Non ti perdere le mostre di Luglio

Come di consueto, ecco una carrellata delle mostre più interessanti in Italia e all’estero. Ce ne sono veramente tante da non perdere!

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La vera fotografia – Gianni Berengo Gardin

Vera fotografia, a cura di Alessandra Mammì e Alessandra Mauro, organizzata da Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con Contrasto e Fondazione Forma per la Fotografia, ripercorre la lunga carriera di Gianni Berengo Gardin (Santa Margherita Ligure, 1930), il fotografo che forse più di ogni altro ha raccontato il nostro tempo e il nostro Paese in questi ultimi cinquant’anni. La sua vita e il suo lavoro costituiscono una scelta di campo, chiara e definita: fotografo di documentazione sempre, a tutto tondo e completamente.

 In mostra sono esposti i suoi principali reportage. Accanto alle celebri immagini, altre poco viste o inedite propongono nuove chiavi di lettura per comprendere il suo lavoro e il ruolo di visione consapevole della realtà che una “vera fotografia” può offrire.
Essere fotografi per Berengo Gardin significa assumere il ruolo di osservatore e scegliere un atteggiamento di ascolto partecipe di fronte alla realtà, come hanno fatto i grandi autori di documentazione del Novecento. In questi anni, del resto, l’autore è stato sempre in prima linea nel raccontare quel che doveva essere cambiato, quel che doveva essere celebrato. Con la sua macchina fotografica si è concentrato a lungo soprattutto sull’Italia, sul mondo del lavoro, la sua fisionomia, i suoi cambiamenti, registrati come farebbe un sismografo. Oppure sulla condizione della donna, osservata da nord a sud, cogliendo le sue rinunce, le aspettative e la sua emancipazione. O sul mondo a parte degli zingari, cui l’autore ha dedicato molto tempo, molto amore e molti libri.

 “Quando fotografo ­– ha detto Berengo Gardin – amo spostarmi, muovermi. Non dico danzare come faceva Cartier-Bresson, ma insomma cerco anch’io di non essere molto visibile. Quando devo raccontare una storia, cerco sempre di partire dall’esterno: mostrare dov’è e com’è fatto un paese, entrare nelle strade, poi nei negozi, nelle case e fotografare gli oggetti. Il filo è quello; si tratta di un percorso logico, normale, buono per scoprire un villaggio ma anche, una città, una nazione. Buono per conoscere l’uomo”.

 Circa 250 fotografie, stampe vintage in formato 30×40, suddivise per sezioni: Venezia, Milano, Il mondo del lavoro, Manicomi, Zingari, La protesta, Il racconto dell’Italia, Ritratti, Figure in primo piano, La casa e il mondo, Dai paesaggi alle Grandi Navi. Nelle sale ci sono anche 24 stampe di grandi dimensioni: foto scelte e commentate da amici, intellettuali e colleghi. Veri e propri commenti d’autore.

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Luigi Ghirri. Pensiero Paesaggio

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Mostra a cura di Corrado Benigni e Mauro Zanchi
10 giugno – 25 luglio 2016

Oltre 40 scatti, soprattutto vintage prints e project prints, in una mostra esclusiva, promossa dalla Fondazione MIA, per raccontare un maestro indiscusso della fotografia italiana: “Luigi Ghirri. Pensiero Paesaggio”, a cura di Corrado Benigni e Mauro Zanchi.
Per la prima volta a Bergamo, nella splendida cornice del Complesso Monumentale di Astino, l’esposizione indaga l’opera di Ghirri attraverso un percorso inedito che rilegge l’incontro dell’autore con la fotografia a colori e lo sviluppo di un’analisi che fonda un nuovo sistema per intendere l’opera fotografica. L’autore organizzò il corpo della sua ricerca in “sequenze” di immagini, per ripensarlo in seguito come un gigantesco work in progress. Ghirri ha saputo cogliere gli stimoli del panorama artistico e culturale degli anni Settanta, trasformandoli in un’opera di riferimento per la ricerca contemporanea.
Il suo è uno sguardo rispettoso verso coloro che guardano: la presenza umana, quasi sempre di spalle, o sfuggente, infatti non è mai assoluta, ma si sostituisce al suo autore, pronto a cambiare i punti di vista. Il fotografo emiliano è un artista poliedrico, un insegnante, un curatore, che ha scelto di guardare la realtà attraverso la fotografia e pensarla attraverso l’immagine per poi scriverla attraverso le parole.

Il tema portante della mostra di Astino è “il paesaggio”, da sempre l’ossessione del lavoro di Ghirri. Un paesaggio che non è quello che viene normalmente percepito bensì quello che si suppone latente, inscritto sul rovescio: paesaggio della memoria e della favola, paesaggio di figure nascoste e di prodigi. E Astino – luogo che senz’altro Ghirri avrebbe amato e scelto per i suoi scatti – rappresenta la sintesi di tutto questo.
Un paesaggio di interni di abitazioni, luoghi di lavoro, ma anche paesaggio esterno, della campagna e delle città, delle grandi architetture urbane. Dalle pianure emiliane a Venezia, dagli interni di case colti nella dimensione più quotidiana allo studio dell’architetto Aldo Rossi – grande amico di Ghirri – alle foto della biblioteca personale del maestro. L’idea fondamentale di Ghirri applicata alla foto è quella della proiezione affettiva: lo sguardo come incontro con le cose, verso cui ci dirige una nostra tendenza intima. Non esiste una foto di Ghirri che si offra come pura documentazione: tutte mostrano questo orientamento verso un campo di prossimità, di simpatie, di attrazioni e riconoscimenti di un’intimità esterna.

Una mostra inedita e unica per la città di Bergamo. In occasione della stessa è stato realizzato un catalogo per i tipi di Silvana Editoriale che include testi di Corrado Benigni e Mauro Zanchi, curatori della mostra, accanto a testi di Mario Cresci e Massimo Minini.

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Larry Towell | The Larry Towell Show

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La prima retrospettiva europea del grande fotografo canadese Larry Towell della celebre agenzia Magnum. Dai lavori più intimi e personali, sulla sua bucolica famiglia e la vita dei Mennoniti, ai reportage nelle zone di conflitto percorse dal fotografo con il suo stile originale: tra questi, Afghanistan, El Salvador, Palestina.

In occasione di Cortona on The Move – dal 14 luglio al 2 ottobre

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 Mimmo Jodice»Attesa. 1960-2016

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24.06 — 24.10.16  – Museo Madre, Napoli

La più ampia mostra retrospettiva mai dedicata ad uno degli indiscussi maestri della fotografia contemporanea.a cura di Andrea Viliani
Il Madre è lieto di annunciare Attesa. 1960-2016, la più ampia mostra retrospettiva mai dedicata alla ricerca artistica di Mimmo Jodice (Napoli, 1934), uno degli indiscussi maestri della fotografia contemporanea. La mostra presenterà, in un percorso appositamente concepito per gli spazi del museo, più di cento opere, dalle seminali sperimentazioni sul linguaggio fotografico degli anni Sessanta e Settanta fino ad una nuova serie (Attesa, 2015) realizzata in occasione di questo progetto retrospettivo.

Saranno proposti, in un allestimento unitario, tutti i più importanti cicli fotografici di Jodice – dedicati al mondo antico, alla natura morta, alla dimensione urbana, al rapporto con la storia dell’arte – in cui si articolano i principali aspetti e temi della sua ricerca: le radici culturali del Mediterraneo, le epifanie del quotidiano, che declinano un’archetipica antropologia degli oggetti comuni, l’astrazione delle metropoli contemporanee, posta a confronto con l’incanto del paesaggio naturale, la relazione fra tensione metafisica e dimensione della cronaca, così come fra il perdurare del passato nell’identità del presente. Una sezione della mostra sarà inoltre dedicata ai lavori di matrice sociale e di impegno civile degli anni Sessanta e Settanta, mentre nelle altre sezioni saranno presentate anche opere di alcuni artisti, selezionati per delineare le primarie fonti di ispirazione di questa ricerca magistrale.

Nelle sue opere, che hanno contribuito a definire gli sviluppi della ricerca fotografica contemporanea a livello internazionale, Jodice delinea una dimensione spazio-temporale posta al di là delle coordinate spaziali o dello scorrere del tempo, sospesa nella dimensione contemporaneamente fisica e metafisica, empirica e contemplativa dell’attesa. Un’attesa che è anche matrice e magistero di una pratica rigorosamente analogica della fotografia: l’attesa nella ricerca paziente dell’illuminazione, spesso mattutina, in grado di rilevare l’essenza del soggetto rappresentato, o l’attesa nell’altrettanto paziente bilanciamento dei bianchi e dei neri in camera oscura.

Ciò che si staglia di fronte a noi è l’ineffabile eternità e il nitore assoluto di immagini in bianco e nero restituite dallo sguardo rivelatore di una macchina da presa che si fa “macchina del tempo” o, meglio, del superamento del tempo, suprema celebrazione dell’umano colto osservando il mondo intorno a noi in tutte le sue espressioni sensibili e, infine, scoperta e costante reinvenzione della fotografia stessa nelle sue potenzialità rappresentative e conoscitive, al di là di una interpretazione meramente documentaria della pratica fotografica. Nelle sue diverse sezioni, fra loro connesse, la mostra evoca così un tempo circolare, ciclicamente ritornante su se stesso, sulle sue ragioni fondanti e sui suoi motivi ispiratori, da cui affiora una vera e propria “realtà fotografica”.

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Diane Arbus: In the beginning

This landmark exhibition will feature more than 100 photographs that together redefine Diane Arbus (American, 1923–1971), one of the most influential and provocative artists of the 20th century. It will focus on the first seven years of her career, from 1956 to 1962, the period in which she developed the idiosyncratic style and approach for which she has been recognized praised, criticized, and copied the world over.

Arbus made most of her photographs in New York City, where she lived and died, and where she worked in locations such as Times Square, the Lower East Side, and Coney Island. Her photographs of children and eccentrics, couples and circus performers, female impersonators and Fifth Avenue pedestrians are among the most intimate and surprising images of the era.

The majority of the photographs in the exhibition have never before been seen and are part of the Museum’s Diane Arbus Archive, acquired in 2007 by gift and promised gift from the artist’s daughters, Doon Arbus and Amy Arbus. It was only when the archive came to The Met that this remarkable early work came to be fully explored. Arbus’s creative life in photography after 1962 is well documented and already the stuff of legend; now, for the first time, we can properly examine its origins.

The Met Breuer – New York – 12 July – 27 November

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 Avevamo già parlato di questa straordinaria fotografa qua

ELLIOTT ERWITT – RETROSPECTIVE

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Dall’11 giugno al 13 novembre 2016 il Forte ospita la mostra Elliott Erwitt – Retrospective. Realizzata dall’Associazione Forte di Bard in collaborazione con Magnum Photos Paris, l’esposizione presenta in anteprima mondiale un nuovo progetto di retrospettiva dell’immensa opera di Elliott Erwitt, uno dei grandi protagonisti della fotografia del nostro tempo.

Le immagini sono state selezionate fra le più significative e iconiche della sua immensa produzione e coprono un arco temporale che va dal 1948 al 2005. La mostra è a cura di Andrea Holzherr, Global Exhibitions Director, Magnum Photos International, Paris e di Gabriele Accornero, Ceo dell’Associazione Forte di Bard.
Nelle sale delle Cantine saranno esposte 137 fotografie comprese in un arco temporale che va dal 1948, anno della foto Veduta di New York, USA sino al 2005. Nove le sezioni in cui è divisa la mostra, tra scatti in bianco e nero e colori: Beaches, Cities, Abstractions, Museum Watching, Dogs, Between the Sexes, Regarding Women, Kids, Personalities.
In mostra anche un video con un’intervista al fotografo registrata in esclusiva per il Forte di Bard nel suo studio di New York.
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Vivian Maier, Street Photographer

 San Francisco, Ca. 1955 ©Vivian Maier.  John Maloof. Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York

For the first time in Madrid a great retrospective of the work of the nanny that, after his death, has become an icon of photography.

Fundación Canal in Madrid hosts the “Vivian Maier, Street Photographer” exhibition until August 16, 2016, which includes 120 photographs and Super 8 movies that brilliantly capture the urban environment of New York and Chicago in the second half of the 20th Century. The exhibition has been curated by Anne Morin and is produced by diChroma photography. The exhibition, inaugurated in June 9th, its included into the photography festival Photoespaña.

Vivian Maier (New York, 1926 – Chicago, 2009), one of the most amazing characters of contemporary photography, alternated her profession as a nanny with her hidden and great passion. She made more than 100.000 photographs who never taught anyone. After his death in poverty and in artistic anonymity, her archives were found by accident, and since his work saw the light in 2010 she has become, by its own right, one of the world’s top benchmarks in street photography and a media phenomenon.

This exhibition does, for the first time in Madrid, a global tour through the work of Vivian Maier, addressing in thematic form her main interests and showing the quality of her look and the subtlety with which she endorsed the visual language of his time.

The exhibition is divided into 6 sections: childhood, portraits, formalisms, street scenes, self-portraits and color photographs. It includes also nine super8 movies made between 1965 and 1973, through which Maier set his eyes on the world, moving away, approaching, surrounding something that her intuition and perception carried her to watch, until she stop, and then take the decision to capture that particular image.

The impact that Vivian Maier has generated in the world of photography has brought her work to the best galleries in the world and to be published in many books. Even John Maloof, discoverer of her work, in 2013 directed the film “Finding Vivian Maier”, which was nominated to the Oscars in 2014 for “Best documentary feature”. This film may be showed at Fundación Canal during a complementary activity to the exhibition.

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EXTRAORDINARY VISIONS. L’Italia ci guarda

40 maestri della fotografia e 150 immagini per raccontare il Bel Paese tra bellezza, contraddizioni e uno sguardo al futuro.
In occasione del 70° anniversario della nascita della Repubblica Italiana, il MAXXI presenta una collettiva con scatti dei maggiori fotografi italiani e internazionali che hanno posato il proprio sguardo sul nostro Paese: un “atlante” poetico e allo stesso tempo documentario, sociale e istituzionale, dell’Italia degli ultimi decenni che racconta paesaggi sublimi e compromessi dal degrado, città ideali e periferie abusate, architetture d’autore e spazi urbani ai margini.

Il percorso di mostra si articola in quattro sezioni, arricchite da video, photoscreening e da un focus alle ricerche che contaminano i linguaggi del video e della fotografia. Inoltre il MAXXI ha aderito al progetto speciale Inside Out di JR con il lavoro Costruiamo la comunità del XXI secolo, a cura del Dipartimento Educazione: un caleidoscopio di ritratti “multietnici” di grande espressività, frutto di un workshop con la scuola Guido Alessi, installati sulla facciata esterna della “Palazzina D”, l’ex caserma nella piazza del Museo.

I FOTOGRAFI
Paola Agosti, Alterazioni video, Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Letizia Battaglia, Gianni Berengo Gardin, Massimo Berruti, Tommaso Bonaventura, Alessandro Imbriaco e Fabio Severo, Michele Borzoni, Andrea Botto, Silvia Camporesi, Giovanni Chiaramonte, Gianni Cipriano e Simone Donati, Mario Cresci, Tano D’Amico, Paola De Pietri, Franco Fontana, Giovanni Gastel, Luigi Ghirri, Guido Guidi, Francesco Jodice, Mimmo Jodice, Giuseppe Leone, Erich Lessing, Armin Linke, Ugo Mulas, Walter Niedermayr, Petra Noordkamp, Paolo Pellegrin, Massimo Piersanti, Mustafa Sabbagh, Ferdinando Scianna, Mario Spada, Hiroshi Sugimoto, Massimo Vitali, Francesco Zizola, Begoña Zubero Apodaca.

2 giugno 2016 – 23 ottobre 2016 – Maxxi Roma

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Dorothea Lange

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Per la prima volta in Italia con ben due mostre, Dorothea Lange, la famosa fotografa documentarista, famosa soprattutto per aver documentato la povertà delle aree rurali americane durante la Grande Depressione, in collaborazione con altri fotografi per la FSA Farm Security Administration.

Famosissima è la sua foto Migrant Mother che tutt’oggi viene considerata un’icona della storia della fotografia: il soggetto è Florence Owens Thompson, una donna di 32 anni, madre di sette figli, immortalata nei pressi di un campo di piselli in California (il titolo originale, infatti, è Destitute Pea Picker).

STUDIO TRISORIO – Napoli
A Visual Life
9 giugno – 15 settembre 2016

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CASTELLO DI POSTIGNANO – Sellano, PG
The Camera is a Great Teacher
11 giugno 2016  – 9 gennaio 2017

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Garry Winogrand – Women (are beautiful)

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La grande fotografia ancora una volta al MAN. A un anno dal successo della mostra di Vivian Maier, il Museo della Provincia di Nuoro è lieto di annunciare l’imminente apertura di un nuovo progetto espositivo, in anteprima nazionale, dedicato a Garry Winogrand, padre della street photography.

Negli ultimi anni il lavoro di Winogrand (1928-1984) è stato in più occasioni accostato a quello di Vivian Maier. Anche lui, come l’ormai celebre tata fotografa, operò nelle strade di New York a partire dai primi anni Sessanta, portando avanti un lavoro capillare e ossessivo di reportage.

Winogrand è stato uno dei più importanti cronisti della società americana, oltre che uno dei più celebri fotografi internazionali degli anni Sessanta e Settanta. Il suo sguardo sulle abitudini dei cittadini statunitensi, apparentemente distratto, quasi casuale, spesso ironico, fu influenzato soprattutto dalla fotografia sociale di Robert Frank e Walker Evans, che reinterpretò in una forma nuova e radicale.

Winogrand individuò negli anonimi abitanti delle città americane il soggetto ideale per dare corpo alla propria visione del mondo, raccontando storie laterali, prive di copione o colpi di scena, catturate sempre in luoghi pubblici: nei parchi, allo zoo, nei centri commerciali, nei musei, negli aeroporti, oppure in occasione di manifestazioni politiche ed eventi sportivi.

La sua tecnica si contraddistingue per l’utilizzo di obiettivi grandangolari. I tanti provini giunti sino a noi dimostrano come Winogrand ricercasse volontariamente la presenza di uno spazio esterno al soggetto, spesso forzando l’inclinazione della macchina fotografica. Com’è stato scritto in più occasioni, sarebbe sbagliato liquidare questi sfondi come elementi secondari, come un “rumore” visivo irrilevante. Secondo l’originale visione di Winogrand, i dettagli esterni, inclusi nella cornice della fotografia, contribuivano invece ad accrescere la forza e il significato del soggetto ritratto.

La mostra al MAN, a cura di Lola Garrido, realizzata in collaborazione con diChroma Photography, presenta, per la prima volta in Italia, la collezione completa delle fotografie che, nel 1975, andarono a comporre il celebre volume “Women are Beautiful”, divenuto oggi un oggetto di culto. Immagini istantanee, qui proposte attraverso una serie di stampe originali, che celebrano la figura femminile con uno sguardo autentico, in cui si mescolano ammirazione e ironia, venerazione e sarcasmo.

Un lavoro per molti aspetti controverso, parallelo a quello dei poeti della Beat Generation, a cui non furono risparmiate pesanti critiche. Se infatti agli occhi di alcuni interpreti le fotografie apparirono come una gioiosa riflessione sull’emancipazione della donna e sulla sensualità, altri – per la presenza di figure formose, in abiti sbracciati o minigonne, o per l’indugiare dellosguardo di Winogrand sui seni e i fondoschiena – le avvertirono invece come l’espressione contorta di una visione maschilista e misogina.

Ciò che appare evidente è che non si tratta di una riflessione superficiale sui nuovi concetti di bellezza, ma piuttosto di una descrizione delle conseguenze sociali della controcultura americana, oltre che di una dichiarazione di sostegno ai diritti e alla libertà delle donne in un momento in cui il conservatorismo puritano sembrava volere rimettere in discussione alcune delle più importanti conquiste del dopoguerra.Il noto fotografo Joel Meyerowitz, ha parlato di “un urto e un abbraccio allo stesso tempo: lui è una contraddizione e le immagini sono contradditorie”.

Di questo grande della streeet photography, vi avevamo già parlato qua

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Invisible Man: Gordon Parks and Ralph Ellison in Harlem

Gordon Parks and Ralph Ellison are both recognized as major figures in American art and literature: Parks, a renowned photographer and filmmaker, was best known for his poignant and humanizing photo-essays for Life magazine. Ellison authored one of the most acclaimed—and debated—novels of the 20th century, Invisible Man (1952). What is less known about these two esteemed artists is that their friendship, coupled with a shared vision of racial injustices and a belief in the communicative power of photography, inspired collaboration on two projects, one in 1948 and another in 1952.

Capitalizing on the growing popularity of the picture press, Parks and Ellison first joined forces in 1948, on an essay titled “Harlem Is Nowhere,” for ’48: The Magazine of the Year, which focused on Harlem’s Lafargue Mental Hygiene Clinic as a means of highlighting the social and economic effects of racism and segregation. In 1952 they again worked together, producing “A Man Becomes Invisible” for Life magazine, which illustrated scenes from Ellison’s Invisible Man. Both projects aimed to make the black experience visible in postwar America, with Harlem as its nerve center. However, neither essay was published as originally conceived—the first was lost, while only a fragment of the second appeared in print.

This exhibition reunites for the first time the surviving photographs and texts intended for the two projects, including never-before-seen photographs by Parks from the collections of the Art Institute and the Gordon Parks Foundation and unpublished manuscripts by Ellison. Revealed in these frank depictions of Harlem is Ellison and Parks’s symbiotic insistence on making race a larger, universal issue, finding an alternative, productive means of representing African American life, and importantly, staking a claim for the black individual within—rather than separate from—the breadth of American culture.

Through August 28, 2016
Gallery 188 – Art Institute Chicago

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Domon Ken – Il maestro del realismo giapponese

Monografica dedicata ad uno dei fotografi più importanti della storia della fotografia moderna giapponese.

In mostra circa 150 fotografie, realizzate tra gli anni Venti e gli anni Settanta del ‘900, che raccontano il percorso di ricerca verso il realismo sociale. Dai primi scatti, prima e durante la seconda guerra mondiale, che mostrano la visione legata al fotogiornalismo e alla fotografia di propaganda, passando dalla fotografia di ambito sociale, la mostra ripercorre la produzione di Domon Ken fino all’opera chiave che documenta la tragedia di Hiroshima, alla quale il fotografo si dedicò come rispondendo ad una chiamata e ad un dovere umanitario.

Cura della mostra Rossella Menegazzo, docente di Storia dell’Arte dell’Asia Orientale all’Università degli Studi di Milano e del Maestro Takeshi Fujimori, direttore artistico del Ken Domon Museum of Photography.

Museo dell’Ara Pacis – Roma – dal 27/05 al 18/09

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Martin Parr – A Photographic Journey

03 June – 02 November 2016 – Kunsthaus Wien

Martin Parr (*1952) is one of the most renowned photographers worldwide. The “chronicler of our times” made his international breakthrough in the mid-1980s with his series Last Resort showing British beach holiday scenes. His “terribly beautiful pictures” have since influenced countless photographers in the fields of documentary photography and street photography.

The exhibition at KUNST HAUS WIEN is the first major retrospective of the work of the famous Magnum photographer in Austria. Thirteen large groups of works provide a comprehensive insight into Parr’s oeuvre. Especially for this exhibition Martin Parr has created the photo series Cakes and Balls (2015/16), a series on Vienna dealing with clichés and traditions of the Austrian capital city. For this purpose he visited places such as the Prater, numerous balls and cafés, allotments and the production facility of the Aida pastrychain.

Martin Parr intentionally directs our view to the rather odd and absurd aspects of everyday life – to the unspectacular, the commonplace, the normal, to the margins of everyday life that often remain unnoticed. His photographs provide a brutally honest picture of the very heart of our society and point to the excesses of the consumer society. Parr’s incessant photographic interest in different societal groups and their particularities has led him to many different places, both in terms of geography and typology. His images take us to typical tourist locations, organisations in rural areas, ballrooms or traditional photo studios.

The series Cakes and Balls could be realized with the kind support of OstLicht gallery.

Curator: Verena Kaspar-Eisert

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Avevamo già scritto di Martin Parr, qui

Francesca Woodman – On being an angel

May 11 – July 31, 2016 – Fondation Henri Cartier-Bresson – Paris

The Fondation Henri Cartier-Bresson is pleased to be presenting the dazzling work of American photographer Francesca Woodman (1958–1981). Rooted in constant exploration of herself and the medium, Woodman’s insightful, deeply intimate approach turned her photography into a second skin. In her images she made almost exclusive use of her own body: It’s a matter of convenience, she explained, I’m always available. Despite her premature passing at the age of twenty-two, Woodman left an impressive body of work. And while the pictures betray a host of influences ranging from Symbolism to Surrealism, her own talent was as prodigious as it was precocious.
Francesca Woodman explores her own image although her inspiration drives her to navigate into the photographic technic and the act of writing. Her staging in desolated rooms, the ghostly body presence in the middle of spaces in decay, of houses on the threshold of demolition outreached the pure self-portrait genre. Preps and setups disclose assumed surrealist influences, glasses, mirrors, peeling paint, ripped wallpaper. The body is to be fiddled with, fragmented until mingling with its environment and raises issues about metamorphosis and genre. These insolent and disconcerting images of a rare intensity arouse the ephemeral, the elusiveness of time.

The artist photographs are part of international museum collections such as the Tate Modern in London and the Metropolitan Museum of Art in New York. The first travelling exhibition of her works has been organized in 1986 and her main European exhibitions in the 90’s. La Fondation Cartier and Les Rencontres Internationales de la Photographie d’Arles have been the first and last institutions to present a retrospective of her work in France, in 1998.

The exhibition including a hundred prints, video and documents has been organized in collaboration with the Estate of Francesca Woodman in New York and Anna Tellgren, the curator. After the Moderna Museet in Stockholm and FOAM in Amsterdam, the European tour of the exhibition will end up at the Moderna Museet in Malmö.

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The Dream – Fabio Bucciarelli

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Galleria d’Arte Raffaella De Chirico Torino – dal 7/6/2016 al 15/09/2016

Negli ultimi cinque anni Fabio Bucciarelli ha dedicato la propria vita a documentare i principali conflitti in Africa e in Medio Oriente, palesando al mondo la crudeltà della guerra e i suoi devastanti effetti sulla popolazione civile.

Nel 2011 Fabio ha iniziato a sviluppare The Dream, un progetto fotografico sul più grande esodo di migranti e di profughi dopo la Seconda Guerra Mondiale. Nel 2016 il lavoro diventa un libro, pubblicato da FotoEvidence, prestigiosa casa editoriale di New York.

Raffaella De Chirico porta dal 7 giugno 2016, nel suo spazio espositivo (che già nel 2014 ospitò la mostra personale di Bucciarelli Maiores Nostri, dedicato al Sud Sudan) una selezione delle immagini contenute in The Dream, dando quindi una continuità programmatica e di ricerca attraverso la fotografia di reportage ed inerente a tematiche sociali.

In un raffinato – e magistralmente realizzato – esperimento autoriale, in bilico fra il fotogiornalismo classico e la fotografia artistica, The Dream rappresenta una riflessione profonda sulla condizione universale dell’uomo diventato migrante; il focus sull’essere umano piuttosto che sul profugo diventa il punto di partenza del lungo viaggio, dove il sogno si palesa come il vero motore dello straziante cammino in cerca di rifugio.

La selezione degli scatti in mostra vuole riprodurre il concept del progetto. Il 7 Giugno verrà anche presentato ufficialmente il libro, realizzato grazie ad un crowdfunding di 197 persone che hanno sostenuto economicamente la produzione.

The Dream è un racconto fotografico lucidamente onirico per un libro che viene alla luce in un periodo in cui la crisi rifugiati è diventata il più grande esodo nella storia contemporanea, documentata spesso dai media in maniera impersonale, ge-nerando un’opinione pubblica indifferente quando non ostile.

Durante la creazione di The Dream, Fabio si è avvalso di diversi strumenti tecnici per suggerire al lettore un punto di vista differente sulla condizione odierna del migrante. L’uso di immagini stenopeiche, create con la Pinolina (macchina fotografica unica, costruita ad hoc per lo sviluppo del progetto) danno il ritmo al libro, trasportando il lettore verso un’esperienza partecipata.

Il libro è in tiratura limitata di 1000 copie dove nelle 180 pagine si alternano immagini in bianco e nero, dittici, montaggi ed immagini a colori. 100 copie sono Special Edition, distribuite dentro una ”book vest” realizzata dai rifugiati – ospitati nel campo di accoglienza di Pikpa dell’isola di Lesbos – con i giubbotti salvagente utilizzati dagli stessi per raggiungere l’Europa. Ogni book vest è unica e irripetibile, un prodotto che suggella la collaborazione tra autore e i protagonisti.
La Special Edition inoltre contiene una delle quattro fotografie scelte a tiratura a 25 stampata su carta fine art Hahnemuhle German Etching 310gsm.

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Professione reporter

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30 Maggio – 1 Ottobre 2016 – Fondazione Giovanna Piras – Asti

Bruno Barbey, Jack Birns, Werner Bischof, Margaret Bourke-White, Larry Burrows, Cornell Capa, Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, Bruce Davidson, Mario Dondero, Alfred Eisenstaedt, Elliott Erwitt, Walker Evans, Robert Frank, Leonard Freed, Burt Glinn, Philip Jones Griffiths, Philippe Halsman, Charles Harbutt, Erich Hartmann, David Hurn, Yousuf Karsh, Alberto Korda, Josef Koudelka, Dorotea Lange, Sergio Larrain, Costantine Manos, Steve McCurry, Wayne Miller, Tina Modotti, Marc Riboud, George Rodger, Arthur Rothstein, Sebastiao Salgado, David Seymour, Mark Shaw, Eugene Smith, Dennis Stock, Kryn Taconis, Nick Ut.

La Fondazione Giov-Anna Piras inaugurerà il 28 Maggio ad Asti, negli spazi di Via Brofferio, la mostra Professione Reporter, a cura di Flavio Piras e Alessandro Carrer. L’intento del progetto è di riflettere, attraverso una struttura ampia e articolata, sulla grande varietà di approcci fotografici che hanno caratterizzato gli anni d’oro del fotogiornalismo internazionale del ventesimo secolo, offrendone una visione singolare e atipica sotto diversi aspetti: in un unico spazio verranno presentati lavori di quaranta fotografi, da Henri Cartier-Bresson e Robert Capa, fondatori della storica Magnum Photos, a Larry Borrows e Nick Ut, da Marc Riboud, e David Seymour, a Joseph Koudelka e Sebastiao Salgado, da Tina Modotti a Margaret Bourke-White, da Walker Evans a Robert Frank, con la possibilità di scoprire, per alcuni, scatti emblematici ma poco noti, e con l’occasione di approfondire, per altri, sguardi e filosofie attraverso sezioni monografiche dedicate.

È opinione diffusa che il reportage costituisca la vocazione per eccellenza della fotografia stessa. La fotografia documentaria ha (e ha avuto, nel corso della propria storia) la capacità e il privilegio di mostrare il mezzo, lo strumento, ovvero la fotocamera, “al massimo della sua forza e radicalità”. Pur avendo connessioni esplicite con lo spazio e con il pubblico, il genere del reportage è anche “una delle forme più intime della pratica fotografica” (Graham Clarke) e presuppone un nodo diretto e immediato tra lettore e soggetto, sostenuto da un preciso mandato di registrazione e denuncia: la fotocamera produce una coscienza e manifesta, parafrasando Franco Vaccari, un “inconscio etico-morale”.

Se poi ci si allontana dal presente dello scatto, dalla “scheggia di storia e realtà” che la fotografia ha saputo (o provato) a fermare, il valore documentario della testimonianza si diluisce progressivamente nell’oceano del tempo così che, anni dopo, bruciata la notizia, rimane la grandezza o la bellezza dello scatto fotografico in sé, ancora più denso della sua connaturata ambiguità. L’arbitrio del fotografo si mescola inesorabilmente all’istante fotografato, e la storia del soggetto tende a perdersi in quella dell’osservatore, fino a produrre rituali del tutto nuovi. Alla fine resta l’immagine, e il potere che essa è in grado di esercitare sull’osservatore.

A complemento del progetto, una sezione della mostra sarà dedicata a uno dei più grandi reportagisti italiani, Mario Dondero, scomparso alla fine dello scorso anno: del fotografo “inafferrabile e ubiquo”, come lo ha definito lo scrittore Ermanno Rea, saranno presenti alcuni dei suoi celebri ritratti (tra gli altri Sartre, Beckett, Pasolini, Wells, Bacon) insieme a una serie di scatti realizzati nel 1970 alla redazione di Charlie Hebdo, a testimoniare uno sguardo che è sempre stato capace di sentire e raccontare il mondo.
La scelta di rendere omaggio alla fotografia di Mario Dondero in una mostra tutta internazionale non è intesa però ad escludere l’Italia dalla storia della fotografia di reportage; piuttosto, vuole anticipare un futuro progetto della Fondazione dedicato tutto al fotogiornalismo italiano.

Il progetto espositivo “Professione reporter” costituisce un focus su di un importante tassello della collezione del Fondo Giov-Anna Piras: frutto di un’attenta selezione, la mostra si snoda lungo i 1500 mq di spazi espositivi della Fondazione e raccoglie circa trecento scatti di alcuni tra i più importanti reportagisti del Novecento, offrendo al pubblico l’opportunità di abbracciare in una lunga carrellata e attraverso stampe originali, tanto la diversità di stili quanto la coerenza, l’organicità di un progetto di fondo, come se la mission di ogni singolo fotoreporter, la sua dichiarazione d’intenti, finisse per coincidere, nella somma dei diversi sguardi, con lo “scopo” della fotografia tutta; vite immerse nei frastuoni della storia ma sempre trascorse sulla soglia dell’inquadratura, a testimonianza di quell’attimo che, già passato, ci restituisce tutta la verità e la singolarità di un evento che si fa rappresentazione.

Il Fondo Giov-Anna Piras è nato per promuovere l’arte e la fotografia moderne e contemporanee attraverso mostre ed eventi volti a valorizzare e condividere il proprio fondo collezionistico con la collettività. Dal 2006 il Fondo è impegnato nella conservazione di opere e supporti foto-cartacei, nella catalogazione fotografica, nella cultura archivistico-bibliografica e collezionistica relative a svariati settori di interesse artistico-culturale. Inoltre, grazie alla grande passione che ne anima i progetti e all’intensa attività che ne contraddistingue l’operato, il Fondo promuove e valorizza anche le risorse del territorio astense che lo ospita.

La mostra sarà corredata di un catalogo con interventi critici e una breve presentazione per ciascun autore in mostra.

Montechiarugolo, architettura e identità – Andrea Pirisi

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Il ritratto urbano coglie l’identità, propria e unica, di un ambiente, attraverso lo sguardo attento del fotografo che, in assenza dell’uomo, delinea il volto umano dello spazio. Il ritratto urbano che Andrea Pirisi propone affonda le sue radici nella fotografia degli anni settanta, custodita in riviste di architettura e testi teorici, espressione del pensiero dei New Topographics statunitensi e degli esponenti dell’ accademia di Dusseldorf. Ma è soprattutto debitore alla Scuola Italiana di Paesaggio di Luigi Ghirri e al suo Viaggio in Italia. L’idea che esista un “rigore architettonico” nell’ambiente urbano e che solo attraverso la “lentezza dello sguardo” sia possibile coglierlo e interpretarlo sono -invece-  gli insegnamenti ricevuti da Gabriele Basilico di cui è stato un allievo entusiasta. Questi dispositivi di lavoro e analisi hanno accompagnato anche il progetto da cui è scaturita la mostra. Percorrendo strade, soffermandosi ad osservare architetture, congiungendo le costruzioni presenti alle rovine passate, guardando oltre e dentro la struttura si è composta l’identità di Montechiarugolo e delle sue frazioni. In assenza dell’uomo si è imposto l’umano.

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 Eye in the sky – Massimo Sestini

Coste e fondali d’Italia; ulivi secolari e campi di pomodori; lagune rosse e visioni notturne di scorci urbani. Elementi eterogenei mostrati da una prospettiva assolutamente peculiare, si trasformano in pattern unici e motivi quasi astratti nelle immagini di Massimo Sestini.

Dal 9 luglio fino al 28 agosto, in mostra a LABottega le immagini del famoso fotografo toscano, tra i vincitori del World Press Photo 2015, realizzate da un elicottero a 2.000 piedi. Una lontananza che, per paradosso, aiuta a scoprire particolari del nostro quotidiano che altrimenti rimarrebbero ignorati. E’ proprio la prospettiva aerea a conferire loro una nuova visibilità e a mostrarne la varietà strutturale. La mostra è a cura di Livia Corbò, giornalista e curatrice di mostre, si occupa di fotografia da oltre 20 anni, come photo editor in diversi testate (GQ, Amica, Condé Nast Traveller).

In oltre 30 anni di carriera, Massimo Sestini ha raccontato la Cronaca e le storia italiana. Paparazzo, fotogiornalista, famoso per l’abilità in travestimenti, nascondigli, voli in elicottero e scatti rubati. Celebre come le sue foto.

Nato a Prato (Firenze) nel 1963. Autodidatta, comincia fotografando concerti rock e la cronaca per i quotidiani locali. I primi scoop a metà anni Ottanta. Con lo scatto dell’attentato al Rapido 904 ottiene la sua prima copertina su Stern.

Da quel momento, oltre a seguire la cronaca, fondando l’Agenzia omonima, si dedica sia ai grandi avvenimenti d’attualità, che alle foto “rubate” ai personaggi pubblici. E’ l’inizio della sua carriera di Paparazzo. L’approccio non cambia: essere sulla notizia, qualunque sia il mezzo per arrivarci. E’ il solo a riprendere il primo, clamoroso, bikini di Lady D; ma sarà anche testimone della tragedia della Moby Prince, e autore delle foto dall’alto degli attentati a Falcone e a Borsellino. Negli anni Novanta, collabora con le principali agenzie e newsmagazine.

Le foto aeree diventano una costante: arrivano le esclusive del Giubileo del 2000, del G8 a Genova, dei funerali di Papa Wojtyla.

Dal 2000 Massimo Sestini inizia a concentrare la sua ricerca visiva sulla prospettiva zenitale, scattando fotografe da un punto perfettamente perpendicolare al soggetto ritratto. Questa tipologia di immagini lo porta a cambiare il suo approccio alla fotografa e a intraprendere diversi progetti seriali a lungo termine. Il 2014 rappresenta un punto di svolta in questa direzione: Massimo Sestini, che già collabora con la Marina Militare Italiana, quell’anno ha l’opportunità di essere testimone dell’Operazione Mare Nostrum, organizzata dal governo italiano per soccorrere e trarre in salvo migranti e rifugiati che rischiano la vita attraversando il Mar Mediterraneo. Il 7 giugno, dopo molti giorni di tempesta, l’equipaggio della Fregata Bergamini avvista un barcone stipato di gente, Sestini lo sorvola con l’elicottero e riesce a scattare la Mare Nostrum, 2014, fotografia selezionata tra le Top 10 images of 2014 da TIME, con la quale vince un World Press Photo 2015 nella categoria General News. Partecipa al MIA Photo Fair 2015 e 2016 e si aggiudica la prima edizione del Premio Gatti come migliore stand.

La prospettiva zenitale diventa protagonista delle ultime ricerche di Massimo Sestini. Le immagini del progetto Zenit, visibile in questa esposizione, sono realizzate da un elicottero a oltre 2000 metri di altezza. E’ proprio la prospettiva zenitale a conferire una nuova visibilità a particolari del nostro quotidiano che altrimenti rimarrebbero ignorati. Nonostante le immagini diano un senso di realtà congelata in un rigido istante, sono state scattate muovendosi a 200 chilometri orari, per evitare l’effetto sfocatura sopra l’obiettivo causato dalla bolla di calore prodotta dal motore dell’elicottero se, a velocità nulla, stazionasse in volo. E’ solo grazie ai molti anni di esperienza se Massimo Sestini, in bilico fuori dal portellone di un elicottero in movimento, è in grado di catturare visioni così nitide del mondo in un’originale chiave di lettura attraverso un solo e preciso punto di vista, lo Zenit.

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Anna

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