John Free, street photography a Los Angeles

L’autore che vi presentiamo oggi è John Free, un fotografo americano, che si occupa di reportage sociale e street photography, che con le sue immagini ci offre uno spaccato della vita Americana degli anni 70 e 80.

Che ne dite?

Anna

John Free è un fotografo di reportage sociale e street photography che vive a Los Angeles. I suoi lavori variano dai vagabondi che viaggiano sulle ferrovie in California alla vita di strada a Londra e Parigi.

Il suo progetto “End of the line” è ambientato allo scalo merci di Los Angeles, dove si è recato ogni giorno per 10 anni per fotografare i vagabondi delle ferrovie. “Ho fotografato queste persone problematiche e uomini e donne che, a causa di una tragedia personale nelle loro vite, la guerra, le donne, la bottiglia, sono state forzate ad uno stile di vita pericoloso viaggiando su treni merci. Alla fine arrivano a Los Angeles, che è il posto più ad ovest che si possa raggiungere.

John è stato per molti anni una fonte di ispirazione per fotografi di ogni età e livello, attraverso i suoi insegnamenti in lezioni e workshop di Street Photography a Los Angeles, New York, Parigi e Londra.

I lavoro di John sono apparsi su numerose pubblicazioni dal U.S. News and World Report e Newsweek al Photographic Magazine e allo Smithsonian. E’ stato selezionato tra i fotografi internazionali per prendere parte al progetto che è poi diventato il libro 24 hours in the life of Los Angeles. Le sue opere sono state oggetto di diverse mostre, tra cui al California Museum of Science and Industry, Los Angeles, Laguna Festival of Art, Armory Center for the Arts in Pasadena e alla Bagier Gallery a Ojai, California.

Susan Meiselas, reportage di grande livello

Ciao,

oggi vi presentiamo Susan Meiselas, una delle fotografe documentariste a mio parere più brave, membro di Magnum da oltre 40 anni, è famosa per i suoi reportage dal Nicaragua, dove ha trascorso più di 10 anni per documentare la rivoluzione sandinista e più in generale da vari paesi dove i diritti umani sono calpestati.

Probabilmente molti di voi la conosceranno già, per gli altri, ecco alcune delle sue immagini più rappresentative.

Anna

“The camera is an excuse to be someplace you otherwise don’t belong. It gives me both a point of connection and a point of separation”- Susan Meiselas

Susan Meiselas nasce a Baltimora, nel Maryland. Frequenta il Sarah Lawrence College a New York e successivamente studia Educazione Visiva ad Harvard. Tra il 1972 e il 1975 muove i primi passi nel mondo della fotografia seguendo le vite delle spogliarelliste presenti alle fiere di paese nella Nuova Inghilterra, Pennsylvania e Carolina del Sud. La fotografa documenta sia le performance delle ragazze, sia la loro vita privata. Le immagini prodotte in quel periodo vengono raccolte nel libro “Carnival Strippers”, pubblicato per la prima volta nel 1976. Nello stesso anno entra a far parte di Magnum Photos, dove lavora come fotografa freelance da allora.

Dal 1978 al 1979 documenta la Rivoluzione sandinista in Nicaragua dando vita ad alcune delle sue foto più iconiche, tra cui “Molotov Man”. La risultante è il libro “Nicaragua”, pubblicato nel 1981.

L’interesse per temi sociali e politici è il centro dei lavori di reportage della fotografa statunitense. Nel 1983 diventa editrice del libro “Chile from Within”, dove vengono pubblicate le foto di 30 fotografi che si trovavano in Cile durante il regime di Pinochet.

Nel 1991 completa un progetto lungo sei anni sulla storia fotografica del Kurdistan, pubblicando le foto nel libro “Kurdistan: in the Shadow of History”. Dal progetto nasce anche un sito che prende il nome di akaKurdistan, dove la fotografa inserisce foto e materiale d’archivio sulla storia curda, invitando la gente stessa a integrare informazioni aggiuntive.

Il suo progetto più recente, “A Room of Their Own” (2015-2016) è un progetto su commissione incentrato sulla vita di alcune donne residenti in un campo per rifugiati in Inghilterra. La fotografa ha organizzato dei workshop con le donne stesse per integrare testimonianze e lavori creati durante le attività alle foto.

Susan Meiselas ha vinto la Robert Capa Gold Medal nel 1978, l’Hasselblad Award e il Premio Maria Moors Cabot nel 1994. Nel 2015 ha vinto il Guggenheim Fellowship. Dal 1976 è membro di Magnum Photos

Fonte: Wikipedia

Questo è il suo sito, e qua trovate il suo profilo sul sito della Magnum.

Tutte le immagini sono coperte da copyright ©Susan Meiselas

Jill Freedman, una fotografa di strada a lungo ignorata

Ciao,

oggi vi presentiamo una fotografa newyorkese, che è stata lungamente ignorata e sottovalutata per gran parte della sua carriera.

New York è il suo soggetto preferito, si focalizza su ciò che accade per strada, con un’attenzione particolare a chi vive per strada, mettendo in evidenza le contraddizioni e le ambiguità della metropoli.

Purtroppo nel 2019 è mancata.

Se non la conoscevate, fateci avere la vostra opinione.

Anna

Jill Freedman era ebrea e nacque nel quartiere di Squirrel Hill a Pittsburgh nel 1939 da un venditore ambulante e da un’infermiera.

A sette anni trova in soffitta dei vecchi numeri della rivista Life: non ha mai visto nulla del genere, è sconvolta ed emozionata, ma i genitori bruciano tutte le copie per non turbarla.

Tuttavia questo gesto non serve a molto perché la bambina non dimentica.

Nel 1961, Freedman si è laureata in sociologia presso l’Università di Pittsburgh. Ha riscoperto la fotografia solo casualmente, sperimentando con la fotocamera di un amico.

Dopo il college, la Freedman è andata in Israele, dove ha lavorato in un kibbutz. Ha finito i soldi e ha cantato per guadagnarsi da vivere; ha continuato a cantare a Parigi e in un varietà televisivo a Londra.
La Freedman è arrivata a New York City nel 1964, ha lavorato nella pubblicità e come copywriter. Come fotografa, è stata autodidatta, influenzata da André Kertész, idolatrando W. Eugene Smith, ma aiutata principalmente dal suo barboncino Fang: “Quando camminavo per strada con Fang vedevo tutto, sentivo tutto. Aveva un grande istinto. Mi ha insegnato a guardare, perché non si perdeva mai nulla”.

Dopo aver saputo dell’assassinio di Martin Luther King, la Freedman lasciò il suo lavoro e andò a Washington, DC. Ha vissuto a Resurrection City, una baraccopoli gestita dalla Poor People’s Campaign nel Washington Mall nel 1968, e lì ha fotografato. Le fotografie della serie furono pubblicate all’epoca su Life e raccolte nel suo primo libro, Old News: Resurrection City.

La Freedman ha poi vissuto in una Volkswagen kombi, seguendo il Clyde Beatty-Cole Brothers Circus. Per due mesi, ha fotografato “due spettacoli al giorno e uno ogni domenica. Sette settimane di una notte” e si è spostata attraverso New York, Massachusetts, New Jersey, Rhode Island, New Hampshire, Vermont, Pennsylvania e Ohio. Il suo intento era di fotografare gli artisti come persone.

Il lavoro è stato pubblicato come libro, Circus Days, nel 1975.
La Freedman ha fotografato l’allora squallida area della 42nd Street e la scena artistica di Studio 54 e SoHo.
Nel 1975, la Freedman iniziò a fotografare i vigili del fuoco ad Harlem e nel Bronx. Ci sono voluti due anni; viveva con i vigili del fuoco, dormiva nell’auto del capo e sul pavimento. Ne risultò un libro, Firehouse, pubblicato nel 1977 – secondo una recensione un libro “imperfetto … da riproduzione scadente e layout inetto”.
Alcuni dei vigili del fuoco erano stati precedentemente poliziotti e suggerirono che la Freedman potesse fotografare il lavoro della polizia. Lei non amava la polizia, ma pensava che tra loro dovevano esserci buoni poliziotti. Per la sua serie Street Cops (1978-1981), ha accompagnato la polizia in una zona di New York City tra cui Alphabet City e Times Square, trascorrendo del tempo con quelli che sembravano buoni poliziotti. Il lavoro ha portato al libro Street Cops.

Negli anni Settanta, la Freedman è stata brevemente associata a Magnum Photos, ma non ne è diventata membro. Voleva raccontare storie tramite la fotografia, ma voleva anche evitare i compromessi richiesti per ottenere commissioni; e quindi ha preferito rimanere indipendente. Aveva difficoltà a guadagnarsi da vivere, ma vendeva stampe in uno stand allestito fuori dall’edificio del Whitney Museum. Nel 1983, il critico del New York Times Andy Grunberg ha riconosciuto la sua fotografia di strada in bianco e nero a New York, assimilandola con Lee Friedlander, Fred R. Conrad, Bruce Davidson, Roy DeCarava, Bill Cunningham, Sara Krulwich e Rudy Burckhardt.
Nel 1988, Freedman ha scoperto di essere malata. Le spese mediche significavano che doveva lasciare il suo appartamento sopra la Sullivan Street Playhouse; nel 1991 si è trasferita a Miami Beach; lì era insoddisfatta ma riusciva leggere molto. A volte ha lavorato per il Miami Herald. È anche riuscita a pubblicare un fotolibro di cani che è stato elogiato per “[sfidare] le immagini cliché” della fotografia di cani. Ha anche pubblicato il secondo di due libri fotografici d’Irlanda, uno che secondo Publishers Weekly “cattura con amore gli aspetti duraturi della tradizione irlandese”.
Intorno al 2003, la Freedman è tornata a New York. Era scioccata e rattristata dalla ripulitura della città durante la sua assenza: “Quando ho visto che avevano trasformato la 42esima Strada in Disneyland, … sono rimasta lì e ho pianto”.
Durante la prima parte della sua carriera, Freedman è stata affascinata dal processo della stampa fotografica. Scattava Kodak Tri-X e amava usare un obiettivo da 35 mm e luce disponibile, e stampare su carta Agfa Portriga Rapid. Alla fine del 2016, non aveva né una camera oscura né ne sntiva la mancanza. Ha sottolineato che la fotocamera, sia essa cinematografica o digitale, è solo uno strumento. Quando le è stato chiesto in un’altra occasione, ha citato Elliott Erwitt per non essere noioso e per aver tentato di fare un lavoro eccellente; le questioni tecniche e persino i posteri non dovrebbero essere una preoccupazione

Freedman è stata uno dei 13 fotografi ripresi a fotografare New York in Everybody Street, un film del 2013 di Cheryl Dunn. Insieme a Richard Kalvar, Alex Webb, Rebecca Norris Webb, Maggie Steber e Matt Stuart, è stata ospite del Miami Street Photography Festival 2016 allo HistoryMiami Museum durante la settimana di Art Basel.

Il 9 ottobre 2019, la Freedman è morta in una struttura di cura a Manhattan.

Fonte: libera traduzione da Wikipedia

Questo è il sito dove trovate tutti i suoi lavori, e qua trovate un articolo apparso sul NYT in occasione della sua morte.

Tutte le immagini sono coperte da copyright ©Jill Friedman

Laura Wilson, fotografie e diari.

Oggi vi presentiamo questa non più giovane fotografa americana, che dopo essere stata l’assistente di Richard Avedon, ha cominciato a raccontarci, con la fotografia e con estratti dei suoi diari, gente e luoghi degli Stati Uniti.

Che ne pensate?

Anna

Laura Cunningham Wilson (nata nel 1939) è una fotografa americana. Le sue fotografie sono apparse su The New York Times Magazine, The New Yorker, Vanity Fair, GQ, Wallpaper, Washington Post Magazine e London Times Magazine.

Laura Wilson, cresciuta in Massachussets, è sposata e vive a Dallas, Texas; è madre di tre figli: Andrew, Owen e Luke (si, proprio i famosi attori 🙂 ndt)

La sua carriera da fotografa è cominciata scattando fotografie ai suoi tre figli: “Mi ero laureata in pittura al college. Ma con tre bambini piccoli tra i piedi, non avevo tempo di prendere in mano un pennello. Poi un amico mi ha regalato una fotocamera. Ho capito immediatamente che i bambini erano soggetti perfetti.

La sua carriera a livello professionale, ha invece avuto inizio quando Richard Avedon l’assunse per assisterlo con il suo libro In the American West, commissionatogli dall’ Amon Carter Museum.  La Wilson ha viaggiato con Avedon per sei anni, aiutandolo a trovare soggetti da fotografare e scrivendo anche i testi per il libro. Il lavoro con Avedon l’ha aiutata ad acquisire familiarità  con l’Ovest e le ha fornito l’ispirazione per i suoi progetti successivi. In un’intervista rilasciata nel gennaio 2018, ha descritto la sua attrazione artistica per gruppi di persone isolate, dicendo “Sono attratta dalla gente che vive in un mondo chiuso – le persone che vivono in comunità isolate, che sia per caso o per scelta; ero curiosa di saperne di più… il mio desiderio, come scrisse Eudora Welty ‘ non sarebbe di puntare il dito per giudicare, ma di aprire una tenda, quell’ombra invisibile che cade tra le persone’”

La Wilson ha pubblicato cinque libri di fotografie e testi:

That Day: Pictures in the American West

Yale University Press, 2015

That Day offre la visione della Wilson sulla sua regione d’adozione nell’arco della sua carriera dal 1970 ad oggi. Testi tratti dal suo diario accompagnano fotografie delle persone che hanno contribuito a formare la regione più dinamica della nazione

Avedon at Work

Harry Ransom Humanities Research Center/University of Texas Press, 2003

La Wilson ha avuto l’onore di documentare la vita di uno dei maggiori fotografi del ventesimo secolo. E’ stata l’assistente di Avedon per 6 anni  e le sue fotografie e i brani del suo diario mostrano il processso creativo di Avedon e il suo metodo di lavoro, mentre completava In the American West.

Hutterites of Montana

Yale University Press, 2000

Gli Hutteriti (comunità etnico religiosa originaria dell’Austria e successivamente trasferitasi in Canada e USA ndt) vivono in gruppi comunitari isolati, evitando il mondo moderno. La Wilson ha cominciato ad interessarsi a queste persone, che vivono nell’Ovest americano, durante il suo viaggio con Avedon. Le comunità Hutterite normalmente non permettono la fotografia, ma dopo numerose visite a queste comunità, la Wilson è riuscita ad ottenere il permesso.

Watt Matthews of Lambshead

Texas State Historical Association, 1989

Questo è un saggio fotografico che racconta di uno degli ultimi mandriani del Texas This is a photographic essay about one of the last great Texas cattlemen. The New York Times ha scritto che questo libro è diventato “un classico della storia del Texas”

Grit & Glory

Bright Sky Press, September 2003

Questo libro documenta l’energia e il brivido del football con 6 giocatori e la ruvida cultura viscerale in cui viene praticato nelle piccole città del Texas.  

La biografia è liberamente tradotta da Wikipedia e dal sito dell’autrice.

Sai chi è il fotografo più ricco del mondo?

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Terry Richardson, 52 Anni, di New York, è purtroppo, il fotografo più pagato al mondo.

Fotografo di moda e non solo. Terry Richardson ha fotografato tutti, da Barack Obama (nel 2012) a Rihanna, la sua carriera inizia negli anni ’90. Viene riconosciuto soprattutto per il suo stile provocatorio. Campagne pubblicitarie censurate per i contenuti a sfondo sessuale e per la violenza delle immagini. Accuse da parte di modelle secondo le quali il fotografo avrebbe abusato della sua posizione per approfittarsi delle giovani donne.

Una bella personcina.

La sua fotografia mi stanca, sembra trasgressiva, sembra provocatoria, sembra tutto…

Boh, rimane il fatto che, in un anno, tra il 2016 ed il 2017, ha guadagnato 75 milioni di dollari, chiaramente, non solo con la fotografia.

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Grazie a questa, però e a suo padre (Bob Richardson, bravo fotografo di moda) il ragazzaccio americano ha un patrimonio personale netto di 215 Milioni di dollari.

Chissà se è felice!

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La sua fortuna finanziaria è cresciuta anche grazie investimenti azionari e partecipazioni immobiliari.

Non contento possiede diversi ristoranti a Washington, una squadra di calcio, un suo marchio di vodka, Un profumo, una linea di abbigliamento “Seduction” (come altrimenti?)

Ha preso immagini dei personaggi più famosi :

Madonna, Kate Moss, Sharon Stone, Leonardo DiCaprio, Macaulay Culkin, Tom Ford, Eva Riccobono, Mickey Rourke, P!nk, Amy Winehouse, Marc Jacobs, Lil’ Kim, Nicolas Cage, Catherine Deneuve, Lenny Kravitz, Jessica Alba, Jared Leto, Lana Del Rey, Lady Gaga, Britney Spears, Miley Cyrus e Rihanna.

Che simpaticone!

Ciao

Sara

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Eugene Smith, storia di una foto.

Oggi vi racconto la storia di questa fotografia. L’immagine è di Eugene Smith.

In una fotografia sola coesistono orrore e grande umanità.
Il bambino che vedete è stato salvato, moribondo, da un marine americano durante la liberazione di combattenti giapponesi e civili dalle grotte di Saipan nell’estate del 1944. Sembra fosse l’unico sopravvissuto e venne ritrovato tra centinaia di cadaveri in una grotta. La battaglia per l’isola di Saipan è stata tremenda e vedeva coinvolti Giappone e America.
Ci fu, inoltre, un suicidio di massa tra i civili giapponesi.
Nelle battaglie morirono 30.000 soldati e circa 12.000 isolani.

Venne definita “guerra senza misericordia” . Un brutto capitolo della nostra storia.

Title: Wounded, Dying Infant Found by American Soldier in Saipan Mountains

(Photo credit: Eugene Smith)