Walker Evans, credo si presenti da solo

L’autore che vi presento oggi è uno dei principali esponenti della FSA e sicuramente tra i fotografi statunitensi più influenti. Ho avuto modo di visitare la bella mostra su Walker Evans allestita lo scorso anno a Palazzo Magnani in occasione del festival Fotografia Europea, Mi ha colpito molto il suo lavoro di ritratti nella metropolitana newyorchese: ha anticipato di parecchio le tendenze attuali. Attualmente è in mostra con una favolosa retrospettiva al Centre Pompidour di Parigi. Consiglio a tutti di non perdersi una sua mostra, perché le sue stampe dal vivo emozionano davvero. E leggetevi anche la sua biografia, veramente interessante – anche perchè la traduzione mi ha impegnato parecchio ;-).

Ciao

Anna

 

 

 

Walker Evans (3 novembre 1903 – 10 aprile 1975) è stato un fotografo e fotogiornalista americano, conosciuto prevalentemente per il suo lavoro per la Farm Security Administration (FSA) al fine di documentare gli effetti della Grande Depressione. Gran parte del suo lavoro del periodo FSA è in grande formato, fotocamera 8×10 pollici. Evans affermò che il suo scopo come fotografo era di scattare fotografie “colte, autorevoli trascendenti”. Molti dei suoi lavori fanno parte delle collezioni permanenti di musei e sono state il soggetto di retrospettive organizzate da istituzioni quali il Metropolitan Museum of Art o la George Eastman House.

Nato a St. Luois, Missouri, da Jessie e Walker, Walker Evans veniva da una famiglia agiata. Il padre era un dirigente pubblicitario. Trascorse la sua gioventù a Toledo, Chicago e New York. Frequentò il Loomis Institute e Mercersburg Academy prima di diplomarsi alla Phillips Academy in Andover, Massachusetts, nel 1922. Studiò letteratura francese per un anno al Williams College, trascorrendo molto del suo tempo nella biblioteca della scuola, prima di abbandonare. Dopo aver trascorso un anno a Parigi nel 1926, tornò negli Stati Uniti per unirsi alla massa di artisti e letterati di New York. John Cheever, Hart Crane, e Lincoln Kirstein erano tra i suoi amici: Dal 1927 al 1929 ha lavorato come impiegato per un broker azionario alla Borsa di Wall Street.

Evans iniziò ad occuparsi di fotografia nel 1928, nel periodo in cui visse a Ossining, New York. Le sue influenze includevano Eugène Atget e August Sander. Nel 1930, pubblicò 3 fotografie (Ponte di Brooklyn) nel libro di poesie The Bridge di Hart Crane. Nel 1931, scattò una serie di fotografie alle case vittoriane nei pressi di Boston, sponsorizzato da Lincoln Kirstein.

Nel maggio e giugno del 1933, Evans scatto delle fotografie a Cuba su assignment di Lippincott, l’editore di Carleton Beals, The Crime of Cuba (1933), uno “stridente resoconto” della dittatura di Gerardo Machado. Lì Evans trascorreva le notti a bere con Ernest Hemingway, che gli prestò i soldi per prolungare il suo soggiorno di due settimane per un’altra settimana. Le sue fotografie documentavano la vita di strada, la presemza della polizia, mendicanti e scaricatori di porto e altre scene sul lungomare. Aiutò anche Hemnigway a reperire delle foto dagli archivi dei giornali che documentassero alcuen delle violenze politiche che Hemnigway descrisse in To have and have not (1937). Temendo che le sue fotografie potessero essere considerate critiche del governo e confiscate dalle autorità cubane, lasciò 46 stampe a Hemingway. Non ebbe difficoltà al suo ritorno negli Stati Uniti, e 31 delle sue foto furono pubblicate nel libro di Beals. Il nascondiglio delle stampe lasciate a Hemingway fu scoperto a L’Havana nel 2002 e messo in mostra a Key West.

Nel 1935, Evans trascorse due mesi all’inizio per una campagna fotografica per la Resettlement Administration (RA)  (un’agenzia federale che trasferiva le famiglie povere in comunità create dal governo federale n.d.t.) in West Virginia e Pennsylvania. Da ottobre in poi, continuò a lavorare per la RA e più tardi per la Farm Security Administration (FSA), prevalentemente negli Stati Uniti meridionali.

Nell’estate del 1936, mentre era in congedo dalla FSA, insieme allo scrittore James Agee, venne mandato dalla rivista Fortune in assignment a Hale County, Alabama, per una storia che la rivista poi decise di non pubblicare. Nel 1941, le fotografie di Evans e i testi di Agee, che raccontavano il soggiorno dei due con tre famiglie di mezzadri bianchi nel sud dell’Alabama durante la Grande Depressione furono poi pubblicati  nel libro rivoluzionario Let Us Now Praise Famous Men. Il resoconto dettagliato sulle tre famiglie di agricoltori, dipinge un commovente ritratto della povertà rurale.

Le tre famiglie, capeggiate da Bud Fields, Floyd Burroughs e Frank Tingle, vivevano nella città di Akron, Contea di Hale, Alabama e i proprietari dei terreni su cui le famiglie lavoravano dissero loro che Ebans e Agee erano “agenti sovietici”, sebbene Allie Mae Burroughs, la moglie di Floyd, ricordò in interviste successive di non aver creduto a quell’informazione. Le fotografie di Evans delle famiglie, le resero icone della povertà e miseria della Grande Depressione (un po’ come Migrant Mother per Dorothea Lange n.d.t.). Nel settembre 2005, Fortune rivisitò Hale County e i discendenti delle tre famiglie per l’edizione del suo 75 anniversario. Charles Burroughs, che aveva 4 anni all’epoca in cui Evans e Agee visitarono la famiglia, era ancora arrabbiato con loro per non aver mai inviato alla famiglia una copia del libro; si riporta anche che il figlio di Floyd Burroughs fosse arrabbiato perche la famiglia fu “messa in una luce tale che sembrava non potessero farci nulla, che fossero condannati all’ignoranza”

Evans continuò a lavorare per la FSA fino al 1938. Quell’anno si tenne una mostra al The Museum of Modern Art, New York: Walker Evans: American Photographs. Questa fu la prima mostra in un museo dedicata all’opera di un unico fotografo. Il catalogo includeva una saggio di accompagnamento di Lincoln Kirstein, che era diventato amico di Evans nei suoi primi periodi newyorchesi.

Nel 1938, Evans scattò anche la sua prima fotografia nella metropolitana di New York, nascondendo la fotocamera nel cappotto. Queste immagini furono raccolte in un libro nel 1966 dal titolo Many are Called. Nel 1938 e 1939 Evans lavorò con Hellen Levitt, facendole da mentore.

Evans, così come altri fotografi come Henri Cartier-Bresson, raramente trascorreva tempo in camera oscura stampando i propri negativi. Supervisionava solo vagamente la stampa delle sue fotografie, a volte soltanto attaccando delle note scritte a mano ai negativi, con le istruzioni o alcuni aspetti della procedura di stampa.

Evans era un lettore e scrittore appassionato, e nel 1945 divenne scrittore per il Time magazine. Poco dopo diventò redattore alla rivista Fortune fino al 1965. Quell’anno, diventò professore di fotografia alla facoltà di Graphic Design alla Yale University School of Art.

In uno dei suoi ultimi progetti fotografici, Evans lavorò ad un portfolio in bianco e nero degli uffici  e dei soci della Brown Brothers Harriman & Co per la pubblicazione su “Partners in Banking” pubblicato nel 1968 per festeggiare il 150° anniversario della banca. Nel 1973 e 1974, scattò anche una lunga serie con l’allora nuova fotocamera Polaroid SX-70, dopo che l’età e problemi di salute gli avevano reso difficile lavorare con attrezzature complesse.

La prima retrospettiva definitiva delle sue fotografie, che “individualmente evocano un incontrovertibile sensazione di luoghi specifici e collettivamente un senso di America,” secondo un comunicato stampa, fu allestita al Museum of Modern Arta New York all’inizio del 1971. Selezionata da John Szarkowski, la mostra venne esmplicemente intitolata Walker Evans.
Evans morì nella sua casa di New Havens, Connecticut nel 1975.

Nel 1994, l’eredità di Walker Evans trasferì le sue proprietà al The Metropolitan Museum of Art di New York. The Metropolitan Museum of Art è l’unico titolare dei diriti d’autore per tutte le opere d’arte di Walker Evans. L’unica eccezione è rappresentata da un gruppo di circa 1000 negativi nella collezione della Library of Congress, che vennero prodotti per la the Resettlement Administration (RA) / Farm Security Administration (FSA). I lavoro di Evans per RA e FSA sono di dominio pubblico.

Nel 200 Evans fu ammesso nella St. Louis Walk of Fame.

Fonte: libera traduzione da Wikipedia

 

Walker Evans (November 3, 1903 – April 10, 1975) was an American photographer and photojournalist best known for his work for the Farm Security Administration (FSA) documenting the effects of the Great Depression. Much of Evans’s work from the FSA period uses the large-format, 8×10-inch camera. He said that his goal as a photographer was to make pictures that are “literate, authoritative, transcendent”. Many of his works are in the permanent collections of museums and have been the subject of retrospectives at such institutions as The Metropolitan Museum of Art or George Eastman House.

Born in St. Louis, Missouri, to Jessie (née Crane) and Walker,Walker Evans came from an affluent family. His father was an advertising director. He spent his youth in Toledo, Chicago, and New York City. He attended The Loomis Institute and Mercersburg Academy before graduating from Phillips Academy in Andover, Massachusetts, in 1922. He studied French literature for a year at Williams College, spending much of his time in the school’s library, before dropping out. After spending a year in Paris in 1926, he returned to the United States to join the edgy literary and art crowd in New York City. John Cheever, Hart Crane, and Lincoln Kirstein were among his friends. He was a clerk for a stockbroker firm in Wall street from 1927 to 1929.

Evans took up photography in 1928 around the time he was living in Ossining, New York. His influences included Eugène Atget and August Sander. In 1930, he published three photographs (Brooklyn Bridge) in the poetry book The Bridge by Hart Crane. In 1931, he made a photo series of Victorian houses in the Boston vicinity sponsored by Lincoln Kirstein,

In May and June 1933, Evans took photographs in Cuba on assignment for Lippincott, the publisher of Carleton Beals’ The Crime of Cuba (1933), a “strident account” of the dictatorship of Gerardo Machado. There Evans drank nightly with Ernest Hemingway, who loaned him money to extend his two-week stay an additional week. His photographs documented street life, the presence of police, beggars and dockworkers in rags, and other waterfront scenes. He also helped Hemingway acquire photos from newspaper archives that documented some of the political violence Hemingway described in To Have and Have Not (1937). Fearing that his photographs might be deemed critical of the government and confiscated by Cuban authorities, he left 46 prints with Hemingway. He had no difficulties when returning to the United States, and 31 of his photos appeared in Beals’ book. The cache of prints left with Hemingway was discovered in Havana in 2002 and exhibited at an exhibition in Key West.

In 1935, Evans spent two months at first on a fixed-term photographic campaign for the Resettlement Administration (RA) in West Virginia and Pennsylvania. From October on, he continued to do photographic work for the RA and later the Farm Security Administration (FSA), primarily in the Southern United States.

In the summer of 1936, while on leave from the FSA, he and writer James Agee were sent by Fortune magazine on assignment to Hale County, Alabama, for a story the magazine subsequently opted not to run. In 1941, Evans’s photographs and Agee’s text detailing the duo’s stay with three white tenant families in southern Alabama during the Great Depression were published as the groundbreaking book Let Us Now Praise Famous Men. Its detailed account of three farming families paints a deeply moving portrait of rural poverty. The critic Janet Malcolm notes that as in the earlier Beals’ book there was a contradiction between a kind of anguished dissonance in Agee’s prose and the quiet, magisterial beauty of Evans’s photographs of sharecroppers.

The three families headed by Bud Fields, Floyd Burroughs and Frank Tingle, lived in the Hale County town of Akron, Alabama, and the owners of the land on which the families worked told them that Evans and Agee were “Soviet agents,” although Allie Mae Burroughs, Floyd’s wife, recalled during later interviews her discounting that information. Evans’s photographs of the families made them icons of Depression-Era misery and poverty. In September 2005, Fortune revisited Hale County and the descendants of the three families for its 75th anniversary issue. Charles Burroughs, who was four years old when Evans and Agee visited the family, was “still angry” at them for not even sending the family a copy of the book; the son of Floyd Burroughs was also reportedly angry because the family was “cast in a light that they couldn’t do any better, that they were doomed, ignorant”.

Evans continued to work for the FSA until 1938. That year, an exhibition, Walker Evans: American Photographs, was held at The Museum of Modern Art, New York. This was the first exhibition in the museum devoted to the work of a single photographer. The catalogue included an accompanying essay by Lincoln Kirstein, whom Evans had befriended in his early days in New York.

In 1938, Evans also took his first photographs in the New York subway with a camera hidden in his coat. These would be collected in book form in 1966 under the title Many are Called. In 1938 and 1939, Evans worked with and mentored Helen Levitt.

Evans, like such other photographers as Henri Cartier-Bresson, rarely spent time in the darkroom making prints from his own negatives. He only very loosely supervised the making of prints of most of his photographs, sometimes only attaching handwritten notes to negatives with instructions on some aspect of the printing procedure.

Evans was a passionate reader and writer, and in 1945 became a staff writer at Time magazine. Shortly afterward he became an editor at Fortune magazine through 1965. That year, he became a professor of photography on the faculty for Graphic Design at the Yale University School of Art.

In one of his last photographic projects, Evans completed a black and white portfolio of Brown Brothers Harriman & Co.’s offices and partners for publication in “Partners in Banking,” published in 1968 to celebrate the private bank’s 150th anniversary. In 1973 and 1974, he also shot a long series with the then-new Polaroid SX-70 camera, after age and poor health had made it difficult for him to work with elaborate equipment.

The first definitive retrospective of his photographs, which “individually evoke an incontrovertible sense of specific places, and collectively a sense of America,” according to a press release, was on view at New York’s Museum of Modern Art in early 1971. Selected by John Szarkowski, the exhibit was titled simply Walker Evans

Evans died at his home in New Haven, Connecticut, in 1975.

In 1994, The Estate of Walker Evans handed over its holdings to New York City’s The Metropolitan Museum of Art. The Metropolitan Museum of Art is the sole copyright holder for all works of art in all media by Walker Evans. The only exception is a group of approximately 1,000 negatives in collection of the Library of Congress which were produced for the Resettlement Administration (RA) / Farm Security Administration (FSA). Evans’s RA / FSA works are in the public domain.

 

In 2000, Evans was inducted into the St. Louis Walk of Fame.

 

Source: Wikipedia

 

 

Lewis Baltz, minimalismo in bianco e nero. Da conoscere.

Ciao,

oggi vi presento Lewis Baltz, un fotografo americano, tra i partecipanti alla mostra della New Topographics, organizzata nel 1975 da W.Jenkins a New York. Allo stesso evento parteciparono Stephen Shore, Robert Adams, Henry Wessel, i coniugi Becher, Nixon e altri.

Mi ha colpito da subito per i suoi bianchi e neri rigorosi e le linee pulite e i suoi soggetti in apparenza poco significativi. Cercava la bellezza nel vuoto. Putroppo ci ha lasciato  un paio di anni fa.

Voi che ne pensate?

Ciao

Anna

 

Lewis Baltz (12 Settembre 1945 – 22 Novembre 2014) è stato un artista visuale e fotografo, che divenne una figura importante nel movimento New Topographics della seconda metà degli anni 70. Il suo laovro è stato pubblicato in diversi libri, presentato in numerose mostre ed esibito in Musei quali il Museum of Modern Art, Parigi, il Museum of Contemporary Art, Helsinki, il San Francisco Museum of Modern Art e The Whitney Museum of American Art, New York. Ha scritto per molti giornali e contribuito regolarmente a L’Architecture d’Aujourd’hui.

Nato a Newport Beach, California, Baltz ha conseguito un BFA  (Bachelor of Arts ndt) in Fine Arts al San Francisco Art Institute nel 1969 e ha ottenuto un Master in Fine Arts alla Claremont Graduate School. Ha ricevuto diverse borse di studio e premi, tra cui borse di studio dal National Endowment For the Arts (1973, 1977), dal John Simon Guggenheim Memorial Fellowship (1977), dal US-UK Bicentennial Exchange Fellowship (1980) e dal Charles Brett Memorial Award (1991). Nel 2002 Baltz divenne professore di Fotografia alla European Graduate School di Saas-Fee, Svizzera. Ha vissuto gli utlimi anni tra Parigi e Venezia.

Il suo lavoro si focalizzò nella ricerca della bellezza nella desolazione e distruzione. Le immagini di Baltz descrivono l’architettura del paesaggio umano: uffici, fabbriche e parcheggi. Le sue fotografie sono il riflesso del controllo, del potere e dell’influenza da e sugli esseri umani. Le sue fotografie minimalistiche nella trilogia Ronde de Nuit, Docile Bodies e Politics of Bacteria raffigurano il vuoto. Nel 1974 catturò l’anonimità e le relazioni tra abitazione, insediamento e anonimità nel lavoro The New Industrial Parks near Irvine, California (1974).

Baltz si trasferì in Europa nella seconda metà degli anni 80 e cominciò ad utilizzare grandi stampe a colori. Pubblicò diversi libri delle sue opere, tra cui Geschichten von Verlangen und Macht, con Slavica Perkovic (Scalo, 1986). Altre serie fotografiche, tra cui Sites of Technology (1989–92), raffigurano  gli interni freddi e immacolati delle industrie hi-tech e dei centri di ricerca governativi, principalmente in Francia e Giappone.

I suoi libri e le sue mostre, il suo “lavoro topografico”, come ad esempio The New Industrial Parks, Nevada, San Quentin Point, Candlestick Point (84 fotografie che documentano uno spazio pubblico vicino al Candlestick park, rovinato da detriti naturali e dall’intervento umano), mostrano la crisi della tecnologia e definiscono l’obiettività e il ruolo dell’artista nelle fotografie.

Nel 1995, la storia Deaths in Newport  fu prodotta in forma di libro e CD-ROM. Baltz produsse anche diversi video.
Baltz è morto il 22 novembre 2014, all’età di 69 anni, a seguito di una lunga malattia.

Fonte: libera traduzione da Wikipedia

Lewis Baltz (September 12, 1945 – November 22, 2014) was a visual artist and photographer who became an important figure in the New Topographics movement of the late 1970s. His work has been published in a number of books, presented in numerous exhibitions, and appeared in museums such as the Museum of Modern Art, Paris, Museum of Contemporary Art, Helsinki, San Francisco Museum of Modern Art and The Whitney Museum of American Art, New York. He wrote for many journals, and contributed regularly to L’Architecture d’Aujourd’hui.

Born in Newport Beach, California, Baltz graduated with a BFA in Fine Arts from San Francisco Art Institute in 1969 and held a Master of Fine Arts degree from Claremont Graduate School. He received several scholarships and awards including a scholarship from the National Endowment For the Arts (1973, 1977), the John Simon Guggenheim Memorial Fellowship (1977),US-UK Bicentennial Exchange Fellowship (1980) and Charles Brett Memorial Award (1991). In 2002 Baltz became a Professor for Photography at the European Graduate School in Saas-Fee, Switzerland. He lived his last years between Paris and Venice.

His work is focused on searching for beauty in desolation and destruction. Baltz’s images describe the architecture of the human landscape: offices, factories and parking lots. His pictures are the reflection of control, power, and influenced by and over human beings. His minimalistic photographs in the trilogy Ronde de Nuit, Docile Bodies, and Politics of Bacteria, picture the void of the other. In 1974 he captured the anonymity and the relationships between inhabitation, settlement and anonymity in The New Industrial Parks near Irvine, California (1974).

Baltz moved to Europe in the late 1980s and started to use large colored prints. He published several books of his work including Geschichten von Verlangen und Macht, with Slavica Perkovic (Scalo, 1986). Other photographic series, including Sites of Technology (1989–92), depict the clinical, pristine interiors of hi-tech industries and government research centres, principally in France and Japan.

His books and exhibitions, his “topographic work”, such as The New Industrial Parks, Nevada, San Quentin Point, Candlestick Point (84 photographs documenting a public space near Candlestick Park, ruined by natural detritus and human intervention), expose the crisis of technology and define both objectivity and the role of the artist in photographs.

In 1995, the story Deaths in Newport was produced as a book and CD-ROM. Baltz also produced a number of video works.

Baltz died on November 22, 2014 at the age of 69 following a long illness.

Source: Wikipedia

Larry Sultan

Ciao, oggi vi vorrei presentare questo fotografo americano, in Italia non molto conosciuto dal grande pubblico, ma l’influenza del suo lavoro si percepisce chiaramente nelle opere di fotografi contemporanei soprattutto statunitensi, come per esempio Alec Soth Todd Hido solo per citarne un paio, tra quelli maggiormente conosciuti.

Anna

 

 

Larry Sultan è cresciuto nella San Fernando Valley, in California, luogo che divenne per lui fonte d’ispirazione per molti suoi progetti. Il suo lavoro è un mix di fotografia documentaria  e fotografia staged,  con lo scopo di creare immagini che raffigurano la vita famigliare suburbana, sia a livello psicologico che come paesaggio fisico. Il primo libro di Sultan, che conicide anche con la sua prima mostra Pictures from Home (1992) riguarda un progetto durato una decade che rappresenta sua madre e suo padre come soggetti primari, esplorando il ruolo della fotografia nella creazione delle mitologie famigliari. Utilizzando gli stessi setting suburbani, il suo libro The Valley (2004) esamina l’industria del cinema per adulti e l’area delle villette a schiera della classe media che vengono utilizzate come set per i film pornografici. Katherine Avenue, (2010) mostra e libro, affianca le tre serie più importanti di Sultan, Pictures From Home, The Valley, e Homeland, per approfondire ulteriormente come le immagini di Sultan siano costantemente in bilico tra realtà e fantasia, vita domestica e desiderio, come le banali caratteristiche del’ambiente domestico diventano importanti simboli culturali. Nel 2012, venne pubblicata la monografia Larry Sultan and Mike Mandel, per esaminare in profondità i 30 e più anni di collaborazione tra questi due artisti, che hanno affrontyato numerosi progetti concettuali, tra cui Billboards, How to Read Music In One Evening, Newsroom  e il libro di fotografia Evidence, una raccolta di fotografie istituzionali ritrovate, pubblicato inizialmente nel 1977.

Il lavoro di Larry Sultan è stato esposto e pubblicato ampiamente ed è incluso nelle collezioni del Los Angeles County Museum of Art, dell’Art Institute of Chicago, del Museum of Modern Art, del Whitney Museum of American Art, del Solomon Guggenheim Museum, e del San Francisco Museum of Modern Art, dove gli è stato anche riconosciuto il Bay Area Treasure Award nel 2005. Sultan ha isnegnato come Distinguished Professor di fotografia al California College of the Arts a San Francisco. Nato a Brooklyn, New York nel 1946, Larry Sultan è deceduto nella sua casa di Greenbrae, California nel 2009.

Fonte: libera traduzione dal sito dell’autore

Se desiderate approfondire la conoscenza di questo autore, questo è il suo sito.

Larry Sultan grew up in California’s San Fernando Valley, which became a source of inspiration for a number of his projects. His work blends documentary and staged photography to create images of the psychological as well as physical landscape of suburban family life.   Sultan’s pioneering book and exhibition Pictures From Home (1992) was a decade long project that features his own mother and father as its primary subjects, exploring photography’s role in creating familial mythologies. Using this same suburban setting, his book, The Valley (2004) examined the adult film industry and the area’s middle-class tract homes that serve as pornographic film sets. Katherine Avenue, (2010) the exhibition and book, explored Sultan’s three main series, Pictures From Home, The Valley, and Homeland along side each other to further examine how Sultan’s images negotiate between reality and fantasy, domesticity and desire, as the mundane qualities of the domestic surroundings become loaded cultural symbols.  In 2012, the monograph, Larry Sultan and Mike Mandel was published to examine in depth the thirty plus year collaboration between these artists as they tackled numerous conceptual projects together that includes  Billboards, How to Read Music In One Evening, Newsroom, and the seminal photography book Evidence, a collection of found institutional photographs, first published in 1977.

Larry Sultan’s work has been exhibited and published widely and is included in the collections of the Los Angeles County Museum of Art, the Art Institute of Chicago, the Museum of Modern Art, the Whitney Museum of American Art, the Solomon Guggenheim Museum, and the San Francisco Museum of Modern Art, where he was also recognized with the Bay Area Treasure Award in 2005.  Sultan served as a Distinguished Professor of Photography at California College of the Arts in San Francisco.  Born in Brooklyn, New York in 1946, Larry Sultan passed away at his home in Greenbrae, California in 2009.

Source: author’s website

Storia di una fotografia: American Gothic di Gordon Parks

Ciao,

oggi vi racconto qualcosa sulla storia di questa immagine scattata dal fotografo afro-americano Gordon Parks nel 1942.

Questa immagine è diventata una delle icone del razzismo nei confronti degli afroamericani negli USA degli anni 40, razzismo che lo stesso Parks ha vissuto sulla propria pelle, prima di diventare uno dei primi fotografi di colore sulla ribalta internazionale (primo fotografo di colore a pubblicare su Life) , sapendo raccontare in primis la disuguaglianza fra bianchi e neri e la difficoltà di questi ultimi nell’inserirsi nella società di quel tempo.

“Ho visto che la macchina fotografica poteva essere un’arma contro la povertà, il razzismo ed altri mali sociali. In quel momento ho saputo che dovevo possederne una.”

Ciao

Anna

American Gothic Gordon Parks

Nel 1942, Gordon Parks andò a Washington per lavorare per la Farm Security Administration (FSA).

All’epoca la capitale statunitense era letteralmente un ricettacolo di intolleranza. Parks doveva entrare nei ristoranti e nei teatri utilizzando la porta posteriore. Persino il governo federale contribuiva ad alimentare questo clima di segregazione. Alcuni uffici ministeriali avevano mense e bagni separati per bianchi e neri.

Già il primo giorno, Gordon Parks scattò la fotografia di Ella Watson, una donna delle pulizie di colore che lavava i pavimenti nel palazzo  sede della FSA.

Parks racconta che la donna veniva pagata circa 1.000 dollari all’anno  e che uno degli uffici che Ella doveva pulire apparteneva ad una donna bianca che aveva iniziato a lavorare nello stesso periodo di Ella e con qualifiche simili a quelle di Ella e come lei riuscisse con il suo magro salario a sfamare tre nipoti ed una figlia adottiva.

Parks ricorda: “Lottava da sola da quando la madre era morta ed il padre linciato a morte dalla folla. Aveva frequentato le scuole superiori, si era sposata ed era rimasta incinta. Il marito era stato ucciso accidentalmente due giorni prima della nascita della loro figlia. Quando la figlia compi 18 anni, aveva già dato alla luce due figli illegittimi, morendo poi due settimane dopo la nascita del secondo. Oltre tutto, il primo figlio era stato colpito da paralisi un anno prima della morte della madre”

Parks portò la fotografia al suo capo alla FSA (il leggendario Roy Stryker, che sovrintendeva un team stellare composto da Dorothea Lange, Walker Evans e molti altri). Stryker “mi disse che avevo avuto un’idea corretta ma che avrei causato il licenziamento di tutti i fotografi della FSA, perché la mia immagine di Ella era un pesante atto di accusa nei confronti dell’America. Pensavo che la fotografia sarebbe stata scartata, mentre invece un bel giorno eccola li, sulla prima pagina del Washington Post”.

Presto la fotografia divenne nota come “American Gothic” come il famoso quadro del 1930 di Grant Wood (per chi non lo conoscesse eccolo qua sotto).Come noterete, si capisce che Parks aveva bene in mente il dipinto quando ha attentamente messo in posa la donna davanti ad una bandiera con la scopa e il mocio in mano.

 

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American Gothic (Gotico americano) è un dipinto del 1930, a olio, eseguito dall’artista statunitense Grant Wood. Raffigura un agricoltore che regge un forcone e sua figlia (oppure la giovane moglie) davanti a una casa di legno in stile rurale “Carpenter Gothic”, che (soprattutto negli Stati Uniti) è una delle immagini più familiari dell’arte americana nel XX secolo, nonché un’icona universalmente riconosciuta. Grant Wood voleva raffigurare i ruoli tradizionali dell’uomo e della donna nel Midwest, e molti interpretano il forcone che l’anziano regge come un simbolo del lavoro manuale.

Bio (fonte Wikipedia)

Gordon Roger Alexander Buchannan Parks (Fort Scott, 30 novembre 1912 – New York, 7 marzo 2006) è stato un regista, sceneggiatore e attore statunitense, nonché compositore, produttore, fotografo, attivista politico, scrittore e giornalista.

È noto soprattutto per aver pubblicato per un ventennio le sue fotografie sulla celebre rivista statunitense Life, e per aver diretto nel 1971 Shaft il detective, uno dei primi film della blaxploitation. È stato il primo regista afroamericano a dirigere un film per una major. Nel 1969 diresse infatti per la Warner Bros. il film drammatico Ragazzo la tua pelle scotta.

Morì nel 2006, all’età di 93 anni, a causa del cancro.

Nel 1938 Parks comprò la sua prima macchina fotografica e iniziò a fare le sue prime fotografie. Contemporaneamente trovò un impiego in un negozio di abbigliamento femminile. Una fotografia realizzata da Parks fu notata da Marva Louis, moglie del celebre pugile afroamericano Joe Louis, che convinse Parks a trasferirsi a Chicago. Lì Parks iniziò a fotografare donne dell’alta società.Negli anni successivi Parks iniziò la sua carriera di fotografo professionista, lavorando come freelance e fotografo di moda. Nel 1941 pubblicò la sua prima mostra di fotografie. Nel 1942 pubblicò una delle sue fotografie più celebri, intitolata American Gothic. La foto mostra una donna delle pulizie afroamericana che tiene tra le mani una scopa e uno spazzolone, ed è una parodia del celebre dipinto American Gothic, realizzato da Grant Wood nel 1930. L’intenzione di Parks era quella di denunciare il razzismo presente a Washington, che lui aveva personalmente subito entrando in ristoranti e negozi.
Nel 1944 Parks si trasferì ad Harlem e iniziò a lavorare come freelance per la rivista Vogue. Nel 1947 pubblicò il suo primo libro, intitolato Flash Photography, seguito nel 1948 da Camera Portraits: Techniques and Principles of Documentary Portraiture.

Sempre nel 1948 Parks entrò a far parte della redazione della rivista Life, in veste di fotografo e scrittore, e vi lavorò fino al 1968, proponendo fotografie e articoli su svariati argomenti quali la moda, il razzismo, la povertà e la segregazione razziale, e pubblicando foto di celebri personalità quali Malcolm X, Muhammad Ali e Stokely Carmichael.

Nel 1990 ottenne l’Infinity Awards

Due documentari imperdibili su W. Eggleston. La fotografia a colori.

“Sono in guerra contro l’ovvio”

William Eggleston

Ciao, ho trovato questi due film documentari su William Eggleston che vi piaceranno sicuramente!

Mi è piaciuto molto vederlo al lavoro. Spero possa interessare anche a voi.

William Eggleston è stato un grande rivoluzionario nel mondo della fotografia. Sfidando le convenzioni, Eggleston fu uno dei pochi sostenitori della fotografia a colori.
Scardinò i canoni della fotografia tradizionale, non solo per l’utilizzo del colore ma anche per la scelta dei contenuti delle sue fotografie che vennero considerati banali perfino dal critico del New York Times Hilton Kramer.
Eggleston guardava la realtà anche del tutto ordinaria, dandole una vita nuova.

Mostrava il mondo per quello che era. Le sue fotografie sono sinonimo di sospensione: qualcosa è avvenuto o qualcosa sta per avvenire, ma nella fotografia in sé, non accade nulla.

Si pensa abbia ispirato i fratelli Coen, David Lynch e David Byrne e lo stesso Kubrick. La sua indagine della vita quotidiana ha separato la critica. Nonostante questo, oggi la valutazione delle sue opere è in continua ascesa.

Qui un’intervista su Vogue, interessantissima.

Qui la biografia dall’enciclopedia Treccani

Eggleston, William. – Fotografo statunitense (n. Memphis, Tennessee, 1939). Avvicinatosi alla fotografia sul finire degli anni Cinquanta, ha abbandonato l’università per studiare da autodidatta sui libri di fotografi quali H. Cartier-Bresson e W. Evans. E. è ricordato soprattutto per aver introdotto il colore nella fotografia, in un periodo in cui questo era utilizzato perlopiù per i messaggi pubblicitari: nel 1974, mentre insegnava ad Harvard ha preparato il suo primo portfolio (14 Pictures), le cui stampe sono state realizzate con il procedimento del dye transfers (in grado di donare saturazione e chiarezza alle immagini). Due anni dopo, grazie all’aiuto di J. Szarkowski ha raggiunto la notorietà con una memorabile personale al Museum of Modern Art (MoMA) di New York. E. ha definito il proprio modo di fotografare “democratico”; nei suoi scatti, infatti, compaiono soggetti comuni, spesso triviali (quali insegne, cortili, stazioni di servizio), che descrivono il sud degli Stati Uniti in cui il fotografo è cresciuto. Il celebre triciclo immortalato in Untitled 1970 è una delle opere di E. più quotate nel mercato dell’arte contemporanea.

1. “The Colourful Mr. Eggleston”presentato da Alan Yentob

2. “In The Real World”

 

Spero vi siano piaciuti, ciao Sara

Storia di una fotografia: Paul Fusco – Funeral Train – 1968

Ciao,

oggi, più che la storia di una singola fotografia, vi vorrei parlare di un intero progetto,  che mi ha molto colpito, dal primo momento in cui l’ho visto. Non so come mai ma la saga dei Kennedy ha sempre esercitato una forte attrazione su di me…

Si tratta di “Funeral Train” di Paul Fusco, un ritratto del popolo americano in un momento particolare, la morte di Robert Kennedy.

Ho scelto questa foto a rappresentare l’intero lavoro, perchè la trovo veramente toccante, anche se non corrisponde all’immagine preferita dallo stesso Fusco.

Ho spulciato e  raccolto da diverse fonti e siti web alcune notizie su questa foto e sul progetto in generale ed anche degli stralci di un’intervista di Mario Calabresi allo stesso Paul Fusco che ci racconta la storia di Funeral Train e di come  ha prodotto questo lavoro (testo in corsivo).

La storia di questo lavoro è inclusa anche nel libro di Mario Calabresi “Ad occhi aperti”, edito da Contrasto, che tra parentesi vi consiglio caldamente di leggere.

Sul sito di Magnum, trovate tutte le foto che sono state inserite in un libro, “RFK Funeral Train” .

Anna

USA. Harmans, MD. 1968. Robert KENNEDY funeral train.

Siamo nel 1968. Robert Francis Kennedy, fratello del più famoso JFK e candidato alle elezioni presidenziali del 1968, viene assassinato all’indomani della sua vittoria  nelle elezioni primarie di California e Dakota del Sud.

Paul Fusco lavorava come fotografo per il periodico Look Magazine il giorno in cui il feretro di RFK partì dalla Penn Station, a New York, per arrivare alla Union Station di Washington. Il funerale si svolse a Manhattan, nella cattedrale di St. Patrick, dopo di che la bara venne caricata su un treno di dieci vagoni che la portò alla destinazione finale: il cimitero di Arlington, dove Bob Kennedy venne sepolto poco lontano dal fratello John.

“Quel giorno non dovevo lavorare, ma vivevo a Manhattan e decisi di passare in redazione. Gli uffici di Look erano su Madison Avenue, proprio alle spalle di St. Patrick, i colleghi erano tutti in silenzio, si respirava un’angoscia fortissima. Mi siedo. Bill Arthur, il direttore, mi vede e mi chiama nella sua stanza: “Paul vai a Penn Station, porteranno la bara di Kennedy a Washington. Sali su quel treno”. Non aggiunse una parola, non disse cosa voleva, che tipo di foto, se aveva delle idee, nulla. Io non chiesi nulla, allora funzionava così, presi le pellicole, attraversai la strada e mi fermai per mezz’ora fuori dalla cattedrale. Poi camminai veloce fino alla stazione. Trovai subito il treno, era circondato dagli uomini del secret service. Era un convoglio speciale: non ho mai capito se fosse stato organizzato dal governo o dalla famiglia. Mostro il tesserino e salgo, un agente mi mostra un sedile dell’ottavo vagone e mi dice: “Siediti qui e non ti muovere”.

“Era l’8 giugno, un giorno caldissimo, un anticipo d’estate. Il viaggio durò più di otto ore attraverso cinque Stati: New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware e Maryland. Un milione di persone aspettavano lungo i binari. Il treno si muoveva lentissimo, si fermava spesso per dare la precedenza agli altri convogli, impiegammo quasi il triplo del tempo che si impiega normalmente. Ma era la velocità giusta per un funerale. Quel treno è stato il vero funerale, quello dell’America, è durato un’intera giornata, era fatto per il popolo. Era il funeral train”.

“Nell’ultimo vagone i servizi segreti decisero di mettere la bara di Bobby, la appoggiarono per terra, poi dissero ai familiari e agli amici di prendere posto nella penultima carrozza. Erano loro ad aver preso il comando del treno e non volevano discussioni. Ma i ferrovieri pensarono che sarebbe stata un offesa alla folla che attendeva e appena il convoglio cominciò a muoversi la sollevarono e la appoggiarono sugli schienali dei sedili. Era una sistemazione instabile e precaria, ma così il feretro si poteva vedere attraverso i finestrini”. 

“Non sapevo cosa fare, pensavo che a Washington e poi al cimitero di Arlington avremmo trovato decine di colleghi e di telecamere ad aspettarci, avevo bisogno di un’idea subito. Ero pieno d’ansia ma mi bastò guardare fuori dal finestrino per capire: vidi la folla e tutto fu chiaro. Abbassai il finestrino, allora si poteva fare, e cominciai a scattare. Rimasi nella stessa posizione per otto ore a fotografare la gente accanto ai binari. Quella era la storia”. 

Non so se sia stato fortunato o se abbia veramente avuto un’idea geniale, perchè trovo che questo lavoro sia veramente originale e anzi sia di molto maggior impatto rispetto ad un tradizionale reportage che un fotografo avrebbe potuto scattato sul treno e al funerale.

Tutto scorre attraverso il finestrino del treno, Paul Fusco scatta quasi duemila ritratti, si vedono bambini scalzi, genitori con i neonati in braccio, pensionati con il cappello, coppie vestite con l’abito della festa, boy scout, donne in lutto, ragazze con vestiti coloratissimi, suore che accompagnano le allieve di un collegio femminile, ragazzi seduti sulle motociclette, vigili del fuoco, famiglie in piedi sul tetto dei furgoncini, anziani che aspettano seduti sulla sedie a sdraio, uomini in bilico su un palo. Un intero spaccato di vita delle periferie americane, che rende omaggio all’uomo che aveva dato loro una speranza, dopo l’assassinio del più famoso fratello JFK.

“Venni investito da un’onda emotiva immensa, c’era tutta l’America che era venuta a piangere Bobby, a rendergli omaggio. Vedevo mille inquadrature possibili, non avevo tempo per pensare, per aspettare, dovevo reagire al volo. Le mie macchine non avevano il motore e io mi ripetevo soltanto: “Dai, scatta, scatta, scatta””.

Ma veniamo alla nostra immagine.

Verso il tramonto Fusco inquadra una famiglia di sette persone disposta in ordine d’altezza e probabilmente di età, a sinistra la più piccola dei cinque figli a destra la madre, poi il padre. Tutti sull’attenti con la testa bassa. È la foto che meglio restituisce la malinconia dell’addio. (E’questa la foto che ho scelto per rappresentare l’intero portfolio n.d.a.).

La luce cala, le fotografie cominciano ad essere mosse, sgranate. “Avevo una pellicola Kodachrome, quella che amavo di più, ma era lenta e cominciai a preoccuparmi mentre vedevo il sole scendere”. I volti si fanno sempre meno riconoscibili: è la dissolvenza di una storia, di una vita, del sogno americano.

“La mia immagine preferita è quella in cui si vedono un padre e un figlio su un ponticello di legno che salutano portandosi la mano alla fronte, dietro di loro la madre ha la mano al petto. Il giovane è a torso nudo, hanno i capelli arruffati. Quella è la foto simbolo dell’America dopo l’omicidio di Bobby: quella famiglia era povera, combatteva per sopravvivere e vedeva passare via la possibilità di una vita diversa. I Kennedy avevano dato speranza alla gente e ora quella gente vedeva tramontare il sogno. Se ne andava con quel treno, era chiuso in quella bara”.    

Eccola:

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Delle 2000 fotografie scattate, fino ad oggi ne conoscevamo soltanto cinquantatré, ma ora dagli archivi della Biblioteca del Congresso a Washington ne sono riemerse altre milleottocento.

Look magazine non pubblicò nessuna di quelle foto. Il direttore disse che erano belle ma il concorrente Life uscì prima con le foto della morte e dei funerali; allora a Look decisero di fare uno speciale sulla vita di Bob Kennedy e il reportage di Fusco finì in archivio.

“Io mi portai a casa un centinaio di stampe e non mi sono mai dato pace che non fossero state pubblicate. Ho dovuto aspettare trent’anni per vederle stampate. Le proposi al primo anniversario, al secondo, poi dopo dieci anni, venti, venticinque. Nel frattempo ero diventato uno dei fotografi di Magnum ma ogni volta che c’era un anniversario tondo cominciavo il mio giro di art director, quotidiani, riviste. Nessuno le voleva, tutti mi dicevano di no. Nel trentesimo anniversario, era ormai il 1998, provo a chiamare Life, che era diventato un mensile, ma rispondono che non interessava. Torno sconsolato qui nella sede di Magnum e mi fermo a parlare con una giovane ragazza che era appena stata presa come photo editor, Natasha Lunn. Le dico sconsolato: “Sono trent’anni che vado in giro con questo lavoro, ma cosa devo fare per vederlo pubblicato?”. Mentre lo sto per rimettere via lei mi stupisce: “Io lo so, fammi provare” e telefona a George Magazine, il mensile del giovane John John Kennedy, il nipote di Bobby. Impiegò solo due minuti a convincerli e finalmente io vidi le mie foto pubblicate”.      

Se volete approfondire la conoscenza di Paul Fusco, qua trovate la sua biografia e altri suoi lavori .

Gus Powell, mamma mia, che fotografie!

Oggi ho scovato per voi questo fotografo di strada americano.

Che ne pensate? Io lo trovo davvero bravo.

Anna

 

Gus Powell è nato nel 1974 a New York City e ha frequentato l’Oberlin College dove si è laureato in religione comparativa. Nel 2003 è stato selezionato tra i 30 under 30 di PDN (Photo District News ogni anno segnala 30 fotografi under 30 da tenere d’occhio – n.d.t.) ed ha anche pubblicato la sua prima monografia, The Company of Strangers (J&L Books). Le sue opere sono state esposte a livello internazionale, tra cui una mostra personale al The Museum of The City of New York e mostre collettive al The Art Institute of Chicago, al  Museum of Fine Arts Houston e al FOAM, Amsterdam.

Le sue fotografie sono state pubblicate su Aperture, Harpers, Vogue, M le mag – Le Monde, Wired, Fortune e W ed ha collaborato regolarmente per circa 10 anni con la rivista The New Yorker. E’ un membro del collettivo di Street Photography In-Public e docente nel dipartimento the MFA Photography, Video and Related Media presso la School of Visual Arts, NY.

La sua opera è inslusa nei libri Bystander: A World History of Street Photography e Street Photography Now. La seconda monografia di Powell, The Lonely ones (J&L Books 2015) è ispirata al lavoro di William Steig (illustratore, scultore e scrittore statunitense, specializzato nella letteratura per ragazzi – n.d.t.) ed è un ritorno alle sua pratica originaria di utilizzare inmagini abbinate a  testi.

Fonte: libera traduzione dal sito dell’autore

Qui un interessante video che mostra Gus Powell all’opera

Qua il suo sito personale

 

Gus Powell was born in New York City in 1974 and attended Oberlin College where he majored in comparative religion. In 2003 he was selected to be in PDNs 30 under 30 issue and also published his first monograph, The Company of Strangers (J&L Books). His work has been exhibited internationally, including a solo show at The Museum of The City of New York and group exhibitions at The Art Institute of Chicago, Museum of Fine Arts Houston and FOAM, NL.

His photographs have been published in Aperture, Harpers, Vogue, M le mag – Le Monde, Wired, Fortune and W, and he has been a regular contributor to The New Yorker magazine for a decade. He is a member of the street photographers’ collective In-Public and is faculty in the MFA Photography, Video and Related Media Department at the School of Visual Arts, NY.

His work is included in the books Bystander: A World History of Street Photography and Street Photography Now. Powell’s second monograph, The Lonely Ones (J&L Books 2015), was inspired by the work of William Steig and is a return to his earlier practice of using image and text together.

Source: author’s website