Scegliere il target giusto per la nostra fotografia

Ciao, come state?

Oggi vi propongo uno stralcio del mio libro “Storytelling a chi?” che sono andata a cercare a seguito di una discussione con un mio alunno, spero possa servirvi, ciao

Sara

Be the bee body be boom – est west – Sara Munari – New York

Target, a chi interessa la mia storia?
Pensate che strano, ci sono persone che sono interessate a vedere le nostre fotografie…non sembra vero, ma è così, qualcuno è interessato davvero, ci segue e ci stima. Questo avviene a livelli differenti, per ognuno di noi!
I canali attraverso i quali far passare i nostri progetti sono davvero molti e dipendono dagli ambiti nei quali ci muoviamo.
La scelta del vostro target deve riflettere la vostra identità.
A chi rivolgerai le vostre storie?
Giornali, pubblicazioni on line, gallerie, agenzie giornalistiche, critici, gli amici del circolo fotografico, la famiglia, gli amici ecc.
Vi siete mai fermati a pensare quanto questo termine significhi davvero per voi ?
Una buona definizione potrebbe essere: il target è quel gruppo di persone a cui rivolgere le vostre storie, che può seguirvi nel tuo percorso di fotografo, che acquisirà fiducia in voi e nelle vostre capacità di esprimervi fotograficamente. Il vostro target, può anche alimentare i guadagni, è interessato in ciò che fate, ha un bisogno di voi e del vostro prodotto, per documentarsi, per vendere, per conoscere cose che grazie a voi, può vedere, ma che fino a quel momento non conosceva. Quello che, in poche parole, nel tempo dovreste fidelizzare, che parla bene di voi, che costruisce la vostra reputazione e che vi accompagna in quello che fai.
Una volta che avete capito a chi rivolgervi, passate a studiare bene il tuo potenziale spettatore/acquirente.
Perché è importante scegliere il target giusto?
Le vostre storie non piaceranno a tutti, non tutti le troveranno interessanti, utili o vendibili. Ma se non direzionerete il vostro lavoro, che sia per gli amici o per una testata nazionale, farete un grave errore.

Mi spiego meglio. Facciamo finta che vogliate aprire un negozio di scarpe: senza una scelta preliminare del target finireste con l’acquistare decina o centinaia di scarpe e scarpette diverse, con la presunzione di accontentare il più grande numero di persone, e sapete quale effetto raggiungereste? Puntualmente l’ opposto di quello desiderato.
Certo, magari nel negozio entrerebbero tanti curiosi, attratti dalla possibilità di trovare tutto quello che cercano, ma non riuscireste a soddisfare tutti e rimarreste con tanta, tanta merce in magazzino.
Come fareste a soddisfare chi cerca le scarpe da calcio e quelle per un matrimonio in grande stile?
Lasciate stare, datemi retta, cercate di direzionare il lavoro, ancor prima di cominciarlo, anche perché una modalità come quella sopracitata vi allontanerebbe dalla possibilità di essere cercati da quelli “giusti”, proprio perché trattate spesso determinati argomenti, in un determinato modo, soprattutto per chi vorrebbe vivere di fotografia.
Non vi resta che decidere: preferite rivolgervi alla sposa o allo sportivo?
Il vostro lavoro, come abbiamo già detto, rappresenta voi stessi, i vostri pensieri, le vostre azioni. Fotografare vuol dire (anche) parlare a un pubblico, un target di pubblico.
Ci sono almeno altri due importanti motivi che consigliano un’ accorta scelta del vostro target :

  1. Comunicare al pubblico giusto significa parlare a chi potenzialmente interessato a quello che produci. E parlare a un pubblico attratto preannuncia l’aumento delle probabilità di convertire gli spettatori in potenziali clienti (per chi è interessato alla vendita)
  2. Specializzarvi vi consentirà di diventare riconoscibili agli occhi degli spettatori, che vi cercheranno ancora successivamente, se coinvolti prima.

20 pensieri su “Scegliere il target giusto per la nostra fotografia

  1. Argomento certamente interessante; chi è interessato a raccontare storie con la propria fotografia, troverà certamente utile tutta la serie di consigli dettagliati sia in questo articolo che negli altri presenti nel sito, con la tematica “Storytelling”.

    Nella lettura degli stessi articoli, tuttavia, si può avere l’impressione che ci sia quasi una “logica conseguenza” tra fare Fotografia e doverla per forza “raccontare” ad altri…
    …come sappiamo, invece, si può fare (certamente) Fotografia per “dire” qualcosa, per “comunicare” con qualcuno o “raccontare” le proprie storie ad altri (e in articoli che trattano di “Storytelling” è logico che si sviluppi questo aspetto)…

    …ma si può benissimo fare Fotografia senza voler dire o comunicare alcunché.

    Questo non significa che la Fotografia di chi non ha interesse a “raccontarla” non sia una buona Fotografia (o ottima o eccellente), non significa che quella Fotografia non “parli”, non “comunichi” o non “racconti” o “trasmetta” emozioni, (o comunque che non abbia tutto il potenziale, anche se non finalizzato a quello scopo, per “parlare”, “comunicare”, “raccontare” ecc.) assolutamente, anzi…

    … significa semplicemente che l’autore non ha realizzato la propria Fotografia con quello scopo; il suo interesse per la Fotografia e l’uso stesso del mezzo fotografico che ne fa l’autore, parte da altre motivazioni che non sono quelle di “dire”, “raccontare”, “vendere”, “comunicare”, “apparire” ecc. ecc.
    La fotografia è “anche” un linguaggio che può essere comunicazione e può nascere in molti casi per raccontare storie, ma non è “solo” quello…

    …si può fare Fotografia senza per forza voler dire o comunicare alcunché.

    • Buongiorno Walter, la fotografia è sempre racconto di qualcosa, ogni fotografia comunica qualcosa e comunicare significa parlare e per parlare ci vuole qualcuno che ascolti e se ascolta è perchè qualcosa gli hai raccontato, anche se il tuo intento non è quello.

      • Buongiorno Sara,
        scusa, ma trovo questa tua risposta un po’ troppo semplicistica…
        Te l’ho già scritto io nel mio commento il fatto che anche la fotografia di chi l’ha realizzata senza l’intenzione di raccontare o comunicare… può essere grande fotografia, profonda, interessante e capace di parlare, raccontare e suscitare emozioni.
        Il tema, in risposta al tuo articolo, che ho introdotto con il mio commento è un altro…
        Riporto qui un paio di passaggi:

        “Nella lettura degli stessi articoli, tuttavia, si può avere l’impressione che ci sia quasi una “logica conseguenza” tra fare Fotografia e doverla per forza “raccontare” ad altri…
        …come sappiamo, invece, si può fare (certamente) Fotografia per “dire” qualcosa, per “comunicare” con qualcuno o “raccontare” le proprie storie ad altri (e in articoli che trattano di “Storytelling” è logico che si sviluppi questo aspetto)…

        …ma si può benissimo fare Fotografia senza voler dire o comunicare alcunché.”

        Ora, a parte il fatto che nella tua risposta parti da una condizione che non è scontata…
        …sarebbe curioso sapere, infatti, come il “se qualcuno ascolta è perché qualcosa gli hai raccontato” possa succedere se le tue fotografie non le ha mai viste nessuno…

        …ma il tema è che non è detto che per fare Fotografia si debba per forza partire da qualcosa da raccontare…

        È come con il pensiero di Denis Curti, che teorizza che “per fare Fotografia devi avere qualcosa da raccontare, se non hai una storia, non hai nulla e non vai da nessuna parte”

        Questo non è assolutamente vero ed è anche poco corretto scriverlo (perché potrebbe influenzare chi fotografa e chi comincia a farlo).

        Come ho scritto:

        Si può benissimo fare Fotografia (anche grande Fotografia, profonda, interessante ed emozionante) senza per forza voler dire o comunicare alcunché.

        Non sei d’accordo?

      • Ciao, no, non sono d’accordo. Se si decide di scattare una foto, volenti o no, si racconta SEMPRE qualcosa. Quindi l’inghippo sta nella consapevolezza di questa affermazione. Se poi a chi scatta non interessa raccontare, ciò non significa che non lo faccia. Inoltre quando dici : Si può benissimo fare Fotografia (anche grande Fotografia, profonda, interessante ed emozionante) senza per forza voler dire o comunicare alcunché. PROFONDA, EMOZIONANTE E INTERESSANTE, per chi? Se non vuoi comunicare che la tua foto è PROFONDA, EMOZIONANTE E INTERESSANTE, perchè scatti? Certo, riferito questo concetto al mondo contemporaneo, dove più che la comunicazione attraverso le immagini, interessa maggiormente il produrre e simultaneamente condividere su un social, sembra strano pretendere, da fruitore, che tu abbia qualcosa da dirmi, altrimenti perchè fai vedere le tue immagini? Se non hai niente da dire consapevolmente, perchè parli? lo faresti in un dibattito a voce con un interlocutore reale?

  2. Allora: entrando nel merito, hai messo parecchie cose in pista, e ti rispondo volentieri:
    Parto con il dirti che se non sei d’accordo, va bene lo stesso, non sono certo qui per cercare di farti cambiare idea.
    Vedo però, che (parere personale) non hai ancora centrato il punto.
    Intanto, insisti sul fatto che se si scatta volenti o nolenti si racconta qualcosa…
    …e già questa affermazione è fuori fuoco, o meglio, fuori tema.
    Ti ho già detto che è chiaro che se un fruitore (anche casuale e non cercato) vede una tua fotografia questa gli racconta e trasmette qualcosa…quindi esci per favore da questo tunnel dove ti sei infilata perché non è questo il tema e su questo siamo tutti d’accordo.
    Ora, a parte che è curioso sapere come fanno a trasmettere qualcosa immagini che nessuno ha mai visto o che nessuno vedrà mai…ma anche questo non è il punto.
    La frase che ti ho scritto è:
    Si può benissimo fare Fotografia senza per forza voler dire o comunicare alcunché.
    Quindi (traducendo): le tue immagini possono raccontare moltissimo, possono incantare ed emozionare tutto il mondo, ma tu non le hai realizzate per questo.

    Quindi si può fare benissimo Fotografia SENZA PER FORZA VOLER DIRE O RACCONTARE ALCUNCHÉ.

    Poi se capita che qualcuno… come qualche amico che le ha volute vedere (LUI le ha volute vedere) a seguito di un dibattito sulla fotografia…te le chiede per farci una mostra, o per organizzare un incontro con l’autore (dove tu, allora e solo allora, ti presti, perché te lo chiedono, a comunicare e trasmettere), allora le tue fotografie (anche se solo il 2% di quello che hai realizzato) esprimono verso gli altri il loro potenziale, e comunicano, parlano, raccontano, trasmettono emozioni, ecc…
    …il punto però rimane:

    Tu hai fatto Fotografia SENZA VOLER DIRE O RACCONTARE NIENTE A NESSUNO.

    Se poi è successo che hai fatto mostre e incontri con l’autore in giro per l’Italia è successo perché qualcun altro te lo ha chiesto ma comunque le tue motivazioni nel fare fotografia erano altre e la volontà di raccontare alla gente era (ed è) inesistente.

    E qui, veniamo alla tua domanda:
    “Se non vuoi comunicare che la tua foto è PROFONDA, EMOZIONANTE E INTERESSANTE, perchè scatti?”

    Ecco il punto: tutto parte dal “Perché si fa fotografia?”

    Ognuno ha le sue motivazioni e non è né matematico, né scontato che si scatti per raccontare qualcosa.

    Io, per esempio, faccio Fotografia da 46 anni (Febbraio 1977) e non ho mai fatto fotografia con lo scopo di raccontare o comunicare qualcosa, mai.
    Anche se, logicamente capita di contemplare altri generi, in questi 46 anni la mia fotografia è stata dedicata soprattutto alla “Street Photography” ma non per comunicare o raccontare, la mia fotografia non parte infatti da una storia…parte dalla “vita”…
    … è quello che mi interessa…vivere la vita con un’intensità diversa… vederla, sentirla, abbracciarla, fermarla…in una parola “viverla” appunto…
    …fermare quell’attimo, dell’incredibile, insostituibile, incontestabile, indubitabile attimo in cui si condensa un autentico momento di vita…in cui si condensa il passare del tempo…o, filosoficamente parlando…il nostro passare attraverso il tempo.

    Quello che avviene dopo lo scatto a me interessa poco e niente…guardo il rullino appena estratto dalla fotocamera (perché io scatto ancora tutto a pellicola in bianco e nero, e sviluppo e stampo ancora personalmente in camera oscura) come un qualcosa di finito, lo stimolo fotografico passa oltre e va al prossimo scatto.

    Poi sviluppo i rullini, certo.
    Poi stampo delle fotografie, sicuro.
    Poi archivio tutto nel migliore dei modi, assolutamente.

    Ma tutto questo è propedeutico per rivivere in futuro un piccolo surrogato delle emozioni provate al momento dello scatto…MAI per raccontare o comunicare ad altri.
    Se succede (e quando succede) è perché me lo chiedono, MAI perché quello era lo scopo.
    Infatti, non ho un sito, né un blog, ne pubblico immagini in internet…tutto questo, non mi interessa.

    Per rispondere poi alla tua ultima domanda:
    “Se non hai niente da dire consapevolmente, perchè parli? lo faresti in un dibattito a voce con un interlocutore reale?”

    Come ti ho scritto, quando qualcuno viene incidentalmente a trovarsi come fruitore delle mie fotografie, capita che mi chieda di esporle o mi chieda di fare incontri con l’autore (ho fatto mostre e incontri in diverse città in tutta Italia)…ma non parte mai da me…

    Io non ho mai nascosto le mie fotografie, non ho alcuna avversione a che “altri” le possano vedere, semplicemente non mi interessa questo, e non faccio fotografia per questo…

    …per questo che sostengo fermamente e ribadisco che:

    “Si può benissimo fare Fotografia senza per forza VOLER dire o comunicare alcunché”.

    …per questo, pur rispettando il tuo pensiero, non capisco proprio come fai a non essere d’accordo…

    …forse a valle di queste motivazioni, puoi spiegarmi meglio perché non sei d’accordo, altrimenti, anche se non lo condividi, è sufficiente che hai capito un punto di vista diverso dal tuo.

    • Forse semplicemente a te piace collezionare immagini. Se ti piace scattare, sviluppare, stampare e archiviare, non vedo perchè provare a farti cambiare idea sulle intenzioni. A me piace comunicare e produco libri, mostre ecc, per questo. Tu, no. Che problema c’è? Continua a scattare per il piacere di farlo, sei in un limbo meraviglioso, perché spostarsi?

      • Ma infatti, qui non stiamo scrivendo per fare cambiare idea all’altro…
        …una cosa non esclude l’altra…
        …io non mi sognerei mai di affermare che la fotografia non è comunicazione, assolutamente, sarebbe come negare l’evidenza.
        Dico semplicemente che non è SOLO comunicazione…dico che è ANCHE comunicazione, ma è anche tante altre cose.
        Per questo ti ho scritto quel commento…per dirti e per farti ragionare su un aspetto diverso.
        Per dirti che non è corretto scrivere che per fare Fotografia bisogna per forza partire da una storia da raccontare… assolutamente.

        Infine una precisazione: a me non interessa “collezionare immagini” (quelle servono solo per rivivere quei momenti, ma ripeto…sono solo surrogati)…a me interessa “vivere la vita” con un’intensità diversa, più profonda e la “Street Photography” è perfetta per questo…
        … ATTENZIONE: quella “vera” di Street Photography…che purtroppo in giro c’è n’è proprio poca (ma davvero davvero poca)…la stra-grande maggioranza di ciò che si vede in giro appartiene molto più al “reportage urbano” che non alla Street (quella vera)

  3. Dibattito interessante.
    Devo dire che inizialmente mi sembrava ineccepibile la posizione di Sara, che partiva da un’affermazione più che logica: “ogni fotografia comunica qualcosa”; poi, il lettore Walter ha fatto luce su un aspetto che non avevo considerato:
    Lui non nega che ogni fotografa comunichi qualcosa, né nega, in senso più generale, che la fotografia sia comunicazione.
    Lui specifica però che la fotografia non è solo comunicazione, sottolinea che è anche comunicazione, ma è anche tante altre cose, e questo, sinceramente, mi sembra ancora più ineccepibile.

    Poi il dibattito si è spostato sul perché si fa fotografia, sull’interessante visione che Walter ha della street photography e, dalla tua ultima risposta Sara, non si capisce (almeno io non l’ho capito) se, alla fine sei d’accordo con Walter oppure no.

    Mi sorgono, a questo punto, due domande: una per Walter, e una per Sara.

    Per Walter:
    Non conoscendo la tua fotografia vado per ipotesi: ammettendo che con così tanti decenni di esperienza, tu abbia realizzato una street photography davvero notevole, non ti sembra un peccato non comunicarla? Non farla conoscere al mondo? Dici che non hai né un sito né un blog ecc. ma hai anche detto che quando te lo hanno chiesto hai fatto mostre e incontri con l’autore; in quelle mostre e in quegli incontri, se la tua street photography era una buona street, avrai avuto dei ritorni positivi dal pubblico.
    Di conseguenza, non è un peccato non farla conoscere più di quanto possa accadere ora, se ho ben capito “casualmente”, nonostante il tuo non interesse a comunicarla?

    Per Sara:
    Al di là del caso specifico (interessante il fatto che Walter abbia scelto la street photography; su altri generi fotografici, vedrei la sua “visione” forse più difficile da applicare), mi sembra che quanto affermato da Walter: “Si può benissimo fare Fotografia senza per forza VOLER dire o comunicare alcunché”, sia non solo condivisibile, mi sembra una “visione” vera e possibile.
    Trovo che, messa come la messa lui, sia difficilmente contestabile.
    Se lui fa Street Photography senza l’intento di comunicarla (poi che la sua fotografia, come quella di chiunque comunichi qualcosa, non c’è dubbio) e supponiamo che sia effettivamente fotografia buona, importante, parlando di street diciamo “emozionante”, chissà quanti fanno fotografia senza il minimo intento di farla per comunicare.
    E allora forse è vero quello che afferma nella fine di un suo commento:
    “Si può benissimo fare Fotografia (anche grande Fotografia, profonda, interessante ed emozionante) senza per forza voler dire o comunicare alcunché.”.

    Sei sempre in disaccordo su questo?
    E, nel caso che sei ancora in disaccordo, perché?

    • Ciao, grazie per il tuo intervento, se la fotografia di cui parli è grande, interessante ed emozionante, chi lo stabilisce, un pubblico, altrimenti non è niente, uno sfogo personale che tieni in un cassetto. Certo che la gente fa fotografia senza intento comunicato. Si chiamano fotografi casuali, non hanno intenzione di comunicare, scattano e condividono (o no) per il piacere dell’atto in sé. Non esiste fotografo senza pubblico, perchè senza pubblico si chiama diario personale e nessuno ne saprà mai niente. Ciao

      • Quanta superficialità, Sarà!
        Davvero tanta, troppa superficialità!
        Sai Sara, non pensavo che tu fossi tanto superficiale, soprattutto in argomenti che riguardano la Fotografia… eppure, lo avevo notato e te lo avevo già scritto nel commento alla tua prima risposta.
        La superficialità, l’avevi dimostrata anche allora.
        Eppure preparazione, l’esperienza, la cultura (non solo fotografica) ecc. sono tutti valori che certamente possiedi…sono pertanto convinto che non è che non capisci un concetto così semplice… è semplicemente che “fai finta di non capire”…

        Pensavo che con i commenti che abbiamo chiuso 6 mesi fa, questo aspetto fosse chiarito e che tu, avendo capito, fossi d’accordo…
        …leggendo questa tua risposta a Tommaso, mi accorgo invece che tu rifiuti un”evidenza tanto lampante.
        Vediamo se riesco a rendere il concetto ancora più intelligibile:

        Quando scrivi (testualmente):

        “se la fotografia di cui parli è grande, interessante ed emozionante, chi lo stabilisce, un pubblico, altrimenti non è niente, uno sfogo personale che tieni in un cassetto.”

        … quando scrivi “queste cose”, hai provato a distinguere tra il “potenziale inespresso” di una Fotografia che potrebbe non vedere mai nessuno e il “potenziale espresso” (perché in qualche modo si è espresso, almeno in parte) di una Fotografia che è arrivata poi in qualche modo al pubblico, che l’ha apprezzata, ha richiesta e ri-richiesta per mostre, incontri con l’autore, convegni, conferenze, festival di fotografia, che magari è stata anche pubblicata in cataloghi, riviste del settore ecc. E CHE COMUNQUE, PERÒ, NON ERA STATA REALIZZATA CON L’INTENTO DI COMUNICARE O RACCONTARE ALCUNCHÉ?

        Riesci a fare tale distinzione?

        Riesci a distinguere tra:

        – Chi fa fotografia e NON VUOLE comunicare.
        e
        – Chi fa fotografia con motivi (e intenzioni) diversi dal comunicare…poi, se e quando glielo chiedono, da il suo consenso per esporre le sue fotografie per mostre, incontri e festival…ma, comunque, rimane indiscutibile il fatto che non ha realizzato tali immagini per quello scopo?

        Riesci Sara a fare queste distinzioni?

        Oppure, nonostante sia chiarissimo che hai perfettamente capito il punto…continui a fare finta di non averlo capito?

        Nel tuo libro sulla “Street Photography”, a pagina 220 hai citato Vivian Maier… pensando alla sua Fotografia (ed è terribile quello che gli hanno ingiustamente fatto…) non ritieni che si possa fare Fotografia (anche Fotografia importante, profonda ed emozionante) senza voler per forza comunicare o raccontare alcunché?

        Oltre al fatto che nel tuo stesso libro (dove ci sono elementi e concetti importanti e condivisibili, oltre ad altri concetti per niente condivisibili), nello stesso paragrafo (sempre a pag. 220), subito dopo il richiamo a Vivian Maier, hai citato un passaggio non corretto (testualmente):

        “…sappiate che, con tutta probabilità, le vostre foto andranno semplicemente perse e nessuno conoscerà il vostro lavoro e quello che volevate dire”

        …non è corretto perché lo chiudi con “quello che volevate dire”…
        …ancora lo stesso concetto… un preconcetto che cerca di rendere “universale” qualcosa che invece è assolutamente e squisitamente “personale”.

        Magari quegli autori NON VOLEVANO DIRE PROPRIO NIENTE… magari facevano Fotografia con altri stimoli, altre spinte, altri scopi…

        Il fatto che scrivi:
        “…altrimenti non è niente, uno sfogo personale che tieni in un cassetto.”… è l’espressione di una superficialità spaventosa…

        UNO SFOGO PERSONALE?

        Tu il profondo studio di decenni di Fotografia, una pratica di decenni sul campo, una pratica di decenni nello sviluppo e nella stampa in camera oscura, un archivio di centinaia e centinaia di migliaia di negativi, lo sviluppo di decine di quelle che possono essere definite “ricerche visive” realizzate anche “a valle” dello scatto…tu tutto questo lo definisci “uno sfogo personale”?

        Tu definisci tali autori “Fotografi casuali”?

        CASUALI???

        Ancora assoluta, infinita e impressionante superficialità.

        Per chiudere ti faccio un ultimo esempio che risulterebbe intelligibile a chiunque:

        Se un autore usa il mezzo fotografico per motivi, spinte e intenzioni diverse dal comunicare e raccontare, conosce la materia, ha studiata per anni e si trova un giorno a mostre, convegni, festival ecc. e, parlando con curatori, direttori creativi ecc questi rimangono incuriositi dalle argomentazioni e gli chiedono se lui ha qualcosa che da fare vedere, ma lui dice che non è interessato, poi con qualcuno che insiste, quel l’autore accetta di lasciare le proprie fotografie per una mostra, o per una serie di mostre e così la sua fotografia entra a contatto con il pubblico, che l’ apprezza e la richiede…

        …in questo caso, per tornare alla parte finale della tua ultima risposta:

        “Non esiste fotografo senza pubblico, perchè senza pubblico si chiama diario personale e nessuno ne saprà mai niente”

        …in questo caso…esiste il fotografo in quanto esiste il pubblico…le sue fotografie comunicano (come ho già detto e definito fin dal primo commento) e vengono apprezzate…
        …ma resta il fatto inconfutabile che NON SONO STATE REALIZZATE CON LO SCOPO DI COMUNICARE O RACCONTARE.

        Di conseguenza, rieccoci alla mia affermazione iniziale, che ribadisco e confermo:

        “Si può benissimo fare Fotografia (anche grande Fotografia, profonda, interessante ed emozionante) senza per forza voler dire o comunicare alcunché.”

        Sei riuscita a capire queste situazioni? Ti assicuro che ce ne sono così, molte più di quelle che riesci ad immaginare. Così come probabilmente molti lavori di quegli autori potrebbero “sorprenderti”, anche sono lavori che non vedrai mai, perché a quegli autori non interessa.

        Sei ancora in disaccordo? E perché?
        Oppure sei d’accordo con questa conclusione… una conclusione tanto ovvia quanto scontata?

        Prova a rispondere, questa volta, non per “sfinimento”, tagliando corto come hai fatto nelle ultime due risposte, dove si vedeva benissimo che volevi chiudere un argomento e una discussione che ti era sfuggita di mano.
        Prova a rispondere da autrice, scrittrice, curatrice e studiosa di Fotografia, con argomenti, entrando nel merito, come certamente sai fare, e soprattutto senza una superficialità che potrebbe anche offendere chi studia e pratica la materia da quasi cinquant’anni.

        Un saluto
        Walter

      • Walter hai un tono di chi si mette sul piedistallo e non va leggermente più a fondo. Certo che si può fare meravigliosa fotografia senza l’intento di comunicare niente. Ma se quella comunicazione non avviene, quel fotografo non esiste. Hai ripetuto 30 volte lo stesso concetto sottolineando: riesci a capire? Hai capito? Rivolto a me. Caro Walter, io ho capito perfettamente e ti ripeto…il fotografo può non sentire la necessità di comunicare niente, ma senza la comunicazione e il riconoscimento di un target specifico, quel fotografo non esiste. Mi hai apostrofata con termini fastidiosi, con atteggiamentidi superiorità. Se rispondi fallo con educazione e rispetto, altrimenti esci dal blog, visto che mi ritieni superficiale e sempliciotta. Grazie

    • Allora Tommaso, intanto ti ringrazio per il contenuto del tuo commento.
      Da questo si capisce che inizialmente non eri d’accordo con il mio pensiero, ma poi hai capito la differenza, e hai capito il perché un concetto “personale” non può e non deve essere considerato un concetto “universale”… è un errore comune, ma è un errore molto grosso, che può anche condizionare chi si avvicina all’ uso del mezzo fotografico.

      Prima di rispondere alla tua domanda, volevo sottolineare che non è solo la “street photography” che è idonea a questa “visione” (per usare il tuo termine).
      Conosco chi fa fotografia paesaggistica (nelle diverse declinazioni di tale genere), chi fa avifauna, chi fa foto astronomica, chi foto di teatro, di musica jazz ecc. (non sto qui a citare tutti i generi fotografici)… che fotografa per “se stesso” e non fa assolutamente fotografia per comunicare o per raccontare proprio niente…

      Per venire alla tua domanda, devo dirti che in tanti, dopo una mostra o un incontro con l’autore (eventi che mi hanno sempre richiesto altri…non sono mai partiti da me…) mi hanno fatto la tua stessa domanda.
      Per farti capire il mio punto di vista, devo intanto dirti che ho accettato di fare quelle mostre e di tenere quegli incontri con l’autore perché io sono anche un fruitore, studio sempre la fotografia (perché mi piace la materia), vado a vedere mostre, conferenze, convegni, festival ecc. (vanno poi selezionate bene perché, purtroppo, ci sono tante , troppe mostre superficiali e per niente emozionanti, coinvolgenti e interessanti).
      In quelle occasioni, provando interesse ed emozioni nel vedere le mostre di altri autori (poche in mezzo al “marasma”, ma ci sono), mi torna in mente che anche la mia fotografia potrebbe essere interessante per altri e anche altre persone potrebbero provare emozioni, guardando le mie fotografie.
      Questo è il motivo per cui generalmente (se esistono le condizioni logistiche per farlo) accetto di fare le nostre o di tenere gli incontri con l’autore (io non lo chiedo mai, ma a volte accetto di farle)… ma non è mai per un piacere mio personale, o un interesse mio personale…a me questo, come ho già scritto, non interessa.
      Poi c’è l’aggravante che rispetto a decenni fa, il numero di chi fa fotografia (per non parlare di chi fa o crede di fare “Street Photography”…o pseudo-tale) è cresciuto in modo esponenziale. La massa di “autori” è enorme e sono davvero in tanti (troppi) che sgomitano per apparire, che tirano la giacca (o pregano in vari modi) di curatori, assessori, galleristi ecc. per cercare di emergere, per “apparire”, per cercare a tutti i costi “visibilità”, per ammantarsi di “vana gloria”…
      …e, conseguentemente, i vari curatori, galleristi, ecc. si trovano a dover mediare con una valanga di richieste… spesso non si mettono nemmeno nella condizione di chiedersi cosa c’è di interessante (o cosa potrebbe esserci di interessante) “oltre” alle richieste e proposte che ricevono.
      La conseguenza di tutto ciò è che il “proporsi” per fare conoscere la propria “opera” porterebbe via un sacco di tempo e di energia…e, dal momento che a me (come a tanti altri) tutto questo non interessa per niente, ne faccio volentieri a meno e continuo a fare la mia fotografia senza lo scopo di comunicare o raccontare alcunché.

      Se qualcuno mi chiede di fare mostre o incontri con l’autore, valuto di volta in volta se farle o meno, ma non partirà mai da me…la spinta per fare Fotografia è altra.

      Poi, i riscontri a valle di mostre e incontri sono comunque sempre positivi e mi sono trovato diverse volte davanti a gente che mi ha chiesto di vendere le mie fotografie, ma ho sempre rifiutato per un paio di motivi che ritengo più che validi: ma questa è un’ altra storia, un altro argomento che non c’entra con il dibattito avuto con Sara per questo articolo.

  4. Diversi giorni fa, ho postato qui un commento che, però, non vedo pubblicato.

    Ma i commenti su questo articolo, sono ancora attivi?

    Saluti
    Tommaso

  5. Ho aspettato un giorno a scrivere questo mio ultimo commento con il quale volevo ringraziare sia Sara che Walter per le risposte.
    Non ho risposto subito perchè aspettavo la risposta di Sara all’ultimo commento di Walter, che non è ancora stata postata, spero di leggerla presto.
    Intanto grazie a tutti e due, devo dire che, ribaltando il mio pensiero iniziale, mi hanno convinto di più le argomentazioni di Walter; mi ha fatto riconsiderare questi concetti da un’angolazione che non avevo mai considerato. Continuo a pensare che sia un peccato non diffondere di più la propria fotografia, specialmente se è buona fotografia e, visto quello che scrive, non ho motivo di dubitarne, ma capisco anche i motivi degli autori, che sono stati cosi bene dettagliati.
    In attesa della risposta di Sara all’ultimo commento di Walter, un saluto a tutti.

    Tommaso

  6. Io “sempliciotta” non l’ ho mai scritto….
    …”superficiale” invece si… perché, in effetti, la sei stata in queste risposte, e più di una volta.
    Nel contempo ho scritto che hai esperienza, competenza ecc. solo che ti sei messa a “girare” il senso del discorso già dalla prima risposta, e questo non va bene…se dall’altra parte, chi legge capisce che tu stai “facendo finta di non capire”, oltre ad essere costretto ad evidenziare la superficialità dimostrata (almeno in questo caso) è costretto, dopo diversi messaggi inutili, anche a cambiare il “tono”.

    Il fatto è che quel concetto è tanto evidente quanto incontestabile…mentre, di fatto, tu lo hai contestato e NEGATO dal tuo primo al tuo penultimo messaggio.

    Mi fa piacere che ora, alfine, sei riuscita ad ammettere una cosa così evidente, ma anche ora sei voluta andare oltre…

    “Certo che si può fare meravigliosa fotografia senza l’intento di comunicare niente. Ma se quella comunicazione non avviene, quel fotografo non esiste. ”

    … perché potevi e dovevi fermarti prima (a comunicare niente) … se quella comunicazione poi avviene o no è una cosa che avviene dopo. Lui però ha fatto fotografia senza quell’ intento.

    E quindi torniamo al mio primo commento, quando ti scrissi:

    “Nella lettura degli stessi articoli, tuttavia, si può avere l’impressione che ci sia quasi una “logica conseguenza” tra fare Fotografia e doverla per forza “raccontare” ad altri…”

    …invece sappiamo benissimo che non è così…e ora “sembra” che anche tu sia d’accordo con questo.

    Chiarito questo, se questi contradditori e questi confronti ti infastidiscono, posso sparire dal blog, così, come sono arrivato, tu però, cerca di rispondere con la competenza che certamente possiedi, senza “girare i discorsi” e senza “fare finta di non capire”…
    … perché con me, hai fatto proprio questo.

    Saluti
    Walter

  7. Beh, ora che le ultime risposte da entrambi sono state espresse, posso forse scrivere la mia impressione finale.
    Vedo che tu Sara, ti sei giustamente risentita per il temine “superficiale” che ha scritto Walter, che è certamente un’espressione un pò “colorita” ma che rende bene l’idea di quello che probabilmente sentiva Walter, vedendo che non riuscivi ad ammettere quello che, alla fine, hai ammesso.
    Probabilmente Walter poteva evitare di darti della superficiale, perchè è evidente che non sei per nulla superficiale, forse poteva limitarsi a dire che (secondo lui) stavi rispondendo in modo superficiale (che è una frase molto diversa); anche tu però, Sara non sei stata molto gentile quando, nell’ultimo messaggio, hai scritto a Walter: “hai un tono di chi si mette sul piedistallo e non va leggermente più a fondo”.

    Secondo il mio personalissimo parere questo non è vero. Non mi sembra che si sia messo su un piedistallo, e soprattutto non mi sembra affatto che lui sia uno che non va “leggermente più a fondo”. Vorrei anzi leggerne di più di dibattiti del genere, tra persone come voi con grandissima esperienza ed evidente cultura.

    Realisticamente, mi sembra di poter affermare che le vostre differenze nascono dalla differenza profonda delle motivazioni per cui fotografate. Anche su questo passaggio (devo dargliene atto) Walter lo aveva subito scritto (in uno dei primi commenti) “tutto parte dal perchè si fa fotografia”.

    Per non divagare oltre, e tornare sul tema dell’articolo: “Scegliere il target giusto per la nostra fotografia”, devo dire che a me il pensiero di Walter sull’argomento e la sua visione (che evidentemente contrasta nettamente con la tua, Sara), sembra ora limpido e chiarissimo, emerso da pensieri profondi, dalle parole dello stesso Walter.

    In pratica, Sara, per tornare al tuo esempio del commerciante di scarpe che hai fatto nell’articolo, con il quale enfatizzavi la necessità di fare delle scelte a monte, per indirizzarsi poi a una clientela che non poteva spaziare “dalla sposa allo sportivo”, Walter parte da un punto di vista completamente opposto:
    Lui dice: io faccio il mio prodotto, secondo la mia storia, la mia visione, la mia cultura, e le mie spinte che mi portano ad utilizzare il mezzo fotografico; poi, a me non interessa se quel prodotto (le “mie” scarpe che produco) troveranno consensi tra le spose, gli sportivi, i manager, gli intellettuali o gli operai.
    Se quelle “sue” scarpe entreranno nel mercato o meno, a lui questo non interessa e, proprio per questo, se la sua fotografia rimarrà sconosciuta non avrà comunque perso niente, visto che a lui non interessava, e non la produceva per quello scopo.
    Se invece, per motivi non legati alla sua volontà, quelle “sue” scarpe, troveranno consenso e richiesta, beh allora lui avrà vinto due volte, perche:
    1) ha fatto la “sua fotografia” (quello che “sentiva” che voleva “fermare” con la sua Street Photography) senza essere condizionato dalla “destinazione” o dal “target” che sia.
    2) ha trovato consensi e richieste per mostre, incontri , festival ecc.

    Da quello che ha scritto Walter, con la sua fotografia ha fermato “la vita” come desiderava fare, poi, qualcuno che incidentalmente ha visto le sue immagini e/o, come lui le ha chiamate, le sue ricerche visive, gli ha chiesto di esporle, di tenere convegni, incontri, pertecipare a festival e, ha detto, gli hanno perfino chiesto di vendere le sue fotografie (rimango nella curiosità di sapere il perchè non le ha vendute, ma non voglio contribuire troppo ad allungare i commenti); quindi è forse tra le cose migliori che possano capitare a chi fa fotografia.

    Alla fine Sara, la scelta si è dimostrata vincente, e secondo quello che lui afferma, non è un caso isolato ma sono tantissimi che la pensano così.

    In conclusione mi sembra che l’obiezione che Walter ti ha fatto all’articolo, sia effettivamente valida e dimostrata.

    Inizialmente mi sembrava che la visione che faceva intravvedere il titolo: “Scegliere il target giusto per la nostra fotografia” fosse interessante, mentre ora, a valle di questo vostro dibattito mi sembra addiritura che “scegliere il target” possa essere “limitante”.

    Ringrazio dunque entrambi, per aver steso una discussione bella e vibrante, su un tema sicuramente interessante.

    Un saluto a tutti
    Tommaso

  8. Ti ringrazio molto, Tommaso.
    Ti ringrazio davvero per questo commento, e ti faccio i miei complimenti per la perfetta analisi che hai sintetizzato…
    …sei riuscito a cogliere in pieno il “punto”.

    Capita spesso (troppo spesso) che qualcuno cerchi di rendere “universale” qualcosa che invece è sempre stato, è, e sarà sempre “personale”… assolutamente e squisitamente personale.

    Dopo tanto “scrivere”, forse siamo arrivati ad una “limpida” conclusione tra una “teoria” espressa in questo articolo… e la “teoria” opposta, dettagliata dall’obiezione del contraddittorio.

    A meno che Sara…non voglia aggiungere qualcosa…

    Saluti
    Walter

Rispondi a Giorgio PennatiAnnulla risposta