Hrair Sarkissian. Back to the Future
Dal 27 novembre 2015 al 21 febbraio 2016
Si è inaugurata giovedì 26 novembre 2015 presso la sede espositiva della Fondazione Carispezia la prima mostra personale italiana del fotografo armeno-siriano Hrair Sarkissian, fra i protagonisti del padiglione “Armenity”, vincitore del Leone d’Oro per la migliore partecipazione nazionale alla 56a Biennale di Venezia.
L’esposizione, a cura di Filippo Maggia e visibile sino al 21 febbraio 2016, presenta 86 fotografie e un video che offrono allo spettatore una lettura pressoché esaustiva della ricerca dell’artista, incentrata sui temi dell’incertezza del futuro e di un’identità sociale, politica, religiosa e culturale da difendere e preservare.
Il rapporto degli individui con la storia e con il passato, la memoria e l’identità dei luoghi, al di là delle mutazioni che nel tempo possono subire, specificano l’intera produzione artistica di Sarkissian (Damasco, 1973).
“Utilizzo la fotografia per raccontare vicende che non sono immediatamente visibili in superficie” dichiara l’artista introducendo il proprio lavoro. Vicende umane che una fotocamera analogica 4×5 in fase di ripresa e la stampa in medio e grande formato contribuiscono a rendere percepibili a quanti vogliono capire cosa si nasconde oltre il supporto cartaceo.
Che siano reali o costruiti, gli scenari ripresi da Sarkissian sono comunque frutto dell’assemblaggio di più elementi combinati fra loro e, anche per questo, egli ricorre spesso alla serie che gli consente di evidenziare ora gli uni ora gli altri. L’artista applica la conoscenza del mezzo fotografico e delle sue potenzialità espressive a un processo di produzione di immagini che riconsidera i simboli della storia dell’Armenia, dell’Egitto e della Siria, del passato come del presente, invitando lo spettatore ad andare oltre l’immediatezza della fotografia che, da semplice documento, può assurgere al ruolo di testimone del tempo.
Il percorso espositivo presenta la serie “Zebiba” (2007), 45 ritratti di musulmani osservanti egiziani che portano sulla fronte l’impronta della devozione e dell’atto della preghiera; la serie “Churches” – realizzata ad Amsterdam nel 2009 e di cui sono presenti in mostra 5 opere – che ritrae con il solo ausilio della luce naturale alcuni ex luoghi di culto ora utilizzati per altre attività; 15 immagini affondate nel buio di strutture in legno della serie “Construction”, che introduce a un metodo di lavoro in cui la fotografia diviene un mezzo utile alla narrazione di un’esperienza e non più direttamente responsabile della rappresentazione di luoghi o persone; “Stand Still” (2009-2010), 6 delle 14 immagini in grande formato di palazzi abbandonati in fase di costruzione negli immediati dintorni di Damasco; “Sarkissian Photo Center and My Father & I” del 2010, composto da una veduta del laboratorio fotografico e ritratti di padre e figlio, e il video “Homesick” del 2014 nel quale il modellino del palazzo di Damasco ove Sarkissian è cresciuto – e dove ancora vivono i genitori dell’artista – viene progressivamente distrutto.
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Il miglior tempo. Lo sport nelle fotografie degli archivi storici torinesi
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia presenta, dal 30 novembre al 10 gennaio, la mostra “Il miglior tempo. Lo sport nelle fotografie degli archivi storici torinesi”, realizzata in collaborazione con l’Assessorato allo Sport della Città di Torino e con il supporto di Gruppo Dimensione. L’esposizione vuole essere un omaggio allo sport e al suo sistema di valori a chiusura simbolica dell’anno dedicato a Torino 2015 Capitale Europea dello Sport.
“Il miglior tempo. Lo sport nelle fotografie degli archivi storici torinesi per Torino 2015 Capitale Europea dello Sport” intende proseguire idealmente l’esposizione realizzata in piazza Carignano dal 19 maggio al 30 giugno 2015 dove, attraverso immagini storiche tratte dal mondo del calcio, si esaltava il tifo sportivo nella sua accezione più positiva.
Attingendo dagli archivi del territorio, pubblici e privati (Archivio Storico della Città di Torino, Associazione Amici del Rugby, Società Canottieri Armida e Esperia, Museo Nazionale della Montagna, Reale Società Ginnastica), la mostra “Il miglior tempo” ricostruisce un vero e proprio racconto collettivo che incrocia moltissime discipline sportive e celebra lo stretto legame di Torino con lo sport.
Il titolo nasce dalla riflessione su ciò che lega la fotografia e lo sport: il rapporto con il tempo. In entrambi i casi, infatti, il tempo costituisce una variabile fondamentale nel raggiungimento del risultato finale. In questa esposizione viene esplorato il rapporto tra sport e tempo attraverso una selezione di immagini fotografiche, realizzando una perfetta combinazione tra soggetto e mezzo espressivo. Le fotografie in mostra sono suddivise in 14 sequenze composte ciascuna da un numero variabile di immagini, per un totale di oltre 100 stampe originali. Ogni sequenza corrisponde a uno specifico episodio, una storia, un evento o un personaggio, offrendo agli spettatori la possibilità di conoscere e approfondire una serie di vicende sportive del Novecento a Torino e in Piemonte. In esposizione si ritrovano diverse discipline, più o meno comuni, dal nuoto allo sci, dal motoball al pallone elastico, con la volontà di restituire una visione allargata dello sport come pratica globale. La disposizione delle immagini in sequenze lineari riproduce una sorta di esperienza cinematografica delle diverse storie, sottolineando una volta di più il fondamentale rapporto con il tempo che unisce fotografia e sport.
Oltre ad offrire al pubblico l’accesso a materiali di grande valore storico-documentario, l’esposizione rilancia in prospettiva futura il messaggio cardine di Torino 2015 Capitale Europea dello Sport: lo sport come pratica per veicolare i valori e il rispetto delle regole.
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La fabrica del presente
Fabrica, centro di ricerca sulla comunicazione di Benetton Group, presenta quattro progetti, frutto del lavoro di giovani autori, diversi per formazione e provenienza. Filo conduttore del percorso espositivo è il passaggio, la transizione da uno stato a un altro, in un racconto multiplo che si muove sui confini dei luoghi e delle cose fornendone un’immagine inedita.
Museo di Roma in Trastevere – 28/11/2015 – 24/01/2016
Quattro le sezioni della mostra:
– NIGHT(E)SCAPES. From light to darkness di Martina Cirese, Geremia Vinattieri e Christian Coppe
– LIPADUSA. From sea to land di Calogero Cammalleri
– IRANIAN LIVING ROOM. From private to public di fotografi iraniani
– MIRACLE VILLAGE. From judgement to absolution di Sofia Valiente
NIGHT(E)SCAPES. FROM LIGHT TO DARKNESS è un progetto multimediale che unisce fotografia, musica e motion design in un viaggio notturno attraverso alcuni dei posti più suggestivi d’Italia, puntando non solo sulle immagini ma anche sui suoni registrati in loco e rielaborati elettronicamente. L’Italia è il Paese con il più grande patrimonio artistico e culturale al mondo, primato riconosciuto anche dall’Unesco. Il viaggio dei tre giovani ricercatori di Fabrica unisce a mete note, come Venezia e Napoli (cercandone però i luoghi più nascosti tra le isole o le catacombe del III secolo), altre meno familiari come l’ecomuseo della Pietra da Cantoni nelle Langhe e le città di Matera e Craco. Ognuno di noi, che abbia o meno visitato questi posti, li associa a delle immagini. Quasi impossibile averne in mente il suono. Eppure ciascuno di essi è popolato di rumori, sussurrati o esplosi, ripetuti o unici, cadenzati o disordinati. Le esplorazioni notturne proposte in forma multimediale da questi giovani artisti daranno al pubblico l’opportunità di vivere questi luoghi, insieme ai paesaggi sonori, sulla propria pelle.
LIPADUSA. FROM SEA TO LAND è una ricerca fotografica sull’identità dell’isola di Lampedusa, Lipadusa per i suoi abitanti.
Divenuta suo malgrado sinonimo di migrazione, di tragedie in mare, di disperazione e miseria, Lampedusa si presenta in questa mostra nella sua veste più autentica e profonda, quella di isola e non quella di mare divenuto cimitero. Cammalleri, anch’egli migrante (partito a tre anni con la sua famiglia dalla Sicilia per la Germania) è ritornato nella sua terra dopo diciassette anni a cercare le proprie origini. Geograficamente già Africa ma politicamente ancora Italia, Lampedusa vive una dimensione non solo isolana ma isolata, di confino o confine, di sogno e solitudine.
Le fotografie di Cammalleri ritraggono lo scorrere della vita di pescatori, bambini e animali di Lampedusa; impressioni oniriche, attimi colti in bianco e nero, sfocati nella trasfigurazione di una realtà che diventa senza tempo.
IRANIAN LIVING ROOM. FROM PRIVATE TO PUBLIC è una storia corale realizzata da 15 fotografi iraniani, scelti dal direttore dell’area Editorial di Fabrica Enrico Bossan, che hanno raccontato con occhi discreti e incondizionati il salotto di casa iraniano, spazio fisico e metaforico nascosto agli sguardi dei media internazionali e dello stato locale.
Abituati come siamo a un’osservazione guidata, sempre controllata dell’Iran, con Iranian Living Room possiamo entrare nelle case delle persone e, quindi, nella pancia del Paese.
Disparità religiose, differenze e similitudini culturali, dualità nell’abbigliamento, solitudine e convivialità, clandestinità, queste e molte altre situazioni prendono forma nei delicati scatti dei giovanissimi fotografi che raccontano stanze segrete e inaccessibili ai giudizi degli altri, dove effettivamente si svolge la vita.
MIRACLE VILLAGE. FROM JUDGEMENT TO ABSOLUTION è il lavoro vincitore del primo premio della sezione “Stories, Portraits” del Word Press Photo.
È una ricerca delicata su un tema difficile: la vita dei sex offender al termine della pena. In Florida vigono leggi che impediscono alle persone condannate per reati sessuali nei confronti di minori di vivere a meno di 300 metri da una scuola, da un asilo, da un parco o da un’area giochi, limite che in alcune città è stato portato fino a 750 metri e al quale sono state aggiunte le piscine, le fermate dell’autobus e le biblioteche. Difficile trovare posti così che non siano sotto un ponte, o sotto un cavalcavia dell’autostrada. Miracle Village è una cittadina fondata da un ex detective privato divenuto pastore evangelico che consente ai sex offender una vita “dignitosa”.
Ne ospita un centinaio, diversi per età, appartenenza sociale ed etnia, tutti accomunati dal peso e dalle conseguenze del portarsi addosso questa etichetta. Per oltre un anno, Sofia Valiente, americana di origini argentine, ha seguito la vita dei residenti del villaggio, ha stretto amicizia e ha condiviso con loro il senso di alienazione, solitudine e le difficoltà della riabilitazione. Miracle Village racconta le storie di dodici di queste persone: ne segue il viaggio dalla colpa, il peccato, all’espiazione attraverso l’isolamento e il miraggio di un reinserimento sociale.
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Anonymous
Anonymous presenta una serie di fotografie trovate per caso in soffitte polverose e mercatini dell’usato tra le strade di Roma e scattate da persone che – forse – non hanno mai raggiunto, né ricercato il successo.
“Dilettanti moderni”, come li definisce una delle buste per negativi, che hanno visto nella fotografia un mezzo per esprimere la propria visione del mondo, la propria creatività, o semplicemente documentare la propria vita quotidiana e costruire la memoria di sé.
Anonymous intende dare valore ai tanti fotografi rimasti anonimi, le cui immagini spesso rimangono chiuse in un cassetto, dimenticate dal passare del tempo e dall’oblio delle vite familiari, se non distrutte o disperse. Questi oggetti ritrovati costituiscono piccole tracce del passato, sguardi a volte sfuggenti, altre volte attentamente costruiti, su un mondo ormai scomparso, ma che ci riporta alle radici della nostra contemporaneità. Le immagini esposte ci ricordano quanto sia stata importante la fotografia per la costruzione dello status sociale della media e alta borghesia, così come delle gerarchie razziali e di genere proprie delle conquiste coloniali, e per la documentazione della vita al fronte dei tanti soldati che portarono con sé una macchina fotografica.
L’accuratezza dell’immagine, la proporzione degli spazi e dei volumi che caratterizzano alcuni degli scatti, rappresentano anche un invito a mettere in discussione l’esistenza di un rigido confine tra la fotografia professionale e quella dilettantistica.
Dal 27 novembre 2015 al 20 gennaio 2016
Teatro Ambra alla Garbatella – spazio AmbrArte – Roma
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The phone book – Robert Herman
Martedì 8 dicembre inaugura a Lecce presso LO.FT – Locali fotografici la personale di Robert Herman intitolata “The Phone Book solo exhibition”.
Curata da Rioberta Fuorvia, la mostra presenta – per la prima volta in Italia – un’accurata selezione di 30 immagini a colori realizzate con l’Iphone e tratte dal libro “The Phone Book”, pubblicato ad ottobre 2015 da Schiffer Publishing.
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TRACCIATI – Sguardi e percorsi – L.Mikelle Standbridge, Antonio Di Cecco
Due fotografi – L.Mikelle Standbridge e Antonio Di Cecco – e la storica casa editrice Pulcinoelefante di Alberto Casiraghy, già famigliare a Gli eroici furori, offrono l’occasione di chiudere l’anno espositivo e di aprire il nuovo con una riflessione sul concetto di Traccia.
Come TRACCIATI immaginari di percorsi che si intersecano, troviamo in questa esposizione segni e scritture su corpi che diventano itinerari della memoria (Standbridge), sentieri di geografie che lo sguardo immortala (Di Cecco), scritture in forma di poesia unite ad un’opera d’arte di piccole dimensioni ( il Pulcinoelefante ).
L.Mikelle Standbridge, americana ma italiana di adozione, presenta la sua ultima ricerca che riguarda immagini che si sviluppano attorno al dialogo metaforico tra l’inseparabilità della pelle e l’individuo. La pelle subisce nel tempo modifiche o alterazioni, a volte volontarie come nel caso di un tatuaggio o di un piercing e a volte necessarie, come nel caso di una cicatrice. Emozioni intime e suggestioni esterne si connettono sulla pelle, creando tracciati di percorsi possibili. Le stampe diventano materia fotografica grazie all’uso di supporti sui quali l’artista interviene, modificando e cucendo. La fotografa chiama queste opere risultanti Fotocorpi.
Le immagini fotografiche di Antonio Di Cecco sono raccolte nei suoi Taccuini di Appunti, come memoria di sguardi su luoghi dove l’uomo è presente anche quando non compare, geolocalizzabili grazie all’indicazione fornita dal titolo in cui protagonista è l’immagine, resa attraverso la soggettività dello sguardo fresco del fotografo aquilano. Qui la luce gioca un ruolo decisivo, ammorbidisce i contorni delle cose quando è soffusa, sottolinea elementi quando diviene indagatrice di segni, dettagli, forme di vita.
Le edizioni del Pulcinoelefante di Alberto Casiraghy, parole poetiche e opere d’arte visionarie, la pregiata carta con cui sono stampate le magiche Plaquettes, completano l’itinerario immaginario, come Tracciati che custodiscono nella memoria scritture di valore tutt’altro che epocale, intime biblioteche per eletti. In occasione della mostra un nuovo pulcino entra a far parte del catalogo – “Il sole cambia le idee” – con le opere dell’artista Katia Dilella e le parole della gallerista Silvia Agliotti.
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Anna