise da lavoro nelle immagini di 44 fotografi e un’esposizione monografica di Walead Beshty, che raccoglie centinaia di ritratti di addetti ai lavori del mondo dell’arte incontrati dall’artista nel corso della sua carriera, per i quali l’abbigliamento professionale, estremamente differenziato e individualistico, rispetta una sorta di tacito codice dell’anti-uniforme.

Artisti in mostra:

PAOLA AGOSTI, SONJA BRAAS, SERGEY BRATKOV, MANUEL ÁLVAREZ BRAVO, ULRICH BURCHERT, SONG CHAO, CLEGG & GUTTMANN, HANS DANUSER, BARBARA DAVATZ, RINEKE DIJKSTRA, ALFRED EISENSTAEDT, WALKER EVANS, ARNO FISCHER, ROLAND FISCHER, ANDRÉ GELPKE, WERONIKA GESICKA, BRAD HERNDON, LIU HEUNG SHING, GRACIELA ITURBIDE, TOBIAS KASPAR, HERLINDE KOELBL, HIROJI KUBOTA, L.G. ROSE COMMERCIAL PHOTOGRAPHER, ERICH LESSING, DANNY LYON, DOUG MENUEZ, MARIANNE MUELLER, NASA PHOTOGRAPHS, HELGA PARIS, PAOLO PELLEGRIN, IRVING PENN, ANDRI POL, MARION POST WOLCOTT, TIMM RAUTERT, HERBERT RITTS, JUDITH JOY ROSS, SEBASTIÃO SALGADO, AUGUST SANDER, OLIVER SIEBER, HITOSHI TSUKIJI, ALBRECHT TÜBKE, FLORIAN VAN ROEKEL, STEPHEN WADDELL

Dal 25 gennaio al 3 marzo – Mast Gallery Foyer – Bologna

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GIANNI BERENGO GARDINCOME IN UNO SPECCHIO

Inaugura l’11 febbraio alle 18.30 a Forma Meravigli, Milano, la mostra di Gianni Berengo Gardin “Come in uno specchio. Fotografie con testi d’autore”, un progetto espositivo prodotto da Contrasto in collaborazione con Fondazione Forma per la Fotografia. Un omaggio a Gianni Berengo Gardin che viene proposto nella sua città d’adozione, Milano, nell’anno del suo novantesimo compleanno.

Accompagna l’esposizione il volume “Vera fotografia” edito da Contrasto – Official Fan Page.

12 febbraio – 5 aprile 2020 – FORMA MERAVIGLI – Milano

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PhotoAnsa 2019

Si trasforma in progetto espositivo il volume fotografico PhotoAnsa che raccoglie le immagini più significative dell’anno dei grandi fatti di attualità in Italia e nel mondo, realizzate dai fotografi della principale agenzia stampa del nostro Paese.

Oltre cento le immagini in mostra al Forte di Bard dall’8 febbraio al 7 giugno 2020 suddivise in dodici sezioni tematiche che toccano moltissimi temi: le tragedie dei migranti, le campagne di sensibilizzazione dei giovani di tutto il mondo in piazza con la giovane attivista Greta Thunberg contro il cambiamento climatico, la città di Genova un anno dopo il disastro del ponte Morandi, il rogo della cattedrale di Notre-Dame a Parigi, l’odissea delle famiglie al confine messicano davanti al grande muro di Trump, il nuovo Parlamento europeo, Parigi sotto assedio per le proteste dei gilet gialli.
In mostra trovano spazio anche le grandi imprese sportive dell’anno che si è appena concluso: la travolgente nazionale femminile di calcio, la nuotatrice dei record Federica Pellegrini e il boom degli eSports.

Il progetto – inedito ed in anteprima assoluta per l’Italia – è frutto di una collaborazione tra Agenzia Ansa e Forte di Bard.

8 Febbraio 2020 – 7 Giugno 2020 – Forte di Bard – Aosta

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+D1 – Ritratti corali – Marina Alessi

Un ritratto (fotografico) è fatto di tante ‘p’: posa, psicologia, pazienza, professione e professionalità, protagonisti, punctum… È il risultato dell’attimo in cui si consuma una performance che contiene una discreta varietà di emozioni e di sfaccettature prismatiche, riflesso della personalità degli attori: davanti e dietro l’obiettivo. C’è anche chi lo paragona a un passo di danza, quando i soggetti sono due, presupponendo l’abbraccio, l’armonia, il trasporto e la complicità. Per Roland Barthes è un campo chiuso di forze. Il noto critico e semiologo francese ne parla in uno dei suoi saggi più noti, La camera chiara. Nota sulla fotografia (1980). “Quattro immaginari vi s’incontrano, vi si affrontano, vi si deformano. Davanti all’obbiettivo, io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte”. Parole che sono la sintesi eloquente di come la fotografia debba essere sempre considerata la traccia visibile della soggettività di uno sguardo. Per Marina Alessi quello sguardo traduce innegabilmente una scelta professionale che risale alla fine degli anni Ottanta, in cui si è delineato sempre più chiaramente l’orientamento di ricerca nell’ambito autoriale. Ideale proseguimento della performance fotografica della Black Room, realizzata al MACRO Asilo di Roma nel novembre 2019, con Legàmi e il precedente Legàmi al femminile, il progetto +D1 – Ritratti corali entra nello spazio della Galleria Gallerati con una nuova serie di ritratti fotografici che va a implementare un repertorio che contempla donne, uomini, coppie, famiglie (con o senza bambini e animali domestici), generazioni a confronto. La fotografa ha ritratto Daniele Di Gennaro con Luca Briasco della casa editrice Minimun Fax, Mario Tronco con tre musicisti dell’Orchestra di piazza Vittorio, Chicco Testa con Marco Tardelli e, tra i numerosi altri, Emiliano Ponzi con Stefano Cipolla e Sonia (Zhou Fenxia) con la sua famiglia. Volti e corpi che attraverso il body language – si sfiorano, si abbracciano, si baciano – si fanno portavoce di storie personali che sconfinano nelle dinamiche psicologiche e sociali, restituendo al contempo il riflesso di un’idea (o di un ideale) che in parte è anche la traduzione di un dato reale. Ansie, trepidazioni, insicurezze, ma anche felicità, amore, condivisione, unione… in questi ritratti leggiamo stati d’animo, emozioni più o meno sfuggenti come raggi proiettati oltre una distanza di grandezze omogenee. È presente, naturalmente, anche la complicità nell’interazione della fotografa con il suo occhio intransigente e rigoroso, ma in fondo anche un po’ indulgente. “Ho sempre fotografato persone. Alla fine dei miei studi, per l’esame finale allo IED avevo fatto dei ritratti di una coppia di amici”, afferma Marina Alessi. “Mi piace la complicità che si crea con le persone che ritraggo e questa maniera di entrare in punta di piedi nel sentimento, nel legame. Soprattutto quando si tratta di ritratti di gruppo – famiglie con figli – ragiono molto in libertà. Non c’è la finzione della messa in posa. Anche per questo i miei ritratti rimangono classici, non di maniera: ritratti di cuore”. Cercare il punto d’incontro vuol dire mettersi in gioco, sia per i soggetti che per l’autrice. L’imprevisto è altrettanto importante, perché il momento – l’incontro – non è mai lo stesso. Può anche capitare che le persone recitino un ruolo, interpreti di un’idea di sé. In questi casi, pur nella consapevolezza delle strategie che sono in atto, la fotografa asseconda la volontà altrui. Inizia a fotografare e via via prova a lasciarsi andare in una direzione che chiama “dimensione di rotondità, di equilibrio geometrico e anche affettivo”. Quello di Alessi non è il tradizionale affanno nel cogliere illusoriamente ‘l’anima’ del soggetto che è di fronte a lei e al suo apparecchio fotografico, piuttosto a intercettare il suo sguardo è il momento che, come un’alchimia, sintetizza l’essenza dell’incontro tra gli esseri umani. Decisiva è la scelta di utilizzare un fondale neutro dove la presenza (o l’assenza) della gestualità pone gli attori su un unico piano. “L’incontro è un luogo neutro per tutti. Usciamo dalla messinscena e dal mostrare”. Diversamente dalla costruzione del ritratto di famiglia di cui parla anche Annie Ernaux nel romanzo Gli anni (2008), in cui la descrizione della foto che “inscrive la ‘famigliola’ all’interno di una stabilità di cui lei (quella ‘lei’ è la scrittrice stessa, immersa nel flusso di ricordi) ha predisposto la prova rassicurante a uso e consumo dei nonni che ne hanno ricevuto una copia”, il fondale a cui ricorre Marina Alessi, oltre a evitare distrazioni, riconduce l’immagine all’interno di confini atemporali in cui la sospensione è enfatizzata dall’utilizzo del linguaggio del bianco e nero. Eppure, alla dilatazione temporale prodotta dall’oggetto-ritratto fotografico corrisponde la necessità di tempi di lavoro piuttosto veloci, soprattutto quando l’azione è performante e la tensione del momento incalzante. Un procedimento che la fotografa ha affinato nel tempo, attraverso l’esperienza quasi decennale dei ritratti fotografici degli scrittori e dei personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo realizzati per Vanity Fair al Festivaletteratura di Mantova con la fotocamera Polaroid Giant Camera 50×60 e con la Linhof Technika con le lastrine 4×5. Marina Alessi porta fuori la sua ‘scatola vuota’ (ovvero lo studio), munita della fotocamera, del cavalletto, del fondale e del bank (o soft box) che garantisce una diffusione omogenea della luce e restituisce maggiore dettaglio al soggetto, pur conservando la qualità luminosa di morbidezza. È lì, in quella zona neutra, che avviene l’incontro. In fondo, come diceva Irving Penn, “fotografare una persona è avere una storia d’amore, per quanto breve”. (Manuela De Leonardis)

12 marzo – 9 aprile 2020 – Galleria Gallerati – Roma

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SEGNI E SOGNI D’ALPEPassione, orgoglio e resilienza – Marco Mazzoleni

“Segni e Sogni d’alpe. Passione, orgoglio e resilienza” è la mostra fotografica, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Bergamo che, da venerdì 21 febbraio fino a domenica 17 maggio 2020 ad ingresso libero, racconterà la montagna e la ricchezza del patrimonio gastronomico orobico attraverso l’obiettivo di Marco Mazzoleni nella splendida cornice della Sala delle Capriate di Palazzo della Ragione in Città Alta di Bergamo.   

In occasione del riconoscimento di Bergamo a Città Creativa per la Gastronomia – Unesco”, la rete creata nel 2004 dall’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura con lo scopo di promuovere la cooperazione tra le località che hanno identificato la creatività come elemento strategico per lo sviluppo urbano sostenibile, la mostra “Segni e Sogni d’alpe. Passione, orgoglio e resilienza” si focalizza sull’attenzione e sulla cura della realtà orobica di conservare e tramandare le tradizioni alle nuove generazioni in modo spontaneo e in maniera rispettosa verso l’ambiente attraverso una selezione straordinaria di 70 foto che parla di paesaggio, cultura gastronomica, tipicità ed eccellenze del nostro territorio (Orobie bergamasche, lecchesi e valtellinesi) e dialoga con il tema del disegno storicizzato del paesaggio. I territori ricchi di storia uniscono l’elevata biodiversità a una produzione agraria di qualità maturata da antiche tradizioni e da un equilibrio tra intervento dell’uomo e natura che conferisce ai luoghi una bellezza fatta di piccoli segni che cambiano al cambiare delle stagioni.

Cercare, trovare e interpretare questi segni aiuta a comprendere la storia, l’eleganza e la fragilità di un territorio che pur mantenendo un occhio al passato è rivolto al futuro per definire nuovi orizzonti e produrre innovazione e opportunità.

Il progetto vede il coinvolgimento di tre autori d’eccezione che hanno contribuito con i loro contenuti a sostenere la ricerca fotografica di Marco Mazzoleni: Roberto Mantovani (giornalista e storico dell’alpinismo), Prof. Renato Ferlinghetti (Professore di Geografia dell’Università degli studi di Bergamo) e Francesco Quarna (speaker di Radio Deejay, appassionato di alpinismo).

La mostra verrà presentata alla stampa giovedì 20 febbraio 2020 alle ore 11 presso la Sala della Capriate di Palazzo della Ragione di Città Alta di Bergamo.

21 febbraio – 17 maggio 2020 – PALAZZO DELLA RAGIONE – SALA DELLE CAPRIATE BERGAMO

Le mostre di fotografia per iniziare l’anno col piede giusto

Ciao,

se avete tempo in queste vacanze, di seguito trovate un po’ di mostre che vi consiglio di vedere.

Ne approfitto per augurare a tutti un sereno Natale ed uno scoppiettante inizio d’anno all’insegna della fotografia.

Anna

INGE MORATH. LA VITA. LA FOTOGRAFIA

Il Museo di Roma in Trastevere ospita la prima retrospettiva italiana di Inge Morath (1923-2002), la prima fotoreporter donna entrata a far parte della famosa agenzia fotografica Magnum Photos.
I rapporti lavorativi con personalità quali Ernst Haas, Robert Capa e Henri Cartier-Bresson, contribuiscono a chiarire l’evoluzione professionale della Morath e il personale stile fotografico nutrito degli ideali umanistici successivi alla Seconda Guerra Mondiale, ma anche della fotografia quale “momento decisivo” come la definì Cartier-Bresson.

Le oltre centocinquanta fotografie ripercorrono le tappe dei suoi principali reportage geo-etnografici, includendo anche la nota serie di curiosi ritratti con le maschere del disegnatore Saul Steinberg.

Dal 30 Novembre 2019 al 19 Gennaio 2020 – Roma – Museo di Roma in Trastevere

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LETIZIA BATTAGLIA

LETIZIA BATTAGLIA

© Letizia Battaglia | Letizia Battaglia, Omicidio targato Palermo, 1975 

Dal 13 Dicembre 2019 al 08 Marzo 2020

NAPOLI

LUOGO: Magazzini Fotografici

INDIRIZZO: via San Giovanni in Porta 32

ORARI: dal mercoledì al sabato dalle 11.00 alle 19.00; domenica dalle 11.00 alle 14.30

TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 3386403215

E-MAIL INFO: info@magazzinifotografici.it

SITO UFFICIALE: http://www.magazzinifotografici.it
COMUNICATO STAMPA:
A partire dal 13 dicembre 2019 Magazzini Fotografici ha il piacere di ospitare Letizia Battaglia.

In occasione della sua visita a Napoli, Letizia ha personalmente scelto dal suo archivio di stampe vintage una selezione di scatti che rappresentano uno spaccato della sua ricerca fotografica. La mostra è esclusivamente ideata per portare a Napoli foto storiche, giornalistiche, ritratti che raccontano gli anni di una Palermo difficile con lo sguardo intimo, profondo ed emozionato di una fotografa in grado di documentare gli effetti dell’azione della mafia sulla società ma anche di cogliere le radicate problematiche della condizione femminile, attraverso gli sguardi delle donne e delle bambine da lei ritratte.

Quello di Letizia Battaglia è un racconto delle contraddizioni e delle ferite di Palermo, città complessa da lei profondamente amata, terra in cui l’ autrice si è costruita indipendenza e libertà in un periodo storico molto difficile. 

Nei suoi scatti da cronista nella Palermo degli anni ‘70 ritroviamo immortalati i delitti di mafia che l’hanno resa simbolo della battaglia contro la criminalità organizzata e l’omertà che ne alimenta il potere. Nello sguardo delle bambine che fotografa ritroviamo un po’ della sua infanzia complessa in un racconto intenso, che riflette la profonda interiorità della fotografa e quella dei soggetti ritratti.

Letizia Battaglia, 84 anni, fotografa di fama mondiale, per il New York Times è «una delle 11 donne che hanno segnato il nostro tempo». Ha contraddistinto la sua carriera per l’appassionato impegno sociale e politico. Per trent’anni ha fotografato la sua terra, la Sicilia, con immagini in bianco e nero crude e dolorose, denunciando l’attività mafiosa con reportage coraggiosi e incisivi per il quotidiano «L’Ora» di Palermo, attività l’ha resa prima donna-fotografo a lavorare per un giornale italiano.
Convinta della validità dell’impegno civile come fattore di cambiamento, nel corso degli anni ha messo il suo talento e la sua passione al servizio di cause diverse, dalla questione femminile, ai problemi ambientali, ai diritti dei carcerati, in veste di fotografa, regista, editrice, ambientalista (è stata consigliere comunale, assessore e deputato regionale).
Nella sua carriera ha saputo conciliare alla perfezione arte, impegno, coscienza e cuore.
Inizia la sua carriera a Palermo nel 1969, e nel 1970 si trasferisce a Milano dove incomincia a fotografare collaborando con varie testate. Nel 1974 ritorna a Palermo e crea, con Franco Zecchin, l’agenzia “Informazione fotografica”, frequentata da Josef Koudelka e Ferdinando Scianna. Diviene in questi anni una fotografa di fama internazionale, e negli anni ’80 crea il “laboratorio d’If”, dove si formano fotografi e fotoreporter palermitani. 

Letizia Battaglia è stata la prima donna europea a ricevere nel 1985, ex aequo con l’americana Donna Ferrato, il Premio Eugene Smith, a New York, riconoscimento internazionale istituito per ricordare il fotografo di Life. Un altro premio, il Mother Johnson Achievement for Life, le è stato tributato nel 1999.

Ha esposto in Italia, nei Paesi dell’Est Europa, Francia (Centre Pompidou, Parigi), Gran Bretagna, America, Brasile, Svizzera, Canada. 
Dopo l’assassinio del giudice Falcone, il 23 maggio 1992, Letizia Battaglia si allontana dal mondo della fotografia, ormai stanca di avere a che fare con la violenza, dirigendo dal 2000 al 2003 la rivista bimestrale realizzata da donne Mezzocielo, nata da una sua idea nel 1991.
Nonostante le sue radici siciliane, la Battaglia si trasferisce nel 2003 a Parigi, delusa per il cambiamento del clima sociale e per il senso di emarginazione da cui si sentiva circondata, ma nel 2005 è tornata nella sua Palermo.
Nel 2017 inaugura a Palermo all’interno dei Cantieri Culturali della Zisa il Centro Internazionale di Fotografia da lei diretto, metà museo, metà scuola di fotografia e galleria. E nel 2019 inaugura a Venezia, presso la Casa dei Tre Oci, una grande mostra monografica retrospettiva di tutta la sua carriera.
Per questa nuova occasione sarà ospite dello spazio espositivo Magazzini Fotografici, situato nel centro storico di Napoli, nell’antico Palazzo Caracciolo D’Avellino del Decumano superiore.
Nata da un’idea della fotografa Yvonne De Rosa, l’APS Magazzini Fotografici ha come elemento fondamentale l’ obiettivo della divulgazione dell’arte della fotografia finalizzata al-la creazione di un dialogo che sia occasione di scambio e di arricchimento culturale. Il team di Magazzini Fotografici è composto da: Yvonne De Rosa – Direttrice artistica e Fondatrice, Valeria Laureano coordinatrice, Rossella Di Palma responsabile ufficio stam-pa e comunicazione e Michela Sellitto, coordinatrice.

Dal 13 Dicembre 2019 al 08 Marzo 2020 – Magazzini Fotografici – Napoli

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OLIVIERO TOSCANI. RAZZA UMANA

Senigallia Città della Fotografia presenta dal 25 ottobre 2019 al 2 febbraio 2020 la mostra Razza Umana di Oliviero Toscani. Le sale di Palazzo Ducale e di Palazzetto Baviera ospiteranno 70 fotografie di questo progetto che racconta i cittadini del mondo, per far riflettere sul valore dell’eguaglianza tra popoli nell’accettazione delle differenze.
 
Oliviero Toscani è indubbiamente uno dei fotografi italiani più importanti e conosciuti in Italia e all’estero, creatore di campagne pubblicitarie irriverenti e mediatiche che hanno fatto discutere tutto il mondo. Da sempre attratto dalle fisionomie umane e dalla loro rappresentazione, nel 2007 lancia il progetto Razza Umana definita dallo stesso maestro “uno studio socio-politico, culturale e antropologico che ritrae la morfologia della razza umana al fine di osservarne le peculiarità e le caratteristiche, per capire le differenze”.  
 
Razza Umana è un progetto itinerante che ha viaggiato per il mondo, passando dal Giappone al Guatemala, dal Belgio alla Thailandia alla Namibia, oltre ovviamente all’Italia dove è stato esposto in più di 100 comuni. È una ricerca che indaga la forma umana e si concentra sulle piccole imperfezioni che racchiudono l’essenza di tutti noi. Aiutato dal suo team, Oliviero Toscani allestisce in ogni tappa del suo percorso un vero e proprio studio fotografico per ritrarre la gente del luogo, la gente comune che rappresenta il campione di umanità che verrà poi messo in mostra, a confronto con gli scatti realizzati in altre parti del globo. 
 
Il risultato è un archivio multimediale di fotografie e video che racchiude l’essenza dell’umanità, un insieme di espressioni, caratteristiche fisiche, somatiche, sociali e culturali della popolazione, a discapito delle differenze, come spiega bene Achille Bonito Oliva: «Razza Umana è frutto di un soggetto collettivo, lo studio di Oliviero Toscani inviato speciale nella realtà della omologazione e della globalizzazione. Con la sua ottica frontale ci consegna una infinita galleria di ritratti che confermano il ruolo dell’arte e della fotografia: rappresentare un valore che è quello della coesistenza delle differenze».
La fotografia diventa uno strumento di conoscenza profonda che permette, attraverso lo sguardo di ogni singola persona, di poter catturare la sua anima e le esperienze che ha vissuto: un modo per abbattere le disuguaglianze, superando differenze di genere, sociali, culturali, questa è la potenza di Razza umana, come racconta lo stesso Toscani: «Non c’è bisogno di fotografare la guerra per rappresentare il disastro che compie nella società. Basta guardare due occhi che ti fissano con terrore e capisci cosa è la guerra. […] Credo si possa fotografare l’anima attraverso lo sguardo degli esseri umani. L’anima nelle sue fattezze, grandezze, meschinità, bruttezze, e bellezze più estreme. La mia ricerca è fotografare facendomi guardare “dritto negli occhi”».
 
Senigallia con questa mostra si conferma ancora di più città della fotografia in Italia, ospitando una tappa di questo importante progetto e, come afferma il sindaco Maurizio Mangialardi «è pronta a ospitare il lavoro di Oliviero Toscani, uno dei più importanti fotografi del Novecento, proiettando quindi ancora una volta l’intera regione Marche in una dimensione artistica internazionale. Sarà un evento interessante non solo dal punto di vista culturale, ma anche sotto l’aspetto sociale, perché il progetto di Toscani rappresenta un’opportunità di riflessione sul valore dell’uguaglianza che affonda le radici nel riconoscimento e nell’accettazione delle differenze».

Dal 25 Ottobre 2019 al 02 Febbraio 2020 – Palazzo del Duca | Palazzetto Baviera – Senigallia (AN)

LEWIS W. HINE. AMERICAN KIDS

Come nel film di Sergio Leone “C’era una volta in America”: per il progetto History & Photography – La Storia raccontata dalla Fotografia, in anteprima nazionale a la Casa di Vetro di Milano apre al pubblico l’8 ottobre 2019 dalle 15.30 alle 22.00 l’esposizione “Lewis W. Hine. American Kids. ”, dedicata alle condizioni di vita e di lavoro dei figli degli immigrati (per lo più europei, e tra loro tantissimi italiani) e delle classi sociali più povere negli Stati Uniti dei primi del ‘900. In programma fino al 25 gennaio 2020, curata da Alessandro Luigi Perna e prodotta da Eff&Ci – Facciamo Cose di Federica Candela, la mostra si compone di circa 60 riproduzioni digitali da stampe originali selezionate tra le più belle immagini (tra cui molte poco conosciute) della collezione della National Child Labour Committee, la principale organizzazione privata senza fini di lucro protagonista del movimento nazionale di riforma del lavoro minorile negli Stati Uniti a cavallo tra il XIX e il XX secolo. La sua missione era quella di promuovere “i diritti, la consapevolezza, la dignità, il benessere e l’educazione dei bambini e dei giovani in relazione al lavoro.” A scattare le foto, oggi conservate alla Library of Congress, Lewis Wickes Hine, il celebre maestro americano della fotografia sociale, di ritratto e di reportage che ha ispirato i grandi autori americani degli anni ‘30 (in primis Dorothea Lange) che hanno raccontato la Grande Depressione e il New Deal del presidente Franklin Delano Roosevelt. 

Dal 08 Ottobre 2019 al 25 Gennaio 2020 – La Casa di Vetro – Milano

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FRANCESCO CITO. DEUS, SPIRITUS, HOMINES

Dal rumore dei reportage di guerra al silenzio della preghiera, avendo il privilegio di entrare in spazi di norma riservati e sconosciuti, questo il viaggio che il fotografo Francesco Cito ha intrapreso alla scoperta dei luoghi di culto, delle professioni di fede nei territori dell’Umbria.
Un viaggio di ricerca e documentazione dedicato alle comunità religiose che, attraverso il potente mezzo della fotografia, evidenzia la necessità dell’uomo di costruire e custodire la propria identità culturale, spirituale e sociale, un viaggio che diventa mostra. 
http://www.francescocito.it

Può un forno ospitare fotografie?
E diventare un centro culturale?
E tornare a essere, dopo anni di chiusura, un centro vissuto e frequentato?

Succede a Città della Pieve grazie a un progetto aperto e gratuito per tutti: appassionati, esperti, curiosi di immagini, a chi passa e ha desiderio di capire, provare, scoprire, approfondire il mondo della fotografia.
Photo Città delle Pieve è un laboratorio permanente di cultura fotografica che, durante tutto l’anno, organizza esposizioni, workshop, talk, cineforum, attività culturali dedicate alla fotografia.
Photo Città della Pieve è un progetto che trova le sue radici in Italia centrale, in Umbria, al confine con la Toscana, all’interno del vecchio Forno Bassini, il forno del paese dal quale ha ereditato il nome «il Forno» e le aspirazioni, luogo di produzione e vero e proprio laboratorio di incontro per la comunità e non solo, che rivive grazie a un restauro filologico avviato da Firouz Galdo e portato a temine nel 2017 da Open Studio inserito tra i siti d’interesse per l’archeologia industriale dalla Regione Umbria.
Oggi, tra bocche di forno, pianali, cappe, rivestimenti originali, un allestimento lineare e fluido permette di ospitare esposizioni fotografiche, una biblioteca, una sala workshop, una sala posa, una camera oscura e un ambiente sempre aperto al pubblico per degustazioni, apertivi e appuntamenti.
Photo Città della Pieve alterna un calendario annuale di attività per vari tipi di pubblico a due mostre principali, nel mese di dicembre e di giugno, due progetti commissionati e realizzati ad hoc, da fotografi e artisti dedicati a svelare luoghi, culture, comunità, usi e costumi del territorio e d’Italia. Nei primi anni si sono alternate le collaborazioni con Maurizio Galimberti, Paola Agosti, Silvia Camporesi e Alessandra Baldoni, per dicembre 2019 è Francesco Cito il protagonista, con un intenso lavoro sulle comunità religiose, mentre a giugno 2020 sarà la volta di Valentina Piccinni e Jean Marc Caimi.
Photo Città della Pieve, anche grazie alla sua amplia biblioteca e al suo archivio è un luogo di studio e di memoria, da una parte mettendo a disposizione una selezione di oltre 700 volumi specializzati dall’altra custodendo la produzione fotografica dei progetti realizzati, insieme all’archivio di Attilio Maria Navarra e a una preziosa collezione di rarità bibliografiche da Praha panoramatickà di Josef Sudek e Immagini di Federico Vender a Il profilo delle nuvole : immagini di un paesaggio italiano di Luigi Ghirri, fino a Venise des saisons di Gianni Berengo Gardin e Momenti : otto saggi in immagini e parole di Irving

Dal 15 Dicembre 2019 al 13 Giugno 2020 –  Photo Città della Pieve

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PICASSO. L’ALTRA METÀ DEL CIELO. FOTO DI EDWARD QUINN

Uno sguardo sull’artista e il suo rapporto con il mondo femminile attraverso gli scatti di uno dei più affermati fotografi del Novecento: questo il tema scelto dalla città di Firenze per celebrare il genio del maestro spagnolo e del grande fotografo irlandese con l’esposizione “Picasso. L’altra metà del cielo. Foto di Edward Quinn”, in programma dal 30 novembre 2019 al 1° marzo 2020, presso il Museo Mediceo di Palazzo Medici Riccardi.

La mostra, prodotta e organizzata da MetaMorfosi con il patrocinio della Città Metropolitana di Firenze, in collaborazione con MUS.E, sarà inaugurata venerdì 29 novembre, alle ore 11, da Pietro Folena, Presidente di Metamorfosi, e da Letizia Perini in rappresentanza della Città Metropolitana di Firenze. L’esposizione è il frutto dell’insolita amicizia che legò Picasso a Edward Quinn, come spiega il nipote ricostruendo il loro primo incontro avvenuto in Costa Azzurra: «“Lui, il ne me dérange pas”, (“non mi disturba”) racconta Picasso dopo che, il 23 marzo 1953, lo aveva fotografato per la prima volta durante il suo lavoro. Così Quinn divenne uno dei pochi fotografi a cui fu permesso di fotografarlo durante il lavoro e che era accettato nella sua vita privata». L’esposizione – che annovera una corposa serie di scatti realizzati da Edward Quinn (Dublino 1920 – Svizzera 1997), il fotoreporter che seguì Picasso (1881 – 1973) in Costa Azzurra e lo ritrasse per circa vent’anni – presenta un’ottantina di foto (due i formati in mostra: 40×50 e 30×40 cm) che raccontano un Picasso intimo e privato, svelando, in particolare, il suo complesso rapporto con l’universo femminile: il maestro è ritratto fra le sue donne, amanti e amiche, fra i suoi figli, frutto di molte passioni nel corso degli anni, ma anche fra i tanti amici e conoscenti che popolavano le sue tele così come le tavolate imbandite e le spiagge davanti al mare. Le foto provengono dall’Archivio Quinn di Zurigo e sono state selezionate dal curatore della mostra, Wolfgang Frei, nipote del fotografo.  «Anche se  Quinn – racconta ancora Frei – era un caro amico, non era quasi mai possibile fissare con lui per tempo un appuntamento. Spesso Picasso dava l’ordine di non essere disturbato. Quasi tutte le visite erano impreviste e improvvisate. Questo però era in linea col modo di lavorare di Quinn: i suoi scatti non avevano infatti bisogno di lunghi preparativi tecnici. Non faceva uso del treppiede e si rifiutava di illuminare artificialmente gli ambienti e far posare Picasso. L’obiettivo era quello di mostrare in quali condizioni l’artista creava le sue opere». Gli scatti di Quinn mirano a restituire un’immagine non convenzionale, credibile, autentica, documentaria. Le fotografie in mostra rivelano come l’artista si sia ispirato alle cose e alle persone di tutti i giorni, ma anche a quelle straordinarie che lo circondavano. In questa rappresentazione della personalità dell’artista, delle persone – e delle donne – dietro alle immagini un focus  particolare è rivolto agli aspetti per alcuni versi dicotomici della vita: il tempo libero accanto al lavoro, il quotidiano in relazione all’arte, il Casanova e l’uomo di famiglia, il clown e il jolly estroverso, ma anche il maestro intento e impegnato nel proprio lavoro. Un affascinante ritratto dell’artista e del suo rapporto con l’”altra metà del cielo” che copre un periodo di oltre 20 anni e che racconta un Picasso insolito, autentico e ricco di umanità.  Un tema indubbiamente di grande attualità, oltre che di un’assoluta originalità.

«Dopo le foto di Sukita per Bowie che illuminano il rapporto tra immagine e musicista – dichiara il Sindaco Dario Nardella – apriamo ora un nuovo capitolo, esplorando quel che può fare la presenza discreta dell’obiettivo in presenza di un artista immenso come Picasso. Due modi certo diversi di interpretare l’arte ma che si integrano e completano in qualche modo la ricognizione di un profilo tanto articolato e complesso quale quello del maestro di Guernica».

«L’altra metà del cielo» – spiega Pietro Folena, Presidente dell’Associazione MetaMorfosi –  è una citazione storica, che evidenzia, in questi tempi di vivace dibattito, l’importanza che avuto il femminismo.  Certo –  sottolinea il presidente di MetaMorfosi – non si può considerare Picasso un femminista, faremmo un torto alla sua storia, al suo rapporto tormentato e, in alcuni passaggi, tragico con le donne. Tuttavia Picasso –  conclude Folena  –  ha cantato la bellezza esteriore e interiore delle donne. Donne che lo hanno avvicinato con l’idea che lui potesse essere per loro anche un maestro di arte e di cultura, un formatore. E di fatto lo è stato».

Dal 30 Novembre 2019 al 01 Marzo 2020 – FIRENZE – Palazzo Medici Riccardi

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MARGHERITA LAZZATI. FOTOGRAFIE IN CARCERE. MANIFESTAZIONI DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA

Dal 15 novembre 2019 al 26 gennaio 2020, il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano ospita la mostra di Margherita Lazzati, dal titolo Fotografie in carcere. Manifestazioni della libertà religiosa.
 
L’esposizione, curata da Nadia Righi e Cinzia Picozzi, rispettivamente direttrice e conservatrice del Museo Diocesano, realizzata in collaborazione con la Galleria L’Affiche di Milano, presenta 50 immagini in bianco e nero, che documentano il libero esercizio della fede, all’interno del carcere di Milano Opera.
Dal 2011, Margherita Lazzati ha frequentato, come fotografa, la casa di reclusione milanese, nell’ambito del «Laboratorio di lettura e scrittura creativa». Dopo quell’esperienza, che ha portato alla serie dei Ritratti in carcere, Margherita Lazzati ha allargato il suo sguardo verso altre realtà, sempre all’interno dell’istituto.
In particolare, dal dialogo avviato nel 2017 con l’allora direttore Giacinto Siciliano, e proseguito con il suo successore, Silvio Di Gregorio, e con il provveditore Luigi Pagano, è scaturita l’idea di documentare la quotidianità del carcere in tutti i suoi aspetti. Il progetto Fotografie in carcere è nato col fine d’illustrare attraverso la fotografia la corrispondenza tra la realtà e alcuni articoli dell’ordinamento penitenziario, come il numero 58, sulle “manifestazioni della libertà religiosa”.
 
Le immagini dell’artista milanese ritraggono persone a contatto con la propria fede e con il proprio credo; non solo detenuti, quanto volontari, ministri di culto, agenti, appartenenti a comunità di diverse confessioni religiose, siano essi cattolici, ebrei, evangelici, copti, buddisti, musulmani, còlti nei vari momenti di preghiera e di condivisione.
 
“Ho scelto di ritrarre non solo i luoghi della preghiera – ricorda Margherita Lazzati – e della condivisione, ma anche i dialoghi, gli sguardi, i gesti rituali, i momenti di convivenza tra persone, che sono poi quelli che maggiormente mi hanno colpita”.
 
È proprio la persona, il singolo individuo ad aver attratto l’obiettivo della fotografa, senza alcuna retorica. “Questo è un tema a me molto caro – prosegue Margherita Lazzati. Cerco di rimanere lontana da ogni retorica e di rivolgere la mia indagine unicamente alla “persona”. In questo caso mi sono concentrata sull’esperienza che le persone vivono e condividono: un’esperienza di riflessione, preghiera, speranza, disperazione”.
 
Margherita Lazzati, con delicatezza e determinazione, invita ad oltrepassare la cinta muraria e ad avvicinarsi di una realtà che è parte integrante della società. Il risultato è molto più di un racconto. Queste immagini non “spiegano” cosa avviene in carcere. Sollecitano invece profondi interrogativi.
È proprio per tale ragione che la mostra trova negli spazi di questo museo il suo senso più compiuto, in totale sintonia con l’identità del museo stesso che, attraverso la bellezza dell’arte, intende suscitare domande di significato e desiderio di Bellezza.

Dal 14 Novembre 2019 al 26 Gennaio 2020 –  Museo Diocesano Carlo Maria Martini – Milano

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MILANO ANNI 60. STORIA DI UN DECENNIO IRRIPETIBILE

Dal 6 novembre 2019 al 9 febbraio 2020, Palazzo Morando | Costume Moda Immagine di Milano ospita la mostra Milano Anni 60 che ripercorre la storia di un decennio irripetibile che ha consacrato il capoluogo lombardo come una delle capitali mondiali della creatività in grado di assumere il ruolo di guida morale ed economica del Paese.

Spinta dal boom economico, Milano si trovò improvvisamente a vivere un irrefrenabile fermento culturale, caratterizzato da una forza progettuale senza precedenti e dalla voglia di lasciarsi alle spalle in maniera definitiva gli orrori della guerra.

La grande stagione della musica a Milano si inaugura con il concerto di Billie Holiday del 1958 allo Smeraldo e proseguirà felicemente con tutti i grandi del Jazz da Duke Ellington a Thelonius Monk fino a Chet Baker e Gerry Mulligan che a Milano erano di casa. Anche la musica leggera conosce un periodo d’oro con il concerto dei Beatles al Vigorelli del 1965 e dei Rolling Stones al Palalido del 1967, che suggellano il ruolo di Milano come città moderna e pronta ad accogliere i più grandi protagonisti della musica pop e rock d’oltremanica e d’oltreoceano.

Sono anni di grande fervore artistico con l’opera di Lucio Fontana e Piero Manzoni, di pietre miliari del design italiano quali Marco Zanuso, Bruno Munari, Vico Magistretti, Achille Castiglioni, Bob Noorda e di grandi esponenti della fotografia quali Roberto Polillo, Carlo Orsi, Uliano Lucas, Gianni Greguoli, Fedele Toscani, Fabrizio Garghetti, Giorgio Lotti, Emilio Frisia, Cesare Colombo, Ernesto Fantozzi, Paolo Monti, Silvestre Loconsolo, Piero Raffaelli, di intensa vita notturna dei locali del jazz con Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci. Questi sono solo alcuni dei protagonisti della scena milanese che contribuirono all’incanto di quel decennio.

Un sogno da cui la città si svegliò bruscamente, il 12 dicembre 1969, con l’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana.

Curata da Stefano Galli, realizzata in collaborazione con il Comune di Milano | Cultura, Direzione Musei Storici e con la Questura di Milano, organizzata da MilanoinMostra con il patrocinio della Polizia di Stato e della Regione Lombardia, la rassegna presenta fotografie, manifesti, riviste, arredi, oggetti di design e molto altro ancora, che faranno rivivere l’atmosfera di quell’epoca.

Il percorso espositivo, diviso in sezioni, si apre con le immagini della nuova Milano, il cui volto si modifica grazie alle nuove costruzioni, come il Pirellone, la Torre Velasca, la Torre dei servizi tecnici comunali, il Centro direzionale, la Torre Galfa ma anche la nascita dei quartieri periferici, tra i quali spiccano Quarto Oggiaro, Olmi, Gallaratese, Gratosoglio, Comasina, quest’ultimo iniziato nel 1953 e ultimato nel 1960, il più importante intervento edilizio in quegli anni in Italia con i suoi 11.000 vani e 83 palazzi.

Fotografie e riviste dell’epoca documentano il boom economico, con la realizzazione delle tangenziali milanesi, del tratto Milano-Piacenza dell’autostrada A1, infrastrutture che portarono una più rapida circolazione delle merci con una maggiore crescita delle aziende; celebri nomi della grafica pubblicitaria furono chiamati a ripensare i brand delle nuove e rinnovate realtà aziendali, a partire dal fondamentale progetto di Franco Albini e Bob Noorda per la Metropolitana Milanese.

Numerosi sono gli oggetti che aiutano a rievocare la grande stagione del design, con maestri del calibro di Bruno Munari, Marco Zanuso, Vico Magistretti, Enzo Mari, Achille Castiglioni, Sambonet, Joe Colombo, Gio Ponti. Si racconta la storia delle aziende milanesi coinvolte in questa clamorosa stagione. Tra tutte Brionvega, Cassina, Zanotta, Kartell, Tecno, Fontana Arte, Artemide, Flos, Arflex e Danese.

Anche il mondo della cultura, delle gallerie d’arte e del cabaret visse un periodo di grande spolvero. E naturalmente la musica, in particolare il jazz, che trovò casa in numerosi club sparsi per la città, come la Taverna Mexico, dove si esibirono i migliori esponenti di questo genere.

Già alla fine degli anni Cinquanta, Milano divenne anche un luogo apprezzato dove organizzare concerti memorabili, come quelli di Billie Holiday allo Smeraldo, dei Beatles al Vigorelli, dei Rolling Stones al Palalido, di Jimi Hendrix al Piper, ma fu anche il palcoscenico che vide affermarsi artisti quali Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Adriano Celentano, Patty Pravo.

La fine degli anni 60 segnò poi la nascita della contestazione, dalle rivolte studentesche negli atenei, sfociate nelle occupazioni della Statale e della Cattolica, ai picchetti nelle fabbriche e agli scioperi.

Chiude la mostra la sezione dedicata a piazza Fontana e alla fine del sogno, con le fotografie della strage e dei funerali, accompagnate da documenti e alcuni oggetti legati a questo tragico avvenimento alla cui ricerca e selezione, presso gli archivi della Polizia di Stato e non solo, ha collaborato la Questura di Milano.

Dal 06 Novembre 2019 al 09 Febbraio 2020 – Palazzo Morando | Costume Moda Immagine – Milano

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Mostre per chiudere l’anno in bellezza

Ciao,

ecco le ultime mostre che vi proponiamo per il 2019. Da non perdere!

Ricordatevi di dare sempre un’occhiata alla nostra pagina con le mostre in corso.

Anna

Olivo Barbieri. Mountains and Parks

Olivo Barbieri, Alps Geographies and people, 2019

L’esposizione, curata da Alberto Fiz e coordinata dalla Struttura Attività espositive dell’Assessorato regionale, presenta oltre 50 lavori esposti in un percorso ventennale che comprende una serie di grandi immagini fotografiche inedite che hanno come soggetto le montagne della Valle d’Aosta, in particolare il Cervino e il Massiccio del Monte Bianco, realizzate per l’occasione. Per la prima volta, poi, viene presentata la produzione scultorea attraverso tre monumentali lavori plastici che occupano l’ala centrale del Centro Saint-Bénin.
Le opere in mostra ripercorrono la ricerca compiuta da Barbieri dal 2002 al 2019 sottolineando l’attenzione verso le tematiche connesse con il paesaggio e l’ambiente. Non manca, poi, un ciclo d’immagini dedicato alla storia dell’arte antica e moderna e la proiezione di un video del 2005 realizzato in Cina.
Mountains and Parks, il progetto ideato per il Centro Saint-Bénin, propone l’indagine di Barbieri sui parchi naturali, siano essi le Alpi (già nel 2012 la Valle d’Aosta era stata oggetto di una specifica indagine), le Dolomiti, Capri rivisitata con i colori della memoria o le cascate più importanti del pianeta che, come afferma l’artista, “sopravvivono intatte ad uso del turismo o come luoghi fisici museali dove ammirare come potrebbe essere una natura incontaminata”. Si tratta di una rassegna spettacolare e problematica, che affronta questioni fondamentali come l’esigenza di un rinnovato equilibrio naturale associato al turismo di massa che, se da un lato “consuma” i luoghi, dall’altra ne garantisce la sopravvivenza. Le immagini di Olivo Barbieri viste dall’alto, riprese con la tecnica della messa a fuoco selettiva che evidenzia solo alcuni elementi lasciando volontariamente sfocato il resto della scena, hanno inaugurato un nuovo modo di percepire il paesaggio che, grazie all’introduzione consapevole di alcuni “errori” fotografici, ci appare in modo inedito, più simile a un modellino in scala (non manca nemmeno l’uso della pittura digitale) che a un contesto reale. Sebbene nulla di ciò che vediamo appaia contraffatto, l’indagine di Barbieri decreta l’ambiguità della rappresentazione. Sono immagini che non nascono dalla volontà di ottenere effetti speciali (non c’è post-produzione), ma dalla curiosità di verificare il comportamento del mezzo fotografico in condizioni non-idonee. Insieme ai parchi dei ghiacci e dell’acqua, il suo sguardo si estende ai Landfills, le quattro grandi discariche abitate da migliaia di persone e animali del Sud Est asiatico in Thailandia, Indonesia e Malesia. Sono i parchi tematici in negativo, la coscienza sporca dell’Occidente dove si gioca l’equilibrio del pianeta. Il paesaggio si estende anche alla storia dell’arte dove la messa a fuoco selettiva modifica la percezione di opere ormai metabolizzate con un atteggiamento ironico e dissacrante. Nel Paradiso Terreste di Nicolas Poussin sembra di vedere il Creatore che si allontana appoggiato ad un drone di controllo, mentre il mito di Mark Rothko è connesso con i simboli del fast food americano, gli hamburger. Il dialogo con i maestri del passato coinvolge anche Paolo Uccello, Caravaggio e Canaletto. Quest’ultimo, attraverso l’uso della camera ottica, sembra anticipare gli esiti della fotografia contemporanea.
Per la prima volta è presentata in mostra la produzione plastica di Barbieri con tre grandi sculture in legno realizzate per l’occasione che fanno riferimento alla mappatura simbolica dei codici Hobo, i vagabondi americani e i Rom. Ne emerge una geografia errante che crea un paesaggio segreto, accessibile solo ai membri della tribù.
A completamento della rassegna, viene proiettato il video Seascape#Night, China Shenzhen 05 del 2005, parte di un progetto artistico in divenire. In questo caso tutto parte da Shenzhen, in Cina, una delle più importanti nuove aree economiche vicino ad Hong Kong dove un’intera generazione di cinesi sta per concedersi, per la prima volta da cinquant’anni, un divertimento di massa: fare il bagno in mare al chiaro di luna.

16 novembre 2019 – 19 aprile 2020 – Centro Saint-Bénin, Aosta

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Letizia Battaglia. Storie di strada

Una grande retrospettiva con oltre 300 fotografie che riscostruiscono per tappe e temi la straordinaria vita professionale di Letizia Battaglia. 
Promossa da Comune di Milano|Cultura, Palazzo Reale e Civita Mostre e Musei, la mostra anticipa con la sua apertura il palinsesto “I talenti delle donne”, promosso e coordinato dall’Assessorato alla Cultura, che durante tutto il 2020 proporrà iniziative multidisciplinari – dalle arti visive alle varie forme di spettacolo dal vivo, dalle lettere ai media, dalla moda alle scienze– dedicate alle donne protagoniste nella cultura e nel pensiero creativo. 
Con circa 300 fotografie, molte delle quali inedite, “Storie di strada” attraversa l’intera vita professionale della fotografa siciliana, e si sviluppa lungo un articolato percorso narrativo costruito su diversi capitoli e tematiche. I ritratti di donne, di uomini o di animali, o di bimbi, sono solo alcuni capitoli che compongono la rassegna; a questi si aggiungono quelli sulle città come Palermo, e quindi sulla politica, sulla vita, sulla morte e sull’amore, e due filmati che approfondiscono la sua vicenda umana e artistica. Il percorso espositivo si focalizza sugli argomenti che hanno costruito la cifra espressiva più caratteristica dell’artista, che l’ha portata a fare una profonda e continua critica sociale, evitando i luoghi comuni e mettendo in discussione i presupposti visivi della cultura contemporanea. Quello che ne risulta è un vero ritratto, quello di un’intellettuale controcorrente, ma anche una fotografa poetica e politica, una donna che si interessa di ciò che la circonda e di quello che, lontano da lei, la incuriosisce. 
Non ha bisogno di presentazioni Letizia Battaglia (Palermo, 1935). Non solo in Italia, ma anche all’estero: nel 2017 il New York Times l’ha infatti citata come una delle undici donne straordinarie dell’anno. 
Letizia Battaglia ha raccontato da insider tutta Palermo, per non parlare del contributo dato al teatro, all’editoria e alla promozione della fotografia come disciplina. È riconosciuta come una delle figure più importanti della fotografia contemporanea non solo per i suoi scatti saldamente presenti nell’immaginario collettivo, ma anche per il valore civile ed etico da lei attribuito al fare fotografia. 
I soggetti di Letizia, scelti non affatto casualmente, hanno tracciato un percorso finalizzato a rafforzare le proprie ideologie e convinzioni in merito alla società, all’impegno politico, alle realtà emarginate, alla violenza provocata dalle guerre di potere, all’emancipazione della donna. 
Molti sono i documentari che hanno indagato la sua figura di donna e di artista, il più recente dei quali è stato presentato all’edizione 2019 del Sundance Film Festival. Il film Shooting The mafia, per la regia di Kim Longinotto, racconta Letizia Battaglia giornalista e artista, che con la sua macchina fotografica e la propria movimentata vita è testimone in prima persona di un periodo storico fondamentale per la Sicilia e per l’Italia tutta, quello culminato con le barbare uccisioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. 

05 Dicembre 2019 – 19 Gennaio 2020 – MILANO, PALAZZO REALE

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SARA MUNARI – Don’t Let My Mother Know (Non ditelo a mia madre)

Mi chiamo Sara Munari, sono nata nel 1930 a Milano, in Italia. La mia famiglia è emigrata a New York l’anno successivo. Quasi per caso, a 18 anni, inizio a lavorare per l’Ente spaziale Americano, che allora si chiamava Naca (National Advisory Committee for Aeronautics) formata nel 1915 e nata per supervisionare e gestire gli studi scientifici legati al ‘volo’. Nel 1958 fondiamo la Nasa (National Aeronautics and Space Administration) l’agenzia governativa civile responsabile del programma spaziale degli Stati Uniti d’America e della ricerca aerospaziale. Nel 1959 creo un settore personale la RASA (Rational Aeronautics and Space Administration e acronimo del mio nome) che si occupa solo di avvenimenti considerati realmente accaduti perché scientificamente provati (da qui Rational) Io sono quello che viene definito ‘membro occulto’ quindi il mio nome non è mai potuto comparire per ragioni di sicurezza, così come il settore RASA. Dopo innumerevoli studi, tenuti nascosti fino ad oggi, posso dire di aver scoperto la vita su un altro Pianeta. Il nome che ho dato al pianeta è Musa 23. Gli abitanti sono umanoidi e io mi sono confrontata sempre e solo con uno di loro, l’ho chiamato x23. Sono stata su musa 23 in diverse occasioni. Ho 88 anni, ho piena facoltà di intendere e di volere. Qui ci sono i miei studi e le mie scoperte. Dopo quello che vi mostrerò non avrete più dubbi.
Finalmente posso raccontare tutto.

Riccardo Costantini Contemporary è lieto di presentare a Torino il nuovo progetto fotografico di Sara Munari che si sviluppa tra fotografie analogiche e video, dal titolo Don’t Let My Mother Know (Non ditelo a mia madre). Un titolo curioso per un lavoro che, nell’anno della luna, vuole omaggiare e narrare un’avventura fantastica (o realmente accaduta?) di un viaggio analogico in una galassia lontana e l’incontro alieno con “x23”. Una serie fotografie scattate per lo più in Islanda che riportano alla mente paesaggi di galassie lontane ed ostili all’uomo, un video in cui lei – fingendosi ormai un’anziana 88enne e desegretati gli archivi di Stato – finalmente può svelare la verità sui suoi incontri “alieni”. Un cofanetto in edizione limitata che racchiude un archivio con i documenti cartacei delle missioni spaziali, con di mappe e prove segrete, invecchiati come se da oltre 50 si trovassero segregati in un logo “Top Secret”. Un lavoro che sarà esposto nelle sale di Riccardo Costantini dal 22 novembre e al Foto Festival internazionale Photolux, a Lucca.
In realtà quell’alieno è suo padre, percepito sempre più distante e lontano a causa dell’Alzheimer, contratto a seguito di un intervento ospedaliero. Un viaggio che ci racconta con delicatezza e qualità estetica un rapporto impari, in cui il genitore si sottrae alla sua famiglia e ricordi, diventando concettualmente “alieno” a se stesso ed ai suoi affetti.
50 stampe eseguite in camera oscura da Sara Munari stessa, 23 documenti d’archivio per ogni cofanetto in limited edition contenente mappe, rappresentazioni dell’alieno, lettere scritte a macchina, materiale archeologico contenente dimostrazioni di contatti alieni precedenti…E un video di 12 minuti, per un totale di 73 elementi che andranno a trasformare in un viaggio stellare la visita alla rinomata galleria torinese.
A cura di Alessia Locatelli

21 novembre 2019 – 25 gennaio 2020 – Riccardo Costantini Contemporary – Torino

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BIEKE DEPOORTER 2015-2019

How close can a photographer get to the people they portray? What is their role with regards to their subject, and what responsibility do they assume? Bieke Depoorter’s artistic work is based on her relationships with people and her own position as a photographer. From November 22, 2019 to February 16, 2020, the NRW-Forum Düsseldorf is showing the most comprehensive solo exhibition to date of the Belgian Magnum photographer’s work in Germany. Comprising five series from 2015 to 2019, the exhibition presents the photographer, who was born in Belgium in 1986, as an artist at a turning point in her career.

Depoorter explores current social issues and questions her role as a photographer, as well as the limits of her medium, across five topical projects, some of which are ongoing. The points of departure are often chance encounters with people, some of whom she then accompanies for years, exploring how and whether one can capture a person through the means of photography, as well as how to achieve true collaboration. Her various journeys have taken her to Egypt, the USA, France, Norway, and Lebanon.

NOVEMBER 22 2019 – FEBRUARY 16 2020 – NRW Forum – Duesseldorf

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Alex Prager  – Silver Lake Drive 

La Fondazione Sozzani presenta per la prima volta in Italia la mostra “Silver Lake Drive” in cui la fotografa e regista Alex Prager unisce dieci anni di lavoro. La mostra è curata da Nathalie Herschdorfer, direttore del Musée des Beaux-Arts Le Locle in Svizzera. L’opera di Prager è cinematografica e trae ispirazione da ciò che la circonda, dalle esperienze personali, dalla street photography, dalla cultura pop e dai film. Applica una serie di elementi stilistici che richiamano i film noir, i thriller, il melodramma e i polizieschi. Le donne sono spesso le protagoniste del suo lavoro, guidate dall’emotività. Attraverso l’uso di colori saturi e di un immaginario vagamente familiare, Prager è in grado di ricreare un proprio mondo originale in cui esplora temi oscuri in modo seducente e inquietante. Le sue radici nascono dalla tradizione fotografica di William Eggleston, Diane Arbus e Cindy Sherman, maestri nell’arte di “congelare” un indefinibile momento del quotidiano. Il lavoro di Prager consiste in imponenti scenografie e immagini di grande formato dai colori saturi. Le sue fotografie possono essere viste come narrazioni di un singolo fotogramma che catturano storie enigmatiche definite entro i limiti della cornice. I suoi lavori sono caratterizzati dall’assenza di una narrativa lineare.

15 settembre 2019 – 6 gennaio 2020 – Fondazione Sozzani – Milano

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Rankin: From Portraiture to Fashion

Rankin – From portraiture to fashion

Unico nel suo genere – dopo tre anni dalla presentazione di Outside In durante la Fashion Week di Milano del 2016 –, lo show Rankin: From Portraiture to Fashion rappresenta uno dei progetti più ambiziosi e complessi mai concepiti in collaborazione con una galleria. Rankin: From Portraiture to Fashion vuole essere un vero e proprio tour nell’archivio del fotografo con l’obiettivo di dare visibilità non solo ai suoi lavori più iconici, ma anche alle opere più concettuali, presentando così la contemporaneità dell’artista a una nuova generazione di collezionisti. La proposta espositiva, rivelandosi compiutamente nell’arco di quattro mesi, prevede cambi di opere e di interi allestimenti al fine di celebrare alcuni degli eventi distintivi del calendario milanese come il Vogue Photo Festival, il Fashion Film Festival (entrambi a novembre) e la Milano Fashion Week di febbraio, creando così un’originale occasione di dialogo tra l’autore e le proposte culturali di una delle capitali del design e della moda in Europa.

«Non sono una persona che fugge di fronte alle sfide, quindi questa è per me una grande opportunità su innumerevoli fronti: mostrare alcuni tra i miei lavori migliori, partecipare a eventi interessanti e diventare davvero parte del tessuto culturale di questa città.» – RANKIN

18 ottobre 2019 – 24 febbraio 2020 – 29 Arts in Progress, Milano

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KATE CRAWFORD | TREVOR PAGLEN: TRAINING HUMANS

“Training Humans”, concepita da Kate Crawford, professoressa e studiosa nell’ambito dell’intelligenza artificiale, e Trevor Paglen, artista e ricercatore, è la prima grande mostra fotografica dedicata a immagini di training: repertori di fotografie utilizzate dagli scienziati per insegnare ai sistemi di intelligenza artificiale (IA) come “vedere” e classificare il mondo.

In questa mostra Crawford e Paglen esplorano l’evoluzione delle collezioni di immagini di training dagli anni Sessanta a oggi. Come afferma Trevor Paglen, “quando abbiamo iniziato a elaborare l’idea della mostra, oltre due anni fa, volevamo raccontare la storia delle immagini utilizzate per il ‘riconoscimento’ di esseri umani nel settore della computer vision e dei sistemi di intelligenza artificiale. Non ci interessavano né la versione inflazionata dell’IA applicata al marketing né le favole distopiche sui robot del futuro”. Kate Crawford aggiunge, “volevamo trattare direttamente le immagini che formano i sistemi di intelligenza artificiale e prenderle sul serio come parte di una cultura in rapida evoluzione. Questi materiali visivi rappresentano la nuova fotografia vernacolare che guida la visione artificiale. Per verificare il loro funzionamento, abbiamo analizzato centinaia di set di immagini di training per capire i processi interni di questi ‘motori del vedere’”.

Sabato 26 ottobre alle ore 14.30, nell’ambito della mostra, si è svolto “Training Humans Symposium”. L’evento ha coinvolto i professori Stephanie Dick (Università della Pennsylvania), Eden Medina (MIT), Jacob Gaboury (Università della California, Berkeley) e i curatori del progetto Kate Crawford e Trevor Paglen. Analizzando i concetti affrontati nella mostra in relazione con i loro studi innovativi, i relatori si sono confrontati con due interrogativi principali: quali sono i confini tra scienza, storia, politica, pregiudizio e ideologia nell’intelligenza artificiale? Chi ha il potere di costruire questi sistemi e di trarne beneficio?

“Training Humans” esplora due tematiche chiave: la rappresentazione, l’interpretazione e la codificazione degli esseri umani attraverso dataset di training e le modalità con cui i sistemi tecnologici raccolgono, etichettano e utilizzano questi materiali. Quando la classificazione di esseri umani attraverso l’intelligenza artificiale diventa più invasiva e complessa, i pregiudizi e le implicazioni politiche presenti al loro interno appaiono più evidenti. Nella computer vision e nei sistemi di IA i criteri di misurazione si trasformano facilmente, ma in modo nascosto, in strumenti di giudizio morale.

Un altro centro d’interesse per Crawford e Paglen sono i sistemi di classificazione basati sugli affetti e le emozioni e supportati dalle teorie molto criticate dello psicologo Paul Ekman, secondo il quale la varietà dei sentimenti umani può essere ridotta a sei stati emotivi universali. Queste tecnologie d’intelligenza artificiale misurano le espressioni facciali delle persone per valutare una molteplicità di fattori: la loro salute mentale, la loro affidabilità come possibili nuovi assunti o la loro tendenza a commettere atti criminali. Esaminando le immagini di questa raccolta e i criteri con cui le fotografie personali sono state classificate, ci si confronta con due interrogativi essenziali: quali sono i confini tra scienza, storia, politica, pregiudizio e ideologia nell’intelligenza artificiale? Chi ha il potere di costruire questi sistemi e di trarne benefici? Come sottolinea Crawford, ‘’un’asimmetria di potere è propria di questi strumenti. La nostra speranza è che “Training Humans” segni il punto di partenza per iniziare a ripensare questi sistemi e per comprendere in modo scientifico come ci vedono e ci classificano”.

La mostra sarà accompagnata da una pubblicazione illustrata della serie Quaderni, pubblicata da Fondazione Prada, che include una conversazione tra Kate Crawford e Trevor Paglen sui complessi temi affrontati nel loro progetto.

12 Set 2019 – 24 Feb 2020 – Fondazione Prada Osservatorio

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MATTEO DI GIOVANNI – I WISH THE WORLD WAS EVEN

I wish the world was even è un diario di viaggio.
 Matteo Di Giovanni procede in auto verso nord, tagliando l’Europa in verticale e attraverso l’inverno. Nel suo racconto non compaiono mai persone.
Ovviamente ne ha incontrate molte nei due mesi di viaggio, lungo la strada, e in verità non era nemmeno partito
 solo. Ma nei quattro anni che separano questa mostra 
e la pubblicazione del libro dal viaggio fisico che lo ha portato da Milano a Capo Nord e ritorno, ha messo mano al materiale più volte e le persone sono progressivamente scomparse.
Lui, un banco ottico, una 6×7: l’attrezzatura necessaria
a scattare in condizioni piuttosto estreme – per le temperature, sempre più basse, e le ore di luce, sempre più brevi. Nella cassetta sul sedile posteriore, il fornello e l’immancabile caffettiera, protagonista di ogni sosta.

Guardare il mondo con gli occhi di Matteo significa innanzitutto essere sempre immersi nel paesaggio, e vederlo scorrere ai lati della strada. Impariamo ad adottare una certa distanza dalle cose che si manifestano davanti a noi.
Né troppo lontano, né troppo vicino. Una sorta di distanza di sicurezza che tiene a considerare un quadro d’insieme piuttosto ampio mentre, allo stesso tempo, rivela un’irresistibile curiosità a guardare meglio e avvicinarsi. Si incontrano e si superano barriere e ostacoli che tornano con immancabile certezza.

Ripartire cercando una nuova direzione, reinventarsi un percorso: è chiaro che il viaggio è tutto interiore e il paesaggio un pretesto.

I wish the world was even è il risultato del viaggio in cui Matteo si è messo alla prova ed è tornato a fare il fotografo.

– Giulia Zorzi, dal testo che accompagna il libro

27 Novembre 2019 – 4 Gennaio 2020 – Micamera Milano

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Giacomelli e Leopoldi: storie celate di fotografia aerea

La storia e il ritrovamento

Terminato il riordino dell’Archivio dello Studio Fotografico Leopoldi di Senigallia (330.000 immagini sulla città e le Marche) fra gli album e i negativi sono state trovate delle cartelle molto speciali: 220 immagini – tra stampe a contatto, fogli di provinatura e negativi – con soggetti chiaramente riconducibili all’opera di Mario Giacomelli.

Enormi campi arati, case e vigne lavorate: erano tutte vedute aeree della campagna marchigiana, diverse delle quali cancellate a penna, tracciate con prove di inquadratura oppure contenenti appunti.

Perché queste fotografie erano conservate fra il materiale prodotto da Edmo Leopoldi?

Quando dal fondo di una busta è uscito un appunto scritto a penna con la calligrafia inconfondibile di Mario la risposta è parsa più chiara.

Il messaggio diceva: “Edmo, se non andiamo oggi per i paesaggi ho l’impressione che non ci andiamo più. Dobbiamo farli ad ogni costo – almeno 30 rullini -”

Così, da questa piccola annotazione, è iniziata una ricerca che ha permesso la ricostruzione di una vicenda sconosciuta alla maggior parte di noi. Una storia che ha come oggetto il coinvolgimento attivo di Leopoldi alla produzione di una serie specifica di opere del maestro Giacomelli: i paesaggi aerei. Dalle ricerche è infatti emerso che Leopoldi, ottimo fotografo e appassionato di volo, sia stato l’esecutore delle fotografie aeree di Mario Giacomelli.

Il senso della mostra

“La rilevanza di questa ricerca” afferma la curatrice Simona Guerra “sta nel fatto che ci permette di arricchire gli elementi conoscitivi su certi percorsi mentali messi in atto da Giacomelli, di conoscere un’attività del fotografo Edmo Leopoldi di cui fino ad oggi non è stato mai scritto e soprattutto di capire la relazione creativa che si era instaurata fra i due autori nonché dell’iter progettuale che ha portato Giacomelli a raggiungere – nella pratica – i suoi obiettivi compositivi anche grazie al contributo di Edmo. Certamente si tratta di un rapporto costruito su una grande fiducia che Giacomelli nutriva nei confronti di Leopoldi, oltre che di amicizia e complicità”.

Le opere in mostra

Il cuore della mostra è dato da 143 provini e 10 fogli di provinatura scattati da Edmo Leopoldi su indicazione di Mario Giacomelli provenienti dall’Archivio Storico Leopoldi. Ci sono poi altre immagini e testi autografi scritti da Mario a Edmo che aiutano a comprendere la ricerca.

Non mancano poi alcune opere di Mario Giacomelli originali provenienti dall’Archivio Mario Giacomelli di Senigallia, ovviamente riferite ai provini esposti.

Dal 23 novembre al 5 gennaio – Spazio Piktart Senigallia

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CHILDRENErwitt – McCurry – Mitidieri

USA. Pittsburgh, Pennsylvania. 1950.

l gioco, il divertimento, lo studio, la salute, ma anche i diritti negati, lo sfruttamento, la povertà, la guerra. Mercoledì 20 novembre a Bologna, in occasione della Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, inaugura la mostra fotografica “Children”, in programma all’Auditorium Enzo Biagi della biblioteca Salaborsa (piazza del Nettuno 3) fino a domenica 6 gennaio. Promossa da Legacoop Bologna e da Legacoopsociali, e curata da Monica Fantini e Fabio Lazzari con fotografie a cura di Biba Giacchetti, la mostra presenta, per la prima volta insieme, gli scatti di Steve McCurry, Elliott Erwitt e Dario Mitidieri: 3 autori profondamente diversi dal punto di vista espressivo, ma accomunati dalla volontà di testimoniare in prima persona la partecipazione emotiva alle vicende dei bambini che hanno incontrato negli angoli più remoti del mondo, laddove il diritto primario all’esistenza e quelli irrinunciabili all’uguaglianza, alla giustizia, alla libertà e alla pace, vengono calpestati nel silenzio e nell’oblio.

Il gioco e la negazione del gioco sono il tema della mostra, in cui le fotografie di McCurry, Elliott e Mitidieri, in dialogo con la scenografia di Peter Bottazzi, ci conducono a riflettere sul primario diritto di spensieratezza dei bambini e sul nostro dovere come adulti di garantire loro un ‘tempo buono’ in cui possano crescere uguali – dicono i curatori –. Una mostra che guarda l’universale della popolazione per riposizionarla proprio all’altezza dei più piccoli: ossia al futuro”.

20 novembre 2019 – 6 gennaio 2020 – Auditorium Enzo Biagi – Biblioteca Salaborsa – Bologna

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Dauðalogn – Andrea Roversi

Trentino Impact Hub ospita Andrea Roversi e il suo progetto Dauðalogn Dauðalogn è un viaggio attraverso un paese ricco di contrasti, ma anche il romanzo di formazione di un bambino, Andry, che diventa adulto in un dialogo aperto con una natura estrema.

After being hardly hit by the global economic crisis in 2008, Iceland has been the protagonist of a miraculous recovery. The island has chosen to take a step back (or forward?) returning to land and betting on a green and sustainable economy based on natural resources. Dauðalogn – which means ‘dead calm’ in icelandic – is a journey through a country of sharp contrasts, but also the bildungsroman of a child, Andry, becoming an adult in an open dialogue with an extreme nature.

Dal 4 dicembre 2019 al 14 gennaio 2020 – Impact Hub Trentino – Trento

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NATURA IN POSA – AAVV

CAPOLAVORI DAL KUNSTHISTORISCHES MUSEUM DI VIENNA
IN DIALOGO CON LA FOTOGRAFIA CONTEMPORANEA

Un percorso alla scoperta di un genere pittorico, la Natura morta, attraverso oltre 50 capolavori – presentati per la prima volta in Italia – provenienti dalla collezione del Kunsthistorisches Museum di Vienna. La mostra, curata da Francesca Del Torre con Gerlinde Gruber e Sabine Pénot, documenta come questo soggetto si sia sviluppato tra la fine del Cinquecento e lungo tutto il XVII secolo a livello europeo, invitandoci a guardare sotto una nuova luce uno dei generi più suggestivi della pittura europea.
Il termine Natura morta, nato in Francia nel Settecento e poi adottato anche in Italia, indica una categoria di opere d’arte che ha come soggetto scene di mercato e di cucina, mazzi di fiori, frutta, strumenti musicali, accessori per la caccia. La cultura “nordica” descrive queste composizioni come still leffen – still leben e still life in tedesco e in inglese – a significare pitture che ritraggono oggetti immobili al naturale.

Il termine nordeuropeo mette in rilievo la dimensione contemplativa di queste rappresentazioni che invitano lo spettatore alla meditazione sulla caducità delle cose umane. La ricchezza delle invenzioni, la varietà dei soggetti, la creatività dei diversi artisti e la preziosità di esecuzione caratterizzano tale genere di pittura che conquistò il rango di rappresentazione autonoma nei Paesi Bassi intorno al 1600.

Il percorso, al tempo stesso tematico e cronologico, muove i primi passi dalla seconda metà del Cinquecento, con un’accurata selezione di scene di mercato e rappresentazioni delle stagioni di Francesco Bassano e di Lodovico Pozzoserrato, ancorando solidamente il tema nel contesto geografico del Veneto. Il confronto con i mercati fiamminghi di Frederik van Valckenborch e Jan Baptist Saive il vecchio conduce il visitatore Oltralpe. È qui soprattutto, nel contesto geografico, culturale e politico dei Paesi Bassi, che tali creazioni si perfezionano e specializzano, declinandosi in alcune categorie, come le nature morte scientifiche con i mazzi di fiori, le vanitas o allegorie della caducità, le tavole apparecchiate, le nature morte religiose, le scene di caccia.

Artisti quali Jan Brueghel, Pieter Claesz, Willem Claesz Heda, Jan Weenix, Gerard Dou realizzano capolavori che incantano per fasto, creatività e perfezione di esecuzione. Un gruppo di nature morte italiane illustra, poi, attraverso le opere di Evaristo Baschenis, Gasparo Lopez dei Fiori, Elisabetta Marchioni la diffusione del genere nei vari centri artistici a sud delle Alpi.

Completa la mostra la sezione, a cura di Denis Curti, dedicata alla fotografia contemporanea che testimonia come il tema della natura morta sia presente negli scatti di alcuni degli artisti più importanti e celebrati a livello internazionale. La selezione di queste immagini parte dall’assunto che la fotografia è sempre il risultato di una messa in scena: ogni scatto è il punto di arrivo di un’azione consapevole che vuole declinare con forza la necessità di penetrare la realtà e di andare oltre le apparenze. Si passa quindi dalle Vanitas, capaci di trarre in inganno, di David LaChapelle ai crudi e ironici reportages di Martin Parr sul consumo di massa, dai magnifici e sensuali fiori di Robert Mapplethorpe ai Flowers di Nobuyoshi Araki, dalla serie dedicata alle zuppiere di Franco Vimercati all’idea di classicità pittorica di Hans Op De Beeck.

30-11-2019 – 31-05-2020 – CONVENTO DI SANTA CATERINA – TREVISO

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The Consequences | Stefania Prandi

Dal 14 novembre al 7 dicembre 2019, La Quadreria di ASP Città di Bologna ospiterà la mostra The consequences, con le foto del reportage della fotografa Stefania Prandi, a cura dell’Associazione Culturale Dry-Art.

L’inaugurazione avrà luogo giovedì 14 novembre alle ore 17.30, presso la Sala delle Mappe della Quadreria.
Interverranno
Anna Pramstrahler – Casa delle donne per non subire violenza
Giovanna Ferrari – Scrittrice, attivista, madre di Giulia Galiotto
Renza Volpini – Madre di Jessica Poli, attivista
Marisa Golinucci – Presidente Associazione Penelope Emilia-Romagna, madre di Cristina Golinucci
Stefania Prandi – Autrice della mostra
L’inaugurazione della mostra sarà preceduta dalla presentazione del libro
Susana Chávez, Primera tormenta. Ni una mujer menos, ni una muerta más, a cura di Chiara Cretella, Gwynplaine, con un saggio di Diana Fernández Romero e una prefazione di Silvia Saccoccia, Camerano, 2019

Stefania Prandi ha raccolto, nel corso di tre anni, immagini di volti, oggetti, luoghi che raccontano lo sguardo di chi sopravvive al femminicidio e non si arrende alla violenza di genere.
A vivere le conseguenze del femminicidio – termine con cui si intende l’uccisione oppure la scomparsa di una donna per motivi di genere, di odio, disprezzo, piacere o senso del possesso – sono madri, padri, sorelle, fratelli, figli. A loro restano i giorni del dopo, i ricordi immobili trattenuti dalle cornici, le spese legali, le umiliazioni nei tribunali, i processi mediatici, la vittimizzazione secondaria.
Sono sempre di più le famiglie delle vittime di femminicidio che intraprendono battaglie quotidiane: scrivono libri, organizzano incontri nelle scuole, lanciano petizioni, raccolgono fondi per iniziative di sensibilizzazione, fanno attivismo online. Lo scopo è fare capire alla società che ciò che si sono trovate a vivere non è dovuto né alla sfortuna né alla colpa, ma ha radici culturali e sociali precise.
Un lavoro mai tentato prima, quello di raccontare i giorni di chi resta, per testimoniare che l’assenza può tramutarsi in presenza attiva contro la violenza di genere. Stefania Prandi riesce ad entrare in questo dolore senza spettacolarizzazioni e estetizzazioni, per ricordarci di ricordarle.

Dal 14 novembre al 7 dicembre 2019 – La Quadreria. Palazzo Rossi Poggi Marsili – Bologna

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On Assignment, una vita selvaggia. Fotografie di Stefano Unterthiner

Sulawesi crested black macaque (Macaca nigra)

La mostra presenta, in un inedito progetto, le immagini dei reportage realizzati dal fotografo Stefano Unterthiner nel periodo dal 2006 al 2017 su commissione del National Geographic Magazine. Ben 77 le fotografie esposte, articolate in dieci reportage: pinguino, Crozet; cigno, Giappone; entello, India; fauna andina, Cile; sterne, Seychelles; varano Komodo, Indonesia; fauna alpina, Italia; macaco, Indonesia; grillaio, Italia; canguri, Australia. A questi si aggiunge una parte dal titolo Uno sguardo al futuro, che presenta l’anteprima fotografica del progetto Una famiglia nell’Artico, dedicato al soggiorno di un oltre un anno, dal 2019 al 2021, che il fotografo e la sua famiglia stanno effettuando alle Isole Svalbard, arcipelago del Mar Glaciale Artico, con l’intento di documentare e comunicare il fenomeno del cambiamento climatico.

Sarà inoltre presentato il documentario Una vita selvaggia, della durata di 26 minuti, che racconta il lavoro di campo di Stefano Unterthiner attraverso il materiale inedito girato nel corso di alcuni assignment realizzati dal fotografo e presentati in mostra.

L’esposizione si inserisce a pieno titolo nella linea culturale che il Forte di Bard dedica all’esplorazione e alla documentazione fotografica dell’ambiente naturale attraverso artisti di livello nazionale e internazionale.
dal 14 dicembre 2019 al 2 giugno 2020 – Forte di Bard – Aosta

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FUORI LE ZERO – AAVV

Una sola immagine, mai pubblicata. Appunto la numero zero. Autori diversi, formati differenti, colore, bianco e nero, analogico e digitale. 40 foto tutte in mostra e tutte in vendita diretta. Questi sono gli ingredienti dell’inedita collettiva FUORI LE ZERO che si inaugura il 29 novembre 2019, alle ore 17, presso lo storico Laboratorio Fotografico Corsetti di Via dei Piceni 5/7.

Nella consuetudine storica del Laboratorio, che da sempre lavora con i più grandi nomi della fotografia mentre continua a ricercare e supportare giovani promesse, si inquadra un dialogo complesso e articolato che mette in relazione icone della fotografia, professionisti e nuovi nomi.

La società dell’immagine ha ormai modificato lo sguardo e l’immaginario, estendendo la portata della vista oltre i margini del confine fra visibile e invisibile: è la nascita di un nuovo ordine visivo “postottico”, spesso disancorato dal dato percettivo naturale. A partire da questa situazione, FUORI LE ZERO mira a recuperare il significato della fotografia innanzitutto come pratica sociale, trasmissione dello sguardo ed evocazione emotiva, incessantemente diretta ad arricchire un vero e proprio ecosistema delle immagini, dove ogni segno trova il suo posto e rimanda a ulteriori aperture.

Le immagini di Vittorugo Contino, Mario Dondero, Franco Pinna, Gianfranco Salis, Sergio Strizzi, Vezio Sabatini e molti altri diventano punti focali, snodi di rotte potenziali che portano lo sguardo a vagare tra rispecchiamenti ed eredità, ribellioni e adorazioni, in un percorso che ricollega la grande tradizione visuale italiana al mondo contemporaneo e ai fotografi che navigano tra i flussi delle immagini.

A cura di Eugenio Corsetti e Fabio Benincasa

Dal 29 novembre al 13 dicembre – Laboratorio Fotografico Corsetti – Roma

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