Workshop di fotografia di strada e storytelling a Palermo

Buongiorno ragazzi, riparto finalmente con i workshop in giro per l’Italia e per il mondo. Vi propongo questa prima esperienza nella città di Palermo, per pasqua! Ciao Sara

Per informazioni ulteriori scrivere a sara@saramunari.it

LA CITTA’

Palermo è una città dalla nobiltà profonda ereditata delle civiltà antichissime che l’hanno dominata nei secoli, rendendola unica: prima i greci, poi i romani, gli arabi e i normanni ne hanno plasmato l’identità disegnandone i diversi volti. I viaggi a Palermo permettono di svelare la bellezza di una città che sta rinascendo dalle sue stesse contraddizioni.

Gli eventi a Palermo la dipingono come una città vivace e dinamica che propone programmi culturali molto ricchi durante tutto l’anno nei suoi grandi teatri e nelle piazze. Mostre di alto livello si susseguono nei principali musei della città.

Ma non c’è dubbio che le festività a Palermo rappresentano i momenti più importanti della vita della città, cominciando dalle celebrazioni della Settimana Santa. Il centro storico di Palermo, come da tradizione in Sicilia, diventa teatro di processioni suggestive. Le antiche confraternite, con i loro costumi e la sincera devozione, trasformano questi momenti religiosi in veri e propri eventi di popolo che si concludono con i tradizionali fuochi d’artificio.

Riti della settimana Santa a Palermo

Spettacolari processioni del dramma doloroso di Cristo Morto. Nel 1775, i domestici e i cuochi in servizio presso le patrizie case palermitane, si costituirono in Congregazione, utilizzando come loro sede associativa la chiesa di San Giacomo, ubicata nella strada denominata Tavola Tonda nel mandamento della Loggia. In un secondo tempo la confraternita, per questioni logistiche, abbandonò la residenza della chiesa di San Giacomo e si trasferì in quella della Madonna del Lume, nella strada dei Casciara. Il tempio, edificato verso l’inizio del XIX secolo, è situato nell’omonima via in un tratto di strada che scende verso la Cala, strada in cui i Casciara hanno le loro officine e vendono articoli di legno. L’attuale sede fu scelta per il semplice motivo che a poca distanza da essa avevano le loro fastose residenze le famiglie blasonate. I momenti più importanti della confraternita sono rappresentati dalla preparazione e dalla partecipazione alla solenne processione del Venerdì Santo, durante la quale si portano per le vie del quartiere della Loggia gli artistici simulacri dell’Addolorata e l’urna con il Cristo Morto. Durante la Settimana Santa il centro storico di Palermo si anima con le spettacolari processioni del dramma doloroso di Cristo Morto, almeno quattro le più importanti: quella dei Cocchieri, della Confraternita di Maria SS. Addolorata, della Soledad e dei Cassari, tante altre sono organizzate nei vari quartieri della città. Molto emozionante e tradizionale è quella della chiesa di Santa Caterina, organizzata a Partanna – Mondello (Palermo), dove la mattina del sabato si svolge la Sacra Rappresentazione della passione di Gesù Cristo. Alla veglia pasquale, alla mezzanotte nella chiesa di San Domenico a Palermo avviene La calata di la tila in cui il pesante telo che ha coperto l’altare maggiore viene giù tra canti di gioia per la Resurrezione. La morte del peccato e la resurrezione alla vita, segnano un trapasso che è anche passaggio dai rigori invernali alla primavera portatrice di vita, non a caso l’uovo diventa simbolo della natura che schiude, il giorno di Pasqua ai bambini si regalano uova pasquali, del tutto o quasi scomparsa la regalia del pupu cull’ovu, persiste atavicamente la cassata, dolce tipico di Pasqua.

Il Giovedì Santo, giorno dedicato all’Adorazione della S.S. Eucaristia per tutto il giorno e parte della sera tutte le chiese rimangono aperte per permettere ai fedeli la visita ai Sepolcri caratterizzate da ciotole in cui sementi sono state fatte germogliare al buio per quaranta giorni, che danno vita a pallidi germogli ornati con mani sapienti da nastri e fiocchi, e che quindi sono disposte con eleganza barocca solitamente in uno degli altari laterali della chiesa. Particolarmente interessante è la decorazione della Chiesa di San Domenico, in piazza San Domenico a Palermo, che rimane aperta fino a mezzanotte circa. Molto belli, tra gli altri, anche gli altari preparati nelle chiese di Santa Caterina, piazza Bellini e San Matteo in corso Vittorio Emanuele. Il Venerdì Santo numerosissime processioni con il simulacro del Cristo Morto seguito dall’Addolorata, spesso raffigurata con sette spade trafitte nel petto, seguiti da bande musicali figuranti e fedeli fanno riecheggiare di un lutto cosmico tutta la città. Il passante che si fermerà ai Quattro Canti, in piazza Vigliena, dalle 17 in poi, vedrà e ascolterà passare in sequenza le quattro processioni più interessanti e ricche di figuranti e tradizioni: la processione della confraternita dei cocchieri che parte dalla chiesa della Madonna dell’Itria, la processione della confraternita dei panettieri, a nome di Maria S.S. Addolorata, gli artigiani palermitani, devoti della Madonna del Lume e infine la vergine SS. Addolorata della Soledad. Sempre nella Chiesa di San Domenico si svolge il caratteristico rito della Calata r’a tila: nel corso della funzione notturna (ore 22.00) tra il sabato e la domenica, l’immagine del Cristo Risorto sopra l’altare principale, coperta fin dal venerdì Santo, viene svelata scenograficamente.

Sabato Santo

In questo giorno, tutte le chiese di Palermo restano chiuse per riaprire a sera per le confessioni e la preparazione della “Messa di Resurrezione” che avrà luogo, a seconda delle parrocchie intorno alle 11,00 Confraternita Maria SS. Addolorata de la Soledad Chiesa di San Nicolo’ da Tolentino (Via Maqueda, 159) Confraternita Santa Maria dell’Itria ai Cocchieri Chiesa della Madonna dell’Itria ai Cocchieri (Piazzetta Chiesa Cocchieri, 1) Confraternita Ecce Homo Chiesa Ecce Homo (Piazza S. Alfonso dei Liguori) Confraternita Maria SS. Addolorata ai Cassari Chiesa di Santa Maria La Nova (Piazza S. Giacomo La Marina, 13) Confraternita dell’ Addolorata Chiesa di Santa Maria degli Angeli (Via Lorenzo Landolino, 117) Confraternita del SS. Crocifisso al Borgo Vecchio Chiesa di S. Maria di Monserrato (Via delle Croci, 53) Confraternita di Maria SS. Addolorata alla Zisa Santo Stefano Protomartire (Piazza Zisa, 42) Confraternita SS Crocifisso Chiesa Santi Cosma e Damiano (Via Torretta, 2 Sferracavallo) Confraternita delle Anime Sante Parrocchia Maria Santissima di Lourdes (Piazza Ingastone) Confraternita di Gesù e Maria dei Panettieri (Maria SS Addolorata in S. Isidoro Agricola) Chiesa di Sant’Isidoro Agricola all’Albergheria (Via Generale Luigi Cadorna, 8) Confraternita Maria SS. Addolorata Invalidi e Mutilati di Guerra Chiesa di San Matteo (Via Vittorio Emanuele, 247) Confraternita di Maria SS. Addolorata e del Venerdì Santo alla Guilla Chiesa di San Giovanni alla Guilla (Via Beati Paoli) Confraternita Cristo Morto e AddolorataChiesa del SS. Salvatore (Corso dei Mille, 751)

PROGRAMMA

Il ritrovo presso l’albergo o la struttura che ci ospiterà durante il workshop, deve avvenire nella giornata di Mercoledi 13 Aprile. Tutti i dettagli verranno forniti all’atto dell’iscrizione. Orario di lavoro: Lavoro in esterni dalle 8,30/9,00 in avanti (gli orari possono cambiare a seconda delle necessità e delle possibilità dei partecipanti) – Riunione giornaliera alla mattina e alla sera. Riunione e discussione per selezione scatti e editing. Ore di riunione 2/3 al giorno. Ore di pratica 4/6 al giorno.

Ultima riunione Lunedì 18 in mattinata, per terminare i progetti e procedere al check out.

FINALITA’

Ogni partecipante costruirà una storia finita con le sue immagini e, a workshop terminato, avrà un racconto sulla città di Palermo, sia esso di tipo narrativo, documentario, legato alla street photography o concettuale. Non ci sono limiti nella presentazione del progetto, che potrà appartenere al genere fotografico che il partecipante ritiene più vicino a sè. Non è assolutamente detto che il soggetto del workshop debba essere la Settimana Santa, se trovate storie, argomenti o particolarità che vi interessano, possiamo approfondire il tema voi scelto.

PRESENTAZIONE PROGETTI

Il partecipante, antecedentemente alla partenza, presentarà il progetto che vorrà seguire durante una riunione antecedente al viaggio. I lavori dei partecipanti verranno condivisi da ognuno durante questa riunione, per avere idee e discutere modalità narrative e linguaggi più funzionali. La riunione sarà in data 31 marzo alle ore 20.00 online (i dettagli verranno forniti dalla docente all’atto dell’iscrizione)

ATTREZZATURA

Macchina fotografica pulita e sempre carica, portatile, chiavetta usb. Se c’è brutto tempo, vestiario impermeabile. Cavalletto se necessario, in base al genere fotografico.

A CHI E’ ADATTO IL CORSO

A tutte le persone che abbiano voglia di mettersi in gioco, dal punto di vista pratico, con spirito di adattamento al gruppo e ai luoghi. Con voglia di raccontare storie e capacità di lavorare con la fotografia per 6/8 ore al giorno, tra lezioni teoriche e pratiche.

REGOLAMENTAZIONE COVID

Potranno partecipare al viaggio solo i possessori di green pass regolare per tutta la durata dello stesso. Potrebbero essere necessari tamponi per entrare o uscire dai paesi in cui è organizzato il viaggio (se all’estero).

ASSICURAZIONE VIAGGIO E PROBLEMI MEDICI

Prima della partenza è consigliabile, da parte del partecipante, provvedere alla stipulazione di un’assicurazione sanitaria personale a copertura di eventuali spese mediche estere. Nessun workshop prevede l’assistenza in loco, per sopraggiunti problemi medici. E’ quindi responsabilità del partecipante assicurarsi che le proprie condizioni fisiche siano adeguate per poter intraprendere il viaggio. Nel caso un partecipante dovesse interrompere il workshop per sopravvenuti problemi di salute, nessun rimborso totale o parziale per qualsivoglia porzione non utilizzata del workshop, gli sarà dovuto. Iscrivendosi al workshop, il partecipante auto-certifica di non avere alcuna condizione mentale, o fisica, o altra disabilità che possa creare un rischio per se stesso, o per gli altri partecipanti; e dichiara di essere pienamente consapevole dei rischi associati al viaggiare in alcune località, o ai rischi connessi a certi tipi di attività fisica e/o a determinate condizioni meteorologiche.

RESPONSABILITA’

Musa fotografia e Sara Munari non sono da considerare responsabili, in caso di danni alla persona o all’attrezzatura fotografica, perdite o spese di qualsiasi natura, per tutta la durata del viaggio.

DOCUMENTI

Ogni partecipante è tenuto a controllare di essere in possesso della documentazione adeguata per poter partecipare al workshop. E’ obbligatorio portare sempre con sé un documento d’identità individuale in corso di validità, e averne con sé anche una copia in formato cartaceo. Per l’Estero è obbligatorio avere carta d’identità senza timbro di proroga (ovvero valida per l’espatrio) o Passaporto in corso di validità (in base alla destinazione).

RIMBORSI

Nessun rimborso spetta a coloro che si presentano alla partenza con documenti non validi e quindi costretti al rientro a proprie spese. Nel caso un partecipante dovesse interrompere il workshop o rinunciare, nessun rimborso totale o parziale per qualsivoglia porzione non utilizzata del workshop, gli sarà dovuto.

Il pagamento della quota d’iscrizione relativa al partecipante rappresenta la tacita accettazione di quest’ultimo di tutti i termini e condizioni qui delineati.

INFORMAZIONI

Data workshop: dal 13 al 18 Aprile 2022
Orario di lavoro: 07.30-13,00 scatti- 15,00 – 18,30 scatti – Riunione giornaliera alla mattina e alla sera. Riunione e discussione per selezione scatti e editing.

Costo del workshop:  690 euro iva inclusa

La quota comprende il workshop, riunione preventiva, struttura di accoglienza in camera doppia e prima colazione (quando e se possibile)

La quota non comprende: il volo aereo, i pranzi e le cene, gli spostamenti sul luogo e spostamenti da e per aereoporto.

Notti: 5
Docente: Sara Munari Scopri chi è Sara
Luogo: Palermo, la Settimana Santa e molto altro…

Riunione: 31 Marzo 2022 alle ore 20.00 online

Luogo e ora di ritrovo in loco: Appuntamento in albergo

Supplemento camera singola 150 euro

Le camere le camere sono generalmente doppie

Le strutture vengono scelte solo se con valutazioni ottime per pulizia e comodità

Numero minimo di partecipanti: 5 Numero max: 8

Per ulteriori info scrivere a info@musafotografia.it

Il costo di 690 euro verrà versato in due rate la prima, di 350 tramite bonifico Bancario, la parte restante verrà versata in contanti al docente il primo giorno di workshop, per coprire le spese di alloggio e varie. Indicare nella causale, il workshop/corso a cui si vuole partecipare e il nome del partecipante (vedi la scheda di partecipazione al link qui sotto). Non verrà restituita alcuna somma in caso di mancata partecipazione al workshop.

ISCRIVITI al workshop

AI CORSI

 

Le mostre da non perdere a febbraio

Nuove interessanti mostre vi aspettano per questo mese di febbraio. Non perdetele.

Tutte le mostre in corso, sono qua

Anna

STEVE MCCURRY. LEGGERE

Dal 17 gennaio al 13 aprile 2020, l’Arengario di Monza ospita la mostra Leggere di Steve McCurry, uno dei fotografi più celebrati a livello internazionale per la sua capacità d’interpretare il tempo e la società attuale.
 
L’esposizione, promossa da ViDi e Comune di Monza, organizzata da Civita Mostre e Musei, in collaborazione con Sudest57, curata da Biba Giacchetti, con i contributi letterari dello scrittore Roberto Cotroneo, presenta 70 immagini, dedicate alla passione universale per la lettura, realizzate dall’artista americano (Philadelphia, 1950) in quarant’anni di carriera e che comprendono la serie che egli stesso ha riunito in un volume, pubblicato come omaggio al grande fotografo ungherese André Kertész, uno dei suoi maestri.
 
Gli scatti ritraggono persone di tutto il mondo, assorte nell’atto intimo del leggere, còlte dall’obiettivo di McCurry che testimoniano la sua capacità di trasportarle in mondi immaginati, nei ricordi, nel presente, nel passato, nel futuro e nella mente dell’uomo
 
I contesti sono i più vari, dai luoghi di preghiera in Turchia, alle strade dei mercati in Italia, dai rumori dell’India ai silenzi dell’Asia orientale, dall’Afghanistan a Cuba, dall’Africa agli Stati Uniti. Sono immagini che documentano momenti di quiete durante i quali le persone si immergono nei libri, nei giornali, nelle riviste. Giovani o anziani, ricchi o poveri, religiosi o laici; per chiunque e dovunque c’è un momento per la lettura.
In una sorta di percorso parallelo, le fotografie sono accompagnate da una serie di brani letterari scelti da Roberto Cotroneo. Un contrappunto di parole che affiancano gli scatti di McCurry, coinvolgendo il visitatore in un rapporto intimo e diretto con la lettura e con le immagini.
Anche l’allestimento, grazie a sei video con i consigli di McCurry sull’arte di fotografare, è pensato per valorizzare gli ulteriori contenuti della mostra.
 
Il percorso è completato dalla sezione Leggere McCurry, dedicata ai libri pubblicati a partire dal 1985 con le foto di Steve McCurry, molti dei quali tradotti in varie lingue: ne sono esposti 15, alcuni ormai introvabili, tra cui il volume edito da Mondadori che ha ispirato la realizzazione di questa mostra. Tutti i libri sono accompagnati dalle foto utilizzate per le copertine, che sono spesso le icone che lo hanno reso celebre in tutto il mondo.
 
«Monza fa grandi passi in avanti con la scelta di progetti culturali innovativi e di qualità, spiegano il Sindaco Dario Allevi e l’Assessore alla Cultura Massimiliano Longo. Questa mostra è un’occasione per guardare diversamente l’opera di Steve McCurry che pone al centro della propria ricerca artistica la forza della lettura come valore universale e individuale. L’esposizione ha la capacità di coniugare qualità artistica e coinvolgimento: un’opportunità importante per guardare e comprendere il piacere necessario della lettura».
 
Per tutta la durata dell’esposizione, sono in programma attività didattiche, incontri e visite guidate gratuite per bambini. Una mostra “family friendly”, un percorso studiato ad hoc, un kit didattico in omaggio da ritirare in biglietteria appositamente creato per la visita dei più piccoli. Inoltre, all’interno dell’Arengario, un’opera ad “altezza bambino” attenderà i giovani visitatori per un’esperienza immersiva a loro dedicata.

Dal 17 Gennaio 2020 al 13 Aprile 2020 – Arengario di Monza

Non ditelo a mia madre – Sara Munari a Roma e Napoli

“Don’t let My mOther Know”
Dal 21 febbraio 2020 al 6 marzo 2020

Vernissage Venerdì 21 febbraio 2020 ore 18,30

Ingresso libero

Sarà presente l’autrice

a Cura di Alessia Locatelli
CSF ADAMS | KROMART GALLERY
Via Biagio Pallai, 12
00152 Roma

Italia

La stessa mostra, dal 24 gennaio 2020 Sara Munari presenta a Magazzini FotograficiNapoli -la mostra “Non ditelo a mia madre”, il racconto di un viaggio fantastico in un lontana galassia costruito attraverso fotografie analogiche scattate per lo più in Islanda e una video installazione.

“Se il genere umano non avesse ambiziosamente progettato nel suo percorso, o non avesse sperato in eventi irrealizzabili o ancora non avesse provato a tradurre in realtà sogni fantascientifici, saremmo ancora coi piedi a terra, senza mai aver provato nemmeno a volare.
Jules Verne, ha lanciato una bella sfida, collocando, nel romanzo “Viaggio al centro della Terra”, all’interno di un vulcano (Snæfellsjökull) in Islanda, il passaggio che conduce appunto, al centro della Terra. L’Islanda è luogo dove ho scattato tutte le immagini del mio lavoro.
Sappiamo poco di quello che c’è sulla terra, figuriamoci di ciò che ne sta al di fuori.
Intravediamo, attraverso la scienza, come il nostro pianeta, sia in una periferia della galassia, di una dei miliardi di quelle presenti nel nostro universo.
Forse una civiltà di qualche centinaia o milioni di anni superiore alla nostra, ha già risolto l’incognita dei viaggi in pianeti lontani, anche se a noi potrebbe sembrare fantasioso, un po’ come per una formica percorrere il tragitto Milano-Roma.
Cosa giustifica l’intolleranza o il fastidio di molti, quando si parla di extraterrestri o di ufo?
Se la rivoluzione copernicana, ha allontanato l’uomo dal centro dell’universo, una “rivoluzione” in questo senso porterebbe la nostra civiltà, necessariamente in rapporto ad altre. Non posso essere certa dell’esistenza di civiltà extraterrestri, né effettivamente convinta di possibili visite nell’antichità, sul nostro satellite e sulla Terra, da parte di esseri alieni. Ma vi racconto cosa mi è successo…
In questo filone possibilista, si colloca <Non ditelo a mia madre>.”

Magazzini Fotografici Napoli – dal 24 gennaio 2020

Altre info qua

Memoria e passione. Da Capa a Ghirri. Capolavori dalla Collezione Bertero

Mostra a cura di Walter Guadagnini, con la collaborazione di Barbara Bergaglio e Monica Poggi

Con Memoria e passione. Da Capa a Ghirri. Capolavori dalla Collezione Bertero, dal 20 febbraio al 10 maggio 2020, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia si anima attraverso le storie e i racconti celati nelle immagini più significative della Collezione Bertero, raccolta unica in Italia per originalità dell’impostazione e qualità delle fotografie presenti.

Tra le oltre duemila immagini che compongono la collezione, i curatori ne hanno scelte più di duecento, realizzate da circa cinquanta autori provenienti da tutto il mondo: tra i tanti, spiccano i nomi di Bruno Barbey, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Robert Capa, Lisetta Carmi, Henri Cartier-Bresson, Mario Cattaneo, Carla Cerati, Mario Cresci, Mario De Biasi, Mario Dondero, Alfred Eisenstaedt, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Jan Groover, Mimmo Jodice, William Klein, Herbert List, Duane Michals, Ugo Mulas, Ruth Orkin, Federico Patellani, Ferdinando Scianna, Franco Vimercati e Michele Zaza.

Curata da Walter Guadagnini, direttore di CAMERA, con la collaborazione di Barbara Bergaglio e Monica Poggi, la mostra racconta il nostro passato e le radici del nostro presente, oltre all’evoluzione della fotografia italiana e internazionale di un intero trentennio.

20 febbraio – 10 maggio 2020 – Camera – Centro Italiano per la Fotografia – Torino

Altre info qua

Helmut Newton – Works

A cura di Matthias Harder, curatore della Helmut Newton Foundation di Berlino

La GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino apre la stagione espositiva del 2020 inaugurando la grande retrospettiva Helmut Newton. Works, promossa da Fondazione Torino Musei e prodotta da Civita Mostre e Musei con la collaborazione della Helmut Newton Foundation di Berlino.

Il progetto espositivo è di Matthias Harder, direttore della fondazione tedesca, che ha selezionato 68 fotografie con lo scopo di presentare una panoramica, la più ampia possibile, della lunga carriera del grande fotografo che sin dagli inizi non ha mai smesso di stupire e far scalpore per i suoi concetti visivi veramente unici. Il risultato è un insieme di opere non solo particolarmente personali e di successo, ma che hanno raggiunto un pubblico di milioni di persone anche grazie alle riviste e ai libri in cui sono apparse, e alle mostre delle sue foto.

Nel percorso di mostra si spazia dagli anni Settanta con le numerose copertine per Vogue, sino all’opera più tarda con il bellissimo ritratto di Leni Riefenstahl del 2000, offrendo la possibilità ai visitatori di comprendere fino in fondo il suo lavoro come mai prima d’ora.

Quattro sezioni che rendono visibile come in questo lungo arco di tempo, Newton abbia realizzato alcuni degli scatti più potenti e innovativi del suo tempo. Numerosi ritratti a personaggi famosi del Novecento, tra i quali Andy Warhol (1974), Gianni Agnelli (1997), Paloma Picasso (1983), Catherine Deneuve (1976), Anita Ekberg (1988), Claudia Schiffer (1992) e Gianfranco Ferré (1996). Delle importanti campagne fotografiche di moda, invece, sono esposti alcuni servizi realizzati per Mario Valentino e per Thierry Mugler nel 1998, oltre a una serie di importanti fotografie, ormai iconiche, per le più importanti riviste di moda internazionali.

Il chiaro senso estetico di Newton pervade tutti gli ambiti della sua opera, oltre alla moda, anche nella ritrattistica e nella fotografia di nudi. Al centro di tutto le donne, ma l’interazione tra uomini e donne è un altro motivo frequente della sua opera.

Helmut Newton morì improvvisamente il 23 gennaio 2004 a Los Angeles, prima di poter assistere alla completa realizzazione della Fondazione a lui dedicata.

Helmut Newton Works è il titolo del grande volume edito da Taschen che comprende anche le foto esposte in mostra e ne rappresenta idealmente il catalogo.

da 30 Gennaio 2020 a 3 Maggio 2020 – GAM Torino

Tutti i dettagli qua

Frida Kahlo through the lens of Nickolas Muray

Next Exhibition e ONO arte contemporanea sono lieti di presentare “Frida Kahlo through the lens of Nickolas Muray”, una mostra che offre uno sguardo intimo e privato su Frida Kahlo, l’artista più prolifica, conosciuta e amata del Messico, attraverso l’obiettivo fotografico del suo amico di lunga data e amante, Nickolas Muray.
L’incontro tra Muray e Kahlo avviene quasi per caso nel 1931. I due iniziarono una storia d’amore che continuò per i successivi dieci anni e un’amicizia che durò fino alla sua morte, nel 1954. Le fotografie che Muray realizzò nel corso di questa relazione, che coprono un periodo che va dal 1937 al 1946, ci offrono una prospettiva unica, quella dell’amico, dell’amante e del confidente, ma al tempo stesso mostrano le qualità di Muray come ritrattista e come maestro della fotografia a colori, campo pionieristico in quegli anni. Queste immagini mettono anche in luce il profondo interesse di Kahlo per la sua eredità messicana, la sua vita e le persone per lei importati con cui la condivideva. La mostra si compone di 60 fotografie ed è presentata per la prima volta in Europa alla Palazzina di Caccia di Stupinigi dal 1 febbraio fino al 3 maggio 2020.

Dal 1 febbrario al 3 maggio 2020 – Palazzina di Caccia di Stupinigi (TO)

Altre info qua

STEFANO DE LUIGI. TELEVISIVA

È il progetto inedito “Televisiva” del fotografo Stefano De Luigi, quattro volte vincitore del World Press Photo, a inaugurare il 5 febbraio la programmazione 2020 di Other Size Gallery by Workness di Milano, che sarà interamente dedicata alla fotografia d’autore.
Nei 32 scatti in bianco e nero – esposti fino al 10 aprile nella mostra a cura di Giusi Affronti – la narrazione si concentra sull’universo televisivo italiano degli anni Novanta, la sua storia, i backstage e i personaggi, restituendo il fermo-immagine di un’epoca che ci parla in modo drammaticamente attuale anche dell’oggi.
 
In un periodo compreso tra il 1994, anno del primo governo Berlusconi, e il 2000, segnato dalla messa in onda del Grande Fratello, primo reality show italiano, Stefano De Luigi elabora il suo progetto fotografando i set televisivi di trasmissioni emblematiche di quel periodo creando un archivio di immagini dell’entertainment – di programmi come “Domenica In”, “Non è la Rai”, “I cervelloni” o “Macao” – insieme a una galleria di ritratti di presentatori e starlette, da Mara Venier a Wendy Windham, da Paolo Bonolis a Platinette.
 
Tra satira e inquietudine, la fotografia di De Luigi scruta sotto la superficie di paillettes dello spettacolo televisivo, rappresentato come un microcosmo carnevalesco di showmen, ballerine e creature circensi nate dalla fantasia degli autori tv, e restituisce una rappresentazione umana grottesca che diviene metafora della politica e della società dell’Italia di oggi. A distanza di venticinque anni dalla sua nascita, come una profezia, “Televisiva” denuncia il sistema di parole urlate e fake news, di facile sensazionalismo e di modelli di comportamento che, tra fascinazione e demagogia, si è traslato dalla dimensione virtuale della televisione al dibattito politico e alla quotidianità del paese reale.
 
Con la mostra di Stefano De Luigi, Other Size Gallery by Workness apre un nuovo corso della sua giovane storia espositiva dedicando le quattro mostre annuali alla fotografia, con una nuova direzione artistica affidata a Nora comunicazione.
Spazio che nasce nel contesto interdisciplinare di Workness, Other Size Gallery sceglie di parlare al proprio pubblico, raffinato ed eterogeneo, con il linguaggio che più di altri sa intercettare l’attualità e restituirla in molteplici forme, dalle più patinate e rassicuranti alle più scomode.
Oltre alla centralità autoriale e alla ricerca progettuale, le mostre in programmazione – tutte monografiche, realizzate in partnership tecnica con il laboratorio Linke di Milano – si ispireranno a un’estetica che si pone all’incrocio tra bellezza, tristezza, alienazione e desiderio, cercando il punto di equilibrio tra l’inquietudine e la speranza.

Dal 05 Febbraio 2020 al 10 Aprile 2020 – Other Size Gallery by Workness – Milano

Altre info qua

Mario Dondero. Le foto ritrovate. Inediti dall’archivio della vita

Il Comune di Fermo omaggia il fotoreporter Mario Dondero con la mostra “Mario Dondero. Le foto ritrovate. Inediti dall’archivio della vita”. La mostra fotografica sarà allestita presso il nuovo spazio espositivo al Terminal Mario Dondero, riaperto al pubblico dopo un lungo restauro e intitolato allo stesso fotografo.
La mostra è organizzata dal Comune di Fermo in collaborazione con Regione Marche, Soprintendenza archivistica e bibliografica dell’Umbria e delle Marche, con la curatela della Fototeca Provinciale di Fermo e dell’associazione culturale “Altidona Belvedere”. L’organizzazione e la produzione sono della società Sistema Museo. La mostra sarà visitabile fino a domenica 1 marzo 2020.
Mario Dondero, uno dei maestri del fotogiornalismo italiano ed europeo, noto e apprezzato a livello internazionale, ha eletto Fermo a sua dimora nell’ultimo periodo di vita. La mostra intende dare una visione della vasta produzione inedita di Dondero. La maggior parte delle foto esposte è presentata al pubblico per la prima volta.
La mostra comprende circa 80 scatti scelti tra quelli che hanno segnato il suo percorso professionale, conosciuto soprattutto per i lavori in bianco e nero. Sono il risultato del lavoro di ricerca e archiviazione compiuto dai responsabili della Fototeca Provinciale di Fermo nel corso degli ultimi cinque anni.
Una scelta di fotografie a colori di disegnatori e grafici arricchisce l’allestimento di questa prima mostra nel Terminal a lui intitolato dall’Amministrazione Comunale di Fermo, che ha voluto così dare forma all’affetto, alla riconoscenza e alla stima per un uomo che ha partecipato con passione alla vita di questa città e del mondo.

21 dicembre 2019 – 1 marzo 2020 – Fermo (FM), Terminal Mario Dondero

Altre info qua

STARDUST BOWIE BY SUKITA

It was 1972 that I started it.
And I’m still looking for David Bowie even now”
Masayoshi Sukita

L’associazione culturale Tempi Moderni, con il supporto della Regione Campania e ONO arte contemporanea sono lieti di presentare la mostra “Stardust Bowie by Sukita”, una retrospettiva dedicata al quarantennale rapporto professionale e personale tra David Bowie, una delle più importanti icone della cultura popolare contemporanea, e il maestro della fotografia giapponese Masayoshi Sukita, probabilmente il più importante fotografo col quale David Bowie abbia mai lavorato. La mostra sarà aperta dal pubblico, presso gli spazi di Palazzo Fruscione, dal 4 gennaio al 27 febbraio 2020. L’evento è promosso con il patrocinio del Comune di Salerno e del Dipartimento degli studi politici e sociali dell’Università di Salerno.
La mostra (4 gennaio – 27 febbraio 2020), organizzata da Associazione Culturale Tempi Moderni, con la collaborazione della SCABEC Regione Campania per le attività di promozione e comunicazione, e curata da ONO arte contemporanea, si compone di oltre 100 fotografie, alcune delle quali esposte in anteprima nazionale, e ripercorre il sodalizio durato oltre quarant’anni tra la leggenda del pop e uno dei maestri della fotografia di rock. Il rapporto di collaborazione tra Bowie e Sukita nasce nel 1972 quando il fotografo arriva a Londra per immortalare Marc Bolan e i T-Rex e, sebbene ignaro su chi fosse David Bowie, decide di andare ad un suo concerto perché irresistibilmente attratto dal manifesto che lo promuoveva e raffigurava Bowie con una gamba alzata, su sfondo nero. Di quel momento Sukita ricorda: “Vedere David Bowie sul palco mi ha aperto gli occhi sul suo genio creativo. In quella circostanza osservai Bowie esibirsi con Lou Reed ed era davvero potente… Bowie era diverso dalle altre rock star, aveva qualcosa di speciale che dovevo assolutamente catturare con la mia macchina fotografica”. Sukita riesce ad incontrare Bowie di persona grazie all’aiuto dell’amica e stylist Yasuko Takahashi, pioniera di questo mestiere in Giappone nonché mente dietro alle prime sfilate di londinesi di Kansai Yamamoto, lo stilista che disegnò i costumi di scena di Bowie durante il periodo di Ziggy Stardust, ritratti anche nelle foto in mostra. La Takahashi propose un portfolio con i lavori di Sukita, all’epoca composto per lo più da campagne pubblicitarie e fotografia di moda, all’allora manager di Bowie che gli accorda uno shooting. Bowie rimane folgorato dallo stile di Sukita e, sebbene il servizio proceda nel completo silenzio a causa della barriera linguistica, tra i due scatta qualcosa, un comune sentire basato sulla continua ricerca artistica che porta alla nascita di una relazione professionale e umana tra i due che sarebbe durata fino alla scomparsa di Bowie. Nel 1973 Sukita ritrae di nuovo Bowie, sia negli Stati Uniti che durante il suo primo tour in Giappone, ma l’incontro indubbiamente più significativo avviene nel 1977 quando Bowie torna a Tokyo per la promozione dell’album “The Idiot” di Iggy Pop, che aveva prodotto. Sukita segue i due per la conferenza stampa promozionale e i concerti ma durante un day off chiede a Bowie e Iggy Pop di posare per lui in una breve sessione fotografica. In appena due ore, una per ogni artista, Sukita scatta 6 rullini e realizza anche la fotografia che non sapeva sarebbe divenuta la celebre copertina dell’album “HEROES”, una degli scatti più iconici nella storia della cultura popolare. Fu proprio Bowie infatti a contattare Sukita qualche mese dopo, quando doveva scegliere l’artwork per la copertina del suo nuovo disco, e a chiedere di poter una delle immagini di quello shooting, e nello specifico proprio quella indicata dal fotografo come la sua preferita. Durante il corso degli anni Bowie e Sukita lavorano assieme in quasi tutte le occasioni in cui il primo si trovava in Giappone o in cui il fotografo si trova negli stati uniti, ma ai servizi posati in studio seguono presto sessioni fotografiche più intime e personali, come ad esempio quella realizzata a Kyoto nel 1980, in quelle che erano giornate di pura vacanza. Il rapporto privato che si era instaurato tra i due, alimentato da un ricco interscambio culturale, ha infatti permesso la nascita di alcuni delle immagini più famose dell’artista britannico ma anche delle fotografie che ne mostrano la natura più vera.

Dal 04 Gennaio 2020 al 27 Febbraio 2020 – Palazzo Fruscione – Salerno

Altre info qua

GABRIELE BASILICO | METROPOLI

Dedicata a uno dei maggiori protagonisti della fotografia italiana e internazionale, la mostra è incentrata sul tema della città con 270 immagini circa datate dagli anni Settanta ai Duemila, alcune delle quali esposte per la prima volta in questa occasione.
La città è sempre stata al centro delle indagini e degli interessi di Gabriele Basilico (Milano 1944-2013). Il tema del paesaggio antropizzato, dello sviluppo e delle stratificazioni storiche delle città, dei margini e delle periferie in continua trasformazione sono stati da sempre il principale motore della sua ricerca.

Nella mostra vengono messe a confronto opere realizzate nelle numerose città fotografate, tra le quali Beirut (con le immagini del 1991 e quelle del 2011), Milano, Roma, Palermo, Napoli, Barcellona, Madrid, Lisbona, Montecarlo, Parigi, Berlino, Buenos Aires, Gerusalemme, Londra, Boston, Tel Aviv, Istanbul, Rio de Janeiro, Mosca, San Francisco, New York, Shanghai, accostate secondo analogie e differenze, assonanze e dissonanze, punti di vista diversi nel modo di interpretare e di mettere in relazione lo spazio costruito.

Il percorso espositivo si articola in cinque grandi capitoli: “Milano. Ritratti di fabbriche 1978-1980”, il primo importante progetto realizzato da  Basilico; le  “Sezioni del paesaggio italiano”, un’indagine sul nostro Paese suddiviso in sei itinerari realizzata nel 1996 in collaborazione con Stefano Boeri e presentata alla Biennale Architettura di Venezia; “Beirut“, due campagne fotografiche per la prima volta esposte insieme, realizzate nel 1991 in bianco e nero e nel 2011 a colori, la prima alla fine di una lunga guerra durata oltre quindici anni, la seconda per raccontarne la ricostruzione; “Le città del mondo”, un viaggio nel tempo e nei luoghi da Palermo, Bari, Napoli, Genova e Milano sino a Istanbul, Gerusalemme, Shanghai, Mosca, New York, Rio de Janeiro e molte altre ancora; infine  “Roma”, la città nella quale Basilico ha lavorato a più riprese, sviluppando progetti sempre diversi fino al 2010, in occasione di una stimolante quanto impegnativa messa a confronto tra la città contemporanea e le settecentesche incisioni di Giovambattista Piranesi.

Oltre alle opere in mostra, viene proposta un’ampia biografia illustrata che racconta attraverso brevi testi e immagini il percorso artistico e professionale di Basilico (più volte infatti le due sfere si sono incrociate) e tre video: il primo realizzato da Tanino Musso nel 1991 a Beirut e rimontato da Giacomo Traldi che ha rielaborato anche un’intervista del regista Amos Gitai del 2012 dedicata a Roma e a Piranesi. Il terzo video, “A proposito di Sezioni del Paesaggio italiano”, è un’intervista a Stefano Boeri realizzata da Marina Spada nel 2002.

25 gennaio > 13 aprile 2020 – Palazzo delle Esposizioni Roma

Altre info qua

KENRO IZU. REQUIEM FOR POMPEI

Fondazione Modena Arti Visive presenta dal 6 dicembre 2019 al 13 aprile 2020 una mostra di grande suggestione dedicata a Pompei, a cura di Chiara Dall’Olio e Daniele De Luigi. L’esposizione è co-promossa dal Parco archeologico di Pompei che per l’occasione presterà alcune riproduzioni dei celebri calchi in gesso delle vittime dell’eruzione e che successivamente la ospiterà nei propri spazi espositivi.

Protagonista è il fotografo giapponese Kenro Izu (Osaka, 1949), da sempre affascinato dalle vestigia delle civiltà antiche che lo hanno portato a realizzare delle serie di immagini all’interno dei siti archeologici più importanti e conosciuti al mondo, dall’Egitto alla Cambogia, dall’Indonesia all’India, dal Tibet alla Siria.

A Modena, Kenro Izu presenta Requiem for Pompei, un progetto iniziato nel 2015, in collaborazione con Fondazione Fotografia Modena, dedicato alla città campana distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. e sepolta sotto la cenere e i lapilli. Gli scavi archeologici hanno restituito non solo gli edifici, ma anche le forme esatte dei corpi degli abitanti nel momento della morte, grazie ai calchi eseguiti sui vuoti che essi hanno lasciato sotto la coltre pietrificata.

L’esposizione propone una selezione di 55 immagini inedite, donate da Kenro Izu alla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, scattate tra le rovine di Pompei, dove l’artista ha collocato, con un poetico gesto di pietà, le copie dei calchi originali dei corpi che spiccano come bianche sagome umane.

L’intenzione di Kenro Izu non è quella di documentare i resti di Pompei, quanto di trasmettere il carattere sospeso fra meraviglia e distruzione che proviene dalle rovine, insistendo sull’idea di quanto è rimasto, il giorno dopo l’eruzione del Vesuvio.

Kenro Izu, che sarà anche visiting professor del Master sull’immagine contemporanea della scuola di alta formazione di Fondazione Modena Arti Visive, sarà protagonista dell’artist talk Kenro Izu: Pompei tra storia, materia e spirito, in dialogo con i curatori della mostra, mercoledì 11 dicembre alle ore 18 negli spazi di FMAV – MATA.

06 dicembre 2019 – 13 aprile 2020 – FMAV – MATA – Modena

Tutti i dettagli qua

SUSAN MEISELAS. INTIMATE STRANGERS

E’ una delle pioniere del fotogiornalismo moderno, che con le sue tecniche e serie fotografiche ha rivoluzionato il reportage. Susan Meiselas, (Baltimora, 1948), fotografa tra le prime donne ammesse alla celebre agenzia Magnum Photos,arriva a Palermo sabato 14 dicembre per inaugurare la sua mostra al Centro Internazionale di fotografia di Palermo diretto da Letizia Battaglia.

Intimate strangers, questo il titolo dell’esposizione, presenta Carnival Stripes e Pandora’s Box, due dei lavori più potenti  della pluripremiata autrice, nota per aver fatto della fotografia un importante mezzo di denuncia sociale per combattere ogni tipo di violenza, da quella domestica – che racconta in vari progetti come Archives of Abuse e (1992), Room of their Own (2017)- a quella delle guerre (celebre il suo reportage sulla guerra civile in Nicaragua) oltre che strumento di impegno civile per la difesa dei fondamentali diritti umani, e in particolare delle donne, per cui quest’anno ha vinto il premio Women In Motion. 

In Carnival Strippers, confluisce un lavoro lungo tre estati consecutive, dal 1972 al1975, in cui la Meiselas segue le spogliarelliste delle fiere di paese in New England, Vermont e South Carolina. Una documentazione attenta e scrupolosa fatta delle istantanee in bianco e nero non soltanto delle esibizioni sul palcoscenico ma anche  dei loro momenti più intimi, alla quali la fotografa affianca le registrazioni audio delle voci delle protagoniste da lei stessa intervistate. Il risultato è un racconto multimediale che per la sua originalità e profondità segna un punto di svolta nella storia del fotogiornalismo, aprendo alla Miselan le porte della Magnum, la più ambita e celebre agenzia di fotogiornalismo del mondo di cui entra a far parte nel 1967.
Da quel momento il coinvolgimento dei soggetti fotografati attraverso la testimonianza diretta diventa una caratteristica del lavoro di Susan Meiselas, una metodologia d’indagine che costituisce per l’artista non solo una pratica analitica ma anche una forma di impegno civile. 

Risale a vent’anni più tardi, Pandora’s Box  (1995) -seconda parte del percorso espositivo- reportage che può considerarsi l’ideale prolungamento di Carnival Strippers . La serie realizzata in un club sadomaso di New York, svela l’esistenza di un altro rapporto con la violenza e il dolore, che qui è cercato e auto-inflitto per scelta.
Pandora’s Box ci trasporta in un luogo esclusivo di 4000 metri quadrati all’interno di un loft di Manhattan, definito la ‘Disneyland della Dominazione’.
Oscuramente teatrali e allo stesso tempo non studiate, queste fotografie esplorano una rete di stanze opulente e di set di uno storico “dungeon” newyorkese, dove la protagonista Mistress Raven insieme al suo staff di 14 giovani donne, si esibisce in riti di dolore e piacere fortemente formalizzati.

La mostra (fino al s’inserisce nell’ambito della programmazione del Centro Internazionale di fotografia di Palermo dedicata ai grandi fotografi contemporanei in collaborazione con Magnum Photos, che ha già visto protagonisti Joseph Koudelka e Franco Zecchin. 
Nata nel 1948 a Baltimora, Stati Uniti, Susan Meiselas è fotografa documentarista membro dell’Agenzia Magnum sin dal 1976. Vive e lavora a New York. L’importanza della sua fotografia viene notata con il lavoro nelle zone di conflitto dell’America Centrale (1978-1983). I suoi lavori e le sue opere sono spesso di lungo periodo: i soggetti coinvolti e presenti nelle opere, spaziano la gamma degli argomenti da lei affrontati, dalla guerra alle questioni dei diritti umani, dall’identità culturale all’industria del sesso. Suoi sono i lavori di Carnival Strippers (1976), Nicaragua (1981), Kurdistan: In the Shadow of History (1997), Pandora’s Box (2001), Encounters with the Dani (2003), Prince Street Girls (2016) and A Room Of Their Own (2017).
Susan Meiselas è riconosciuta a livello internazionale soprattutto per i suoi lavori legati ai diritti umani in America Latina, tanto che le sue immagini sono presenti in mostre permanenti sia in America che in tutto il mondo. Nel 1992 viene premiata con il MacArthur Awardand, nel 2015 il Guggenheim Fellowship. Di recente è stata anche riconosciuta con il premio Deutsche Börse Photography Foundation Prize 2019.

Dal 15 Dicembre 2019 al 16 Febbraio 2020 – Cantieri Culturali alla Zisa – Palermo

Prima Visione 2019 | I fotografi e Milano

Si rinnova l’incontro tra Milano e la fotografia all’appuntamento numero quindici di “Prima Visione. I fotografi e Milano”, la mostra ideata dalla Galleria Bel Vedere e dal 2010 in collaborazione con il G.R.I.N., l’associazione dei photo-editor italiani.
Queste immagini quasi tutte a colori che mostrano una Milano all’apparenza sconosciuta e addirittura misteriosa, documentano la grande evoluzione della città. Con sguardi delicati, attenti e talvolta insoliti, i quarantotto autori invitati all’edizione di quest’anno raccontano, o meglio, testimoniano, la realtà di una metropoli sempre diversa, innovativa, più vivace e vivibile e ancor oggi in continua trasformazione. Tra le proposte selezionate che svelano tratti di una città autentica e sempre più cosmopolita, accanto ai nuovi e ai vecchi edifici e ai monumenti storici, agli interni, ai musei e alle abituali periferie, spiccano i paesaggi urbani pieni di grattacieli, le visioni dall’alto, gli scorci notturni e anche qualche spicchio verde. Fanno sognare alcune fotografie, spesso romantiche e suggestive, ricche di ombre e tramonti: tanti infine i momenti di vita quotidiana con il traffico, o le automobili al drive-in e con le persone in posa, ritratte al parco, in centro, sul tram, in manifestazione, al bar o durante i giochi in acqua.
Gli autori in mostra:
Fabrizio Annibali, Enzo Arnone, Riccardo Bagnoli, Isabella Balena, Liliana Barchiesi, Giuseppe Biancofiore, Silvia Bottino, Leonardo Brogioni, Riccardo Bucci, Lorenzo Ceva Valla, Marisa Chiodo, Matteo Cirenei, Gabriele Croppi, Isabella De Maddalena, Mario Ermoli, Alessandro Ferrario, Angelo Ferrillo, Luigi Fiano, Giorgio Galimberti, Federico Guida, Giovanni Hänninen, Dimitar Harizanov, Marco Introini, Grazia Ippolito, Cosmo Laera, Saverio Lombardi Vallauri, Marzia Malli, Consiglio Manni, Andrea Mariani, Marco Menghi, Tanino Musso, Gianni Nigro, Thomas Pagani, Stefano Parisi, Stuart Paton, Paolo Perego, Simona Pesarini, Barnaba Ponchielli, Francesco Rocco, Filippo Romano, Francesca Romano, Sara Rossatelli, Luca Rotondo, Alberto Roveri, Dario Scalco, Livia Sismondi, Gianni Trevisani, Federico Vespignani

31 gennaio – 29 febbraio 2020 – Galleria Bel Vedere, Spazio miFAC – Milano

Altre info qua

3 Body Configurations

Dal 18 gennaio al 18 aprile 2020 la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna è lieta di presentare 3 Body Configurations a cura di Fabiola Naldi e Maura Pozzati.

Partendo dal rapporto del corpo dell’artista che agisce nello spazio pubblico e privato, la mostra offre la possibilità di vedere per la prima volta in Italia un’attenta selezione di opere fotografiche di Claude Cahun (grazie alla collaborazione con Jersey Heritage Collection), un’altrettanta e significativa selezione delle opere fotografiche di VALIE EXPORT (grazie alla collaborazione con l’Atelier VALIE EXPORT e il Museion di Bolzano) e una riproposizione di un progetto fotografico della fine degli anni Novanta di Ottonella Mocellin (grazie alla collaborazione con la galleria Lia Rumma).

L’esposizione si presenta come la possibilità di approfondire un ambito della storia dell’arte del 900 ampiamente caratterizzata dall’uso dei dispositivi extra artistici quali il corpo, la fotografia e la performance. 3 Body Configurations, infatti, prende spunto dal titolo di un progetto di VALIE EXPORT sviluppato dal 1972 al 1982.

Le tre importanti presenze sottolineano la riflessione estetica e progettuale di un’occupazione tanto fisica quanto mentale della propria identità, della propria prassi progettuale come anche della necessità di indagare i rapporti fra il corpo dell’artista e lo spazio dell’architettura, della natura e dell’illusione.

Per Claude Cahun, VALIE EXPORT, Ottonella Mocellin la fotografia si dichiara testimone infinito, immobile e indiscusso di una pratica avvenuta anche solo per un istante.

20 gennaio – 18 aprile 2020 – Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna

Altre info qua

Mostre per maggio

Ciao, ancora tantissime mostre scelte per voi nel mese di maggio.

Spero  avrete la possibilità di vederne almeno qualcuna.
Non dimenticate di dare un’occhiata alla pagina delle mostre, sempre aggiornata

Anna

WORLD PRESS PHOTO 2018

img_0863

Il Premio World Press Photo è uno dei più importanti riconoscimenti nell’ambito del fotogiornalismo. Ogni anno, da più di 60 anni, una giuria indipendente, formata da esperti internazionali, è chiamata ad esprimersi su migliaia di domande di partecipazione inviate alla Fondazione World Press Photo di Amsterdam da fotogiornalisti provenienti da tutto il mondo.

Questo anno cambia la modalità di annuncio dei premiati. La fondazione annuncia il 14 febbraio tutti i nominati in ciascuna categoria del concorso fotografico ed i sei nomi dei candidati alla foto dell’anno. I vincitori di tutte le categorie ed il vincitore della foto dell’anno, saranno rivelati alla cerimonia di premiazione che si svolgerà durante il World Press Photo Festival di Amsterdam il 12 aprile.

Per l’edizione 2018 la giuria, che ha suddiviso i lavori in otto categorie, tra cui la nuova categoria sull’ambiente, ha nominato 42 fotografi provenienti da 22 paesi: Australia, Bangladesh, Belgio, Canada, Cina, Colombia, Danimarca, Egitto, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Norvegia, Russia, Serbia, Sud Africa, Spagna, Svezia, Paesi Bassi, Regno Unito, USA e Venezuela. In totale, ci sono 307 fotografie nominate nelle otto categorie.

Lars Boering, managing director della World Press Photo Foundation:

“Il meglio del giornalismo visivo tratta di qualcosa. Dovrebbe interessare le persone a cui si rivolge. Oggi la World Press Photo Foundation continua a svolgere il ruolo che ricopre dal 1955 perché le giurie nei nostri concorsi nominano i migliori fotografi e produttori video. Il grande lavoro svolto in questa edizione 2018 del nostro concorso ci aiuta a realizzare il nostro scopo: connettere il mondo con le storie che contano”.

L’esposizione del World Press Photo 2018 non è soltanto una galleria di immagini sensazionali, ma è un documento storico che permette di rivivere gli eventi cruciali del nostro tempo. Il suo carattere internazionale, le centinaia di migliaia di persone che ogni anno nel mondo visitano la mostra, sono la dimostrazione della capacità che le immagini hanno di trascendere differenze culturali e linguistiche per raggiungere livelli altissimi e immediati di comunicazione.

27 aprile > 27 maggio 2018 – Palazzo delle Esposizioni – Roma

Altre info qua

13 maggio 2018 – 3 giugno 2018 – Galleria Carla Sozzani – MIlano

Altre info qua

Le mostre di Fotografia Europea – RIVOLUZIONI Ribellioni, cambiamenti, utopie

leadImage

La nuova edizione di Fotografia Europea si pone sotto l’egida della  “rivoluzione dello sguardo e della visione” una delle conseguenze che proprio la nascita della fotografia ha determinato.

Come al solito ricco il programma di mostre nell’ambito del Festival.

Tra le tante, segnaliamo Joel Meyerowitz e Toni Thorimbert a Palazzo Da Mosto, Luca Campigotto alla Sinagoga, Lorenzo Tricoli a Villa Zironi, una selezione di fotografi iraniani contemporanei ai Chiostri di S. Domenico, MIshka Henner alla Banca d’Italia, Simone Sapienza e Danila Tkachenko in via Secchi 11.

Dal 20 aprile al 17 giugno

Qua trovate il programma completo

Duane Michals

Vasta retrospettiva, organizzata in collaborazione con Fundacion Mapfre di Madrid, dedicata a Duane Michals, uno dei fotografi contemporanei che ha rinnovato il linguaggio fotografico con maggiore intensità. Artista in bilico tra fotografia e poesia, Michals è uno dei nomi più prestigiosi dell’avanguardia americana. Negli anni Sessanta attiva un nuovo approccio alla fotografia che non pretende di documentare il fatto compiuto, il “momento decisivo”, o di affrontare gli aspetti metafisici della vita.

“Quando guardi le mie fotografie, stai osservando i miei pensieri”  In questa frase si trova la chiave per leggere l’opera completa di Duane Michals: un’opera che corrisponde alla sua filosofia di vita.

La mostra è realizzata secondo un percorso espositivo suddiviso in sezioni che mostrano le diverse modalità espressive gradualmente inventate da Michals, nonché le diverse serie realizzate su argomenti specifici nel tempo.

4 maggio – 29 luglio 2018 – Museo Ettore Fico – Torino

Tutti i dettagli qua

Alex Majoli – Andante

La mostra segue un percorso temporale dal 1985 fino al 2018 in cui Alex Majoli indaga l’animo umano e gli elementi più oscuri della società. Un viaggio che si conclude con teatro, un’esplorazione della teatralità presente nella vita quotidiana, in cui si confondono i confini tra vita reale e finzione.

La linea sottile tra realtà e rappresentazione scenica, documentario e arte, comportamento umano e recitazione è l’esatto attrito che lo affascina e lo porta a tornare nelle strade e nei luoghi in cui la condizione umana viene messa in discussione.

Anche nella più tragica delle miserie il fotografo ravennate trova il “teatro”, l’orgoglio e soprattutto la magnificenza dello spirito dell’uomo. La carriera di Majoli, membro della prestigiosa Agenzia Magnum Photos, inizia precocemente nello studio di Casadio e Malanca, ma solo dopo aver fotografato la chiusura del famigerato manicomio sull’isola di Leros, in Grecia, trova eco nella sua forma autoriale, da cui la sua prima monografia intitolata Leros. L’iniziale interesse di Majoli per le teorie di Franco Basaglia, pioniere del moderno concetto di salute mentale e noto per aver abolito gli ospedali psichiatrici in Italia, lo porta a viaggiare in Brasile, dove gli studi e le esperienze di Basaglia vengono adottate con entusiasmo.

Nel corso di vent’anni Majoli ha fotografato il Paese sudamericano collezionando una serie scatti della complessa società brasiliana unite in un progetto tutt’ora in corso chiamato Tudo bom. Nel rappresentare attraverso le immagini le dinamiche teatrali della vita, in cui le azioni umane sembrano prendere ispirazione dallo spettacolo, Majoli si pone come artista provocatore accentuando la drammaticità della routine quotidiana con l’uso di luci artificiali. Le sue foto diventano scene in cui le persone, attraverso la loro “vita/performance”, si esprimono in quello che poi diventa un non dichiarato set cinematografico o un palcoscenico teatrale.

La mostra Andante è presentata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna e dal MAR-Museo d’Arte della città di Ravenna

15 Aprile 2018 – 17 Giugno 2018 – MAR Museo d’Arte della città di Ravenna

Tutti i dettagli qua

Robert Capa – Retrospective

Il più grande fotoreporter del mondo attraverso 100 immagini in b/n che ripercorrono i maggiori conflitti del XX secolo. Copenhagen 1932, Francia 1936-1939, Spagna 1936-1939, Cina 1938, Seconda guerra mondiale 1939-1945, Francia 1944, Germania 1945, Europa orientale 1947, Israele 1948-1950, Indocina 1954 a cui si affianca una sezione dedicata ai Ritratti di Gary Cooper, Ernest Hemingway, Ingrid Bergman, Pablo Picasso, Henri Matisse, Truman Capote, John Huston, William Faulkner e infine un ritratto del fotografo scattato da Ruth Orkin nel 1951. In collaborazione con Magnum Photos e la Regione Siciliana, Civita propone la mostra “Robert Capa Retrospective”, curata da Denis Curti.

Palermo, Real Albergo dei Poveri
25 aprile – 9 settembre 2018

Nel cuore del Maggio ‘68

A cinquant’anni dall’inizio della più grande rivoluzione sociale del secolo scorso, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia e l’Alliance française di Torino presentano, per la prima volta in Italia, una mostra dedicata al reportage fotografico realizzato da Philippe Gras a Parigi durante il Maggio ’68 e rinvenuto negli archivi dell’artista dopo la sua morte, nel 2007.

Il progetto espositivo, organizzato dall’Associazione Amis de Philippe Gras e Les films de quatre planètes con il supporto di Institut Français, ci restituisce, attraverso 43 scatti in bianco e nero, l’immagine composita di una città fra manifestazioni e scontri, animata da tensioni ideali, scossa dalla violenza e da aria di cambiamento.

Il reportage di Philippe Gras si distingue da tanta iconografia legata al ‘68 per la capacità di coniugare uno sguardo empatico con una lettura ad ampio spettro dei complessi avvenimenti di cui è testimone, come l’occupazione della Sorbona e del teatro dell’Odéon – con i celebri  interventi di Jean-Paul Sartre, Aimé Césaire e Julian Beck –  le barricate e i conflitti con le forze dell’ordine che infuocarono la notte del 24 maggio 1968; e ancora, le folle, i volti e le parole apparse su muri, monumenti e manifesti pubblicitari parigini.

Camera Torino In Project Room, dal 19 aprile al 13 maggio

Altre info qua

George Georgiou – Fault Lines/Turkey/East/West

21f62ae03d0e7c548c44d73b3f705695

La Turchia è una delle nazioni strategicamente più importanti – in bilico geograficamente e simbolicamente, tra Europa e Asia. Ma le tensioni nel cuore della Turchia stanno diventando sempre più pronunciate. Si sta verificando una lotta tra modernità e tradizione, islamismo e secolarismo, democrazia e repressione, spesso in combinazioni improbabili e contraddittorie. Allo stesso tempo, la Turchia sta subendo un rapido cambiamento, i paesaggi, le città e le città vengono rimodellate, i centri urbani “abbelliti” e grandi condomini sorgono nelle città di tutta la Turchia. Spesso l’architettura e le infrastrutture fanno parte dello stesso progetto. Le città stanno iniziando a diventare copia-carbone l’una dell’altra e la natura della comunità inizia a cambiare. Le fotografie di Georgiou esplorano e mettono in discussione questo concetto di Est / Ovest, le numerose e complesse linee di faglia che caratterizzano la Turchia contemporanea e le questioni globali riguardanti l’urbanizzazione e lo sviluppo. Viaggiando attraverso il paese e concentrandosi sulla vita di tutti i giorni e sul paesaggio rurale drammaticamente alterato, l’opera coglie gli effetti di questa modernizzazione e urbanizzazione sulla psiche nazionale e culturale del paese in un contesto di innalzamento del nazionalismo e della religione in un momento in cui la Turchia si trova ad un crocevia politico, un crocevia che definirà il suo futuro.

dal 20 aprile al 13 maggio – Gallerie QF1 e QF3 – Verona

Altre info qua

South Sudan: Walk or die The forgotten genocide – Ugo Lucio Borga

Dopo due anni dall’ultima mostra, dedicata alla guerra d’Ucraina, torna a esporre presso lo spazio di Paola Meliga Art Gallery il fotogiornalista Ugo Lucio Borga, con un reportage realizzato in Sud Sudan.

Il conflitto in Sud Sudan ha provocato il più grande esodo della storia, in Africa, dal genocidio in Rwanda. È una guerra segnata da atrocità e massacri su base etnica. Secondo l’Unicef, sono oltre 19.000 i bambini reclutati nel conflitto, 250.000 sono a rischio di morte imminente per fame, 2,4 milioni sono costretti a fuggire.

La guerra civile del Sud Sudan ha provocato una delle più gravi crisi umanitaria nel mondo.
I combattimenti infuriano in tutto il Paese: I soldati della missione UNMISS non sono in grado di proteggere i civili, venendo meno al loro mandato.
Molti giornalisti sud sudanesi sono stati incarcerati, torturati, uccisi.
Secondo l’OMS, oltre il 40 per cento della popolazione è affetta da PTSD (Sindrome da stress post-traumatico) a causa delle violenze subite.

Dal 03 Maggio 2018 al 15 Giugno – Paola Meliga Art Gallery Torino

Tutti i dettagli qua

acqua | water | 물 – koo bohnchang

„“Acqua | Water | 물” è il titolo della mostra personale dell’artista coreano Koo Bohnchang che si svolgerà all’Acquario Civico di Milano dal 12 aprile al 9 maggio 2018. Promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, Acquario Civico di Milano e Studio AKKA, curata da Roberto Mutti e Alessia Locatelli.

Una mostra in completa assonanza sin dal titolo, con il tema dell’acqua attorno a cui ruota l’identità dell’Acquario Civico di Milano. Koo Bohnchang possiede la capacità visionaria di andare oltre la complessità e il caos dell’esistente per interpretarlo come se fosse – sono parole sue – “la superficie silenziosamente ondulata di un grandioso oceano”. Queste parole sono la chiave interpretativa di un lavoro che usa la natura come un rispecchiamento dell’essere: attraverso le sue immagini, infatti, scopriamo non solo l’oggetto delle nostre osservazioni ma soprattutto noi stessi. Dietro l’apparente semplicità di un titolo come “Acqua” si nasconde la complessità di una ricerca dai forti richiami filosofici che confluisce in una visione zen dove il soggetto si rispecchia nella natura fino a identificarsi con i suoi ritmi e farli propri.
Anche dal punto di vista più strettamente linguistico le opere legate all’acqua meritano alcune considerazioni: riprendono la stessa superficie ma lo fanno in momenti diversi, colgono una medesima inquadratura ma la luce crea effetti ribaditi dalla stampa che sottolinea il susseguirsi di diverse tonalità dei grigi. In questa mostra l’allestimento è parte integrante del messaggio che richiede al visitatore di rapportarsi con tre livelli percettivi corrispondenti ad altrettanti modi di presentare le immagini. Alcune fotografie sono appese su pannelli, altre sono stampate su un supporto leggerissimo che, grazie all’allestimento che le tiene sospese nel vuoto, ripropongono quelle vibrazioni, quei fremiti, quelle fluttuazioni che l’immagine fotografica aveva immobilizzato in un frammento temporale. Il discorso non cambia ed anzi è ribadito quando le immagini appaiono in video riproponendo con un diverso mezzo lo stesso effetto, la stessa riflessione.
La mostra prevede anche una sezione dedicata a “Good-bye Paradise”, una ricerca che, per quanto appaia diversa dal punto di vista estetico con il passaggio dal bianconero al monocromo, ribadisce la visione del mondo di Koo Bohnchang e il suo modo di usare le metafore per trasmetterla. Sulla carta appaiono, realizzate con la tecnica del fotogramma, figure di animali acquatici che riempiono lo spazio muovendosi verso le più diverse direzioni. Il fotografo ci obbliga così a confrontarci con la contrapposizione dialettica fra vita e morte riflettendo sulla condizione degli animali del cui destino siamo troppo spesso artefici.

Una pluralità progettuale – indizio della capacità di osservazione del fotografo – che conduce inevitabilmente alla necessità di esprimere attraverso le immagini la sua sensibilità, che diviene empatia con il tutto“

Dal 11/04/2018 al 09/05/2018 – Acquario Civico di Milano

Forme di Paesaggio. Basilicata, 2018 – Antonio DI Cecco

Mostra fotografica di Antonio Di Cecco, nell’ambito della rassegna “Faszination Basilikata”. In occasione dell’inaugurazione della mostra giovedì, 5 aprile 2018, ore 19.00, sarà proiettato il documentario di Vania Cauzillo “Dalla terra alla luna” (2015, 37 min.), dedicato agli uomini di scienza della Basilicata.

“Una volta in cima alla ripida scalinata scavata nella roccia, il mio sguardo cerca istintivamente il mare ma l’orizzonte piatto è ancora lontano da raggiungere. Mi trovo sulle Piccole Dolomiti Lucane, una singolarità geologica dell’Appennino Meridionale. Riprendo il mio percorso verso il mare, attraverso il paesaggio osservato dall’alto e ne esploro i segni. Mi trovo in uno spazio modellato dal tempo e dall’acqua. Il territorio della Basilicata si sviluppa essenzialmente su quote montane e collinari. Continue azioni erosive generano estese aree calanchive mentre i materiali vengono portati a valle dai numerosi fiumi. Ed io non faccio altro che seguirne il corso” Antonio Di Cecco

Antonio Di Cecco, nato nel 1978 a L’Aquila dove attualmente vive e lavora, è laureato in Ingegneria Edile-Architettura con una tesi in Composizione Architettonica. Si occupa di fotografia di paesaggio urbano e architettura, oltre all’analisi dei processi di modificazione dei luoghi, con interesse specifico per l’ambito montano. É rappresentato dall’agenzia fotogiornalistica Contrasto. Nel 2013 pubblica il volume In Pieno Vuoto. Uno sguardo sul territorio aquilano (Peliti Associati), a cura di Benedetta Cestelli Guidi, con testi di Laura Moro, direttore dell’ICCD; nel 2015 le immagini del progetto entrano a far parte dell’archivio dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione. Attualmente è impegnato nel progetto Paesaggio culturale dell’Appennino sismico presso il Kunsthistorisches Institut in Florenz. Per saperne di più: www.contrastiurbani.it

Faszination Basilikata gode del patrocino della Regione Basilicata e della Università degli studi della Basilicata, del sostegno dell’Agenzia Nazionale del Turismo (ENIT) e della collaborazione della Lucana Film Commission.

da Gio 5 Apr 2018 a Dom 30 Set 2018Istituto Italiano di Cultura di Amburgo

Tutti i dettagli qua

MAN RAY. Wonderful visions

untitled

Oltre cento immagini fotografiche di Man Ray, in mostra alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di San Gimignano, dall’8 aprile al 7 ottobre 2018, ci consentono di rileggere il lavoro fotografico di uno dei più significativi artisti del XX secolo.

Universalmente noto come artista dadaista e surrealista, Man Ray è stato uno dei più grandi fotografi del XX secolo. Sperimentatore instancabile, ha reinventato tutto ciò che ha toccato: così come ha rielaborato l’invenzione dei readymades dell’amico Marcel Duchamp, trasformandoli in “oggetti d’affezione”, altrettanto ha trasformato la fotografia in “fotografia d’affezione”, cioè a funzionamento simbolico invece che a pura registrazione. Allora ogni soggetto che ha fotografato ha saputo trasformarlo, trasfigurarlo, caricarlo di senso proprio: i ritratti, gli autoritratti, i nudi, gli still life, le composizioni più complesse, ma anche la fotografia di moda, quella di pubblicità. Per non parlare delle reinvenzioni di tecniche particolari come il fotogramma, ribattezzato rayograph e sublimato surrealisticamente, e la solarizzazione, attraverso la quale ha restituito l’aura ai ritratti e ai corpi.

Scrive Elio Grazioli, il curatore della mostra: “L’affezione è ciò che crea il mistero, è il sentimento segreto che resta enigmatico al di là dello svelamento simbolico, è una dimensione privata in più di cui si carica l’oggetto, fotografia compresa, e lo sguardo, che si fa ‘incantato’”.

Man Ray trasforma ogni immagine in un enigma che indica come nel reale, anche il più abituale, sia nascosto un mistero. Tutto diventa strano, inconsueto, inatteso e si carica di un senso imprevisto, un significato non riconducibile a una formula, a un messaggio, ma sospeso, straniante, che conserva la sua enigmaticità.

Anche un abito, un cappello, un accessorio diventa un punto di domanda sul corpo, sul volto, sul braccio su cui è posato.

La mostra testimonia, nelle sue tappe fondamentali e attraverso alcune delle opere più famose, il Man Ray fotografo, ma finalmente con un taglio particolare, solo apparentemente dato per acquisito ma in realtà sempre rimesso in discussione, ovvero quello che afferma l’equivalenza tra il fotografo artista, quello di moda, di pubblicità, di fotografia pura. Ciò che accomuna e lega in un unico gesto creativo è lo sguardo, quello che trasforma tutto in “meravigliose visioni”.

8 aprile — 7 ottobre 2018 San Gimignano, Galleria di Arte Moderna e Contemporanea

Tutti i dettagli qua

Arma il prossimo tuo

locandina.jpg

Al Museo Nazionale del Risorgimento, dal 1 marzo al 9 settembre 2018 una mostra fotografica che ricerca e racconta come forse mai si sia fatto finora un aspetto poco rivelato: la fede in Dio e il dovere di combattere in nome di Dio, oggi come ieri.

Centodieci scatti realizzati dai fotoreporter Roberto Travan e Paolo Siccardi.

Repubblica Centrafricana, Sud Sudan, Kosovo, Siria, Afghanistan, Israele, Ucraina: sono solo alcuni dei luoghi del mondo devastati negli anni più recenti e ancora oggi da guerre. Magari scoppiate per motivi diversi (politici, economici, etnici), ma tutte accomunate da una sottile linea rossa, non sempre visibile, capace però di alimentare conflitti che per questo paiono non poter finire: la religione, il dovere di combattere in nome di Dio.

Nasce da qui Arma il prossimo tuo. Storie di uomini, conflitti, religioni. Una mostra fotografica che racconta le testimonianze raccolte nelle trincee, nelle chiese e nelle moschee distrutte, tra le popolazioni ridotte in miseria e disperazione.  Una ricerca che Roberto Travan, autore del progetto, ha realizzato con Paolo Siccardi. I due fotoreporter hanno selezionato tra le centinaia di fotografie scattate in conflitti sovente lontani dai riflettori dell’informazione: le vittime nei campi di battaglia, i villaggi depredati, i profughi in fuga. Ne emerge un aspetto sinora poco raccontato: la fede in Dio.

La mostra è organizzata dal Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, in collaborazione con il Consiglio regionale del Piemonte, con il supporto di Fujifilm Italia.

Centodieci scatti che catturano l’attenzione e generano forti emozioni. A condurre il visitatore le parole del giornalista Domenico Quirico: “Queste foto sono lampi di crudo dolore. La guerra e i segni di dio: piccoli e grandi, pendagli e lapidi, chiese e moschee, segni tracciati sui muri e scritte che gridano dio come documentano queste fotografie strazianti che grondano ancora dolore. La fede ottiene dall’essere umano ciò che nessun’altra dottrina ha mai ottenuto. Nel bene e nel male”.

Il progetto vuole dunque fare emergere i modi in cui la fede viene vissuta nelle zone teatro di conflitti. Si tratta di un’idea originale che sfrutta appieno il potere delle immagini rispetto ad altri mezzi di comunicazione. Il linguaggio scelto infatti è quello della fotografia di reportage, genere che coniuga ricerca personale e rigore giornalistico e garantisce una narrazione omogenea e profonda, in linea con la tradizione del fotogiornalismo di guerra.

L’esposizione è suddivisa in quattro macro aree:

Balcani (Bosnia, Serbia, Kosovo, Albania)

Europa e Caucaso (Ucraina, Nagorno-Karabakh)

Medio Oriente (Afghanistan, Iraq, Cisgiordania, Golan, Siria, Isreale,)

Africa (Repubblica Centraficana, Sud Sudan)

Luoghi in cui si continua a pregare. E a uccidere – e morire – in nome di Dio.

1 marzo al 9 settembre 2018 –  Museo Nazionale del Risorgimento

Tutte le info qua

Jason Fulford – Work in progress

fulford_1.jpg

A cura di Studio Blanco

Work In Progress è uno sguardo d’autore sul famoso metodo educativo Reggio Approach. Il fotografo americano Jason Fulford ha avuto una settimana di tempo per indagare luoghi, materiali, volti e relazioni che si creano nei laboratori del Centro Internazionale Loris Malaguzzi. Il risultato è una mostra ed una pubblicazione sperimentale, che aggiunge strati di significati all’esperienza educativa reggiana, proponendo nuove traiettorie e contesti.

Dal 20.04 al 20.05 –  Studio Blanco / Palazzo Brami Reggio Emilia

Altre info qua

Daring&Youth – Yulia Krivic

Nell’ambito del circuito OFF di Fotografia Europea, la mostra Daring&Youth porta in Italia il progetto fotografico della giovane artista ucraina Yulia Krivich, ispirato agli account Instagram di un gruppo di hooligan di estrema destra ucraini.  Krivich, colpita dalle modalità di narrazione che questi ragazzi adottano sui social media, ha deciso di seguirli nella vita reale, appropriandosi del linguaggio visuale con cui essi stessi si raccontano.

Ne risulta una quotidianità all’apparenza famigliare, ma abitata da dettagli che aprono uno squarcio su una realtà violenta e totalmente estranea: è così che, in uno scatto di Yulia, così come in un post dei ragazzi stessi, i colori delicati e l’atmosfera sospesa distraggono dalla pistola che sporge dai pantaloni di un ragazzo, o da una svastica tatuata.

Curata dal collettivo kublaiklan, la mostra è accompagnata da contenuti multimediali e interattivi che incoraggiano i partecipanti ad andare oltre la patina da filtro Instagram e ad approfondire il processo creativo del progetto attraverso il proprio cellulare.

Dal 20 aprile al 27 maggio 2018 – Via Secchi 3/c, Reggio Emilia

Janet Sternburg. Overspilling World

Curata da Alessia Paladini, la mostra esposta alla Galleria Contrasto offre al visitatore un caleidoscopio di riflessi, di storie, di sensazioni e di emozioni. Janet Sternburg coglie nella propria opera fotografica l’incessante fluire del tempo e la vitalità del mondo. A ben guardare, sulla superficie sensibile, strato dopo strato si deposita la vita e il suo quotidiano. L’autrice – oltre che fotografa è scrittrice, poetessa e filosofa –, lavorando senza alcuna manipolazione ottica e utilizzando le più semplici macchine fotografiche usa e getta e i primi modelli di iPhone, registra su un piano unico i propri stati d’animo attraverso l’incontro con la realtà e i suoi diversi aspetti. In un gioco di rifrazioni si moltiplicano le esistenze e i loro significati per giungere a una sensazione di vertigine e di perdita di orientamento, scoprendosi preda nell’osservazione della sua bellezza.

dall’11 aprile al 27 luglio – Contrasto Galleria Milano

Altri dettagli qua

Fabio Moscatelli – Qui vive Jeeg

Io non sono nato qui, ci sono capitato perché così ha voluto il destino, ma a differenza di molti sono arrivato senza nutrire alcun pregiudizio.

Ho scoperto Tor Bella Monaca nel corso degli anni – sono ormai quindici – imparando ad amare un quartiere da sempre legato alla cronaca nera; una fama triste e in gran parte immeritata, che sembra oramai un marchio indelebile.

Questa però è la mia periferia, quella che amo e quella che ho cercato di raccontare attraverso la sua straordinaria normalità, con la mia fotografia: qui vivono padri, madri, uomini e donne, bambini e ragazzi che non sono poi così diversi da quelli che possiamo incontrare nei quartieri ‘per bene’.

Sono le persone che non leggerete mai sui giornali, perché a TBM non si vive solo di spaccio, di omicidi e malaffare; si lavora, si studia, si conducono vite normali, di quelle che non riempiono le pagine di cronaca.

Recentemente anche il cinema ha preso in prestito gli scenari urbani e sociali di questo quartiere: Lo chiamavano Jeeg Robot ci ha mostrato la crudezza ma anche la bontà e soprattutto l’umanità che si respira nelle nostre torri, dove non circola solo droga e delinquenza, ma anche voglia di riscatto. Mia figlia è nata qui ed io ho intenzione di farcela crescere, perché questa è ormai casa mia.

Io non sono nato qui, ma a TBM ci vivo.

Fabio Moscatelli

Dal 18 maggio al 2 giugno  –  OPS Spazio Fotografico Livorno

Tutti i dettagli qua

Isabella Sommati – Alveare

Isabella Sommati, fotografa e art director di origine livornese, si addentra negli spazi, pubblici e segreti, della squadra di calcio femminile Alveare e, attraverso una costellazione di scatti in bianco e nero, racconta micro realtà quotidiane e corpi in movimento. Muscoli contratti, vene gonfie sotto pelli giovani, segni di sbucciature sulle ginocchia, tatuaggi che si mescolano negli abbracci.

Il risultato è un universo femminile composto da interessi, cultura ed età diverse, che trovano un punto di incontro in uno sport convenzionalmente considerato maschile. Il gioco del calcio, per la squadra Alveare, intercetta legami in bilico tra la  gioia e lo sconforto dettati dall’esito di un goal e, sigla unioni consolidate prima di ogni altra cosa dalla volontà di divertirsi, di sentirsi squadra.

Si litiga, si ride, si fatica, si ascolta… e finalmente si gioca.

dal 12 al 20  maggio – Gogol and Company – Milano

Altre info qua

Dreamers. 1968: come eravamo, come saremo

Mostra fotografica e multimediale in occasione del 50° anniversario del 1968, a cura di AGI Agenzia Italia e resa possibile dalle numerose fotografie provenienti dall’archivio storico di AGI e completata con gli altrettanto numerosi prestiti messi a disposizione da AAMOD-Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, AFP Agence France-Presse, AGF Agenzia Giornalistica Fotografica, ANSA, AP Associated Press, Marcello Geppetti Media Company, Archivio Riccardi, Contrasto, Archivio Storico della Biennale di Venezia, LUZ, Associazione Archivio Storico Olivetti, RAI-RAI TECHE, Corriere della Sera, Il Messaggero, La Stampa, l’Espresso.

L’iniziativa nasce da un’idea di Riccardo Luna, direttore AGI e curata a quattro mani con Marco Pratellesi, condirettore dell’agenzia, e intende delineare un vero e proprio percorso nell’Italia del periodo: un racconto per immagini e video del Paese di quegli anni per rivivere, ricordare e ristudiare quella storia.
Da qui, AGI ha ricreato un archivio storico quanto più completo del ’68 attraverso le immagini simbolo dell’epoca. Non solo occupazioni e studenti, ma anche e soprattutto la dolce vita, la vittoria dei campionati europei di calcio e le altre imprese sportive, il cinema, la vita quotidiana, la musica, la tecnologia e la moda.

Un viaggio nel tempo fra 171 immagini, tra le quali più di 60 inedite; 19 archivi setacciati in Italia e all’estero; 15 filmati originali che ricostruiscono più di 210 minuti della nostra storia di cui 12 minuti inediti; 40 prime pagine di quotidiani e riviste riprese dalle più importanti testate nazionali; e inoltre una ricercata selezione di memorabilia: un juke boxe, un ciclostile, una macchina da scrivere Valentine, la Coppa originale vinta dalla Nazionale italiana ai Campionati Europei, la maglia della nazionale italiana indossata da Tarcisio Burgnich durante la finale con la Jugoslavia, la fiaccola delle Olimpiadi di Città del Messico.

Tutti questi temi verranno raccontati attraverso la cronaca, gli usi, i costumi e le tradizioni in diverse sezioni tematiche, dando vita e facendo immergere il pubblico in questo lungo e intenso racconto nell’Italia del ’68.

Ad accogliere i visitatori ci saranno i grandi “sognatori del futuro”; attraverso le figure e le parole di Martin Luther King e Bob Kennedy il pubblico sarà guidato all’interno della cronaca internazionale del ’68: dalla guerra del Vietnam alla segregazione razziale negli USA, dalla presidenza di Nixon alla fine della Primavera di Praga, dalla Grecia dei colonnelli al maggio francese, si ripercorreranno alcuni degli eventi che hanno influenzato e cambiato le sorti della storia del mondo.

Le occupazioni, le contestazioni e le rivolte studentesche saranno invece i temi affrontati nella sala “Il movimento fra occupazioni e tazebao – Valle Giulia”; in particolare saranno ripercorsi i tragici scontri tra studenti e forze dell’ordine avvenuti nella famosa “Battaglia di Valle Giulia” (Roma, 1 marzo 1968) e sarà, inoltre, riportato un ciclostile originale dell’epoca, per rievocare i momenti della ribellione per mezzo della stampa di volantini e giornaletti universitari. Figura chiave dei movimenti del ’68 che viene messa in evidenza in questa sezione è Pier Paolo Pasolini con il testo “Vi odio cari studenti” e la poesia “Il PCI ai giovani”.

L’esposizione proseguirà nella sala “Le due Italie: dal Belice al Piper”, nella quale saranno contrapposte le immagini delle “due Italie” che hanno, entrambe, cambiato il futuro del nostro Paese. Da un lato si vedrà l’Italia della gente comune e delle famiglie, con uno sguardo particolare al violento terremoto che colpì la Valle del Belice nella Sicilia Occidentale. Si racconterà il Piper Club di Roma, punto d’incontro di alcune famose celebrities nazionali e internazionali come l’attore Sean Connery, il cantante Adriano Celentano, il regista Federico Fellini, l’attore Alberto Sordi, l’attrice Anna Magnani, il cantante Massimo Ranieri, il regista e attore Vittorio Gassman, il cantante Domenico Modugno.

Un’altra sezione sarà dedicata alla musica italiana e internazionale e alle grandi imprese sportive del ‘68, come ad esempio la vittoria ai Campionati Europei della Nazionale Italiana a Roma contro la Jugoslavia; in questa sezione il pubblico potrà ammirare dal vivo, grazie al supporto della FIGC – Federazione Italiano Giuoco Calcio, della Fondazione Museo del Calcio e del CONI – Comitato Olimpico Nazionale Italiano, la Coppa dei Campionati Europei, la maglia della nazionale italiana indossata da Tarcisio Burgnich e la Fiaccola delle Olimpiadi del 1968.

Proseguendo nel percorso, nel porticato del Museo, i visitatori saranno catapultati in un ambiente sonoro immersi nelle voci del 1968: dalle urla degli studenti nei cortei ai discorsi dei politici, i suoni e le parole dei personaggi di quell’epoca accompagneranno il pubblico alla riscoperta di quegli anni.

Anche l’innovazione tecnologica avrà il suo spazio all’interno della mostra. Sarà presente, infatti, una sezione dedicata al grande fermento tecnologico del 1968 che culminerà con lo sbarco sulla luna di Neil Armstrong del 1969.

Al termine del percorso fotografico, all’interno dell’Auditorium del Museo, i visitatori potranno vivere una esperienza immersiva; sarà infatti riprodotto scenograficamente l’ambiente di un’aula universitaria occupata all’interno della quale il pubblico avrà la possibilità di visionare cinegiornali dell’epoca e documenti originali ceduti da AAMOOD e RAI – RAI TECHE.

La mostra è inoltre arricchita da un vasto repertorio di memorabilia e materiale d’epoca, tra cui le prime pagine dei quotidiani e delle riviste, il famoso Jukebox, e alcune magliette autografate dei giocatori che hanno vinto l’Europeo.

L’esposizione proporrà inoltre un confronto tra la comunicazione giovanile del ’68, fatta di tazebao, assemblee e giornaletti scolastici, e quella contemporanea caratterizzata dall’utilizzo dei social media, delle web radio e dei blog universitari: attraverso le immagini si racconterà come i giovani del ’68 comunicavano con quegli strumenti; in quest’ambito saranno coinvolti direttamente realtà giovanili come il magazine universitario “Scomodo”, Radioimmaginaria, il primo e unico network radiofonico in Europa creato, diretto e condotto da adolescenti, e VoiceBookRadio, webradio gestita interamente dagli studenti di varie scuole secondarie di Roma che sarà anche uno dei media partner della mostra.

Nell’ambito della mostra il pubblico stesso sarà coinvolto in prima persona attraverso un’attività social per condividere la foto preferita del ’68, inviandola ad AGI utilizzando l’hashtag #ilmio68; le foto inviate saranno proiettate a turno su un monitor a fine mostra, nel quale si snoderà così un racconto parallelo, un mosaico di storie di quell’anno che crescerà nel corso dei mesi.

Oltre all’esposizione l’iniziativa prevede l’organizzazione di un ciclo di eventi e incontri estivi, che si svolgeranno nel Chiostro del Museo, dedicati ai principali momenti musicali, sportivi, politici, culturali e cinematografici che hanno caratterizzato l’Italia nel 1968 con l’obiettivo di coinvolgere un vasto pubblico e il maggior numero di scuole. Obiettivo primario dell’iniziativa è far sì che ciascuno studente, grazie soprattutto alla partecipazione diretta alle proiezioni cinematografiche, ai dibattiti sulla politica, ai concerti musicali nonché ad altre iniziative tematiche, possa conoscere e vivere più da vicino un anno e, soprattutto, un Paese sino ad oggi studiato solamente sui libri di storia.

Dal 5 maggio al 2 settembre 2018 – Museo di Roma in Trastevere

Tutti i dettagli qua

The Fragility of Existence – Margaret Courtney-Clarke

La fragilità dell’esistenza L’ultimo lavoro di Margaret Courtney-Clarke si differenzia dai precedenti, tre libri, tre indagini sull’Africa negli ultimi quindici anni. Margaret, nata e cresciuta in Namibia, è tornata a vivere nel deserto nel 2008 per riprendersi da una malattia. In questo periodo ha avuto modo di abbracciare la realtà di quel territorio e della sua gente con una straordinaria energia, acutezza e dedizione. Queste fotografie, raccolte nel libro “Cry sadness into the coming rain”, parlano dell’esistenza, e nascono dalla profonda consapevolezza della fragilità della vita, prima di tutto la propria, colta entrando profondamente in contatto con la vita di queste persone, la loro cultura e l’attività di estrazione minerale. Lontane dalla tentazione di assumere un tono nostalgico e retorico, sono immagini grezze, che non nascondono nulla delle difficoltà di un territorio tanto inospitale, ma neanche della sua vitalità, in una visione sorprendentemente onesta e aggraziata.

Dall 8/5 al 1/6 2018 – Galleria P46 – Camogli (GE)

Per dettagli qua

Korean Dream – Filippo Venturi

Filippo Venturi continua l’indagine iniziata con “Made in Korea”, risalendo la penisola coreana al di sopra del 38° parallelo per entrare nello stato che negli ultimi tempi, più di ogni altro, è al centro dell’attenzione politica e mediatica. La repubblica del “caro leader” Kim Jong-Un infatti, con il proprio arsenale nucleare orgogliosamente propagandato, rappresenta nello scacchiere internazionale una variabile al di fuori di ogni controllo. La storia di queste terre è nota: la penisola coreana al termine del secondo conflitto mondiale venne arbitrariamente  divisa in due zone, l’una sotto l’influenza statunitense e l’altra legata alla Russia; i coreani, vittime dei giochi di potere innescati dalla guerra fredda tra le due superpotenze, si trovarono così ad affrontare una sanguinosa guerra civile le cui ferite non sono ancora risanate. Entrare e soprattutto fotografare in un paese situato all’ultimo posto della classifica sulla libertà di stampa, in cui lavita della popolazione è capillarmente controllata a partire dalla prima infanzia, non è certo semplice. L’autore sceglie volutamente un approccio distaccato, il più possibile scevro da preconcetti, inserendosi in quella corrente neotopografica (1) che evita di enfatizzare luoghi e situazioni. Eppure in questo caso le accurate composizioni, con i soggetti quasi sempre al centro dell’inquadratura, insieme alla perfetta padronanza cromatica e tonale, non fanno che rivelare e amplificare la sensazione del controllo pervasivo che si respira a Pyongyang. E ciò si percepisce non solo dalle imponenti architetture celebrative, ma anche nelle situazioni ludiche e di svago. Nei parchi giochi, negli imponenti teatri, nelle piscine o in una sala biliardo, ogni cosa pare congelata, come se tutte le manifestazioni delle umane emozioni fossero in paziente attesa di approvazione. Sotto alla superficie patinata si aprono le crepe della distopia e il Paese si rivela come un esteso Panopticon  a cielo aperto, dove scuole e istituzioni sono le centrali operative di un potere che stravolge il concetto primario dell’educare: non più ex-ducere, condurre oltre, bensì trattenere.

Fortezza del Girifalco di Cortona dal 9 maggio al 17 giugno 2018

Sara Munari- BE THE BEE BODY BE BOOM

Sara

Per Be the bee body be boom (bidibibodibibu) mi sono ispirata sia alle favole del folklore dell’Est Europa, sia alle leggende urbane che soffiano su questi territori. Un incontro tra sacro e profano, suoni sordi che ‘dialogano’ tra di loro permettendomi di interpretare la voce degli spiriti dei luoghi. Ogni immagine è una piccola storia indipendente che tenta di esprimere rituali, bugie, malinconia e segreti. L’Est Europa offre uno scenario ai miei occhi impermeabile, un pianeta in cui è difficile camminare leggeri, il fascino spettrale da cui è avvolta, dove convivono tristezza, bellezza e stravaganza: un grottesco simulacro della condizione umana. A est, in molti dei paesi che ho visitato, non ho trovato atmosfere particolarmente familiari, in tutti questi luoghi ho percepito una forte collisione tra passato, spesso preponderante, e presente. Sono anni che viaggio a est, forse il mio sguardo è visionario e legato al mondo dei giovani, a quella che presuppongo possa essere la loro immaginazione

presso la galleria FIAF c/o PHOTOCLUB EYES BFI presso il CENTRO CULTURALE OPERA – Azioni Creative  San Felice Sul Panaro (MO)

dal 14 Maggio al 24 Giugno 2018 Ore 21,30.

Brown Print – Altilia

Dopo Isernia e Sepino la mostra “Brown Print – Altilia” torna a Campobasso negli splendidi locali del Museo Sannitico in via Chiarizia, 10 grazie al Polo museale del Molise che ha messo a disposizione la location, cornice perfetta per le stampe raffiguranti l’antica città di Altilia.

La mostra “Brown Print – Altilia” prosegue un percorso di studi sulle tecniche alternative di stampa fotografica ideato e condotto dal fotografo Luigi Grassi (www.luigigrassi.com), organizzato dal Centro per la Fotografia Vivian Maier di Campobasso, con la collaborazione di Arte Studio, Me.MO Cantieri Culturali a.p.s. e il Polo Museale del Molise. Durante il corso gli studenti si sono confrontati fotograficamente con il paesaggio archeologico di Altilia e hanno avuto modo di sperimentare una tecnica di stampa artigianale. La stampa bruna si colloca indietro nel tempo – precisamente a partire dal 1889 grazie agli studi del chimico inglese W.J. Nichols – e l’obiettivo del corso e di questa mostra è quello di stabilire un legame tra antico e moderno, tra antichi metodi di stampa e tecnologia digitale. La semplicità, intesa come genuinità, insieme a una buona dose di precisione, tempo e concentrazione, della stampa bruna è il presupposto fondamentale per la creazione di immagini fotografiche di rara originalità. Oltre al procedimento tecnico, la bellezza delle immagini è il risultato anche della scelta del soggetto: il sito archeologico di Altilia. La rappresentazione fotografica dell’antico nucleo abitativo romano contribuisce a rendere ancora più singolare l’immagine prodotta attraverso la stampa bruna. Iscrizioni sparse ovunque, colonne che si innalzano verso il cielo, pietre che ancora definiscono i sentieri percorsi, le porte e le mura che invitano a entrare in città: tutti questi elementi sono stati catturati dalle immagini in mostra con lo scopo di rendere visibile agli occhi di chiunque quel valore antico ed eterno che rende unica e autentica anche la stampa bruna.

Per l’occasione Alessandra Capocefalo, archeologa, socia fondatrice dell’Associazione Me.MO Cantieri Culturali, guiderà gli ospiti in un tour virtuale dell’area archeologica di Saepinum – Altilia attraverso le immagini realizzate da Rosso Albino, Chiara Brunetti, Paolo Cardone, Rossana Centracchio, Simone Di Niro, Alexandra R. Ionescu, Lello Muzio. Il percorso si snoderà tra le immagini sottolineando i particolari più significativi di una città antica scomparsa per secoli e riemersa, in parte, negli anni ’50 del Novecento. Il municipio romano, sorto a cavallo del tratturo Pescasseroli – Candela nel tratto che attraversa la Valle del Tammaro in corrispondenza della montagna di Sepino, ha una lunga storia da raccontare a partire dalla sua prima organizzazione urbana, racchiusa all’interno delle possenti mura, che furono fatte edificare dai figli adottivi di Augusto, Tiberio e Druso. Diversi secoli di transumanza e opere pubbliche, finanziate dai membri illustri di famiglie locali che raggiunsero le più alte cariche dell’Impero, la resero uno dei municipia più importanti del Sannio molisano fino al suo progressivo decadimento che raggiunse il culmine in epoca altomedievale. Da questo momento in poi l’area sarà occupata da piccoli nuclei organizzati intorno alle aree coltivabili che conserveranno la loro fisionomia fino alla seconda metà del ‘900.

Questo percorso storico, umano e sociale, si rivelerà attraverso gli straordinari scatti della mostra “Brown Print – Altilia”, organizzata dal Centro per la Fotografia Vivian Maier di Campobasso e dal Polo Museale del Molise che si terrà a Campobasso in via Chiarizia, 10 presso i locali del Museo Sannitico.

Dal 26 aprile al 23 maggio – Museo Sannitico Campobasso

Altre info qua

Intervista a Francesco Faraci

Intervista di Simona Buscaglia

10

Tutte le immagini presenti nell’articolo sono di Francesco Faraci, vietata la riproduzione

Ragazzi di strada, prostitute, gente dei quartieri popolari palermitani e siciliani. Queste sono le coordinate del lavoro fotografico di Francesco Faraci, classe ‘83, che con il suo ultimo progetto ‘Malacarne’ ha raggiunto riconoscimenti importanti, dal PX3 – Prix de la photographie Paris al Mifa (Moscow International Foto Awards).

Sfogliando il libro Malacarne, se non si conoscesse il territorio di partenza, le immagini rappresentate potrebbero tranquillamente provenire dal Medio Oriente, o da scenari di guerra, tra paesaggi diroccati e abbandonati a se stessi. Era una precisa intenzione quella di registrare un disagio di questo tipo rendendolo simile a quello di tanti altri nel mondo?

“Il disagio è uno sfondo, è solo il contesto in cui questi ragazzi si muovono quotidianamente, non era il centro del lavoro. Al contrario, io volevo mostrare come uno spazio del genere venga in realtà vissuto da questi bambini in modo, se vogliamo, inusuale. Palermo è una città dove la vita di strada è ancora molto presente. Ho cercato di universalizzare il discorso: potrebbero essere foto di qualsiasi altra città del mondo, come Caracas, Città del Messico, Londra o Milano”

Nella descrizione del lavoro si legge: “alla fine sono solo bambini”. Ma non sono proprio bambini qualunque. Nei quartieri popolari che fanno da sfondo al progetto, spesso questi ragazzi sono infatti usati, grazie ai guadagni facili in una vita difficile, dalla criminalità organizzata. Da qui anche il riferimento al titolo, che in dialetto palermitano vuol dire ‘gente poco raccomandabile’:

“È partito come un progetto di denuncia, poi però, mano a mano che si sviluppavano i rapporti con questi ragazzi, è diventato più una forma d’amore tra me e loro. Molti di loro sono ancora troppo piccoli per essere definiti davvero ‘Malacarne’, ma il rischio che cadano nella trappola dello sfruttamento da parte della malavita c’è, è inutile nasconderlo. Io ovviamente mi auguro di no, però il rischio esiste”.

Com’è nato il progetto?

 “Con uno di questi ragazzi, per caso. Mi sono ritrovato in uno di quei quartieri e mi ha chiesto un passaggio per la stazione centrale. Durante il tragitto mi ha raccontato la sua vita e mi è venuta voglia di andare a vedere con i miei occhi”. Già, perché parliamo di quartieri dove devi andare apposta: “Poi ho dovuto far capire loro, ma anche ai parenti, e alla gente del quartiere, che ero venuto in pace, che non andavo lì per strumentalizzare. Andavo lì perché mi piaceva. Ho trovato solidarietà, persone che sono entrate in confidenza con me, facendomi spazio in quello che potrei definire un mondo nel mondo, con un suo linguaggio e i suoi modi di dire. È stato tutto un divenire, niente era prestabilito, nemmeno che io diventassi un fotografo: da un quartiere a un altro, in tre anni io sono cresciuto con loro e grazie a loro”.

Chi fa street o reportage di questo tipo, a stretto contatto con le persone e, in questo caso, anche con minori, deve fare i conti con privacy e liberatorie. Qual è stato il tuo approccio?

“Di assoluta trasparenza, anche perché io ero l’agente disturbante, esterno alla loro microsocietà. Ho cercato di pormi da palermitano a palermitano, senza atteggiamenti giudicanti, senza fare paternali a nessuno. Non sono entrato subito con la macchina fotografica, è venuta dopo, prima sono ritornato ad essere bambino con loro e in seguito la macchina fotografica è diventata invisibile”

Quale può essere una giornata tipo di questi ragazzi?

“Subito dopo la scuola stanno in strada a giocare. Io sapevo che se scendevo a tal orario, in quelle vie, li trovavo lì. Non avendo incombenze di alcun tipo, sono i più liberi di tutti: vivono per strada, perché nei quartieri popolari la vita è lì. Per il resto sono come tutti gli altri ragazzi della loro età: sognano di diventare calciatori e di fare soldi il più in fretta possibile. I quartieri sono rimasti com’erano però le aspettative sono quelle contemporanee, ricalcano la società di oggi, il telefonino d’ultima generazione e le ultime scarpe da ginnastica. L’unica differenza con gli altri ragazzi è il rischio maggiore di prendere brutte strade”

Il progetto potrebbe presto diventare una fotografia di com’era la città e di come forse fra poco non sarà più. A Palermo è in atto un restyling con interventi massicci anche nel centro storico.

“Molti palazzi sono stati acquistati da società che ne hanno fatto appartamenti, ed è tornata di moda l’idea di andare a vivere nel centro storico. Si sta popolando quindi di professionisti e architetti, e, se per qualcuno è un aspetto positivo, e in parte lo è, per il turismo magari, mi chiedo dove andranno ad abitare tutte quelle persone che nel centro storico sono state fino adesso. Verranno in qualche modo spostati, come è già successo in passato, in zone periferiche? Chi vive questi quartieri da “non residente”, non si pone spesso il problema di come e chi ci viveva prima, parlando del degrado e basta, senza chiedersi ‘perché sono venuto ad abitare qui?’ “

Ti occupi della vita di tutti i giorni della gente dei quartieri popolari, dai loro pomeriggi al mare (il quartiere Brancaccio di Padre Puglisi) alle feste tradizionali di ‘Cupe Vampe’, fino ai funerali. Perché sono il tuo soggetto preferito e perché hai scelto il bianco e nero?

“L’interesse per le zone più buie della mia terra penso che venga da tutto il mio immaginario di base, da quello che ho letto, che ho visto al cinema, che ho ascoltato, penso fra tutti a Fabrizio De Andrè. Tutto questo ha contribuito a formare la mia idea del mondo e i miei interessi. Qui, in questi quartieri, in queste storie, posso toccare la vita con mano, nella sua umanità e disumanità, qui non la sfiori, ci passi attraverso ed è il mio modo di andare dentro le cose. Prendo la macchina e cammino, non parto con l’idea di fare foto. È in sostanza il mio bisogno d’incontrare gli altri. Mi piace dare alle fotografie un aspetto atemporale, certe cose sono eterne, per questo scatto in bianco e nero già in macchina. Non è forse nemmeno una scelta stilistica o estetica, ho cominciato così istintivamente: io vedo così”.

Oltre a fotografo sei anche scrittore, quali sono le differenze che hai notato nel tuo approccio tra lo scrivere e fare foto?

“D’impatto ti direi il movimento: la scrittura la faccio sempre da seduto, è un viaggio diverso. Con la scrittura a volte dico quello che con la fotografia non riesco a esprimere e viceversa. Con la prima sai sempre dove vuoi andare, almeno parlo per me, mentre con la seconda, quando esce una buona foto è un po’ come fosse sempre un piccolo miracolo. La fotografia è più istintiva, durante non ci pensi, senti solo che quel momento deve essere immortalato”

Il contesto in cui ti muovi è e rimane la tua Sicilia. C’è una volontà precisa di raccontare la tua terra?

“C’è una voglia di ricercare dei perché: per quale motivo nasci su un’isola e non in una città? Sono probabilmente domande a cui non darò mai una risposta ma me le pongo ugualmente. Da quando ho capito che con la fotografia potevo raccontare qualcosa ho capito che ‘qua ero e qua volevo stare’. C’è già tanto materiale e voglio concentrami su quello che posso vedere aprendo le finestre di casa mia. Io mi prendo il mio spazio, il mio diritto di camminare lentamente, in contrapposizione alla velocità alla quale siamo sottoposti oggi”.
Anche nei tuoi progetti futuri rimani nella tua ‘amata/odiata’ isola

“Sì, sto facendo un viaggio nei paesi meno conosciuti della Sicilia e sto cercando di documentarli nella loro essenza, senza guardare il tipo d’umanità che troverò, vecchi o bambini; l’importante è la strada che percorro e quello che mi succede durante. Si chiamerà Atlante Umano”

Nuovi corsi per il 2017, impariamo come e cosa fotografare

sara

Buongiorno, come state? Partito bene il nuovo anno?
Vi ricordo che ci sono ancora posti disponibili per il seguenti

Corsi di fotografia

Corso di Lightroom

Corso di Banco ottico

Creare con la fotografia Gennaio 2017

Lo stile fotografico, come trovarlo Febbraio 2017

Corso di Storytelling Marzo 2017

Il portfolio fotografico, la creazione Aprile 2017

Workshop

New York

Palermo  

Chi è Sara Munari

Cosa dicono di me

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Chi sono i miei collaboratori

Fotografia in agosto…mostre da non perdere!

 

Oltre alle mostre sempre aggiornate sulla nostra pagina, per agosto ve ne proponiamo di nuove, magari vi trovate in vacanza in queste località.

Buone vacanze!

Anna

Gibellina PhotoRoad

29 LUGLIO/31 AGOSTO 2016

Mostre outdoor, talk, workshop, incontri e letture portfolio. Stampe di grande formato, proiezioni e installazioni site-specific, pensate per interagire col tessuto urbano. Siamo a Gibellina, nella Valle del Belìce, ricostruita dopo il terremoto del 1968, uno dei musei di arte contemporanea a cielo aperto più grandi del mondo.

Oggi vogliamo che Gibellina diventi “città della fotografia”, portando l’immagine contemporanea nelle piazze e negli spazi disegnati da grandi architetti e artisti. È questo Gibellina Photoroad- Festival Internazionale di Fotografia Open Air.

Coi suoi innumerevoli linguaggi, la fotografia è arte del «disordine»: mezzo ambiguo per eccellenza, fin dalle sue origini portatrice di scompiglio nelle arti, sospesa tra oggettivismo e documentazione e tra astrazione e sperimentazione. Ancor più oggi, nel caos visivo della contemporaneità, dove tutto è immagine e dove l’immagine è al centro della storia.

Proprio Gibellina – città insolita e unica, nata dal caos di un terremoto – si interroga sul «disordine». E lo fa in uno “spazio aperto”, nello spazio pubblico, privo di ogni tipo di inquinamento visivo e luminoso, tra le sue strade piene di arte e di bellezza. Perché l’arte e la creatività non possono avere costrizioni, e per questo vivono fuori dai musei.

Qua tutte le info.

Araki

affiche-araki

April 13th – September 5th 2016

Parigi Musée Guimet

A major figure in contemporary Japanese photography, Nobuyoshi Araki is known worldwide for his photographs of women bound according to the ancestral rules of Kinbaku – the Japanese art of bondage – a practice going back to the 15th century. This exhibition retraces fifty years of his work in over 400 photographs and is one of the most important ever devoted to Araki in France.

This highly significant selection, drawn from thousands of photographs the artist took between 1965 and 2016, ranges from one of the oldest series titled Theatre of love in 1965 up to hitherto unpublished works, including his latest creation in 2015, specially produced for the museum and titled Tokyo-Tombeau. Starting from the discovery of almost all the books Araki ever made, followed by an introduction to the main themes of his work – flowers, photography as autobiography, his relation with his wife Yoko, eroticism, desire, but also the evocation of death – the exhibition unfolds thematically, from the series devoted to flowers, the Tokyo scene, or again the Sentimental Journey illustrating his honeymoon trip in 1971, followed by the Winter Journey in 1990, the year of his wife’s death.

Midway through the exhibition visitors are led into Araki’s studio where they discover the extent of his photographic production, confronted with works from the MNAAG collections: prints, old photographs and books, illustrating the artist’s relations with the permanence of his Japanese inspiration. Steeped in poetry and formal research, Araki’s work is also backed up by endless experiments. The medium’s codes and stereotypes are revisited by the artist who manipulates his own negatives or occasionally covers his images with calligraphy or painting, in a bold gesture, often with a dash of humour.

Planned with works held in private and public collections (Tokyo, New York, Paris…), completed with the artist’s archives, this exhibition helps to see and understand that Araki’s art is rooted in traditional Japanese culture.

All info here

From liberty to freedom

PH NEUTRO FOTOGRAFIA FINE ART, Pietrasanta

9 luglio – 16 agosto 2016

 La Galleria PH Neutro di Pietrasanta (Via Padre Eugenio Barsanti 46) presenta, dal 9 luglio al 16 agosto, “From Liberty to Freedom”, una mostra collettiva che vede affiancate fotografie di autori internazionali (Robert Capa, Thomas Struth, Alec Soth, Sebastia Salgado) ad artisti il quale lavoro in Italia è rappresentato in esclusiva dalla Galleria (Beth Moon, Tania Brassesco & Lazlo Passi Norberto, Silvia Celeste Calcagno, Jefferson Hayman).

Il titolo della mostra intende porre l’accento sulle diverse interpretazioni in lingua anglosassone, appunto, della parola libertà, laddove – come spiega il testo critico che accompagna l’esposizione – “il termine Freedom indica una libertà che meritiamo ci venga concessa in quanto tutti uguali, mentre Liberty è la libertà che viene concessa dall’alto o conquistata con la forza”.

In esposizione, opere realizzate da artisti diversi per esperienza e linguaggio: dai soldati immortalati da Joe Rosenthal e Robert Capa con l’opera The first wave of troops landing on D-Day, i quali dovettero rinunciare a molte libertà individuali (liberty) per il raggiungimento di una libertà collettiva (freedom). Lontanissime da queste intenzioni le opere di Renate Aller, Sebastiao Salgado e Thomas Struth ricercano nella indeterminatezza degli spazi aperti un luogo “dove abbandonarsi, ritrovare la propria essenza e sentirsi parte di un tutto primordiale”.

Completano il percorso le visioni evanescenti di Beth Moon, così come le composizioni chimeriche di Kamil Vojnar e Tania Brassesco & Lazlo Passi Norberto che rifuggono da una realtà terrena, elevandosi verso una dimensione di  intangibile interiorità.

 Altre info qua

VIVIAN MAIER. Street photographer

Fino al 16 agosto – Fundaciòn Canal – Madrid

Vivian Maier, uno de los personajes más sorprendentes y mediáticos de la fotografía contemporánea, alternó su profesión de niñera con su oculta y gran pasión: realizó  más de cien mil fotografías que nunca enseñó a nadie. Tras su muerte en la indigencia y en el anonimato artístico, su archivo fue encontrado por accidente, y desde que su obra vio la luz en 2010 se ha convertido, por derecho propio, en uno de los mayores referentes mundiales de la fotografía de calle y en un fenómeno mediático.

Esta exposición hace, por primera vez en Madrid, un recorrido global por la obra de Vivian Maier, abordando de forma temática sus principales intereses y mostrando la calidad de su mirada y la sutileza con la que hizo suyo el lenguaje visual de su época. Supo captar su tiempo en una fracción de segundo. Transmitió la belleza de las cosas corrientes, buscando en lo cotidiano, en lo banal, las fisuras imperceptibles y las inflexiones furtivas de la realidad.

Tutte le info qua

Vanessa Winship – Retrospettiva

Vanessa-Winship-exposicion-centro-arte-la-regenta

Centro de Arte La Regenta – Las Palmas de Gran Canaria

22 luglio  – 24 settembre 2016

Esta exposición retrospectiva de la obra de la fotógrafa británica Vanessa Winship, propone un recorrido por las distintas series que componen su obra, desde las primeras dedicadas a los Balcanes hasta su trabajo reciente en Almería en 2014.

La exposición de Vanessa Winship se articula en torno a un recorrido cronológico por cada una de las series que componen su obra a través de una selección de 188 fotografías.

Entre 1999 y 2003, coincidiendo en el tiempo con el conflicto bélico de la ex-Yugoslavia, Vanessa Winship recorre las regiones de Albania, Serbia, Kosovo y Atenas, y crea su serie Imagined States and Desires. A Balkan Journey. Esta obra supone un paso fundamental en la formación de su mirada fotográfica y en su decisión de escapar del horizonte del reportaje de actualidad o del mero documental fotográfico. El conjunto de imágenes que conforman la serie se centra en gran parte en la tragedia del éxodo de refugiados albanokosovares desde Serbia hacia países vecinos. Se trata de una recolección de instantes que reflejan la volatilidad de las fronteras, etnias y credos y que afirman que no es el territorio el que alberga la identidad sino que es la persona quien la transporta consigo. El aspecto fragmentario de la serie, su condensación a través de microhistorias dan pie a lo que será su práctica en adelante.

En 2002 Vanessa Winship se traslada a la zona del Mar Negro y recorre durante los próximos ocho años Turquía, Georgia, Rusia, Ucrania, Rumanía y Bulgaria. Su trabajo en esta zona da lugar a una de sus series más conocidas, Black Sea: Between Chronicle and Fiction. A través de ella, la fotógrafa ofrece una visión de la zona y de los habitantes de las regiones bañadas por este mar, al que presenta como una frontera natural que contesta a cualquier noción de los límites marcados por la geopolítica o la historia, del espacio vital de cada nación, e incluso de la distinción entre espacio público y privado. Así, el trabajo de Winship se centra en lo que permanece y sobrevive al devenir político: los rituales colectivos, los medios de transporte, los espacios de ocio y el tránsito de seres humanos en torno a las costas.

En estas dos series las imágenes se acompañan por breves escritos de la artista, que sirven para expresar un único pensamiento o descripción rápida y que crean un relato deliberadamente incompleto. Para Winship estos escritos nos recuerdan el valor que el texto tiene para evocar una imagen.

En este devenir por los territorios de la Europa oriental, la serie Sweet Nothings: Schoolgirls of Eastern Anatolia (2007) resulta clave en la producción de Vanessa Winship. Se trata de un conjunto casi seriado de retratos de escolares de la zona rural del Este de Anatolia, un área fronteriza con Georgia, Armenia, Azerbaiyán e Irán. Allí, la pluralidad de etnias queda silenciada por la proliferación de uniformes, tanto escolares como militares. De algún modo, los uniformes escolares remiten a las herramientas con que cuentan los estados para clasificar a la población, “marcar” el territorio y neutralizar la pluralidad de zonas, como el Este de Anatolia, en las que las fronteras étnicas y geográficas no están tan netamente señaladas como en los mapas. Esta presencia del uniforme, supone un marco de acción, una delimitación del proyecto, que permite a Winship profundizar en su interés por el rostro, el gesto y el sentido de grupo y comunidad.

Georgia, otra de las regiones bañadas por el mar Negro, es el escenario de la serie en la que Vanessa Winship trabaja entre 2008 y 2010. En ella la artista se centra fundamentalmente en la reflexión en torno al retrato. De este modo, Georgia. Seeds Carried by the Wind dibuja un estudio específico de los rostros que la fotógrafa encontraba. Se trata de retratos de jóvenes y niños, en su mayor parte individuales que, cuando forman grupo, aparecen casi sin variación como pares del mismo sexo. La colección, parece sugerir la imagen de un país enérgico y superviviente. Estas imágenes se combinan con un conjunto de fotografías coloreadas que acompañan las lápidas de un cementerio (y que son las únicas imágenes en color de la producción de Winship). Ambos conjuntos establecen un interesante diálogo entre diferentes generaciones de georgianos y a la vez entre la propia artista y el anónimo fotógrafo original. Los paisajes y pizarras que completan este trabajo evocan de modo similar una muerte prematura. Esta serie tiene un valor clave en el trabajo de Winship por la combinación de paisaje y retrato como lugares en los que quedan inscritas las huellas de la identidad, la historia y el presente. Georgia abre un debate acerca de la práctica de ambos géneros y de la problemática y profundos significados que ambos asuntos despliegan en la obra de Winship.En 2011 Vanessa Winship recibe el prestigioso premio de fotografía Henri Cartier-Bresson. El proyecto por el que fue premiada ha dado lugar a la serie she Dances on Jackson. United States (2011-2012) realizada en Estados Unidos, país al que presenta como un gran interrogante en el que el peso del pasado reciente se manifiesta a través de obras públicas e inmuebles infrautilizados o en desuso y en el que los rostros anónimos de personas y colectivos desvelan su desilusión por las promesas del sueño americano. Esta serie supone asimismo el acercamiento definitivo de Winship al paisajismo fotográfico, género que poco a poco irá ganando terreno dentro de su producción. Breves textos escritos por la artista parecen sustituir la paulatina desaparición del retrato y funcionan como evocaciones de las narraciones de las fotografías ausentes. En she dances on Jackson el salto geográfico hacia el otro lado del Atlántico define los caracteres propios de la fotografía anterior de Vanessa Winship.

Antes de emprender su viaje a Estados Unidos, Winship trabaja en su tierra natal, localizada en el estuario del río Humber (2010), del que toma el título esta serie. En ella somos testigos de nuevo de la preeminencia que va tomando el paisaje en su obra. Este proceso culmina de forma magistral en su obra más reciente, Almería. Where Gold Was Found (2014), que supone la reafirmación de su trabajo como fotógrafa de paisaje; a pesar de la total ausencia de figura humana y el aspecto silencioso de la serie, en cada una de sus imágenes resuenan las voces que han pisado estos parajes, cargados ahora de contenido latente. En enero 2014, con motivo de esta exposición e inspirada por la lectura de Campos de Níjar de Juan Goytisolo, Winship se desplaza a Almería, lugar de carácter fronterizo, extraordinaria variedad geológica, marcado por el desarraigo y por una historia accidentada y desigual. La serie se centra en las formas geológicas de las costas del Cabo de Gata, en la desolación paisajística provocada por la propagación de la producción agrícola intensiva basada en el invernadero, en las impactantes formas de las canteras de Macael o en las ramblas y desiertos de Tabernas. La tierra del oro, el cine, el mármol y el plástico parece situarse en un ámbito suspendido en el espacio y en la historia en unas fotografías que hablan de la rápida transformación de esta zona y del silencioso paisaje humano que la habita. Almería, en las fotografías de la serie, aparece como un paisaje atomizado en el que la urbanización y lo rural se tocan y en el que ese no-lugar que es el invernadero parece resumir toda la inestabilidad y vulnerabilidad de la zona, en estrecha conexión con el resto de lugares del mundo que Winship ha fotografiado.

Altre info qua

Ceramica, latte, macchine e logistica – Fotografie dell’Emilia-Romagna al lavoro

Mast Bologna – fino al 18 settembre

La Fondazione MAST presenta le mostre dedicate al lavoro e al paesaggio dell’Emilia-Romagna con oltre 200 immagini e una trentina di volumi fotografici su ambienti, contesti e realtà della regione. I temi delle esposizioni sono valorizzati dal documentario di Francesca Zerbetto e Dario Zanasi,  Le radici dei sogni – L’Emilia-Romagna tra cinema e paesaggio.

Ceramica, latte, macchine e logistica – Fotografie dell’Emilia-Romagna al lavoro, curata da Urs Stahel, propone attraverso gli scatti di importanti fotografi una riflessione sullo sviluppo economico e paesaggistico che ha interessato l’Emilia-Romagna negli ultimi decenni.

Le esposizioni al MAST sviluppano il tema della Via Emilia che caratterizza la XI edizione di Fotografia Europea 2016 indirizzandolo alla rappresentazione fotografica del lavoro,  dell’industria e dell’economia, in linea con la missione primaria della Fondazione MAST.

La mostra intende creare una trama narrativa organizzata per gruppi di fotografie contrapposte “Immagini a cui è affidato il compito di raccontare – spiega Urs Stahel – come le vecchie industrie scompaiano, sostituite da nuovi impianti e sistemi produttivi ad altissimo contenuto tecnologico, come al paesaggio tradizionale e ad un territorio dal sapore antico si contrappongano le nuove aree del terziario avanzato, dei commerci, della tecnica, dell’accelerazione e come simili fenomeni siano riscontrabili, non solo nei settori dell’industria meccanica e della ceramica, ma anche in quelli della produzione alimentare e della piccola impresa.”

 Le opere dei fotografi insieme ad alcune immagini di scena tratte dal film Il deserto rosso (1964) di Michelangelo Antonioni concorrono a creare un racconto che rappresenta fedelmente l’evoluzione economica dell’Emilia- Romagna e la trasformazione in atto nel sistema produttivo.

Si inizia con il classico ritratto di un operaio bolognese realizzato da Enrico Pasquali, seguito da immagini di dispositivi e attrezzi prodotti dalle Officine Minganti intorno alla metà del XX secolo e da macchine confezionatrici dismesse fotografate da Gabriele Basilico in uno stabilimento in fase di smantellamento e riconversione a  Bologna. William Guerrieri, nel progetto Dairy, mostra ad esempio, la dismissione di un caseificio indstriale a San Faustino, nei pressi di Rubiera, gli scatti di Paola De Pietri rappresentano la lavorazione tradizionale delle ceramiche, mentre le immagini di grande formato di Carlo Valsecchi rivelano industrie ad altissimo contenuto tecnologico. Il cambiamento dato dall’accelerazione sulle strade e nelle nuove linee ferroviarie è visibile nelle fotografie sulla costruzione della TAV, la linea ferroviaria ad alta velocità che collega Torino a Napoli, di Tim Davis, John Gossage, Walter Niedermayr e Bas Princen in contrasto con le immagini idilliache del Delta del Po realizzate da Marco Zanta. I paesaggi di Guido Guidi, piccole foto a colori, dense di significato disseminate lungo il percorso espositivo come un leitmotiv, raccontano i cambiamenti avvenuti nell’ambiente antropizzato dell’Emilia- Romagna assieme alle fotografie che Olivo Barbieri ha dedicato a Cavriago e alle code davanti alle casse dei centri commerciali, rappresentando visivamente la graduale metamorfosi subita dal paese. Il video La Via Emilia è un aeroporto di Franco Vaccari presenta l’arteria stradale che taglia la Regione sia come un’importante via di comunicazione sia come luogo di lavoro di prostitute. Lo sviluppo economico si accompagna al dibattito politico nel video di Lewis Baltz e nel reportage di Simone Donati che nel suo lavoro ha documentato i riti collettivi italiani. Il percorso espositivo include anche video di Tim Davis e William Guerrieri.

Quale side event a livello 0 del MAST verrà proiettato, in proiezione continua, il documentario Le radici dei sogni – L’Emilia-Romagna tra cinema e paesaggio (73 min.) girato nel 2015 da Francesca Zerbetto e Dario Zanasi. Il lavoro, prodotto dalla Cineteca di Bologna e MaxMan Coop, con il sostegno della Regione Emilia-Romagna e della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, racconta un viaggio nei paesaggi della Regione che ha nutrito le fantasie di alcuni tra i più importanti registi del cinema italiano e internazionale.

Inoltre una esposizione di 35 volumi su ambienti, contesti e realtà dell’Emilia-Romagna, messi a disposizione da Linea di Confine, completerà il percorso.

Qua tutte le info

Ernesto Bazan – Trilogia Cubana

Layout 1

PALERMO- “Trilogia Cubana” è il titolo della grande mostra del fotografo Ernesto Bazan che si inaugura a Zac, spazio espositivo dei Cantieri culturali alla Zisa del Comune di Palermo, il 29 luglio 2016, sostenuta dall’Assessorato comunale alla Cultura e dall’Anfe.

L’esposizione è curata da Daniele Alamia, l’allestimento è dell’architetto Massimiliano Di Bella; rimarrà aperta fino al 18 settembre, tutti i giorni tranne il lunedì, ingresso libero. In esposizione i tre grandi corpus di fotografie che Ernesto Bazan ha realizzato durante i suoi quindici anni trascorsi a Cuba, negli anni più complessi. Le fotografie adesso sono raccolte in tre libri- Bazan Cuba, Al Campo, Isla– tre narrazioni indipendenti e collegate le une con le altre, che permettono un viaggio per immagini di grande impatto emotivo e visivo.

Ellie Davies: Into the Woods

21 July 2016 – 20 August 2016 Crane Kalman Gallery – London
Into the Woods, a new exhibition by young British photographer Ellie Davies will showcase her new work from the series Half Light, alongside her earlier bodies of work. The 22 works in the exhibition have been created by Davies over the past seven years in the forests of the UK, and explore the complex interrelationships between the landscape and the individual.

The forest is Davies’s studio. Working alone she responds to, and alters, the landscape with a series of temporary interventions, such as making and building, creating pools of light on the forest floor, or using craft materials such as paint and wool. A golden tree is introduced into a thicket to shimmer in the darkness, painted paths snake through the undergrowth, and strands of wool are woven between trees. The final images are a culmination of these elements and each piece draws on its specific location. Using handmade sculptural elements, she superimposes her personal narratives on the landscape.

In her latest series of work Half Life (2015), Davies adds a new element – water – a dark, still river, bordered by colourful, textured riverbanks rich with vegetation. The murky water dissects each image creating a false horizon, separating the viewer from the twilight forest beyond and allowing the land to be considered from a distance.

‘Growing up in the New Forest in the south of England, I spent my childhood exploring and playing in the woods with my twin sister. In Half Light, I consider my relationship with these places, my ongoing attempt to reconnect with the wilder landscapes of my youth and to discover if those remembered and imagined places can be found and captured again.’- Ellie Davies, 2016

In addition to Half Light, Into The Woods will include previous bodies of work in Davies’s woodland series’ including Stars, Between The Trees, Islands, Come With Me and The Gloaming.

Over thousands of years, UK forests have been shaped by human processes and represent the confluence of nature and culture, of natural landscape and human activity. Forests are potent symbols in folklore, fairy tale and myth, places of enchantment and magic as well as of danger and mystery. In recent cultural history they have come to be associated with psychological states relating to the unconscious. Against this cultural backdrop Davies’s ongoing work explores the fabricated nature of the landscape to create a hinterland between reality and fantasy. She encourages the viewer to re-evaluate the ways in which their relationship with the landscape is formed, and to what extent this is a product of cultural heritage or personal experience.

Further info here

Mogador – Veronica Gaido e Vito Tongiani

Un’originale mostra a Torre del Lago – Viareggio (LU): Veronica Gaido, artista, ritrattista e fotografa di moda, espone alcune suggestive opere fotografiche in un’esposizione del tutto particolare, un dialogo artistico ed estetico con le tele di Vito Tongiani, famoso pittore e scultore italiano.

Fino al 31 Agosto 2016, infatti, le opere dei due grandi maestri sono in mostra presso il Gran Teatro Giacomo Puccini di Torre del Lago-Viareggio (LU) con la mostra Mogador. L’esposizione si inserisce nel programma della 62a edizione del Festival Puccini di Torre del Lago – Viareggio, importante rassegna dedicata al Maestro della tradizione dell’Opera Italiana, di alto profilo culturale e artistico, che vuole toccare, con le tante iniziative in programma, tutte le discipline e i linguaggi dell’arte.

In quest’ottica si inserisce la mostra di Veronica Gaido e Vito Tongiani,  a cura di Massimo Bertozzi e Adolfo Lippi, nella quale i due grandi artisti, appartenenti a diversi mondi espressivi, si confrontano con un obiettivo comune: raccontare, attraverso la loro personale visione, la vita cittadina e del porto di Essaouira, piccola città marocchina della costa atlantica.

Battezzata Mogador nel VII secolo (dall’arabo “ben custodita”), quando venne riscoperta dai portoghesi dopo il periodo della conquista araba, Essaouira è oggi un centro vivace e internazionale, noto in tutto il Marocco per la sua forte vocazione culturale, musicale e artistica. Con la sua atmosfera affascinante e fuori dal tempo,  negli anni ha attratto e ispirato tanti artisti da tutto il mondo, tra i quali Orson Wells – che qui ha girato, nel 1952, alcune scene del suo Otello – o Jimi Hendrix – attratto qui dalla ghnawa, musica marocchina ipnotica e suggestiva.

Nelle opere presenti in mostra, la fotografa Veronica Gaido e l’artista Vito Tongiani hanno voluto esprimere la loro particolare visione di questa atmosfera rarefatta, attraente e carica di magia, concentrando la loro attenzione, in particolar modo, sul porto di Mogador. Un luogo che viene letto nella sua dimensione di partenza e di ritorno, ma anche di rifugio dai pericoli del mare aperto, di rappresentazione visiva di una dimensione umana fatta di dignità e rigore, ma anche di continuo movimento e suggestione.

Ritornano, in queste opere in mostra di Veronica Gaido, alcuni temi a lei cari e già indagati in progetti precedenti: l’acqua, il viaggio, il passaggio, interpretati sia da un punto di vista fisico sia da quello spirituale e astratto. Come in “Atman” del 2012, anche in questo lavoro su Mogador, osservando le sue opere, ci si ritrova in un luogo sospeso, a metà strada tra visione e realtà, tra sogno e concretezza. Le forme si sfanno nella luce del porto, i colori della terra e del mare, del legno e del cielo, si confondono in linee mosse e in toni a volte più delicati, a volte più marcati, lasciando direttamente allo spettatore la capacità di intravedere la realtà delle cose.

La possibilità di assaporare davvero il senso e l’emozione di quell’atmosfera rarefatta, affascinante e magnetica della cittadina marocchina è a portata di mano. In una sorta di dimensione “espressionista” della fotografia, Veronica Gaido restituisce in questi lavori quello che ha percepito a livello emotivo e sensibile della città, con un gesto fotografico dinamico, repentino, fugace, capace di cogliere, in un piccolo attimo, la dimensione più profonda e personale di un luogo unico.

“Con questi lavori su Mogador ho voluto rappresentare una dimensione fisica e umana in continuo movimento, attraverso un flusso di immagini che trasmettano, a chi le osserva, la sensazione di un luogo a metà tra terra e cielo, a volte luminoso nella sua atmosfera rarefatta, a volte oscuro nelle sue visioni notturne, sempre percosso, segnato o attraversato da bagliori che diventano vibrazioni dell’anima, oscillazioni di una visione senza tempo – ha spiegato Veronica Gaido – Il dialogo con le opere del Maestro Vito Tongiani, inoltre, arricchisce e in certo senso completa questa visione, che si concretizza nelle forme e nei colori delle persone e dei luoghi di Mogador. Un vero e proprio viaggio, tra pittura e fotografia, nelle magiche atmosfere della città marocchina.”

La mostra Mogador è ideata e organizzata dall’Associazione Percorsi d’Arte di Claudio Giannini e dalla Fondazione Festival Pucciniano, a cura di Massimo Bertozzi e Adolfo Lippi. L’esposizione è visitabile nel Foyer del Gran Teatro Giacomo Puccini, a ingresso libero, fino al 31 Agosto 2016.

A corredo della mostra, anche un catalogo con testi di Adolfo Lippi.

Fino al 31 Agosto 2016
Gran Teatro Giacomo Puccini, Foyer – Via delle Torbiere, Torre del Lago – Viareggio

 Altre info qua

Anna

Tutte le mostre da non perdere a giugno

Come di consueto  vi segnalo alcune mostre da vedere nel corso del prossimo mese di giugno, qualcuna in Italia e qualcuna all’estero.

Anna

Continua a leggere