Sara Munari, Positano 2018
I selfie sono ovunque nel mondo dei social media.
Mentre alcune persone li amano, altri li odiano, anche se sono più popolari che mai.
Ogni tanto penso che, quando mio nipote tra qualche anno, farà una ricerca sul web, di qualsiasi cosa, cercando “immagini” gli compariranno, pizze con faccia, tette con faccia, facce con faccia, culi con faccia (?), sushi e altre cose di questo tipo. Spero abbia la voglia e la perseveranza di approfondire.
Anche io sono colpevole, sulla mia stessa pagina facebook, mi è capitato di postare qualche selfie.
Cosa dicono esattamente i selfie delle persone ritratte?
Per capire i selfie, le persone hanno bisogno di capire le motivazioni che stanno dietro queste immagini, insieme ai motivi per cui tendono a diventare virali.
Le persone si fanno selfie ovunque, facendo qualsiasi cosa.
Pubblicano poi le immagini sui social media dove centinaia di persone potranno vederle. Solo un paio di decenni fa, gli individui con tale esposizione, sarebbero state considerate delle celebrità.
Stiamo forse cercando notorietà in ogni modo possibile?
Del resto farsi un selfie costa davvero poca energia…e allora, selfiamoci tutti!
I social media sono stati creati per aiutare le persone a connettersi l’un l’altro e molte persone usano questa scusa come “spinta” dietro la pubblicazione di tutto, dal nuovo paio di scarpe alle foto di matrimonio, dei figli, di cibo ecc.
Diventa subito chiaro che una cosa che molte persone cercano tramite i loro selfie è una “botta” di autostima. Da un punto di vista psicologico, sono probabilmente alla ricerca di una strada per soddisfare questo bisogno e la hanno trovata su facebook o simili. Ogni condivisione , ogni commento positivo è una spinta alla loro fiducia e via altri selfie…
“Guardami, io sono questo. Sono bello, buono e felice.”
Nella vita reale, le persone cercano costantemente di emergere, con le parole, con gli abiti, con ciò che acquistano. Non è sempre logico, ma è così.
I selfie rappresentano questo, una dichiarazione al mondo per distinguersi, per essere parte di qualcosa.
Questa voglia è un aspetto comune del comportamento umano e potrebbe indicare le ragioni alla base della popolarità che cerchiamo con gli autoscatti.
Siamo cresciuti con l’avvento di Internet. Milioni di persone in tutto il mondo, stanno cercando uno “fine” e lo stanno facendo anche online.
I selfie sembrano avere un ruolo importante per rispondere a questi bisogni psicologici. Da fuori, potrebbe sembrare un’esplosione narcisistica, ma uno sguardo più attento chiarisce che non è solo questo. Un selfie è l’espressione dell’identità di una persona, un metodo per trovare se stessi, per conoscersi.
Serve per dimostrare che siamo stati qui e abbiamo fatto la differenza.
Forse.
Certo se li accomuno alla fotografia fatta con consapevolezza, rabbrividisco un po’…ma ormai rabbrividisco di fronte a molta fotografia!
Poi arrivano gli eccessi. Ultimamente mi sono imbattuta in selfie spaventosi, a mio parere.
Il caso dell’incidente ferroviario con l’uomo che si fa il selfie mentre la donna investita è senza gambe (perchè tranciate dal treno) sui binari.
Questo ragazzo ruba il corpo della sua donna all’obitorio e lo posta su internet.
Kinana Allouche lavora per la tv filogovernativa in Siria e mostra i suoi selfie mentre lavora al fianco dell’esercito, su Facebook.
Gli esempi sono infiniti, basta cercarli in rete.
Stiamo superando i limiti? E’ tutto concesso? Quando, questo comportamento, non è più da considerarsi normale? Il rispetto per un defunto, un ferito e chiunque sia in difficoltà, passa in secondo piano, terzo, quarto e subentra un comportamento che mi sembra quantomeno strano. La condanna morale da parte mia è inevitabile.
Chi insegnerà a mio nipote quali sono i limiti? Spero di poterlo fare io.
I limiti non hanno a che fare con la fotografia (anche se abbiamo visto nella storia immagini crude e violente di qualsiasi soggetto), hanno a che fare con l’uomo e il rispetto dell’uomo.
Il ritrarre una scena stando dietro la macchina fotografica ha un sapore meno violento del coinvolgersi in un avvenimento legato morte o sofferenza. Perché dovrebbe venire la voglia di parteciparvi? Io non ho risposta.
Un fotografo di cronaca o fotogiornalista si trova di fronte al dolore spesso e lo fa di mestiere. Perchè un cittadino comune, senza intento documentario, senza motivazione apparente logica, desidera essere lì?
Ci devo pensare su.
Ciao
Sara
Ciao Sara,
sono perfettamente d’accordo con te!
Approfondendo il discorso sui “selfie” mi domandavo: quando noi vogliamo fotografare una persona dobbiamo chiedere loro il permesso di fotografarli oltre a pubblicare le foto su qualsivoglia supporto cartaceo o virtuale. Mentre per autofpotografarsi si danno un sacco di arie.
Anch’io mi sono fatto qualche (pochi per la verità, massimo 5) selfie. Ma solo per curiosità e per vedere che effetto faceva.
Ok, se si tratta di selfie innocui, innocenti ma quando si superano certi confini allora trovo che non è più fotografia e neppure arte ma una forma blasfema, volgare, offensiva, di rappresentazione dei fatti che non ha nulla a che fare con il fotogiornalismo e tantomeno con i reporter di guerra.
Un salutone!!
Gianni.
Ciao Gianni, grazie mille per l’intervento. Mi fa piacere la si pensi in modo simile. Buona serata Sara