Nuovo Autore Mu.Sa.: Aldo Feroce

Ciao a tutti, se volete partecipare alle selezioni per diventare autori Musa, leggete le info a questo link …e ora godetevi questo bel lavoro di Aldo feroce! Ciao

 

ALDO FEROCE – YO SOY FIDEL

La Carovana con le ceneri del Comandante è partita il giorno 30 novembre 2016 da L’Avana alla volta di Santiago di Cuba.
Le spoglie mortali del Presidente, avvolte nella bandiera cubana e protette da una teca di vetro, hanno percorso lo stesso tragitto che nel gennaio 1959, a pochi giorni dal trionfo della rivoluzione, Fidel Castro intraprese per raggiungere L’Avana.
Il convoglio arriverà a Santiago il 3 dicembre dopo un viaggio di oltre mille chilometri attraverso le principali città dell’isola i cui abitanti, specialmente campesinos, hanno utilizzato tutti i mezzi a disposizione per assistere al passaggio e dare l’ultimo addio all’eterno guerrigliero.

BIO

Ho iniziato a fotografare nel 1976 a 19 anni con una camera a pellicola e da autodidatta ho imparato a stampare in camera oscura, sviluppando pellicole e stampando in bianco e nero. Successivamente, per circa venti anni, mi sono dedicato ai servizi fotografici matrimoniali fino a quando otto anni fa ho iniziato a dedicarmi ad un genere diverso con l’intento di realizzare qualcosa che potesse soddisfarmi a livello emozionale.
Ho iniziato a frequentare i Corsi di Officine Fotografiche a Roma dove ho potuto acquisire la conoscenza della tecnica digitale e iniziare un percorso formativo basato su Reportage Editing e Post produzione.
Ad oggi, tre miei progetti sono stati pubblicati su riviste di settore: Second Class, Ship Breacking Yard, Compartiendo Esperanzas.

Contatto di Aldo

Mustafah Abdulaziz, interessante giovane autore. Da conoscere!

Ciao a tutti,

oggi vi presentiamo questo giovane autore statunitense, il cui bellissimo lavoro Water ha ricevuto numerosissimi riconoscimenti.

Guardate un po’ che bellezza.

Ciao

Anna

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Masahisa Fukase

Ciao,

oggi vi voglio presentare questo grande maestro della fotografia giapponese,  purtroppo venuto a mancare 5 anni fa. Il suo meraviglioso libro Ravens è stato ri-pubblicato proprio quest’anno da Mack. Io naturalmente non me lo sono fatto scappare. 😛

Proprio in questo periodo lo trovate anche in mostra a Les Rencontres d’Arles. Se avete la possibilità di andarci, non perdetelo.

Io lo trovo davvero fantastico, voi?

Buona visione

Anna
P.S. scusate i differenti formati delle immagini, ma non è facilissimo trovarne di libere in rete

 

Masahisa Fukase (25 Febbraio 1934 – 9 Giugno 2012) è stato un fotografo giapponese, celebrato per le sue opere in cui ha rappresentato la sua vita domestica con la moglie Yōko Wanibe e le visite regolati allo studio di fotografia che i suoi genitori gestivano in una piccola città dell’Hokkaido. Il suo lavoro più famoso è però il libro pubblicato nel 1986 dal titolo Karasu (Ravens o The solitude of Ravens), che nel 2010 è stato selezionato dal British Journal of Photography come il miglior libro fotografico pubblicato tra il 1986 e il 2009. Dalla sua morte nel 2012, l’interesse per la fotografia di Fukase si è rinnovato, con nuovi libri e mostre che enfatizzano l’ampiezza e l’originalità del suo lavoro.

Masahisa Fukase è nato il 25 febbraio 1934 a Bifuka, Hokkaido. La sua famiglia gestiva uno studio fotografico di successo nel nord della piccola cittadina. Nonostante il trasferimento definitivo a Tokyo nel 1950, per la sua istruzione e successivamente la sua carriera, Fukase mantenne dei legami emotivi molto forti con il suo luogo natale e la sua famiglia. Negli anni 70 e 80 torno regolarmente a Bifuka per scattare dei ritratto di famiglia in grande formato, un progetto che venne poi pubblicato nel libro Kazoku (Family) nel 1991. Questo è il più raro dei libri di Fukase.

Il lavoro Karasu (Ravens) di Fukase fu realizzato tra il 1976 e il 1982 sulla scia del divorzio da Yōko Wanibe, e nei primi periodi del suo matrimonio con la scrittrice Rika Mikanagi. In questo lavoro Fukasa riprende ed amplia le sperimentazioni dei lavori degli anni 70, specialmente Natsu no nikki (Summer Journal) del dicembre 1972 e Fuyu no nikki (Winter journal) del giugno 1973. In effetti, il ttolo originale di Fukase per la serie era Tonpokuki o “Winter Journal”. LE fotografie dei corvi e degli altri soggetti tetri che costituiscono Karasu sono state scattate in Hokkaido, a Kanazawa e a Tokyo.

Il progetto è nato come una serie di otto parti per la rivista Camera Mainichi (1976–82), e queste opere rivelano che Fukase sperimentava con la pellicola a colori, stampe con esposizioni multiple e testi narrativi come parte integrante del concetto di Karasu. A cominciare dal 1976, le mostre basate su questo lavoro portarono a Fukase un ampio riconoscimento in Giappone e di seguito in Europa e negli USA. Il libro venne pubblicato nel 1986 (da Sōkyūsha) e questa edizione originale di Ravens presto divenne uno dei più prestigiosi e ricercati libri fotografici giapponese del dopoguerra- Ulteriori edizioni vennero pubblicate nel 1991 (Bedford Arts), nel 2008 (Rat Hole Gallery), e nel 2017 da Mack.

L’approccio pesantemente autobiografico di Karasu trova el sue origini nel lavoro di fondazione di Fukase “Hyōten” [Freezing Point], del 1961, ma spingendo i temi centrali dell’isolamento e della tragedia a nuovi livelli di profondità ed astrazione. Tecnicamente, le fotografie di Ravens erano molto difficili da realizzare, con Fukasa che doveva mettere a fuoco su piccoli soggetti neri in movimento nel buio pressoché totale. Fissare la corretta esposizione fu parimenti una vera sfida. Nel 1976, all’avvio del progetto Fukase affermò su Camera Mainichi: “Vorrei poter fermare questo mondo. Questo atto (del fotografare) può rappresentare la mia vendetta contro la vita e forse questo è quello che mi diverte di più”. Alla fine del progetto, nel 1982, Fukase scrisse enigmaticamente che era “diventato un corvo”

Nel 2010, una giuria di 5 esperti, riunita dal British Journal of Photography scelse Karasu come il miglior libro fotografico del periodo 1986-2009.

Nel 1992 Fukase subì una ferita traumatica al cervello, a causa di una caduta dalle ripide scale del suo bar preferito, nell’area di Shinjuku a Tokyo e questo incidente lo rese invalido. In precedenza nello stesso anno, Miyako Ishiuchi aveva fotografato Fukasea nudo per il suo libro Chromosome XY (1995). Alcune delle immagini di quella sessione vennero pubblicate nella rivista Brutus nel gennaio del 1995. Ishiuchi disse che Fukase fu praticamente l’unico fotografo giapponese maschio che accettò di posare nudo per lei. Nel 2004 il Masahisa Fukase Trust editò e pubblicò due libri: Hysteric Twelve and Bukubuku, contenenti le immagini che Fukase aveva prodotto prima dell’infortunio. Le fotografi incluse in Bukubuku, fatte in una vasca da bagno con una fotocamera subacquea, sono poi state considerate l’ultimo grande lavoro di Fukase, una partita a solitario bizzarra e macabra che traccia nuovi territori per l’autoritratto fotografico.

Fukase morì il 9 giugno 2012. Nel 2015 i Masahisa Fukase Archive organizzarono due mostre dedicate a far conoscere i suoi lavori meno famosi. Il set completo delle stampe di Bukubuku fu esposto per la prima volta dal 1992 alla Tate Modern nel febbraio 2016.

Fonte: libera traduzione da Wikipedia

Qua trovate un bell’articolo apparso sul Guardian un paio d’anni fa

 

Masahisa Fukase (25 February 1934 – 9 June 2012) was a Japanese photographer, celebrated for his work depicting his domestic life with his wife Yōko Wanibe and his regular visits to his parents’ small-town photo studio in Hokkaido. He is best known for his 1986 book Karasu (Ravens or The Solitude of Ravens), which in 2010 was selected by the British Journal of Photography as the best photobook published between 1986 and 2009. Since his death in 2012 there has been a revival of interest in Fukase’s photography, with new books and exhibitions appearing that emphasize the breadth and originality of his art.

Masahisa Fukase was born on 25 February 1934 in Bifuka, Hokkaido. His family ran a successful photo studio in the small northern town. Despite permanently moving to Tokyo in the 1950s to pursue his education and then career, Fukase retained strong emotional ties to his birthplace and family. Throughout the 1970s and 1980s he returned regularly to Bifuka to make large-format family portraits, a project that was eventually published in the book Kazoku (Family) in 1991. This is the rarest of Fukase’s photobooks.

Fukase’s Karasu (Ravens) was shot between 1976 and 1982 in the wake of his divorce from Yōko Wanibe, and during the early period of his marriage to the writer Rika Mikanagi. It extends his experimentation with oblique and metaphorical self-expression in the A Play photo essays of the early ’70s – especially Natsu no nikki [Summer Journal] of December 1972 and Fuyu no nikki [Winter Journal] of June 1973. Indeed, Fukase’s original title for the series was Tonpokuki or “Winter Journal”. The photographs of ravens and other rather bleak subjects that constitute Karasu were taken in Hokkaido, Kanazawa, and Tokyo.

The project originated as an eight-part series for the magazine Camera Mainichi (1976–82), and these photo essays reveal that Fukase experimented with colour film, multiple exposure printing, and narrative text as part of the development of the Karasu concept. Beginning in 1976, exhibitions based on this new body of work brought Fukase widespread recognition in Japan, and subsequently in Europe and the United States. The book was published in 1986 (by Sōkyūsha) and this original edition of Ravens soon became one of the most respected and sought-after Japanese photobooks of the post-war era. Subsequent editions were published in 1991 (Bedford Arts), 2008 (Rat Hole Gallery), and 2017 Mack.

The heavily autobiographical approach of Karasu has its origins in Fukase’s foundational photo essay, “Hyōten” [Freezing Point], of 1961, but it pushes the central themes of isolation and tragedy to new levels of depth and abstraction. Technically, the photographs of ravens were very difficult to achieve, with Fukase having to focus his camera on the small, moving black subjects in almost total darkness. Setting correct exposures was equally challenging. In 1976, at the outset of the project, Fukase stated in Camera Mainichi: “I’m wishing that I could stop this world. This act [of photography] may represent my own revenge play against life, and perhaps that is what I enjoy most.” By the project’s end in 1982, Fukase wrote enigmatically that he had “become a raven”.

In 2010, a panel of five experts convened by the British Journal of Photography selected Karasu as the best photobook of 1986–2009.

In 1992 Fukase suffered traumatic brain injury from a fall down the steep steps of his favourite bar in the “Golden Gai” area of Shinjuku, Tokyo, and this left him incapacitated. Earlier that year Miyako Ishiuchi had photographed Fukase nude for her book Chromosome XY (1995). Some of the images from that session were published in the magazine Brutus in January 1995. Ishiuchi has said that Fukase was almost alone among Japanese male photographers in agreeing to pose nude for her camera. In 2004 the Masahisa Fukase Trust edited and had published two photobooks Hysteric Twelve and Bukubuku, based on bodies of work Fukase had completed before his debilitating fall. The photographs contained in Bukubuku, made in a bathtub with an underwater camera, have come to be regarded as Fukase’s last great work, a whimsical if somewhat morbid game of solitaire that charts new territory for the photographic self-portrait.

Fukase died on 9 June 2012. In 2015 two exhibitions designed to highlight some of his lesser-known work were co-ordinated by the Masahisa Fukase Archives. These were From Window which formed part of the Another Language: 8 Japanese Photographers exhibition at Rencontres d’Arles, France, and The Incurable Egoist at Diesel Art Gallery, Tokyo. Fukase’s complete set of 30 Bukubuku prints was exhibited for the first time since 1992 at the Tate Modern show Performing for the Camera in February 2016.

Source: Wikipedia

Mark Steinmetz, poeta della fotografia in bianco e nero

Ciao,

oggi vi voglio presentare questo fotografo americano che per tutta la sua carriera (finora almeno) ha sempre utilizzato la stessa fotocamera analogica e la stessa pellicola controllando meticolosamente ogni fase del processo di produzione della fotografia.

Lo conoscete? Che ne pensate? Attendo i vostri commenti.

Ciao

Anna

 

Mark Steinmetz, nato nel 1961, è un fotografo statunitense residente ad Athens in Georgia.

Steinmetz ha iniziato a fotografare giovanissimo e a 13 anni aveva già una piccola camera oscura dove stampava le proprie fotografie – cosa che continua a fare ancora adesso. Nato a Manhattan da genitori europei e cresciuto in Iowa, da piccolo studia principalmente materie scientifiche per poi cambiare direzione al college concentrandosi sullo studio di materie artistiche.

Nel 1986 ha ottenuto il Master in Fine Arts presso l’università di Yale.

Durante la sua carriera ha pubblicato 6 libri con la prestigiosa casa editrice Nazraeli Press.

I suoi lavori sono inclusi nelle collezioni dei maggiori musei americani, quali il Museum of Modern Art, il Whitney Museum of American Art, il Metropolitan Museum of Art, l’Art Institute di Chicago, il San Francisco Museum of Modern Art.

In Italia ha collaborato per mostre e workshop con MiCamera.

Ha insegnato fotografia alle università di Harvard, Yale, Emory, Hartford e Sarah Lawrence College.

Ha inoltre ricevuto una Guggenheim Fellowship.

Il suo lavoro, rigorosamente in bianco e nero, raccontano momenti umoristici, di profondità e bellezza, riuscendo ad estrarre profondità visiva ed emotiva dalla vita di tutti i giorni- Le sue opere catturano la quieta intensità della condizione umana rappresentando soggetti che vanno dagli abitanti di piccole città italiane, a campeggi estivi, teenagers, insegnanti e scene di strada.

Una carriera dedicata interamente alla fotografia analogica, compreso il meticoloso sviluppo dei suo negativi in camera oscura, Steinmetz ha lavorato con la stessa fotocamera, pellicola e processo chimico per tutta la sua carriera.

Questo il suo sito personale

Qua trovate un interessante articolo apparso sul Guardian poco tempo fa, mentre qua  una recente ilntervista pubblicata su Vice

 

Keiichi Tahara, autore davvero interessante.

Oggi vi presentiamo questo artista giapponese definito dalla critica “genio della luce”, che purtroppo ci ha lasciato molto recentemente.

Date un’occhiata e diteci cosa ne pensate.

Ciao

Anna

Keiichi Tahara, nato il 20 agosto 1951 e deceduto il 6 giugno 2017, era un fotografo giapponese.

Tahara era nato a Kyoto. Apprese le teceniche fotografiche in giovane età da suo nonno, che era un fotografo provessionista.

Nel 1972 in Francia, mentre viaggiava in Europa con il Red Buddha Theater, con cui collaborava come tencico delle luci, si imbattè in una luce tagliente, dura e intensa che non aveva mai sperimentato in Giappone. Da allora, rimase a Parigi per i successivi 30 anni e cominciò la sua carriera come fotografo.

La sua prima serie di lavori “Ville” (città ndt) (1973-1976) catturò questa luce particolare in bianco e nero. La sua serie successiva “Fenêtre (Finestra ndt) (1973-1980) gli valse il premio come miglior nuovo fotografo all’ Arles International Photography Festival nel 1977 e gli dischiuse le luci della ribalta. L’anno seguente, inizio a lavorare alla sua serie successiva “Portrait” (1978), poi “Eclat” (1979-1983) e “Polaroid” (1984) e ricevette numerosi premi, tra cui il Ihei Kimura award (1985).

Il suo approccio morfologico alla luce si è poi esteso alla scultura, alle installazioni e ad altre varie forme d’arte, superando il genere della fotografia. Nel 1993, nel fossato del Castello di Angers (1993), venne allestita la prima scultura di luce in Francia, “Fighting the Dragon”.

Il suo lavoro più rappresentativo è “Garden of Light” (Eniwa, Hokkaido, 1989) dove le sculture di luce sono allestite in uno spazio pubblico che è coperto da un emtro di neve per 6 mesi dell’anno. La luce cambia in base alla musica e conferisce allo spazio una dimensione poetica. Basato sullo stesso concetto, nel 2000 venne allestito Echos du Lumières enla Canale Saint-Martin, un progetto per uno spazio pubblico commissionato dalla città di Parigi. I riflessi di colore dei prismi illuminano il muro di pietra, in sincromismo con i suoni.

Altre sono installazioni permanenti  tra cui “Niwa (Giardino ndt)” al Photography Museum di parigi ( Maison Europeenne de la Photographie) nel 2001, l’installazione“ Portrail de Lumiere” ni concomitanza con l’evento di Lille 2004, capitale della cultura e “ Light Sculpture” mostra al museo Tokyo Metropolitan nel 2004.

Nel 2008 l’edificio Ginza 888 venne costruito su sua produzione, direzione artistica del Museum of Islamic Art e Tahara pubblicà un libro fotografico.

Tahara ha poi continuato a produrre installazioni di luce in spazi urbani.

Fonte: libera traduzione da Wikipedia

Questo è il suo sito.

Qui trovate un’intervista concessa a France Fine Art

Keiichi Tahara, born 20 August 1951, died 6 June 2017, was a Japanese photographer.

Tahara was born in Kyoto. He learned photographic techniques at an early age from his grandfather, who was a professional photographer.

In 1972 in France, he encountered a sharp, harsh and piercing light that he had never experienced in Japan while he was traveling Europe with Red Buddha Theater, where he was a lighting and visual technician. Since then, he remained in Paris for next 30 years and started his career as a photographer.

His first series of work “Ville (City)” (1973–1976) captured the unique light in Paris in black-and-white photography. His next series of work “Fenêtre (Windows)” (1973–1980) awarded the best new photographer by Arles International Photography Festival in 1977 and he moved into the limelight.The following year, he started the new series “Portrait” (1978), then “Eclat” (1979–1983) and ”Polaroid” (1984) and received number of awards such as Ihei Kimura award (1985).

His morphological approach to light has extended to sculpture, installations, and other various method crossing over the genre of photography. In 1993, in moat of the Castle of Angers (1993), the first light sculpture in France, “Fighting the Dragon” (1993) was installed.

His representative work is Garden of Light (Eniwa, Hokkaido, 1989) where light sculptures are installed in a public space that is covered by a meter of snow six months of the year. The light changes in response to music and presents a space of poetic dimensions. Based on the same concept, in the year 2000, Echos du Lumières was installed in the Canal Saint-Martin, commissioned as a public space project by the City of Paris. The spectacle colors from the prisms illuminate the stone wall synchronizing with the sounds.

Others are permanent outdoor installation “Niwa (Garden)” at the Photography Museum in Paris ( Maison Europeenne de la Photographie) in 2001, “ Portrail de Lumiere” installation as a part of European Capital of culture event “ Lille 2004” in 2004, and “ Light Sculpture” exhibition at Tokyo Metropolitan Teien Art museum in 2004.

In 2008, Ginza 888 building was built by his total produce, art direction of the Museum of Islamic Art and he published a photography book.

Tahara continues to produce a number of light installation projects in urban spaces.

Source: Wikipedia

Here is his webiste

Lewis Baltz, minimalismo in bianco e nero. Da conoscere.

Ciao,

oggi vi presento Lewis Baltz, un fotografo americano, tra i partecipanti alla mostra della New Topographics, organizzata nel 1975 da W.Jenkins a New York. Allo stesso evento parteciparono Stephen Shore, Robert Adams, Henry Wessel, i coniugi Becher, Nixon e altri.

Mi ha colpito da subito per i suoi bianchi e neri rigorosi e le linee pulite e i suoi soggetti in apparenza poco significativi. Cercava la bellezza nel vuoto. Putroppo ci ha lasciato  un paio di anni fa.

Voi che ne pensate?

Ciao

Anna

 

Lewis Baltz (12 Settembre 1945 – 22 Novembre 2014) è stato un artista visuale e fotografo, che divenne una figura importante nel movimento New Topographics della seconda metà degli anni 70. Il suo laovro è stato pubblicato in diversi libri, presentato in numerose mostre ed esibito in Musei quali il Museum of Modern Art, Parigi, il Museum of Contemporary Art, Helsinki, il San Francisco Museum of Modern Art e The Whitney Museum of American Art, New York. Ha scritto per molti giornali e contribuito regolarmente a L’Architecture d’Aujourd’hui.

Nato a Newport Beach, California, Baltz ha conseguito un BFA  (Bachelor of Arts ndt) in Fine Arts al San Francisco Art Institute nel 1969 e ha ottenuto un Master in Fine Arts alla Claremont Graduate School. Ha ricevuto diverse borse di studio e premi, tra cui borse di studio dal National Endowment For the Arts (1973, 1977), dal John Simon Guggenheim Memorial Fellowship (1977), dal US-UK Bicentennial Exchange Fellowship (1980) e dal Charles Brett Memorial Award (1991). Nel 2002 Baltz divenne professore di Fotografia alla European Graduate School di Saas-Fee, Svizzera. Ha vissuto gli utlimi anni tra Parigi e Venezia.

Il suo lavoro si focalizzò nella ricerca della bellezza nella desolazione e distruzione. Le immagini di Baltz descrivono l’architettura del paesaggio umano: uffici, fabbriche e parcheggi. Le sue fotografie sono il riflesso del controllo, del potere e dell’influenza da e sugli esseri umani. Le sue fotografie minimalistiche nella trilogia Ronde de Nuit, Docile Bodies e Politics of Bacteria raffigurano il vuoto. Nel 1974 catturò l’anonimità e le relazioni tra abitazione, insediamento e anonimità nel lavoro The New Industrial Parks near Irvine, California (1974).

Baltz si trasferì in Europa nella seconda metà degli anni 80 e cominciò ad utilizzare grandi stampe a colori. Pubblicò diversi libri delle sue opere, tra cui Geschichten von Verlangen und Macht, con Slavica Perkovic (Scalo, 1986). Altre serie fotografiche, tra cui Sites of Technology (1989–92), raffigurano  gli interni freddi e immacolati delle industrie hi-tech e dei centri di ricerca governativi, principalmente in Francia e Giappone.

I suoi libri e le sue mostre, il suo “lavoro topografico”, come ad esempio The New Industrial Parks, Nevada, San Quentin Point, Candlestick Point (84 fotografie che documentano uno spazio pubblico vicino al Candlestick park, rovinato da detriti naturali e dall’intervento umano), mostrano la crisi della tecnologia e definiscono l’obiettività e il ruolo dell’artista nelle fotografie.

Nel 1995, la storia Deaths in Newport  fu prodotta in forma di libro e CD-ROM. Baltz produsse anche diversi video.
Baltz è morto il 22 novembre 2014, all’età di 69 anni, a seguito di una lunga malattia.

Fonte: libera traduzione da Wikipedia

Lewis Baltz (September 12, 1945 – November 22, 2014) was a visual artist and photographer who became an important figure in the New Topographics movement of the late 1970s. His work has been published in a number of books, presented in numerous exhibitions, and appeared in museums such as the Museum of Modern Art, Paris, Museum of Contemporary Art, Helsinki, San Francisco Museum of Modern Art and The Whitney Museum of American Art, New York. He wrote for many journals, and contributed regularly to L’Architecture d’Aujourd’hui.

Born in Newport Beach, California, Baltz graduated with a BFA in Fine Arts from San Francisco Art Institute in 1969 and held a Master of Fine Arts degree from Claremont Graduate School. He received several scholarships and awards including a scholarship from the National Endowment For the Arts (1973, 1977), the John Simon Guggenheim Memorial Fellowship (1977),US-UK Bicentennial Exchange Fellowship (1980) and Charles Brett Memorial Award (1991). In 2002 Baltz became a Professor for Photography at the European Graduate School in Saas-Fee, Switzerland. He lived his last years between Paris and Venice.

His work is focused on searching for beauty in desolation and destruction. Baltz’s images describe the architecture of the human landscape: offices, factories and parking lots. His pictures are the reflection of control, power, and influenced by and over human beings. His minimalistic photographs in the trilogy Ronde de Nuit, Docile Bodies, and Politics of Bacteria, picture the void of the other. In 1974 he captured the anonymity and the relationships between inhabitation, settlement and anonymity in The New Industrial Parks near Irvine, California (1974).

Baltz moved to Europe in the late 1980s and started to use large colored prints. He published several books of his work including Geschichten von Verlangen und Macht, with Slavica Perkovic (Scalo, 1986). Other photographic series, including Sites of Technology (1989–92), depict the clinical, pristine interiors of hi-tech industries and government research centres, principally in France and Japan.

His books and exhibitions, his “topographic work”, such as The New Industrial Parks, Nevada, San Quentin Point, Candlestick Point (84 photographs documenting a public space near Candlestick Park, ruined by natural detritus and human intervention), expose the crisis of technology and define both objectivity and the role of the artist in photographs.

In 1995, the story Deaths in Newport was produced as a book and CD-ROM. Baltz also produced a number of video works.

Baltz died on November 22, 2014 at the age of 69 following a long illness.

Source: Wikipedia

PENTTI SAMMALLAHTI, visioni dal nord. Uno dei miei fotografi preferiti!

Il fotografo che vi presentiamo oggi, vi farà completamente immergere nelle atmosfere del freddo nord, con una straordinaria sensibilità e una leggera ironia che non guasta mai.

Buona visione.

Ciao

Anna

 

 

Pentti Sammallahti è nato a Helsinki, in Finlandia,  nel 1950. E’ cresciuto circondato dalle opere di sua nonna, Hildur Larsson (1882-1952), una fotografa nata in Svezia che lavorava a Helsinki per il giornale Kaiku nei primi anni del 900. Doopo aver visitato la mostra  The Family of Man alla Helsinki Art Hall (1961) Sammallahti scattò le sue prime fotografie all’età di 11 anni. Pentti si unì al Helsinki Camera Club nel 1964. La sua prima mostra personale si tenne nel 1971.

Sammallahti ha viaggiato molto come fotografo, dalla nativa Scandinavia, attraverso le Repubbliche Sovietiche, in Giappone, India, Nepal, Marocco, Turchia, attraverso l’Europa, in Gran Bretagna e persino in Sud Africa. I viaggi di Sammallahti e l’interesse nei processi di stampa e litografia lo hanno portato a pubblicare numerosi portfolio, tra cui il più ampio e più conosciuto è “The Russian Way” (1996).  Come figura rappresentativa della fotografia finlandese contemporanea, il suo lavoro unisce una straordinaria sensibilità per l’attimo nel tempo con la capacità di mostrare la bellezze del mondo, attraverso gli animali.  Il suo particolare utilizzo dei cani, che riflette l’esperienza esistenziale umana, ci mostra la natura condivisa della terra, con uno humor gentile e un’attitudine fugace. Sammallahti si descrive come un vagabondo a cui piace la natura del grande nord, il silenzio, il freddo e il mare. Ama le persone e gli animali di posti remoti e registra le relazioni tra questi e l’ambiente circostante.

Come un abile artigiano, Sammallahti lavora meticolosamente alle sue stampe, che sono di vari formati, da 4×5 pollici a panoramiche di 6×14 pollici. Nel 2010 per la sua retrospettiva a Helsinki, ha creato stampe a pigmenti di grande formato, delle dimensioni di circa 9×21 pollici e 15×35.5 pollici.

Da appassionato ricercatore del metodo meccanico perfetto di stampa, le sue tecniche di stampa innovative e la reintroduzione del portfolio hanno risvegliato l’interesse nell’arte fotografica pubblicata. Influenzato dall’idea dei “libri d’artista” – lavori individuali in cui l’artista è responsabile del tutto: fotografia, stampa, layout, design e tipografia, riproduzione e spesso la vera e propria stampa col metodo offset o gravure. Dal 1979, Pentti Sammallahti ha pubblicato tredici libri e portfolio e ha ricevuto premi quali il Samuli Paulaharju Prize della Finnish Literature Society, lo State Prizes for Photography, l’Uusimaa Province Art Prize, il Daniel Nyblin Prize, e il Finnish Critics Association Annual.

Dal 1974 al 1991 Sammallahti ha insegnato alla University of Art and Design a Helsinki, lasciando quando ha ricevuto un grant di 15 anni dal governo finlandese, una sovvenzione inusualmente lunga, che non viene più assegnata. Sia come fotografo che come insegnante, ha avuto un’enorme influenza su un’intera generazione di fotografi documentari in Scandinavia.

Samallahti ha esposto in una personale a Parigi al Mois de la Photographie nel 1996 e un’altra nel 1998 allo Houston Fotofest, in Texas. Nel 2001 la University of Art and Design ha assegnato a Pentti Sammallahti il titolo di Dottore Onorario in Arte. Nel 2004, il famoso fotografo francese Henri Cartier-Bresson ha inserito Sammallahti tra i suoi 100 fotografi preferiti per la mostra inaugurale della sua Fondazione a Parigi. La French Photo Poche book series ha pubblicato il suo libro editato da Robert Delpire nel 2005, e lo stesso anno,  Sammallahti ha esposto con una personale all’ International Photography Festival ad Arles. La sua seconda mostra a Les Rencontres D’Arles è stata una grande retrospettiva nel 2012, accompagnata dalla pubblicazione della prima monografia retrospettiva Here Far Away, pubblicata in 6 lingue (tedesco, francese, inglese, italiano, spagnolo e finlandese).

Tra le collezioni dei musei, i lavori di Sammallahti possono essere visti  al Victoria & Albert Museum, a Londra; al Museum of Fine Arts a Houston, Texas,; alla Bibliothèque Nationale a Parigi; allo Stedelijk Museum ad Amsterdam; al Museum fur Kunst und Gewerbe ad Amburgo; Moderna Museet / Fotografiska Museet, a Stoccolma; e al The Finnish State Collections and the Photographic Museum of Finland.

Fonte: libera traduzione dalla biografia sul sito della  Nailya Alexander Gallery

Qua trovate un’interessante intervista rilasciata dall’artista al Guardian nel 2014

Pentti Sammallahti was born in 1950 in Helsinki, Finland. Growing up, he was surrounded by the works of his grandmother, Hildur Larsson (1882-1952), a Swedish-born photographer, who worked for the Helsinki newspaper Kaiku in the early 1900s. After visiting The Family of Man exhibition at Helsinki Art Hall (1961) Sammallahti made his first photographs at age eleven. Pentti joined the Helsinki Camera Club in 1964. His first solo exhibition was in 1971.

Sammallahti has travelled widely as a photographer, from his native Scandinavia, across the Soviet Republics through Siberia, to Japan, India, Nepal, Morocco, Turkey, across Europe and Great Britain, and even to South Africa.  Sammallahti’s travels and interest in fine printing and lithography has led him to publish numerous portfolios of which the largest and most well known is “The Russian Way” (1996).  As a benchmark figure in contemporary Finnish photography, his work has a supernatural sense of a moment in time with the sensitivity and beauty of the world displayed through its animalistic existence. His particular use of dogs, which reflects the human existential experience, shows the shared nature of the earth with a gentle humor and fleeting attitude. Sammallahti describes himself as a wanderer who likes the nature of the great north, the silence, the cold, and the sea. He likes the people and the animals of far off places and he records the relationships between them and their environment.

As a master craftsman, he meticulously tones his prints, which come in various formats, from 4 by 5 inches in image size to panoramas of 6 by 14 inches. In 2010 for his retrospective exhibition in Helsinki he created large format pigment prints, about 9 by 21 inches and 15 by 35.5 inches in size. As a passionate seeker of the perfect mechanical printing method, his own innovative printing techniques and reintroduction of the portfolio form have re-awakened broader interest in published photographic art. Influenced by the idea of ‘artist books’ – individual works in which the artist is responsible for the whole: photography, the making of prints, layout, design and typography, reproduction and often the actual printing process either with the offset or the gravure method. Since 1979, Pentti Sammallahti has published thirteen books and portfolios and has received awards such as the Samuli Paulaharju Prize of the Finnish Literature Society, State Prizes for Photography, Uusimaa Province Art Prize, Daniel Nyblin Prize, and the Finnish Critics Association Annual.

From 1974 to 1991 Sammallahti taught at the University of Art and Design in Helsinki, retiring when he received a 15-year grant from the Finnish government, an unusually long endowment, which is no longer awarded. Both as a photographer and a teacher, he has had an enormous influence on a whole generation of documentary photographers in Scandinavia.

Sammallahti had a solo exhibition at Paris’ Mois de la Photographie in 1996 and another in 1998 at Houston Fotofest, Texas.  In 2001 the Helsinki University of Art and Design awarded Pentti Sammallahti the title of Honorary Doctorate in Art.  In 2004, the famous French photographer Henri Cartier-Bresson ranked Sammallahti among his 100 favorite photographers for his Foundation’s inaugural exhibition in Paris. The French Photo Poche book series published his book edited by Robert Delpire in 2005, and the same year, Sammallahti had a personal exhibition at the International Photography Festival in Arles. His second exhibition at Recontres d’Arles was a major retrospective in 2012 accompanied by the release of the first retrospective monograph Here Far Away, published in six languages (German, French, English, Italian, Spanish, and Finnish).

Among museum collections Sammallahti’s work can be found at the Victoria & Albert Museum, London, England; Museum of Fine Arts, Houston, Texas, USA; Bibliothèque Nationale, Paris, France; Stedelijk Museum, Amsterdam, the Netherlands; Museum fur Kunst und Gewerbe, Hamburg, Germany; Moderna Museet / Fotografiska Museet, Stockholm, Sweden; and The Finnish State Collections and the Photographic Museum of Finland.

Source: Nailya Alexander Gallery