Nel 1960 il fotografo francese Marc Garanger (1935-2020), mentre assolveva gli obblighi di leva militare durante il conflitto franco-algerino, che oppose la Francia coloniale agli indipendentisti algerini del Fronte di Liberazione Nazionale e si concluse con la proclamazione dell’indipendenza dello stato africano, realizzò una serie famosa di ritratti di donne algerine: “Femmes Algériennes 1960”.
Egli fu inviato dall’esercito francese, che stava occupando l’Algeria, in alcuni villaggi di montagna a sud-est di Algeri, come soldato-fotografo ufficiale dell’unità militare e fu costretto a fotografare gli abitanti del luogo per produrre le carte d’identità, di cui tutti dovevano dotarsi.
In 10 giorni realizzò circa 2.000 ritratti e furono soprattutto donne quelle che si presentarono davanti alla sua macchina fotografica. Donne che vennero fatte sedere su uno sgabello posto di fronte ad un muro bianco e furono obbligate a posare togliendosi il velo. Donne che furono quindi costrette a mostrare pubblicamente il loro volto, nonostante la religione vietasse (e vieta) loro di farlo in presenza di altri uomini, diversi dai propri mariti.
A queste donne non rimase altro che opporsi a questo obbligo in silenzio, facendo parlare il loro sguardo, accusatorio e di sfida, e l’espressione del loro viso.
Quindi, detto ciò, questi ritratti possono essere considerati a tutti gli effetti delle fotografie di nudo?
Se con fotografia di nudo s’intende la fotografia del corpo umano privo di vestiti, allora anche queste fotografie possono esserlo, dal momento in cui il velo, per queste donne, costituisce parte integrante del loro abituale modo di mostrarsi in pubblico.
Levare il loro velo di fronte ad un obiettivo, per mostrare la loro identità, fatta anche di capelli scomposti e tatuaggi, è stato per queste donne un vero e proprio atto di violenza psicologica, che il fotografo, abilmente e con cura, è stato in grado di immortalare come atto di denuncia alla guerra e alle sue ingiustizie e violenze di ogni genere.
Il fotografo stesso disse: “Potevo rifiutare e andare in prigione oppure accettare. Ho capito la mia fortuna: dovevo essere un testimone per far trasparire nelle mie immagini la mia opposizione alla guerra. Ho visto che potevo usare quello per cui sono stato costretto. Le immagini dicevano il contrario di ciò che le autorità volevano far loro raccontare. In dieci giorni ho realizzato duemila ritratti, duecento al giorno. Le donne non avevano scelta. Il loro unico modo di protestare era attraverso il loro aspetto”.
Nel 2004 Garanger ritornò in Algeria per incontrare coloro che aveva fotografato in quei giorni e scoprì che le foto che aveva scattato a queste donne furono le uniche che loro avessero mai avuto di sé stesse.
Con questo lavoro Garanger vinse nel 1966 il premio fotografico Niépce.
Ciao, Cristina.
Complimenti per la ricerca e la condivisione di un lavoro fotografico sconosciuto ai più. E come sempre la Fotografia vera (con la F maiuscola) è soprattutto cultura attraverso l’immagine. A volte (pochissime) può diventare anche Arte.
Grazie mille! Buona giornata a te
Sono certamente “nudo” per la loro cultura e religione dal momento che quella parte che qui hanno esposto è solitamente celata a (quasi) tutti. Bellissimo reportage e meravigliosa storia che vi si cela dietro e dentro.
Un lavoro ed un fotografo che non conoscevo. Sono fotografie molto forti, tanto più forti quando ne conosciamo la storia. Un modo interessanto per denunciare la violenza della guerra.
“Se con fotografia di nudo s’intende la fotografia del corpo umano privo di vestiti, allora anche queste fotografie possono esserlo, dal momento in cui il velo, per queste donne, costituisce parte integrante del loro abituale modo di mostrarsi in pubblico.” Gentile Cristina, il paragone non regge, a meno che non tu non mi faccia vedere foto di nudo femminile scattate contro la volontà delle donne prese a soggetto e facenti parte di un lavoro organico e magari anche esposto e premiato. Condordo invece sul fatto che queste immagini siano il frutto di violenza e sopruso.
Mi auguro non ci siano (e mai ce ne saranno) fotografie di nudo (così come oggi si possono comunemente e limitatamente intendere) di donne, scattate contro la loro volontà!!
Questo lavoro, oltre a colpirmi per il forte messaggio contenuto e l’atroce testimonianza, è stato per me anche un mero spunto di riflessione sul concetto di fotografia di nudo come genere fotografico in sè e mi ha permesso di allargare il mio punto di vista in merito. Stop. E questo non per sminuire il fatto, il momento, l’orrore e la violenza. Assolutamente. Su questo neanche si deve discutere. Tutto il resto è opinabile. Grazie Marco per il suo punto di vista.
Cristina