Enrico Cattaneo, grande interprete della fotografia italiana

Articolo di Eric De Marchi

Enrico Cattaneo nasce a Milano nel 1933,

dopo gli studi scientifici, grazie alla madre che gli regala la prima fotocamera, si avvicina alla fotografia nel 1955, portando avanti una personale documentazione della città; i suoi scatti esaminano le case e le fabbriche, i mezzi di trasporto, l’accettazione e la rivolta, i momenti di solitudine e quelli di aggregazione dei lavoratori.

Professionista dal 1963, si dedica quasi esclusivamente alla riproduzione di opere d’arte lavorando per pittori, scultori, architetti, gallerie ed editori d’arte contemporanea; alcuni nomi con cui ha collaborato sono Tino Vaglieri, Gianfranco Ferroni, Sandro Leporini, Alik Cavaliere, Mauro Stacciali, Franco Somaini.

Enrico Cattaneo si trasforma in un vero e proprio interprete di quanto succede nel mondo artistico lavorando per  inaugurazioni, incontri, manifestazioni.

L’esplosione delle avanguardie dei gruppi di Fluxus e del Nouveau Réalisme lo vede come protagonista capace di trasformare il momento della documentazione in una reale testimonianza militante di quello che accade.

Le fotografie di Cattaneo assumono nel tempo una doppia vertenza: per un verso sono preziosa e spesso unica testimonianza dell’avvenimento e per l’altra, avendo una loro vita autonoma, a partire dai primi anni Settanta vengono esposte in gallerie e pubblicate in volumi.

Progetto GUERRIERI (1983)

Semplici attrezzi da lavoro di uso quotidiano diventano personaggi paragonati a combattivi guerrieri; una pinza, una tenaglia,un taglia capelli diventano dunque soldati mercenari, eroici Achei. Il realismo degli eventi e degli elementi lascia il posto a un simbolismo fantastico.

“Enrico Cattaneo, prima di scattare la fotografia, affronta un lento e meticoloso lavoro di scenografia e regista […]

Gli oggetti vengono reinventati dalla sua fantasia, decostruiti e rielaborati dalla sua fervida creatività. Rasoi, apriscatole, trinciapolli e tenaglie diventano antichi guerrieri […]

Gli attrezzi perdono completamente la loro logica funzionale ed entrano in un’altra dimensione, fuori dallo spazio e tempo”.

Michele Tavola  

“ Credo che la fotografia sia una forma espressiva molto vicina alla scultura. Si crea mentalmente una forma e poi ci si accanisce contro un pezzo di marmo o un sole o un viso che proprio non vogliono piegarsi al tuo racconto.

E giù col martello, con l’obbiettivo, la pellicola, il trapano cercando di andare con la propria verità a sopraffare la verità di un paesaggio, di un legno, di una faccia, di un blocco di cemento.

E non c’è mai un esultante “Eureka!” finale, ma soltanto un “va bene, così non c’è male”. ”

Enrico Cattaneo”Lo scalpello del fotografo”

ARCHIVIO ENRICO CATTANEO


Il Fondo Archivistico raccoglie complessivamente materiali relativi all’attività professionale di Enrico
Cattaneo nell’ambito della documentazione dell’arte contemporanea e della sua attività artistico-creativa
di opere fotografiche. Il fondo, in fase di organizzazione, è composto da raccoglitori contenenti fogli
provini e negativi in bianco e nero di formato principalmente 24×36 mm, buste contenenti negativi b/n
formato24x36mm, 6×6 cm, 6x9cm, lastre 10x12cm e 13x18cm, e contenitori contenenti diapositive a
colori nei diversi formati. Fanno parte del fondo anche stampe originali vintage (per lo più 30x40cm e
alcune 40x60cm) stampati a mano dall’autore, oltre a prove di stampa, cataloghi e pubblicazioni
riconducibili alle sue attività.

Sede della visita Casa Studio – Archivio Cattaneo via San Gregorio 44, Mi
Referente visita Alessia Locatelli/ Giuliano Manselli
Prenotazioni Telefonando 347 9638427

Alcune delle sue mostre basate su ricerche personali:

sperimentazioni Off Camera (Pagine 1970-73; Paesaggi/Chimifoto 1998-2002;  In Regress 1965-2009; Germinazioni 2016-17); Still Life (La foto del tubo 1980; Guerrieri 1982; Totem 1985-86; Maschere 1985-88; Attori 1985-86; La natura morta dei miei stivali 1996); archeologia industriale (La cartiera 1980; ex Magneti Marelli. Una possibile lettura 1997)

https://dromastudio.wixsite.com/arch-enrico-cattaneo/biografia

https://www.furori.it/project/enrico-cattaneo/

https://www.macn.it/it/collezione/cattaneo-enrico/

https://dromastudio.wixsite.com/arch-enrico-cattaneo

Le fotografie sono di proprietà dell’autore e sono utilizzate solo per scopo didattico informativo. Non sono state usate per scopi di lucro.

Martha Wilson, giochi di ruolo e femminismo.

Martha Wilson (nata nel 1947) è un’artista femminista pionieristica e direttrice di galleria, ha creato opere fotografiche e video che esplorano la sua soggettività femminile attraverso giochi di ruolo, trasformazioni in costume e “invasioni” di personalità altrui.

Immagine di Martha Wilson


Nel 1976 ha fondato e dirige la Franklin Furnace, uno spazio gestito da artisti che promuove l’esplorazione, la promozione e la conservazione di libri d’artista, installazioni, video, arte online e performance, sfidando ulteriormente le norme istituzionali, i ruoli che gli artisti svolgono all’interno della società e le aspettative su ciò che costituisce un mezzo artistico accettabile.

Immagine di Martha Wilson


Mentre dirigeva la Franklin Furnace, Wilson è rimasta attiva come artista performativa, trasformandosi in personaggi pubblici come Barbara Bush (2009).
Nelle sue opere concettualmente basate su performance, video e testi fotografici, l’artista si è mascherata da uomo travestito, ha catalogato varie parti del corpo, ha manipolato il suo aspetto con il trucco e ha esplorato gli effetti della “presenza della macchina fotografica” nella rappresentazione di sé.

Immagine di Martha Wilson


L’artista ha iniziato a ricevere riconoscimenti quando, nel 1973, l’immagine e il testo della cartolina e testo Breast Forms Permutated del 1973 è stata inclusa nella mostra del critico Lucy Lippard nella mostra c. 7500 al California Institute of the Arts di Valencia; la prima mostra di questo tipo a concentrarsi sull’arte concettuale delle donne.
Nel 1978, fonda DISBAND un gruppo musicale che non sa suonare alcun strumento, tramite la voce, il corpo, qualche oggetto creano performance musicate da loro stesse.

Immagine di Martha Wilson


Martha Wilson è stata anticipatrice di espressioni artistiche basate su l’autoritratto come Cindy sherman
“Si tratta della bellezza, o della sua mancanza. Mentre intraprendevo il viaggio di giovane artista negli anni ’70, cercavo di scolpire la mia personalità occupando corpi diversi dal mio.

Immagine di Martha Wilson


Quindi uno degli sforzi che facevo, oltre a vestirmi con tutti i tipi di personaggi diversi, era quello di abbellirmi al meglio e poi di deformare il mio viso con la matita grassa bianca e nera nel tentativo di esplorare i limiti dell’apparenza. L’idea era quella di scolpire la mia personalità”
Martha Wilson


sitografia
https://www.artsy.net/artist/martha-wilson
https://www.marthawilson.com/videos.php
https://hcommons.org/deposits/item/hc:23531/
https://whitney.org/whitney-stories/martha-wilson-on-john-coplans
https://primaryinformation.org/product/disband-3

Tutte le fotografie sono di proprietà dell’artista, l’articolo ha solo scopo divulgativo e didattico

Articolo di Eric De Marchi

Karolina Wojtas, Play, Fun, Nonsense

Karolina Wojtas (nata nel 1996) – Fotografa e artista multimediale, scatta da quando aveva 13-14 anni. Ha studiato alla Film School di Lodz e all’Istituto di Fotografia Creativa della Repubblica Ceca.

Per eseguire i suoi progetti personali utilizza la camera digitale di quando aveva 14 anni, ne ha 17 tutte uguali.

Come illuminazione Utilizza il flash, per lei è una sorta di esplosione che le permette di catturare la scena.

Le sue fotografie sono prevalentemente “Staged”, prende ispirazione dal contesto quotidiano privato e pubblico del luogo dove vive, la Polonia.

Lavora su determinati temi a lei vicini, come la questione dell’educazione scolastica per esempio con il progetto “Abzgram”.

Nel progetto “Abzgram” esamina il rigido sistema scolastico polacco che sottopone i bambini a regole militaristiche.

Come apertura del progetto troviamo La “Procedura di ingresso in classe”, prevede che i bambini stiano fermi senza toccarsi, appoggiando lo zaino sul pavimento accanto alla gamba destra con le mani lungo i fianchi, lo sguardo fisso, silenzioso e immobile.

La sua espressione artistica, prevede installazioni Site Specific; in base al luogo di interesse, crea un ambiente a lei congeniale attuo a far immergere lo spettatore.

la fotografa definisce il suo lavoro in tre parole:

“Play, Fun, Nonsense.” Karolina Wojtas

Il suo processo di creativo deve essere come un gioco dove ci si diverte, con un senso che va costruendosi mano a mano scattando, informandosi leggendo e scattando nuovamente; partendo così da sensazioni personali, sino ad approfondire tematiche che toccano la sfera politica e sociale.

Riguardo alla scelta dei suoi soggetti fotografici, la sua attenzione si concentra su soggetti abitualmente considerati brutti e Kitsch; questa scelta, è per la fotografa, legata alla cultura in cui è immersa dove si possono trovare diversi elementi di questo tipo: “I live in a town where a Colosseum and pyramid were built! It’s so kitschy—we pretend we are rich, but the way we project that never looks good. I grew up in a time when it was fashionable to have glitter in your hair, wear frills, and own a red or green bag with matching shoes. This was the best outfit for formal occasions! I grew up around ugly things, but on the other hand, there is beauty in that ugliness. I love collecting strange materials, as well as bags and shoes” Karolina Wojtas

I soggetti non sono estranei, utilizza prevalentemente amici, parenti, sè stessa e quasi mai estranei a parte per qualche lavoro commerciale come il lavoro per MARNI, brand italiano.

PRIZE AND CONTESTS:

2017- ShowOFF – Kraków Photo Month, winner

2018- TIFF OPEN 2018 – Tiff Festival Wrocław, winner

2018- Scholarship of the Minister of Culture and National Heritage, Poland

2018- Talent of the year, PixHouse, Poznań, nomination

2018- Portfolio review winner, Bratislava Month of Photography 2018

2019- Publication of the year 2019, shortlist “kwas kwas kwas” Łódź, Poland

2019- Bird in Flight Prize 19 – shortlisted

2019- Talent of the year, PixHouse, Poznań, nomination

2019- ING Unseen Talent Award 2019, winner, Amsterdam, Holland

2019- Scholarship of the Minister of Culture and National Heritage, Poland

2020- Plat(t)form 2020 – special mention, Fotomuseum Winterthur, Switzerland

2020- reGeneration 4 The Challenges of Photography and its Museum for Tomorrow,

Musée de l’Elysée, Nomination​​​​​​​

OLO EXHIBITIONS

2020 -Fundacja Pełkińska XX Czartoryskich – Zamek w Pełkiniach, “Konik”

2020- Gallery  Naga -” Gatunek: brat. Jak unicestwić?” Warszawa

2019, “Abzgram” in Galeria F7, during Bratislava Month of Photography, Slovakia

2019 -Exhibition ‘Extremely rich fauna of the local area’ during FotoArtFestival in

Bielsko-Biała

2019-, Individual exhibition at the Museum in Pełkinie “Abzgram”

2019 Individual exhibition at the Museum in Pełkinie “The Extremely Rich Fauna of the Local

Area”

2018, Individual exhibition “Karolina Wojtas: Train to knowledge. TIFF Festival 2018 /

Cooperation”, Galeria u Agatki Wrocław, TIFF Festival, International festival

COLLECTIONS

ING Collection Netherlands, Muzeum Sztuki in Łódź

Sitografia

https://www.public-offerings.com/karolina-wojtas-ugly-pretty

https://karolinawojtas.com/abzgram

https://metcha.com/article/the-trunk-reverse-hotel-by-karolina-wojtas-for-marni-s-new-shoulder-bags

https://co-berlin.org/en/co-berlin-talent-award/2022

https://www.lensculture.com/articles/karolina-wojtas-making-a-mess

Articolo di Eric De Marchi

Le immagini sono solo a scopo didattico e culturale e rimangono di proprietà dell’autore

Giulia Bianchi ORDINATION: I THINK JESUS WAS A FEMINIST

Fotografia di Giulia Bianchi


Giulia Bianchi è una fotografa documentarista e insegnante di fotografia.
Nel 2010 ha frequentato il programma PJ dell’International Center Of Photography di New
York City si è iscritta all’Art Students League per studiare pittura a olio e ha iniziato a
frequentare corsi di filosofia, femminismo, arte ed estetica a Brooklyn.
Insegna fotografia in diverse scuole e associazioni tra cui Officine Fotografiche e Mohole a
Milano, Camera Torino, Nessuno Press a Brescia, Verona Fotografia, etc. Ha anche creato
un percorso formativo indipendente che si chiama IDA Fotografia.
La sua ricerca fotografica prende origine da una formazione umanista, indaga temi della
disobbedienza civile e del femminismo.

Fotografia di Giulia Bianchi


ORDINATION: I THINK JESUS WAS A FEMINIST
Progetto multimediale incentrato sulla disobbedienza religiosa, Giulia Bianchi lavora al
progetto dal 2012.
Nella Chiesa cattolica romana basata sul patriarcato, il sacerdozio è vietato alle donne,
l’articolo 1024 del codice del codice di diritto canonico prevede che solo un uomo battezzato
possa accedere al sacerdozio. Dal 2002, centinaia di suore e teologhe si sono fatte avanti e
sono state ordinate, costruendo un movimento mondiale chiamato RCWP (Roman catholic
women priests ). Nel 2010, la chiesa ha stabilito che il sacerdozio femminile è un crimine
grave quanto l’abuso sessuale nei confronti di minorenni;
la fotografa ha visitato 35 comunità negli Stati Uniti, in Canada e in Colombia con l’obiettivo
di creare un archivio storico di questo movimento; La documentazione offre una
contro-narrazione agli stereotipi religiosi e indaga la complessità della vita dei soggetti
scomunicati.

Fotografia di Giulia Bianchi


Le foto del progetto ci mostrano una realtà proibita che potrebbe però diventare il futuro
della Chiesa; ciò a cui si vuole porre attenzione è la spiritualità femminile e il tipo di comunità
che la leadership delle donne crea: inclusiva, non gerarchica, non dogmatica e aperta a
persone di ogni razza, genere e condizione economica.
Per realizzare il progetto Giulia ha mantenuto uno stile documentaristico, documentando la
vita delle donne con cui ha stabilito un accordo che proponeva di essere ospitata e vivere a
stretto contatto per almeno 2-3 settimane, avere quindi il permesso di fotografare ogni
momento della loro vita privata oltre che poter catalogare ogni oggetto, documento che
reputasse utile per creare un archivio di dati relativo a queste donne.
Questa tipo di fotografia, porta la fotografa ad immergersi completamente nello stile di vita
della persona fotografata, aiutandole a svolgere anche le mansioni quotidiane.
Nausicaa Giulia Bianchi, nel lavorare con queste donne ha cercato di immortalare il loro
modo di vivere il divino e la comunità, il loro modo di contribuire a rendere il mondo un posto
migliore lottando per raggiungere diritti paritari.

Fotografia di Giulia Bianchi


Per Diane Dougherty (persona fotografata da Giulia Bianchi), che ha dedicato la sua vita a
essere una donna sacerdote e attivista cattolica, la sua lotta non è solo per l’inclusione delle
donne e delle persone LGBTQ nella Chiesa, ma anche contro l’ingiustizia sociale, il
razzismo e le leggi anti-immigrazione al di fuori della religione.

Fotografia di Giulia Bianchi


In merito all’obbiettivo del progetto la fotografa dice:
“Questo progetto vuole davvero abbattere gli stereotipi sulle donne nella Chiesa e ascoltare
ciò che hanno da dire”… “Sfidiamo ciò che la Chiesa dice essere sacro, ciò che la Chiesa
dice essere puro. Ascoltiamoci l’un l’altro e riconosciamo che l’idea che le donne non siano
abbastanza brave per essere in una posizione di potere nella Chiesa, o che il loro corpo sia
vergognoso, o che non possano definire il cattolicesimo nei loro termini, è una stronzata”.

Sitografia:
https://www.giuliabianchi.com/bio
https://www.ulilearn.com/costruire-uno-sguardo-r
http://www.womenpriestsproject.org/preview
https://www.nationalgeographic.com/photography/article/portraits-from-the-forbidden-priesth
ood-of-women
https://www.vice.com/en/article/3dx3xb/giulia-bianchi-women-priests-interview
https://www.vogue.com/projects/13543313/roman-catholic-women-priest-movement-giulia-bi
anch

Articolo di Eric De marchi

Le fotografie sono di proprietà dell’autrice e sono condivise a solo scopo didattico culturale.

Marianne Bjørnmyr, disegni, testi e culture antiche

Marianne Bjørnmyr (*1986) è un’artista norvegese che vive e lavora a Bodø, Norvegia.
Marianne ha conseguito un master in fotografia presso il London College of Communication.
Bjørnmyr si occupa di storia e culture perdute. Attraverso studi approfonditi di oggetti,
disegni e testi sulle culture antiche, ha accumulato una grande conoscenza di tracce
storiche.
La sua pratica fotografica si concentra sulla percezione dell’approccio della fotografia alla
realtà.

Quattro variazioni sugli elementi architettonici di Persepoli (522-330 a.C.), 2021, fotografia alla gelatina d’argento. Marianne Bjørnmyr


Attraverso la sua ricerca esplora i fenomeni del mito e il ruolo della fotografia nel trasmettere
la conoscenza di oggetti e ambienti, il tutto è contrapposto alla nostra comprensione,
interpretazione e percezione generata dell’immaginario;
ne è un esempio il suo ultimo progetto, Epitaph :
Partendo dal concetto, un epitaffio è una tomba commemorativa o una lapide, vista per
la prima volta nell’antico Egitto e in Grecia, successivamente trovata nelle chiese
europee dal Medioevo in poi fino ai nostri giorni.

Epitaph, Marianne Bjornmyr

Epitaph, Marianne Bjornmyr

Foto 1 Epitaph Il bellissimo scialle Sami in tessuto jacquard diventa un simbolo delle radici dell’artista a Sulitjelma. Marianne Bjørnmyr

Foto 2 Epitaph Quimbaya, 2021, calchi in gesso.Marianne Bjørnmyr


L’autrice crea oggetti inediti prima disegnati a computer, poi stampando in 3d modelli di
silicone infine riempie quest’ultimi con colate di gesso, così da arrivare al prodotto finito.
Questi oggetti, mescolano elementi di studio di manufatti, mai arrivati ai nostri tempi e un
grande sforzo immaginifico dell’autrice per far rinascere ciò che è stato perduto per
sempre.
La volontà dell’autrice è quella di portare le persone ad essere testimoni di questo
patrimonio scomparso, invita quindi alla consapevolezza di una memoria perduta.
Il medium fotografico in questo progetto acquisisce una funzione di testimonianza e di
interrogazione della realtà.
Molti degli oggetti in gesso sono stati fotografati e appesi con una cornice al muro, tra
cui una lapide ebraica distrutta durante la seconda guerra mondiale, o elementi
architettonici della città di Persepoli (522 – 486 aC).
I manufatti del progetto provengono da diverse aree geografiche e hanno un arco temporale
di oltre 2000 anni. Insieme, gli oggetti generano nuove storie, connessioni e letture delle
culture che rappresentano.
Le culture indagate spaziano fra quelle Maya e Azteche in Sud America, passando per i
Sumeri in Medio Oriente, Nok in Africa e gli ebrei europei vittime del nazismo, fino alla
radura Sami nella Norvegia settentrionale
Per l’artista, il fascino dei manufatti perduti è legato ai suoi antenati, la cui cultura,
lingua, abbigliamento e manufatti sami furono sradicati dalla politica di assimilazione del
governo norvegese nel 1800.
L’artista non mette in evidenza la drammaticità della perdita, invece presenta un lavoro
raffinato con oggetti e fotografie molto curati e di alta qualità artistica, così da rendere
l’esperienza esteticamente coinvolgente e porre attenzione più alla scoperta di questi
manufatti più che al dramma.
L’autrice è una professionista nell’utilizzo dello strumento fotografico, in questo progetto
utilizza una macchina analogica e stampa su carta alla gelatina ai sali d’argento che
restituisce immagini con tonalità di grigi morbidi.

Articolo di Eric De Marchi


Sitografia
https://www.mariannebjornmyr.com/
https://sekunst.no/kunstkritikk/Kunstkritikk-marianne-Bjornmyrhttps://www.lensculture.com/marianne-bjornmyr
https://www.melkgalleri.no/0322-marianne-bjornmyr-epitaph/
https://sekunst.no/kunstkritikk/Kunstkritikk-marianne-BjornmyrCV
https://www.mariannebjornmyr.com/filarkiv/2020/12/04/15fca33fca9f0d.pdf

Sam Cortis, Deep Spring, il concetto di mascolinità

Sam Contis (nata nel 1982 in Pittsburgh, PA) è una fotografa statunitense, vive e lavora in Oakland, CA.

“I think the darkness at the periphery of the work also comes from a desire to acknowledge a certain brutality inherent to the history of the western landscape, and to the struggle for survival within it.”
Sam Cortis

In questo lavoro, libro d’artista, dal nome “Deep Spring”, l’autrice lavora sull’identità della cultura americana, cultura costruita prevalentemente tramite le proiezioni cinematografiche e le fotografie di un tempo, trattando l’archetipo dei cowboy, dialogando con il concetto di mascolinità.

Ci troviamo nel Deep Springs College.

Il college prende il nome dalla valle in cui si trova, nell’alto deserto a est della Sierra, al confine tra California e Nevada, una valle isolata.

Il fondatore da lavoro a giovani uomini con un intento educativo oltre che la gestione effettiva del ranch che comprende 155 acri di terreno e la gestione di un allevamento di 200 bovini come progetto di lavoro comune.

Gli elementi che l’autrice ci presenta sono molteplici e sicuramente intrisi di questo dualismo tra la durezza e crudeltà del lavoro che svolgono mista a  sensibilità e dolcezza dei ragazzi.

Sicuramente quello che colpisce maggiormente è la forza del legame che si crea fra questi giovani uomini in formazione, un legame di fratellanza e solidarietà che si oppone alla visione storica di uomini non curanti degli altri e di sé stessi, duri e rudi.

Immersi in paesaggi che si perdono a vista d’occhio per quanto sconfinati, la grandezza del deserto, danno loro modo di porre attenzione al proprio mondo interiore, portando sè stessi giorno dopo giorno a scoprire chi sono, i propri limiti e ad apprendere che esistono visioni diverse dalla proprie.

E’ interessante notare come la fotografa ci porta dentro alla storia tramite fotografie che riprendono pezzi di realtà molto ravvicinata, es. braccia, mezzi busti…

spesso i soggetti diventano non soggetti, grazie al fatto che viene celato il loro volto, quindi assumono un concetto più universale e come un quadro sguardo dopo sguardo intenti a capire il soggetto del nostro scatto, entriamo nell’intimità della situazione rappresentata e nello sguardo che la fotografa ci ha prestato con la sua presenza nella scena.

Grazie a queste fotografie di dettagli di corpi e non solo, paesaggio e soggetto si fondono sino a organizzare una nuova e unica forma, un nuovo senso, l’occidente spesso è rappresentato come un luogo dove poter sperimentare nuovi modi di essere, in questo caso corpi maschili vengono messi in dialogo a paesaggi che di solito erano associati a corpi femminili.

Durante la storia, scatto dopo scatto, ci imbattiamo inoltre in foto d’archivio, foto che nonostante siano state scattate in passato (intorno agli anni 1917) in quello stesso college, possiedono un linguaggio moderno e dialogano perfettamente con gli scatti dell’autrice, rinforzando il dialogo tra passato e presente.

Sitografia

https://www.samcontis.com/Recent-Work

https://klausgallery.com/artist/sam-contis/slide/

https://www.moma.org/artists/68380

https://www.moma.org/collection/works/222497?artist_id=68380&page=1&sov_referrer=artist

Articolo di Eric De Marchi

Leila Jeffreys, “Nature is not a place to visit. It is home”

Leila Jeffreys (nata nel 1972 in Papua New Guinea) è una fotografa e video artista. Il suo lavoro è sempre legato alla sua impronta ambientalista.

Per diverso tempo ha praticato Birdwatching ed è stata volontaria per aiutare ornitologi, ambientalisti e scienziati nei loro studi o missioni.

La fotografa riprende la tradizione di artista-attivista come i grandi artisti americani Robert Smithson, Agnes Denes e artisti contemporanei come Ann Craven, Janet Laurence and Roe Etheridge.

Leila è conosciuta per i suoi lavori meravigliosi riguardo a diverse specie di uccelli sia rari che comuni che caratterizzano la scena mondiale ma soprattutto locale del magnifico luogo dove vive, l’Australia.

A voi propongo il progetto “Nature is not a place to visit. It is home’, qui lavora con un specie di uccelli molto comuni quali i Budgerigas Australiani, il suo lavoro evidenzia la meraviglia di questi uccelli e il loro modo di vivere in comunità dove la loro sopravvivenza dipende da quella degli altri individui e viceversa.

In questo trittico video, mette in evidenza implicitamente come la presenza dell’uomo influenzi la vita di questi animali e con la poesia di una composizione minimale  che richiama le opere giapponesi, richiama emozioni contrastanti di fascino e di attenzione verso questi esseri viventi volanti che vivono intorno a noi.

“A budgie flock is like a society; within the flock there are birds searching for a partner. When they find their partner, they breed and raise young. Their young are raised within the flock with other young birds, and they all learn from each other. Some birds get along, some fight. They build homes and search for food. They want to thrive,” notes Leila.

Video del trittico su Vimeo:

https://vimeo.com/361171001


“Birds are small, they flitter around, and life is busy, so many of us don’t notice their extraordinary beauty. At the same time, they are a visual representation of mindfulness, showing us that joy is an experience that doesn’t necessarily come from owning things but simply being in the moment noticing the beauty around you. They’re also an accessible, daily reminder that life exists in the wild, outside of busy human lives,” says Leila.

Books

https://www.leilajeffreys.com/books

Solo exhibitions &  collections

https://www.leilajeffreys.com/exhibitions

Pubblicazioni:

https://www.leilajeffreys.com/in-the-press

Sitografia

https://www.leilajeffreys.com/about

https://www.purdyhicks.com/artists/40-leila-jeffreys/biography/

https://australiapostcollectables.com.au/articles/budgerigars-an-interview-with-photographer-leila-jeffreys

Artiolo di Eric De marchi