Cristina Garcìa Rodero, avere posate d’argento non renderà il tuo cibo più gustoso

“La fotocamera ti aiuta, ma il motore è il tuo cuore o la tua testa. Avere posate d’argento non renderà il tuo cibo più gustoso” (C.G.Rodero)

Articolo di Giovanna Sparapani

SPAIN. Almonte. 1977. The virgin returns to the temple. Cristina Garcìa Rodero

Nata a Puertollano in Spagna nel 1949,  dopo aver studiato pittura presso la Scuola di Belle Arti di Madrid, decide di dedicarsi esclusivamente alla fotografia, materia che ha insegnato fino al 2007 nella stessa Università.  In un’ interessante intervista pubblicata sul sito dell’Agenzia Magnum, la Rodero racconta che dopo la laurea si era recata a Firenze per studiare fotografia, ma, delusa dagli insegnamenti ricevuti nella città del giglio, aveva optato per la fotografia di strada al fine di ottenere interessanti reportage. A questo proposito con modestia la fotografa afferma che: “Il reportage è una scuola di vita. I tuoi insegnamenti si basano su errori ed errori”.

Una delle sue più compiute e importanti ricerche è rivolta a documentare le feste popolari e le tradizioni religiose spagnole, attraverso un cospicuo numero di fotografie raccolte  nel libro España Oculta, (ed.Lunwerg, Barcellona 1989); il volume che è stato ristampato più volte e tradotto in diverse lingue, ha ottenuto al Festival di Fotografia di Arles l’ambito riconoscimento di “ Book of the year Award”. Inoltre, dopo aver vinto l’importante Premio di Fotografia Nazionale in Spagna nel 1996, è stata la prima donna spagnola nominata nel 2009 membro effettivo dell’Agenzia Magnum.

SPAIN. La TrinitŽ, Lumbier, Espagne, 1980 – Cristina Garcìa Rodero

Una profonda cultura etnologica e antropologica, ricca di riferimenti artistici e letterari, le ha consentito di indagare sulle radici del popolo spagnolo, attraverso una ricerca per immagini sul  mondo rurale e la ritualità arcaica: le sue fotografie trascendono la mera cifra documentaristica alla ricerca di una qualità estetica e narrativa potente.

Gli scatti in bianconero dai netti contrasti chiaroscurali riescono ad affascinare l’osservatore, evidenziando il mistero e una spiritualità antica che trascende una visione oggettiva della realtà. La fotografa non indugia su particolari folkloristici di facile richiamo: le persone umili, che partecipano ai riti, sono colte nella loro semplicità che le rende affascinanti e talora inquietanti, come le immagini degli uomini incappucciati vestiti di lunghe tuniche che lasciano intravedere solo gli occhi e i piedi scalzi, intangibili fantasmi che vagano in gruppo durante le processioni attraverso le strade dei paesi: il bianconero è molto contrastato, le inquadrature e i tagli sono audaci a evidenziare con forza e passione la vita quotidiana degli umili, in una parola, degli ultimi che tengono vive  con determinazione le loro tradizioni popolari e religiose.

Cristina Garcia Rodero A onze heures au Salvador, Cuenca. Spain. 1982

Il suo sguardo appassionato  si sofferma sugli atteggiamenti delle donne che sfilano incappucciate in nero e sugli uomini che portano sulle spalle pesanti croci,  evidenziando con forza come dai loro sacrifici arcaici trasudino significati legati alla sfera della  carnalità e dell’ erotismo. Di eccezionale intensità espressiva sono il ritratto dell’uomo con candelotti poggiati sulla testa che colano cera sul suo volto e della donna ritratta con quattro candele dentro la bocca che sembrano soffocarla.

Fotografia di Cristina Garcìa Rodero

“All’epoca pensavo di poter fare qualcosa in cinque anni, ma alla fine ne ho presi 15. Più facevo ricerche, più trovavo. Ed è diventata una sfida per me, scoprire queste tradizioni nascoste, farle conoscere, fare in modo che non si perdessero nella storia. Ho cercato di fotografare l’anima misteriosa, vera e magica della Spagna popolare in tutta la sua passione, amore, umorismo, tenerezza, rabbia e dolore, in tutta la sua verità raccontando i momenti pieni ed intensi nella vita di personaggi così semplici e irresistibili, come fosse una sfida personale nella quale ho investito tutto il mio cuore”. (G.C.R.).

SPAIN. 1980. Salve a la Vierge de Ujué, Lumbier. Cristine Garcìa Rodero

Cristina Garcia Rodero Waiter chocolate with churros Cartagena. Spain. 1981

Cristina Garcìa, curiosa e solidale con il genere umano di tutto il globo, si è interessata a documentare anche le tradizioni e i riti popolari e religiosi di altri paesi, dedicando particolare attenzione ai luoghi e alle tradizioni di Haiti e dell’America Latina, in particolare del Venezuela.  Il suo lavoro “Rituals in Haiti” fu esposto per la priva volta alla Biennale di Venezia nel 2001.

 In Italia, più o meno nello stesso periodo, quando fiorivano studi etnologici e antropologici, la fotografa napoletana Marialba Russo ha prodotto un prezioso lavoro in cui documenta con occhio attento e partecipato le tradizioni religiose e popolari del sud Italia.

PINO BERTELLI, la Fotografia ribelle, Interno4 2022, Rimini

https://www.magnumphotos.com

https://www.fotografiaartistica.it

Articolo di Giovanna Sparapani

L’articolo ha solo scopo didattico e culturale, le fotografie sono dell’autrice e non possono essere usate per fini commerciali.

Scopri ArtinPalace, the virtual place of art and beauty

Oggi vi presentiamo questo progetto di arte virtuale che potrebbe interessare a qualche fotografo, buona lettura, ciao! Sara

Cos’è ArtinPalace

Art in Palace è concepito come un Palazzo delle Arti e della Cultura interamente virtuale, con spazi funzionali e personalizzati per esporre opere d’arte, fotografie, presentare libri, organizzare conferenze. 

Le mostre, concepite come virtual tour 360° semplici e immersive, pensate tecnologicamente per navigare fluidamente online, fruibili attraverso desktop, smartphone e tablet, rappresentano uno spazio aperto 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, visitabile a livello globale.

A chi è rivolto

Art in Palace è un luogo di incontro e confronto tra artisti, storici e critici d’arte, curatori, galleristi, collezionisti, amanti dell’arte e curiosi di nuove tecnologie, che apre una rete di relazioni con un potenziale di crescita esponenziale.

Un luogo virtuale in continuo movimento attento alle esigenze del mercato.

Cosa offre

Creato con le ultime tecnologie 3D, Art in Palace offre la possibilità di progettare spazi virtuali per esposizioni temporanee navigabili attraverso tour a 360°, totalmente personalizzabili e interattivi.

Le mostre, reali o virtuali, sono corredate da punti di informazione ricche di elementi video, testuali, fotografici che forniscono dati utili per una conoscenza approfondita delle opere e degli autori, e una totale immersione nell’esperienza virtuale.

Il portale è dotato della funzionalità e-commerce che permette l’acquisto delle opere in mostra.

Ogni evento viene studiato con una grafica coordinata che possa promuoverlo con una identità riconoscibile sui social, nel percorso mostra e in progetti editoriali.

In sintesi:

  • Video tour virtuali 360 di spazi reali, interattivi con link di approfondimento (video, pdf, audio, immagini)
  • Tour virtuali a 360° di spazi costruiti e renderizzati, totalmente personalizzabili, interattivi con link di approfondimento (video, pdf, audio, immagini)
  • Promozione nei nostri social media manager
  • Inserimento delle opere nello shop-online
  • Pagina dedicata su ArtinPalace
  • Video intervista all’artista
  • Testo critico

Perché ArtinPalace

Art in Palace è un luogo virtuale dove lanciare una nuova idea, creare un evento in anteprima, invitare alla presentazione persone qualificate e interessate.

Il criterio che è alla base di questo progetto innovativo è la ricerca della bellezza che ci ispira nella costruzione virtuale degli spazi e nella cura dei particolari che possono essere personalizzati secondo le esigenze dei clienti. I nostri social media manager, si occuperanno di promuovere il vostro evento a largo raggio e intercettando il target interessato.

Crediamo fermamente che  i virtual tour 360°, possano essere preziosi partner esperenziali, efficaci anche per promuovere mostre ed eventi in presenza.

Grazie ad anteprime e approfondimenti multimediali possono offrire un’esperienza di grande ricchezza e con visibilità mondiale.

I virtual tour inoltre, una volta arrivato il giorno di chiusura della mostra reale, possono conservarne la memoria per un tempo molto più lungo.

PROPOSTE per mostre in ARTINPALACE

  1. Creazione di una stanza personalizzata nella struttura architettonica e nell’arredamento con
    • 5 opere collocate su pannelli anch’essi personalizzati.
  2. Creazione di una stanza personalizzata nella struttura architettonica e nell’arredamento con
    • 5 opere collocate su pannelli anch’essi personalizzati,
    • 2 link di approfondimento (testi, foto, video, interviste all’artista o al critico, catalogo).
    • Catalogo sfogliabile sul web con le foto esposte e testi critici inviati dall’autore
  3. Creazione di tre stanze personalizzate nella struttura architettonica e nell’arredamento con
    • 12 opere collocate su pannelli personalizzati.
    • Profilo critico dell’artista e della mostra a cura di uno storico dell’arte/critico d’arte.
    • 7 link di approfondimento (testi, foto, video, interviste all’artista o al critico, catalogo).
    • Catalogo sfogliabile sul web.

PER CONOSCERE ARTINPALACE

www.artinpalace.t

instagram: @artinpalace360

Sara Munari e il blog non sono coinvolti in questa attività, vi preghiamo di contattare direttamente gli interessati al sito di riferimento.

ZANELE MUHOLI, storia visiva nera e trans del Sud Africa

Articolo di Giovanna Sparapani

“La mia missione è riscrivere una storia visiva nera e trans del Sudafrica, affinché  il mondo sappia della nostra esistenza e resistenza ai crimini d’odio nella mia terra ed oltre”. ZANELE MUHOLI

Nata a Umnazi, Durban (Sudafrica) nel 1972, ultima di cinque figli, cominciò a lavorare come parrucchiera, coltivando segretamente il sogno di diventare un’artista visiva: la sua formazione avvenne a Johannesburg e in seguito a Toronto.

 Definendosi “attivista visiva ”, attraverso una documentazione fotografica acuta ed elegante supportata da  un fine dichiaratamente politico, si propone di difendere i diritti degli individui soggetti a vari tipi di intolleranza, purtroppo ancora diffusi in tutto il mondo. Dai primi anni duemila ha iniziato a documentare le vite delle persone appartenenti a comunità lesbiche, gay, trans, queer del Sudafrica, per opporsi a pregiudizi e discriminazioni che rendono difficile affermare con dignità la propria esistenza per una fetta di umanità ‘diversa’ e dunque da emarginare, soprattutto nel continente africano. Nelle sue fotografie parla di povertà, di emarginazioni, di dolori condivisi, di intolleranze razziali, anche se il focus principale di tutto il suo lavoro è diretto verso il mondo LGBTQIA+.

 Nei suoi intensi ritratti e autoritratti in bianconero, i soggetti sono  per lo più immortalati in pose che richiamano canoni classici, ma gli orpelli che li adornano – soprattutto vesti,  gioielli e copricapi – sono assolutamente contemporanei, composti con materiali di uso quotidiano, come spugne, retine per i piatti, mollette per i panni, pettini, corde…… ; presenti talvolta anche elementi vegetali tipici della flora del suo paese a cui Zanele è particolarmente legata.

 Le serie di foto riunite sotto il titolo “Volti e fasi”, che l’ha fatta conoscere al mondo, contiene centinaia di ritratti di donne di colore, realizzati entrando con coraggio nella vita e nell’intimità dell’universo femminile omosessuale: nessuna immagine contiene elementi ridicoli o sopra le righe, tutto è risolto con grande serietà e sobrietà. Non solo fotografa, ma anche regista, Zanele nel 2010 dirige a fianco di Petre Glodsmid,”L’Amore difficile”, un documentario ‘senza veli’ che ci introduce all’interno del suo mondo creativo e della sua sfera privata: 48 minuti in cui si possono trovare immagini e situazioni molto crude, ma sempre autentiche e coraggiose, “ un autoritratto potente e commovente di un’artista e di una militante totale”. Dopo questo importante lavoro, cominciano ad arrivare i riconoscimenti: nel 2013 viene nominata Prof.sa di cinema e fotografia presso l’Accademia di Brema in Germania e nel 2017 è considerata l’artista più importante all’interno di una mostra organizzata a Parigi presso la Fondazione Louis Vuitton. Nel 2020 i suoi ritratti e autoritratti sono ospitati alla Tate Modern di Londra, riscuotendo un grande successo di pubblico e critica.

Alla  58.esima Biennale di Venezia del 2019, viene presentato il suo progetto più impegnato e più celebre  che contiene una serie eccezionale di autoritratti a partire dal 2012: “Somnyama Ngonyama” (in italiano, “Ciao, leonessa nera”): le pose e le vesti sono le più diverse, i volti dagli sguardi intensi  vengono rivolti con fierezza verso l’osservatore, alla ricerca di una piena affermazione di sé. La fotografa ci tiene a sottolineare che i ritratti sono stati realizzati alla luce del giorno, senza effetti luministici artificiosi, il suo volto è volutamente molto scuro, quasi a volersi uniformare e confondersi con i fondi neri: le sclere bianche degli occhi e le labbra spesso dipinte con colori molto chiari e luminosi, creano affascinanti contrasti con la pelle del volto dalle sottili luminescenze.

 Attualmente a Parigi,  la Maison Européenne de la Phptographie (MEP) ospita fino al 23 maggio una nutrita esposizione con 200 fotografie, video, installazioni, documenti d’archivio, a partire dagli anni 2000, a documentare l’attività della fotografa fino ai giorni nostri.

Zanele Muholi: Somnyama Ngonyama, Hail the Dark Lioness, aperture Foundation,New York,2018

Zanele Muholi Somnyama Ngonyama, Ave leonessa nera, ed. 24 Ore cultura, 2021

NB: Le foto sono tutti autoritratti

Il posto ha solo scopo didattico, culturale e informativo, le immagini sono e rimangono di proprietà dell’artista

Articolo di Giovanna Sparapani

Carla Cerati, impegno sociale e politico

Nata a Bergamo nel 1926, si iscrisse a Milano all’Accademia di Belle Arti di Brera per seguire i corsi di scultura, ma non riuscì a concludere gli studi perché si sposò nel 1947 a soli ventuno anni, e fu costretta ad intraprendere il mestiere di sarta per collaborare alla non brillante situazione economica della sua famiglia, rinunciando così per il momento ad ogni aspirazione artistica. Verso la fine degli anni Cinquanta, iniziò  ad essere attratta dalla fotografia, passione che, dopo molti successi, sostituirà con quella per la letteratura, ottenendo ambiti premi. Nel 1960, presso il Teatro Manzoni di Milano, si trovò quasi per caso a realizzare alcuni scatti durante le prove dello spettacolo “Niente per amore” del regista Franco Enriquez che, colpito dalla forza e intensità delle sue immagini, le consigliò di venderle ad alcune testate giornalistiche. Il suo linguaggio fotografico venne subito apprezzato e importanti periodici dell’epoca – “L’Illustrazione Italiana”, “Vie Nuove”, l’”Espresso” ed altri –  acquistarono le sue fotografie. Per una persona completamente autodidatta, che ignorava le nozioni di base per lo sviluppo dei rullini e la stampa delle foto, fu davvero un bel successo che la spinse ad andare avanti con coraggio.

Carla Cerati

Curiosa e dotata di uno spirito critico acuto e tagliente, cercò di esplorare  il mondo che la circondava, ripreso da diverse angolature: fotografò la società-bene milanese durante lo sfavillio degli anni Sessanta, i giovani coinvolti in rumorose manifestazioni, i luoghi industriali durante il boom economico, fino ad arrivare anche a Firenze nei giorni della tragica alluvione del Sessantasei. Nel 1965, desiderosa di scoprire alcune zone arretrate del Sud Italia, si mise in viaggio in automobile e da questa spedizione riportò interessanti foto realizzate in Abruzzo e in Sicilia e una preziosa cartella dal titolo “Nove paesaggi italiani” a cura di Bruno Munari, con una presentazione di Renato Guttuso. Parallelamente continuò  il suo lavoro in teatro, immortalando i backstages di spettacoli memorabili, diretti da Giorgio Strehler ed Eduardo de Filippo.

Nel 1967, di fronte alle audaci e innovative rappresentazioni del Living Theatre creato da Julian Beck e Judith Malina, conobbe una vera e propria folgorazione, tanto da rimanere al seguito della compagnia per diversi anni, anche durante molteplici  tournées all’estero. Verso la fine degli anni Sessanta, quando si cominciò ad avvertire in Italia una forte tensione sociale e politica, il suo occhio si rivolse a documentare i movimenti della cosiddetta ‘contestazione’ con importanti reportages. Attratta dal mondo  degli ultimi, degli umili, dei negletti, nel 1969 pubblicò l’importante volume “Morire di classe” per la casa editrice Einaudi, a cura di Franco Basaglia e sua moglie: opera che costituisce una pietra miliare per un’indagine approfondita sulla situazione dei manicomi italiani di quegli anni. Accanto a lei ha lavorato il grande fotografo Gianni Berengo Gardin, girando in lungo e largo nella penisola per  realizzare il loro fondamentale reportage: si tratta di immagini in bianconero coraggiose, intense, senza fronzoli o pietismi inutili che documentano  situazioni tragiche, riuscendo nel contempo a  mettere in rilievo e conferire dignità a persone recluse, scartate dalla società, umiliate, vittime talvolta di violenze fisiche e psichiche. L’impatto con questa dura realtà lasciò profondi solchi nell’animo dei due fotografi, che rimasero colpiti negativamente  in modo particolare dalle pessime condizioni in cui trovarono l’Ospedale psichiatrico fiorentino.

Carla Cerati, ospedale psichiatrico.

Attratta dalle manifestazioni di piazza e dai duri scontri carichi di tensione, documentò  il processo Calabresi – Lotta Continua, i funerali di Feltrinelli, le sfilate delle femministe urlanti attraverso le strade cittadine.

Contemporaneamente  ai lavori di impegno sociale e politico, Carla rivolse la sua attenzione anche agli ambienti della Milano bene, con le sue vetrine sfavillanti, i grandi magazzini stracolmi di merce, i ritrovi mondani delle signore dell’alta-borghesia. Da questa sua acuta ed ironica analisi, uscirà  un’ interessante opera dal titolo significativo “Mondo Cocktail”, pubblicato nel 1974, in cui sono immortalati “ squarci di vita mondana con belle donne”. Vengono ritratti artisti, intellettuali, modelle durante i famosi party sulla Terrazza Martini, luogo di gran moda che  la Cerati si sforza di frequentare con spigliatezza e disinvoltura, anche se quel mondo falso ed effimero, “ della Milano da bere” non la convinceva affatto, finendo ben presto per stancarla.

Alla fine degli anni Ottanta, Carla abbandonerà gradualmente la sua professione di fotoreporter, nauseata dai falsi miti che campeggiano sui giornali e sui programmi televisivi, per dedicarsi alla letteratura, sua segreta passione da sempre: il suo primo romanzo “Un amore fraterno arrivò finalista al Premio Strega del 1973.

Per quanto riguarda la fotografia, non abbandonerà mai la sua ricerca personale con scatti intimi, a ricercare astratte forme geometriche oppure  orme lasciate sul cemento e sulla sabbia da uomini ed animali, dalla serie Tracce del 1986.

 Carla Cerati è morta  a Milano nel 2016.

BIBLIOGRAFIA

Franco Basaglia e Franca Ongaro (a cura di), Morire di classe: la condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, Torino, Einaudi, 1969

Carla CeratiMondo cocktail, 61 fotografie a Milano, Nota di Maria Livia Serini (61 illustrazioni in bianco e nero), Milano, Pizzi, 1974.

Luciana MartiniCara Assuntina, Libro per ragazzi. Fotografie di Carla Cerati, Torino, Einaudi, 1976.

Carla CeratiForma di donna, 34 fotografie in bianco e nero di Carla Cerati, Milano, Mazzotta, 1978.

www.carlacerati.com

www.elle.com

ARTICOLO DI GIOVANNA SPARAPANI

Le immagini rimangono di proprietà dell’autore e hanno solo scopo didattico e divulgativo.

Inge Morath: nel mio cuore voglio restare una dilettante.

 “Nel mio cuore voglio restare una dilettante, nel senso di essere innamorata di quello che sto facendo, sempre stupita dalle infinite possibilità di vedere e usare la macchina fotografica come strumento di registrazione”.

Nata a Graz in Austria nel 1923, cresce in una famiglia dell’alta società: entrambi i genitori, scienziati di fama, spesso costretti a trasferirsi in varie città d’Europa, crescono i loro due figli in modo libero e indipendente.  Laureata in  lingue romanze e linguistica generale, si mostra da sempre  poco interessata alla politica e ai problemi sociali, quindi tarda a comprendere la pericolosità del regime hitleriano. Quando la loro casa viene bombardata, la famiglia finalmente si rende conto di ciò che sta succedendo e decide di trasferirsi a Salisburgo: Inge li raggiunge insieme ad altri compagni sfollati, in un viaggio irto di difficoltà e complicazioni. Trasferitasi a Vienna, la giovane trova lavoro per i servizi di informazione statunitensi per poi entrare nella redazione della rivista Heute, dove svolge le mansioni a lei congeniali di giornalista e traduttrice: l’ambiente viennese,  ricco di curiosità e fervido di stimoli intellettuali contribuirà molto alla sua formazione. In seguito, con l’amico fotografo Ernst Haas, si recherà  a Parigi per assumere  il ruolo di redattrice all’interno dell’agenzia Magnum, senza impegnarsi minimamente a produrre lavori fotografici personali. L’approccio alla fotografia da parte di Inge Morath non è stato repentino, ma graduale: il suo innamoramento ha preso vita attraverso diverse esperienze che l’hanno formata e arricchita, ma una volta compresa la sua vera passione, le è rimasta fedele per tutta la vita.

SPAIN. Sevilla. 1987. Dancer’s skirt.

Mentre lavora come redattrice a fianco dei suoi amici fotografi, non sente la curiosità di avvicinarsi alla macchina fotografica di cui ha timore, forse per paura del confronto, ma quando, accompagnata dal marito – il giornalista inglese Lionel Birch – si trova in terra veneziana, affascinata dagli angoli più nascosti e dalla luce che si riflette nell’acqua creando giochi vibratili, non può fare a meno di imbracciare la macchina fotografica che per abitudine porta con sé senza mai scattare nemmeno una foto. Sollecitata da Robert Capa, direttore della Magnum, Inge  nell’autunno del 1951 comincia a fotografare la città lagunare, con pochissime competenze tecniche, ma guidata da curiosità e raffinata sensibilità: da quel momento, con la fedele Leica, comprata di seconda mano, decide di affrontare con coraggio il difficile percorso come fotografa professionista. Istintivamente sa capire al volo come si crea una storia e scegliere le immagini per meglio rappresentarla ed anche le inquadrature e la composizione non costituiscono per lei un problema.

USA. 1962. Saul STEINBERG Mask Series. ©Inge Morath/MAGNUM PHOTOS

Uno dei suoi primi e importanti lavori riguarda un servizio sui preti operai che ha seguito per diversi mesi, mettendo in risalto la loro vita in fabbrica e dietro l’altare: il reportage è apprezzato da Robert Capa, suo mentore, che la accoglie come membro effettivo della Magnum, affidandole l’incarico di realizzare le foto di scena del film Moulin Rouge del regista John Huston che diventerà suo grande amico. La frequentazione con Henri Cartier Bresson – di cui divenne assistente nel 1953 –  contribuì molto a sviluppare le sue competenze potenziando il suo amore per la fotografia, una fotografia senza orpelli, diretta all’analisi della realtà, ma con un’impostazione del tutto diversa dal grande maestro, sempre a caccia  di momenti irripetibili: Inge è più riflessiva ed ha bisogno di tempi più lunghi per produrre immagini di persone e luoghi immortalati con sensibilità, sobrietà e grazia. “La fotografia è un fenomeno strano.

USA. 1980. Playwright Arthur MILLER.

Ti fidi del tuo occhio, ma non puoi evitare di mettere a nudo la tua anima” (I.M.). Attratta dal fotogiornalismo, nel 1954 comincia a viaggiare in vari paesi europei, tra cui la Spagna che, nonostante il repressivo regime di Franco, la incuriosisce molto. I suoi lavori vengono pubblicati su importanti riviste, tra cui la famosa “Life” e raccolte in interessanti volumi. Affascinata dai volti umani e curiosa di conoscere ed esplorare dall’interno le varie culture, si reca in Iraq, Iran, Siria,  Giordania, Messico, Tunisia, Russia, negli Stati Uniti, sempre pronta a captare con occhio analitico, ma partecipato e sensibile le precipue caratteristiche delle civiltà che incontra nel suo cammino. Nel 1960, tappa  fondamentale della sua vita, è l’incontro sul set del film Gli Spostati con il drammaturgo Arthur Miller che due anni dopo diventerà suo marito.   Ancora interessanti lavori nascono dai suoi frequenti viaggi in Russia,  in Romania lungo il Danubio e nella sua terra madre, l’Austria, dove su incarico dei Reali realizza un lavoro fotografico sulla regione al confine della Slovenia da cui provenivanoi suoi antenati. Morirà a New York nel gennaio 2002, aggredita da una grave forma tumorale.

ISRAEL. Jerusalem. 1958. Inge Morath, Austrian photographer. Self-portrait.

INGE MORATH  (1923 –2002)

 Attualmente a Venezia, al Museo di Palazzo Grimani è in corso fino al 4 giugno, la mostra dedicata a Inge Morath dal significativo titolo: “Fotografare da Venezia in poi”

  Articolo di Giovanna Sparapani

INGE MORATH, La vita, la fotografia,Silvana editoriale, CiniselloBalsamo (Mi), 2019

Inge Morath • Photographer Profile • Magnum Photos

https://www.artribune.com/arti-visive/fotografia/2023/01/inge-morath.

Marialba Russo, aspetti sociali e religiosi del Sud Italia.

Fotografia di Marialba Russo

Nata a Napoli nel 1947, romana di adozione, ha iniziato i suoi studi di pittura presso l’Accademia di Belle Arti della sua città per poi dedicarsi a tutto tondo alla ricerca fotografica. In una intervista  del marzo 2019, rilasciata presso il Museo Pecci di Prato in occasione della mostra “Soggetto Nomade”, la Russo rivela il suo amore per i viaggi e per uno in particolare, che divenne determinante per le sue scelte di vita future: nel 1968, trovandosi a Parigi, coinvolta nelle turbolente manifestazioni del ‘maggio francese’, si trovò a rimpiangere di non avere con sé  una macchina fotografica per immortalare quegli avvenimenti indimenticabili. Da quel momento in poi decollò la sua passione per la fotografia e per la stampa in camera oscura. Poco interessata al fotogiornalismo tanto in voga negli anni Settanta, si è concentrata sugli aspetti sociali e religiosi del Sud Italia a cui ha dedicato numerosi libri fotografici, immortalando feste popolari, tradizioni e cerimonie legate a culti di derivazione pagana approdati nel cristianesimo.  Curiosa indagatrice, Marialba si è soffermata anche su attività artigianali tipiche, sulle danze popolari tramandate oralmente di padre in figlio e su  fatti e consuetudini del vivere quotidiano, regalandoci un racconto visivo straordinario che permette di conoscere alcuni aspetti peculiari del mezzogiorno di Italia, in molti casi oggi scomparsi. Nei primi anni Settanta Marialba svolse un’intensa collaborazione con il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni popolari di Roma e anche con la rivista Vogue Italia: i suoi lavori sempre ben organizzati, riescono a costruire racconti visivi di incredibile profondità, come quelli raccolti nella sequenza fotografica “il Parto” che rappresentò l’Italia a Venezia nel 1979 nella sezione Fotografia Europea Contemporanea.

Fotografia di Marialba Russo

Preziose sono le immagini che riprendono la processione che si svolge ogni sette anni – dal primo lunedì dopo Ferragosto fino alla domenica successiva –  a Guardia Sanframondi in provincia di Benevento: il rito in onore della Vergine Assunta prevede la sfilata dei quattro rioni in cui è diviso il paese.  Sconvolgente è l’ultimo ‘mistero’ del Rione Croce in cui sono protagonisti ‘ i flagellanti penitenti’ chiamati anche ‘battenti’ che in segno di penitenza, durante tutto il tragitto, si percuotono il petto con dei pezzi di sughero ricoperti di spilli – le cosiddette ‘spugne’-  tenute con la mano destra, mentre nella sinistra recano il Crocifisso. La Russo, con immagini in bianco e nero intense e fortemente contrastate, ha immortalato questi anonimi personaggi che indossano una veste bianca che li rende simili a spettri, sensazione amplificata dal cappuccio sopra il quale risaltano due ampi fori scuri solcati di ombra al posto degli occhi: gli abiti candidi degli uomini si macchiano di rosso man mano che il sangue esce dalle ferite provocate dagli spilli, fornendo uno spettacolo agghiacciante. In altri lavori il magico bianco e nero della fotografa esalta e rende spettacolari nella loro dignitosa umiltà “…i volti poveri delle donne in nero – una sorta di madonne della miseria che fuoriescono nello splendore della loro autenticità – sono severe icone della speranza e si portano addosso la bellezza  antica di madri dolenti e mai arrese, forse, al mutamento dei tempi…” (Pino Bertelli, La Fotografia ribelle, ed. Interno4, 2022)

Fotografia di Marialba Russo

Dagli anni Novanta i lavori di Marialba sono caratterizzati da toni più intimisti e i paesaggi sono metafore del proprio mondo interiore.  Nel suo ultimo libro “ Il Passaggio, l’incanata” –  pubblicato da Postcard, Roma 2022 – la fotografa ci offre un racconto visivo su un rito di iniziazione che si svolge in provincia di Avellino, ai confini con la Basilicata.  Con visione asciutta ma non priva di poesia, la Russo documenta attraverso tagli e inquadrature originali, una tradizione contadina dai fini terapeutici ricchi di mistero, ottenuti tramite la ricerca di  una stretta corrispondenza  tra uomini e natura, con esattezza tra  bambini ed elementi vegetali, soprattutto alberi.

Bibliografia e sitografia:

Marialba Russo, Gli eretici dell’Assunta, Museo delle Arti e Tradizioni Popplari, De Luca editore, Roma 1978

Marialba Russo, Confine,Silvana editoriale S.p.A, Cinisello Balsamo (Mi), 2015

www.marialbarusso.it

https://centropecci.it

Articolo di Giovanna Sparapani

Le immagini hanno solo scopo didattico e divulgativo e rimangono di proprietà degli autori o di chi le gestisce.

Martine Franck, grinta ed energia

La fotografa belga Martine Frank, sposatasi nel 1970 in seconde nozze con il fotografo francese Henri Cartier Bresson  definito “l’occhio del secolo”, di trenta anni più vecchio di lei, ha rischiato di essere ricordata solo per la fama del marito, se non avesse messo grinta e energia per acquisire e imporre al pubblico una cifra stilistica e contenutistica del tutto personale. E’ significativo ricordare che la sua prima mostra personale organizzata nel 1970 a Londra dall’’Institute of Contemporary Arts, fu da lei annullata senza alcuna esitazione, quando si rese conto che gli inviti, oltre al suo nome, recavano anche quello del marito che sarebbe stato presente all’inaugurazione attirando numerosi visitatori.

FRANCE. Provence. Town of Le Brusc. Pool designed by Alain CAPEILLERES.

Nata ad Anversa nel 1938 da una madre inglese appassionata di arte e da un padre banchiere collezionista dilettante, ben presto si trasferì con i genitori a Londra; in seguito si recò a Madrid e a Parigi dove studiò materie artistiche. Nel 1963, durante un avventuroso viaggio in estremo Oriente, scoprì la passione per la fotografia grazie ad una fotocamera Leica prestata dal cugino. Tornata a Parigi iniziò a lavorare come fotografa freelance per riviste famose come Vogue, Life e Sports Illustrated, assumendo ben presto un incarico ufficiale presso il Théâtre du Soleil di cui immortalò spettacoli e back stages per quarantotto anni. Nel 1983 divenne membro effettivo dell’agenzia fotografica Magnum, incarico prestigioso e molto raro conferito ad una donna e nel 2005 fu insignita del titolo di cavaliere  della Légion d’Honneur francese.

Timida, riservata e poco interessata alla vita mondana,  le immagini documentarie e i suoi magnifici ritratti si rivolgevano con interesse al mondo degli umili, dei vecchi e delle donne: “ … la fotografia si adatta alla mia curiosità per le persone e le situazioni umane…”, affermava Martine in una intervista rilasciata al New York Time.

Cartier Bresson fotografato da Martine-Franck

Martine Franck

 Dal punto di vista letterario,  Mark Twain e Conan Doyle, conosciuti attraverso le letture che sua madre le faceva da bambina, rimarranno i suoi punti di riferimento, come il grande Hitchcock per il cinema; in campo fotografico durante numerose interviste citava spesso Julia Margaret Cameron, Dorothea Lange e Margaret Bourke-White. In sintonia con il Marito Henri Cartier Bresson, la Franck sintetizza così la sua passione per la fotografia: “. ..Ciò che soprattutto amo nella fotografia, è precisamente il momento che non si può anticipare, bisogna stare costantemente in allerta, pronti a captare ciò che è inatteso…”. Le sue immagini rigorosamente in bianconero sono potenti e suggeriscono l’emozione della fotografa e dei soggetti ritratti durante lo scatto: gli anziani ripresi nei luoghi protetti oppure i bambini spesso immortalati mentre giocano per strada anche in situazioni precarie o disagiate sprigionano tenerezza, comprensione e partecipazione alle loro difficoltà da parte di Martine che non si sottrae dall’entrare nel mondo della sofferenza e dell’emarginazione, sempre con passo lieve ed elegante. Un suo importante lavoro riguarda le immagini che immortalano i monaci tibetani Tulku da cui traspare la loro vita gioiosa fatta di ascesi e trascendenza, da trasmettere con generosità agli altri.

Hospice d’Ivry sur Seine, France Foto di Martine Frank

Dopo la morte dell’illustre marito, insieme alla figlia Mélanie, nel 2003 creò la Fondazione Henri Cartier Bresson per conservare e promuovere il prezioso materiale fotografico da lui lasciato in eredità.

IRELAND. Donegal. Tory Island. 1995. Foto di Martine Frank

Michel Foucault nella sua abitazione, Paris. Foto di Martine Frank

 Colpita da leucemia, dopo due anni di strenua lotta contro la malattia affrontata con coraggio e determinazione, morì a Parigi nel 2012 all’età di 74 anni.

Bibliografia: Martine Franck, D’un jour, l’autre, Éditons du Seuil, Paris 1998

Sitografia: www.magnumphotos.com

www.elle.com

ARTICOLO DI GIOVANNA SPARAPANI

L’articolo ha scopo didattico divulgativo. Le immagini sono di proprietà dell’autore e non possono essere vendute.