Tutte le mostre da non perdere a giugno

Come di consueto  vi segnalo alcune mostre da vedere nel corso del prossimo mese di giugno, qualcuna in Italia e qualcuna all’estero.

Anna

MARINA DI PIETRASANTA. A partire da sabato 7 maggio -e in collaborazione con galleria Mc2Gallery di Milano- LABottega ospiterà la mostra del fotografo Michael Ackerman.

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Avevamo già scritto di Michael Ackerman qua

Stephen Shore

The work of the American photographer (b. 1947 New York City) has shaped contemporary photography and inspired generations of photographers. Today Shore is famed both as a chronicle of the ordinary and as a pioneer of colour photography.

He has never stopped exploring the boundaries of photography, and has selected subjects that were not seen as obviously photogenic.

He has switched effortlessly from black and white and has experimented with a wide variety of cameras and every possible format.

This exhibition covers the period 1960-2013 and shows important turning points in his career.

 10 June 2016 – 4 September 2016 – Huis Marseille Amsterdam

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Se volete approfondire la conoscenza di questo bravissimo fotografo americano, qua trovate un approfondimento e qua un’interessante lettera scritta ai suoi alunni.

Rome Commission

To open the second edition of Photo London, the Italian Cultural Institute presents “Rome Commission”, a project curated by Marco Delogu and started in 2003. Every year a renowned international photographer portrays the city of Rome in total freedom of interpretation.

The exhibition at the Italian Cultural Institute shows the best works of the Rome Commission from 2003 to present, and includes pictures by:

Olivio Barbieri

Martin Bogren

Tim Davis

Marco Delogu

Tod Papageorge

Martin Parr

Paolo Pellegrin

Anders Petersen

Hans Christian Schink

Alec Soth

Guy Tillim

Paolo Ventura

DA Lun 16 Mag 2016 Al Sab 16 Lug 2016 ICI London

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 Panorama – Francesco Jodice

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Panorama è la prima ricognizione sulla carriera del fotografo e filmmaker Francesco Jodice (Napoli, 1967). La mostra, a cura di Francesco Zanot, presenta la più ampia selezione di opere di Jodice mai raccolta in una singola esposizione ed esplora vent’anni del lavoro di questo artista eclettico il quale, proseguendo una propria investigazione dello scenario geopolitico contemporaneo e delle sue trasformazioni sociali e urbanistiche, utilizza tutti i linguaggi della contemporaneità, alternando fotografia, video e installazioni.

Panorama racconta la processualità che anima il lavoro e la ricerca di Francesco Jodice: gli argomenti, le motivazioni e le riflessioni dietro la sua produzione permeano tutto l’impianto della mostra, coinvolgendo lo spettatore con un allestimento che pone al centro le procedure da cui ogni opera prende vita, lasciando emergere tutto ciò che precede e informa il risultato finale. In equilibrio tra teoria e pratica, il modus operandi costituisce infatti una parte cruciale di ogni progetto di Jodice, esprimendo una serie di tensioni e significati che a volte si ritrovano nelle opere concluse, mentre altre ne caratterizzano soltanto i preliminari.

Il Panorama in mostra non è quindi soltanto quello geopolitico, ma anche l’insieme delle metodologie sviluppate da Jodice, attraverso cui si delinea la sua ricerca e l’opera emerge dall’accumularsi di mappe, libri, ritagli di giornale, immagini di backstage, provini, interviste, filmati e molto altro, ora messi in mostra su un tavolo modulare di oltre 40 metri lungo il corridoio di CAMERA.

Dalla vasta produzione di Francesco Jodice sono stati selezionati sei progetti paradigmatici che attraversano la sua carriera dagli esordi sino ai lavori più recenti, evidenziandone insieme la continuità e l’eclettismo. Una ricognizione che racconta tramite parole chiave un percorso ventennale che ha avuto come nuclei tematici la partecipazione, il networking, l’antropometria, lo storytelling e l’investigazione.

Temi ampi e complessi, ma parte della quotidianità per un viaggiatore instancabile come Jodice, che con la sua opera ci mostra un mondo al contempo lontano e vicino. Le 150 diverse metropoli di What We Want, vero e proprio atlante fotografico sull’evoluzione del paesaggio sociale, iniziato nel 1996 e ancora in progress, hanno forse più similitudini che differenze, così come i cittadini pedinati di nascosto del progetto The Secret Traces (1997-2007) e i tre casi-studio di Citytellers (2006-2010), serie di film su alcuni emblematici contesti geopolitici globali.
Il lavoro Ritratti di classe (2005-2009) costituisce una sorta di carotaggio sullo stato della cultura e della società italiana al giorno d’oggi, risolto attraverso il canone standard della fotografia scolastica di fine anno; The Room (2009-2016) afferma che si può imprigionare e raccontare un anno di vita del Paese attraverso pagine di quotidiani cancellate da uno strato di vernice nera, dove le poche parole risparmiate sono sufficienti a restituire la temperatura di un’intera epoca nel buio quasi totale della stanza.
Solid Sea (2002), progetto realizzato in collaborazione con il collettivo di ricerca territoriale Multiplicity originariamente presentato a Documenta 11 e qui riproposto in un allestimento concepito ad hoc per la mostra, trasforma invece il Mar Mediterraneo in uno spazio solido e compatto, unico confine stabile in un’epoca segnata dai conflitti e dalle continue revisioni delle identità nazionali.

Panorama è una mostra sull’opera di un artista il cui lavoro è strumento di documentazione, espressione e comprensione delle mutazioni degli scenari – immaginari e reali – del mondo contemporaneo e che restituisce all’arte il suo status di forma di impegno sociale.

Il progetto espositivo è a cura dell’Architetto Roberto Murgia.

Si ringraziano per il prestito delle opere GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino e Galleria Michela Rizzo di Venezia.

Camera Centro Italiano per la Fotografia – 11/05/2016 – 14/08/2016

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DELL’INFINGIMENTO
Quello che noi crediamo di sapere della fotografia

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La mostra Dell’infingimento: quello che noi crediamo di sapere della fotografia ospita le opere di sedici autori, italiani e internazionali, provenienti dalla Collezione Malerba che nel corso degli anni è diventata un importante riferimento a livello nazionale in ambito fotografico.

L’esposizione propone i lavori di maestri quali Nobuyoshi Araki, Mino Di Vita, Lukas Einsele, Annabel Elgar, Joan Fontcuberta, Luigi Ghirri, John Hilliard, Renato Leotta, Tracey Moffatt, Yasumasa Morimura, Olivier Richon, Thomas Ruff, Hyun-Min Ryu, Alessandra Spranzi, Thomas Struth, Kazuko Wakayama, declinati nel sottile gioco tra realtà e finzione.

La rassegna è l’occasione per interrogarsi sulle modalità con le quali il mezzo fotografico ci rivela il mondo come appare agli occhi del fotografo anziché ai nostri occhi: è cioè un mondo passibile di verità e di inganni, di equivoci o di trucchi ottici. Giocando sulle analogie tra fotografia e teatro, tra camouflage e spettacolo, la mostra presenta alcune opere che sottendono ad artifici e mascheramenti. Nobuyoshi Araki e Hyun-Min Ryu ricorrono, per esempio, alla maschera per dissimulare il proprio aspetto; Yasumasa Morimura si immedesima invece nelle dive del cinema o nelle icone dell’arte, introducendo il visitatore nel genere del tableau vivant. È in questo ambito che Olivier Richon e Lukas Einsele si confrontano sull’idea della natura morta che sfida gli equilibri e il verismo della composizione pittorica. Alla storia dell’arte attinge anche la serie di Joan Fontcuberta, che restituisce alle figure dell’Arcimboldo la loro essenza fitomorfa.

Il percorso espositivo prosegue affrontando i temi del paesaggio e dell’architettura; la fugacità dello sguardo di Thomas Struth ritrae una Shangai immersa nel suo quotidiano anonimato, mentre Mino Di Vita raffigura una Venezia immobile, notturna, in tutto simile a una quinta scenografica. Suggestivo è anche il luminismo che scaturisce dalle immagini di Alessandra Spranzi e Kazuko Wakayama, i quali evidenziano il valore scultoreo dei loro “soggetti inerti”. Non mancano all’appello immagini che evocano storie fittizie, come quelle di Tracey Moffatt e Annabel Elgar, ma soprattutto le metafotografie di Luigi Ghirri, John Hilliard, Thomas Ruff e Renato Leotta che riflettono sulle specificità del proprio apparato tecnopoetico per documentare non più il soggetto ma la relazione tra l’artista e la sua macchina fotografica.

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Giovanni Gastel – Le 100 facce della musica italiana

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Dal 23 Aprile 2016 al 25 Settembre 2016 – Villa Reale Monza

Dalla “A” di Alessandra Amoroso alla “Z” di Zucchero, passando per Vasco e Paolo Conte, Ligabue e Francesco De Gregori, Mario Biondi e i Negramaro, Elisa e Giorgia, arrivando alle star dell’hip hop e del rap Emis Killa, Club Dogo, Fedez, J- Ax e Fabri Fibra. Decine gli artisti, i cantautori, i musicisti, i cantanti, ma tra loro anche gli autori, come Mogol e i dj, su tutti Claudio Cecchetto. Un progetto ideato da Rolling Stone Italia che ha invitato il grande fotografo Giovanni Gastel a curare un numero speciale dedicato ai protagonisti della musica italiana. Sono le “100 facce della musica italiana”, un progetto mai realizzato prima da un periodico: cento protagonisti del nostro mondo musicale ritratti dallo stile inconfondibile ed elegante di Giovanni Gastel. Tutti i più grandi rappresentanti dello show biz italiano hanno aderito con entusiasmo a questa straordinaria avventura. Scatti in bianco e nero e a colori, ritratti stretti, sguardi intensi rubati dalla macchina fotografica. Nella lunga lista dei personaggi fotografati per Rolling Stone, non solo artisti ma anche coloro che lavorano dietro alle scene: discografici, promoter, produttori, manager.

 “Dicono che Dioniso girasse per il mondo con un festante carriaggio di musici e cantori in una gioiosa e un po’ ebbra pantomima di invasione del mondo. Ecco, quando la musica italiana è entrata nel mio studio e io ho aperto la porta a quella sorridente brigata di artisti e personaggi, ho subito pensato che Dioniso fosse infine arrivato a invadere anche me. E forse così è stato! La musica è entrata sorridendo e con una quantità di personalità forti e diverse tra loro”, afferma Giovanni Gastel, classe 1955, uno dei fotografi italiani più importanti a livello mondiale.

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Edward Weston. Il corpo e la linea

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Date 11 maggio – 14 agosto 2016

Dove CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia  Torino  Informazioni

Ritratti di Edward Weston e disegni dei Minimalisti americani.

Dalla collezione di Philip e Rosella Rolla

A cura di Francesco Zanot

 La mostra presenta una selezione di opere provenienti dalla Collezione di Philip e Rosella Rolla, nata dalla passione per l’arte contemporanea dell’imprenditore svizzero Philip Rolla e della moglie Rosella. La collezione, che ha preso avvio negli anni ’90 con l’acquisto di opere d’arte concettuale e minimaliste, si è arricchita sempre più di materiale fotografico con l’aumentare dell’interesse dei coniugi Rolla per questo linguaggio espressivo.

 Le immagini selezionate per l’esposizione Edward Weston. Il corpo e la linea. Ritratti di Edward Weston e disegni dei Minimalisti americani costituiscono quindi una selezione che riflette il carattere della Collezione Philip e Rosella Rolla, presentando un estratto esemplificativo dell’intera raccolta.  L’esposizione accosta le fotografie di Edward Weston ai disegni di alcuni fra i maggiori esponenti del Minimalismo americano, tra cui Dan Flavin, Donald Judd, Sol Lewitt, Fred Sandback e Richard Serra, evidenziando forti affinità metodologiche e stilistiche: se Weston cerca il rigore geometrico nel mondo dei volti e dei corpi, i Minimalisti traducono il mondo stesso in geometria.  Apparentemente distanti, questi due gruppi di opere hanno invece numerose caratteristiche in comune e scaturiscono da interessi e sensibilità simili, evidenziati all’interno di un percorso teso a mostrare entrambi sotto una nuova luce attraverso un dialogo tanto inedito quanto serrato.

 Tra i principali protagonisti della storia della fotografia mondiale, Edward Weston inizia la sua carriera in California all’inizio del Novecento, a Tropico, un piccolo paese a pochi passi da Los Angeles, dove apre uno studio ed esegue i primi ritratti. Lo stile è molto diverso da quello che lo renderà celebre in futuro e si rifà ai canoni del pittorialismo classico: atmosfere sognanti, contorni sfocati, filtri flou, carte spesse e ambrate.  Da queste rare immagini di tono familiare ha inizio la mostra, che indaga l’attività di ritrattista di Weston attraverso una serie di campioni. Ci sono le fotografie del periodo del ‘Gruppo f/64’, che fonda con Ansel Adams nel 1932 e apoteosi di essenzialità e rigore, fino ai nudi e ai personaggi famosi: lo scrittore Leon Wilson, la pittrice Dorothy Brett e il compositore Igor Stravinskij.  Insieme, le immagini selezionate per la mostra danno il senso dell’incessante interesse di Edward Weston per la figura umana e svelano le peculiarità con cui vi si confronta, studiandola in ogni particolare con l’attenzione di un miniaturista, centimetro per centimetro.

 Dan Flavin, Donald Judd, Sol Lewitt, Fred Sandback e Richard Serra sono i grandi autori delle opere con cui le fotografie di Weston sono messe a confronto. Anch’esse appartengono a una particolare tipologia di produzione: sono disegni, che con il loro carattere discreto si accostano delicatamente ai ritratti d’epoca, innescando nuove letture ed evidenziando alcune caratteristiche comuni.

 Come gli artisti della Minimal Art, anche Weston fa della ripetizione uno dei cardini della sua poetica. Anche quando si cimenta con il ritratto segue alcune regole ricorrenti, come la neutralità dell’espressione, l’assenza di frontalità e il taglio ravvicinato. In particolare riprende ogni soggetto più volte, a ripetizione, stampando infine diverse immagini – in questa rara occasione presentate contemporaneamente – senza la necessità di sceglierne una soltanto. Weston insiste, come i Minimalisti.

 E come loro il suo immaginario è fondato sui concetti di disciplina, geometria, esattezza e scientifica armonia. Il suo modulo è lo spazio neutro dell’inquadratura: spazio che nelle opere qui presentate spesso si confonde con quello dello studio del ritrattista.

 Una mostra di grandi artisti statunitensi, per guardare l’altro lato dell’Atlantico da una nuova angolazione.

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Qua trovate un approfondimento su Edward Weston e la corrispondenza con Tina Modotti, sua musa e amante, nonchè fotografa lei stessa.

Aliqual – Massimo Mastrorillo

Aliqual è un progetto che Massimo Mastrorillo ha iniziato a sviluppare dopo essere tornato a L’Aquila per circa 6 anni, passando dalla documentazione del post-terremoto, avvenuto nel 2009, a una ricerca visiva che si sofferma su una zona d’ombra, dove un mondo ora inabitabile sembra riprendere vita.

Laquilalaquilalaquilaaliqualaliqualaliqual: c’è un gioco molto semplice che consiste nel ripetere una parola in continuazione fino a che il suo senso si sfalda e diventa un qualcosa di misterioso, qualcosa che ci fa perdere l’orientamento e ci dà la possibilità di immaginarci in un mondo che improvvisamente è diventato altro lasciandosi alle spalle l’arcipelago delle nuove periferie costruite dopo il sisma.

Massimo Mastrorillo ritorna nel centro della città, ma questo avvicinarsi lo porta all’interno una dinamica centrifuga: frammenti e rovine sembrano prendere vita, come in un improbabile futuro distopico che si fa metafora di una crisi di più ampia portata, oltre gli effetti di un evento – il terremoto – ancora lontano dall’essere superato. Tutto è soggetto a continue metamorfosi, l’organico si confonde con il disorganico. Non si fa in tempo a immergersi in questi ambienti che ci si trova altrove, come in un gioco di specchi dove la percezione delle cose va alla deriva.

Si tratta di un’esposizione concepita in due tempi. Un’apparente dicotomia cronologica tra immagini autoriali e immagini trovate. Un’effettiva sincronia dei contenuti segnata dal tema della memoria.

Nella prima parte espositiva si susseguono in un’incessante regolarità le fotografie di Mastrorillo foriere dei ricordi recisi degli abitanti di cui restano testimoni unici gli ambienti e gli oggetti abbandonati, che mutano fino a diventare varco di un futuro distopico e immaginario. Nella seconda parte, la porta si spalanca sulla reminiscenza dei supporti. Vecchi negativi recuperati nelle case diventano acetato sospeso che modula proiezioni latenti sui muri bianchi. Foto consunte dal tempo sono scansionate e stampate per raccontare e immaginare la storia di donne scattate di generazione in generazione davanti alla stessa porta-finestra. Una teoria tutta al femminile, un insoluto mistero, un inno alla forza fecondatrice che tutto ricostruisce. Una piccola fotografia, probabilmente ricordo di una Prima Comunione, deteriorata e devastata dalle intemperie atmosferiche fino a far sparire il volto, lasciando il giovane corpo elegante acefalo e senza più identità nel suo nuovo cammino. Infine, la memoria delle lastre tipografiche del libro che, colore dopo colore, stratificano e ricompongono la realtà immaginata di Aliqual.

‘’Tu non ricordi; altro tempo frastorna la tua memoria; un filo s’addipana’’. Così scriveva Eugenio Montale.

Tutto l’iter espositivo ruota intorno a quella che sembra la distruzione e la perdita peggiore: quella della memoria, individuale e collettiva, perché ‘’un terremoto può distruggere le case, ma le radici le può distruggere solo l’uomo’’.

dal 29.05.2016 al 26.06.2016 – Isolab – Venezia

Qua tutti i dettagli.

Avevamo già dedicato un approfondimento a questo progetto di Massimo Mastrorillo qua

Crossroads – A street photography project

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Presso Centro Culturale Candiani
Piazzale Candiani, 7 – Mestre(Ve)

Dal 14 maggio al 12 giugno 2016

 In occasione della rassegna “20 Mignon”, in collaborazione con il Centro Culturale Candiani, il gruppo Mignon propone una mostra parallela alla propria intitolata “CrossRoads”, invitando dieci giovani fotografi italiani che si muovono nell’ambito contemporaneo della Street Photography.

La fotografia sta perdendo il suo valore di linguaggio condiviso e, nell’immaginario collettivo, sta diventando una specie di “accessorio visivo” utile solo per riempire scatole virtuali che, anziché veicolare contenuti e valori, ne mortificano le ragioni di esistenza: raccolte sature di immagini ma vuote di significato e spesso prive di credibilità, perché senza alcuna progettualità finale. In questi “luoghi virtuali” cosa sia stata la fotografia e cosa abbia rappresentato per la società non è nemmeno materia di discussione; senza che nemmeno ce ne accorgiamo sta velocemente diventando un’altra cosa, non è più se stessa, e chi la fa, o ne parla, non sa neppure cosa vorrebbe che diventasse. Mancano strutture culturali capaci di individuare e valorizzare i nuovi talenti presenti nel panorama fotografico; anche il mondo della critica ci sembra interessato più ad autoalimentarsi, che ad animare costruttivamente il dibattito sulla fotografia. E questo non fa che costringere i giovani fotografi a spostare, in mancanza d’altro, i loro lavori sul web con il risultato concreto, salvo rarissimi casi, di cadere in una trappola mediatica incapace di valorizzarli. Cartier Bresson, non concedendo la visione dei suoi provini, sosteneva giustamente che i panni sporchi vanno tenuti in casa: era un sistema per salvaguardare il suo lavoro. Oggi tutti, aspiranti fotografi e non, “scaricano” nei social network tutto quello che, subito dopo lo scatto, ritengono interessante, o peggio ancora tutto quello che hanno prodotto senza applicare alcun filtro di selezione. Questo metodo, che non prevede una “re-visione”, finisce per far assomigliare questi luoghi virtuali a vere e proprie “discariche” di immagini. E’ per proporre un’alternativa a tutto questo che da vent’anni promuoviamo un approccio alla fotografia, reale e concreto, basato sulla cultura e storia del mezzo. Per questo da sempre cerchiamo di dare visibilità al lavoro di fotografi di qualità, ma che non trovano adeguato spazio di espressione. CrossRoads è un progetto fotografico costruito a partire dal lavoro di un ristretto numero di autori che si muovono nell’ambito della Street Photography con proposte di qualità e, ci sembra, con vera passione. Fatima Abbadi propone una Street Photography che si avvicina molto al documento, raccontando con la fotografia la sua stessa duplicità di donna per metà italiana e per metà palestinese. Leonio Berto è il cantore di una Venezia inascoltata, ma viva e vera, restituita con l’uso sapiente del colore che solo chi possiede il raro dono della sua visione può ottenere. Nico Chiapperini colpisce soprattutto per le immagini al limite dell’astrattismo e per l’uso attento e affascinante dei cromatismi. Antonio Chiorazzo indaga al meglio la complessa realtà di una metropoli come Londra, restituendone la vita ed i contrasti. Mary Cimetta interpreta il genere con il fascino ricercato delle situazioni impossibili e con grande ironia. Enzo De Martino racconta invece Roma, con garbo ed estrema pulizia visiva, riuscendo a comporre immagini che restituiscono scene di strada perfettamente inserite e riconoscibili nel panorama urbano della città. Carmelo Eramo si affid a ad un linguaggio classico, che riporta alla tradizione neorealista, raccontando la gente della sua terra. Stefano Mirabella ha uno sguardo attento soprattutto alle associazioni tra figure reali e immagini di cui sono piene le nostre città, alla ricerca di una specie di “tassonomia” umana. Davide Scapin fa emergere dai propri scatti un senso di meraviglia verso l’uomo. Nella sua fotografia il rigore compositivo e formale, e l’equilibrio dei toni, sono elementi imprescindibili della struttura del racconto. Umberto Verdoliva mette in campo una personalità fotografica complessa e multiforme utilizzando l’ironia tipica della tradizione della fotografia di strada con particolare predilezione per le situazioni di luce estrema che riesce a dominare e controllare con grande maestria. CrossRoads vuole rappresentare una proposta concreta, e un’occasione, per dare visibilità alle potenzialità che la Street Photography porta con sé ancora oggi. L’invito è di non abbandonarsi a facili e veloci sistemi di consumo delle immagini, ma cercare piuttosto di coalizzarsi, riunire le forze, insomma “incrociare le strade”, proprio come in questo progetto Mignon dove ad emergere non è il lavoro dei singoli fotografi ma la Street Photography stessa. E’ quindi dall’intreccio delle singole qualità personali che emerge un valore ben più grande della semplice somma delle stesse.

A cura di Ferdinando Fasolo, Angelo Maggi e Giampaolo Romagnosi.

Fotografie di Fatima Abbadi, Leonio Berto, Nico Chiapperini, Antonio Chiorazzo (alias Romeo), Mary Cimetta, Enzo De Martino, Carmelo Eramo, Stefano Mirabella, Davide Scapin, Umberto Verdoliva.

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Iconic B – Alberto Alicata

La galleria DaDAEAST è lieta di presentare, per la prima volta in Italia, la serie inedita ICONIC B di Alberto Alicata, vincitore del Primo Premio ai Sony World Photography Awards 2016 per la categoria Staged.

In questo progetto, curato da Benedetta Donato, il fotografo ripercorre la storia delle immagini realizzate dai grandi maestri della fotografa Fashion, ricorrendo all’utilizzo di uno dei simboli della cultura occidentale contemporanea: la Barbie.

Nell’anno in cui il MUDEC – Museo delle Culture di Milano ha celebrato, con una grande mostra, questa icona della contemporaneità, Alberto Alicata presenta il suo lavoro, iniziato nel 2014, offrendo una sua personalissima reinterpretazione della fotografa di moda dagli anni’50 fno ai giorni nostri.

Irving Penn, Richard Avedon, Guy Bourdin, David Lachapelle, Mario Testino sono alcuni dei nomi cui Alicata rende omaggio, studiando minuziosamente gli scatti prescelti e ricreando un set a misura di bambola che rifette con dovizia dei particolari, ai limiti della precisione ossessiva, l’opera originale da cui prende spunto e trae ispirazione, per rafforzarne l’autenticità e la forza di immagini senza tempo, oramai entrate a far parte della nostra memoria visiva e destinate ad essere sempre attuali.

L’intuizione giocosa di operare questa simulazione, utilizzando uno dei simboli più imitati, idolatrati, collezionati e studiati, che riesce a rinnovarsi in ogni periodo storico, colloca questa produzione in una dimensione in divenire, destinata ad arricchirsi di nuove immagini, ulteriori possibilità di citazione ed inaspettate suggestioni.

Il progetto ICONIC B, esposto in preview alla Somerset House di Londra nel mese di aprile, verrà presentato in Italia, presso la Galleria DaDAEAST di Milano, l’11 maggio 2016.

DaDAEAST, Via Varese, 12, Milano – fino al 2 luglio 2016

Max Pinckers & Daisuke Yokota

11.5. – 18.6.2016 – Foto Forum Bolzano

Superficie e profondità, estemporaneità ed esperienza, riflessione e intuizione
La mostra mette in relazione dialogica le opere realizzate in Giappone da due giovani fotografi. Le tradizioni fotografiche dell’Occidente e dell’Oriente vengono indagate e interpretate in modo in parte consapevole e in parte inconsapevole.

Max Pinckers (1988, Bruxelles, Belgio) è cresciuto tra il Belgio, Singapore, l’Indonesia e l’Australia e a 27 anni fa già parte dell’agenzia fotografica Magnum, oltre ad aver vinto numerosi premi. È noto per il suo modo di allestire teatralmente le sue inquadrature, lasciando tuttavia insinuarsi la casualità di elementi documentaristici.

Daisuke Yokota (1983, Saitama, Giappone) è probabilmente il più conosciuto fotografo giapponese della nuova generazione. Attraverso la sperimentazione con i processi sia digitali che analogici crea un linguaggio delle immagini contemporaneo che però rimane fedele alla storia della fotografia giapponese.

 In collaborazione con gli studenti dell’ISIA di Urbino e della Libera Università di Bolzano, Facoltà di Design e Arti.

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Myles Little – 1% : Privilege in a Time of Global Inequality

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L’interessante lavoro di Myles Little è incentrato sulla diseguaglianza, un tema, per usare le sue stesse parole, difficile da ignorare al giorno d’oggi. Riportiamo di seguito il testo originale da noi tradotto, tratto dal sito ufficiale dello show.

La storia della disuguaglianza è impossibile da ignorare al giorno d’oggi. Il tragitto che percorro la mattina attraverso Manhattan per andare al lavoro mi permette di osservare la povertà più spaventosa e la più sontuosa ricchezza. Tutti, dagli uomini d’affari miliardari al Papa, si sono espressi contro questi sviluppi preoccupanti.

Mentre pensiamo di comprendere la ricchezza tramite televisioni e giornali, ciò che vediamo è solo una goccia nell’oceano. Nel 2014 l’atleta più pagato al mondo, Floyd Mayweather, ha guadagnato 105 milioni di dollari. Lo stesso anno Kenneth Griffin, il gestore di hedge funds più pagato al mondo, ha portato a casa 1 miliardo e trecento milioni di dollari. Eppure Mayweather è famoso in tutto il globo mentre Griffin è totalmente sconosciuto. E mentre pensiamo di capire la diseguaglianza in realtà non la comprendiamo per niente. La Harvard Business School ha chiesto agli americani quanto pensavano che i maggiori amministratori delegati guadagnassero rispetto ai lavoratori ordinari. La media ha risposto che secondo loro il rapporto era di 30 ad 1. La realtà è che la ratio è di oltre 350 ad 1.

Esiste una lunga storia fotografica che denuncia la povertà come le foto di Jacob Riis che ritraggono i bassifondi di New York del 19º secolo o le foto dei bambini senzatetto di Seattle firmate da Mary Ellen Mark. Tuttavia, i decenni più recenti hanno condotto all’esplosione di una fotografia forte, che mette in discussione i privilegi. Basta considerare, ad esempio, “Rich and Poor” di Jim Goldberg, scattato a San Francisco oppure “Kids + Money” di Lauren Greenfield ambientato a Los Angeles.

Nel curare 1%: Privilege in a Time of Global Inequality ho provato a raccogliere immagini che esaminano la ricchezza a livello globale ed in modi differenti. Un punto di riferimento che avevo per il mio progetto era la mostra del 1955 The Family of Man di Edward Steichen . Allestita durante il periodo ottimistico del dopoguerra, raccoglieva oltre 500 foto documentarie di persone molto diverse tra loro provenienti da ogni parte del mondo, raggruppate in temi comuni come la famiglia, la religione e il lavoro. Per usare le parole dello stesso Steichen, il progetto supportava l’unità essenziale del genere umano. Ma, man mano che la diseguaglianza raggiunge livelli storici, trovo questa tesi sempre meno praticabile. Basta considerare. ad esempio che i sei eredi del patrimonio Walmart posseggono più del 42% degli americani più poveri messi insieme. Desideravo rispondere al progetto di Steichen, raccogliendo immagini su temi simili ma scattate nel regno della ricchezza. Mentre The Family of Man era una raccolta tentacolare, varia e democratica di immagini di fotografi conosciuti e sconosciuti, io ho usato un approccio differente che si addiceva allo spirito esclusivo del mio argomento. Ho selezionato un piccolo numero di fotografie di medio formato, raffinate e ben congegnate, fatte da alcuni dei migliori fotografi di oggi. Volevo prendere in prestito il linguaggio del privilegio ed usarlo per osservare e criticare il privilegio stesso.

Alcune delle immagini tracciano dei punti nel mondo del benessere come l’istruzione, il tempo libero e la sanità (evitando i cliché come le pellicce ed i jet privati). Altre immagini si collocano fuori dal mondo dell’1% guardando dentro di esso. Per esempio, una delle foto di Nina Berman mostra una folla di persone piene di speranza che frequentano una chiesa nel sud dell’America dove si insegna che Gesù ci vuole ricchi. Alcune immagini contengono un conflitto di classe come quella di Guillame Bonn che ritrae cameriere in una ricca casa del Kenya. Altre immagini sono più astratte, come la foto di Sasha Bezzubov che ritrae una nuvola di polvere dorata su una strada sterrata in Gabon, che per me evoca la natura effimera della ricchezza.

Nel marzo 2015 l’investitore miliardario Paul Tudor Jones II ha pubblicamente dichiarato che il divario di benessere non può persistere e non persisterà… Sarà colmato. La storia lo fa sempre, tipicamente in tre modi: o attraverso la rivoluzione, o attraverso tasse più alte, oppure attraverso le guerre.

Dunque, come andrà a finire?

Spero che questo progetto aiuti a stimolare la conversazione su questo tema.

Myles Little

Tutte le informazioni qua

Magical Surfaces: The Uncanny in Contemporary Photography

13 April – 19 June 2016 – Parasol unit foundation for contemporary art – London

Parasol unit foundation for contemporary art is delighted to present Magical Surfaces: The Uncanny in Contemporary Photography, an exhibition that explores the uncanny as exemplified in the works of seven artists from two generations, all of whose work includes in different forms the use of photography as a medium. They are: Sonja Braas, David Claerbout, Elger Esser, Julie Monaco, Jörg Sasse, Stephen Shore and Joel Sternfeld.

As early as 1835, the German philosopher Friedrich Schelling wrote of “das Unheimliche”, the uncanny, as ‘everything that ought to have remained hidden and secret and has become visible’. Years later, Sigmund Freud elaborated on what Schelling and others had thought about this ‘peculiar quality’, but he also ‘felt impelled’ to investigate it in relation to aesthetics. In his influential essay ‘The “Uncanny”‘, 1919, Freud saw there was a common thread to everything that arouses our sense of the uncanny: it ‘is that class of terrifying which leads back to something long known to us, once very familiar’. Although individual responses are complex and subjective, what we experience as uncanny is that which gives us a feeling of unease when something seems both familiar and unfamiliar, when some quality effaces the distinction between the imagined and the real.

The Magical Surfaces title of this exhibition derives from the thoughts of Vilém Flusser who, in his Towards a Philosophy of Photography, 1983, wrote of photographic images as ‘significant surfaces’ and of ‘the magical nature of images’. We are always intrigued when an apparently straightforward image suddenly takes on an ambiguous, uncanny, quality as our mind grasps, as Ernst Jentsch wrote in 1906, its ‘intellectual uncertainty’.

The mastery each of the exhibiting artists has over their own process of manipulating the photographic image invites us to marvel at the many ways the uncanny can occur in photographic works. Essentially exploring time in his work, David Claerbout does indeed appear to do magic by bringing a pre-stardom Elvis Presley intimately back to life in three-dimensions by digitally reconstructing him from a 1950s black-and-white photograph. Julie Monaco’s often hyper-real and dramatically turbulent scenes appear at first to be images of nature, but in fact are created entirely on her computer using fractal algorithmic software. An absence of presence is discernible in the apparently realistic images created by Jörg Sasse, one of the first artists to use computer technology as his brush and canvas. Both he and Elger Esser studied at the Kunstakademie Düsseldorf under Prof. Bernd Becher, who together with his wife Hilla is renowned for their remarkable photographs of industrial buildings. Esser, too, deals with time and memory in his serenely lit and composed land- and seascapes that seem at once to be both familiar and unfamiliar.

Sonja Braas works entirely in analogue, sometimes from ready-made sources, often by artificially creating landscapes or by building models which she then photographs, rather than directly photographing actual nature. Among other things, her work questions what is real and what is unreal in any image. In the 1970s, both Stephen Shore and Joel Sternfeld travelled independently across the USA, taking what are evocatively revealing photographs of the time and place. Using Kodachrome film and 35-mm cameras, they managed to capture an atmosphere that is almost palpably uncanny. Their work continues to inspire subsequent generations of artists to continue innovating with photography. As Sternfeld says: ‘Photography has always been capable of manipulation. […] any time you put a frame to the world, it’s an intervention […] photographs have always been authored.’

This exhibition is curated by Ziba Ardalan, Founder/Director of Parasol unit. It is accompanied by a comprehensive publication which includes essays by Ziba Ardalan, David Claerbout, and Marta Dahó who is an independent curator and teacher of History of Photography, based in Barcelona.

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Seydou Keïta

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Seydou Keïta (1921-2001) is now considered one of the greatest photographers of the second half of the twentieth century. Showing off his subjects to best advantage, his mastery of framing and light and the modernity and inventiveness of his compositions all earned him a huge success. He retired in 1977 after having been the official photographer of a Mali that had become independent. His work constitutes an exceptional testimony to the Malian society of his time. Exhibition organised by the Réunion des Musées Nationaux – Grand Palais with the collaboration of the Contemporary African Art Collection (CAAC) – The Pigozzi Collection.

31 March 2016 to 11 July 2016 Galeries nationales – Paris

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Andrea Guarnieri – “…in SCALA”

Un nuovo appuntamento nell’eclettico Spazio Contemporaneo Agorà. Dopo il susseguirsi di un paio di mostre istituzionali dedicate alla pittura ed in particolare al disegno, la scelta della direzione artistica è ritornata a prediligere la fotografiia; mercoledì 11 maggio alle ore 18,30 la galleria inaugura la personale di Andrea Guarneri “…in SCALA”.

Il messaggio trasmesso dagli scatti del fotografo palermitano è ben sintetizzato nel testo di Francesco Massaro, (leggibile integralmente in galleria): “Le foto di Andrea Guarneri, regalano un meraviglioso senso di vertigine, non c’è un filo rosso che le unisce e mette insieme; soprattutto non c’è un elemento dominante, in alcuni scatti è l’uomo che fa da sfondo al paesaggi, in altri è il contrario, come se l’autore non volesse dare punti di riferimento, come se seguisse un flusso di pensiero e di ispirazione che cambia giorno dopo giorno, viaggio dopo viaggio.

Questa mostra, è un compendio della crescita di Guarneri: dapprima fotografo di paesaggi, poi ricercatore di geometrie in cui inserire l’uomo, piazzandolo lungo prospettive, anche audaci, sempre diverse, come a non voler dare approdi sicuri, come a voler giocare con l’osservatore, quasi a volerlo sfidare. Nelle foto di Guarneri c’è la Sicilia, la sua terra, il Nord Africa, l’America, ci sono uomini, donne e bambini, ci sono figure umane colte quasi di sfuggita, c’è la vita che scorre e c’è il viaggio, da Macari a Los Angeles, due opposti mai così vicini; c’è la voglia di restare e quella di scappare, c’è soprattutto il desiderio di perdersi come perdersi dentro alle pagine di un libro in cui non vorresti mai vedere la fine. C’è, in fondo, quello che è l’autore, quello che siamo tutti noi”.

Palermo – Spazio Agorà – dall’11 al 31 maggio

Anna

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