I fotoamatori non esistono più.

fotografo

Mi ricordo che quando ho iniziato a fotografare, nella scuola che ho seguito a Padova (prima del corso non sapevo nemmeno cosa fosse una macchina fotografica), l’unica cosa che ho desiderato a lungo, è stata di diventare una fotografa professionista.
Ero felice, dico davvero, il periodo migliore, in termini di felicità.
Uscivo scattavo, mi divertivo e mi sentivo una buona fotografa, così, senza termini di paragone, senza competizione o ansia da prestazione.
Ero felicemente inconsapevole. Che figata!
Poi la Fotografia ha cominciato a funzionare.
Avevo piccoli successi che mi hanno resa orgogliosa, mi hanno fatto crescere e sono cresciuta (avevo già scritto un articolo su queste sensazioni), più cresco fotograficamente e più queste sensazioni mi risultano chiare.

La creatività non è mai venuta a mancare nel tempo, ma ho iniziato a concentrarmi su quello che producevo, a capire che domande farmi per far funzionare un progetto, a come muovermi, ho imparato a non chiedere favori e molto altro.

Oggi la fotografia che produco è più felice di me…
Non fraintendetemi, ci sono io lì dentro, ma lei ne uscirà meglio, infine, me lo sento.
Ho colleghi simpatici, accoglienti, intelligenti e molto di più e questo mi rende felice. Ho anche colleghi invidiosi, arrivisti, pessimo.

Va bene, tutto nella norma, anzi no, molto meglio, io faccio quello che vorrei fare, ma mi sono fregata da sola.

Più cresce la quantità di gente che mi segue (a proposito, grazie a tutti!) e più crescono invidie, cattiverie, strani comportamenti, tentativi di boicottaggio velati o espliciti, manco fossimo in gara per qualcosa.
Non mi sento in gara, io cammino pian pianino. Son qui, insomma, che cavolo d’altro posso fare se non fotografare e camminare?

Poi penso alla quantità di gente che produce immagini e un brivido mi scende sulla schiena.

Penso ai colleghi incazzati, delusi, frustrati.

Tanti.

Il problema è che la figura del fotoamatore non esiste più.

Il fotoamatore è chi è appassionato di fotografia, chi si dedica alla fotografia come dilettante. Il dilettante, invece, è colui che svolge una attività per diletto e non per professione o per lucro.

Definizioni del dizionario Garzanti

Il fotoamatore è un fotografo amatoriale o un fotografo professionista sconosciuto che produce fotografie che raffigurano la vita e le cose di tutti i giorni come soggetti. Esempi di foto amatoriali sono le foto di viaggio e le foto di vacanza, le foto di famiglia, le foto di amici.

La stragrande maggioranza delle fotografie amatoriali appartiene alla fotografia documentaria.

La fotografia amatoriale è uno degli hobby più popolari.

Dunque ditemi, esiste ancora questa figura che ama la fotografia senza competere, senza lucrare, interessata alla semplice riproduzione delle “cose del mondo” che lo circondano?

Nessuno vuole rimanere sconosciuto? Come nella definizione che ho scritto sopra?

Forse mi sbaglio io, non lo dico con rabbia o frustrazione, ma i luoghi fisici e non, che frequento, mi sembrano scannatoi.

Dal lato dei fotografi, che vivono in un modo o nell’altro di fotografia, tanti parlano male dei colleghi, sminuiscono, aggrediscono. In qualche caso si formano delle cricche in cui girano sempre gli stessi, non si capisce nemmeno più chi appoggia chi e perché.

Dal lato dei foto(amatori) una massa informe di gente che produce fotografie senza troppe consapevolezze (che magari manco sono interessati ad averne) ci avvolge e avanza alla ricerca di un po’ di sole, un po’ di soldi, attenzione.

Spesso sono davvero buoni fotografi e si distinguono, vincono premi e hanno riconoscimenti, quindi non sono più fotoamatori, non sono sconosciuti e non fotografano per diletto ma perché il loro lavoro venga riconosciuto come buono.

Quanti fotoamatori sono rimasti?

Dodici nel mondo.

E la Fotografia, lentamente si trasforma, magari in positivo, non so.

Io continuo a camminare…

Ciao

Sara

Vi fate domande, le domande giuste quando iniziate un progetto fotografico?

fotor_14Sara Munari delta del Volga

Io sono e resto per i lavori progettuali, lì vedo il fotografo.

Rimango dell’idea che qualche singolo scatto potrebbe “saltare fuori” a chiunque. E’ sulle lunghe distanze che si vede chi, con perseveranza, coerenza formale e stilistica, è riuscito a produrre un lavoro omogeneo e interessante.

Ricordate comunque che per produrre un racconto, è sulle singole immagini che dobbiamo concentrarci ( un articolo su questo argomento qui).

Fotografando, dovrete porre attenzione alle scelte compositive e al messaggio di ogni vostra singola fotografia , che dovrà essere funzionale al discorso che state intraprendendo.

Non voglio comunque limitarmi a parlare di singoli scatti, entriamo nel vivo del tema del racconto, del discorso che il fotografo vuole fare attraverso le sue immagini.

Ecco le domande che ci si pone prima di cominciare un progetto fotografico:

  1. Che argomento voglio trattare?
  2. Quale è la mia storia che tratterò all’interno dell’argomento?
  3. Che funzione ha il mio racconto, a cosa serve?
  4. Voglio esprimere un parere o esibire un’interpretazione?
  5. Che stile voglio usare?
  6. Chi sono i miei soggetti?
  7. Come li inserisco nella storia?
  8. Chi guarderà le immagini, si sentirà coinvolto?
  9. Quale è il contesto del lavoro?
  10. Quale è il mio target?
  11. Il lavoro è vendibile? Se si, a chi?
  12. Per ultima, ma non meno importante, ho un budget sufficiente? Se no, dove cavolo trovo i soldi?

So che consegnare domande, invece di dare risposte, può non sembrare carino. Ma se iniziate con il farvi le domande giuste, stringerete il campo d’azione e vi muoverete meglio in fotografia.

Ciao Sara

 Ti potrebbe interessare anche

Tre modi per raccontare una storia con la fotografia

Quattro elementi fondamentali per raccontare una storia

Le caratteristiche di un buon fotografo

Per i miei corsi

 

Quando l’idea supera tutto in fotografia?Sherrie Levine.

Sherrie Levine, è un’artista americana che si fece notare negli anni ‘70 grazie ad alcune immagini semplicissime da scattare. E quando dico semplicissime, credetemi.

Sentite qui.

Il suo lavoro rientra in quello che si definisce Appropriation Art. Si tratta di una corrente artistica che si basa sul riproporre opere già esistenti con metodi di contaminazione.

La ricerca di questa artista si basa sul rifotografare opere di altri autori, in particolare quelle di fotografi come Edward Weston, Alexander Rodchenko e Walker Evans.

L’opera più nota della Levine riprende, pari pari, alcune fotografie di Evans, in particolare quelle che aveva realizzato per la Farm Security Administration, firmandole con il proprio nome.

Una sorta di artista pop, dal momento che si appropria di un oggetto già esistente, una fotografia scattata da altri,  trasformandola in oggetto artistico grazie al suo successivo intervento.

Lo scatto, la firma e via…

Boh!

La Levine mi ha messo un po’ in crisi all’inizio, vi dirò!

Ho ben chiara l’intenzione provocatoria attuata, rivedendo completamente il concetto di autenticità ed unicità.

MA

Dove è la creatività?

Dove la sua autorialità?

Certo lo so, l’idea, l’idea…e su questa affermazione decadranno tutti i miei pensieri di maledizione nei suoi confronti!

Ecco, da lei ho imparato, quando la vidi per la prima volta, che spesso l’idea vale più della fotografia in sé.

Se avete una buona idea, perseguitela, portatela a termine e mostratela. Di fotografia ce ne è molta in giro (troppa) di idee, poche.

Sherrie Levine espone le sue immagini e quelle di Evans sui due siti AfterWalkerEvans.com e AfterSherrieLevine.com, allo scopo di favorirne la diffusione online.

Nelle immagini che vedete sopra i due allestimenti riguardano la stessa operazione effettuata sulle immagini di August Sander piuttosto che di Walker Evans.
Bio da Wikipedia
Sherrie Levine è nata il 17 aprile 1947 ad Hazleton, Pennsylvania. Nel 1969 si laurea in Discipline Umanistiche presso l’università del Wisconsin (Madison), e nel 1973, sempre frequentando la stessa università, consegue un master in Belle Arti. Le informazioni biografiche sono molto limitate poiché Sherrie Levine è un’artista che non ama parlare di sé; attualmente vive e lavora a New York.
Sherrie Levine (Hazleton, 17 aprile 1947) è una fotografa e un’artista concettuale femminista statunitense. È una delle figure centrali dell’Appropriation Art (arte di appropriazione), una corrente artistica che consiste nel prendere in prestito elementi o opere d’arte già note per crearne di nuove.
Ciao

Sara

 

Mi hanno rubato una foto, al ladro!

copyright-39594_960_720

Mi hanno rubato una fotografia!

Qualche anno fa l’assessore alla Cultura del mio piccolo paese, Civate, mi chiede di fotografare i commercianti rimasti nel nostro Comune. Pochissimi! Il mio avrebbe dovuto un semplice reportage con dei ritratti posati dei pochi imprenditori rimanenti.

Finito il lavoro di ‘catalogazione’ l’assessore, Angelo, mi chiede di organizzare una mostra in una bella villa vicino alla piazza centrale, con il risultato del mio piccolo ma sentito, lavoro. Accetto subito volentieri.

Il giorno dell’allestimento della mostra mi presento, attacco le foto, sistemo la stanza per l’inaugurazione e esco, vado al bar che dista circa 20 metri dalla struttura, per prendere un caffè. Eravamo in tre io l’assessore e un ragazzo che mi ha aiutato a montare la mostra. Tornando indietro, con stupore, scopro che una delle fotografie manca dal muro.

Mi hanno rubato una foto!

Beh, lì per lì la cosa mi è sembrata stupida e mi sono un po’ arrabbiata. Non so come sostituire la stampa.

Insomma, ma poi, che cazzo te ne fai di una foto del salumiere??

Dopo 5 minuti di riflessione cambio idea, penso: Che figata!.

Una persona, alla quale probabilmente quella immagine è piaciuta molto, almeno questo è quello che spero, ha rubato la fotografia …

Non sto istigando al furto di foto alle mostre (per gli stolti che commenteranno sui social senza aver letto l’articolo) , mi è solo sembrato romantico che si fossero portati via una foto di corsa, una mia foto. Mi sento fiera del fatto che qualcuno abbia quella foto appesa sopra il divano o davanti la tazza del gabinetto (che è poi il posto dove passeresti più tempo a guardarla, una foto).

Da allora, a meno che non si tratti di un fotografo professionista che campa della vendita di foto, sorrido sempre a chi mi dice che gli hanno rubato le foto in Internet (dal vero credo capiti raramente).

Campate tutti della vendita di fotografie? Non credo.

Anche se trovo pessimo l’atteggiamento di alcune testate on line che non si sognano nemmeno di citare il fotografo, oltre a non pagarlo e questo meriterebbe davvero una sanzione, un approfondimento per cambiare le cose.

Non so…ma credo di consigliarvi di avere un approccio un po’ meno rigido in questo senso.

Sono due i casi in cui avreste tutto il mio appoggio:

1) Siete fotografi professionisti e vendete foto per mangiare

2) Le foto riguardano  il progetto della vostra vita e il furto può arrecare danno alla vostra carriera come fotografo, in futuro (cosa davvero rara comunque).

In tutti gli altri casi rifletterei bene sul metterle… le foto in Internet che ha come una delle caratteristiche principali, la condivisione. Non aspettatevi che se le postate e queste hanno una valenza anche minimamente o esclusivamente estetica, non vengano distribuite e finiscano su un piccolo giornale del Burundi.

In qualche caso mi sembrate più preoccupati voi, di grandi nomi della fotografia.

Mettete sulle foto:

-Firme (che fanno ridere e che, in caso, verranno bellamente tagliate)

-Filigrane varie che non permettono di godere della foto

-© che risultano quasi ridicoli sulle foto della maggior parte di voi

Serve davvero?

Io non mi metto a sindacare sulle vostre scelte e poco mi interessano in questo senso.

Credo comunque che se vi rubano una foto, mediamente può essere una foto che piace. Magari non è nemmeno né bella, né buona. È semplicemente piaciuta a qualcuno.

Ho visto gente incazzarsi per il furto di foto davvero misere è ho visto professionisti affermati sorridere.

Forse dovremmo imparare a dare il giusto peso al nostro lavoro.

Rilassatevi.

Internet è anche questo.

Ciao Sara

 

Punctum e Studium di Barthes in poche parole.

barthes_camera_chiara

La foto del giardino d’inverno. Barthes. Commuoversi di fronte a una NON fotografia.

C’è una fotografia descritta nella seconda parte del libro ‘La camera chiara’ di Roland Barthes. In questa foto è ritratta la madre dell’autore, mancata, allora, da poco. Leggiamo:

Così, solo nell’appartamento nel quale era morta da poco, io andavo guardando alla luce della lampada, una per una, quelle foto di mia madre, risalendo a poco a poco il tempo con lei, cercando la verità del volto che avevo amato. E finalmente la scoprii. Era una fotografia molto vecchia. Cartonata, con gli angoli mangiucchiati, d’un color seppia smorto, essa mostrava solo due bambini in piedi, che facevano gruppo, all’estremità d’un ponticello di legno in un Giardino d’Inverno col tetto a vetri. Mia madre aveva allora (1898) cinque anni, suo fratello sette. […] Osservai la bambina e finalmente ritrovai mia madre. La luminosità del suo viso, la posizione ingenua delle sue mani, il posto che essa aveva docilmente occupato senza mostrarsi e senza nascondersi, la sua espressione infine, che la distingueva, come il Bene dal Male, dalla bambina isterica, dalla smorfiosetta che gioca all’adulta, tutto ciò formava l’immagine d’una innocenza assoluta (se si vuole accogliere questa parola nella lettera della sua etimologia, la quale è ‘Io non so nuocere’), tutto ciò aveva trasformato la posa fotografica in quel paradosso insostenibile che lei aveva affermato per tutta la vita: l’affermazione d’una dolcezza.’La camera chiara’ di Roland Barthes

Nella foto del Giardino d’Inverno l’autore “cerca e trova” sua mamma, dopo aver provato a farlo in molte immagini, ma solo questa fotografia lo fa soffermare e riflettere, solo in questa fotografia Barthes riesce a riconoscere la  madre.

Anche se aveva osservato molte fotografie della madre, pur mostrando queste  l’immagine reale della donna, non  portavano  all’autore nessuna verità su di lei. La verità si cerca oltre l’aspetto strettamente visibile.

Ogni volta che guardiamo una fotografia ci troviamo di fronte:

  • lo studium cioè la realtà sociale, quello che è rappresentato nell’immagine, vestiti, strade, nel caso di Barthes, alcune immagini di sua mamma. Lo studium è il contenuto della foto, gli elementi che la compongono.

    il punctum, ciò che mi coinvolge in una fotografia, la ferita che suscita in me. È il momento in cui l’immagine mi guarda e agisce sulla mia memoria, agisce su di me.

 

Nel caso di Barthes, quella fotografia nello specifico lo colpisce. La mamma “bambina” di quella particolare immagine.

Nella fotografia del Giardino d’Inverno: quell’aria di “innocenza assoluta” è ciò che permette che avvenga il riconoscimento da parte di Barthes. Non c’entra la somiglianza e nemmeno la realtà contenuta nell’immagine.

Quindi in ogni fotografia abbiamo la realtà  (ciò che vediamo) e la verità, l’essenza, quindi ciò che ognuno sente davanti a quella immagine.

3

Ma il sentire della foto del giardino d’inverno, è per noi tutti solo la foto di una bambina qualsiasi. Non ci direbbe probabilmente nulla, non ne saremmo coinvolti quanto lui. Il punctum per Barthes non è il medesimo per me o voi.

2

Le foto dicono/parlano a chi riconosce in qualche modo soggetti, a chi sente un particolare della foto, molto vicino a sé.

Nel libro la foto è solo descritta, non la vedremo mai. Forse perché, anche se mi ha fatto commuovere la descrizione di Barthes, a noi non direbbe assolutamente nulla. E lui lo sapeva bene.

Sara

Sul quando vi sentite Photographer, ma anche no!

Buongiorno a tutti,
Come state?
Sto per farvi una confessione.
Da tempo mi chiedo con quale logica aggiungiate la parola photographer alle diciture dei vostri siti.
Le domande che mi son sempre fatta in merito sono tre:
1) Perché in inglese? Secondo voi un photographer ammerecano è meglio di un fotografo italiano? Boh, i misteri impenetrabili degli italiani esterofili.
2) Perché aggiungete la definizione di fotografo in una qualsiasi lingua del mondo? Avete bisogno di ricordarlo a voi o a altri? Chi ci cerca, ci cerca col nome, giusto?
Mi spiego meglio.
Figuccio Carmelo photographer viene ricercato in Internet come Figuccio Carmelo … dato che cercando come photographer certo non esce lui, quindi se dopo il nome c’è scritto mungitore di latte di balena, che caz cambia?
3) La dicitura photographer mi preoccupa, così come mi preoccupa quella di artista, tipo Figuccio Carmelo Artista. Chi vi definisce fotografi o artisti, voi stessi? Lo sapevate che non è fotografo chi produce immagini con la macchina fotografica, non è artista chi produce quadri con colori a olio e non è scrittore chi scrive con la penna?
4) Lo sapevate che in mezzo a ‘sto marasma ci sono i  photographers  quelli veri che fanno i  photographers  e quasi mai lo scrivono?
5) Poi fate un po’ quello che vi va…chissenefrega. Mica  è la parola Photographer  che migliorerà la vostra produzione fotografica, altrimenti la avrei già aggiunta anche io!
Queste sono considerazioni rivolte a chi lo scrive senza riflettere perché sta bene nella grafica del logo o perche fa figo. Non ai fotografi che combattono ogni giorno con professionalità, perseveranza e coerenza, per affermarsi in questo settore.
Ciao Sara
OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Sara Munari “Be the bee body be boom”

Sul quando non si capisce un cavolo di Fotografia.

Ciao! Non so se capita anche a voi, ma mi succede sempre più frequentemente di andare a vedere mostre di autori, anche acclamati e rimanere un po’ così, interdetta. Cerco di capire, cerco punti di riferimento a cui attaccarmi, considero l’ambiente, il contesto storico, la storia stessa dell’autore e le sue modalità.

E si che studio tanto, ma niente, in qualche caso non mi riesce di capire.

Spesso me ne vado così, col dubbio della mia abissale ignoranza a galleggiare soavemente in una melma indistinta.

Ma possibile che io veda solo copie di copie? Ma non dice niente nessuno? Allora è tutta una bella presa in giro. Eh si, sembrerebbe di si.
Finisci di guardare le foto, che siano su un libro o in mostra e vai via che non hai capito un caz.

Cammini verso l’uscita e ti domandi come mai hai la mente così chiusa? Come mai nemmeno “di pancia” questo lavoro, per cui hai pagato anche l’entrata, ti insegna niente? Gli altri avranno capito?

Forse nessuno ha capito e nessuno lo dice per paura di fare una brutta figura… e così tutti a riempirsi la bocca di parolone… eccezionale, raffinato, intelligentissimo e coinvolgente!

 

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Vietnam. Sara Munari

Poi nel silenzio della sera, a casa, ci si sorprende perplessi.

Allora, in qualche caso tento di convincermi:

Il pensiero è la rivoluzione, il concetto (che non hai compreso per questo o quel motivo) è la risposta.

Si, …ma quale?

Vabbè, vabbè, non sai lasciarti andare e godere dell’abbandono estatico di fronte alle foto.
Forse c’è un complotto sotto (scusate la rima) .
Basta avere amicizie che introducono, basta mettersi d’accordo con un critico, quello giusto, basta vestirsi discinte e saper baciare bene per far schizzare… le fotografie ai vertici delle vendite.
Ma è davvero così?

In mezzo a questo marasma fotografico, chi sa riconoscere il valore di un autore?

Vi assicuro che è difficile. Tutto si brucia in pochi istanti.

Forse la situazione è rimasta uguale ed io non so rendermene conto, ma del fotografo abbiamo sempre guardato al suo percorso, l’evoluzione.

Come possiamo farlo oggi dato che gli autori esplodono e implodono nel giro di un mese o due.

Ho visto vincere il World Press Photo gente che poi è completamente sparita, è sempre successo, ma mai quanto oggi.

Ho visto arrivare in gallerie importanti gente che sta producendo progetti che con intenti simili, per non dire gli stessi, sono stati prodotti nei primi del 900.

Difficile per me capire e giudicare. Sono seduta su un muretto a guardare scorrere un fiume.

Ciao Sara