Paolo Pellegrin – Another country

Famiglia a Northeast Rochester, NY. U.S.A. 2013 – ©Paolo Pellegrin
Il 17 dicembre 2015 alle ore 18.30, presso la Leica Galerie Milano in via Mengoni 4 (angolo Piazza Duomo), si inaugura la mostra Another Country di Paolo Pellegrin. Tra i più apprezzati fotografi internazionali e membro di Magnum Photos dal 2005, Pellegrin ha lavorato in alcune delle principali zone di conflitto ed emergenze umanitarie nel mondo, dalla Palestina allo tsunami in Giappone, dall’Afghanistan all’Iraq al Kosovo.
Il progetto presentato alla Leica Galerie è il risultato del viaggio che dal 2010 l’ha visto nel Sud ovest degli Stati Uniti al confine con il Messico, dove approdano molti immigrati del Centro e Sud America che cercano di raggiungere gli USA. Un luogo di forti tensioni razziali, in cui le minoranze – poveri e immigrati legali o illegali – sono al centro di un intenso controllo da parte della polizia. Nei 30 scatti che compongono la mostra, lo sguardo di Paolo Pellegrin è rivolto alla violenza costante e quotidiana della società americana, alla discriminazione razziale, al problema delle armi, alle disparità economiche e alla cultura della sorveglianza su poveri e immigrati.
Another Country è un reportage sociale e di denuncia che mette in luce le contraddizioni presenti nella cultura e nella società statunitense: tra tensioni razziali e giochi di potere, tra violenza e senso di ribellione, tra maniacale controllo della polizia e apparente libertà per le minoranze presenti nel Paese. Parte del lavoro è inoltre dedicata a Guantanamo Bay e al carcere statunitense di massima sicurezza che Pellegrin ha fotografato a più riprese tra il 2006 e il 2012.
“Questi temi mi hanno affascinato, e dopo quel primo viaggio a sud-ovest sono tornato in America quasi ogni sei mesi. Non ero alla ricerca di una storia particolare, ma del tentativo di dare un senso a un ethos. Ho cercato di arrivare al nocciolo di qualcosa sull’America, il suo spirito e i suoi ideali, e i paradossi che contengono” (Paolo Pellegrin)
Expo dopo Expo
Expo dopo Expo: lo sguardo di otto fotografi sulle eredità urbane e ambientali di sette Expo’ sarà allestita all’Urban Center di Milano dal 12 dicembre.
La mostra si concluderà il 21 gennaio 2016 e sarà visitabile dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle 18.
Dal catalogo della mostra: Sei anni fa, alla Triennale, L’Ordine degli architetti di Milano allestì la mostra fotografica Expo-Dopo-Expo. Milano aveva da poco vinto l’assegnazione dell’EXPO 2015 e dopo l’euforia iniziale si cominciava a lavorare, non senza contrasti, alla organizzazione del progetto. Per spirito di collaborazione, in quanto architetti, pensammo di puntare da subito l’attenzione sul problema del dopo-Expo specialmente dal punto di vista fisico, architettonico e funzionale. Mostrare attraverso cinque campagne fotografiche lo stato reale dei luoghi di 5 passate expo europee ci sembrò l’elementare punto di partenza per stimolare una discussione ed una presa di coscienza verso una amministrazione pubblica che si accingeva ad attrezzare, in una situazione urbana densa e complessa come quella milanese, una infrastruttura estesa su 1 milione di metri quadrati. Ovvio suggerimento: Imparare dalle esperienze altrui.
Organizzammo cinque incontri pubblici dove i responsabili di quelle esposizioni passate illustrarono obiettivi, strumenti e problemi affrontati. Segnalarono errori e problemi del prima, del durante e del dopo. Affiancate alle 5 campagne fotografiche, questi contributi segnalavano con utile anticipo la vera questione dell’intera operazione EXPO: la necessità di un progetto urbanistico, economico ed architettonico che permettesse un transito governato dalla festosa congestione della fiera planetaria ad un utile infrastruttura per l’intera comunità nazionale.
L’ascolto della amministrazione Moratti e di quella Formigoni verso l’intera operazione fu pari a zero. Nessuno intervenne mai a questi incontri pubblici, nemmeno per ascoltare, malgrado i molti inviti. La storia dei primi due anni persi in sgambetti contrasti e giochi di potere per gestire la gigantesca torta racconta di una classe politica e amministrativa miope e rissosa che pilotò consapevolmente l’Expo verso la classica condizione dell’emergenza, condizione nella quale le garanzie di trasparenza di equità e di efficienza pubblica svaniscono nella nebbia delle lobby politiche ed imprenditoriali.
Ad Expo 2015 quasi finita e dopo un innegabile successo di pubblico e di immagine, la logica dell’emergenza si rinnova. Il futuro funzionale e fisico dell’area non è stato preparato da un percorso d’indagine di politica economica ed urbanistica. Percorso che sarebbe dovuto iniziare almeno due anni fa per approdare a scelte ponderate, non dettate dalla situazione di emergenza e capaci di innescare meccanismi virtuosi e trasparenti nei processi decisionali nella messa a punto di progetti e negli affidamenti di incarichi. Oggi, in questa situazione aperta e fluida sollecitiamo nei limiti di tempo rimasti una discussione fondata e attenta al destino funzionale e architettonico di un pezzo di città.
In questa mostra alle cinque campagne fotografiche del 2009 aggiungiamo il reportage sull’Expo di Shanghai conclusasi nel 2010 e di Milano appena conclusa e sul cui futuro la discussione è aperta.
Franco Raggi
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Gabriele Basilico – Ascolto il tuo cuore, città
“Gabriele Basilico – Ascolto il tuo cuore, città” è la prima grande antologica di Gabriele Basilico nella città dove è nato nel 1944 e dove ha lavorato e vissuto fino al 2013, anno della sua prematura scomparsa. Si tratta anche della prima grande mostra storica interamente organizzata e curata da UniCredit Pavilion, che conferma la propria vocazione di luogo destinato alla produzione e alla diffusione della cultura nelle sue diverse manifestazioni.
La mostra, composta da circa 150 fotografie, videoproiezioni e una serie di filmati, si concentra sul tema più frequentato e amato da Basilico, quello della città, della sua natura e delle sue modificazioni, a partire dalla serie che ha dato il via a questa indagine, le quaranta fotografie di “Milano. Ritratti di fabbriche”, uno dei cicli più celebri e influenti della fotografia italiana contemporanea. Realizzate fra il 1978 e il 1980, queste fotografie segnano l’inizio temporale della mostra, e si collegano – idealmente e visivamente – con l’ultimo lavoro di Basilico, quello dedicato proprio all’area di Porta Nuova, all’interno della quale si svolge la mostra odierna. In seguito a una commissione di Hines, Basilico ha documentato e interpretato tutte le fasi del recupero e della riqualificazione della zona, dalla grande voragine iniziale alla nascita della Torre UniCredit: è proprio sul notturno dedicato a questo edificio e all’intera area che la mostra trova la sua conclusione ideale, il suo commovente punto di arrivo. Tra “Ritratti di fabbriche” e Porta Nuova si dipana l’avventura visiva e intellettuale di Basilico, narrata in mostra attraverso la serie dei “Porti” concepita alla metà degli anni Ottanta, quella dedicata a “Beirut”, ripresa più volte tra il 1991 e il 2011, e soprattutto le circa 50 immagini di città colte in ogni angolo del mondo. Da Milano a Napoli, da Mosca a Parigi a Berlino, da Istanbul a Madrid, da Rio a San Francisco fino a Shanghai, Basilico ha coltivato la sua amorevole ossessione per la città intesa come organismo vivente, alla ricerca degli elementi di quella “strana bellezza” che può caratterizzare ogni metropoli, “non solo nella memoria dei centri storici, ma anche nella frammentazione spontanea delle periferie”.
Fotografie che testimoniano insieme la coerenza dell’ispirazione di Basilico e la sua straordinaria capacità di ritrovare gli elementi di congiunzione tra le diverse metropoli, costruendo “un luogo globale come somma di luoghi diversi”, come diceva lui stesso.
In mostra sarà possibile anche seguire il percorso dell’artista attraverso una serie di filmati, interviste, documentari, realizzati a partire dai primi anni Ottanta, che rappresentano una sorta di guida attraverso le innumerevoli suggestioni create dalle fotografie esposte.
Curata da Walter Guadagnini con la collaborazione di Giovanna Calvenzi, la mostra è accompagnata da un catalogo edito da Skira, comprendente i testi del curatore e la riproduzione delle opere esposte.
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In the room – Francesca Cesari
E’ un attimo, “una parentesi sospesa tra devozione e tenerezza”, quello in cui il bimbo allattato al seno si stacca e si addormenta. Questo attimo Francesca Cesari, fotografa bolognese, ha catturato col suo obiettivo. Ed è nata la mostra ”In the room”, che inaugura sabato 19 dicembre (ore 17) a palazzo dei Principi di Correggio, in provincia di Reggio Emilia. L’esposizione, curata da Andreina Pezzi e organizzata dal Comune di Correggio, Isecs e assessorato alla Cultura presenta una serie di fotografie scattate nell’intimità di una stanza. “Ho voluto cogliere – spiega Francesca Cesari – la dimensione appartata e silenziosa del luogo in cui una madre addormenta il bambino attraverso l’allattamento al seno, il passaggio tra la veglia e il sonno dei piccoli, col progressivo ammorbidirsi del corpo e l’abbandono di ogni resistenza. Infine, la fisicità solida della donna, che rinnova i gesti rituali ed intuitivi delle generazioni che l’hanno preceduta”. Un viaggio visivo, che racconta donne provenienti da background diversi e che narra l’atmosfera e i protagonisti di un momento fondamentale ed esclusivo dell’esperienza della maternità
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La Palermo degli Ultimi – Francesco Faraci e Giacomo d’Aguanno
Palermo, Teatro Garibaldi alla Kalsa – a cura di Monica Modica
La mostra, attraverso 60 fotografie, per metà in bianco e nero, quelle di Francesco Faraci, e per metà a colori, quelle di Giacomo D’Aguanno, intende raccontare la complessa realtà di Palermo, i cui confini sono ridisegnati da continui flussi migratori che generano nuovi stili del vivere e dell’abitare: una città dove vicoli e antichi palazzi in rovina tornano a rivivere, dove le periferie si accrescono di villaggi effimeri e dove interi quartieri si popolano o ripopolano di nuovi abitanti provenienti da diverse aree del mondo.
“Le sessanta fotografie di Giacomo D’Aguanno e Francesco Faraci così schematicamente, scientificamente, divise tra colore e bianco-nero, distanti tra loro, separate per scelta tecnica e per sguardo, ci raccontano una città come fossero due, sovrapponibili ma inconciliabili, spesso le stesse piazze, la stessa marginalità, la stessa spiaggia”, scrive Giosuè Calaciura.
Secondo Nino Giaramidaro “D’Aguanno, in questo scorrere la sua città sembra voler continuare quello che fecero i grandi fotografi della Fsa (Farm Security Administration) che a metà Trenta documentarono il dramma della Grande Crisi americana”; e, di Faraci, dice: “sono così belli i bambini di Francesco Faraci che spingono ad entrare nell’utopia da lui inseguita – uguale a quella di D’Aguanno – nei passi dell’immaginazione e nella speranza che presto la civiltà si presenti a pagare il conto”.
“D’Aguanno e Faraci, illustrando la loro città con linguaggi diversi e complementari, resistono, e ci invitano a resistere, alla forza centripeta del gorgo oscuro che tutti, violento, trascina, mostrandoci di questo la tossica e corrosiva consistenza e, insieme, i suoi imprevedibili frammenti di luce: i sorrisi dei disperati e la poesia degli orizzonti mutili e offesi, la bellezza tra le rovine. Sorrisi, poesia, bellezza che, da soli, beninteso, non costituiscono speranza, semmai scandalosamente evocano quella frase de Il Gattopardo che Sciascia ritenne condensare il significato dell’opera di Tomasi di Lampedusa «sotto una luce cinerina, si agitava il paesaggio, irredimibile», conclude Ignazio Buttitta, presidente della Fondazione.
La mostra sarà visitabile da martedì a venerdì dalle 16 alle 19.30, sabato dalle 11 alle 13.30 e su prenotazione chiamando il 340 2457465, e rimarrà allestita fino al 18 gennaio 2016.
Sometimes I cannot smile – Piergiorgio Casotti
“Sometimes I cannot smile” è un viaggio intimo e personale nella vita giovanile Groenlandese dove natura, noia, violenza e tradizione stanno da decenni reclamando il
più alto dei “tributi”. Quello di centinaia di giovani vite. Una delicata esplorazione della sottile ed intima guerra che molti ragazzi combattono quotidianamente contro la violenza, la noia e il “vuoto”; una battaglia che da sempre è la ragione d’essere delle giovani generazioni, con la differenza che in Groenlandia, quella battaglia, molti la perdono.
Questo percorso racconta l’approccio “non fotografico” di Casotti alla fotografia: la mostra-installazione non mostra fotografie, bensì lastre di immagini realizzate per il libro, interazioni tra parola e musica e addirittura “fotocopie” di fotografie, realizzate appositamente, a testimoniare che una storia può essere potente, può comunicare, può arrivare anche se non è una perfetta opera d’arte. E’ il concetto di immagine e non di fotografia.
Andare all’essenza. Personalità non convenzionale, anticonformista a disagio anche tra
gli anticonformisti, Piergiorgio Casotti applica alla sua vita e alla sua fotografia lo stesso metodo; straccia il concetto di “bello” o di “brutto” e cerca foto “da vivere”, non “da guardare”. Crea progetti complessi per esprimere la complessità della vita e del mondo: immagini e testi, video e musica, Casotti rompe gli schemi, sposta i confini e vuole raccontare storie e stati d’animo, esperienze e vissuti che poco hanno a che fare con il canone estetico, con la singola foto che piace e che compiace. Il suo è un racconto di vita e di vite che, anche tramite il linguaggio fotografico, gratta la superficie delle cose e scava, rivelando, a volte, ciò che l’occhio non può vedere.
Fonderia 20.9 Verona – dal 18 Dicembre 2015 al 9 Gennaio 2016
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Amore incondizionato – Antonio Grassi
Dal 12 dicembre, mostra “Amore incondizionato”, a Villa Visconti d’Aragona, a Sesto San Giovanni. Bartolomeo e la sua mamma Tina, (autrice dei versi fronte foto), sono i protagonisti delle fotografie di Antonio Grassi, direttore artistico della Civica Fototeca Casiraghi. Attraverso questi lavori, Bartolomeo dimostra che la “Sindrome di Down” è normalità. Durante l’inaugurazione della mostra sarà distribuita gratuitamente copia del libro che ha lo stesso titolo della mostra. Gli autori si muovono dentro uno scenario futurista. Mettono in scena la loro vita. Le loro paure, ma anche i loro affetti. Un elegantissimo album di famiglia davvero appassionante.
Sfumature – AA.VV.
Da sabato 19 dicembre 2015 a domenica 3 gennaio 2016 sarà possibile visitare, con ingresso libero, dalle ore 19,00 alle 21,00, ad eccezione dei giorni 24, 25, 31 dicembre e 1 gennaio, in San Severo, presso la sala dell’ex “Bar Sica”, in Piazza Municipio, “Sfumature…” la mostra fotografica collettiva curata dal Circolo Fotografico “Estate 1826”. “La capacità delle fotografie di evocare piuttosto che dire di suggerire piuttosto che di spiegare le rende materiale affascinante per chiunque voglia estrarre una sola immagine da una grande raccolta e usarla per raccontare le proprie storie. Tali storie possono anche non avere niente a che fare con l’originale contesto narrativo della fotografia con l’intento del suo creatore o con la modalità di fruizione del suo pubblico in prima battuta.”. Non trovando migliori parole se non queste di Martha Sandweiss, professoressa di storia all’Università di Princeton, che ha iniziato la sua carriera di fotografa occupandosi di esposizioni all’Amon Carter Museum della città di Ft. Worth in Texas, si ritiene questa considerazione perfetta per introdurre questo viaggio nelle sfumature di colore, unico ed emozionante in cinquantaquattro foto, ritraenti i colori della natura, e non, fissati dall’obiettivo della macchina fotografica dei sodali del Circolo fotografico “Estate 1826”. Una nuance della realtà che ci circonda, capace di trasmettere sensazioni che possono variare da persona a persona, come ognuno di noi, ad esempio di fronte ad un paesaggio, può rimanere affascinato dai suoi colori e dalla sua luce, dalla vegetazione o da qualcosa d’impalpabile, presente, che ci arriva dritto e ci investe: quell’insieme, cioè, di aspetti non visibili ma presenti, che accendono in noi l’interesse o lo stupore. Ecco che allora, se ogni persona potesse scattare una fotografia di ciò che vede e di ciò che “sente”, realizzerebbe sicuramente un’immagine diversa da quella di chiunque altro, nel taglio, nei colori, in ciò che essa comunica. Eppure il paesaggio, l’oggetto o l’animale, è uno, unico, irripetibile. Questo è il meraviglioso mondo della fotografia: permettere a chi realizza uno scatto di cogliere ciò che vede, ciò che sente, in un prodotto finale che è l’essenza unica delle proprie percezioni, fisiche ed emotive. Questo in sintesi è il motore che ha fatto “scattare”, nei soci del Circolo fotografico “Estate 1826”, la molla degli otturatori, dai quali sono nate le fotografie raccolte ed esposte in questa mostra. Nelle foto di Luigia Regina, Lucia Troilo, Alberto Busini, Raffaele Camillo, Italo Cinquino, Domenico De Salvio, Pasquale De Salvio, Michele Falco, Michele Fontanello, Mario Giannubilo, Matteo Iacubino, Michele Iannelli, Ivan la Monaco, Fabiano Marinelli, Piero Mastroiorio, Giuseppe Petruzzellis, Louis Rapini, Alessio Schiavone, Maurizio Tattoni, Fedele G. Vigliaroli e Michele Vincitorio, si percepisce l’incanto di fronte a un paesaggio o a un gioco di luci e ombre, la meraviglia di un gesto pieno di forza e carico di significato profondo, la poesia sottesa a un particolare a prima vista insignificante, la consapevolezza dell’unicità di un istante irripetibile che valeva la pena che fosse colto, mostrato, perché le fotografie sono come gli uomini: non sono niente, se non sono condivise con gli altri.
Anna