Un evento da non perdere: arriva “Be the be body be boom – EST-WEST”!

E’ un piacere e un privilegio per me invitare voi tutti alla prima presentazione del nuovo libro della serie “Be the be body be boom” di Sara, chiaramente parlo di Sara Munari, eh! 😉 .

La presentazione avverrà nella sede di Bottega Immagine, a Milano in via  C. Farini, 60  il 22 novembre alle ore 18,30. Continua a leggere

Facebook, Musa e gli appuntamenti

OLYMPUS DIGITAL CAMERABuongiorno,

come state?

Volevo aggiornarvi sui prossimi appuntamenti dove sarò coinvolta nei prossimi mesi.

Oggi vorrei anche chiedervi una cortesia.

Come sapete, curo questo blog insieme ad altre attività che mi vedono coinvolta nel mondo della fotografia, qui in Italia e molto più raramente all’estero.

Sono molto impegnata e soddisfatta del mio percorso, sia come fotografia che come docente.

Questo piccolo successo deve dar fastidio a molti, dato che per l’ennesima volta qualcuno, segnalando il contenuto degli articoli ( considerati pericolosi o disdicevoli ) ha fatto si che io venissi, per l’ennesima volta, bloccata su Facebook.

Questa volta per un mese. Tanto…questo blocca oltre a me, molte delle mie attività.

Un bel danno insomma, per niente. Chi segue il blog sa bene che i contenuti non hanno niente di pericoloso, porno o non so che altro. Mi piace condividere quello che so e quello che penso, nel mio piccolo, possa essere utile a chi si avvicina alla fotografia.

Sono a chiedervi quindi, di aiutarmi a condividere questo e i prossimi articoli, più che potete, attraverso Facebook o altri canali (attraverso i pulsanti presenti sotto ogni articolo) ve ne sarei grata.

Detto questo. Ecco cosa mi vede coinvolta nei prossimi mesi, prima dell’estate.

BE THE BEE BODY BE BOOM in mostra.

Vi aspetto a San Felice sul Panaro!

Mostra personale presso la galleria FIAF c/o PHOTOCLUB EYES BFI si trova presso il CENTRO CULTURALE OPERA – Azioni Creative sita in Via M. Montessori, 39 – 41038 – San Felice Sul Panaro (MO)

dal 14 Maggio al 24 Giugno 2018 Ore 21,30.

 


Workshop di Storytelling a Bologna presso Paoletti School (8-9-10 giugno)

Questo corso si propone come obiettivo di indicare quali siano le modalità della narrazione fotografica. Verrà spiegato come pensare, svolgere, organizzare e presentare un progetto fotografico compiuto, imparando a portare le conoscenze tecniche a favore della visione personale per un racconto fotografico articolato. Il reportage è una descrizione visiva della realtà attraverso la quale il fotografo deve essere in grado di raccontare uno spazio, personaggi o fatti. Il fotografo deve concepire, sintetizzare, imprigionare momenti, per esprimere e soprattutto descrivere agli altri quello che è davanti ai suoi occhi.

Per info

051 267656

333 3251973

Date

08 Giugno 2018 – 17:30/19:30

09 Giugno 2018 – 09:00/18:00

10 Giugno 2018 – 09:00/18:00

Per iscrizioni


Workshop “Creare con la fotografia”  Domenica 17 giugno 2018

Come posso sviluppare la capacità di esprimersi creativamente attraverso l’uso del mezzo fotografico? Come avere le idee necessarie per partire con un progetto?
Questo il primo obiettivo di questo Workshop.
Utilizzare il linguaggio fotografico come forma di espressione per stimolare il senso artistico attraverso l’esercizio fotografico..
Inoltre permette di “osservare” la realtà e non solo di vederla.
Dallo scatto alla selezione alla presentazione dell’immagine finale: ogni fase del lavoro del fotografo verrà presa in considerazione con il fine di realizzare un oggetto di comunicazione diretto, univoco ed efficace.
Per fare buone fotografie è innanzitutto necessario imparare ad osservare le immagini fotografiche, proprie ed altrui.

Presso il gruppo Memo Piacenza, per informazioni

Via Musso, 5 – Piacenza (PC)

Tel: 3467670270 Adriano

Email: info@memoappuntifotografici.com


Workshop a Santiago de Compostela Date dal 2 luglio 8 Luglio 2018

Il Cammino di Santiago de Compostela è una delle vie di peregrinazione più importanti della storia, tanto che la città è considerata la terza città santa per la cristianità dopo Gerusalemme e Roma. Da più un trentennio a questa parte il Cammino di Santiago ha ritrovato una nuova vitalità tanto che, se nel Medioevo fu motivo d’incontro e scambio culturale tra le genti del Mondo Antico, oggi è diventato un fenomeno mondiale; è facile infatti trovare sul Cammino persone di ogni nazionalità, ben oltre quelle europee. Negli ultimi anni si è stimato che oltre 200.000 pellegrini giungano ogni anno a Santiago.
Ci sono credenti e non, cristiani e persone di altre fedi: ad accomunare tutti quelli che si mettono in cammino è la voglia di vivere un’esperienza che permetta di ritrovare la vera natura dell’uomo, le profondità del proprio cuore, della propria anima… Poi c’è chi è mosso dalla ricerca del trascendente e chi parte a causa di eventi, o prove che la vita gli ha posto davanti: una malattia, un dolore, una perdita ma anche una grande gioia arrivata inattesa.
Il nostro cammino partirà da Palais de Rei e dormiremo in paesini che ci dividono da Santiago.
Le tappe hanno una lunghezza che va dai 15km ai 20km giornalieri.
I temi che affronterete dipendono dalla vostra volontà, fantasia e in questo caso, anche dalla vostra fede. A prescindere da quale sia.
Si Partirebbe da Palas de Rei, seconda tappa Melide, terza Arzua, quarta O’Pedrouzo, quinta Santiago. A Santiago stiamo due notti in coda. Per scattare.
Il ritrovo è Palas de Rei. Per arrivare a Palas de Rei ci sono regolari Bus da Santiago, circa un’ora e mezzo di viaggio.

Quando:
Date dal 2 luglio 8 Luglio 2018

Dove: Cammino di Santiago
Durata: 6 notti

Per informazioni

 

Grazie a tutti,

buona giornata

Sara

 

 

 

 

 

Storia essenziale della fotografia di Diego Mormorio.

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Vi consiglio il libro edito da Postcart, uscito a Novembre 2017.

580 pagine di autori e fotografie davvero interessanti. Io sono arrivata a pagina 257 e posso dire che è completo e ho ancora imparato molto, nonostante sia la materia che insegno.

Ho scoperto che sono stata citata con il mio lavoro Be the bee body be boom tra gli autori italiani. La cosa mi ha fatto immensamente piacere. Piccoli passi avanti.

Per l’acquisto

STORIA ESSENZIALE DELLA FOTOGRAFIA

Questa Storia essenziale della fotografia inizia, naturalmente, parlando dei diversi inventori, ma, diversamente da tante altre, pone subito l’accento sulla modernità del primo Ottocento, elemento fondamentale per comprendere il contesto nel quale è nata la nuova invenzione. “Nei cinquant’anni che hanno preceduto l’avvento della fotografia – sottolinea l’autore – si sono succedute più innovazioni di quante se n’erano avute in tutti i secoli precedenti”. Queste trasformazioni, insieme ai grandi rivolgimenti sociali che ad esse si accompagnarono, crearono una nuova mentalità, dentro la quale è cresciuta la fotografia: arte pittorica e insieme tecnologia.

Sin dal primo momento, spirito tecnologico e tradizione artistica si sono fusi nella nuova invenzione. Il bisogno di “essere artisti” ha segnato la pratica fotografica di moltissimi dei primi fotografi, che vennero chiamati pittorialisti. È a partire da questo bisogno che la fotografia si è affermata come arte contemporanea, guadagnandosi un ruolo centrale nell’esperienza museale.

A sottolineare l’importanza dei riferimenti pittorici, la Storia raccontata da Diego Mormorio mostra come tutte le tipologie fotografiche – ritratto, paesaggio, documentazione, ecc. – affondino le loro radici negli insegnamenti della pittura, tanto che risulta impossibile comprendere la storia della nuova arte senza guardare ai precedenti risultati delle arti visive.

In più di un’occasione, questo libro – che passa in rassegna tutti i personaggi e le vicende rilevanti nell’universo della fotografia – libera il campo da certi luoghi comuni fuorvianti, come quello secondo cui, il giorno della presentazione della dagherrotipia, il pittore Paul Delaroche avrebbe detto “Da oggi la pittura è morta”, o quello che vuole l’origine del fotoromanzo puramente italiana.

Per l’acquisto

 Ciao Sara

La Street photography non esiste? Ma fatemi il piacere!

Buongiorno!

Questo genere fotografico (che per qualcuno non esiste, per me si! 🙂 ) viene identificato come un tipo di fotografia che ritrae momenti non messi in posa, di soggetti umani, in luoghi pubblici.

Questa è la definizione più semplice ed è la definizione di cui si avvale uno stuolo di fotografi (anche mediocri nel genere) per autodefinirsi streetphotographer.

Analizziamo meglio, anche perché le definizioni, ultimamente, mi fanno schifo!

I fattori chiave sembrano essere:

– soggetto

– non in posa

– luoghi pubblici

Prima di tutto, per soggetto si intende soggetto umano?

Dal mio punto di vista non solo. Quindi, gli ‘animali’ senza umani, possono essere considerati soggetti per la street. Addirittura anche le ombre di umani o animali sono street, se vogliamo.

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Sara Munari Palermo

Se l’uomo manca del tutto e nessun elemento si riferisce al ‘vivere quotidiano’ in termini attivi, io preferisco definire l’immagine con il termine ‘fotografia urbana’, anche se molti la definirebbero comunque “Street”.

Con Il termine ‘soggetto’ mi riferisco a soggetto umano o animale presente o di cui si percepisca la presenza avvenuta, la vita vissuta.

SARA MUNARI - (7)Sara Munari Estonia

Se il soggetto, umano oppure no, è ritratto da una distanza tanto ravvicinata da non permettere allo stesso di avere nessuna relazione con il contesto o con altri elementi umani o animali, la fotografia diventa un ritratto. Anche in questo caso, se una foto di ritratto in un contesto urbano, viene inserita in un portfolio di street, verrà percepito, nella narrazione, come una virgola in un racconto. Un piccolo fermo tra le storie delle singole fotografie all’interno del vostro portfolio.

Ricordate che comunque, l’altra caratteristica è ‘non in posa’ … quindi se il ritratto viene percepito come in posa, rientrerà più facilmente nella fotografia di viaggio o documentazione (che può essere sia in posa che no, a seconda dell’insieme di fotografie dell’intero lavoro). Per ‘non in posa’ intendo nella percezione di chi guarda. Questo è fondamentale. Guardando l’immagine dobbiamo avere la sensazione che l’immagine sia candid anche se effettivamente non possiamo sapere come si sia comportato il fotografo e quale rapporto abbia con il soggetto. Dobbiamo fidarci.

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Sara Munari Barcellona

La definizione di luogo pubblico non si limita a contenere solo la strada, piuttosto tutti quei posti fruibili dal pubblico.

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Sara Munari Hanoi Vietnam

Quindi le fotografie con un ‘approccio street’ si possono scattare anche in campagna o al mare…dal mio punto di vista, non necessariamente in città. Spesso però chi scatta foto in campagna o al mare fa rientrare il proprio lavoro nella fotografia di paesaggio, di viaggio o documentazione.

SARA MUNARI - (6)Sara Munari Lituania

Tutti i generi fotografici che riguardano la strada (documentazione, cronaca, ritratto, fotografia urbana, ricerca ecc.) possono essere inserite in un portfolio di street, a seconda delle esigenze del fotografo. Se manca l’elemento candid (non in posa) possiamo definirla fotografia di ritratto o documentazione, più raramente ‘street’.

Se si legge quello che ho scritto fino ad ora, si potrebbe pensare che, essendo il genere molto flessibile e spesso inseribile in altre categorie, manchino i presupposti per definire la Street Photography in un modo preciso, dato che rientra in tutti i generi che si scattano per strada.

Su Facebook è nata una piccola discussione su questo argomento ed io mi sono trovata in disaccordo sia con Settimio Benedusi che affermava, attingendo dal commento di un’altra persona: Sara Munari, La street è una scusa per uscire in strada a cazzo e fotografare senza alcuna idea persone buffe, disgraziate, eccetera e spacciare il tutto come genere figo. Se non fai “street” sei sfigato… io non so fare una sega bene ma evito di rompere le palle al mondo con presunti capolavori in BN 😀

Questa è chiaramente una boiata (alla quale sono certa non creda nemmeno Settimio) dettata da un approccio non professionale alla fotografia e non nello specifico alla fotografia di street. Nel reportage in generale il rispetto per la persona, per il luogo e gli accadimenti dipende dalla sensibilità e dell’etica del fotografo. Fotografare per strada non fa ‘figo’ se la foto non ha senso o non risponde ai criteri della fotografia DI strada (Street photography), molto differente dalla fotografia IN strada (scendere in strada e fotografare ad minchiam).

Anche con Roberto Morosetti mi trovo in disaccordo. Egli afferma: Sara Munari, Non esiste semplicemente come non esiste “la cucina di strada” ad esempio. Sulla strada puoi cucinare un hot dog, puoi preparare una spaghettata all’aperto, puoi organizzare la fiera del cinghiale, puoi metter su una porchetteria… e via dicendo. Street photography è un termine che vorrebbe dire tutto e per questa ragione non vuol dire nulla. È un contenitore, non un contenuto, ed oltretutto è un contenitore vuoto e nel quale si finisce col gettarvi dentro di tutto. In realtà lungo la strada puoi fare un ritratto, è quello è un ritratto non è “street photography”, puoi fare un paesaggio urbano, e quello è un paesaggio urbano non è “street photography”, puoi congelare un’azione tra più persone, e quella è una fotografia d’azione o di gruppo, a seconda dei casi… La strada è solo il “luogo” non è un “fine” del fotografare.

No! Non è solo un contenitore e spiego il motivo. Le fotografie di questo genere contengono SEMPRE un’eccezione.

Fino all’avvento di internet e del digitale poi, ho sempre pensato che la street fosse il racconto delle vicende dell’uomo tentando di catturarne le caratteristiche e le peculiarità o più semplicemente lo scorrere della vita in strada. Spesso, dato che riguardava proprio le caratteristiche specifiche di una certa società, questo genere era seguito da fotografi che vivevano in un luogo che poi avrebbero raccontato fotograficamente. Questo perché le peculiarità e quindi le eccezioni legate a quella società, erano riconoscibili solo da chi quella stessa società la conosceva bene. Non è sempre stato così, ma spesso.

Oggi le cose sono cambiate. Possiamo farci un’idea delle altre città guardando miriadi di immagini e di filmati, arrivando a conoscere i luoghi le sue abitudini e specificità. Possiamo raccontare New York anche se non siamo di quella città, perché la conosciamo bene, comunque. Ci muoviamo e raccontiamo il mondo con più semplicità.

È sicuramente un genere accessibile a tutti, dato che non serve attrezzatura particolare, ma è davvero molto difficile da produrre. Ci sono centinaia di fotografanti che stanno in strada ma pochi producono fotografia di strada.

La Street photography è una rappresentazione della vita reale (senza intervento del fotografo) infusa di consapevolezza relativa al luogo, alle sue stranezze, alle sue abitubini e all’estetica visiva contemporanea.

I fotografi di strada cercano scene che portino una risposta emozionale immediata attraverso l’umorismo o un eventi ambigui, strani o surreali.

Lo Street photographer può raccontare un mondo non reale, oppure si. A differenza del reportage (giornalismo, cronaca, viaggio…) il fotografo di strada non ha l’obbligo di documentare argomenti specifici o argomenti che siano funzionali ad una narrazione specifica, si può fare, oppure no. Chi scatta per strada fa una selezione di elementi a livello di luce, estetica e composizione che servano a raccontare una piccola storia che può anche risolversi nel singolo scatto. Vedi, scatti e racconti una piccola storia. Un attimo cruciale, in questo senso un’eccezione visibile solo perché fermata dal fotografo. Un processo quasi fulmineo, per questo complicato e per niente riproducibile.

Differente dagli altri generi perché la strada la srotoli sotto le scarpe, nella speranza che una foto ti colpisca, come un pugno in faccia. Non la puoi ricostruire (non dovresti) la devi beccare.

Nella fotografia di viaggio o di documentazione abbiamo inoltre la necessità di narrazione legata ad un evento ad un luogo, un gruppo di persone o un soggetto specifico. Niente di ciò è necessario nella Street photography. Non c’è notizia. Foto singole di street possono chiaramente essere inserite in portfolio di documentazione o viceversa, le due tipologie sono correlate, chiaramente.

Nel reportage fotogiornalistico o di viaggio metti in posa, sposti, interagisci, ritorni. Qui no, non dovresti. La fotografia di strada è un istante, tutto il resto della fotografia che si produce in strada fa necessariamente parte di una sequenza.

Chi dice che basta essere in strada e scattare per fare street, lo dice perché non vede eccezioni e se le vede non è in grado di fermarle in una fotografia.

Sorrido quando sento: riproduce gli scatti di Bresson, è una brutta copia di Frank o Winogrand. Non si può.

Questa è per me la Street photography e esiste, …eccome!

Ciao

Sara

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Tutte le mostre di fotografia a luglio

Ciao a tutti,

ecco qua le mostre che vi consigliamo per questo mese di luglio.

Non impigritevi anche se fa caldo!

Anna

Robert Capa in Italia

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La mostra, dedicata al grande fotoreporter di guerra Robert Capa racconta gli anni della seconda guerra mondiale in Italia, con 35 fotografie originali incorniciate e oltre 100 immagini del biennio 1943 – 44, consultabili nello spazio multimediale dell’Alinari Image Museum.
Per la prima volta la mostra presenta oltre alle fotografie originali, un’ampia selezione di immagini digitali, con postazioni multimediali e interattive che permetteranno di contestualizzare la figura di Capa, il suo lavoro, la campagna italiana.

Considerato da alcuni il padre del fotogiornalismo, da altri colui che al fotogiornalismo ha dato una nuova veste e una nuova direzione, Robert Capa (Budapest, 1913 – Thái Binh, Vietnam, 1954) pur non essendo un soldato, visse la maggior parte della sua vita sui campi di battaglia, vicino alla scena, spesso al dolore, a documentare i fatti.

A settanta anni di distanza, la mostra racconta lo sbarco degli Alleati in Italia con una selezione di fotografie provenienti dalla serie Robert Capa Master Selection III conservata a Budapest e acquisita dal Museo Nazionale Ungherese tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009.

Esiliato dall’Ungheria nel 1931, Robert Capa inizia la sua attività di fotoreporter a Berlino e diventa famoso per le sue fotografie scattate durante la guerra civile spagnola tra il 1936 il 1939. Quando arriva in Italia come corrispondente di guerra, ritrae la vita dei soldati e dei civili, dallo sbarco in Sicilia fino ad Anzio.

Le immagini colpiscono ancora oggi per la loro immediatezza e per l’empatia che scatenano in chi le guarda. Ed è così che Capa racconta la resa di Palermo, la posta centrale di Napoli distrutta da una bomba ad orologeria o il funerale delle giovanissime vittime delle famose Quattro Giornate di Napoli. E ancora, vicino a Montecassino, la gente che fugge dalle montagne dove impazzano i combattimenti e i soldati alleati accolti a Monreale.

Grazie a un visore 3D immersivo ci si ritrova in trincea, trasportati all’interno di una azione di combattimento, tra aerei, uomini e carri armati, dove la violenza degli scontri non è mostrata, ma la tensione dell’attesa è realistica. Nello spazio 3D, indossando gli occhialini si ha davanti, in tre dimensioni, mezzi di trasporto o armi usati durante la campagna in Italia.
Una parete proiettata in alta definizione, mostra i volti della gente nella guerra, l’impatto del conflitto sulla vita civile, accompagnati dalle parole di Capa.

Trieste
Alinari Image Museum
Bastione Fiorito
Castello di San Giusto
Dal 27 maggio al 17 settembre

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Henri Cartier-Bresson Fotografo

16 giugno – 15 ottobre 2017 – Galleria di Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada” – San Gimignano

140 scatti di Henri Cartier Bresson, in mostra alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada” di San Gimignano dall’16 giugno al 15 ottobre 2017, dedicati al grande maestro, per immergerci nel suo mondo,  per scoprire il carico di ricchezza di ogni sua immagine, testimonianza di un uomo consapevole, dal lucido pensiero, verso la realtà storica e sociologica.

I suoi scatti colgono la contemporaneità delle cose e della vita. Le sue fotografie testimoniano la nitidezza e la precisione della sua percezione e l’ordine delle forme.
Egli compone geometricamente solo però nel breve istante tra la sorpresa e lo scatto. La composizione deriva da una percezione subitanea e afferrata al volo, priva di qualsiasi analisi. La composizione di Henri Cartier-Bresson è il riflesso che gli consente di cogliere appieno quel che viene offerto dalle cose esistenti, che non sempre e non da tutti vengono accolte, se non da un occhio disponibile come il suo.

“Fotografare, è riconoscere un fatto nello stesso attimo ed in una frazione di secondo e organizzare con rigore le forme percepite visivamente che esprimono questo fatto e lo significano. È mettere sulla stessa linea di mira la mente, lo sguardo e il cuore”.

La mostra è curata da Denis Curti e promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di San Gimignano, prodotta da Opera-Civita con la collaborazione della Fondazione Henri Cartier-Bresson e Magnum Photos Parigi.

Dettagli qua

Be the bee body be boom –  Sara Munari

 

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L’edizione 2017 del Festival vede Sara Munari in una duplice veste: la prima come giurata del Concorso Fotografico 2017 e la seconda come artista in mostra in una delle nostre sedi, con uno dei suoi progetti più belli.

Be the bee body be boom

In “Be the bee body be boom” (bidibibodibibu), Sara Munari si è ispirata alle favole del folklore e alle leggende urbane che soffiano sui paesi dell’Europa dell’Est.
“L’Est Europa offre uno scenario ai miei occhi impermeabile, un pianeta in cui è difficile camminare leggeri, il fascino spettrale da cui è avvolta, dove convivono tristezza, bellezza e stravaganza: un grottesco simulacro della condizione umana. A est, in molti dei paesi che ho visitato, non ho trovato atmosfere particolarmente familiari”, afferma la fotografa di questo lavoro che contempla il suo immaginario, accumulato durante i numerosi viaggi in Est Europa e che è stato definito “visionario”, “stregato e coerente”, “magico”.

Dal 1 al 26 Luglio 2017 – Orbetello, Piazza del Popolo, Sala Espositiva ImagO Palazzo di Piazza del Popolo
Altre info qua

EU: SATOSHI FUJIWARA

 

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“EU” è una mostra antologica del fotografo giapponese Satoshi Fujiwara. Il progetto include alcuni dei lavori più significativi dell’artista e “5K Confinement”, una commissione realizzata per “Belligerent Eyes”, il progetto di ricerca sulla produzione contemporanea di immagini proposto dalla Fondazione nell’estate 2016 a Venezia.

Curata da Luigi Alberto Cippini in un allestimento di Armature globale, la mostra propone un’alternativa ai regimi rappresentativi che stabilizzano l’attuale “identità fotografica europea”. Come osserva Cippini, “la produzione fotografica contemporanea sembra essere determinata da rigidi standard di risoluzione, impatto e distribuzione. Un numero crescente di reporter freelance documentano quotidianamente avvenimenti sociali e politici all’interno e ai margini dell’Unione Europea, producendo immagini che sebbene libere da forme rigide di classificazione, rimangono sottostanti a determinati regimi estetici, di accessibilità, spaziali e di contenuto. Queste costrizioni permettono e sostengono il lavoro delle nuove generazioni di fotografi, aumentando la possibilità di pubblicazione dei loro scatti e contribuendo alla formazione di un gusto medio e neutrale”.

Satoshi Fujiwara (Kobe, Giappone, 1984), attraverso una peculiare scelta delle inquadrature, della distanza focale dai soggetti ritratti e della definizione eterogenea delle fotografie crea un’azione pressante e critica sull’osservatore, deviando dai canoni standard del foto-giornalismo e da una dimensione esclusivamente documentaristica, producendo in questo modo un nuovo lessico emergente.

La mostra si divide in due sezioni: la prima parte, ospitata al piano inferiore dell’Osservatorio, ricostruisce la commissione “5K Confinement”, mentre il secondo piano ospita una retrospettiva che espande e riunisce opere dalle serie “#R”(2015-in corso), “THE FRIDAY: A report on a report” (2015), “Police Brutality” (2015), “Venus” (2016-in corso), “Continent” (2017-in corso), “Animal Material” (2016-in corso), “Mayday” (2015), “Scanning”(2016) e “Green Helmet (2016).

L’allestimento di “EU” è costituito da sequenze di immagini assemblate, volte a eliminare qualsiasi contesto narrativo lineare. Un’operazione che trae origine dalla rielaborazione dell’architettura espositiva disegnata da Herbert Bayer per la mostra “The Road to Victory: a procession of photographs of the nation at war”, tenutasi al MoMA di New York nel 1942.
Porzioni di telecamere consumate dall’uso, assieme a diversi formati di presenza umana e sorveglianza convergono in una sorta di tazibao, in cui le storiche forme di informazione pubblica in uso durante la rivoluzione culturale cinese sono combinate a forme di costruzione e associazione visiva attualmente diffuse, quali i software di editing video ed elaborazione digitale. Come sostiene Cippini, l’allestimento si presenta come “un conglomerato di formati e standard di definizione che registra l’assuefazione al consumo di immagini e la necessità di dialogare con le forme meno visibili di propaganda contemporanea”.

“EU” è accompagnato da una pubblicazione, “5K Confinement. HD Environment Surface Surveillance “, a cura di Luigi Alberto Cippini ed edita da Fondazione Prada.

7 giugno – 6 ottobre – Osservatorio – Milano

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Vivian Maier – Una fotografa ritrovata

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Loggia degli Abati di Palazzo Ducale – Genova
23 giugno – 8 ottobre 2017
Vivian Maier era un nome pressoché sconosciuto fino ad una decina di anni fa. Sarebbe rimasto presente probabilmente solo nel ricordo dei bambini che aveva accudito come tata negli anni Cinquanta e Sessanta, tra Chicago e New York. E invece, grazie ad una fortunata serie di coincidenze, oggi è uno dei nomi più celebrati e amati della fotografia contemporanea.
Palazzo Ducale ospita nella Loggia degli Abati la retrospettiva dedicata a Vivian Maier, con oltre 120 fotografie in bianco e nero, una selezione di immagini a colori e alcuni filmati in super8 che mostrano come la Maier si avvicinasse ai suoi soggetti. E’ infatti questo uno dei tratti peculiari della sua fotografia: uno sguardo partecipe e distaccato al tempo stesso, a volte discreto, altre volte dissacrante. Un approccio sensibile e curioso, attento ai dettagli, alle imperfezioni, capace di documentare il reale restando nell’ombra. Era un’autodidatta, e le sue fotografie non sono mai state esposte né pubblicate mentre era in vita, la maggior parte dei rullini non sono mai stati sviluppati. Oggi proprio quelle fotografie costituiscono il racconto di un’epoca, un ritratto (non in posa) dell’America del dopoguerra. I soggetti sono bambini, anziani, lavoratori, donne: persone che Vivian Maier incontrava per la strada e immortalava con la sua inseparabile Rolleiflex, sapendo restare nascosta pur stando in mezzo alla gente.
Ciò che affascina maggiormente della sua storia è la scelta di tenere per sé le sue fotografie, di non mostrarle né condividerle con gli altri. Era un’artista continuamente all’opera, ma soltanto raramente sviluppava i suoi negativi, essendo forse più interessata all’atto stesso della fotografia che non al suo prodotto, tantomeno al commercio. Come se già solo il fare fotografia bastasse, o meglio, bastasse a lei stessa.
Nel 2007 John Maloof, allora agente immobiliare, ritrovò i migliaia di negativi della Maier stipati dentro scatoloni confiscati e messi in vendita all’asta. Da allora non smetterà di cercare materiale sulla misteriosa fotografa, arrivando ad archiviare oltre 15.000 negativi e 3.000 stampe.
La mostra di Palazzo Ducale offre l’occasione di conoscere una parte di questo immenso archivio, lasciando ammirare l’enigma di una donna misteriosa, tata di mestiere e fotografa per vocazione.

Tutti i dettagli qua

Le mostre di Cortona on The Move

17 LUGLIO – 1 OTTOBRE 2017

Giunto alla settima edizione, il festival internazionale di fotografia Cortona On The Move ospiterà tanti protagonisti della fotografia internazionale, dai grandi maestri ai giovani talenti, in un fitto programma di mostre, eventi, letture di portfolio con esperti di fama e una serie di iniziative inedite.

Tantissime le mostre da vedere. Qua trovate il programma completo.

Segnaliamo tra le tante, Donna Ferrato, Francesco Comello, Donald Weber, Matt Black e Justyna Mielnikiewicz.

OBIETTIVO MILANO. 200 fotoritratti dall’archivio di Maria Mulas

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Dal 1° giugno al 6 settembre 2017 Palazzo Morando | Costume Moda Immagine ospita la mostra organizzata da Associazione Memoria & Progetto, “OBIETTIVO MILANO. 200 fotoritratti dall’archivio di Maria Mulas” a cura di Maria Canella e Andrea Tomasetig con Antonella Scaramuzzino e Clara Melchiorre.

Sono 200 i ritratti fotografici esposti in mostra provenienti dall’archivio di Maria Mulas, prestigiose testimonianze professionali e dei legami intessuti dalla fotografa nel corso della sua vita.

Le foto raffigurano personaggi che hanno animato la scena artistica, culturale e sociale di Milano dalla fine degli anni Sessanta al Duemila, siano essi meneghini di nascita, di adozione o di passaggio, stranieri compresi: artisti, galleristi, designer, stilisti, scrittori, editori, giornalisti, registi, attori, intellettuali, imprenditori e molti altri.

L’insieme dei materiali conferma Maria Mulas tra le più importanti fotografe del Novecento italiano e il suo archivio come uno strumento indispensabile per documentare e ricostruire la storia visiva di Milano nel secondo Novecento.

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Questioni di Famiglie

Il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena (AR), ente nato per volontà della FIAF, la storica Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, presenta la mostra fotografica “Questioni di Famiglie”, che si terrà da lunedì 17 giugno a domenica 3 settembre 2017.

La mostra “Questioni di Famiglie” viene presentata con un anno di anticipo rispetto al Progetto Nazionale “La Famiglia in Italia”, che verrà esposto a Bibbiena nel 2018 in occasione del 70° anniversario della Federazione. Il progetto, già in fase di realizzazione, si rivolge a tutti gli appassionati fotografi e chiede loro di immortalare la famiglia contemporanea italiana; l’obiettivo è quello di realizzare una campagna fotografica di ricognizione che coinvolga migliaia di fotografi.

“Questioni di Famiglie” intende presentare al pubblico i molteplici aspetti di come la famiglia è stata raccontata fotograficamente in passato. Con la  consapevolezza che l’argomento è molto vasto, sono state scelte dai dieci curatori della mostra alcune tra le diverse possibili tematiche rappresentative dell’argomento per offrire spunti di riflessione e stimoli anche ai fotografi che si apprestano a partecipare al prossimo Progetto Nazionale.

La mostra è divisa in dieci sezioni (tra cui “La famiglia a tavola”, “La famiglia Social”, “La famiglia nel cinema italiano”..) e ciascuna sezione è seguita da un curatore differente per un totale di oltre 200 immagini esposte. Con le sue 16 celle e un grande corridoio, il CIFA rappresenta il luogo ideale per questo tipo di esposizione, che si offre ai visitatori come un percorso a tappe in cui scoprire, a volte anche con curiosa sorpresa, alcuni esempi di come la fotografia in Italia ha declinato il tema della Famiglia.

Tra i vari Autori che espongono è possibile trovare Cesare Colombo, Nino Migliori, Costantino Ruspoli, Paolo Ventura, Settimio Benedusi, Federico Patellani, Paul Ronald, Eugenio Giacinto Garrone, Gianni Berengo Gardin, Mario Cresci, Toni Thorimbert, Gabriele Galimberti, Giovanni Gastel, Gabriele Basilico e ancora molti altri.

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La progettualità dello sguardo. Fotografie di paesaggio di Gabriele Basilico

 

La mostra, ideata e promossa dall’Accademia di architettura (USI) di Mendrisio assieme allo Studio Gabriele Basilico, presenta 60 fotografie. Tra le immagini selezionate quelle tratte dalla serie “Bord de Mer” e un gruppo di paesaggi realizzati in Italia, Portogallo e Spagna. Particolare attenzione è dedicata alla Svizzera: una serie racconta l’architettura di Luigi Snozzi a Monte Carasso e un’altra il passo di San Gottardo. Un nucleo di 40 fotografie è invece dedicato alla ricostruzione di Gemona del Friuli, lavoro che Basilico ha realizzato nel 1992.

Chiesa di San Lorenzo – San Vito al Tagliamento (Pordenone)

16 giugno – 10 settembre 2017

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Ed van der Elsken – Camera in Love

 

from 13 June 2017 until 24 September 2017 – Concorde, Paris

Ed van der Elsken (1925-1990) is a unique figure in Dutch 20th-century documentary cinema and photography. As a photographer, his preferred subject was the street, and in cities like Paris, Amsterdam, Hong Kong or Tokyo, he enjoyed ‘hunting’ for subjects. Often qualified as a “photographer of marginal figures”, he sought in reality an aesthetic form, a visual authenticity, devoid of artifice, a beauty that was sometimes openly sensual, at times even erotic. Ed van der Elsken was fascinated by these proud figures, full of life and vitality.

The exhibition at the Jeu de Paume presents a large selection of some of his most iconic images: shots of Paris from the 1950s, figures photographed on his numerous travels or in his native Amsterdam from the 1960s onwards, as well as his books, and excerpts from his films and slide shows, particularly Eye Love You and Tokyo Symphony.

Van der Elsken photographs and films his subjects in situations that are often theatrical, and he behaves like a director, engaging in conversation with the people he photographs. He likes to be provocative and encourages his subjects to exaggerate or accentuate certain personality traits he detects in them. In addition to his theatrical, extravagant photography, Van der Elsken has also produced a large number of understated and moving images, revelatory of his poetic nature, his innate sense of solidarity with others, and his profound empathy for all living creatures.

Van der Elsken published approximately twenty books and produced a large number of films. His first book, Love on the Left Bank, was published in 1956. Taking the form of a banal but rather unusual photobook, Love on the Left Bank is a semi-fictive account of disaffected young people, living in Paris after the Second World War. The dark tone and expressive approach, as well as the book’s almost cinematic quality contributed to its instant success. Love on the Left Bank was followed by a number of photo documentaries from his travels: Bagara (1958) featuring photographs from his trip to Equatorial Africa, and Sweet Life (1966), from his round-the-world journey in 1959-1960.
Jazz (1958) is also worth mentioning. The book is a vibrant ode to the explosion of jazz music on the Amsterdam scene. In the 1980s, he published photobooks on Paris and Amsterdam, as well as De ontdekking van Japan (The Discovery of Japan) based on his numerous trips to Japan, and colour publications: Eye Love You (1976), depicting photographs from around the world against the backdrop of the liberal atmosphere of the 1960s and 70s, and Avonturen op het land (Adventures in the Countryside) (1980), Van der Elsken’s tribute to life in the polders in the northern Netherlands.

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Willy Ronis

from 28 June 2017 until 29 October 2017 – Château de Tours

This retrospective presents a specific aspect of Willy Ronis’s work: a deep awareness of the nature of images, despite his being traditionally categorised as a mainstream humanist. For Ronis photography is not an end in itself but a means of expressing his experience of the social realities around him. Taken in the street, a factory, the countryside or some intimate setting, his photographs add up to a set of moments that span his entire career, and constitute the basis of his personal version of reality.

After World War II the torch-bearers of French photography were the Groupe des XV, whose members included Robert Doisneau, René-Jacques, Marcel Bovis and, of course, Willy Ronis. Anecdote, parody, tenderness and visual finesse were among the narrative techniques favoured by French humanist photography, and what it sought to convey. Taking as their subject busy Paris streets, working class neighbourhoods, people out for a walk, children playing and other scenes of daily life, these photographs blended poetry with a spontaneously assumed vocation of reporting on the world.

Ronis is nonetheless very much aware of the dishonesty of any attempt by photography to take the edge off social injustice. He sets out to explore the life of the poor with method, conviction and lucidity. Hence his photographs of workers, picket lines and passionate union harangues in the Citroën and Renault factories in 1936 and 1950, the Saint-Étienne mines in 1948 and the streets of Paris in 1950. But in addition to his empathy with workers in the factory, at home and in society, we sense a photographer whose socio-political concerns could not be satisfied with a few fragments of lives picked up here and there, but required active commitment. Ronis never concentrates on the sordid, nor does he disguise poverty or romanticise the poor; rather he sides with their demands and their struggle.

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EPIFANIE 02 –  LAB/per un laboratorio irregolare

Cembalo

LAB/per un laboratorio irregolare è un progetto di Antonio Biasiucci che nasce nel 2012 per rispondere all’esigenza di creare un percorso per giovani artisti, completamente gratuito, in cui trasmettere un metodo di costante approfondimento e critica del proprio lavoro. Dopo l’esperienza della prima edizione del “laboratorio irregolare”, il progetto è proseguito intorno a un tavolo, nello studio di Biasiucci, per oltre due anni, in cui si sono incontrati i giovani artisti e il fotografo per raccogliere, condividere e sviluppare i loro lavori.

Scrive Antonio Biasiucci: “oggi restituisco quello che mi è stato dato, perché non ha senso che sia io solo a salvarmi. Metto a disposizione le mie conoscenze, affinché sia dato spazio, tempo e possibilità ad altri di fare buona fotografia attraverso un Laboratorio ispirato ad Antonio Neiwiller, regista napoletano scomparso venti anni fa, che io considero mio maestro. Il Laboratorio produce immagini essenziali, nelle quali l’autore può trovare una parte di sé; sono immagini che si aprono all’altro”. Il progetto applica dunque i metodi teatrali di Antonio Neiwiller alla fotografia. Non si tratta di una scuola in senso stretto, ma di un percorso dove l’azione didattica diventa un’azione di esistenza e dove la formazione non è fine a sé stessa ma diviene: “lo stimolo a solleticare corde interne del pensiero e dell’emozione, affinché diventino delle epifanie pure e scarnificate” (Leo de Berardinis).

“Come l’azione dell’attore sul palcoscenico – spiega Giovanni Fiorentino, che presenta nel catalogo i principi e l’azione del Laboratorio – è ridotta all’essenza, così nel laboratorio irregolare il viaggio di formazione porta il fotografo a mirare all’interno di sé, ricercando una performance profonda, elaborata per sottrazione, che trasformi l’oggetto della ricerca stessa in soggetto dalla dimensione universale. Biasiucci ha messo intorno al tavolo otto esperienze di vita, e di fotografia, eterogenee, selezionandole tra più di cento di proposte per competenze e qualità della ricerca. Intorno a quel tavolo la fotografia è diventata uno strumento di connessione e di scambio continuo, apprendimento condiviso e relazione sensibile”.

Per questo i lavori del laboratorio irregolare sono sempre “Epifanie” dal contenuto e dalla forma eterogenea. Sguardi autonomi, guidati da un unico metodo, che mette insieme otto esperienze di vita e ricerche fotografiche diverse. Così Pasquale Autiero racconta delle contraddizioni inguaribili del Sud tra il sacro e il profano, Ciro Battiloro dell’umanità che popola il Rione Sanità a Napoli, Valentina De Rosa di persone affette da grave disabilità, Maurizio Esposito di una geografia dell’anima, Ivana Fabbricino della percezione del sé attraverso l’autoritratto, Vincenzo Pagliuca di case ai margini dello spazio, Valerio Polici di un viaggio nel proprio immaginario, Vincenzo Russo della “riproducibilità dell’opera d’arte”.

“Fare il Laboratorio non significa diventare artisti, ma è il tentativo di scoprire cosa è importante; aiuta a distinguere il fondamentale dall’effimero, ad acquisire una forma mentis, una metodologia che è funzionale perlomeno a realizzare una fotografia che non mente. Una fotografia, appunto, una fotografia di se stessi. Nel Laboratorio non si privilegia un genere ma, al contrario, si punta alla cancellazione del genere. È privilegiato solo il proprio dire che eventualmente può prevedere più generi per comunicarlo. Aiuta a capire che lo scambio, il confronto, il relazionarsi sono fondamentali per crescere, insegna ad avere il coraggio di presentarsi nudi, ma consapevoli che è questo l’unico modo possibile”, così Biasiucci parla del Laboratorio Irregolare.

Dal 7 giugno scorso sino al 30 luglio prossimo, un tavolo lungo 15 metri, disegnato da Giovanni Francesco Frascino, su cui sono poggiati gli 8 portfoli-libro degli artisti di LAB, illuminato da un’unica striscia di luce, accoglie i visitatori all’interno della Chiesa di Santa Maria della Misericordia ai Vergini, detta La Misericordiella. Gli otto lavori di Epifanie 02 sono pubblicati in un catalogo, a cura di Antonio Biasiucci, e edito da Peliti Associati.

14 giugno / 15 luglio 2017 – Galleria del Cembalo Roma
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POP STYLE ICONS

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30 anni di icone da Kate Moss a David Bowie negli scatti di Michel Haddi.

Barberino Designer Outlet in collaborazione con ONO arte contemporanea è lieta di presentare POP STYLE ICONS: 30 anni di icone da Kate Moss a David Bowie negli scatti di Michel Haddi, una mostra che attraverso i soggetti più rappresentativi del celebre fotografo di moda francese racconta non solo l’evoluzione dello stile di tre epoche segnate da profondi cambiamenti storici e culturali, ma testimonia anche il passaggio dall’analogico al nuovo mondo digitale e alle infinite possibilità che questo ha aperto nell’ambito della fotografia di moda e costume.

La fotografia mi permette di creare una realtà alternativa. La fotografia di moda non è una rappresentazione accurata della realtà. Certo, ci sono elementi didascalici, cosa va di moda, quali sono gli argomenti di maggior interesse popolari al momento, ma è anche un sistema fantasmagorico. Ho campo libero.
Michel Haddi

Le immagini esposte sono state selezionate insieme a Michel Haddi e provengono da un archivio sterminato di volti noti e meno noti: icone del passato e nuovi modelli culturali sono qui accomunati dal taglio contemporaneo e sempre attuale di Haddi. La sua volontà di inventare storie, di far vivere lo scatto anche al di fuori dell’immagine fotografica, è evidente nella maggior parte dei suoi ritratti che sembrano implicare un continuum spazio-temporale con il mondo esterno: un prima e un dopo che diventano quasi necessari, come se la fotografia fosse un frame tratto da una pellicola cinematografica. Le immagini che compongono la mostra descrivono non solo la sua personale evoluzione nell’ambito della fotografia di moda, ma ci offrono anche uno spaccato della trasformazione interna della cultura visuale delle riviste patinate degli ultimi trent’anni, così come dello stile visivo e popolare tout-court.

A Barberino Designer Outlet la mostra è visitabile gratuitamente dal 13 giugno al 30 luglio ogni giorno dalle 11:00 alle 20:00. Pop Style Icons: un’occasione unica per lasciarsi rapire dalle celebrità del mondo del cinema e della musica immortalate dall’arte di Michel Haddi.

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Another Look – Daniele Tamagni

Dal 6 luglio al 16 settembre, presso la Galleria del Cembalo (Palazzo Borghese) a Roma, la mostra ANOTHER LOOK, a cura di Giovanna Fazzuoli, racconterà la moda di strada come strumento di affermazione individuale e di rivendicazione politica e sociale. Dai dandy congolesi di Brazzaville ai metallari cowboys di Gaborone, dai giovani ballerini di Johannesburg ai creativi di Nairobi e Dakar, Daniele Tamagni è riuscito a cogliere l’immediatezza espressiva di queste comunità.

Nel suo lungo lavoro di reportage condotto in diversi paesi africani, Tamagni ritrae fenomeni di resistenza eccentrica e di rivendicazione della differenza attraverso la moda. L’identità delle fashion tribes è rappresentata in diversi contesti geografici in cui si è radicata una controcultura popolare che si ispira a quella coloniale e occidentale, sfidandola e reinterpretandola con inesauribile creatività.

L’intimità di questi ritratti testimonia lo stretto rapporto di fiducia che il fotografo riesce a instaurare con i soggetti rappresentati: “Questo forte legame gli ha permesso di andare alle radici, di realizzare vitali scatti istantanei con gli occhi di una persona di fiducia, calata all’interno di un microcosmo difficile da conoscere, dove è raro per un estraneo essere ammesso.” (Paul Goldwin, già curatore Tate Gallery, London).

Tra globalizzazione e tradizione, desiderio di emulazione e affermazione sociale, spontaneità e artificio, creatività individuale e reinterpretazione, le tribù della moda, raccolte nel volume “Fashion Tribes”, rivendicano la propria identità nella realtà di tutti i giorni, una realtà che Tamagni ha saputo guardare da un punto di vista diverso, sfidando stereotipi e luoghi comuni.

6 luglio / 16 settembre 2017 – Galleria del Cembalo Roma

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