I personaggi delle fotografie, ma chi sono davvero?

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Gustav Klimt, Il bacio (1907-1908; olio su tela, 180 x 180 cm; Vienna, Österreichische Galerie Belvedere)

Buongiorno!

Vi racconto un pensiero.

Nel quadro, ‘Il Bacio’ di Klimt, il viso dell’uomo è quasi nascosto.

Avvolge la donna, pare, con grande tenerezza e attenzione.

La donna a sua volta, sembra quasi scostarsi, sembra sfuggire al bacio.

Non so perché Klimt lo abbia intitolato così…qui non c’è un bacio. Questo è sempre stato ciò che pensavo e penso, osservandolo.

Forse mi sbaglio, forse no e anche Klimt voleva dirci quanto l’universo maschile e femminile siano spesso distanti e la donna, che anche nel quadro sembra a primo impatto concedersi, ai miei occhi, dimostra​ quanto possano essere lontani i due elementi.

Ora penserete: ma che cavolo ha stamattina la Munari, ha mangiato pesante? Litigato con il marito? Non va di corpo? Morbillo? ( ok mi fermo!😂 )

Bene, torniamo a noi.

Ho fatto un viaggio in Islanda, a cercare una cosa introvabile, senza senso e insistente, che ho trovato! Non è questa la storia che vi racconto…non ora.

Durante il viaggio, avendo molto tempo per pensare e vedendo tanto di meraviglioso, ho cominciato a notare piccole cose.

Un giorno, in un ristorante nel quale mi sono rifugiata per l’acqua incessante, di fronte al mio tavolo, avevo la parete di cui vi mostro l’immagine qui:

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Tante fotografie, piccole e più grandi. Tanti sconosciuti di cui ho avuto tempo di immaginarmi le storie, le vite e gli attimi legati allo scatto. Nelle foto sulla parete, due donne piccoline, affette da nanismo, alcune donne in costume e gonne pesanti, del luogo, viste del paese…e così via. Cose normali che spesso si trovano nelle foto d’epoca (nelle foto moderne invece: tette, pizza, tramonti e sushi).

Ma cosa c’entra tutto questo con Klimt?

Tra tutte le foto, l’unica cosa che riuscivo a notare e sulla quale mi cadeva l’occhio era questa immagine:

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Me ne sono innamorata. Un insieme di cose mi ha colpita:

Il ragazzino sulla destra che fuma una sigaretta, quella donna vestita di bianco, sullo sfondo a sinistra, l’uomo che abbracciando l’altro, si appoggia sul suo bastone, guardandosi le scarpe.

E ancora … ma cosa c’entra tutto questo con Klimt?

Ecco, quello che mi stupiva di questa fotografia era ed è il ragazzo che avvolge quasi “strozzandola” la donna che tiene le braccia incrociate, girata leggermente su un lato.

Appena l’ho vista ho pensato: proprio come nel bacio di Klimt! Lei c’è, è lì, si fa abbracciare e a primo impatto sembra volerlo, ma forse no, non è così. Non si capisce.

Mi ci sono arrovellata. Ho pensato, chi sei ragazza un po’ imbronciata? Volevi essere abbracciata? Chi è quell’uomo? Gli volevi bene? Vi conoscevate bene? È stato tuo amante? È tu, come ti chiami? Eri felice qui, lo eri in generale?

Quando scattiamo fotografie, esse prendono vita ed è una vita a volte diversa da quella che avevamo sperato o creduto potessero avere.

I personaggi nelle nostre Immagini, carichi di tensione affettiva o narrativa da parte nostra, diventeranno solamente uomini e donne, agli occhi di chi per caso si fermerà di fronte ad una nostra foto, tra cent’anni. Qualcuno osserverà distrattamente, qualcuno noterà un gesto, uno sguardo, un particolare e questo solamente nella fortuita occasione in cui quelle immagini ricompariranno, su un muro, sullo schermo di un pc, in un museo.

La passione, la nostra necessità di ricordare, di prendere proprio quella foto, di dire a tanti: mia madre (sorella, zia, figlio, Giuseppe mio amico, quella casa, quella Chiesa ecc) è qui ora, davanti a me… probabilmente tutto andrà perso e a chi guarderà rimarrà il dubbio sul ‘sentire’ dei personaggi o la certezza sugli stessi sentimenti, ma niente o poco che possa effettivamente essere accertato.

Questo è poetico e forse “agghiacciante” (tipo Antonio Conte) ma fa parte del mio mestiere. Lasciare tracce liberamente interpretabili e libere di per sé.

Ciao Sara

Nessuna fotografia mi stupisce più.

27Ciao! Buongiorno!

Ieri pensavo, ma come mai così poche cose mi stanno stupendo in fotografia?

Come mai mi stupiscono maggiormente lavori di grandi autori del passato?

Mi son data alcune possibili risposte:

La prima riguarda la comprensione legata alla ‘riconoscibilità’ nel tempo.

Mi son detta che è più semplice riconoscere un lavoro che conoscerlo da zero. Le foto del passato sono già (non tutte una ad una ☺), per il nostro hard disk interno, incasellabili come genere, stile, linguaggio. In sostanza le stiamo inserendo in scatole che già abbiamo confezionato, conosciamo spesso gli eventi a cui sono legate, i tempi e i risvolti. Più semplici da digerire, insomma.

La seconda riguarda la comprensione, da parte degli ‘artisti’ in generale, delle faccende del mondo. Gli artisti prevedono, svelano, ci spiegano. Che l’arte stia dormendo/morendo un po’ perché la realtà ha superato le più grandi proiezioni della nostra fantasia?

Ci si ritrova così, senza pensieri sufficienti e idee che possano essere sfruttate per srotolare dubbi e svelare sorprendenti soggetti. Già fatto, già visto, già pensato, già compreso: è troppo tardi.

Eppure questa è una condizione che credo naturale, ci siamo sempre sentiti un po’ così…

Probabilmente non ci si aspetta nemmeno più che le “cose” siano reali o che un avvenimento sia davvero accaduto. Anche se la “verità” è una caratteristica che abbiamo sempre attribuito alla fotografia. Se è nella fotografia, è stato nella realtà.

Questa ‘realtà’ dei soggetti non è più richiesta (se non nel fotogiornalismo in cui si richiede una lucidità nella ricostruzione degli eventi), forse nemmeno più desiderata. Si spera quasi che nella fantasia, asciugata nelle opportunità, come ho detto prima, viva ancora qualcosa che verosimilmente ci possa compiacere piuttosto che qualcosa di veramente vero (scusate il gioco di parole).

Sembra l’era della verità verosimile, una post verità non proprio reale. In questo senso, se non devo concentrarmi sulla realtà, posso quindi tranquillamente spostare la mia attenzione, come fotografo, come comunicatore, sull’estetica. Quindi, in circolazione ci sono delle gran belle foto che effettivamente non dicono, non svelano, non raccontano una cippa! Si sentono tanto belle anche da sole e basta a tutti così.

Terza possibilità riguarda una sana invidia, una cosa del tipo: Ma cosa cacchio ci fa sta cagata in un museo quando io sono molto, ma mooolto meglio come fotografo? Mi rifiuto di capire e vorrei parlare con il curatore. Datemi il suo cellulare, per favore!

Non per capire, piuttosto per insultarlo, lui e il fotografo. Suvvia, basta con ‘ste boiate! 😂

Ecco, questi i miei dubbi di oggi sulla fotografia. Chiaramente ci saranno illuminati più luminosi che la vedranno differentemente, in questo caso: mi spegneranno!

Ciao

Sara

 

La Street photography non esiste? Ma fatemi il piacere!

Buongiorno!

Questo genere fotografico (che per qualcuno non esiste, per me si! 🙂 ) viene identificato come un tipo di fotografia che ritrae momenti non messi in posa, di soggetti umani, in luoghi pubblici.

Questa è la definizione più semplice ed è la definizione di cui si avvale uno stuolo di fotografi (anche mediocri nel genere) per autodefinirsi streetphotographer.

Analizziamo meglio, anche perché le definizioni, ultimamente, mi fanno schifo!

I fattori chiave sembrano essere:

– soggetto

– non in posa

– luoghi pubblici

Prima di tutto, per soggetto si intende soggetto umano?

Dal mio punto di vista non solo. Quindi, gli ‘animali’ senza umani, possono essere considerati soggetti per la street. Addirittura anche le ombre di umani o animali sono street, se vogliamo.

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Sara Munari Palermo

Se l’uomo manca del tutto e nessun elemento si riferisce al ‘vivere quotidiano’ in termini attivi, io preferisco definire l’immagine con il termine ‘fotografia urbana’, anche se molti la definirebbero comunque “Street”.

Con Il termine ‘soggetto’ mi riferisco a soggetto umano o animale presente o di cui si percepisca la presenza avvenuta, la vita vissuta.

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Se il soggetto, umano oppure no, è ritratto da una distanza tanto ravvicinata da non permettere allo stesso di avere nessuna relazione con il contesto o con altri elementi umani o animali, la fotografia diventa un ritratto. Anche in questo caso, se una foto di ritratto in un contesto urbano, viene inserita in un portfolio di street, verrà percepito, nella narrazione, come una virgola in un racconto. Un piccolo fermo tra le storie delle singole fotografie all’interno del vostro portfolio.

Ricordate che comunque, l’altra caratteristica è ‘non in posa’ … quindi se il ritratto viene percepito come in posa, rientrerà più facilmente nella fotografia di viaggio o documentazione (che può essere sia in posa che no, a seconda dell’insieme di fotografie dell’intero lavoro). Per ‘non in posa’ intendo nella percezione di chi guarda. Questo è fondamentale. Guardando l’immagine dobbiamo avere la sensazione che l’immagine sia candid anche se effettivamente non possiamo sapere come si sia comportato il fotografo e quale rapporto abbia con il soggetto. Dobbiamo fidarci.

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Sara Munari Barcellona

La definizione di luogo pubblico non si limita a contenere solo la strada, piuttosto tutti quei posti fruibili dal pubblico.

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Sara Munari Hanoi Vietnam

Quindi le fotografie con un ‘approccio street’ si possono scattare anche in campagna o al mare…dal mio punto di vista, non necessariamente in città. Spesso però chi scatta foto in campagna o al mare fa rientrare il proprio lavoro nella fotografia di paesaggio, di viaggio o documentazione.

SARA MUNARI - (6)Sara Munari Lituania

Tutti i generi fotografici che riguardano la strada (documentazione, cronaca, ritratto, fotografia urbana, ricerca ecc.) possono essere inserite in un portfolio di street, a seconda delle esigenze del fotografo. Se manca l’elemento candid (non in posa) possiamo definirla fotografia di ritratto o documentazione, più raramente ‘street’.

Se si legge quello che ho scritto fino ad ora, si potrebbe pensare che, essendo il genere molto flessibile e spesso inseribile in altre categorie, manchino i presupposti per definire la Street Photography in un modo preciso, dato che rientra in tutti i generi che si scattano per strada.

Su Facebook è nata una piccola discussione su questo argomento ed io mi sono trovata in disaccordo sia con Settimio Benedusi che affermava, attingendo dal commento di un’altra persona: Sara Munari, La street è una scusa per uscire in strada a cazzo e fotografare senza alcuna idea persone buffe, disgraziate, eccetera e spacciare il tutto come genere figo. Se non fai “street” sei sfigato… io non so fare una sega bene ma evito di rompere le palle al mondo con presunti capolavori in BN 😀

Questa è chiaramente una boiata (alla quale sono certa non creda nemmeno Settimio) dettata da un approccio non professionale alla fotografia e non nello specifico alla fotografia di street. Nel reportage in generale il rispetto per la persona, per il luogo e gli accadimenti dipende dalla sensibilità e dell’etica del fotografo. Fotografare per strada non fa ‘figo’ se la foto non ha senso o non risponde ai criteri della fotografia DI strada (Street photography), molto differente dalla fotografia IN strada (scendere in strada e fotografare ad minchiam).

Anche con Roberto Morosetti mi trovo in disaccordo. Egli afferma: Sara Munari, Non esiste semplicemente come non esiste “la cucina di strada” ad esempio. Sulla strada puoi cucinare un hot dog, puoi preparare una spaghettata all’aperto, puoi organizzare la fiera del cinghiale, puoi metter su una porchetteria… e via dicendo. Street photography è un termine che vorrebbe dire tutto e per questa ragione non vuol dire nulla. È un contenitore, non un contenuto, ed oltretutto è un contenitore vuoto e nel quale si finisce col gettarvi dentro di tutto. In realtà lungo la strada puoi fare un ritratto, è quello è un ritratto non è “street photography”, puoi fare un paesaggio urbano, e quello è un paesaggio urbano non è “street photography”, puoi congelare un’azione tra più persone, e quella è una fotografia d’azione o di gruppo, a seconda dei casi… La strada è solo il “luogo” non è un “fine” del fotografare.

No! Non è solo un contenitore e spiego il motivo. Le fotografie di questo genere contengono SEMPRE un’eccezione.

Fino all’avvento di internet e del digitale poi, ho sempre pensato che la street fosse il racconto delle vicende dell’uomo tentando di catturarne le caratteristiche e le peculiarità o più semplicemente lo scorrere della vita in strada. Spesso, dato che riguardava proprio le caratteristiche specifiche di una certa società, questo genere era seguito da fotografi che vivevano in un luogo che poi avrebbero raccontato fotograficamente. Questo perché le peculiarità e quindi le eccezioni legate a quella società, erano riconoscibili solo da chi quella stessa società la conosceva bene. Non è sempre stato così, ma spesso.

Oggi le cose sono cambiate. Possiamo farci un’idea delle altre città guardando miriadi di immagini e di filmati, arrivando a conoscere i luoghi le sue abitudini e specificità. Possiamo raccontare New York anche se non siamo di quella città, perché la conosciamo bene, comunque. Ci muoviamo e raccontiamo il mondo con più semplicità.

È sicuramente un genere accessibile a tutti, dato che non serve attrezzatura particolare, ma è davvero molto difficile da produrre. Ci sono centinaia di fotografanti che stanno in strada ma pochi producono fotografia di strada.

La Street photography è una rappresentazione della vita reale (senza intervento del fotografo) infusa di consapevolezza relativa al luogo, alle sue stranezze, alle sue abitubini e all’estetica visiva contemporanea.

I fotografi di strada cercano scene che portino una risposta emozionale immediata attraverso l’umorismo o un eventi ambigui, strani o surreali.

Lo Street photographer può raccontare un mondo non reale, oppure si. A differenza del reportage (giornalismo, cronaca, viaggio…) il fotografo di strada non ha l’obbligo di documentare argomenti specifici o argomenti che siano funzionali ad una narrazione specifica, si può fare, oppure no. Chi scatta per strada fa una selezione di elementi a livello di luce, estetica e composizione che servano a raccontare una piccola storia che può anche risolversi nel singolo scatto. Vedi, scatti e racconti una piccola storia. Un attimo cruciale, in questo senso un’eccezione visibile solo perché fermata dal fotografo. Un processo quasi fulmineo, per questo complicato e per niente riproducibile.

Differente dagli altri generi perché la strada la srotoli sotto le scarpe, nella speranza che una foto ti colpisca, come un pugno in faccia. Non la puoi ricostruire (non dovresti) la devi beccare.

Nella fotografia di viaggio o di documentazione abbiamo inoltre la necessità di narrazione legata ad un evento ad un luogo, un gruppo di persone o un soggetto specifico. Niente di ciò è necessario nella Street photography. Non c’è notizia. Foto singole di street possono chiaramente essere inserite in portfolio di documentazione o viceversa, le due tipologie sono correlate, chiaramente.

Nel reportage fotogiornalistico o di viaggio metti in posa, sposti, interagisci, ritorni. Qui no, non dovresti. La fotografia di strada è un istante, tutto il resto della fotografia che si produce in strada fa necessariamente parte di una sequenza.

Chi dice che basta essere in strada e scattare per fare street, lo dice perché non vede eccezioni e se le vede non è in grado di fermarle in una fotografia.

Sorrido quando sento: riproduce gli scatti di Bresson, è una brutta copia di Frank o Winogrand. Non si può.

Questa è per me la Street photography e esiste, …eccome!

Ciao

Sara

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Tutti critici, ignoranti.

comic-characters-2026313_960_720Buongiorno a tutti!

Ho postato, attraverso il blog, fotografie di un autore che ha lavorato prevalentemente negli anni sessanta/settanta. Non che dopo non abbia fatto più niente, diciamo che viene ricordato soprattutto per i lavori prodotti in quel periodo.
Lui è Lewis Baltz.
Ecco il link all’articolo

La gente, al solito, si è messa a commentare le fotografie di questo autore dicendo, questa mi piace, questa non mi piace, questa poteva farla meglio!
Pazzesco non credete?
Mario Pellegrino Rossi che commenta le fotografie di un autore che ha, da parte sua, consolidato quello che ancora oggi si definisce “minimalismo”, in fotografia…

Ma quando è successo che ci siamo trasformati tutti in critici e fotografi?
Questa faccenda mi sconvolge sempre.

A parte questo.
Provate a pensare, quando siete di fronte a fotografie di grandi autori, perché decretati non solo dalla critica ma anche dal tempo, che se vi piacciono o meno le loro immagini, non frega niente a nessuno.

Provate solo a pensare per un attimo che parte del vostro modo di fotografare (le stesse cose), deriva proprio da quegli autori che per primi hanno visto e catturato il soggetto in quella precisa maniera. Spesso quello che viene dopo sono brutte copie, scattate tardi e senza lo stesso contenuto, svuotate anche dei concetti che avevano mosso i fotografi per produrre, in quel tempo, quei progetti. Solo in qualche caso (pochi, pochi) miglioriamo il lavoro di altri, se svolto allo stesso modo. Più che altro aggiungiamo frasi a racconti già intrapresi.
Il giudicare dicendomi: Ma scusa, perché non posso dire che mi fanno schifo?
Perché non posso dire che io l’avrei scattata diversamente e meglio?

I motivi sono parecchi:
1) Il lavoro di un autore, riguardo ad un determinato argomento, si giudica dal complesso delle immagini, non per il singolo scatto.
2) Il lavoro di un autore si giudica se si conosce il periodo storico nel quale sono state scattate le foto.
3) Il lavoro di un autore si giudica se si conosce il luogo nel quale sono scattate.
4) Il lavoro di un autore si giudica se si conoscono i concetti che stanno dietro alle foto.
5) Il lavoro di un autore si giudica se si conoscono le motivazioni che hanno spinto a trattare quell’argomento, in quel preciso momento, con quella precisa modalità.

Detto questo, il lavoro di un autore riconosciuto e affermato si guarda con attenzione, cercando di capire il più possibile, anche se non è nelle nostre corde, quindi non ci piace!

Tutto il resto sono chiacchiere da bar con un approccio tanto superficiale, quanto il giudizio che si da alle tette di Minnie a dodici anni (se si è uomini) e al culo di Robert Downey jr (se si è donne) … a tratti anche l’opposto.

Ciao
Sara

Siamo un paese di impreparati competenti.

Siamo un paese di impreparati competenti.

Stravolti ed esposti ad informazioni di ogni genere, facilitati da internet  e dalla tecnologia in generale, ci sentiamo tutti uguali da dietro i pc.

Autocompiacimento e egotismo: tutti sanno tutto.

Quattro cazzate sulla fotografia nel web e nel circolo di paese, quattro foto con più di 30 like e siamo convinti di poter discutere a pari di tutti.

Gridiamo su facebook le nostre posizioni e gridiamo allo stesso modo in faccia ad un critico di settore o un panettiere.

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Spesso il web non aiuta in questo senso. Si risponde alle discussioni senza effettivamente sapere con chi ci si interfaccia e forse manco ci interessa, sappiamo tutto.

La considerazione che si da al panettiere e al critico, è la stessa per il medesimo motivo che ho spiegato sopra. Questo porta ad un’esponenziale crescita di convinzioni sbagliate e l’ignoranza settoriale dilaga.

Succede anche in fotografia.

Il riconoscimento e la valorizzazione della competenza, nulli. Tutti uguali, l’appiattimento della considerazione.

Eppure la diffusione di notizie avrebbe dovuto portare ad un pubblico sapiente.

Invece no, siamo non informati e sempre incazzati, tutte le opinioni hanno pari valore e si è d’accordo solo con chi la pensa uguale a noi (a prescindere da chi sia), voglio conferme su quello che credo, voglio la conferma di quanto “sono bravo”, non confronti che mettano in discussione la mia tesi, le mie foto.

Tutte le discussioni diventano zuffe, eppure dal vivo, nei miei numerosi incontri, non mi capita praticamente mai di avere particolari scontri. Sul web, il caos.

Onanismo virtuale.

Ciao Sara

 

Imparare da Steve McCurry, altro che balle…

china-10038nf3_a-young-monk-runs-along-the-wall-over-his-peers-hunan-province-china-2004-steve-mccurry-webFotografia di Steve McCurry

Eccomi qui, ancora in difesa di Steve McCurry spesso maltrattato dal pubblico appena istruito (per appena intendo da poco e anche poco).

Il fotografo è passato dal reportage duro, durissimo alle fotografia che maggiormente vengono ricordate. Le fotografie fatte di colori, begli occhi e composizioni perfette.

A maggio del 1979, mentre si combatte tra mujaheddin (ribelli) ed esercito lealista, lungo il confine con il Pakistan, McCurry è uno dei primi fotografi presenti.

Fotografie di Steve McCurry

Sempre lì, pochi anni dopo, una ragazzina appena dodicenne con  occhi verdi stupendi, diventerà uno dei volti più famosi di sempre.

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Fotografia di Steve McCurry

Non mi piace la sua fotografia, l’ho sempre detto e mi ripeto qui, ma con questo non voglio assolutamente dire che non valga la pena di imparare da lui, fosse solo per la capacità di ricreare o beccare al volo, immagini con composizioni e distribuzioni dei pesi tonali, a dir poco perfette.

Il casino più grosso, recente, succede quando una fotografia esposta alla Venaria Reale, un fotografo italiano, riscontra una maldestra ‘photoshoppata‘ su una foto scattata a Cuba. Ecco che parte la crociata contro McCurry. Eccheppalle!

Di sé oggi dice:

“Ho sempre lasciato che fossere le mie immagini a parlare, ma ora capisco che la gente vuole che dica in che categoria mi ritrovo. Oggi direi che sono un narratore visuale”

E ancora

Gli anni in cui documentavo i conflitti sono lontani e sono sempre stato un freelance, ad eccezione per un breve lasso di tempo in cui ho lavorato per un giornale locale della Pennsylvania. Alcuni dei miei lavori sono sconfinati nel mondo della fine art e ora sono esposti in collezioni e musei. È praticamente impossibile darmi una classificazione precisa, ma è anche dovuto al fatto che la mia carriera si estende su un lasso di 40 anni e si è evoluta così come i mezzi espressivi sono cambiati“.

Pensavo di poter fare quello che volevo delle mie foto personali sotto il punto di vista estetico e della composizione, ma mi rendo conto che possa risultare fuorviante per le persone che mi vedono ancora come un fotoreporter. In futuro mi impegnerò a utilizzare il programma in misura minima, anche per i miei lavori ripresi durante viaggi personali

Steve McCurry rimane uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea.

Rimane un punto a cui riferirsi per un larghissimo pubblico, un pubblico che sa poco di fotografia, a cui piacciono forme e colori, quindi?

I giovani che si avvicinano alla fotografia, amano le sue immagini molte delle quali sono diventate delle vere e proprie icone del nostro tempo.

Per questi motivi vi allego qui sotto alcuni filmati che lo ritraggono mentre ci spiega cosa sia secondo lui la fotografia e come “farla”. Ciao Sara

Biografia da I grandi fotografi di Repubblica

ll fotografo Steve McCurry è noto in tutto il mondo per le sue immagini di alto valore artistico e documentaristico. Gli studi di cinematografia e storia alla Pennsylvania State University gli hanno consentito di sviluppare e perfezionare il talento in entrambi i settori. Conseguita la laurea cum laude nel 1974, inizia a lavorare come fotografo di un quotidiano di King of Prussia, un sobborgo di Philadelphia, sua città natale. Quattro anni dopo decide di lavorare come freelance, parte per l’India e il Nepal, lascia il lavoro al quotidiano e si converte alla fotografia a colori. Il suo obiettivo è realizzare servizi geopolitici per i periodici. Dopo un avvio lento, McCurry arriva in breve tempo alla ribalta internazionale. Nel maggio del 1979 incontra nel Nord-ovest del Pakistan alcuni profughi afghani che lo informano che nel loro paese sta per scoppiare una guerra. Dopo aver trascorso alcune settimane con i ribelli mujaheddin, schivando l’artiglieria dell’esercito di giorno ed evitando le mine durante i trasferimenti notturni attraverso le montagne afghane, McCurry riesce a tornare in Pakistan con tutti i suoi rullini. Quando la sua fotografia dei combattenti mujaheddin che controllano il passaggio dei convogli russi viene pubblicata sul New York Times, McCurry diventa famoso in tutto il mondo. L’intrepido fotografo cui si devono le rare immagini di un conflitto nascente riceve presto altri incarichi dalle principali riviste. Nel 1980 segue la guerra in Afghanistan per Time e viene premiato con la prestigiosa medaglia d’oro Robert Capa per il miglior reportage fotografico realizzato all’estero con straordinario coraggio e spirito d’iniziativa. McCurry inizia quindi a collaborare con National Geographic, che gli garantisce le risorse e il tempo necessari per realizzare servizi approfonditi (l’indice completo degli articoli è nella pagina seguente). L’immagine della piccola profuga afghana dagli occhi verdi pubblicata sulla copertina di National Geographic nel 1985 lo consacra tra i maestri del fotogiornalismo mondiale ed è ancora oggi una delle fotografie più riconoscibili mai scattate. Nello stesso anno, McCurry ottiene numerosi riconoscimenti: tra questi il premio Magazine Photographer of the Year della National Press Photographers Association e quattro premi World Press Photo. Nel corso della sua carriera McCurry si è ispirato al lavoro di altri fotografi documentaristi come André Kertész e Walker Evans, e ha spesso incontrato il maestro Henri Cartier-Bresson, uno dei fondatori dell’Agenzia Magnum, di cui McCurry è membro dal 1986. McCurry vive a New York. Ha documentato i tragici eventi nella città dopo l’attacco dell’11 settembre 2001 al World Trade Center. Era tornato solo il giorno prima dal Tibet, dove si era recato su incarico di National Geographic. Le fotografie di McCurry fanno parte delle collezioni dei principali musei, inclusi l’International Center of Photography di New York; il Tokyo Museum of Modern Art e il Philadelphia Museum of Art, che nel 1997 ha anche organizzato una mostra itinerante delle sue immagini sull’India. Steve McCurry ha pubblicato numerosi libri (dove disponibile indichiamo l’edizione italiana): The Imperial Way (1985); I giorni del monsone (1989); Sanctuary (2002); The Path to Buddha: A Tibetan Pilgrimage (2003); Ritratti (2003); Sud sud-est (2004); Steve McCurry (2005); Looking East (2006); ll cammino di Francesco (2006); In the Shadow of Mountains (2007); L’istante rubato (2009).

Scattate buone fotografie, oppure no?

Ciao! Una delle cose che mi viene chiesta più spesso è:
Come faccio a capire se una mia foto è buona?
Bene, ci sono molti elementi che la possono fare  considerare tale. Alcuni riguardano l’aspetto tecnico, altri invece il contenuto ed il messaggio dell’immagine.
Vi scrivo cosa guardo io, spero possa essere utile.

1) Si percepisce bene quale sia il soggetto?
Guardate con attenzione, cosa verrebbe notato, a primo impatto, da chi osserva la vostra immagine?

Ricordate che dovreste far cadere l’attenzione sulle parti della foto che desiderate vengano lette dal fruitore finale, fate in modo di accompagnare lo sguardo attraverso i punti di interesse.

2) Ci sono elementi che distraggono?
Ombre, elementi sullo sfondo, colori vivaci che distolgono attenzione dal soggetto. Prestate attenzione, non basta beccare il soggetto, soprattutto per strada (ma in qualsiasi genere fotografico), dovete prestare attenzione alla composizione e alla relazione tra gli elementi che desiderate includere.
Le linee create dalle strutture, da ombre, da elementi umani o dal vostro soggetto, fanno in modo che la lettura della foto avvenga in modo corretto?

3) L’ esposizione è quella che desideravo? Non esistono foto corrette come esposizione o sbagliate… chiedetevi, dato che avete scelto di sovraesporre o sottoesporre o esporre sul suggerimento della macchina fotografica, se questo è funzionale all’immagine e al messaggio che volete mandare.

4) Ho usato la focale giusta?
La prospettiva della foto è quella che desideravo? Con quale focale avrei ottenuto una resa migliore?
Ricordate che più è lunga la focale, più si schiacciano i piani (otterrete inoltre, a seconda della quantità di sfocato, uno stacco maggiore dal fondo e meno elementi a cui dare peso), più la focale è corta, maggiore sarà il campo ripreso e la profondità di campo.

Fotografia di Anna Wu
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5) Cosa succede sullo sfondo?
Come ho accennato sopra, anche se in qualche caso non lo considerate, lo sfondo è da comporre quanto il soggetto principale. Spesso le foto migliori sono quelle in cui i due elementi comunicano tra loro.
Il contesto è fondamentale per strada, per esempio, imparate a considerarlo quanto gli elementi che metterete in primo piano.

6) La foto è composta bene?
Premetto che ci sono foto composte non seguendo nessuna regola precisa (per intenderci regola dei terzi) che funzionano benissimo. Spesso, se il contenuto della fotografia è molto potente, il fattore compositivo potrebbe passare in secondo piano.

Se state iniziando o è poco che fotografate, seguite tutte le regole possibili per poi infrangerle, piano piano, nel tempo.

7) Che genere di postproduzione richiede la foto?
Beh! Se state costruendo un progetto da tempo, avreste già dovuto scegliere quale tipo di postproduzione utilizzare per il vostro lavoro. Se invece è la prima foto di un progetto fotografico o una foto singola, ricordate sempre che un’immagine raramente viene migliorata dal fotoritocco.
Uno dei miei motti preferiti è:
Una foto di merda ritoccata bene, rimane una foto di merda! Sara Munari In sostanza con il fotoritocco potete migliorare alcune cose, ma non esagerate mai.
Se la foto necessita di fotoritocco per carenze tecniche, migliorare la tecnica, non la postproduzione!

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8) Siamo sicuri di aver mandato il giusto messaggio?

Quando scattiamo una fotografia, spesso ci dimentichiamo che, in un modo o nell’altro, questa immagine porta con sé un messaggio. Certamente le possibili interpretazioni di fronte ad una foto sono molteplici, ma da fotografi, dobbiamo metterci nelle condizioni di far arrivare un contenuto preciso con il nostro lavoro. Se l’immagine fa parte di un progetto, è probabile che il messaggio si percepisca dal lavoro nel suo insieme.

Se è una fotografia singola che stiamo proponendo, spesso si è certi che nella foto sia portatrice di un messaggio, di cui manco si vede l’ombra.

Dico sempre ai ragazzi “nella foto, c’è quello che c’è nella foto e basta”. Chi guarda la foto non sa in che condizioni eravate voi, cosa avete provato, non conosce i contesti e le situazioni, quindi imparate a non dare niente per scontato.

9) Siamo sicuri che la foto non sia l’ennesima riproduzione di altre foto simili?

Evitate di fare ennesime produzioni di cose già viste e riviste. So che non è facile, ma dovete studiare, capire cosa è già stato fatto e cercare di portare un tassello in più, alla totalità delle immagini prodotte, che sia diverso per l’interpretazione del soggetto che potreste essere in grado di fare.

Ricordiamoci sempre che se non abbiamo un cazzo da dire, possiamo anche stare zitti e non fotografare.

Ciao

Sara