Le paure legate alla fotografia di strada.

Incontro, durante i miei corsi, molte persone che, sebbene vogliano imparare a scattare per strada, sono bloccate da una serie di timori che, in qualche caso, possono essere anche leciti, in altri sono completamente inutili.
Prima su tutte, la paura di essere malmenati o insultati. Può capitare di incontrare chi non gradisce essere fotografato.
Avete due opportunità:
❙ procedere velocemente facendo finta di nulla, possibilmente con un sorriso ebete sul viso, che sdrammatizzi, comunque…
❙ avvicinare la persona con estrema gentilezza spiegando il motivo della fotografia. Se l’incomprensione prosegue, cancellate la foto, l’incolumità vostra e della macchina fotografica viene prima di tutto!
Se avete paura che qualcuno poco propenso a essere fotografato possa danneggiare l’attrezzatura, cercate di stare calmi e pensate prima a voi che alla macchina fotografica.
Il secondo motivo che crea tensione è la paura di rimanere senza batterie o che l’attrezzatura non funzioni correttamente per qualche motivo.
❙ Per quanto riguarda le batterie, ricordatevi di averne almeno una di scorta, anch’essa carica (grande consiglio! Eh, ma se vi scordate di caricare o di portare con voi la batteria di scorta, cosa posso dirvi di diverso, se non: «Ma brutto/a beep, ma si può essere così beep da dimenticare di sistemare le cose per poter uscire a scattare?»).
❙ Per esperienza personale, posso dire che la macchina fotografica mi ha tradita in un’unica occasione ed è stato per il troppo caldo (ero in India, c’erano circa 47/48 gradi). Sono andata in un locale pubblico, raffreddato dall’aria condizionata e la macchina è ripartita in pochi minuti. Per il resto, non ho mai avuto complicazioni di questo tipo legate all’attrezzatura e raramente ho sentito di altri che ne abbiano avute.
La paura di danneggiare la propria attrezzatura, in particolare le lenti frontali, anche per involontaria caduta, si supera tenendo la macchina ben salda e vicina al corpo il più possibile.

Vi mostro come tengo la macchina io, spero possa essere un consiglio utile anche per voi, anche se, sicuramente, non è l’unico modo e non è l’unico modo giusto: è semplicemente il metodo che ho trovato più veloce nella realizzazione dello scatto e più sicuro per me e la fotocamera.


Come vedete, avvolgo la tracolla della macchina fotografica intorno al polso (calcolando prima la lunghezza giusta per me). Quando arrivate all’ultimo giro di polso, dovrebbe avanzare un tratto di tracolla che andrete a bloccare, portandola dietro la macchina fotografica. Se la lunghezza è giusta, questa parte tratterrà la macchina al polso e la macchina sembrerà anche più leggera.
Io tengo la macchina sempre dietro la chiappa destra, in modo da essere meno visibile possibile. Non tengo mai, per abitudine e per scelta, la fotocamera sul petto.

Tutte queste paure si possono superare con un po’ di attenzione e malizia. Se siete rilassati e a vostro agio per strada, nel tempo, le tensioni si dissolveranno.

Tutto quello che vi ho scritto è contenuto nel libro “Streeet photography, attenzione può creare dipendenza” Edito da Emuse.

Il punto di ripresa giusto, nella fotografia di strada

Buongiorno, parlo oggi del punto di ripresa nella fotografia di strada
Siamo abituati a cambiare spesso punto di ripresa con le nostre macchine fotografiche; ricordatevi che la scelta del punto di ripresa condizionerà considerevolmente l’estetica dell’immagine e la percezione del fruitore; quindi, è una decisione da prendere sempre con consapevolezza.
Qual è il punto di ripresa migliore? Boh, dipende!
Comunque sia, i sistemi più usati per cambiarlo sono:

  1. Lanciarsi da un treno in corsa.
  2. Rotolarsi per terra e usare lo scatto multiplo.
  3. Buttarsi dalle finestre scattando selfie.
  4. Legare la macchina fotografica a un piccione viaggiatore.
    No, niente, questi sono quelli che uso io, ma è meglio lasciare perdere!
    Le possibilità sono sostanzialmente tre:
    ❙ in asse rispetto al soggetto;
    ❙ dall’alto rispetto al soggetto;
    ❙ dal basso rispetto al soggetto
    RIPRESA IN ASSE
    La prospettiva di ripresa in asse, con il piano pellicola/sensore parallelo al soggetto, permette di ottenere immagini senza distorsione prospettica. Come accennato prima, questa scelta prospettica dà la garanzia di poter ottenere un rapporto naturale tra le dimensioni del viso, tronco e gambe quando si fotografa una persona a figura intera, o altro soggetto, dal palazzo al cane.
    In linea di massima, fotografando una persona “in asse” si mantiene una qualità maggiore in termini di proporzioni. Le proporzioni variano anche con l’utilizzo di obiettivi grandangolari, oppure avvicinandosi “troppo” al volto del soggetto, provocando una distorsione anche se si fotografa in asse rispetto al soggetto. Anche per la fotografia di architettura valgono le stesse regole: se si vogliono evitare linee cadenti o storte, è necessario mantenere l’obiettivo in asse rispetto alla struttura geometrica fotografata.
Shanghai, punto di ripresa frontale, fotografia di Sara Munari

RIPRESA DALL’ALTO
Nella street photography, una ripresa dall’alto verso il basso, a meno che non ci si trovi su un piano rialzato e con angoli di campo ampi, tende a schiacciare i soggetti ripresi.
Una ripresa dall’alto con leggera inclinazione della macchina fotografica esalta la prospettiva, e comporta che tutte le linee vengono a convergere verso un punto di fuga. L’impressione che se ne ottiene è di una grande profondità.
Se l’angolo di campo è ristretto e l’inclinazione della macchina fotografica accentuata, tendiamo a schiacciare la prospettiva e la foto perde tridimensionalità. Se vogliamo giocare sugli elementi grafici, esaltando linee, geometrie e forme, questo punto di ripresa può essere decisivo per raggiungere eccellenti risultati.

Shanghai, punto di ripresadall’alto, fotografia di Sara Munari

RIPRESA DAL BASSO
Questo punto di ripresa tende a esaltare le forme degli elementi fotografati, siano essi persone o cose. In questo caso, tanto più è grandangolare l’ottica utilizzata, quanto più i soggetti tenderanno a “sopraffare” l’osservatore, dato che la percezione è quella di stare sotto alle cose.

Shanghai, punto di ripresa dal basso, fotografia di Sara Munari

DA VICINO, DA LONTANO
Soprattutto all’inizio, quando si è ancora un po’ inesperti, si tende a non avvicinarsi abbastanza alle persone.
Questo non è un errore in sé, nel senso che molti fotografi scelgo no un punto di ripresa distante per produrre le proprie immagini.
Il problema sorge quando l’immagine scattata da quella distanza non arriva a soddisfare le aspettative di chi l’ha prodotta perché i soggetti si devono guardare con una lente di ingrandimento!
Si ha paura di avvicinarsi e si è preoccupati di far incazzare le persone, di farle sentire a disagio e di tutte le relative conseguenze.
La vicinanza fisica, in effetti, può corrispondere a vicinanza emotiva, ma vedrete che nessuno vi mangerà.
Hai paura di essere malmenato? Potrebbe capitare; nella mia esperienza di tanti anni in questo settore, posso dire che mi è capi tato in una sola occasione di sentire un fotografo che sia arrivato alle mani con qualcuno.
Se pensate di utilizzare un teleobiettivo per avvicinarvi al soggetto, sappiate che comprimerete l’immagine e non sembrerete coinvolti nella scena.
Nella fotografia di strada molti dei grandi fotografi hanno utilizzato ottiche da 35mm, qualcuno il 50mm, qualcuno il 28mm, an che se con questa ottica si comincia a essere parecchio vicini, se si vuole riempire il fotogramma.

Tutto quello che vi ho scritto è contenuto nel libro “Streeet photography, attenzione può creare dipendenza” Edito da Emuse.

Pulire il sensore della macchina da soli

La pulizia del sensore della fotocamera è una parte cruciale che a me sembra sempre spaventosa, costosa e pericolosa, vai tu a capire perché.

Il primo consiglio è:  attenti quando cambiate gli obiettivi, la fotocamera finirà per prendere polvere sul sensore. Questo può portare a imperfezioni sulle tue fotografie che dovranno inevitabilmente essere “pulite” in post-produzione. E vai di timbro clone!


Michael Andrew

Per questo vi consiglio questo video di Michael Andrew che spiega il suo flusso di lavoro per tenere le sue macchine fotografiche pulite. Andrew entra nel dettaglio ed evidenzia alcune tecniche comuni che potrebbero, per distrazione, danneggiare la tua fotocamera. Sono anche mostrati pratici gadget che possono davvero aiutarvi a identificare le aree più compromesse del tuo sensore. Se sei completamente nuovo al concetto di polvere del sensore, il video mostra anche come eseguire uno scatto di prova in modo che tu possa controllare da solo la situazione della tua macchina fotografica.

E puliamo ‘sti sensori! Ciao Sara

“Rimani sul semplice, stupido (fotografo)”

SARA MUNARI - (7)

KISS è un acronimo usato in progettazione, che sta per Keep It Simple, Stupid, ossia “rimani sul semplice, stupido”.

Vi dico una cosina.

Per “prendere foto semplici” non intendo che sia semplice scattarle o vederle. Anzi, spesso è l’opposto.

Per prendere foto semplici non intendo nemmeno che ritraggano un punto nero su fondo bianco.

La semplicità è togliere il superfluo. Distillare una scena per portarla alla sua essenza. Selezionare dalla complessità del mondo che ritraiamo, il fulcro di quella frazione di secondo.

Chiedetevi sempre perché state scattando, rimanete concentrati su quello che volevate dire, non date per scontate “faccende” che dalle vostre immagini non potrebbero mai essere dedotte, se non ampiamente spiegate da voi.

Non pensate a cosa potreste aggiungere per spiegarvi meglio, concentratevi piuttosto su ciò che potete rimuovere o sottrarre. Rimuovete dalle composizioni che scegliete tutto ciò che ostacolerebbe la lettura della foto, fondi sporchi, colori che distraggono, scritte fuorvianti…

Rimuovete scatti, evitate gli scatti a raffica (necessari solo in pochi casi e per generi fotografici specifici).

  Togliete dall’attrezzatura che vi portate dietro, alleggeritevi, mollate a casa gli zaini da sherpa. Levate le immagini che esprimono concetti simili nello stesso portfolio.

Chiedetevi quali sono le immagini che realmente rappresentano al meglio il concetto che vorresti comunicare. Stai certo che circa il 90% delle foto scattate è totalmente inutile.

 Alleggerite la postproduzione.Questo rimane sempre il mio motto:Una foto di merda ritoccata bene, rimane una foto di merda.

In caso di dubbio, sottrarre, sempre. Questo il mio consiglio.

Mi vengono mostrati progetti o singole fotografie alle quali vengono attribuiti significati che nemmeno lontanamente sono contenuti su quella superficie bidimensionale.

Tante “pippe mentali”. Nelle vostre fotografie, se non accompagnate da testi o didascalie, è contenuto esclusivamente quello che vedete e se le didascalie devono spiegare tutto, senza lasciare spazio ad un po’ di immaginazione, le persone si stancheranno di leggere o peggio si ricorderanno dei chiarimenti e dimenticheranno le immagini.

Siate semplici, siate comprensibili e non date per scontato niente.

Ciao, baci

Sara

 

 

Quali sono le caratteristiche di un buon Storyteller?

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Sara Munari Palermo

Certo, non vanno bene tutti per raccontare storie. Gli storyteller migliori sono forse quelli di cui ci si dimentica il nome per ricordare, invece, le loro storie, diceva Einstein… mi pare.
Tenete ben presente il fatto che la narrazione, di qualsiasi tipo, richiede conoscenza e cultura. Per raccontare bene una storia si deve ‘conoscere’. Lo so, lo so che lo ripeto spesso, ma è così.
Chi racconta storie fantastiche, siano esse fotografiche o meno, ha determinate caratteristiche.
La creatività, per esempio, è un presupposto necessario da avere. Raccontare
storie significa far confluire fantasia, immaginazione e una forte capacità espressiva.
La creatività è sempre accompagnata dalla capacità di saper trasmettere un messaggio, condizione che diventa di primaria importanza.

Siete portatori di un punto di vista, di un messaggio che dovrebbe essere chiaro in voi, fin da quando iniziate il vostro progetto. In qualche caso potreste anche solamente prediligere un lavoro che si basi sull’estetica e quasi esclusivamente su questo.

Può funzionare, comunque, ma è più raro.

In generale, non si comunica tanto per, si comunica con uno scopo ben preciso. E quando si fa storytelling si parla a un pubblico per dire qualcosa, per trasferire ai lettori un messaggio chiaro e preciso.
Tutte le storie ci prendono, alcune più, alcune meno, a seconda delle emozioni che ci fanno provare. In un progetto fotografico, che sia di ricerca, fotogiornalismo, moda, dobbiamo suscitare emozioni. Facciamoli emozionare e facciamoli pensare, insomma. Tra l’altro, una cosa non dovrebbe prescindere dall’altra. Seducete chi guarda e, se
potete, portatelo a ragionare. Il ragionamento porta alle azioni e voi avrete raggiunto il massimo della potenzialità come storyteller. Un pubblico coinvolto emotivamente è molto più propenso a parlare di voi e delle vostre fotografie. Se annoiate, parleranno di quanto si sono annoiati!
Siate chiari nei vostri intenti, non mentite e, se lo fate, che sia chiara la menzogna. Al pubblico di una mostra o di una vostra presentazione non piace essere preso in giro.

Se decidete che ironia e un progetto in bilico tra finzione e realtà sia la strada che volete perseguire fotograficamente, chi guarda deve essere messo nelle condizioni di capire le
vostre intenzioni. Rispettiamo sempre chi dedicherà tempo e attenzione al nostro lavoro.
Rendete chiaro ciò che è complesso. Un portfolio fotografico strutturato bene può fare diventare semplice e comprensibile anche le situazioni più complicate.
Siate convincenti, prestate attenzione alla scelta dei soggetti, alle scelte tecniche, all’editing del lavoro e alla presentazione dello stesso. Dovete dare la certezza di essere autentici, i vostri ammiratori vogliono sentirvi coinvolti in ciò che proponete. Non dovete esclusivamente convincere per la vostra accuratezza, ma, a vostra volta, coinvolgere.
Una storia non dice alle persone quello che devono volere, ma le fa sentire parte di qualcosa e in qualche caso, protagoniste. Identificarsi con il protagonista, significa anche prendere una posizione precisa,
schierarsi contro un nemico. Una storia non è mai un racconto oggettivo, è sempre un punto di vista.
Dove i vostri soggetti saranno persone, nel reportage per esempio, sappiate dare voce ai vostri personaggi. Dobbiamo riuscire a mettere nelle condizioni di identificarsi nei personaggi che proponiamo, sia nei pregi che nei difetti.
I temi relativi alle più grandi narrazioni sono spesso gli stessi e riguardano gli importanti temi che coinvolgono l’intero genere umano: amore, pace, tolleranza, fede, religione, confitti, devastazione…
Certo, sono temi astratti ed è all’interno di questi che dovete cercare un’idea che vi conduca al racconto di un argomento interessante per i più, perché riguarda l’umanità, quindi potenzialmente un vasto gruppo di persone, anche se si concentra su un singolo soggetto o su piccole comunità.
Ricordate però… Un personaggio a cui va tutto bene, perfetto, con una bella famiglia, amato e ben voluto, purtroppo, non verrà particolarmente apprezzato dal pubblico.
Molti mi chiedono come mai in fotografia funzionino solo storie di difficoltà, socialmente difficili, talmente tristi o complicate da far rabbrividire.

Temi che coinvolgono l’uomo che, molto spesso, non sempre, hanno a che fare con alcune particolari condizioni umane come la malattia, la guerra, il disagio, la droga, il sesso, il cibo, l’ambiente, le tragedie familiari. Mi sono data questa risposta: la verità è che abbiamo un lato oscuro e siamo morbosi. La morbosità dà una strana esaltazione, anche fisica, uno stimolo quasi animale che ha, probabilmente, anche un valore dal punto di vista evolutivo. Le gazzelle osservano fintanto che una loro simile viene divorata da un leone. E così conoscono a cosa sono esposte se sospendono la loro corsa e si distraggono. Se si pensa alla sofferenza degli altri, è possibile che ci si senta in qualche modo sollevati di averla scampata. Lo stesso motivo, a mio parere, che fa funzionare lavori fotografici “tragici”. Spesso, tra l’altro, se si fotografa qualcosa di vissuto in prima persona, si dà l’impressione di essere semplici, attendibili e qualificati per farlo.
Allo stesso tempo, di fronte a immagini di stragi, incidenti, scatta una certa autotutela: rimaniamo quasi impassibili. Guardando il TG a pranzo e sentendo notizie tragiche, difficilmente ci lasciamo coinvolgere emotivamente, cioè continuiamo a mangiare tranquillamente, come se quelle notizie non ci riguardassero più di tanto, o comunque
riguardassero qualcosa di molto. È ovvio che questo discorso non vale per tutti, ma è inutile negare che se sentiamo la notizia di qualche strage in TV, mezz’ora dopo siamo in giro con gli amici. Non dovrebbe crearsi un senso di sconforto e preoccupazione tali da reagire?
Schierarci, muoverci, prendere posizione, mobilitarci, in quanti lo fanno ancora? Eppure siamo tutti (chi più chi meno) affascinati dalle disgrazie altrui.

Pensate anche all’umorismo, che si basa in grande parte sul fatto che qualcosa di spiacevole avvenga a qualcun altro.

Concludo con le parole di Francesco Nacci, mi sembrano calzanti e mi piacciono molto: «[…] È infatti finito il tempo in cui saper produrre una bella immagine fotografica, conoscere i segreti del materiale sensibile e le tecniche di ripresa e di utilizzo della macchina fotografica, erano considerati un privilegio, e lo erano, di pochi fortunati, studiosi e sperimentatori, amanti dell’arte non senza una certa disponibilità economica. È anche finito il tempo della cultura intesa come possesso di molte nozioni, di un titolo di studio superiore, preferibilmente classico-umanistico, di un trascorso sui libri e sulla dissertazione filosofica, dedicato allo studio dei grandi maestri della storia, ai fatti e ai movimenti intellettuali del passato, alla speculazione illuminata.
Oggi la cultura, quando non scritta con la “Q maiuscola”, è capacità di interpretare il presente, di ragionare sulle cose, di riconoscerne i valori, gli interrogativi, i significati. Capacità di vivere coscientemente il proprio tempo».

Impariamo quindi a raccontare storie forti, impariamo a concepire la arte narrativa del nostro lavoro.

Questo e molto altro sul mio libro: Storytelling a chi? Guida per fotografi cantastorie  Editore Emuse

Se ti interessa un Corso di Storytelling fotografico, dai un’occhiata qui

Altri corsi per imparare a raccontare con le tue immagini

Ciao

Sara

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Pinhole, come costruire un foro stenopeico.

Per la costruzione del foro stenopeico, da montare sulla reflex oppure sulla mirrorless, necessitiamo di pochi oggetti che possiamo tranquillamente reperire anche a casa nostra.

Ci serviranno:

–        il tappo in plastica che copre il foro dell’obiettivo quando la macchina fotografica è nuova. Di solito sono tappi a vite. In alternativa un tappo di plastica liscio, senza ganci o molle.

–        un pezzo di lamiera che possiamo ritagliare, dopo aver lavato bene, da una lattina di birra o simili, oppure un sottilissimo foglio di ottone da 0.030mm di spessore che si trova in commercio in varie misure col nome di carta di Spagna.

–        carta vetrata a grana sottilissima;

–        Un trapano

–        Un pennarello indelebile nero

–        scotch nero da idraulico

–        un ago da cucito. Io ho provato con la misura 12 che mi è sembrata particolarmente adatta;

–        un martello a base quadrata;

 

Procedura da seguire per la costruzione:

(fotografie di Anna Brenna)

1)   ritagliate un pezzo quadrato di lattina che vada ad inserirsi, come misura, nella parte del retro del tappo di plastica della macchina fotografica.

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2)    una volta determinata la misura del quadrato di lamiera, segnatamente il centro preciso tracciando due linee partendo dagli incroci dei lati. Successivamente, appoggiando la punta dell’ago sul centro della piccola lamiera, date una martellata (senza bucare il tavolo, senza bucare le dita e senza bestemmiare). Non dovete forare la lamiera ma segnare il punto dove verrà aperto il foro stenopeico.

 

3)   levigate con la carta vetrata, piano piano e facendo sistematicamente girare la lamiera. Il foro si formerà da solo, semplicemente consumando il metallo con la carta vetrata. Il foro è talmente piccolo che si vede solo in controluce.

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4)   ricordate di colorare di nero (qui blu) la lamiera, con un pennarello indelebile. Questo eviterà almeno in parte, riflessi strani sul sensore.

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5)    sul tappo in plastica applicate, con un trapano, un foro centrale di mezzo cm circa. Ricordate di togliere la plastica in eccesso che si forma trapanando;

 

6)   con dello scotch nero da idraulico, attaccate la lamiera al centro preciso del buco effettuato sul tappo. Attenzione alle infiltrazioni di luce. Chiudete tutto bene

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7)  applicate il tappo alla macchina fotografica e potrete cominciare a scattare.

 

Chiaramente, essendo il foro molto piccolo, i tempi di scatto si allungheranno. Questo è il motivo per cui, con il foro stenopeico, si prediligono immagini di architettura o paesaggio. Nel reportage rischieremmo di avere immagini sfocate e mosse. Anche se io ci ho provato:

Il tiraggio della vostra macchina fotografica corrisponde più o meno all’angolo di campo che il foro coprirà.

Cosa è il tiraggio?

Ecco qui la risposta

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Tiraggio

Di solito, nelle macchine comuni, il tiraggio corrisponde, anche se.Non precisamente, ad un 50mm.

Quali sono i tempi di scatto da utilizzare?

Il tempo di scatto si trova dividendo il tiraggio per 25.

Vi risulterà un f 145/160 a seconda delle macchine fotografiche.

Se mettete la macchina a priorità di diaframmi, dovrebbe calcolare da sola i tempi. Se staccando l’ottica, la macchina non riesce a calcolare i tempi, calcolateli in rapporto al  diaframma. Ricordate che spesso sono tempi lunghi.

Anche se la fotografia non avrà una grandissima nitidezza, l’immagine risulta leggibile, da zero a infinito.

 

Ecco alcune fotografie mie scattate con questo sistema, dal progetto ‘Be the bee body be boom’

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Ecco immagini di altri autori:

Paolo Gioli

Nancy Breslin

Steve Irvine

 

Ciao, baci Sara

 

 

 

 

Scattate buone fotografie, oppure no?

Ciao! Una delle cose che mi viene chiesta più spesso è:
Come faccio a capire se una mia foto è buona?
Bene, ci sono molti elementi che la possono fare  considerare tale. Alcuni riguardano l’aspetto tecnico, altri invece il contenuto ed il messaggio dell’immagine.
Vi scrivo cosa guardo io, spero possa essere utile.

1) Si percepisce bene quale sia il soggetto?
Guardate con attenzione, cosa verrebbe notato, a primo impatto, da chi osserva la vostra immagine?

Ricordate che dovreste far cadere l’attenzione sulle parti della foto che desiderate vengano lette dal fruitore finale, fate in modo di accompagnare lo sguardo attraverso i punti di interesse.

2) Ci sono elementi che distraggono?
Ombre, elementi sullo sfondo, colori vivaci che distolgono attenzione dal soggetto. Prestate attenzione, non basta beccare il soggetto, soprattutto per strada (ma in qualsiasi genere fotografico), dovete prestare attenzione alla composizione e alla relazione tra gli elementi che desiderate includere.
Le linee create dalle strutture, da ombre, da elementi umani o dal vostro soggetto, fanno in modo che la lettura della foto avvenga in modo corretto?

3) L’ esposizione è quella che desideravo? Non esistono foto corrette come esposizione o sbagliate… chiedetevi, dato che avete scelto di sovraesporre o sottoesporre o esporre sul suggerimento della macchina fotografica, se questo è funzionale all’immagine e al messaggio che volete mandare.

4) Ho usato la focale giusta?
La prospettiva della foto è quella che desideravo? Con quale focale avrei ottenuto una resa migliore?
Ricordate che più è lunga la focale, più si schiacciano i piani (otterrete inoltre, a seconda della quantità di sfocato, uno stacco maggiore dal fondo e meno elementi a cui dare peso), più la focale è corta, maggiore sarà il campo ripreso e la profondità di campo.

Fotografia di Anna Wu
anna-wu-photography

5) Cosa succede sullo sfondo?
Come ho accennato sopra, anche se in qualche caso non lo considerate, lo sfondo è da comporre quanto il soggetto principale. Spesso le foto migliori sono quelle in cui i due elementi comunicano tra loro.
Il contesto è fondamentale per strada, per esempio, imparate a considerarlo quanto gli elementi che metterete in primo piano.

6) La foto è composta bene?
Premetto che ci sono foto composte non seguendo nessuna regola precisa (per intenderci regola dei terzi) che funzionano benissimo. Spesso, se il contenuto della fotografia è molto potente, il fattore compositivo potrebbe passare in secondo piano.

Se state iniziando o è poco che fotografate, seguite tutte le regole possibili per poi infrangerle, piano piano, nel tempo.

7) Che genere di postproduzione richiede la foto?
Beh! Se state costruendo un progetto da tempo, avreste già dovuto scegliere quale tipo di postproduzione utilizzare per il vostro lavoro. Se invece è la prima foto di un progetto fotografico o una foto singola, ricordate sempre che un’immagine raramente viene migliorata dal fotoritocco.
Uno dei miei motti preferiti è:
Una foto di merda ritoccata bene, rimane una foto di merda! Sara Munari In sostanza con il fotoritocco potete migliorare alcune cose, ma non esagerate mai.
Se la foto necessita di fotoritocco per carenze tecniche, migliorare la tecnica, non la postproduzione!

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8) Siamo sicuri di aver mandato il giusto messaggio?

Quando scattiamo una fotografia, spesso ci dimentichiamo che, in un modo o nell’altro, questa immagine porta con sé un messaggio. Certamente le possibili interpretazioni di fronte ad una foto sono molteplici, ma da fotografi, dobbiamo metterci nelle condizioni di far arrivare un contenuto preciso con il nostro lavoro. Se l’immagine fa parte di un progetto, è probabile che il messaggio si percepisca dal lavoro nel suo insieme.

Se è una fotografia singola che stiamo proponendo, spesso si è certi che nella foto sia portatrice di un messaggio, di cui manco si vede l’ombra.

Dico sempre ai ragazzi “nella foto, c’è quello che c’è nella foto e basta”. Chi guarda la foto non sa in che condizioni eravate voi, cosa avete provato, non conosce i contesti e le situazioni, quindi imparate a non dare niente per scontato.

9) Siamo sicuri che la foto non sia l’ennesima riproduzione di altre foto simili?

Evitate di fare ennesime produzioni di cose già viste e riviste. So che non è facile, ma dovete studiare, capire cosa è già stato fatto e cercare di portare un tassello in più, alla totalità delle immagini prodotte, che sia diverso per l’interpretazione del soggetto che potreste essere in grado di fare.

Ricordiamoci sempre che se non abbiamo un cazzo da dire, possiamo anche stare zitti e non fotografare.

Ciao

Sara