Quando l’editore è la gente

L’incontro col “fotografo” è avvenuto per caso, in un locale nemmeno tanto alla moda della cittadina che stava ospitando uno dei Festival più importanti dedicati al fotogiornalismo.

Esaurite le presentazioni e i doverosi attestati di ammirazione che ho per il suo lavoro, il discorso  cade velocemente sull’idea che sta cercando di realizzare con le immagini che ha in esposizione; un libro, una pubblicazione in cui gli unici editori, saranno le persone che credono e crederanno nel progetto e vorranno finanziarlo con piccole o grandi offerte.

1-grarup

Crowdfunding, il nuovo modo con cui i progetti e le idee, anche fotografiche, prendono forma. Recenti sono gli esempi che vengono da MeMoMag e dal libro di Andy Rocchelli promosso da Cesura. Progetti finanziati dall’utenza, dalla gente che scavalca grosse case editrici e grossi sponsor, per contribuire a realizzare ciò che vorrebbe vedere. In cambio delle offerte, i promotori, riconoscono ai “produttori” vari benefit che variano a seconda della cifra versata; si va dal ringraziamento sulle pagine del libro o nella presentazione della mostra, alla copia autografata  del volume pubblicato, alla stampa fotografica e così via, secondo la natura del progetto.

Vi devo solo alcuni dettagli sulla persona che ho incontrato e sul suo lavoro.

 2-grarup

Il fotografo è Jan Grarup, fotogiornalista danese che ha raccontato guerre, genicidi e tragedie di ogni genere, degli ultimi trent’anni; più volte premiato con i maggiori riconoscimenti in campo fotografico. Il lavoro, premiato al World Press Photo del 2013 con il primo premio nella categoria Sports Feature, è: “I Just Want to Dunk”; incentrato sulle vicende di una squadra clandestina di basket femminile a Mogadiscio.

Stava lavorando in Somalia, quando gli è giunta voce di alcune ragazze che, in comprensibile segreto, si trovavano per giocare a Basket. Dopo le prime perplessità ed incredulità, vista la realtà del paese in cui si trovava, riesce ad incontrare la “capitana” di questo team clandestino e viene invitato ad assistere e fotografare durante l’allenamento; “…una volta in campo, le ragazze hanno dismesso il velo ed i volti inespressivi per essere come delle qualsiasi donne di nemmeno vent’anni, scherzando e flirtando con me…” Le ragazze sono spesso allontanate dai famigliari, che temono ritorsioni e più di una volta, costrette dalle minacce, hanno dovuto cambiare abitazione; possono allenarsi solamente quando trovano i soldi per pagarsi una scorta armata che le protegga.

Le fotografie sono state realizzate in quattro anni, nei quali Jan è tornato in Somalia una decina di volte per due tre settimane ognuna tra mille difficoltà e costi, non ultimi quelli riguardanti  la propria sicurezza. Nonostante ciò, in questo periodo è riuscito a trovare fondi per sostenere  la passione di queste ragazze, anche con la vendita delle stampe fotografiche e perfino ad organizzare un tournée di allenamenti in Europa, che non ha potuto avere seguito per l’impossibilità da parte delle giocatrici, di lasciare il paese in sicurezza.

http://jangrarup.photoshelt er.com/

http://www.worldpressphoto.org/awards/2013/sports-feature/jan-grarup

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