Mostre di fotografia da non perdere a luglio

Ed eccoci anche questo mese al nostro appuntamento fisso con le mostre per il mese di luglio. Davvero interessanti.

E non dimenticate di dare un’occhiata alla nostra pagina sempre aggiornata.

Ciao, Anna

Larry Fink “Unbridled Curiosity” e Jacopo Benassi “Crack”

Con la programmazione estiva, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia lancia il nuovo format espositivo CAMERA DOPPIA: due mostre allestite in contemporanea negli spazi della galleria principale di Via Delle Rosine 18 a Torino che mettono in dialogo e a confronto due autori, diversi per generazioni e formazione, accomunati dall’approccio al linguaggio. In questo modo gli artisti in mostra riflettono dunque sulle sfumature e sugli utilizzi del mezzo fotografico e delle sue potenzialità di osservazione dei fenomeni che caratterizzano la società odierna.

Per il primo appuntamento di CAMERA DOPPIA, che aprirà al pubblico giovedì 18 luglio 2019, il direttore di CAMERA Walter Guadagnini ha curato la mostra antologica di Larry Fink (Brooklyn, New York, 1941), Unbridled Curiosity e il progetto di Jacopo Benassi (La Spezia, 1970) intitolato Crack. Le mostre – entrambe prodotte da “Fotografia Europea” di Reggio Emilia – presentano diversi aspetti comuni, sia dal punto di vista tematico che da quello specificamente fotografico: gli autori, infatti, utilizzano unicamente il bianco e nero e adottano l’uso del flash per focalizzare l’attenzione sul soggetto della rappresentazione, esaltandone atmosfera, forma e contenuto.

Nell’antologica del fotografo americano Larry Fink sono presentate oltre novanta immagini, realizzate tra gli anni Sessanta e oggi, che saranno esposte nelle prime cinque sale di CAMERA. La selezione in bianco e nero e di grande potenza estetica, mira a evidenziare quei legami tra le persone e tra le persone e i luoghi che Fink, nel corso di tutta la sua carriera, ha saputo immortalare con occhio attento e “sfrenata curiosità”, mischiandosi ai contesti, rubando momenti di intimità e mettendo in evidenza l’anima dei soggetti ritratti. Le grandi battaglie civili, i party esclusivi tra Hollywood e i grandi musei, la vita rurale, le palestre pugilistiche: nulla sfugge all’obiettivo di Fink. La mia vita è una cascata di rivelazioni empatiche – commenta Larry Fink. Una vita spesa cercando di costruire ponti tra le classi, le fatiche, i piaceri e le paure del dolore. Una vita trascorsa ad accumulare immagini che attestano un senso di meraviglia sensuale e sociale. Questo spettacolo è un viaggio sconnesso attraverso molte esperienze e sensazioni. È una testimonianza di curiosità sfrenata (Unbridled Curiosity).

Nella Sala Grande e nel lungo corridoio di CAMERA, invece, verranno allestite le sessanta immagini che compongono Crack, progetto che Jacopo Benassi ha realizzato mettendo al centro della sua riflessione il rapporto tra classicità e contemporaneità nei corpi e nei legami che gli individui instaurano con uomini e ambienti. Crack – commenta Walter Guadagnini – è un atlante del corpo, elaborato tra gli estremi della plastica antica e della flagranza fisica contemporanea. Il risultato è la sottolineatura non solo della decadenza in agguato tanto per il corpo umano quanto per il corpo scolpito, ma anche, e forse più, della possibilità di ricomposizione delle fratture, delle rotture e del fascino che anche questi elementi assumono nella nostra lettura del corpo e della forma. A tale visione concorrono anche l’incorniciatura delle singole opere e l’intero, sorprendente allestimento della mostra, che sono parte integrante del progetto espositivo e caricano le immagini di un’ulteriore, vitale tensione.  

La mostra è prodotta in collaborazione con Fondazione Nazionale della Danza – Aterballetto.

Le due mostre – commenta Walter Guadagnini, curatore delle mostre e direttore di CAMERA – segnano la costante attenzione di CAMERA alla produzione artistica contemporanea e la sua capacità di guardare sia alla scena italiana che a quella internazionale.

18 luglio 2019 – 29 settembre 2019 – Camera Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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Emiliano Mancuso. Una diversa bellezza. Italia 2003 – 2018

L’esposizione è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale -Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali ed è prodotta e organizzata da Officine Fotografiche con Zona, PCM Studio, Postcart edizioni in accordo con la famiglia di Emiliano Mancuso, ed è realizzata con il supporto di Digital Imaging partner di Canon.

La mostra è a cura di Renata Ferri che ha selezionato quattro differenti corpi di lavoro realizzati lungo l’arco di quindici anni in cui emerge un’umanità dolente, un’Italia ferita alla costante ricerca della sua identità in un perenne oscillare tra la conferma dello stereotipo e la cartolina malinconica.

Emiliano Mancuso ha usato tecniche e linguaggi diversi: bianco e nero, colore, immagini digitali o analogiche. E le polaroid, importanti poiché nella loro immediatezza accompagnano il passaggio dell’autore dall’immagine fissa a quella in movimento che lo porterà, nell’ultima parte della sua vita, a essere regista. Senza abbandonare il suo terreno d’indagine, semmai amplificandolo grazie all’audio e al video, Emiliano Mancuso traccia un paese intessuto di microstorie, di esperienze che ci appaiono nude nella loro sincerità.

In mostra saranno esposti i principali lavori di Emiliano Mancuso:

Terre di Sud (2003-2008): un progetto fotografico sul Mezzogiorno che, nell’epoca della globalizzazione, si trova ancora a fare i conti con i vecchi termini della “questione meridionale”. Dal lavoro è stato realizzato un libro, Terre di Sud, pubblicato nel 2008 dalla casa editrice Postcart.

Stato d’Italia (2008-2011): un viaggio lungo tre anni attraverso l’Italia, alla ricerca di storie, cronache e volti della crisi economica e sociale: gli sbarchi di Lampedusa, Rosarno e la rivolta dei braccianti africani, i ragazzi di Taranto assediati dai fumi delle acciaierie Ilva. Anche questo lavoro è diventato un libro, Stato d’Italia, pubblicato nel 2011 da Postcart.

Il Diario di Felix (2016): è un lavoro realizzato a Casa Felix, la casa famiglia di Roma dove vengono ospitati sia minori del circuito penale che scontano misure alternative al carcere, sia minori civili. Il Diario di Felix racconta l’ultimo anno di permanenza all’interno della struttura di un gruppo di otto ragazzi.

Le Cicale (2018, co-regia di Federico Romano): è un viaggio intimo della vita di quattro persone, già andate in pensione o in procinto di andarci, e il loro barcamenarsi per riuscire ad avere delle condizioni di vita dignitose nonostante una vita di lavoro.

In esposizione circa 150 fotografie.

I differenti capitoli della mostra sono accompagnati dai testi di Lucia Annunziata, Domenico Starnone e di Mimmo Lombezzi, oltre che della curatrice Renata Ferri, con le traduzioni in inglese di Francesca Povoledo.

14 giugno – 6 ottobre 2019 – Museo di Roma in Trastevere

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Sally Mann – A Thousand Crossings

For more than forty years, Sally Mann (born 1951) has been taking hauntingly beautiful experimental photographs that explore the essential themes of existence: memory, desire, mortality, family, and nature’s overwhelming indifference towards mankind. What gives unity to this vast corpus of portraits, still lifes, landscapes and miscellaneous studies is that it is the product of one place, the southern United States.

Sally Mann was born in Lexington, Virginia. Many years ago she wrote about what it means to live in the South; drawing on a deep love for that area and a profound awareness of its complex historical heritage, she raised bold, thought-provoking questions – about history, identity, race and religion – that went beyond geographical and national boundaries.

This exhibition is the first major retrospective of the eminent artist’s work; it examines her relationship with her native region and how it has shaped her work. The retrospective is arranged in five parts and features many previously unknown or unpublished works. It is both an overview of four decades of the artist’s work and a thoughtful analysis of how the legacy of the South – at once, homeland and cemetery, refuge and battlefield – is reflected in her work as a powerful and disturbing force that continues to shape the identity and the reality of an entire country.

from 18 June 2019 until 22 September 2019 – Jeu de Paume Concorde, Paris

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FEDERICO PATELLANI. DA MONZA VERSO IL MONDO

Una ragazza sorridente che «sbuca» dalla prima pagina del Corriere della Sera il giorno della proclamazione della Repubblica, nel giugno 1946. Una foto-icona che racconta la speranza di un Paese che guarda avanti dopo il fascismo e la guerra. L’autore è monzese, Federico Patellani, classe 1911, maestro del fotogiornalismo italiano.

In Arengario dal 26 maggio. A lui è dedicata la mostra «Federico Patellani. Da Monza verso il mondo», a cura di Giovanna Calvenzi e Kitti Bolognesi, all’Arengario dal 26 maggio al 28 luglio (inaugurazione sabato 25 maggio alle ore 18).

La storia della costruzione dell’identità italiana. Il suo lavoro, commentano il Sindaco e l’Assessore alla Cultura, a oltre quarant’anni dalla sua morte, conserva ancora uno sguardo attuale e testimonia gli sforzi compiuti dagli italiani per la costruzione di un’identità comune, fatta di molti intrecci, sfumature culturali e di costume. La mostra consentirà ai monzesi di scoprire un fotografo eccezionale e, nel contempo, di presentare in Arengario un evento di altissima qualità culturale.

Il «giornalista nuova formula». Federico Patellani, uno dei più importanti fotografi italiani del XX secolo, è stato il primo fotogiornalista italiano. Già nel 1943 aveva indicato come doveva essere il «giornalista nuova formula»: un giornalista che, oltre a scrivere i testi, sapesse anche realizzare immagini «viventi, attuali, palpitanti». Patellani si avvicina alla fotografia dopo la laurea in Legge, durante il servizio militare in Africa nel 1935, quando documenta con una Leica le operazioni del Genio Militare italiano. Dal 1939 collabora con il settimanale “Tempo” di Alberto Mondadori che si rifaceva all’esperienza dell’americano «Life» adattato alla realtà italiana. Sensibile e colto narratore, testimone puntuale della società italiana, Patellani (scomparso a Milano nel 1977) racconta senza retorica l’Italia nel dopoguerra, che cerca di dimenticare il passato recente e di ritrovare le proprie radici, ma narra anche la ripresa economica di un Paese che sta cambiando pelle, passando da contadino a industriale, la moda, il costume e la vita culturale.

L’Italia in cento scatti. Le curatrici hanno selezionato dal Fondo conservato presso il Museo di Fotografia Contemporanea di Milano-Cinisello Balsamo, costituito da quasi 700 mila immagini tra stampe originali, negativi, diapositive e provini a contatto, un centinaio di fotografie in bianco e nero che meglio rappresentano le tappe fondamentali della carriera di Patellani dalla fine della Seconda guerra mondiale alla metà degli anni Sessanta, quando il fotografo si dedicò soprattutto alla fotografia di viaggio. Il percorso espositivo è suddiviso in sezioni che rappresentano i temi più importanti della sua produzione: la distruzione delle città italiane alla fine della Seconda guerra mondiale, la ricostruzione e la ripresa economica, il sud Italia e la Sardegna, la nascita dei concorsi di bellezza e la ripresa del cinema italiano, i ritratti dei più importanti intellettuali del Novecento come Benedetto Croce, Thomas Mann, Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, Elio Vittorini, Bruno Munari. E grazie all’amicizia con registi e produttori come Carlo Ponti, Mario Soldati, Dino De Laurentiis e Alberto Lattuada, realizza servizi fotografici sui set di importanti film italiani e internazionali e ritrae alcuni tra i volti più noti del cinema: da Totò ad Anna Magnani, da Gina Lollobrigida a Silvana Mangano, da Vittorio De Sica a Luchino Visconti e da Sophia Loren a Roberto Rossellini.

La Monza del dopoguerra. Una sezione è dedicata alle fotografie di Monza. Alcune immagini inedite, che raccontano la città, le gite domenicali al Canale Villoresi, il Parco e l’Autodromo negli anni del dopoguerra, eleganti servizi di moda in Villa Reale e l’amico e artista monzese Leonardo Spreafico, ritratto nel suo studio

L’omaggio a «Stromboli». Infine un omaggio al film di Roberto Rossellini «Stromboli. Terra di Dio», a quasi settant’anni dalla sua uscita: a fianco degli straordinari ritratti di Ingrid Bergman e del regista, una bacheca con le pagine del servizio pubblicato da «Tempo» nel 1949, che documentano la realizzazione del film, i luoghi e i protagonisti, insieme ai provini delle immagini che raccontano il metodo di lavoro di Patellani.

Dal 25 Maggio 2019 al 28 Luglio 2019 – Arengario Monza

Le mostre di Cortona On The Move

Torna anche quest’anno il famoso festival di Cortona con una nuova edizione e dun nuovo tema.  Il focus di quest’anno si muove attorno al rapporto tra gli umani e il paesaggio. La natura e l’ambiente sono parole chiavi ai giorni nostri. Sia nell’ambito delle problematiche ecologiche e urgenti che vanno affrontate, che in relazione alla situazione economico-sociale mondiale, il territorio è un protagonista centrale del vivere umano.

Il festival quest’anno ospita mostre di Simon Norfolk, Paolo Verzone, Diana Markosian, Gideon Mendel e Nadia Bseiso, tra le altre. Trovate il programma completo e con tutte le location qua.

Dall’11’luglio al 29 settembre – Cortona sedi varie

The Red Road Project – Carlotta Cardana e Danielle SeeWalker

Sage Honga, 22 (at time of photograph), of the Hualapai tribe, earned the title of 1st attendant in the 2012 Miss Native American USA pageant. From that point forward, she has been encouraging Native youth to travel off the reservation to explore opportunities. In Native American culture, knowledge is power and the youth are encouraged to leave the reservations, receive an education and then come home to give back to your people. Sage continues to speak to youth focusing on four fundamental principles: traditionalism, spirituality, contemporary issues and education. Sage stands at the base of the Grand Canyon in waters that are sacred to her people. She wears a traditional, hand-made dress and natural make-up on her face.

Il Museo del Paesaggio di Verbania presenta presso gli spazi di Villa Giulia a Verbania Pallanza The Red Road Project”, un progetto della fotografa Carlotta Cardana e dell’artista Lakota Danielle SeeWalker.

La mostra, curata e prodotta da Fonderia 20.9 di Verona, mette al centro il rapporto tra identità della comunità, cultura e paesaggio, nello specifico con una rilettura del complesso legame odierno dei nativi d’America con la loro terra e la cultura tradizionale. Circa 70 opere, tra immagini d’archivio e fotografie realizzate appositamente per il progetto, esplorano e documentano il rapporto tra la cultura tradizionale dei nativi americani e l’identità delle popolazioni tribali di oggi, in un viaggio tra diversi stati USA.

IL PROGETTO DI RICERCA ARTISTICA SECONDO LE AUTRICI

Costituendo appena l’1% della popolazione americana totale, i nativi americani vivono spesso ai margini e la loro voce non viene ascoltata. Hanno subito, e subiscono tuttora, una sorta di segregazione forzata occupando gli ultimi posti della società americana secondo tutti gli indicatori, dal tasso di disoccupazione dell’88 per cento, alla seconda più bassa aspettativa di vita al mondo. Non è azzardato affermare che le riserve indiane siano “isole di Terzo mondo” all’interno della più grande potenza economica mondiale. Tossicodipendenza, alcolismo, abusi sessuali, povertà, criminalità e i più alti tassi di suicidio nel Paese sono solo alcune delle conseguenze di secoli di oppressione e continui tentativi di assimilazione.

The Red Road Project  (La Strada Rossa) vuole esplorare il rapporto tra la cultura tradizionale dei nativi americani e l’identità delle popolazioni tribali di oggi, attraverso un viaggio in North Dakota, South Dakota, Wyoming, Nevada, Colorado, Arizona, New Mexico, California, Louisiana, North Carolina.

Il titolo di questo progetto si riferisce agli insegnamenti che incoraggiano a seguire “la strada rossa”, ovvero procedere verso un cambiamento positivo nonostante un contesto avverso, ed è per questo ancora più sorprendente lo sforzo dei nativi per migliorare le condizioni delle comunità e riconquistare la propria identità. Il legame con la terra, con la lingua e le tradizioni sono solo alcuni degli strumenti utilizzati per il processo di legittimazione e di miglioramento.

La mostra, oltre a guardare alla condizione attuale dei nativi americani, racconta anche alcuni fatti storici come quello delle “boarding schools”, i collegi in cui venivano mandati i bambini indiani, tra la fine del diciottesimo e inizio del diciannovesimo secolo, fino al compimento della maggiore età. Operando in base al motto “uccidi l’indiano, ma salva l’uomo”, queste scuole hanno causato la quasi totale perdita delle tradizioni e della lingua.

DAL 09/06/2019 AL 29/09/2019 – Museo del Paesaggio – Verbania

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SOTTO LA TENDA DI ABRAMO – DEIR MAR MUSA EL-HABASCI – Ivo Saglietti

La mostra racconta, attraverso le immagini di Ivo Saglietti, la vita e le giornate all’interno dell’antico monastero siro antiocheno Deir Mar Musa el-Habasci (San Mosè l’Abissino), un luogo dove tutte le comunità religiose si possono incontrare, creando dei momenti comuni di dialogo e di preghiera. Alla ricostruzione del monastero, voluto fortemente da Padre Paolo Dall’Oglio, hanno partecipato sia musulmani che cristiani.

“Il tuo modo di fotografare è un vivere assieme, nella luce normale del quotidiano, dal mattino, alla sera, alle candele della notte, senza schermi, riflettori e lampi. La tua macchina fotografica è discreta, rumore quasi zero. Ma non è per rubare le immagini; è piuttosto per riceverle con cortesia e affetto. I tuoi scatti non sono quelli d’un fotoreporter, ma quelli d’un compagno di strada che diventa amico”.

Questo breve passo tratto da una lettera di Padre Paolo Dall’Oglio a Ivo Saglietti, ci fa capire pienamente il rapporto venutosi a creare tra l’autore e la comunità presente nel Monastero.

Orario mostra tutti i giorni 10-18

dal 13 luglio all’08 agosto 2019 – Forte di Santa Tecla – Sanremo

Il mondo nell’obiettivo – I fotografi delle Ong

Il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’autore di Bibbiena (AR), ente nato per volontà della FIAF, la storica Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, presenta la mostra fotografica “Il Mondo nell’obiettivo. I fotografi delle Ong” curata da Claudio Pastrone in collaborazione con Giovana Calvenzi e Giuseppe Frangi. L’esposizione si terrà da sabato 15 giugno a domenica 8 settembre 2019 presso il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena (Via delle Monache 2) con inaugurazione il 15 giugno alle ore 17.30 e preceduta, alle ore 16.00, da un incontro-dibattito presieduto da Giuseppe Frangi della rivista VITA, organo di informazione di riferimento per le maggiori Ong italiane, con la partecipazione di rappresentanti delle Ong, dei fotografi e dei curatori per parlare delle opere esposte e delle motivazioni che le hanno fatte nascere.

“Mai come in questi tempi il tema delle Organizzazioni non governative è stato al centro dell’attenzione pubblica- scrive Giuseppe Frangi, che ha realizzato l’opera di scouting dei lavori in mostra -. È un’attenzione che spesso ha assunto toni polemici e verbalmente violenti, che finisce con il relegare in secondo piano il lavoro capillare e sistematico che la cooperazione italiana continua a svolgere in contesti difficili e marginali.

È un’azione meritoria, sia a livello sociale che culturale, che tra le sue ricadute ha anche quella di tenere aperti canali di conoscenza con aree dimenticate del mondo. In molti casi questo è anzi un impegno prioritario di cui le Ong si fanno carico, come dimostra la mostra proposta dal Centro italiano di fotografia. Sono decine i fotografi che in questi anni recenti, grazie all’appoggio delle organizzazioni, hanno documentato contesti ed emergenze dimenticati. Non si tratta semplicemente di testimoniare con le immagini i progetti che gli enti di cooperazione hanno realizzato. L’obiettivo è sempre più largo, al punto che questi reportage finiscono con lo svolgere quasi una funzione di supplenza rispetto ad una grande informazione, sia carta stampata che televisiva, che hanno sempre più ridotto impegno ed investimenti rispetto all’informazione internazionale. Il risultato è stato quello di ridurre le conoscenze e di alimentare inevitabilmente una cultura dell’indifferenza.

Le Ong invece hanno continuato ad investire, pur in tempi non semplici, nella documentazione soprattutto visiva, mostrando in particolare una grande fiducia nello strumento fotografico. La fotografia nella sua oggettività garantisce uno sguardo ravvicinato e fedele; è anche coinvolgente e quindi capace di mobilitare le coscienze rispetto a situazioni che richiedono un impegno diffuso. I fotografi delle Ong infatti mettono in campo professionalità, passione e anche un’adesione solidale agli obiettivi delle Ong, ben riconoscibile nei lavori presentati a Bibbiena.”

La mostra vede coinvolte le Ong e i fotografi:

•             ActionAid (fotografi Alessandro Serranò e Marco Gualazzini)             Amref (fotografe Diana Bagnoli e Valentina Tamborra)

             Amref (fotografe Diana Bagnoli e Valentina Tamborra)

•             AVSI (fotografi Stefano Schirato e Andrea Signori)

•             AVSI  – CHE ARTE (fotografo Tanino Musso)

•             CIAI (fotografi Studio14photo: Marco Sartori, Andrea Arcidiacono e dei fotografi Massimiliano Pescarolo e Alessandro Castiglioni)

•             COOPI ( fotografo Abdoulaye Barry)

•             Emergency ( fotografo Mario Dondero)

•             Fondazione Francesca Rava – Nph Italia (fotografo Stefano Guindani)

•             Funima International (fotografo Giovanni Marrozzini)

•             Save the Children (fotografi Francesco Alesi e Giancarlo Ceraudo)

•             WeWorld (fotografa Isabella Balena)

15 giugno – 8 settembre 2019  – CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore

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A CERTAIN BLOOM – Kristina Bengtsson

A certain bloom è una mostra di Kristina Bengtsson presso Fonderia 20.9 a Verona. La mostra è a cura di Paola Paleari ed è la prima presentazione personale dell’artista svedese in Italia.
Nella sua pratica, Bengtsson spesso esplora lo spazio residuo tra le categorie razionali prestabilite che adottiamo per orientarci nella nostra vita quotidiana. La mostra indaga nozioni quali il romanticismo, il tempo, la natura e l’artificio – concetti creati dall’uomo, e quindi altamente soggettivi e aperti all’interpretazione.
Presso Fonderia 20.9 viene presentata una selezione di lavori, in origine realizzati individualmente e in momenti diversi, che qui si uniscono in un concerto di voci orchestrate per l’occasione. Combinando fotografia, scultura, scrittura e suono, A certain bloom suggerisce che il modo in cui definiamo le cose non dovrebbe influenzare ciò che esse sono realmente.

21.6 – 13.7.2019 – Fonderia 20.9 – Verona

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Nicholas Dominic Talvolta – Model 3255

Fotografia in pellicole 35mm, registrazioni analogiche, musica dal vivo.
Installazione con tromba, synth analogico e anni di registrazioni con micro-cassette che si mescolano per creare una colonna sonora dal vivo e permettere agli ospiti di vedere le fotografie durante l’inaugurazione della mostra.

Dal 15 giugno al 5 luglio – Spazio Raw – Milano
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Mostre per aprile

Ciao, con aprile inizia la stagione dei festival di fotografia e nuove imperdibili mostre vi aspettano. Non mancate!

Anna

diane arbus: in the beginning

Diane Arbus. Jack Dracula at a bar, New London, Conn. 1961.

Diane Arbus made most of her photographs in New York City, where she was born and died, and where she worked in locations such as Times Square, the Lower East Side and Coney Island. Her photographs of children and eccentrics, couples and circus performers, female impersonators and midtown shoppers, are among the most intimate, surprising and haunting works of art of the twentieth century.

Organised by The Metropolitan Museum of Art, New York and adapted for Hayward Gallery, diane arbus: in the beginning takes an in-depth look at the formative first half of Arbus’ career, during which the photographer developed the direct, psychologically acute style for which she later became so widely celebrated.

The exhibition features more than 100 photographs, the majority of which are vintage prints made by the artist, drawn from the Diane Arbus Archive at The Metropolitan Museum of Art, New York. More than two-thirds of these photographs have never been seen before in the UK.

Tracing the development of Arbus’ early work with a 35mm camera to the distinctive square format she began using in 1962, the exhibition concludes with a presentation of A box of ten photographs, the portfolio Arbus produced in 1970 and 1971, comprising legendary portraits including Identical twins, Roselle, N.J. 1967 and A Jewish giant at home with his parents in the Bronx, N.Y. 1970.

13 FEB – 6 MAY 2019 Hayward Gallery – London

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Alex Majoli Scene

Europe, Asia, Brazil, Congo. For eight years, across continents and countries, Alex Majoli has photographed events and non-events. Political demonstrations, humanitarian emergencies and quiet moments of daily life. What holds all these disparate images together, at first glance at least, is the quality of light and the sense of human theatre. A sense that we are all actors attempting, failing and resisting the playing of parts that history and circumstance demand; and a sense that we are all interconnected. Somehow. Majoli’s photographs result from his own performance. Entering a situation, he and his assistants slowly go about setting up a camera and lights. This activity is a kind of spectacle in itself, observed by those who may eventually be photographed. Majoli begins to shoot, offering no direction to people who happen to be in their own lives before his camera. This might last twenty minutes, or even an hour or more. Sometimes the people adjust their actions in anticipation of an image to come, refining their gestures in self-consciousness. Sometimes they are too preoccupied with the intensity of their own lives to even notice. Either way, the representation of drama and the drama of representation become one.

˝We must not derive realism as such from particular existing works, but we shall use every means, old and new, tried and untried, derived from art and derived from other sources, to render reality to men in a form they can master […]. Our concept of realism must be wide and political, sovereign over all conventions.˝ — Bertolt Brecht

Most of Alex Majoli’s photographs were made during daylight, and he could have easily photographed his scenes with no additional illumination. Flash was not a matter of necessity; it was a choice, an interpretive, responsive choice. Alex Majoli uses very strong flash lighting. It is instantaneous and much brighter than daylight. It illuminates what is near but plunges the surroundings into darkness, or something resembling moonlight. Spaces appear as dimly lit stages and, regardless of the ambient light that exists, everything seems to be happening at the sunless end of the day. Alex Majoli’s approach to image making constitutes a profound reflection upon the conditions of theatricality that are implicit in both photography and a world we have come to understand as something that is always potentially photographable. If the world is expecting to be photographed, it exists in a perpetual state of potential theatre. In photographs we do not see people, we see people who have fulfilled their potential to be photographed. People in photographs strike us as both actual and fictional at the same time. Actual in that their presence before the camera has been recorded; fictional in that the camera has created a scenic extract from an unknowable drama. The illusionism of photography is inseparable from the contemplation of its illusion. This does not negate the documentary potential of the image although it does imply that documentary itself ought to accept the theatricality of its own premise. His images do this not by resolving the tensions between artwork and document but by dramatizing them, making them thinkable in the midst of our pictorial and documentary encounter with the contemporary world. – David Campany

February 22 – April 28, 2019 – Le Bal – Paris

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Le mostre dell’Italian Street Photo Festival

Durante la seconda edizione dellItalian Street Photo Festival, che si terrà a Roma dal 26 al 28 aprile, si avrà la possibilità di visitare tre mostre dedicate interamente alla Street Photography.

Nikos Economopoulos è nato nel Peloponneso, in Grecia. Ha studiato legge a Parma, in Italia, e ha lavorato come giornalista. Nel 1988 ha iniziato a fotografare in Grecia e in Turchia e alla fine ha abbandonato il giornalismo per dedicarsi alla fotografia. È entrato in Magnum nel 1990 e le sue fotografie hanno iniziato ad apparire su giornali e riviste in tutto il mondo. Nello stesso periodo, ha iniziato a viaggiare e fotografare molto nei Balcani.

Pau Buscató è un fotografo di Barcellona, ​​con sede in Norvegia dal 2009 (prima Bergen, Oslo ora). Dopo aver studiato e lavorato nel campo dell’architettura per molti anni, alla fine ha lasciato il 2014 per dedicarsi esclusivamente alla fotografia di strada. È membro del collettivo internazionale Burn My Eye dal 2017. Dopo un avvio lento nel 2012, Pau ha iniziato a lavorare a tempo pieno in Street Photography nel 2014

La terza mostra vedrà esposte le immagine dei finalisti dei concorsi indetto in occasione del festival.

26-28 aprile 2019 – Officine Fotografiche – Roma

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Le mostre di Fotografia Europea 2019

Torna a Reggio Emilia Fotografia Europea. La XIV edizione – che quest anno seguirà il tema Legami – si svolgerà dal 12 aprile al 9 giugno 2019 con mostre, conferenze, spettacoli e workshop.

Tra le mostre del circuito principale vi segnaliamo, fra le altre Horst P. Horst a Palazzo Magnani, Larry Fink a Palazzo Da Mosto, Vincenzo Castella alla Sinagoga. Tornano le mostre ai Chiostri di San Pietro dove saranno ospitate diversee mostre a tema Giappone, il paese ospite di quest’edizione di Fotografia Europea. Tema che verrà declinato con mostre di autori giapponesi emergenti, ma anche con progetti di autori europei o asiatici.

Dal 12 aprile al 9 giugno – Reggio Emilia, sedi varie

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Charlie surfs on lotus flowers – Simone Sapienza

Spazio Labo’ presenta la mostra Charlie surfs on lotus flowers di Simone Sapienza, progetto espositivo che nasce dall’omonimo libro edito nel 2018 da AKINA.
Affascinato dalle contraddizioni delle conseguenze della guerra in Vietnam, un paese che si trova in un limbo tra l’economia capitalista di libero mercato e le rigide leggi del Partito Comunista, Simone Sapienza ha intrapreso un viaggio personale in una delle nazioni che più hanno influenzato la storia del secondo Novecento.
Charlie surfs on lotus flowers è un ritratto del Vietnam attuale tra memorie di occupazione, tracce di comunismo e desiderio di consumismo.
Circa quarant’anni dopo la vittoria dei Vietcong contro l’America, il Vietnam ha oggi cambiato radicalmente sogni e ambizioni. Resa forte da una popolazione giovanissima e da una nuova generazione piena di energia, l’economia del Vietnam detiene uno tra i più alti tassi di crescita al mondo. Tuttavia, dietro questa illusoria libertà di mercato, il governo comunista detiene ancora il potere politico assoluto. Partendo da una profonda fase di ricerca a livello storico, il progetto è una documentazione metaforica della società vietnamita contemporanea, con un’attenzione particolare su Saigon, ultima città conquistata dai Vietcong ed oggi motore dell’economia nazionale.

Dopo tutta quella fatica ad allontanare l’Occidente e a difendere l’uguaglianza, ci si è finalmente conquistati la libertà di essere diversi gli uni dagli altri, proprio come lo sono tutti là fuori. Oggi il Vietnam è un paese giovanissimo fatto di led e di plexiglas, una delle future tigri asiatiche che, a turno, ricordano al mondo quanto tempo ha perso per cercare di cambiarle, e quanto tempo perde adesso a rincorrerle. E mentre tutti si sorbiscono la globalizzazione e il neoliberismo facendo finta che siano una scelta, lì la storia viene imposta dal Partito Comunista nazionale con sincero totalitarismo: privatizzazioni e libero mercato, meno tasse e più sorrisi. […] La globalizzazione, a quanto pare, comincia proprio a metà degli anni settanta, quando gli Stati Uniti, uscendosene dallo scenario vietnamita, consacrano questa nuova, grande, fantastica strategia: combattere il fuoco con il fuoco non serve e niente. L’ideologia non si batte con l’ideologia, e soprattutto la resistenza non si batte resistendo. Al potere basta l’economia. E una manciata di immagini.
Dal testo critico di Roberto Boccaccino.

4 aprile – 24 maggio 2019 – Spazio Labò – Bologna

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Lisetta Carmi – Da Genova verso il resto del mondo

Il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore, ente nato per volontà della FIAF – Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, associazione senza fini di lucro che si prefigge lo scopo di divulgare e sostenere la fotografia su tutto il territorio nazionale, presenta la nuova mostra retrospettiva “Lisetta Carmi – Da Genova verso il resto del mondo” che si terrà al CIFA da sabato 30 marzo a domenica 2 giugno 2019 (Via delle Monache 2, Bibbiena, AR). Inaugurazione prevista per il 30 marzo a partire dalle ore 16.30.

Il percorso espositivo è suddiviso in 11 temi che partono dal racconto del porto e dei travestiti di Genova, passando per Israele, la Sardegna, Parigi, il Venezuela, l’Afghanistan, l’Irlanda, l’India e la Sicilia. L’occhio fotografico della Carmi si posa su particolari significativi e l’autrice riesce a sintetizzare in poche immagini l’atmosfera di un luogo. Tra questi reportage sono stati inseriti due ritratti del poeta americano Ezra Pound: in breve tempo e con pochi scatti, riesce a cogliere l’essenza più profonda del personaggio, compiendo un capolavoro di introspezione psicologica che verrà premiato nel 1966 con il “Premio Niépce per l’Italia”.

Se si esclude il lavoro sulla metropolitana di Parigi dove le persone perdono la propria riconoscibile identità per diventare massa in movimento che percorre spazi artificiali e disumanizzanti, sono sempre le persone ad attrarre la sua attenzione. Attraverso di loro riesce a darci un’immagine della loro vita e dei luoghi che abitano.

Nella serie sull’India la figura del protagonista è affidata al suo maestro, Babaji, ritratto in immagini particolarmente evocative della spiritualità che emana dai suoi atteggiamenti, ma in tutti gli altri casi è un’umanità ai margini del mondo industriale e postindustriale contemporaneo che popola le fotografie di Lisetta.

In molti suoi servizi, a cominciare dal quello sui travestiti, compaiono i bambini, che con la loro naturale innocenza superano ogni pregiudizio. Lì però non sono i protagonisti come in quello su Israele dove i bimbi ebrei e palestinesi ci fissano con sguardi che rendono difficilmente condivisibili le ragioni degli scontri tra i due popoli. O quello sull’Irlanda del Nord: vederli giocare tra le macerie fisiche e morali provocate da una lotta fratricida, da una parte stempera la drammaticità degli avvenimenti, dall’altra ci conferma tutto l’orrore che suscita la violenza. I bambini che appaiono in misura più o meno rilevante in ogni tema, assumono il ruolo di mediatori tra la realtà contradditoria e spesso drammatica del presente, e la speranza verso un futuro migliore.

Lisetta Carmi ha realizzato i suoi lavori fotografici nell’arco di 18 anni; poi la sua vita cambia completamente grazie all’incontro con il maestro indiano Babaji, e nell’ultima parte si ritira a Cisternino. Lisetta vive di spiritualità in modo spartano e senza i moderni mezzi di comunicazione come il computer e Internet. Vicino a casa sua però c’è un edicolante che non solo espone i suoi libri, ma le fa anche da tramite con il resto del mondo ricevendo la posta elettronica a lei indirizzata e inviando le sue risposte. Anche se distante dal mondo, vuole continuare a capirlo.

30 marzo – 2 giugno 2019 – CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore, Bibbiena

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Alessandra Calò – Kochan

Kochan è il nome del progetto fotografico che Alessandra inizia nel 2016 quando scopre che la New York Public Library aveva messo online una buona parte dei suoi documenti d’archivio.

Trascorre giorni interi tra carte geografiche, manoscritti e lettere. Ma è dalle mappe che viene attratta e, accompagnata dai loro segni e dalle loro tracce, decide di affiancarle ad una serie di autoritratti.

“Kochan” è un nome: quello del protagonista di “Confessioni di una maschera” (Yukio Mishima, 1949). Una sorta di diario di viaggio, che accompagna il lettore alla scoperta di frammenti di vita e identità del protagonista.

In questo elegantissimo e intenso “viaggio” personale ma universale,  dove mappe e materiali d’archivio si sovrappongono ad aree del corpo e viceversa, Alessandra Calò registra implacabile stati d’animo, fantasie, turbamenti, dolori e gioie che si susseguono dietro il percorso a prove ed errori, della ricerca di noi stessi e lo fa con un impegno talmente minuzioso e sincero da provocare in chi guarda le sue immagini quasi la sensazione di una profanazione, come se ci spingesse nel luoghi più reconditi e privati.

Partendo da riflessioni sul concetto di identità, in questo progetto anche lei, come Kochan, ha cercato di immaginare il viaggio che ogni persona compie per scoprire e affermare se stesso, considerando il corpo come fosse territorio da esplorare.

Un percorso indubbiamente non semplice: “Ho voluto paragonare il corpo a un territorio da esplorare, come in un viaggio dove la mappa non possiede coordinate – spiega la Calò – In questo progetto fotografico ho sovrapposto immagini e documenti d’archivio e, per la prima volta, ho deciso di inserire un elemento umano contemporaneo. In particolare mi sono posta di fronte alla macchina fotografica, scegliendo di rendere la mia identità – fisica e intellettuale – soggetto di questa ricerca”.

La sua raffinatezza e delicatezza visiva sono molto somiglianti al modo con cui Mishima, con parole di assoluta bellezza, narrava dell’amore e del desiderio, del corpo e dell’anima, indicando quanto sia profondamente doloroso lottare con se stessi alla ricerca di una propria identità.

Dall’8 aprile al 1 giugno – Galleria VisionQuesT 4rosso – Genova

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Vincenzo Castella –  Milano

“Vincenzo Castella ritrae il mondo non come somma di forme, linguaggi e oggetti ma come correlazione di spazi privati e collettivi della nostra società”. Frank Boehm

Dal 27 febbraio al 27 aprile 2019, BUILDING presenta Milano, mostra personale di Vincenzo Castella, a cura di Frank Boehm. La mostra – che si compone di trenta opera di medio e grande formato, oltre cento immagini inedite del lavoro sulla costruzione dello stadio di San Siro e tre proiezioni video – vuole essere un’antologia inedita sul lavoro svolto da Vincenzo Castella a Milano. Artista riconosciuto a livello internazionale, la produzione di Castella si colloca principalmente nell’ambito della fotografia di paesaggio, inteso come contesto costruito dall’uomo e ambiente scenico proprio delle città. Il titolo della mostra è significativo, chiara intenzione di un tributo alla città protagonista dell’esposizione e filo conduttore di una produzione che compare nella ricerca di Vincenzo Castella già dalla fine degli anni ottanta. Milano è per l’artista città d’adozione, attuale residenza, il luogo dove la ricerca sulla città ha il suo inizio. Il progetto espositivo è costruito attraverso immagini di grande formato, caratteristiche della produzione di Castella, organizzate dal curatore Frank Boehm in tre sezioni: Rinascimento, Contesto Urbano e Natura. La mostra si apre con le vedute di interni rinascimentali milanesi, chiese, angoli e mura sacre fra i più noti, come il Cenacolo vinciano e la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, che costituiscono la parte più recente della produzione dell’artista. Gli spazi del primo e del secondo piano ospitano gli scatti sul contesto urbano di Milano, con un approfondimento sulla costruzione dello stadio di San Siro, serie del 1989 da cui successivamente prende forma e si sviluppa la produzione artistica legata agli spazi urbani. Al terzo piano il tema è legato alla natura: Castella non cerca una natura paesaggistica, ma guarda a una natura interna, mediterranea e tropicale, collezionata e adattata all’altezza di una architettura che la ospita, sviluppata attraverso l’educazione umana. Un’attenzione che inizia per l’artista nel 2008 e che tutt’oggi prosegue come tensione per un’ipotesi di nuove riflessioni.

La rappresentazione e così l’analisi della città si compongono dall’esperienza di ambienti così diversi tra di loro, legati concettualmente da un approccio di straniamento: mentre tutte le foto ritraggono luoghi quotidiani ed accessibili, ripresi da punti di vista terrestri – l’artista e lo spettatore fanno sempre parte dello stesso spazio, interno all’architettura, interno alla metropoli – le immagini sono tutt’altro che comuni. La misura della distanza crea una sensazione di straniamento, un nuovo punto di vista. La realizzazione delle stampe di grande formato, sui cui l’artista è solito lavorare, richiede grande impegno e tempi lunghi nella preparazione dell’opera finale. Questo approccio di lavoro fa sì che la produzione delle immagini di Vincenzo Castella si distribuisca nel tempo in modo rarefatto, con opere di una cura e una qualità del dettaglio estremi.

Dal 27 febbraio al 27 aprile – Building – Milano

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Tina Modotti fotografa e rivoluzionaria

Sessanta immagini, tra le più importanti ed evocative del percorso umano, politico e artistico di Tina Modotti. In particolare, brillano all’interno della mostra i capolavori scattati durante gli anni messicani, periodo maggiormente fecondo e appassionato dell’attività della Modotti. 
La mostra ricostruisce in maniera il più possibile documentata la sua straordinaria vicenda artistica come la sua non comune vicenda umana che la rese protagonista in quegli anni in Messico, Russia, Spagna, Germania.
Nata a Udine alla fine dell’Ottocento, Tina Modotti è stata un esempio straordinario di donna e di fotografa profondamente impegnata nella società. Attrice, modella, rivoluzionaria, fotografa: donna audace e scandalosa, dal fascino esotico, emigrata per inseguire la carriera di attrice a Hollywood, trova la fotografia e l’amore con Edward Weston; insieme saranno in Messico dove scopre un intero paese, la sua vera vocazione di fotografa e di rivoluzionaria. 
La carriera fotografica di Tina Modotti è breve, ma articolata. Da una prima fase “romantica”, come venne definita da Manuel Alvarez Bravo, in cui si dedica alla natura, passa a una fase decisamente più rivoluzionaria in cui racconta la vita e il lavoro: la fotografia diventa allora un mezzo per le sue denunce sociali. Frequenta i più importanti artisti e intellettuali messicani e americani, da Frida Kahlo a Dos Passos, ai pittori muralisti; coltiva la sua passione e il suo impegno politico al punto di utilizzare il mezzo fotografico come strumento della sua militanza, pubblicando per riviste di partito. Bandita dal suo paese d’adozione in seguito a una accusa di tentato omicidio, Tina torna in Europa, vive nella Russia Sovietica, si occupa di rifugiati e perseguitati politici. Infine si unisce alle Brigate Internazionali nella guerra civile spagnola dove incontra e frequenta personaggi del calibro di Capa, Hemingway, Malraux. Al suo ritorno in Messico, sotto pseudonimo, insieme al suo compagno nella vita e nella lotta politica, Vittorio Vidali, conduce una difficile vita da clandestina. Muore in circostanze misteriose il 5 gennaio 1942. Neruda scriverà una poesia dedicata a lei, i cui primi versi saranno l’epitaffio scolpito sulla sua lapide,

13 aprile – 1 settembre 2019 –
Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, Palazzo Bisaccioni, Jesi (AN)

Thomas Struth

La Fondazione MAST presenta una selezione di grandi fotografie a colori realizzate da Thomas Struth a partire dal 2007 in siti industriali e centri di ricerca di tutto il mondo, che rappresentano l’avanguardia della sperimentazione e dell’innovazione tecnologica. Artista tra i più noti della scena internazionale, Struth, nelle 25 immagini di grande formato esposte nella PhotoGallery di MAST, ci mostra luoghi solitamente inaccessibili, offrendoci uno spaccato del mondo che si cela dietro la tecnologia avanzata.

Laboratori di ricerca spaziale, impianti nucleari, sale operatorie, piattaforme di perforazione sono fotografati con minuziosa attenzione, distaccata curiosità e una spiccata sensibilità estetica. L’artista punta l’attenzione sulle macchine in quanto strumenti di trasformazione della società contemporanea e ci mostra una serie di sperimentazioni scientifiche e ipertecnologiche, di nuovi sviluppi, ricerche, misurazioni e interventi che in un momento imprecisato, nel presente o nel futuro, in modo diretto oppure mediato, faranno irruzione nella nostra vita e ne muteranno il corso. Attraverso queste opere siamo in grado di percepire tutta la complessità, la portata, la forza dei processi, ma anche di intuire il potere, la politica della conoscenza e del commercio che essi celano.

Su un versante tematico diverso, al livello 0 della Gallery, nella videoinstallazione Read This Like Seeing It For The First Time (Leggilo come se lo vedessi per la prima volta) del 2003, l’artista rappresenta il lavoro umano, la capacità propria dell’uomo di operare con la massima precisione manuale e artistica. Il video, che registra cinque lezioni di chitarra classica svolte da Frank Bungarten nell’Accademia musicale di Lucerna, illustra l’interazione puntuale tra insegnante e studenti, lo scambio necessario tra insegnamento e apprendimento, tra il dare e il ricevere.

2 febbraio  – 22 aprile – MAST Bologna

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Il colore e la geometria dell’anima – Franco Fontana

Si inaugura il prossimo 9 aprile alle ore 17.30 questa splendida retrospettiva sul lavoro di Franco Fontana, uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea.
Direttore artistico: Giovanni Gastel
Curatrice: Maria Cristina Brandini

9 – 28 aprile – Broletto – Como

Birgit Jürgenssen Io sono.

Io sono. è la prima grande retrospettiva che un’istituzione museale italiana dedica a Birgit Jürgenssen (Vienna, 1949-2003), tra le più importanti e sofisticate interpreti delle istanze del suo tempo.

La GAMeC rende omaggio a questa straordinaria e ancora poco valorizzata artista ospitando un progetto espositivo, a cura di Natascha Burger e Nicole Fritz, nato in stretta collaborazione con Estate Birgit Jürgenssen, Kunsthalle Tübingen (Germania) e Louisiana Museum of Modern Art di Humlebæk (Danimarca). Birgit Jürgenssen ha attinto ai linguaggi del Surrealismo per trattare convenzioni sociali, sessualità, canoni di bellezza e rapporti tra i sessi con un linguaggio ironico e un umorismo sovversivo che ha spesso coinvolto l’immagine dell’artista stessa. Il corpo messo in scena non è mai ostentatamente esibito, quanto piuttosto celato e poi svelato attraverso l’uso di maschere, inserti, materiali naturali, quasi delle estensioni, o protesi, utili a scandagliare le profondità psicologiche ed emotive del femminile. Articolata in sei sezioni, Io sono. offre uno spaccato esaustivo sulla produzione dell’artista austriaca attraverso oltre 150 lavori realizzati in quarant’anni di ricerca, tra disegni, collage, sculture, fotografie, rayogrammi, gouache e cianotipie. Il percorso espositivo occupa tutte le sale della Galleria, dai disegni dell’infanzia, firmati “BICASSO”, ai lavori più maturi, di grande formato, passando attraverso i giochi linguistici e letterari, che raccontano la contaminazione tra narrazione e rappresentazione, fino a focalizzarsi, nella parte centrale, sui due grandi temi che contraddistinguono la ricerca dell’artista: il genere e la natura. In origine Birgit Jürgenssen intendeva soprattutto mostrare e contestare “i pregiudizi e i modelli di comportamento a cui sono soggette le donne all’interno della società”. Per farlo adottò un’ironia pungente, giocando con i diversi concetti di identità. L’abitazione privata, vista come luogo deputato alle funzioni femminili, diviene, nelle sue opere, un luogo di costrizione, e oggetti quotidiani come scarpe, abiti e fornelli vengono presentati in maniera enigmatica o sarcastica. L’artista interroga e decostruisce, così, il mito del potere e del desiderio degli uomini senza cadere nella trappola di un dualismo semplificato, estendendo la sua riflessione a tutti i modelli di genere, sia maschili sia femminili, codificati dalla società. Ma sin dagli anni Settanta il suo pensiero si evolve, aprendosi a nuove considerazioni sulla natura profonda dell’uomo e sul rapporto natura-cultura. Queste tematiche, fino ad ora messe in secondo piano nel racconto dell’esperienza dell’artista, trovano ampia descrizione all’interno della mostra. Lo Strutturalismo, la Psicanalisi e l’Etnologia hanno infatti stimolato Birgit Jürgenssen a interrogarsi sulla dialettica tra componente animale, istintuale, e identità femminile, e sulla svalutazione e il feticismo dell’oggetto. Il “pensiero selvaggio” di Jürgenssen la spinge a tracciare sul proprio corpo le relazioni tra uomo e animale. In questo processo l’artista dà vita a creature ibride, in cui l’animale è ancorato, innestato all’interno dell’essere umano, secondo un sistema di relazioni fluide. Lo stesso accade con gli elementi vegetali, attraverso una serie di lavori che mettono in discussione la visione antropocentrica più comune, promuovendo un punto di vista sistemico attorno ai processi del vivente. Ciò che trova espressione nei lavori dell’artista sono corpi percepiti non come forme, ma come “formazioni”, organismi viventi che promuovono una sensibilità ecologica “profonda”, un’attenzione per il valore intrinseco delle specie, dei sistemi e dei processi naturali. L’opera di Birgit Jürgenssen assume un nuovo significato nel nostro presente: in un momento storico in cui assistiamo alla rimessa in discussione di principi e diritti fondamentali e a una progressiva banalizzazione delle questioni legate al femminile e, più in generale, all’identità di genere, il suo approccio non rigidamente ideologico ma più radicato nella sfera individuale e intima infonde nuova concretezza al potere emancipatorio dell’arte.

7 MARZO – 19 MAGGIO 2019 – GAMEC  Bergamo

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Love by Leica

La mostra sarà visitabile presso la Leica Galerie Milano (via Mengoni 4) dal 19 marzo al 30 aprile 2019. 
Nobuyoshi Araki ( Tokyo, 1940 ) è indiscutibilmente tra i fotografi più radicali e influenti del nostro tempo. La sua opera è stata eccezionalmente produttiva e innovativa ed è considerato una figura di riferimento nella sfera dell’arte contemporanea, ben oltre l’ambito della fotografia. Le 48 fotografie della serie Love by Leica, ora presentate alla Leica Galerie di Milano, formano una delle sue opere più emozionanti.
Con le sue foto di bondage, Araki ha sviluppato una scrittura visiva unica, creando un ritratto poetico e provocatorio di passione umana che punta oltre la cultura giapponese. Ha inventato il concetto di “ego fotografico”, a significare l’intrigante interazione tra finzione, realtà e desiderio.
Capolavoro della mostra è la serie Love by Leica (2006), una densa collezione di ritratti femminili e nudi in bianco e nero, che Araki ha fotografato con la Leica M7 a pellicola. I suoi studi controversi e intimi sui corpi delle donne, influenzati dall’iconografia erotica del periodo Edo (un tempo di pace e prosperità in Giappone, 1603-1868), nonché dall’estetica lucida del mondo della pubblicità e dei mass media, lo hanno reso celebre a livello internazionale e sono una delle sue tematiche più ricorrenti del suo universo artistico.

al 19 marzo al 30 aprile 2019 – Leica Galerie – Milano

Love, Ren Hang

Late iconic photographer Ren Hang is currently being honored with a dynamic solo presentation at The Maison Européenne de la Photographie in Paris. The Beijing-based artist took his own life in 2017 after suffering from cyclical depression.

The exhibition titled, “Love, Ren Hang,” will showcase over 150 archival photographs by Hang. These images offer a raw view of the late photographer’s visually moving practice spanning portraits of his mother, provocative snapshots of his close friends and photographs of nightlife in China. His prolific works have served as a form of commentary, touching on topics of self-identity and sexual freedom. In addition, the show also aims to highlight Hang’s overlooked poetry that is a major influence on his photographic work.

06.03.2019 – 26.05.2019 – Maison Européenne de la Photographie – Paris

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Skin ProjectSilvia Alessi

SpazioRaw in collaborazione con il Bìfoto Festival della Fotografia in Sardegna, propone il lavoro di Silvia Alessi, realizzato in India nel 2017.

La mostra viene presentata a Milano e inserita in programma all’edizione 2019 del Festival di Fotografia in Sardegna.

Skin Project è il racconto per immagini della pelle in India, realizzato nel 2017 a Delhi, Agra, Bhopal e Mumbai.

Il progetto nasce quando casualmente viene vista su Instagram una fotografia di una ragazzina albina, di nome Namira, in un treno suburbano di Mumbai. Da qui l’idea di ritrarre diverse donne colpite dall’acido con una ragazza albina.

Gli albini possiedono un grande fascino visivo, una bellezza particolare, però in molti paesi sono emarginati, vittime di pregiudizi e di scherno, a causa della loro pelle, e non sono facili da avvicinare. Sono timidi e diffidenti, le donne sono tormentate dalla paura di non riuscire a sposarsi. Questo destino di emarginazione colpisce anche le donne vittime di una forma di violenza particolarmente odiosa, molto diffusa nella subcultura indiana: l’attacco con l’acido.

27 aprile – 16 maggio 2019 – spazioRAW – Milano

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Dennis Hopper, Photography

ONO arte è lieta di presentare la mostra “Dennis Hopper, Photography” che ripercorre il lavoro fotografico di uno degli attori più amati e controversi della storia del cinema. Dennis Hopper è stato uno dei simboli della cultura hippie e della controcultura americana insieme ad altri personaggi come Peter Fonda e Jane Fonda. Uomo pieno di contraddizioni Hopper non ha mai fatto mistero di essere un sostenitore repubblicano, almeno fino a quando Barack Obama si è presentato sulla scena politica. Hopper è stato quello che si definisce artista prolifico, poliedrico e infaticabile. E lo è stato fino alla fine dei suoi giorni. Non si è contenuto nemmeno nella vita privata sposandosi 5 volte. Una di queste, con la cantante dei Mamas and Papas Michelle Phillips, anche se il matrimonio è durato pochi giorni. Hopper esordisce con James Dean in Gioventù bruciata ma è con Easy Rider, di cui è stato anche regista, che diventa icona mondiale della ribellione giovanile. Personaggio caratterialmente difficile, la sua carriera è stata scomoda come i personaggi da lui interpretati. La sua ricerca non poteva fermarsi al cinema e ad una sola esperienza artistica. Già negli anni 60, con una macchina fotografica ricevuta in regalo dalla prima moglie, Hopper inizia a scattare foto a persone e a paesaggi, come quelle di Taos, New Mexico, il luogo dove Hopper si stabilisce al temine della realizzazione di Easy Rider e dove riposano le sue spoglie. Peculiarità di Hopper era quella di usare anche macchine molto economiche e di sviluppare le pellicole con gli strumenti non professionali che si trovavano nei drugstore dove spesso si fermava quando era on the road, magari di passaggio per arrivare in Kansas dove era nato. Le fotografie di Hopper raccontano l’America vista attraverso lo sguardo di uno dei suoi figli più illustri e controversi. Il suo occhio ha sempre cercato di catturare i cambiamenti socio-culturali di un paese di frontiera mostrandoci paesaggi e personaggi come in un film mai girato. La mostra (28 febbraio – 28 aprile) si compone di 30 scatti, è realizzata in collaborazione con Solares Fondazione delle Arti, ed è in contemporanea con la mostra “Marilyn and The Misfits”. Ingresso libero

28 febbraio – 28 aprile – Ono Arte Contemporanea – Bologna

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Marilyn Monroe & The Misfits

ONO arte è lieta di presentare la mostra “Marilyn Monroe & The Misfits” che racconta attraverso le fotografie e la memoria di Ernst Haas, fotografo di scena accreditato, sia il making che il dietro le quinte di uno dei film più importanti della seconda metà del secolo scorso, Gli spostati, appunto come fu tradotto in italiano il film diretto di John Huston uscito in Italia nel 1961. The Misfits racchiude in sè tutti gli elementi che contribuiscono a rendere una pellicola eterna. John Huston, maestro del cinema d’oro americano, dirige un cast composto da Clark Gable, una delle leggende di Hollywood alla sua ultima apparizione proprio sul set di The Misfits, Montgomery Clift, altra leggenda che ben presto finirà nella lista dei dannati di Hollywood, e Marilyn Monroe che recita in quello che sarà l’ultimo film completo. A tessere le fila Arthur Miller, scrittore e sceneggiatore americano, dal 1956 secondo marito della Monroe, e autore di alcuni capolavori della letteratura e del teatro americano, tra cui Morte di un commesso viaggiatore. Miller scrive la sceneggiatura e la regala alla moglie nel 1960 per celebrare San Valentino. Quando iniziano le riprese i due sono in realtà oramai vicini al divorzio che verrà firmato nel novembre del 1960. La sceneggiatura scritta da Miller per la moglie narra di una donna ingenua e insicura che, da poco separatasi dal marito, conosce due uomini, Clark Gable e Montgomery Clift, con i quali stringe amicizia. Marilyn in quel periodo aveva avuto già alcuni ricoveri e frequentava uno psichiatra di Los Angeles che aveva notato l’eccessivo utilizzo di psicofarmaci da parte dell’attrice. Durante le riprese nel deserto del Nevada infatti Marilyn arrivava sul set con ritardi eccessivi costringendo gli altri attori ad attese snervanti. Clark Gable morì pochi giorni dopo la fine delle riprese e la moglie attribuì il decesso del marito, già malato di cuore, proprio a questo. Pur non essendo stato un successo commerciale The Misfits è diventato un instant classic del cinema mondiale. Arthur Miller lo definì invece il punto più basso della sua carriera. Con il compenso del film acquistò un ranch nel quale sarebbe poi morto nel 2005. Straordinarie le scene con i cavalli selvaggi fotografate da Ernst Haas. La mostra (28 febbraio – 28 aprile) si compone di 15 scatti ed è in contemporanea con la mostra “Dennis Hopper, Photography”. Ingresso libero.

28 febbraio – 28 aprile – Ono Arte Contemporanea – Bologna

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CAPIRE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO

L’idea centrale della mostra è che la Terra non morirà.
Soffrirà, cambierà, muterà, ma non scomparirà. 
A scomparire potrebbero essere le condizioni per la vita umana.
La temperatura della Terra è aumentata di oltre un grado Celsius nell’ultimo secolo, il 2018 è stato il quarto anno più caldo della storia a livello globale e il primo anno più caldo in Italia, Francia e Svizzera. Capire le cause e conoscere gli effetti del riscaldamento globale è un passo fondamentale per contrastare questa tendenza e cambiare il corso del nostro futuro. In mostra, oltre 300 scatti fotografici realizzati da grandi maestri della fotografia del National Geographic, raccontano la profonda trasformazione del Pianeta causata dal riscaldamento globale: dalla fusione dei ghiacci perenni che si riducono oltre 400 miliardi di tonnellate ogni anno, ai fenomeni meteorologici estremi come le ondate di caldo senza precedenti o l’incremento di tempeste e uragani, dall’aumento di periodi di intensa siccità all’aumento dei livello dei mari di 3,4 millimetri all’anno. Questi drammatici cambiamenti interessano tutte le regioni del Pianeta e sono destinati a intensificarsi nei prossimi decenni se non si mettono in atto interventi efficaci.

7 marzo – 26 maggio 2019 – Museo di Storia Naturale di Milano

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Mostre segnalate per il mese di Giugno

Ciao,

davvero fantastiche le mostre che vi aspettano a giugno!

Non dimenticate di dare un’occhiata alla pagina delle mostre sempre aggiornata.

Anna

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Mostre segnalate per il mese di aprile

Ciao a tutti,

ecco le mostre imperdibili che vi proponiamo per aprile.

Anna

Frank Horvat. Storia di un fotografo

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La fotografia è l’arte di non premere il bottone – Frank Horvat

Celebre per le sue fotografie di moda, pubblicate dagli anni ‘50 su riviste quali Vogue e Harper’s Bazaar, Frank Horvat è un fotografo eclettico che, nel corso della sua lunga carriera, ha affrontato a livello altissimo svariati temi: il reportage sociale e di viaggio anche per l’Agenzia Magnum, il paesaggio, i ritratti, il rapporto con l’arte.

Fotoreporter attento a un’umanità sconosciuta di mondi lontani, fotografo di moda che immerge le sue modelle nei fatti quotidiani, è artista sensibile alla storia dell’arte, pronto a confrontarsi con la pittura e affascinato dalla scultura. Un fotografo di paesaggi attratto dal rapporto tra uomo e natura, che si dedica anche a esplorazioni interiori, a virtuosismi digitali e a una ricerca fotografica improntata alla libertà del suo sguardo.

Nell’esposizione “Frank Horvat. Storia di un fotografo”, prodotta dai Musei Reali e curata da Horvat stesso, l’artista rintraccia una chiave interpretativa del suo lavoro, frutto di una carriera lunga settant’anni. Accanto alle sue opere, l’artista presenta per la prima volta in assoluto una parte della sua collezione privata, immagini che rappresentano in modo iconico la storia della fotografia, proponendo scatti di Irving Penn, Edward Weston, Henri Cartier Bresson, Sebastiao Salgado, Edouard Boubat, con alcuni dei quali ha instaurato un vero e proprio dialogo.

28/02/2018 – 20/05/2018 – Musei Reali di Torino

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Paolo Ventura – Racconti Immaginari

Per questa mostra all’Armani/Silos, Paolo Ventura racconta un mondo immaginato, tra narrazione e gioco, dove le diverse forme espressive sono il mezzo per trasformare il sogno in realtà. Con ‘Racconti Immaginari’ il fotografo trasformista propone un importante gruppo di opere, oltre cento, accuratamente selezionate per rappresentare il suo percorso evolutivo.

Il fotografo trasformista racconta un mondo immaginato, tra narrazione e gioco, dove le diverse forme espressive sono il mezzo per trasformare il sogno in realtà.

Dall’8 Marzo al 29 Luglio – Armani Silos – Milano

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Kyle Thompson – Retrospettiva

La Reggia di Caserta accoglierà dal 28 marzo al 4 giugno 2018 la prima retrospettiva italiana di Kyle Thompson, fotografo staunitense.

I suoi scatti sono concettuali: nelle sue fotografie persone e luoghi raccontano storie, situazioni surreali e oniriche.
In atmosfere singolari con case abbandonate, foreste vuote, fiumi, laghi, è lui l’unica presenza: sono autoritratti surreali  e bizzarri.
Lui stesso esplora in tali contesti le proprie emozioni e sensazioni e interviene sulla scena con acqua, fumo, effetti di luce.

“Avevo una terribile difficoltà nel rapportarmi con le persone, quindi ho finito per usarmi in quasi tutte le mie foto, passando parecchie ore ogni giorno nel girovagare da solo attraverso foreste vuote facendomi autoritratti grazie al timer delle mie fotocamere” ha dichiarato.

Per la mostra di Caserta Thompson ha ideato un apposito progetto in cui si esplorano il contesto e l’ambiente intorno alle sue immagini.
Lo spazio naturale circostante è da lui considerato una sorta di palcoscenico e le sue immagini divengono dittici: una di grandi dimensioni è l’autoritratto dell’artista immerso in questi spazi naturali ma all’interno di aree urbane, l’altra di piccole dimensioni presenta il vero ambiente in cui questa natura è immersa. Ci si renderà conto di come la città modifichi la natura.

La rassegna è curata da Gabriela Galati.

dal 28 marzo al 4 giugno 2018  – Reggia di Caserta

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Sally Mann: A Thousand Crossings

For more than forty years, Sally Mann (American, born 1951) has made experimental, elegiac, and hauntingly beautiful photographs that explore the overarching themes of existence: memory, desire, death, the bonds of family, and nature’s magisterial indifference to human endeavor. What unites this broad body of work is that it is all bred of a place, the American South. A native of Lexington, Virginia, Mann has long written about what it means to live in the South and be identified as a southerner. Using her deep love of her native land and her knowledge of its fraught history, she asks provocative questions—about history, identity, race, and religion—that reverberate across geographic and national boundaries. Sally Mann: A Thousand Crossings considers how Mann’s relationship with this land has shaped her work and how the legacy of the South—as both homeland and graveyard, refuge and battleground—continues to permeate American identity.Organized into five sections—Family, The Land, Last Measure, Abide with Me, and What Remains—and including many works not previously published or publicly shown, the exhibition is the first major survey of the artist’s work to travel internationally. Featuring some 110 photographs, the exhibition is curated by Sarah Greenough, senior curator and head of the department of photographs, National Gallery of Art, and Sarah Kennel, the Byrne Family Curator of Photography, Peabody Essex Museum.

March 4 – May 28, 2018 – National Gallery of Art – Washington DC

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Martha Cooper: On the Street

Dal 14 marzo all’8 aprile, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia propone, nella sua Project Room, una sezione della mostra “Martha Cooper: On the Street”, curata da Enrico Bisi, che si inserisce nel programma del Sottodiciotto Film Festival & Campus (Torino, 16-23 marzo 2018).

La mostra, la più ampia mai dedicata in Italia alla storica fotografa del movimento hip hop, è articolata in tre sedi – CAMERA, il Cortile del Rettorato e la Biblioteca del Rettorato dell’Università degli Studi di Torino – ed è concepita come un percorso che segue l’evoluzione temporale e artistica di Martha Cooper che sarà ospite a CAMERA mercoledì 21 marzo, alle ore 18.30, per raccontare la sua fotografia.

La parte iniziale, allestita a CAMERA ospita circa quarantacinque scatti in bianco e nero risalenti alla metà degli anni Settanta e agli esordi di carriera dell’autrice, quando, giovane fotoreporter del New York Post, raccontava con le immagini la Grande Mela prima dell’avvento dell’hip hop, dedicandosi al paesaggio metropolitano e, soprattutto, ai giochi di strada dei giovanissimi.

“Martha – commenta il curatore Enrico Bisi – punta l’occhio sulla vita di New York. Nelle sue fotografie ci sono i sorrisi sdentati di ragazzini in mezzo alle macerie del Bronx, ci sono ‘Carrie’, ‘Super Fly’ e ‘Saturday Night Fever’ al cinema. I suoi soggetti sembravo volare, per saltare una pozzanghera e non infangarsi le scarpe, per tuffarsi in acqua, per lanciarsi dalle scale antincendio su un materasso sgualcito, per fare capriole, saltare con lo skate oppure volteggiare aggrappati a una fune che funge da altalena. Attraverso l’obiettivo, Martha Cooper cerca sempre qualcosa di vitale, che si muove, che respira, cerca quel battito, quel ‘beat’, che un momento c’è e quello dopo non c’è già più. È l’effimero che si respira in ogni fotografia della Cooper e si ha la sensazione di guardare qualcosa che non esiste già più. “

Dal 14 marzo all’8 aprile, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia Torino

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Henri Cartier-Bresson Fotografo

La mostra – curata in origine dall’amico ed editore Robert Delpir e realizzata in collaborazione con la Fondazione Henri Cartier-Bresson – è composta da 140 scatti che ci aiuteranno ad immergerci nel suo mondo, per scoprire il carico di ricchezza di ogni sua immagine, testimonianza di un uomo consapevole, dal lucido pensiero, verso la realtà storica e sociologica.

“Sono solo un tipo nervoso, e amo la pittura.” …”Per quanto riguarda la fotografia, non ci capisco nulla” (cit. Henri Cartier Bresson).

Non capire nulla di fotografia significa, tra l’altro, non sviluppare personalmente i propri scatti: è un lavoro che lascia agli specialisti del settore. Non vuole apportare alcun miglioramento al negativo, non vuole rivedere le inquadrature, perché lo scatto deve essere giudicato secondo quanto fatto nel qui e ora, nella risposta immediata del soggetto.

Per Cartier-Bresson la tecnica rappresenta solo un mezzo che non deve prevaricare e sconvolgere l’esperienza iniziale, reale momento in cui si decide il significato e la qualità di un’opera.

Henri Cartier-Bresson non torna mai ad inquadrare le sue fotografie, non opera alcuna scelta, le accetta o le scarta. Nient’altro. Ha quindi pienamente ragione nell’affermare di non capire nulla di fotografia, in un mondo, invece, che ha elevato quest’arte a strumento dell’illusione per eccellenza.

I suoi scatti colgono la contemporaneità delle cose e della vita. Le sue fotografie testimoniano la nitidezza e la precisione della sua percezione e l’ordine delle forme. “Fotografare, è riconoscere un fatto nello stesso attimo ed in una frazione di secondo e organizzare con rigore le forme percepite visivamente che esprimono questo fatto e lo significano. E’ mettere sulla stessa linea di mira la mente, lo sguardo e il cuore”.

L’obiettivo del curatore della rassegna Denis Curti è far conoscere e capire il modus operandi di Henri Cartier-Bresson, la sua ricerca del contatto con gli altri, nei luoghi e nelle situazioni più diverse, alla ricerca della sorpresa che rompe le nostre abitudini, la meraviglia che libererà le nostre menti, grazie alla fotocamera che ci aiuta ad essere pronti a coglierne e ad immortalarne il contenuto.

8 Marzo – 17 Giugno 2018 – La Mole Vanvitelliana  Ancona

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Seydou Keïta, Bamako Portraits

In the 1950s and 60s, a colourful collection of inhabitants of Bamako, capital of Mali, posed for Seydou Keïta (1921-2001, Mali).
People visited Keïta’s studio to have their picture taken at their best: wearing extravagant dresses made from wonderful textiles with splendidly formed headdresses, or posing in a modern Western suit with a bow tie, leaning against a motorcycle, or with a radio tucked under their arm. His oeuvre reflects a portrait of an era that captures Bamako’s transition from a cosmopolitan city in a French colony to the proud capital of independent Mali.

Keïta’s remarkable archive of over 10.000 negatives came to light in 1992 after a discovery by André Magnin, the then-curator of Jean Pigozzi’s contemporary African art collection. Modern prints were printed from the negatives with Keïta’s collaboration, allowing his work to be introduced to the art world. International fame quickly followed. The exhibition in Foam consists of signed modern prints, and a large selection of unique vintage prints.

Seydou Keïta – Bamako Portraits is part of an exhibition series about photo studios, presented by Foam in recent years. This series is based on the growing interest in ‘vernacular photography’ and its acknowledgement of social-historical and artistic value.The exhibition was developed in collaboration with the Contemporary African Art Collection (CAAC) – The Pigozzi Collection.

06 April 2018 – 20 June 2018 – Foam – Amsterdam

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ROBERT DOISNEAU – Pescatore d’immagini

Dal 23 marzo al 17 giugno 2018 il Museo della Grafica dell’Università di Pisa ospita la mostra “Robert Doisneau. Pescatore d’immagini”.

Curata dall’Atelier Robert Doisneau – Francine Deroudille e Annette Doisneau – in collaborazione con Piero Pozzi, prodotta e realizzata da Di Chroma Photography, ViDi – Visit Different, l’esposizione offre l’occasione di ammirare, attraverso una suggestiva selezione di 70 immagini in bianco e nero, l’universo creativo del grande fotografo francese.

Robert Doisneau (1912-1994), che amava paragonarsi a Eugène Atget, uno dei padri della fotografia del Novecento, percorre fotograficamente le periferie di Parigi per “impossessarsi dei tesori che i suoi contemporanei trasmettono inconsciamente”. È una Parigi umanista e generosa ma anche sublime che si rivela nella nudità del quotidiano; nessuno meglio di lui si avvicina e fissa nell’istante della fotografia gli uomini nella loro verità quotidiana, qualche volta reinventata. Il suo lavoro di intimo spettatore appare oggi come un vasto album di famiglia dove ciascuno si riconosce con emozione.

Noto oggi al grande pubblico, Doisneau, dopo essersi diplomato all’École Estienne, scopre la fotografia da giovane, mentre lavora in uno studio di pubblicità specializzato in prodotti farmaceutici. Nel 1931 è operatore da Vigneau e, nel 1934, fotografo per le officine Renault da cui viene licenziato cinque anni più tardi per assenteismo. Nel 1939 diviene fotografo-illustratore free-lance e nel 1946 entra definitivamente nell’agenzia Rapho. Nel 1974 la Galleria Chateau d’Eau di Toulouse espone le sue opere e, a partire dagli anni Settanta, ottiene i primi importanti riconoscimenti. Da allora le sue fotografie vengono pubblicate, riprodotte e vendute in tutto il mondo.

Autore di un grande numero di opere (gli archivi di Robert Doisneau comprendono circa 450.000 fotografie), Doisneau è diventato il più illustre rappresentante della fotografia “umanista” in Francia. Le sue immagini sono oggi conservate nelle più grandi collezioni in Francia, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna e sono esposte in tutto il mondo.

23 marzo / 17 giugno 2018 – Museo della Grafica – Pisa

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Izumi Miyazaki, There’s no place like home

Izumi Miyazaki is a young Japanese photographer who captivates her fans on the web by her self-portraits that seem to come out of another world. Story of a phenomenon.

Japan is a country full of paradoxes, that does not stop surprising by its traditions and by its hybrid culture that ranges from “Kawai” to excess. It is fascinating to observe its ability to get out of the most dramatic events as two atomic bombs, a major economic and identity crisis, repeated earthquakes and tsunamis with the irreversible damage we know.

When you are in your twenties in Japan, it is unlike anything comparable. When your name is Izumi Miyazaki, even the people of Tokyo are faced with a kind of alien. Close encounter of the third kind. A classic bob haircut, fine black hair, a dark look into the eyes of a doll face whose emotions have been erased. Immersed in the Surrealist masters like René Magritte, Izumi Miyazaki, coming from prestigious Musashino Art University in Tokyo, confesses a passion for Alfred Hitchcock and David Lynch. Her self-portraits practice cold humor and often feature absurd performances. The young photographer is not afraid to slice her head, adorning it with fresh tomatoes or fish in a human interpretation of sushi. If she never smiles in her photographs, it is probably to express her loneliness and maybe the difficulty of a connected youth to live in a real world. Izumi enjoys creating poetic and moving sceneries. Her work surprises as much as it fascinates, playing the codes of life 2.0. Addiction is close, Izumi Miyazaki, plays with an expression both poetic and deeply moving

Renaud Bergonzo

March 9 to April 30, 2018 –  bergonzofirstfloor – Paris

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Figure Contro – Fotografie della differenza.

Apre sabato 21 aprile, negli spazi dell’Abbazia di Valserena, sede dello Csac di Parma, la mostra Figure contro. Fotografia della differenza, nell’ambito dell’edizione 2018 di Fotografia Europea dal titolo Rivoluzioni. Ribellioni, cambiamenti, utopie. La mostra, a cura di Paolo Barbaro, Cristina Casero e Claudia Cavatorta, è interamente costruita con materiali provenienti dagli archivi del Csac e consente di “vedere” con chiarezza come la fotografia, soprattutto nel corso degli anni Settanta, abbia avuto un ruolo importante nel sensibilizzare le coscienze intorno a questioni nascoste, dimenticate, se non censurate, anche al di là di esplicite intonazioni di denuncia. Le “figure contro” evocate dal titolo sono quelle immortalate in questi scatti: persone escluse dal racconto sociale, letteralmente spinte ai margini, in quanto la loro stessa esistenza è in contrasto con le logiche imperanti nella moderna società. In altri casi, sono protagoniste figure che rispetto a queste logiche si pongono in contrasto, contro –  appunto – che protestano, manifestano, non si rassegnano, affermando un modello alternativo. Ma figure contro sono anche quelle delle fotografe e dei fotografi che hanno realizzato queste immagini: Giordano Bonora, Anna Candiani, Carla Cerati, Mario Cresci, Uliano Lucas, Paola Mattioli e Giuseppe Morandi. Ciascuno secondo la propria sensibilità e con il proprio linguaggio hanno contribuito a tradurre la fotografia da strumento di pura constatazione a strumento critico, di denuncia ma anche più sottilmente di riflessione.

21/04/2018 : 30/09/2018 – Abbazia di Valserena (PR)

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ELLIE DAVIES, Nebulae

Il termine latino nebula ha la capacità di evocare, ancora nella lingua corrente, un senso di mistero che avvolge e cela come la foschia. Allo stesso tempo, in ambito scientifico per nebula si intende “un oggetto celeste dall’ aspetto diffuso, simile a una piccola nube”. I due valori di questo termine trovano sintesi nelle serie di fotografie selezionate per la mostra.

Ellie Davies ambienta i propri scatti nella foresta inglese, luogo in cui confluiscono natura e cultura, ambiente e attività umana, esplorando la complessa interrelazione tra il paesaggio e l’individuo.

Come dichiara l’artista: “Le foreste britanniche sono state plasmate dal processo di intervento umano per migliaia di anni. Sono un simbolo potente nella cultura popolare, nelle favole e nei miti, luoghi di incanto e magia così come di pericolo e mistero. Nella storia più recente sono state associate agli stati psicologici relativi all’ inconscio”.

Oggi la maggior parte delle persone risiede in ambienti urbani o semi-urbani, vivendo il paesaggio da una posizione distanziata, filtrata dalla tecnologia e dai vari media. Da questa considerazione, la natura in tutta la sua sensuale materialità e il nostro essere al suo interno piuttosto che al di fuori di essa, sembra irraggiungibile. Ellie Davies affronta questo allontanamento attirando lo spettatore nel cuore della foresta, che conserva ancora mistero e offre il potenziale per la scoperta e l’esplorazione.

Il processo creativo la porta a isolarsi per lunghe ore nel silenzio della foresta. Questo stato, inizialmente disorientante, porta l’artista a sviluppare una percezione più sottile dell’universo attorno a sé, arrivando a coglierne in modo profondo lo spazio circostante e gli elementi che lo compongono, così da evidenziarne le potenzialità e coinvolgere lo spettatore. Come afferma l’artista: “Voglio che il mio lavoro faccia provare allo spettatore la sensazione di essere solo nella foresta. C’è una tensione e una quiete, una consapevolezza intensificata che si verifica: è ciò che voglio trasmettere nel mio lavoro e il motivo per cui sono da sola quando realizzo le immagini“.

Parte del fascino magnetico racchiuso dagli scatti della fotografa, sta nell’ immobilità cristallina degli elementi presenti in esso. Lo spazio maestoso e profondo è disseminato da elementi suggestivi e magici, che invitano alla contemplazione dell’universo naturale e sembrano alludere a un evento imminente. Per accentuare tale effetto, la fotografa dispone gli spazi come scenari pronti ad accogliere lo scatto, attraverso interventi site-specific: “Questi paesaggi modificati agiscono su svariati livelli. Sono il riflesso della mia personale relazione con la foresta e proiettano lo spettatore al suo interno, domandandogli di considerare come la loro propria individualità sia plasmata dall’ambiente in cui vivono”.

Per la mostra Nebulae presso la Galleria Patricia Armocida viene presentata una selezione di fotografie che sono parte di tre serie emblematiche della produzione dell’artista inglese.

In Between the Trees (2014), il processo di composizione di nubi artificiali tra gli alberi consente all’artista di trasmette l’esperienza personale di stare da soli nei boschi. Il fumo riempie gli spazi tra gli alberi, riflettendo questa esperienza fisica: la conoscenza palpabile e cupa della foresta, il suono attutito e appiattito, il senso pungente della consapevolezza accresciuta.

Ad essa si accosta la serie Stars (2014-2015), nata dalla combinazione di antichi paesaggi boschivi con immagini catturate dal Telescopio Hubble della NASA tra cui la Via Lattea e la Nebulosa NGC 346. Qui la relazione tipica spettatore-soggetto e paesaggio-oggetto è scardinata per rendere il paesaggio protagonista in modo assoluto e senza limiti, fonte di stupore e sopraffazione.

Infine nell’opera della serie Smoke and Mirrors (2010) l’artista esplora la complessa interrelazione tra paesaggio e bellezza, e la modalità in cui la nostra cognizione del paesaggio è costruita. Nel far ciò, si viene a sovvertire la nozione di bellezza come verità, e si riallaccia a più ampie questioni quali l’autenticità nella fotografia.

Come dichiara l’artista: “Il mio lavoro colloca lo spettatore nel divario tra realtà e fantasia, creando spazi che incoraggiano l’osservatore a rivalutare il modo in cui si forma il proprio rapporto con il paesaggio, la misura in cui è un prodotto del patrimonio culturale o esperienza personale e come questo è stato determinante nella propria identità”.

Le composizioni oniriche delle fotografie di Ellie Davies incoraggiano questa introspezione e offrono lo spazio e la calma necessari per meditare sulla nostra condizione umana.

Fino al 15 Aprile 2018 –  GALLERIA PATRICIA ARMOCIDA – Milano

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2018 Sony World Photography Awards

This April, contemporary photography returns to Somerset House with the 2018 Sony World Photography Awards Exhibition.

Featuring inspirational works by more than 600 artists, the exhibition will showcase winning and shortlisted works from the 2018 Sony World Photography Awards, the world’s most diverse photography competition.  Curated by Mike Trow – ex-Picture Editor of British Vogue – the images are specially selected from a record-breaking number of submissions. The 2018 Awards will cover a wide variety of genres, from architecture to landscape, street photography to wildlife, portraiture to travel.

The exhibition will also include an exclusive selection of unique works by a renowned international artist who will win the celebrated Outstanding Contribution to Photography Award.

20 Apr – 06 May 2018 – Somerset House – London

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August Sander – PERSECUTED / PERSECUTORS, PEOPLE OF THE 20TH CENTURY

“We can tell from a facial expression the work someone does or does not do, if they are happy or troubled, for life leaves its trail there unavoidably. A well-known poem says that every person’s story is written plainly on their face, although not everyone can read it.”* – August Sander

From March 8 to November 15, The Shoah Memorial is holding a major exhibition dedicated to a series of portraits taken during the 3rd Reich by one of German photography’s leading figures, August Sander (1876- 1964). Internationally recognized as one of the founding fathers of the documentary style, August Sander is the man behind many iconic 20th century photographs. Towards the end of the First World War, while working from his studio in Cologne, August Sander began what would become his life’s work: a photographic portrait of German society under the Weimar Republic.

He called this endeavor “People of the 20th Century”. While his first publication was banned from sale in 1936 by the National Socialist government, in around 1938 Sander began to take numerous identity photographs for persecuted Jews. Later, during the Second World War, he photographed migrant workers. August Sander included these images, and some taken by his son Erich from the prison where he would die in 1944, in “People of the 20th Century”, along with portraits of national socialists taken before and during the war. Sander was unable to publish his monumental work during his lifetime, but his descendants still champion his vision to this day.

These photographs are exhibited here together for the first time, along with contact prints, letters and details about the lives of those photographed. They are portraits of dignified men and women, victims of an ideology, taking their rightful place as ”People of the 20th Century” in defiance of Nazi efforts to ostracize them.

The exhibition is organized with the assistance of the August Sander Foundation and the NS-Documentation Center of the City of Cologne, the largest commemorative site for the victims of Nazism in Germany, founded in 1988.

March 8 to November 15, 2018 – The Shoah Memorial – Paris

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Viaggio nella fotografia Italiana

Il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’autore di Bibbiena (AR), ente nato per volontà della FIAF, la storica Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, presenta la mostra “Viaggio nella fotografia italiana” che si terrà da sabato 7 aprile a domenica 3 giugno 2018 presso il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena (Via delle Monache 2) con inaugurazione il 7 aprile a partire dalle ore 15.00.

Il 19 dicembre 1948 veniva fondata a Torino da otto associazioni fotografiche la “Federazione Italiana Associazioni Fotografiche”. Lo scopo di tale federazione era ed è quello di divulgare e sostenere la fotografia amatoriale su tutto il territorio nazionale e di operare attivamente per la diffusione dell’arte fotografica. La mostra creata per ricordare la vita della Federazione si offre al visitatore come una riflessione sulle principali attività svolte in questi settant’anni, viste attraverso le immagini e i progetti fotografici prodotti dai Soci.

La struttura architettonica del CIFA, composta da due piani di celle e da un ampio corridoio baricentrico, contribuisce a scandire le varie fasi dell’esposizione. Al piano superiore, in una coppia di celle, viene proposto un estratto dell’editoria libraria composta dalle Monografie, la collana I grandi Autori della Fotografia Italiana, i volumi delle Grandi Opere e quelli relativi ai progetti nazionali. Alle pareti una serie di immagini che si riferiscono a queste pubblicazioni. In una seconda coppia di celle troviamo le riviste della FIAF a cominciare dal primo numero de Il Fotoamatore, organo ufficiale della Federazione fino alla versione più recente del mensile: Fotoit. Nello stesso spazio trova posto la serie di Riflessioni, il quaderno-catalogo delle mostre del CIFA e infine la serie degli Annuari. Anche in questo caso sulle pareti troviamo una scelta di fotografie tratte da queste pubblicazioni.

La terza coppia di celle è dedicata a quello che può definirsi il più significativo fenomeno sviluppatosi negli ultimi anni: il portfolio fotografico, come prodotto della creatività autoriale del fotografo. Un omaggio viene reso ai primi tentativi di proporre sequenze organiche di fotografie ricordando le esposizioni realizzate dal Fotocineclub Fermo e pubblicate nel volume Racconto e reportage Fotografico del 1973. A fianco un esempio di portfolio contemporaneo e la serie dei cataloghi della manifestazione Portfolio Italia.

La quarta coppia di celle è dedicata al mondo dei concorsi FIAF che, fin dalla nascita, hanno sempre avuto largo seguito tra gli associati.

La serie di celle al piano terreno è dedicato alle immagini prodotte dagli appassionati in questi settant’anni suddivisi per generi: si va dal ritratto al reportage al paesaggio fino alla foto concettuale e creativa e al nudo.

Infine, nel corridoio vi sono una serie di tabelloni, ognuno dedicato ai Grandi Progetti Nazionali della FIAF, a cominciare da E’ l’Italia del 1995 fino ad arrivare ai più recenti 17 MARZO 2011 UNA GIORNATA ITALIANA Passione Italia e a Tanti per Tutti , Viaggio nel volontariato italiano del 2017. Nella parte bassa del corridoio, sulla parete di fondo una proiezione ricorda e presenta il mondo degli Audiovisivi FIAF, mentre lungo le pareti un’installazione ripercorre la partecipazione della Federazione alle ultime frontiere del web, proiettando l’attività dell’associazione verso il proprio futuro.

“Per la prima volta nella sua storia la FIAF cerca di presentare in modo strutturato un’immagine delle proprie attività, realizzando anche una verifica della propria vivacità culturale –  ha affermato Claudio Pastrone, Direttore del Centro Italiano della Fotografia d’Autore – il percorso temporale della nostra Federazione è stato scandito da una miriade di attività e di avvenimenti, di cui qui cerchiamo di presentare i più significativi anche attraverso l’obiettivo primario dello stimolo alla creatività degli autori e alla promozione delle loro opere. Uno sguardo sul nostro passato, ma con gli occhi e la volontà rivolti al futuro.”

7 aprile – 3 giugno 2018  – Centro Italiano della Fotografia d’Autore – Bibbiena

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I believe – mostra di fotografia narrativa

“I Believe, costruttori di comunità” è un progetto di fotografia narrativa e una mostra fotografica ideati e prodotti dalla comunità bahá’í della Martesana, in occasione del bicentenario della nascita di Bahá’u’lláh, fondatore della Fede bahá’í.

“I Believe, costruttori di comunità” vuole raccontare, attraverso i ritratti dei soggetti fotografati e le loro testimonianze, l’energia che anima la comunità bahá’í. Attraverso il mezzo fotografico la comunità parla di sé e del proprio desiderio di promuovere il benessere della società, perché ogni singolo individuo è essenziale, prezioso. Per la comunità bahá’í chiunque lo desideri può portare il suo contributo. È sufficiente infatti ascoltare con attenzione per cogliere, nascosto nell’assordante frastuono del mondo, il lamento di persone, famiglie, paesi e nazioni. Ma chiudere gli occhi e ascoltare col cuore fa nascere anche una nuova energia. In questo stato di quiete si creano legami, progetti, nuove idee per generare cambiamento, trasformazione. Il caos diventa ordine. Costruire diventa lo scopo; speranza, impegno e sforzo per sanare le ferite del mondo diventano la meta; l’unità, la vittoria finale. Costruire insieme significa guardare con l’occhio interiore, ascoltare attentamente, esprimersi con saggezza, per agire in accordo come le note di una melodia che porta nuovo calore al cuore del mondo. Quando le persone, anche se diverse tra loro, agiscono all’unisono, possono generare il cambiamento.

Dal 7 al 28 aprile – Biblioteca di Vimercate (MB)

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Cominciamo l’anno con una selezione di mostre!

Ciao, vi siete riposati durante le feste di Natale? Eccoci pronti a ripartire con nuove bellissime mostre.

Date un’occhiata alla nostra pagina sempre aggiornata.

Anna

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Tutte le mostre di fotografia a luglio

Ciao a tutti,

ecco qua le mostre che vi consigliamo per questo mese di luglio.

Non impigritevi anche se fa caldo!

Anna

Robert Capa in Italia

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La mostra, dedicata al grande fotoreporter di guerra Robert Capa racconta gli anni della seconda guerra mondiale in Italia, con 35 fotografie originali incorniciate e oltre 100 immagini del biennio 1943 – 44, consultabili nello spazio multimediale dell’Alinari Image Museum.
Per la prima volta la mostra presenta oltre alle fotografie originali, un’ampia selezione di immagini digitali, con postazioni multimediali e interattive che permetteranno di contestualizzare la figura di Capa, il suo lavoro, la campagna italiana.

Considerato da alcuni il padre del fotogiornalismo, da altri colui che al fotogiornalismo ha dato una nuova veste e una nuova direzione, Robert Capa (Budapest, 1913 – Thái Binh, Vietnam, 1954) pur non essendo un soldato, visse la maggior parte della sua vita sui campi di battaglia, vicino alla scena, spesso al dolore, a documentare i fatti.

A settanta anni di distanza, la mostra racconta lo sbarco degli Alleati in Italia con una selezione di fotografie provenienti dalla serie Robert Capa Master Selection III conservata a Budapest e acquisita dal Museo Nazionale Ungherese tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009.

Esiliato dall’Ungheria nel 1931, Robert Capa inizia la sua attività di fotoreporter a Berlino e diventa famoso per le sue fotografie scattate durante la guerra civile spagnola tra il 1936 il 1939. Quando arriva in Italia come corrispondente di guerra, ritrae la vita dei soldati e dei civili, dallo sbarco in Sicilia fino ad Anzio.

Le immagini colpiscono ancora oggi per la loro immediatezza e per l’empatia che scatenano in chi le guarda. Ed è così che Capa racconta la resa di Palermo, la posta centrale di Napoli distrutta da una bomba ad orologeria o il funerale delle giovanissime vittime delle famose Quattro Giornate di Napoli. E ancora, vicino a Montecassino, la gente che fugge dalle montagne dove impazzano i combattimenti e i soldati alleati accolti a Monreale.

Grazie a un visore 3D immersivo ci si ritrova in trincea, trasportati all’interno di una azione di combattimento, tra aerei, uomini e carri armati, dove la violenza degli scontri non è mostrata, ma la tensione dell’attesa è realistica. Nello spazio 3D, indossando gli occhialini si ha davanti, in tre dimensioni, mezzi di trasporto o armi usati durante la campagna in Italia.
Una parete proiettata in alta definizione, mostra i volti della gente nella guerra, l’impatto del conflitto sulla vita civile, accompagnati dalle parole di Capa.

Trieste
Alinari Image Museum
Bastione Fiorito
Castello di San Giusto
Dal 27 maggio al 17 settembre

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Henri Cartier-Bresson Fotografo

16 giugno – 15 ottobre 2017 – Galleria di Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada” – San Gimignano

140 scatti di Henri Cartier Bresson, in mostra alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada” di San Gimignano dall’16 giugno al 15 ottobre 2017, dedicati al grande maestro, per immergerci nel suo mondo,  per scoprire il carico di ricchezza di ogni sua immagine, testimonianza di un uomo consapevole, dal lucido pensiero, verso la realtà storica e sociologica.

I suoi scatti colgono la contemporaneità delle cose e della vita. Le sue fotografie testimoniano la nitidezza e la precisione della sua percezione e l’ordine delle forme.
Egli compone geometricamente solo però nel breve istante tra la sorpresa e lo scatto. La composizione deriva da una percezione subitanea e afferrata al volo, priva di qualsiasi analisi. La composizione di Henri Cartier-Bresson è il riflesso che gli consente di cogliere appieno quel che viene offerto dalle cose esistenti, che non sempre e non da tutti vengono accolte, se non da un occhio disponibile come il suo.

“Fotografare, è riconoscere un fatto nello stesso attimo ed in una frazione di secondo e organizzare con rigore le forme percepite visivamente che esprimono questo fatto e lo significano. È mettere sulla stessa linea di mira la mente, lo sguardo e il cuore”.

La mostra è curata da Denis Curti e promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di San Gimignano, prodotta da Opera-Civita con la collaborazione della Fondazione Henri Cartier-Bresson e Magnum Photos Parigi.

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Be the bee body be boom –  Sara Munari

 

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L’edizione 2017 del Festival vede Sara Munari in una duplice veste: la prima come giurata del Concorso Fotografico 2017 e la seconda come artista in mostra in una delle nostre sedi, con uno dei suoi progetti più belli.

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In “Be the bee body be boom” (bidibibodibibu), Sara Munari si è ispirata alle favole del folklore e alle leggende urbane che soffiano sui paesi dell’Europa dell’Est.
“L’Est Europa offre uno scenario ai miei occhi impermeabile, un pianeta in cui è difficile camminare leggeri, il fascino spettrale da cui è avvolta, dove convivono tristezza, bellezza e stravaganza: un grottesco simulacro della condizione umana. A est, in molti dei paesi che ho visitato, non ho trovato atmosfere particolarmente familiari”, afferma la fotografa di questo lavoro che contempla il suo immaginario, accumulato durante i numerosi viaggi in Est Europa e che è stato definito “visionario”, “stregato e coerente”, “magico”.

Dal 1 al 26 Luglio 2017 – Orbetello, Piazza del Popolo, Sala Espositiva ImagO Palazzo di Piazza del Popolo
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EU: SATOSHI FUJIWARA

 

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“EU” è una mostra antologica del fotografo giapponese Satoshi Fujiwara. Il progetto include alcuni dei lavori più significativi dell’artista e “5K Confinement”, una commissione realizzata per “Belligerent Eyes”, il progetto di ricerca sulla produzione contemporanea di immagini proposto dalla Fondazione nell’estate 2016 a Venezia.

Curata da Luigi Alberto Cippini in un allestimento di Armature globale, la mostra propone un’alternativa ai regimi rappresentativi che stabilizzano l’attuale “identità fotografica europea”. Come osserva Cippini, “la produzione fotografica contemporanea sembra essere determinata da rigidi standard di risoluzione, impatto e distribuzione. Un numero crescente di reporter freelance documentano quotidianamente avvenimenti sociali e politici all’interno e ai margini dell’Unione Europea, producendo immagini che sebbene libere da forme rigide di classificazione, rimangono sottostanti a determinati regimi estetici, di accessibilità, spaziali e di contenuto. Queste costrizioni permettono e sostengono il lavoro delle nuove generazioni di fotografi, aumentando la possibilità di pubblicazione dei loro scatti e contribuendo alla formazione di un gusto medio e neutrale”.

Satoshi Fujiwara (Kobe, Giappone, 1984), attraverso una peculiare scelta delle inquadrature, della distanza focale dai soggetti ritratti e della definizione eterogenea delle fotografie crea un’azione pressante e critica sull’osservatore, deviando dai canoni standard del foto-giornalismo e da una dimensione esclusivamente documentaristica, producendo in questo modo un nuovo lessico emergente.

La mostra si divide in due sezioni: la prima parte, ospitata al piano inferiore dell’Osservatorio, ricostruisce la commissione “5K Confinement”, mentre il secondo piano ospita una retrospettiva che espande e riunisce opere dalle serie “#R”(2015-in corso), “THE FRIDAY: A report on a report” (2015), “Police Brutality” (2015), “Venus” (2016-in corso), “Continent” (2017-in corso), “Animal Material” (2016-in corso), “Mayday” (2015), “Scanning”(2016) e “Green Helmet (2016).

L’allestimento di “EU” è costituito da sequenze di immagini assemblate, volte a eliminare qualsiasi contesto narrativo lineare. Un’operazione che trae origine dalla rielaborazione dell’architettura espositiva disegnata da Herbert Bayer per la mostra “The Road to Victory: a procession of photographs of the nation at war”, tenutasi al MoMA di New York nel 1942.
Porzioni di telecamere consumate dall’uso, assieme a diversi formati di presenza umana e sorveglianza convergono in una sorta di tazibao, in cui le storiche forme di informazione pubblica in uso durante la rivoluzione culturale cinese sono combinate a forme di costruzione e associazione visiva attualmente diffuse, quali i software di editing video ed elaborazione digitale. Come sostiene Cippini, l’allestimento si presenta come “un conglomerato di formati e standard di definizione che registra l’assuefazione al consumo di immagini e la necessità di dialogare con le forme meno visibili di propaganda contemporanea”.

“EU” è accompagnato da una pubblicazione, “5K Confinement. HD Environment Surface Surveillance “, a cura di Luigi Alberto Cippini ed edita da Fondazione Prada.

7 giugno – 6 ottobre – Osservatorio – Milano

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Vivian Maier – Una fotografa ritrovata

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Loggia degli Abati di Palazzo Ducale – Genova
23 giugno – 8 ottobre 2017
Vivian Maier era un nome pressoché sconosciuto fino ad una decina di anni fa. Sarebbe rimasto presente probabilmente solo nel ricordo dei bambini che aveva accudito come tata negli anni Cinquanta e Sessanta, tra Chicago e New York. E invece, grazie ad una fortunata serie di coincidenze, oggi è uno dei nomi più celebrati e amati della fotografia contemporanea.
Palazzo Ducale ospita nella Loggia degli Abati la retrospettiva dedicata a Vivian Maier, con oltre 120 fotografie in bianco e nero, una selezione di immagini a colori e alcuni filmati in super8 che mostrano come la Maier si avvicinasse ai suoi soggetti. E’ infatti questo uno dei tratti peculiari della sua fotografia: uno sguardo partecipe e distaccato al tempo stesso, a volte discreto, altre volte dissacrante. Un approccio sensibile e curioso, attento ai dettagli, alle imperfezioni, capace di documentare il reale restando nell’ombra. Era un’autodidatta, e le sue fotografie non sono mai state esposte né pubblicate mentre era in vita, la maggior parte dei rullini non sono mai stati sviluppati. Oggi proprio quelle fotografie costituiscono il racconto di un’epoca, un ritratto (non in posa) dell’America del dopoguerra. I soggetti sono bambini, anziani, lavoratori, donne: persone che Vivian Maier incontrava per la strada e immortalava con la sua inseparabile Rolleiflex, sapendo restare nascosta pur stando in mezzo alla gente.
Ciò che affascina maggiormente della sua storia è la scelta di tenere per sé le sue fotografie, di non mostrarle né condividerle con gli altri. Era un’artista continuamente all’opera, ma soltanto raramente sviluppava i suoi negativi, essendo forse più interessata all’atto stesso della fotografia che non al suo prodotto, tantomeno al commercio. Come se già solo il fare fotografia bastasse, o meglio, bastasse a lei stessa.
Nel 2007 John Maloof, allora agente immobiliare, ritrovò i migliaia di negativi della Maier stipati dentro scatoloni confiscati e messi in vendita all’asta. Da allora non smetterà di cercare materiale sulla misteriosa fotografa, arrivando ad archiviare oltre 15.000 negativi e 3.000 stampe.
La mostra di Palazzo Ducale offre l’occasione di conoscere una parte di questo immenso archivio, lasciando ammirare l’enigma di una donna misteriosa, tata di mestiere e fotografa per vocazione.

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Le mostre di Cortona on The Move

17 LUGLIO – 1 OTTOBRE 2017

Giunto alla settima edizione, il festival internazionale di fotografia Cortona On The Move ospiterà tanti protagonisti della fotografia internazionale, dai grandi maestri ai giovani talenti, in un fitto programma di mostre, eventi, letture di portfolio con esperti di fama e una serie di iniziative inedite.

Tantissime le mostre da vedere. Qua trovate il programma completo.

Segnaliamo tra le tante, Donna Ferrato, Francesco Comello, Donald Weber, Matt Black e Justyna Mielnikiewicz.

OBIETTIVO MILANO. 200 fotoritratti dall’archivio di Maria Mulas

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Dal 1° giugno al 6 settembre 2017 Palazzo Morando | Costume Moda Immagine ospita la mostra organizzata da Associazione Memoria & Progetto, “OBIETTIVO MILANO. 200 fotoritratti dall’archivio di Maria Mulas” a cura di Maria Canella e Andrea Tomasetig con Antonella Scaramuzzino e Clara Melchiorre.

Sono 200 i ritratti fotografici esposti in mostra provenienti dall’archivio di Maria Mulas, prestigiose testimonianze professionali e dei legami intessuti dalla fotografa nel corso della sua vita.

Le foto raffigurano personaggi che hanno animato la scena artistica, culturale e sociale di Milano dalla fine degli anni Sessanta al Duemila, siano essi meneghini di nascita, di adozione o di passaggio, stranieri compresi: artisti, galleristi, designer, stilisti, scrittori, editori, giornalisti, registi, attori, intellettuali, imprenditori e molti altri.

L’insieme dei materiali conferma Maria Mulas tra le più importanti fotografe del Novecento italiano e il suo archivio come uno strumento indispensabile per documentare e ricostruire la storia visiva di Milano nel secondo Novecento.

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Questioni di Famiglie

Il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena (AR), ente nato per volontà della FIAF, la storica Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, presenta la mostra fotografica “Questioni di Famiglie”, che si terrà da lunedì 17 giugno a domenica 3 settembre 2017.

La mostra “Questioni di Famiglie” viene presentata con un anno di anticipo rispetto al Progetto Nazionale “La Famiglia in Italia”, che verrà esposto a Bibbiena nel 2018 in occasione del 70° anniversario della Federazione. Il progetto, già in fase di realizzazione, si rivolge a tutti gli appassionati fotografi e chiede loro di immortalare la famiglia contemporanea italiana; l’obiettivo è quello di realizzare una campagna fotografica di ricognizione che coinvolga migliaia di fotografi.

“Questioni di Famiglie” intende presentare al pubblico i molteplici aspetti di come la famiglia è stata raccontata fotograficamente in passato. Con la  consapevolezza che l’argomento è molto vasto, sono state scelte dai dieci curatori della mostra alcune tra le diverse possibili tematiche rappresentative dell’argomento per offrire spunti di riflessione e stimoli anche ai fotografi che si apprestano a partecipare al prossimo Progetto Nazionale.

La mostra è divisa in dieci sezioni (tra cui “La famiglia a tavola”, “La famiglia Social”, “La famiglia nel cinema italiano”..) e ciascuna sezione è seguita da un curatore differente per un totale di oltre 200 immagini esposte. Con le sue 16 celle e un grande corridoio, il CIFA rappresenta il luogo ideale per questo tipo di esposizione, che si offre ai visitatori come un percorso a tappe in cui scoprire, a volte anche con curiosa sorpresa, alcuni esempi di come la fotografia in Italia ha declinato il tema della Famiglia.

Tra i vari Autori che espongono è possibile trovare Cesare Colombo, Nino Migliori, Costantino Ruspoli, Paolo Ventura, Settimio Benedusi, Federico Patellani, Paul Ronald, Eugenio Giacinto Garrone, Gianni Berengo Gardin, Mario Cresci, Toni Thorimbert, Gabriele Galimberti, Giovanni Gastel, Gabriele Basilico e ancora molti altri.

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La progettualità dello sguardo. Fotografie di paesaggio di Gabriele Basilico

 

La mostra, ideata e promossa dall’Accademia di architettura (USI) di Mendrisio assieme allo Studio Gabriele Basilico, presenta 60 fotografie. Tra le immagini selezionate quelle tratte dalla serie “Bord de Mer” e un gruppo di paesaggi realizzati in Italia, Portogallo e Spagna. Particolare attenzione è dedicata alla Svizzera: una serie racconta l’architettura di Luigi Snozzi a Monte Carasso e un’altra il passo di San Gottardo. Un nucleo di 40 fotografie è invece dedicato alla ricostruzione di Gemona del Friuli, lavoro che Basilico ha realizzato nel 1992.

Chiesa di San Lorenzo – San Vito al Tagliamento (Pordenone)

16 giugno – 10 settembre 2017

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Ed van der Elsken – Camera in Love

 

from 13 June 2017 until 24 September 2017 – Concorde, Paris

Ed van der Elsken (1925-1990) is a unique figure in Dutch 20th-century documentary cinema and photography. As a photographer, his preferred subject was the street, and in cities like Paris, Amsterdam, Hong Kong or Tokyo, he enjoyed ‘hunting’ for subjects. Often qualified as a “photographer of marginal figures”, he sought in reality an aesthetic form, a visual authenticity, devoid of artifice, a beauty that was sometimes openly sensual, at times even erotic. Ed van der Elsken was fascinated by these proud figures, full of life and vitality.

The exhibition at the Jeu de Paume presents a large selection of some of his most iconic images: shots of Paris from the 1950s, figures photographed on his numerous travels or in his native Amsterdam from the 1960s onwards, as well as his books, and excerpts from his films and slide shows, particularly Eye Love You and Tokyo Symphony.

Van der Elsken photographs and films his subjects in situations that are often theatrical, and he behaves like a director, engaging in conversation with the people he photographs. He likes to be provocative and encourages his subjects to exaggerate or accentuate certain personality traits he detects in them. In addition to his theatrical, extravagant photography, Van der Elsken has also produced a large number of understated and moving images, revelatory of his poetic nature, his innate sense of solidarity with others, and his profound empathy for all living creatures.

Van der Elsken published approximately twenty books and produced a large number of films. His first book, Love on the Left Bank, was published in 1956. Taking the form of a banal but rather unusual photobook, Love on the Left Bank is a semi-fictive account of disaffected young people, living in Paris after the Second World War. The dark tone and expressive approach, as well as the book’s almost cinematic quality contributed to its instant success. Love on the Left Bank was followed by a number of photo documentaries from his travels: Bagara (1958) featuring photographs from his trip to Equatorial Africa, and Sweet Life (1966), from his round-the-world journey in 1959-1960.
Jazz (1958) is also worth mentioning. The book is a vibrant ode to the explosion of jazz music on the Amsterdam scene. In the 1980s, he published photobooks on Paris and Amsterdam, as well as De ontdekking van Japan (The Discovery of Japan) based on his numerous trips to Japan, and colour publications: Eye Love You (1976), depicting photographs from around the world against the backdrop of the liberal atmosphere of the 1960s and 70s, and Avonturen op het land (Adventures in the Countryside) (1980), Van der Elsken’s tribute to life in the polders in the northern Netherlands.

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Willy Ronis

from 28 June 2017 until 29 October 2017 – Château de Tours

This retrospective presents a specific aspect of Willy Ronis’s work: a deep awareness of the nature of images, despite his being traditionally categorised as a mainstream humanist. For Ronis photography is not an end in itself but a means of expressing his experience of the social realities around him. Taken in the street, a factory, the countryside or some intimate setting, his photographs add up to a set of moments that span his entire career, and constitute the basis of his personal version of reality.

After World War II the torch-bearers of French photography were the Groupe des XV, whose members included Robert Doisneau, René-Jacques, Marcel Bovis and, of course, Willy Ronis. Anecdote, parody, tenderness and visual finesse were among the narrative techniques favoured by French humanist photography, and what it sought to convey. Taking as their subject busy Paris streets, working class neighbourhoods, people out for a walk, children playing and other scenes of daily life, these photographs blended poetry with a spontaneously assumed vocation of reporting on the world.

Ronis is nonetheless very much aware of the dishonesty of any attempt by photography to take the edge off social injustice. He sets out to explore the life of the poor with method, conviction and lucidity. Hence his photographs of workers, picket lines and passionate union harangues in the Citroën and Renault factories in 1936 and 1950, the Saint-Étienne mines in 1948 and the streets of Paris in 1950. But in addition to his empathy with workers in the factory, at home and in society, we sense a photographer whose socio-political concerns could not be satisfied with a few fragments of lives picked up here and there, but required active commitment. Ronis never concentrates on the sordid, nor does he disguise poverty or romanticise the poor; rather he sides with their demands and their struggle.

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EPIFANIE 02 –  LAB/per un laboratorio irregolare

Cembalo

LAB/per un laboratorio irregolare è un progetto di Antonio Biasiucci che nasce nel 2012 per rispondere all’esigenza di creare un percorso per giovani artisti, completamente gratuito, in cui trasmettere un metodo di costante approfondimento e critica del proprio lavoro. Dopo l’esperienza della prima edizione del “laboratorio irregolare”, il progetto è proseguito intorno a un tavolo, nello studio di Biasiucci, per oltre due anni, in cui si sono incontrati i giovani artisti e il fotografo per raccogliere, condividere e sviluppare i loro lavori.

Scrive Antonio Biasiucci: “oggi restituisco quello che mi è stato dato, perché non ha senso che sia io solo a salvarmi. Metto a disposizione le mie conoscenze, affinché sia dato spazio, tempo e possibilità ad altri di fare buona fotografia attraverso un Laboratorio ispirato ad Antonio Neiwiller, regista napoletano scomparso venti anni fa, che io considero mio maestro. Il Laboratorio produce immagini essenziali, nelle quali l’autore può trovare una parte di sé; sono immagini che si aprono all’altro”. Il progetto applica dunque i metodi teatrali di Antonio Neiwiller alla fotografia. Non si tratta di una scuola in senso stretto, ma di un percorso dove l’azione didattica diventa un’azione di esistenza e dove la formazione non è fine a sé stessa ma diviene: “lo stimolo a solleticare corde interne del pensiero e dell’emozione, affinché diventino delle epifanie pure e scarnificate” (Leo de Berardinis).

“Come l’azione dell’attore sul palcoscenico – spiega Giovanni Fiorentino, che presenta nel catalogo i principi e l’azione del Laboratorio – è ridotta all’essenza, così nel laboratorio irregolare il viaggio di formazione porta il fotografo a mirare all’interno di sé, ricercando una performance profonda, elaborata per sottrazione, che trasformi l’oggetto della ricerca stessa in soggetto dalla dimensione universale. Biasiucci ha messo intorno al tavolo otto esperienze di vita, e di fotografia, eterogenee, selezionandole tra più di cento di proposte per competenze e qualità della ricerca. Intorno a quel tavolo la fotografia è diventata uno strumento di connessione e di scambio continuo, apprendimento condiviso e relazione sensibile”.

Per questo i lavori del laboratorio irregolare sono sempre “Epifanie” dal contenuto e dalla forma eterogenea. Sguardi autonomi, guidati da un unico metodo, che mette insieme otto esperienze di vita e ricerche fotografiche diverse. Così Pasquale Autiero racconta delle contraddizioni inguaribili del Sud tra il sacro e il profano, Ciro Battiloro dell’umanità che popola il Rione Sanità a Napoli, Valentina De Rosa di persone affette da grave disabilità, Maurizio Esposito di una geografia dell’anima, Ivana Fabbricino della percezione del sé attraverso l’autoritratto, Vincenzo Pagliuca di case ai margini dello spazio, Valerio Polici di un viaggio nel proprio immaginario, Vincenzo Russo della “riproducibilità dell’opera d’arte”.

“Fare il Laboratorio non significa diventare artisti, ma è il tentativo di scoprire cosa è importante; aiuta a distinguere il fondamentale dall’effimero, ad acquisire una forma mentis, una metodologia che è funzionale perlomeno a realizzare una fotografia che non mente. Una fotografia, appunto, una fotografia di se stessi. Nel Laboratorio non si privilegia un genere ma, al contrario, si punta alla cancellazione del genere. È privilegiato solo il proprio dire che eventualmente può prevedere più generi per comunicarlo. Aiuta a capire che lo scambio, il confronto, il relazionarsi sono fondamentali per crescere, insegna ad avere il coraggio di presentarsi nudi, ma consapevoli che è questo l’unico modo possibile”, così Biasiucci parla del Laboratorio Irregolare.

Dal 7 giugno scorso sino al 30 luglio prossimo, un tavolo lungo 15 metri, disegnato da Giovanni Francesco Frascino, su cui sono poggiati gli 8 portfoli-libro degli artisti di LAB, illuminato da un’unica striscia di luce, accoglie i visitatori all’interno della Chiesa di Santa Maria della Misericordia ai Vergini, detta La Misericordiella. Gli otto lavori di Epifanie 02 sono pubblicati in un catalogo, a cura di Antonio Biasiucci, e edito da Peliti Associati.

14 giugno / 15 luglio 2017 – Galleria del Cembalo Roma
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POP STYLE ICONS

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30 anni di icone da Kate Moss a David Bowie negli scatti di Michel Haddi.

Barberino Designer Outlet in collaborazione con ONO arte contemporanea è lieta di presentare POP STYLE ICONS: 30 anni di icone da Kate Moss a David Bowie negli scatti di Michel Haddi, una mostra che attraverso i soggetti più rappresentativi del celebre fotografo di moda francese racconta non solo l’evoluzione dello stile di tre epoche segnate da profondi cambiamenti storici e culturali, ma testimonia anche il passaggio dall’analogico al nuovo mondo digitale e alle infinite possibilità che questo ha aperto nell’ambito della fotografia di moda e costume.

La fotografia mi permette di creare una realtà alternativa. La fotografia di moda non è una rappresentazione accurata della realtà. Certo, ci sono elementi didascalici, cosa va di moda, quali sono gli argomenti di maggior interesse popolari al momento, ma è anche un sistema fantasmagorico. Ho campo libero.
Michel Haddi

Le immagini esposte sono state selezionate insieme a Michel Haddi e provengono da un archivio sterminato di volti noti e meno noti: icone del passato e nuovi modelli culturali sono qui accomunati dal taglio contemporaneo e sempre attuale di Haddi. La sua volontà di inventare storie, di far vivere lo scatto anche al di fuori dell’immagine fotografica, è evidente nella maggior parte dei suoi ritratti che sembrano implicare un continuum spazio-temporale con il mondo esterno: un prima e un dopo che diventano quasi necessari, come se la fotografia fosse un frame tratto da una pellicola cinematografica. Le immagini che compongono la mostra descrivono non solo la sua personale evoluzione nell’ambito della fotografia di moda, ma ci offrono anche uno spaccato della trasformazione interna della cultura visuale delle riviste patinate degli ultimi trent’anni, così come dello stile visivo e popolare tout-court.

A Barberino Designer Outlet la mostra è visitabile gratuitamente dal 13 giugno al 30 luglio ogni giorno dalle 11:00 alle 20:00. Pop Style Icons: un’occasione unica per lasciarsi rapire dalle celebrità del mondo del cinema e della musica immortalate dall’arte di Michel Haddi.

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Another Look – Daniele Tamagni

Dal 6 luglio al 16 settembre, presso la Galleria del Cembalo (Palazzo Borghese) a Roma, la mostra ANOTHER LOOK, a cura di Giovanna Fazzuoli, racconterà la moda di strada come strumento di affermazione individuale e di rivendicazione politica e sociale. Dai dandy congolesi di Brazzaville ai metallari cowboys di Gaborone, dai giovani ballerini di Johannesburg ai creativi di Nairobi e Dakar, Daniele Tamagni è riuscito a cogliere l’immediatezza espressiva di queste comunità.

Nel suo lungo lavoro di reportage condotto in diversi paesi africani, Tamagni ritrae fenomeni di resistenza eccentrica e di rivendicazione della differenza attraverso la moda. L’identità delle fashion tribes è rappresentata in diversi contesti geografici in cui si è radicata una controcultura popolare che si ispira a quella coloniale e occidentale, sfidandola e reinterpretandola con inesauribile creatività.

L’intimità di questi ritratti testimonia lo stretto rapporto di fiducia che il fotografo riesce a instaurare con i soggetti rappresentati: “Questo forte legame gli ha permesso di andare alle radici, di realizzare vitali scatti istantanei con gli occhi di una persona di fiducia, calata all’interno di un microcosmo difficile da conoscere, dove è raro per un estraneo essere ammesso.” (Paul Goldwin, già curatore Tate Gallery, London).

Tra globalizzazione e tradizione, desiderio di emulazione e affermazione sociale, spontaneità e artificio, creatività individuale e reinterpretazione, le tribù della moda, raccolte nel volume “Fashion Tribes”, rivendicano la propria identità nella realtà di tutti i giorni, una realtà che Tamagni ha saputo guardare da un punto di vista diverso, sfidando stereotipi e luoghi comuni.

6 luglio / 16 settembre 2017 – Galleria del Cembalo Roma

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Mostre per maggio

Ciao!

Ed eccoci anche per questo mese al nostro appuntamento fisso con le mostre. Il programma si preannuncia ricchissimo anche per maggio. Siateci! 😀

Sulla pagina dedicata, trovate il calendario aggiornato di tutte le mostre in corso!

Anna

Sara Munari – Be the bee body be boom (bidibibodibibu)

Mi sono ispirata sia alle favole del folklore dell’Est Europa, sia alle leggende urbane che soffiano su questi territori. Un incontro tra sacro e profano, suoni sordi che ‘dialogano’ tra di loro permettendomi di interpretare la voce degli spiriti dei luoghi. Ogni immagine è una piccola storia indipendente che tenta di esprimere rituali, bugie, malinconia e segreti. L’Est Europa offre uno scenario ai miei occhi impermeabile, un pianeta in cui è difficile camminare leggeri, il fascino spettrale da cui è avvolta, dove convivono tristezza, bellezza e stravaganza: un grottesco simulacro della condizione umana. A est, in molti dei paesi che ho visitato, non ho trovato atmosfere particolarmente familiari, in tutti questi luoghi ho percepito una forte collisione tra passato, spesso preponderante, e presente. Sono anni che viaggio a est, forse il mio sguardo è visionario e legato al mondo dei giovani, a quella che presuppongo possa essere la loro immaginazione.

dal 12 maggio al 3 giugno 2017 – Spazio Raw Milano

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Paolo Pellegrin. Frontiers

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L’esposizione Paolo Pellegrin. Frontiers visitabile dal 30 aprile al 26 novembre 2017 negli spazi del nuovo Museo il Ferdinando, documenta in anteprima mondiale attraverso gli intensi scatti di Paolo Pellegrin, il dramma dei viaggi della speranza delle migliaia di migranti che fuggono in cerca di un futuro migliore.
L’orrore delle traversate del Mar Mediterraneo, l’esperienza degli sbarchi e della permanenza nei centri di accoglienza. Si tratta di un’anteprima assoluta firmata da uno tra i più importanti fotoreporter al mondo. Membro di Magnum Photos dal 2001, Pellegrin lavora con le più affermate testate internazionali e ha ottenuto innumerevoli riconoscimenti, tra cui dieci World Press Photo e la Medaglia d’oro Robert Capa.

La mostra, realizzata in collaborazione con l’Agenzia Magnum Photos di Parigi integra ed attualizza i contenuti del nuovo Museo delle Frontiere evidenziando il tragico racconto del fenomeno migratorio in atto, ormai diventato tratto distintivo del nostro tempo. Un fenomeno che secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni non si arresterà prima del 2050. Le fotografie, in bianco e nero, di notevole impatto visivo ed emotivo, sono state scattate nel 2015. La maggior parte di esse documenta la situazione sull’isola greca di Lesbo dove, secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), sono sbarcati più di 500.000 degli 850.000 rifugiati giunti in Grecia nel corso del 2015.

Il tema dell’esposizione offre un punto di vista quanto mai attuale sul dramma dei migranti, oltre a un’esplicita riflessione sulle frontiere – visibili o invisibili, geografiche, politiche e sociali – che dividono le persone, in un’Europa che oggi è chiamata alla sfida dell’accoglienza.

Forte di Bard – Aosta dal 30 aprile al 26 novembre 2017

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Antoine D’Agata

Torna a Milano Antoine D’Agata. A cura di Claudio Composti, la personale presenta alcuni dei suoi lavori più iconici degli ultimi 15 anni.

Una mostra in collaborazione con la Gallerie Filles du Calvaire di Parigi.

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Istanti di luoghi – Ferdinando Scianna

Scianna

Nella mia vita ho incrociato uomini, storie, luoghi, animali, bellezze, dolori, che mi hanno suscitato, come persona e come fotografo, emozioni, pensieri, reazioni formali che mi hanno imposto di fotografarli, di conservarne una traccia. Ho sempre pensato io faccio fotografie perché il mondo è lì, non che il mondo è lì perché io ne faccia fotografie. Anche questi luoghi non mi sembra di averli cercati, li ho incontrati vivendo, e poi ho scelto alcune delle tante fotografie che in questi incontri mi sono state regalate per comporne un libro nel quale riconoscermi.

Ferdinando Scianna

Forma Meravigli dal 21 aprile al 30 luglio

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World Press Photo 2017

World Press Photo 2017, promossa da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale, è ideata da World Press Photo Foundation di Amsterdam e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con 10b Photography

La mostra del World Press Photo 2017 si terrà a Roma in prima mondiale insieme a Siviglia e Lisbona presso il Palazzo delle Esposizioni dal 28 aprile al 28 maggio 2017. Il Premio World Press Photo è uno dei più importanti riconoscimenti nell’ambito del fotogiornalismo.
Ogni anno, da più di 60 anni, una giuria indipendente, formata da esperti internazionali, è chiamata ad esprimersi su migliaia di domande di partecipazione inviate alla Fondazione World Press Photo di Amsterdam da fotogiornalisti provenienti da tutto il mondo.

Per l’edizione 2017 le immagini sottoposte alla giuria del concorso World Press Photo sono state 80,408, inviate da 5,034 fotografi di 125 nazionalità. La giuria, che ha suddiviso i lavori in otto categorie, ha premiato 45 fotografi provenienti da 25 paesi: Australia, Brasile, Canada, Cile, Cina, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, India, Iran, Italia, Pakistan, Filippine, Romania, Russia, Sud Africa, Spagna, Svezia, Siria, Nuova Zelanda, Turchia, UK, USA.

Palazzo delle Esposizioni – Roma dal 28 aprile al 28 maggio

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Le mostre di Fotografia Europea 2017

Come ogni anno torna a Reggio Emilia il festival Fotografia Europea. Quest’anno il concept sviluppato è Mappe del tempo. Memoria, archivi, futuro.

Tra le varie mostre che si terranno in città dal 5 maggio al 9 luglio, ve ne segnaliamo alcune tra le più importanti. Date comunque un’occhiata al sito per il programma completo, perchè ce ne sono veramente molte interessanti.

PAUL STRAND E CESARE ZAVATTINI a Palazzo Magnani

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UN PAESE. LA STORIA E L’EREDITÀ
a cura di Laura Gasparini e Alberto Ferraboschi

Un Paese è uno dei primi libri fotografici italiani e risente della cultura del neorealismo italiano e racconta, attraverso le immagini del fotografo statunitense e i testi di Cesare Zavattini, le vite e le storie degli umili di un paese italiano – Luzzara, nella pianura padana – scelto come specchio dello spirito di un popolo e del ritmo universale della vita legata alla terra.

La rassegna illustrerà, inoltre, attraverso gli scatti di Gianni Berengo Gardin, che insieme a Zavattini realizza Un Paese vent’anni dopo nel 1976, Luigi Ghirri, Stephen Shore, Olivo Barbieri fino alla ricerca artistica di Claudio Parmiggiani, come Un Paese sia stato fonte di ispirazione per diversi autori, fotografi, scrittori e artisti e come questi abbiano preso spunto dal volume, divenuto esemplare nella storia della fotografia e nella letteratura per il rapporto tra immagine e scrittura.

DALL’ARCHIVIO AL MONDO.
L’ATELIER DI GIANNI BERENGO GARDIN. – Chiostri di San Pietro

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A cura di Alessandra Mauro e Susanna Berengo Gardin, coordinamento scientifico Laura Gasparini. In collaborazione con Fondazione Forma per la Fotografia e Contrasto.

La mostra propone di indagare  l’archivio come luogo del pensiero e della creazione oltre che di custodia della memoria del proprio lavoro. Verranno esplorate le numerose connessioni tra il processo creativo e gli oggetti di lavoro del fotografo italiano, come le macchine fotografiche, le attrezzature, ma anche i provini a contatto, documenti, video, che illustrano l’atelier, l’archivio e l’opera di uno dei più importanti fotografi italiani.

UP TO NOW. FABRICA PHOTOGRAPHY.
a cura di Enrico Bossan – Chiostri di San PIetro

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Fin dalla sua fondazione nel 1994, Fabrica ha accolto decine di fotografi che sono cresciuti e si sono messi alla prova in un ambiente internazionale unico nel suo genere.

Nel tempo è diventata una fucina capace di intercettare talenti e di dare loro un terreno fertile per sperimentare e formarsi, sviluppando linguaggi autonomi. Up To Now. Fabrica Photography raccoglie oltre cento opere fine art e si concentra sui lavori di tutti quei giovani che negli anni sono diventati autori riconosciuti a livello internazionale. Dagli Albino Portraits di Pieter Hugo ai Libyan Battle Trucks di James Mollison, passando per The Middle Distance di Olivia Arthur e A bad day di Laia Abril, fino ad arrivare alla Ponte City raccontata da Mikhael Subotzky e Patrick Waterhouse e al problema energetico affrontato da Lorenzo Vitturi in Oil will never end, questa raccolta è una testimonianza della varietà di approcci alla documentazione fotografica che attraversa realtà e continenti creando un unicum iconografico e narrativo.

In occasione di Fotografia Europea 2017, Fabrica proporrà inoltre un focus dedicato ai lavori di Drew Nikonowicz e di Ali Kaveh, attualmente borsisti a Fabrica.

Fabrica è il centro di ricerca sulla comunicazione di Benetton Group, fondato nel 1994. Offre a un gruppo molto eterogeneo di giovani creativi provenienti da tutto il mondo una borsa di studio annuale per sviluppare progetti di ricerca nelle aree di design, grafica, fotografia, interaction, video e musica.

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An exhibition at London’s Kings Cross showcases 70 iconic images from 70 years of Magnum Photos

An exhibition at London’s Kings Cross of 70 pictorial and historical photographic icons, celebrating the diversity of the Magnum Photos agency and how its photographers have born witness to major events of the last 70 years.

The exhibition charts a potted history of Magnum, including early photography by Magnum’s founding fathers, the introduction of colour photographers such as Harry Gruyaert and Bruno Barbey, through to the contemporary practice of photographers working in a more art medium, such as Alec Soth and Alessandra Sanguinetti.

Presented in the 90m long pedestrian tunnel with Allies & Morrison-designed LED-integrated light wall, in collaboration with King’s Cross.

May 15 – Jun 15 – King’s Cross Tunnel – London

Walker Evans

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Première grande rétrospective organisée en France de l’œuvre si influente de ce photographe américain. 300 vintages et autres documents retrace toute l’œuvre de l’artiste.

First major retrospective organised in France of the very influencial work of this american photographer. 300 vintages and other documents relating its entire work.

Cette retrospective a pour ambition de mettre en évidence la fascination du photographe pour la culture vernaculaire qu’il n’a cessé de traquer tout au long de sa carrière. À travers plus de 300 tirages vintages provenant des plus grandes collections internationales et une centaine de documents et d’objets, elle accorde également une large place aux collections de cartes postales, de plaques émaillées, d’images découpées, et d’éphéméra graphiques réunis par Walker Evans pendant toute sa vie.

26/04/2017 – 14/08/2017 – Centre Pompidou – Paris

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JACOPO BENASSI –  THE EYES CAN SEE WHAT THE MOUTH CAN NOT SAY

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Jacopo Benassi sarà in mostra da Micamera a Milano con una serie di fotografie realizzate tra il 2011 e il 2015 presso il Btomic. La mostra sarà accompagnata da un libro edito da Peperoni Books.

Il Btomic era un locale iconico di 70 metri quadri a La Spezia, aperto nel 2011 e chiuso nel 2015 per problemi economici. Era gestito da un gruppo di amici, Gianluca Petriccione, Lorenzo D’Anteo, Roberto Buratta e Jacopo Benassi; tra i musicisti che si sono esibiti al Btomic, Teho Tehardo, Jozef van Wissem, Chris Imler, Julia Kent , Mary Ocher, Lydia Lunch, F.M Palumbo, Embryo, Lori Goldston, Hugo Race, Tav Falco, Carla Bozulich, Andrea Belfi, Lubomyr Melnyk, Ernesto Tommasini, Matt Eliot, Z’EV, Sir Richard Bishop, Six Organs Admittance, Emidio Clementi, Khan, Mangiacassette, Baby Dee, Eugene Chadbourne e molti altri…

THE EYES CAN SEE WHAT THE MOUTH CAN NOT SAY è il titolo di una mostra e di un libro. Le fotografie sono state scattate in occasione dei concerti ma nelle immagini i musicisti non compaiono mai. (In questo, è un lavoro decisamente diverso dall’omonima rivista pubblicata da Benassi negli anni in cui il Btomic era aperto) Si vedono solo persone che guardano. I latini dicevano contemplatio – il prefisso con indicava una connessione, il termine templum denotava un’area circoscritta.

Nelle immagini di Benassi vi è una forte connessione tra le persone e l’area è ben definita. Vi è una geografia composta da muri scrostati, immagini dentro le immagini, segni sul muro, dettagli dell’arredamento, strumenti, simboli. Le persone che abitano questa geografia guardano e ascoltano. Un ragazzo con una maglietta degli Sonic Youth ascolta in piedi, accanto a una donna con un semplicissimo vestito a fiori. Se la relazione tra luogo e identità è uno dei temi fondamentali della geografia mi chiedo: cos’hanno in comune? Mi piace il loro modo di stare vicini.
Questo lavoro descrive un paesaggio sonoro.
E’ opera di Jacopo Benassi, fotografo di paesaggio.

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Mario Giacomelli. Terre scritte

“Cerco i segni nella terra, cerco la materia e i segni, come può fare un incisore” affermava il fotografo Mario Giacomelli, che per tutta la sua carriera ha raccontato il paesaggio percorrendo una strada personale e rivoluzionaria.

Una mostra, ospitata nel complesso monumentale di Astino, in provincia di Bergamo, rilegge l’esperienza del paesaggio nella sua opera, attraverso una quarantina di immagini, di cui molte inedite e provenienti dall’archivio Mario Giacomelli di Sassoferrato.

Giacomelli (1925-2000) parte dalla sua terra, le Marche, per indagare il rapporto tra memoria e natura, componendo le sue immagini su piccoli dettagli che si incastrano in uno stile grafico unico, come se il fotografo interpretasse la realtà con una matita invece che con una macchina fotografica. L’apice di questa visione è raggiunto nella serie Presa di coscienza sulla natura, in cui Giacomelli arriva all’astrazione totale del paesaggio: ”Attraverso le foto di terra io tento di uccidere la natura” scrive negli anni novanta, “cerco di togliere quella vita che le è stata data non so da chi ed è stata distrutta dal passaggio dell’uomo, per ridarle una vita nuova, per ricrearla secondo i miei criteri e la mia visione del mondo”.

La mostra Mario Giacomelli. Terre scritte, a cura di Corrado Benigni e Mauro Zanchi in collaborazione con l’archivio Mario Giacomelli di Sassoferrato, è stata realizzata dalla Fondazione MIA e sarà aperta dal 22 aprile al 31 luglio.

 

Like A Samba – Fotografie di: René Burri, David Alan Harvey and Francesco Zizola

Le spiagge di Rio de Janeiro viste dall’occhio di tre fotografi stranieri – uno svizzero, un americano, un italiano – che hanno vissuto in questo ritmo per mesi, anni, decenni. Una raccolta di fotografie che esprimono una sorta di nostalgia, come una canzone d’amore, o la famosa saudade. Per la prima volta, le opere di tre fotografi – René Burri, David Alan Harvey e Francesco Zizola – si riuniscono per Like A Samba: venti fotografie esposte presso la ILEX Gallery, co-curate da Deanna Richardson e Daniel Blochwitz, che vanno dal 1950 fino ad arrivare all’anno scorso e creano un racconto pieno di ritmo e di colori, proprio come il flusso e riflusso della vita di tutti i giorni in Brasile. Ma oltre la superficie color caramella delle spiagge e l’ottimismo del Tropical Modernismo, molte di queste foto alludono sottilmente alle realtà più dure e nascoste.

dal 7 aprile al 21 luglio 2017 presso ILEX Gallery @10b Photography Gallery

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Prelude to a Landscape – Group show

Almudena Lobera | Anthony Goicolea | Carla Cabanas | Gohar Dashti | Irene Grau | Isabel Brison | Jessica Backhaus | Manuel Vilariño | Marco Pires | Mónica de Miranda | Sara Ramo | Sérgio Carronha | Yto Barrada

In each one of us there is an appeal for everything that exists beyond our own existence which is nothing more than the result of “a process of selecting spaces to destroy or to keep in each period of time”1. The contemporary landscape, almost inclusively, is the result of alterations that comes with the human occupation and that, for different reasons, results from adapting the environment to its own establishment and development needs. In this way, landscape can be understood, rather than anything else, as a cultural construction. Its natural condition is directly related to the concept of nature created in different historical and social contexts. The idea of landscape is something that is constructed and rebuilt it is as a mental elaboration that begins with the moment when look at the territory. We can only think about the idea of landscape as a response to our beliefs, knowledge and desires and that define the world in every moment. In doing so, we follow the Kesslerian idea that “landscape is not a reality in itself because it cannot be separated from the gaze of the beholder”2. The concept of landscape from these believes transforms itself into a form of knowledge, a means to understand the environment in which we move, because “not only shows us how the world is, but is also a construction, a composition, a way of seeing it “3. Through this exhibition proposal, entitled “Prelude to a Landscape”, it is intended to reflect on the landscape and the territory, how it is interpreted, constructed and reconstructed from an artistic view. From the works of this group of artists, with different approaches to the concept of landscape and the construction of imaginary spaces, we try to clarify which are the main paths that disturb the artists and
which are the working research lines close to architecture, geography , anthropology, sociology, among others.

Galeria Carlos Carvalho – Lisbon – 06 April 2017 / 27 May 2017

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TERRA SENZ’OMBRA. IL DELTA DEL PO NEGLI ANNI CINQUANTA – PIETRO DONZELLI

Dal 25 marzo al 2 luglio 2017 a Palazzo Roverella a Rovigo una mostra fotografica riunisce oltre 100 scatti di Pietro Donzelli: stampe vintage e moderne che raccontano con l’intensità del bianco e nero il Delta del Po negli anni cinquanta.
Pietro Donzelli, milanese di nascita ma polesano d’adozione, arriva per la prima volta nel Polesine nell’aprile del ’45, innamorandosene da subito. Ci torna nel 1953 per realizzare la serie di fotografie Terra senz’ombra, capolavoro della fotografia neorealista e documento prezioso e memorabile della storia del territorio. Fotografa il Po di Levante, il Po di Volano, Adria, Goro, Rosolina, Mesola, Scardovari, l’isola di Ariano.

Ambienti meravigliosi e drammatici, abitati da gente che vive tra terra e acqua, costretta a misurarsi con la forza di una natura spesso ostile, di cui egli restituisce un ritratto di grande dignità. Donzelli riesce, come pochi altri, ad entrare nell’anima della gente e della terra, restituendone una visione precisa, senza sconti, distaccata e profondamente partecipe.

L’obiettivo di Donzelli si ferma su una festa di paese, il cinema all’aperto, le venditrici ambulanti, gli artigiani all’opera, il mondo dei pescatori e degli specchi d’acqua riflessi. Uomini, donne, vecchi e bambini colti nelle espressioni più spontanee, più vere. Una terra dura, che tuttavia lo conquista: “Senza volerlo – egli annota – l’avevo scelta come patria ideale, come protezione dalla minaccia di sentirmi per sempre un apolide”.

“Terra senz’ombra – come racconta la curatrice Roberta Valtorta – racchiude in sé la piattezza del paesaggio, il silenzio, la fatica e il senso della vita nell’ampiezza della pianura assolata. Esprime anche la luce di cui la fotografia ha bisogno per raccontare che in quei territori la pianura si fa dominante, schiacciante. Ma c’è anche qualcos’altro in questo titolo, cioè che il racconto sarà senza ombre, schietto, vero.”

Donzelli presenta con la fotografia le storie che Antonio Cibotto raccontava nei suoi libri e quelle che Rossellini, Visconti, Dall’Ara, Vancini trasferivano dal Delta al cinema.

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Night Games – Stefano Cerio

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Cosa succede in un parco dei divertimenti quando si spengono le luci? Cosa succede di notte nei parchi per bambini? Una quiete desolata pervade lo spazio in cui, quando brilla il sole, i bambini giocano e gli adulti si rilassano.

Alcune risposte a questi interrogativi – sicuramente suggestive testimonianze – saranno proposte dalle fotografie di Stefano Cerio nella mostra Night Games, che aprirà al  ubblico il 5 maggio presso la Galleria del Cembalo a Roma.

Con la serie Night Games Stefano Cerio prosegue la sua ricerca, apparentemente oggettiva, sui luoghi, sulle macchine del consumo del divertimento di massa, avviata con lavori Aqua Park (2010) e sviluppatasi negli anni successivi con Night Ski (2012) e Chinese Fun (2015).

Al riguardo scrive Gabriel Bauret nel testo introduttivo del volume, edito da Hatje Cantz, che accompagna la mostra: “Oggettività non significa, però, che il fotografo si rinchiuda in un protocollo documentario. Stefano Cerio non realizza un inventario dei parchi divertimento e nemmeno cerca di declinare le fotografare al servizio di certe tematiche. Night Games riunisce luoghi e spazi differenti, come sono differenti i mondi a cui fanno riferimento gli scenari dei parchi: cinematografico, urbano, militare… Tutte le fasce di età sono in qualche modo coinvolte nella varietà dei parchi ai quali si interessa Cerio; compresa l’infanzia, perché Cerio fotografa anche nei giardini pubblici con giostre e scivoli, nel cuore di città come Parigi. La composizione dell’immagine è di grande sobrietà.”

Angela Madesini, contestualizzando il lavoro di Cerio (sempre dal volume di Hatje Cantz): “Alla fine degli anni Settanta Luigi Ghirri aveva dato vita a In scala (1977-78), scattando a Rimini presso l’Italia in Miniatura, un parco di divertimento. Ma l’effetto è completamente diverso rispetto a quello di Cerio. Se per Ghirri la tensione è nei confronti di una ricerca sullo spazio tra realtà e finzione, nel lavoro di Cerio il tentativo, riuscito, è quello di ritrarre delle situazioni, edifici, animali fantastici, personaggi, la Statua della Libertà caduta al suolo. La sua è una dimensione scenica che mi piace equiparare ai Dioramas di Hiroshi Sugimoto o a La nona ora (1999) di Maurizio Cattelan, in cui il papa è schiacciato da un meteorite. È una dimensione strettamente legata al nostro tempo, come per l’americano Gregory Crewdson. Tra i lavori dei due artisti ci sono delle vicinanze: le stesse atmosfere,  un simile afflato poetico.”

Galleria del Cembalo – Roma dal 5 maggio all’8 luglio

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MY DAKOTA – Rebecca Norris Webb

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Il South Dakota, terra natale di Rebecca Norris Webb, è uno degli stati di frontiera delle Grandi Pianure americane. Un luogo scarsamente popolato, dove è più facile incontrare animali che persone. Dominati dai vasti spazi e dal silenzio, gli aspri e bellissimi paesaggi del South Dakota sono a volte preda di un vento brutale e di condizioni climatiche estreme.

Mentre fotografava per il suo progetto, Rebecca è stata travolta dalla notizia della morte improvvisa di suo fratello. «Per mesi una delle poche cose che hanno alleviato il mio cuore instabile era il paesaggio del South Dakota… ho cominciato a chiedermi: può la perdita avere una propria geografia?»

My Dakota, che intreccia testi e fotografie liriche, è un lavoro intimo sul West e un’elegia per un fratello perduto. Da questo lavoro, oltre la mostra è stato realizzato un volume, edito in Italia da Postcart Edizioni, selezionato tra i migliori libri del 2012 da photo-eye e pluri recensito dalla critica sui più importanti magazine e blog internazionali, quali il Time, Lens Blogs del The New York Times e The New Yorker.

Officine Fotografiche Milano – dal 27 aprile al 26 maggio 2017

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 I must have been blind – Simone D’Angelo

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Si apre Sabato 13 Maggio alle ore 17 presso la Galleria de Le Murate Caffè Letterario  a Firenze la personale di Simone D’Angelo  I must have been blind. L’esposizione è la terza di un primo ciclo di tre mostre fotografiche personali a cura di Sandro Bini e Giulia Sgherri organizzate da Deaphoto in collaborazione con il Caffè Letterario.

Con I must have been blind Simone D’Angelo, come un novello Stalker (il protagonista dell’omonimo film di Andrej Tarkovskij), ci guida nella sua Zona, la Valle del Sacco, poco più a sud di Roma, da anni gravemente inquinata dallo sviluppo industriale. L’avventura, iniziata nel tentativo di raccontare le responsabilità politiche e civili che hanno reso possibile questo e altri disastri ecologici nel nostro Paese, diventa soprattutto un percorso di riappropriazione di un paesaggio familiare. Come il Saramago di Cecità, D’Angelo si interroga sulle fonti dell’indifferenza e dell’abbandono, ma come l’amante afflitto della canzone di Tim Buckley (da cui mutua sapientemente il titolo per questa raccolta), egli si domanda se sia possibile un eventuale recupero. Per questo motivo, questo progetto documentario, che filtra la realtà con uno sguardo fortemente coinvolto perché umanamente “innamorato”, è decisamente “politico”: non solo perché denuncia un problema ambientale, ma perché si fa autentico promotore di un futuro ecologicamente sostenibile. Queste fotografie dai colori cupi, in grado di farci commuovere con la loro tragica e desolante bellezza, ci mostrano una ferita, che è sia interna che esterna, e ci invitano a riaprire gli occhi e a immaginare, come per i personaggi di Tarkovksij, una possibile rinascita.

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Alberto Fanelli | 3rd District stereoscopic street journey

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Una mostra di street photography,  da Venezia e Stoccolma a Seul e Singapore.
Fotografie stereoscopiche a forte impatto visivo,  immagini che trascinano l’osservatore
in un’esperienza visiva vertiginosa,  affascinante per la sua novità.
Riprodurre sul piano la percezione tridimensionale della realtà: un traguardo inseguito dall’arte di ogni epoca.

L’autore riprende gli studi pionieristici di metà ottocento sulla stereoscopia spingendola ai limiti delle sue capacità espressive: osservando le opere siamo progressivamente trascinati in un’esperienza visiva vertiginosa, che disorienta e affascina per la sua novità. Oggetti e paesaggi un tempo familiari ci appaiono alterati da una insondabile metamorfosi, tanto più inspiegabile quanto più ci sforziamo di forzare la serratura che ne custodisce il segreto: se la distorsione della realtà è un meccanismo artistico che ci è familiare, siamo invece del tutto impreparati al suo opposto, la facoltà di mettere a fuoco il mondo al di là del confine naturale dei nostri sensi.

Spazio Raw – Milano dal 20 aprile al 9 maggio

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Amy Winehouse: A Family Portrait

16 March – 24 September 2017
“This is an exhibition bursting with warmth, life and affection.”
Time Out

Discover the woman behind the music and beyond the hype in this intimate and moving exhibition about a much loved sister.

Get to know the real Amy Winehouse through her personal belongings, from family photographs to fashion. Items on display reflect Amy’s love for her family, London and more.

Originally staged at the museum in 2013 and returning following an international tour, Amy Winehouse: Family Portrait was co-curated with Winehouse’s brother Alex and sister-in-law Riva.

The exhibition is accompanied by a new Amy-themed street art trail which leads to ‘Love Is A Losing Game’ by renowned street artist Pegasus in our Welcome Gallery.

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Patti Smith – Higher learning & The NY scene

Patti Smith

Dall’8 aprile al 16 luglio 2017 il Palazzo del Governatore di Parma ospita Higher Learning, mostra di opere fotografiche di Patti Smith, con più di 120 immagini scattate in bianco e nero durante i viaggi dell’artista per il mondo. La mostra, organizzata da Università di Parma e Comune di Parma, è stata pensata appositamente in occasione del conferimento della laurea ad honorem che l’Ateneo assegnerà il 3 maggio a Patti Smith.

Higher Learning è un’evoluzione di Eighteen Stations, presentata a New York ed esposta recentemente a Stoccolma. Il progetto originale è stato realizzato in collaborazione con la Robert Miller Gallery di New York e il Kulturhuset Stadsteatern di Stoccolma. Quella di Parma è l’unica tappa italiana dell’esposizione.

Higher Learning, che arriva a più di dieci anni dall’ultima mostra fotografica di Patti Smith in Italia, ruota intorno al mondo del libro M Train (2015), nel quale partendo da un piccolo caffè del Greenwich Village l’artista traccia di fatto un’autobiografia: “una tabella di marcia per la mia vita”. Riflettendo sui temi e sulle sensibilità del libro, Higher Learning è una sorta di meditazione sull’atto della creazione artistica e sul passare del tempo, nella piena consapevolezza del potenziale di speranza e consolazione di arte e letteratura: un diario visivo che ritrae oggetti, statue, strumenti, lapidi, appartenuti a personaggi che hanno fatto la nostra cultura.

Smith utilizza una macchina fotografica vintage Land 250 Polaroid, prodotta alla fine degli anni ’60 con un telemetro Zeiss Ikon. Nell’epoca degli scatti digitali e della manipolazione delle immagini, le sue opere combattono per l’uso della fotografia nella sua forma più classica, come strumento per documentare e fissare per sempre un istante, un momento ritrovato.

All’interno della mostra sarà allestita anche la Patti Smith Library, con un centinaio di opere letterarie e cinematografiche che hanno ispirato e guidato il lavoro dell’artista nel corso della sua vita. I libri e i DVD saranno a disposizione del pubblico che potrà consultarli sul posto. Alcune opere saranno anche in vendita nel bookshop.

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Ramya – Petra Savast

Ramya

Spazio Labo’ è lieta di presentare, per la prima volta in Italia nella sua versione completa, la mostra personale del lavoro più recente dell’artista olandese Petra Stavast: Ramya.
La mostra prende il nome dall’omonimo libro che Stavast ha pubblicato nel 2014 (Fw:Books/Roma Publications) e che ha rappresentato una delle più interessanti produzioni editoriali del mondo della fotografia di questi ultimi anni.

Ramya è il nome della proprietaria della casa in cui Petra si trasferisce, ad Amsterdam, nel 2001. Da allora e per un periodo lungo tredici anni, la fotografa ha documentato la vita di Ramya, nei suoi discreti cambiamenti, nella sua lentezza e anche nella sua intimità, trasformando la fotografia in mezzo di comunicazione tra le due donne, fra cui fin da subito instaura una relazione speciale. Il risultato è una serie di immagini sobrie e intime della casa e dei suoi abitanti, almeno sino al 2012, quando Ramya muore e Petra ha la possibilità di accedere al suo archivio privato e il progetto acquistata una nuova dimensione: si scopre non solo un passato di Ramya estremamente affascinante, ma anche una serie di scatti della donna rubati da un vicino di casa. Petra ricostruisce il periodo in cui Ramya entra nella comune di Rajneeshpuram, creata tra il 1981 e il 1985 dai seguaci di Bhagwan (Osho) e attiva nel deserto dell’Oregon, Stati Uniti. Di questa realtà utopica resta solo una strada asfaltata, che ritroviamo in una delle fotografie di Petra. Conclusa l’esperienza di Rajneeshpuram, Ramya rientra ad Amsterdam e comincia a frequentare un nuovo guru. Petra recupera e dà nuova forma e luce a reperti dell’epoca come una vhs delle sedute di autovisualizzazione e un elenco, scritto a mano, di desideri da esprimere durante gli esercizi spirituali.
Attraverso i materiali prodotti e raccolti dal 2001 al 2014 – fotografie, video, disegni e note autografe – Petra Stavast ha documentato con estrema cura e devozione la vita di Ramya, registrando e interpretando una biografia inusuale e rivelando una ricerca visuale di un’identità.

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The Grain of the Present

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The Grain of the Present, Pier 24 Photography’s ninth exhibition, examines the work of ten photographers at the core of the Pilara Foundation collection—Robert Adams, Diane Arbus, Lewis Baltz, Bernd and Hilla Becher, Lee Friedlander, Nicholas Nixon, Stephen Shore, Henry Wessel, and Garry Winogrand—whose works share a commitment to looking at everyday life as it is. Each of these figures defined a distinctive visual language that combines formal concerns with a documentary aesthetic, and all of them participated in one of two landmark exhibitions: New Documents (1967) at the Museum of Modern Art, New York, or New Topographics (1975) at the International Museum of Photography, George Eastman House, Rochester.

Looking back, inclusion in these exhibitions can be seen as both a marker of success and a foreshadowing of the profound impact this earlier generation would have on those that followed. Although these two exhibitions were significant, most of these photographers considered the photobook as the primary vehicle for their work. At a time when photography exhibitions were few and far between, the broad accessibility of these publications introduced and educated audiences about their work. As a result, many contemporary photographers became intimately familiar with that work, drawing inspiration from it and developing practices that also value the photobook as an important means of presenting their images.

The Grain of the Present features the work of these ten groundbreaking photographers alongside six contemporary practitioners of the medium—Eamonn Doyle, LaToya Ruby Frazier, Ed Panar, Alec Soth, Awoiska van der Molen, and Vanessa Winship. This generation embodies Wessel’s notion of being “actively receptive”: rather than searching for particular subjects, they are open to photographing anything around them. Yet the contemporary works seen here do not merely mimic the celebrated visual languages of the past, but instead draw on and extend them, creating new dialects that are uniquely their own.

All of the photographers in this exhibition fall within a lineage that has been and continues to be integral to defining the medium. What connects them is not simply style, subject, or books. It is their shared belief that the appearance of the physical world and the new meaning created by transforming that world into still photographs is more compelling than any preconceived ideas they may have about it. Each photographer draws inspiration from the ordinary moments of life, often seeing what others overlook—and showing us if you look closely, you can find beauty in the smallest aspects of your surroundings. As a result, the visual language of these photographers resonates beyond each photograph’s frame, informing the way viewers engage with, experience, and perceive the world.

April 1, 2017 – January 31, 2018 – Pier 24 Photography – San Francisco

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Mauro Galligani “Alla luce dei fatti”

Mauro Galligani, Alla luce dei fatti, CIFA di Bibbiena

La mostra è una retrospettiva del lavoro di Mauro Galligani. Con oltre mille servizi realizzati in ogni parte del mondo, Galligani è uno dei fotogiornalisti più importanti del nostro dopoguerra e ha collaborato con alcune delle più importanti testate al mondo. Nelle 16 celle e nel corridoio del CIFA, la mostra si sviluppa per grandi temi, che suddivisi per aree geografiche, percorrono alcuni degli eventi politici, sociali e di costume che hanno fatto la storia tra gli anni’ 70 e i giorni nostri.

Mauro Galligani ama definirsi un giornalista che usa l’immagine fotografica per esprimersi. “Pur essendoci fotografi straordinariamente bravi, i miei modelli di riferimento vengono dal giornalismo scritto. Ciò che voglio sottolineare è che non sono mai andato a fotografare le bellezze o i drammi del mondo per fare l’eroe o per vincere un premio fotografico. Ho sempre cercato di svolgere il mio lavoro cogliendo fotograficamente aspetti e particolari della realtà davanti a cui mi trovavo, per dare la possibilità al lettore di rendersi conto di ciò che stava accadendo.”

“La cosa che più ci colpisce di Galligani è l’attenzione che pone a ciò che gli sta attorno e la sua sensibilità nel capire le persone che gli stanno di fronte – afferma Claudio Pastrone, Direttore del CIFA – I suoi scatti, sempre magistralmente composti e mai artefatti, riescono a farci entrare nell’avvenimento e a trasmetterci l’informazione e l’emozione della presa diretta. Nei suoi servizi ogni immagine è significativa e serve a completare il racconto dell’evento fotografato”.

“Ho apprezzato, vedendo lavorare Galligani – scrive il giornalista Enrico Deaglio – cose che non sapevo. Che dietro una fotografia ci sono la pazienza di tornare anche dieci volte sullo stesso posto, la fiducia di chi viene fotografato e l’eleganza dei gesti del fotografo. L’ho visto stare fermo ad aspettare un avvenimento, sapendo che doveva succedere. Molte volte non succedeva, ma quando succedeva era  una foto”

“I grandi fotografi – scrive il giornalista Giampaolo Pansa – sono sempre grandi narratori. E hanno un vantaggio rispetto a noi che parliamo attraverso la scrittura: il loro occhio vede e spiega con una sintesi, un’efficacia e una forza di verità che nessun giornalista, per bravo che sia, possiede. Mauro Galligani è un grande narratore di storie”.

Centro Italiano della Fotografia d’Autore – Bibbiena – 8 aprile 2017 – 4 giugno 2017

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Violet ISLE – foto di Alex Webb e Rebecca Norris Webb

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Alex Webb è un fotografo internazionalmente conosciuto per i colori vivaci delle sue fotografie, specialmente del mondo caraibico e dell’America Latina. Rebecca Norris Webb ha esplorato attraverso la macchina fotografica la complessa relazione tra le persone e il mondo naturale. Questo progetto è il primo di numerosi lavori a quattro mani creati da Alex e Rebecca nel corso degli ultimi vent’anni.

Insieme nella vita e nel lavoro, la coppia rimane affascinata dal liricismo e dall’intensità della vita cubana più di venti anni fa. Tra il 1993 e il 2008 hanno compiuto undici viaggi fotografici a Cuba. Lavoravano individualmente: Alex catturando volti e sguardi delle persone che incontrava nelle strade, nei cortili, nei caffè; Rebecca costruendo un personale registro delle diverse specie animali che scopriva quotidianamente a Cuba: dai piccioni a piccoli giardini zoologici casalinghi.

Intessute insieme, le fotografie di Alex e Rebecca, pur mantenendo la loro specifica individualità, formano un commovente diario visivo, una duetto, un dialogo sulla bellezza e sulle contraddizioni di questo luogo. In modo sottile, le immagini di Alex e Rebecca Webb evocano il passato di Cuba e il suo isolamento politico, economico, ambientale e culturale.

Spazio Fotografia San Zenone – Reggio Emilia –  dal 5 maggio

Più culture

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Migranti nel Municipio II di Roma Diletta Bisetto, Luca Cascianelli, Francesca Landini, Daniela Manco, Alessandro Maroccia, Vincenzo Metodo, Carolina Munzi, David Pagliani, Melissa Pallini, Simona Scalas, Serena Vittorini e Martina Zanin sono i giovani fotografi dell’ISFCI, Istituto Superiore di Fotografia, autori delle 87 foto in mostra, scattate nell’ambito di un progetto didattico realizzato dal prof. Dario Coletti in collaborazione con Eliana Bambino, photo editor e curatrice della mostra, a conclusione del corso triennale di studi e del master.

I lavori raccontano, attraverso una densa narrazione visiva, le trasformazioni del II Municipio di Roma, protagonista di un processo di immigrazione e integrazione che lo rende specchio di una Roma che cambia: flussi migratori vecchi e nuovi, palazzine occupate, centri diurni e notturni per minori non accompagnati, e poi negozi aperti di notte, botteghe con competenze artigiane, luoghi di culto di fedi diverse e luoghi di passaggio e altri diventati ormai insediamenti stabili, per quanto precari. È un’umanità varia, quella del II Municipio. Un cuore pulsante di vita che proviene da tutto il mondo e che ha trovato in una fetta di Roma la sua casa, amata, odiata, plasmata nel tempo, vissuta sempre con un occhio all’altro capo del globo. Se Roma è lente di ingrandimento del mondo e della sua globalizzazione, le storie locali sono descrizione di un fenomeno più complesso. E la fotografia, nella sua immediatezza, diventa specchio del nostro sguardo quotidiano su quel mondo.

Goethe Institut Roma – fino al 27 maggio

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