Catherine Opie, l’immagine dell’America contemporanea

Catherine Opie è nata a Sandusky, Ohio nel 1961. Opie indaga i modi in cui le fotografie documentano e danno voce ai fenomeni sociali nell’America di oggi, registrando gli atteggiamenti e le relazioni delle persone con sè stesse e con gli altri, e il modo in cui occupano il paesaggio contemporaneo. Al centro delle sue indagini ci sono domande legate alle relazioni con la comunità a livello sociale, che esplora a più livelli in tutti i suoi progetti fotografici.

Autoritratto con tagli autoinflitti


Lavorando tra approcci concettuali e documentaristici alla creazione di immagini, Opie esamina generi che variano tra foto scattate in famiglia – ritrattistica, paesaggio e fotografia in studio. Esegue spesso sorprendenti di immagini seriali con composizioni inaspettate. La sua ricerca riguarda argomenti anche radicalmente diversi che riesce però a trattare in parallelo. Molte delle sue opere catturano l’espressione dell’identità individuale attraverso gruppi (coppie, squadre, folle) e rivelano una connessione sottintesa con la sua storia personale che rispecchia nei suoi soggetti.

A 60 anni, Catherine Opie parla con grazia e forza che derivano da una vita trascorsa a forgiare il proprio percorso attraverso l’arte e a entrare in contatto con persone di ogni estrazione sociale, sia dietro la telecamera che davanti ad una classe. Come una delle principali fotografe della sua generazione, Opie ha raccontato le persone, i luoghi e la politica di Stati Uniti profondamente radicati nell’intersezione tra casa e identità, creando un ritratto intimo della vita americana contemporanea.

All’età di 13 anni, Opie si è trasferita dall’Ohio alla California ed è entrata al liceo come la “nuova ragazza”, piuttosto timida e incerta su come entrare in contatto con i ragazzi che sono cresciuti insieme. “Non ero brava a capire come fare amicizia”, ​​dice Opie.

Poi l’ispirazione l’ha colpita. Opie, che ha sperimentato la fotografia dall’età di nove anni, ha costruito una camera oscura e ha iniziato a fotografare i suoi amici durante le recite scolastiche. “Andavo a casa, stampavo le fotografie di notte e poi davo loro delle stampe”, ricorda Opie della sua esperienza formativa nel creare legami con nuovi gruppi. Le cose andarono a posto quando Opie trovò il suo ruolo di osservatore impegnato che poteva muoversi senza problemi tra i diversi gruppi.
Che si tratti di documentare movimenti politici, sottoculture queer o trasformazioni urbane, le immagini della vita contemporanea di Opie sono un ritratto dell’America contemporanea. l’autrice vorrebbe trasmettere idee che testimoniano l’importanza di “dell’apparenza in società”.

Nella sua città natale, Sandusky, Ohio, Catherine Opie vaga per le strade con la macchina fotografica, alla ricerca di quella che lei chiama “l’immagine artistica americana”. Visitando i siti della sua infanzia, Opie riflette su come le sue prime esperienze a Sandusky abbiano influenzato il suo approccio alla fotografia.

“È curioso che anche ora finisca per passare così tanto tempo da sola a fotografare”, dice Opie, “perché è ciò che ho sempre fatto anche da bambina”.


Catherine Opie ha ricevuto un BFA dal San Francisco Art Institute (1985), un MFA da CalArts (1988) e dal 2001 insegna all’Università della California, Los Angeles. Ha ricevuto numerosi premi, tra cui il President’s Award for Lifetime Achievement dal Women’s Caucus for Art (2009); Borsa di studio per artisti degli Stati Uniti (2006); Premio Larry Aldrich (2004); e il CalArts Alpert Award nelle arti (2003). Il suo lavoro è apparso in importanti mostre presso l’Institute of Contemporary Art, Boston (2011); Museo d’arte della contea di Los Angeles (2010); Museo Guggenheim, New York (2008); MCA Chicago (2006); e il Walker Art Center, Minneapolis (2002). Catherine Opie vive e lavora a Los Angeles, California.

Per approfondire: https://www.guggenheim.org/artwork/artist/catherine-opie

Tutte le immagini presenti nell’articolo sono e rimangono di proprietà di Catherine Opie e qui hanno solo scopo didattico informativo.

Cammie Toloui,5 Dollars for 3 Minutes

Cammie Toloui è nata e cresciuta nella baia di San Francisco. Si è laureata in fotogiornalismo alla San Francisco State University. Il suo lavoro di fotografa documentarista l’ha portata in Russia, all’interno di ambulanze, strip club e altri mondi pubblici/privati.

Il suo lavoro è stato esposto alla Tate Modern di Londra, al San Francisco Museum of Modern Art, al New Museum of Contemporary Art di New York, alla San Francisco Camerawork Gallery e alla Wight Art Gallery di Los Angeles.

Ha ricevuto il New York Times Award for Excellence in Photojournalism, la Greg Robinson Memorial Photojournalism Scholarship e ha avuto l’onore di partecipare all’Eddie Adams Workshop.

Nel 2021 il suo libro della serie Lusty Lady 5 dollari per 3 minuti è stato pubblicato da Void.

Continua a documentare la sua vita e a svelare i tabù attraverso la sua fotografia, i suoi gioielli e la sua band, le Yeastie Girlz.

Tutte le immagini sono di Cammie Tolui

LUSTY LADY ‘5 Dollars for 3 Minutes’

Le fotografie di Lusty Lady sono state scattate all’inizio degli anni Novanta, era una studentessa di fotogiornalismo, non poteva permettersi il costo delle enormi quantità di pellicola e carta necessarie per i corsi, così facendosi coraggio fece un colloquio per diventare spogliarellista, ciò gli permetteva di guadagnare abbastanza soldi.

Durante il corso di fotogiornalismo gli venne chiesto di lavorare sulla propria vita quotidiana,

la fotografa decise così di fotografare i clienti del locale Lusty Lady Theater per cui offriva un dildo show gratuito in cambio di una o due foto. Cinque dollari significavano tre minuti di tempo per guardarla spogliarsi, posare e (far finta di) masturbarsi, mentre il cliente poteva fare quasi tutto quello che voleva.

Cammie Tolui:

“La verità è che ho trovato liberatorio fare la spogliarellista. Chi l’avrebbe mai detto? Mi ha permesso di liberarmi delle inibizioni sessuali; mi ha dato un enorme bacino di amicizie femminili forti, intelligenti, radicali, aperte e molto divertenti; mi ha dato la possibilità di avere un reddito decente che mi ha permesso di essere indipendente, mi ha sostenuto durante il mio percorso universitario e mi ha offerto un’enorme opportunità creativa che ha portato a una vita di riconoscimenti artistici positivi e, infine, a questo stesso libro”.

Nonostante il progetto sia stato esposto in istituzioni prestigiose, ciò che è stato mostrato sono scatti di lei, di clienti vestiti o delle poche coppie eterosessuali della serie.

Le immagini di uomini in erezione sono rimaste in gran parte inedite. “I curatori e gli editori hanno scelto le immagini in cui c’era una donna, perché è sicuro”, dice Toloui. “Siamo abituati a vedere le donne in un contesto sessualizzato. Ma per me era così frustrante che non mostrassero il vero lavoro, cioè gli uomini che si masturbano. È la maggior parte del lavoro”.

Ci sono voluti quasi 30 anni e uno specialista emergente di libri fotografici, Void di Atene, per pubblicare tutta la serie al completo;

questo riflette una maggiore apertura contemporanea sul lavoro sessuale e sulla sessualità femminile, ma anche il fatto che ora ci sono più artiste, editori e curatori donna, “quindi non sono solo gli uomini a decidere cosa può essere visto”. Tuttavia, l’autrice afferma che c’è ancora molto da fare per mostrare lo sguardo femminile e la sessualità maschile, e aggiunge che farlo aiuterà anche gli uomini. Se il patriarcato stabilisce determinati ruoli per le donne, lo fa anche per gli uomini, sottolinea l’autrice; per alcuni dei suoi clienti, il Lusty Lady era l’unico posto in cui potevano far cadere la maschera. Era l’unico posto, forse, dove potevano mostrare i loro veri desideri, la lingerie sotto l’uniforme.

Cammie Tolui:

“Questi uomini non stanno fingendo”, dice. “Tutte quelle cose che si vedono ogni giorno, uomini che devono pavoneggiarsi, ingigantirsi, camminare a testa alta o parlare da duri, sono un fardello per chi non è così. Ma agli uomini è permesso di essere qualcosa di diverso dall’ideale maschile? Questa rivoluzione deve ancora avvenire”.

Sitografia:

https://www.discardedmagazine.com/portfolio/cammie-toloui-on-creating-a-mirror-to-male-gaze/

https://www.cammiet.com/lusty-lady

https://www.theguardian.com/culture/2021/aug/16/cammie-toloui-camera-sex-worker-photojournalist

https://void.photo/5dollars

https://i-d.vice.com/en/article/v7e7km/feminist-strip-club-90s

Identità e metodo nel reportage documentario con Simone Cerio

Quante immagini produciamo oggi senza sapere il perchè?
Quante fotografie raccontano davvero di noi?

IDEM (Identità e Metodo) è un percorso ideato per chi sente l’esigenza di rappresentare il mondo che lo circonda in maniera personale e riconoscibile.

Simone Cerio è un fotografo documentarista italiano, molto conosciuto per la sua ricerca sul tema dell’identità e delle disuguaglianze. La sua didattica è basata su un metodo specifico, sviluppato a partire dall’esperienza diretta sul campo e da una ricerca profonda sulla fotografia documentaria e sulle nuove tecniche narrative.
Nel percorso di IDEM verrà data particolare attenzione alle attitudini individuali e al proprio vissuto, allo studio di molteplici approcci fotografici, attraverso tecniche di confronto, in un processo di ricerca di quelle tematiche e narrative in cui ci riconosciamo, semplicemente perché affini a noi stessi.Tutto è impostato sulla produzione di un progetto personale, partendo dal suo concepimento fino all’output più funzionale per il pubblico.­

Identità e metodo info­

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Per studiare comodamente da casa 

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Visual storytelling, incontro con te stesso, progetta un lavoro da zero con Sara Munari
Percorso fotoritocco e gestione immagini con Fabio Viganò NEW
Reportage fotogiornalistico con Pierpaolo Mittica
Il linguaggio fotografico con Sara Munari
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Il racconto fotografico con Sara Munari
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Photoediting funzionale e creativo con Paola Riccardi
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Utilizzo del linguaggio fotografico e capacità di usarlo correttamente. Corsi in aula. 

Percorso linguaggio base per l’utilizzo corretto di immagini e gruppi di immagini
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Il linguaggio fotografico con Sara Munari
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La costruzione del portfolio, come e cosa fare con Sara Munari
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Cristina Garcìa Rodero, avere posate d’argento non renderà il tuo cibo più gustoso

“La fotocamera ti aiuta, ma il motore è il tuo cuore o la tua testa. Avere posate d’argento non renderà il tuo cibo più gustoso” (C.G.Rodero)

Articolo di Giovanna Sparapani

SPAIN. Almonte. 1977. The virgin returns to the temple. Cristina Garcìa Rodero

Nata a Puertollano in Spagna nel 1949,  dopo aver studiato pittura presso la Scuola di Belle Arti di Madrid, decide di dedicarsi esclusivamente alla fotografia, materia che ha insegnato fino al 2007 nella stessa Università.  In un’ interessante intervista pubblicata sul sito dell’Agenzia Magnum, la Rodero racconta che dopo la laurea si era recata a Firenze per studiare fotografia, ma, delusa dagli insegnamenti ricevuti nella città del giglio, aveva optato per la fotografia di strada al fine di ottenere interessanti reportage. A questo proposito con modestia la fotografa afferma che: “Il reportage è una scuola di vita. I tuoi insegnamenti si basano su errori ed errori”.

Una delle sue più compiute e importanti ricerche è rivolta a documentare le feste popolari e le tradizioni religiose spagnole, attraverso un cospicuo numero di fotografie raccolte  nel libro España Oculta, (ed.Lunwerg, Barcellona 1989); il volume che è stato ristampato più volte e tradotto in diverse lingue, ha ottenuto al Festival di Fotografia di Arles l’ambito riconoscimento di “ Book of the year Award”. Inoltre, dopo aver vinto l’importante Premio di Fotografia Nazionale in Spagna nel 1996, è stata la prima donna spagnola nominata nel 2009 membro effettivo dell’Agenzia Magnum.

SPAIN. La TrinitŽ, Lumbier, Espagne, 1980 – Cristina Garcìa Rodero

Una profonda cultura etnologica e antropologica, ricca di riferimenti artistici e letterari, le ha consentito di indagare sulle radici del popolo spagnolo, attraverso una ricerca per immagini sul  mondo rurale e la ritualità arcaica: le sue fotografie trascendono la mera cifra documentaristica alla ricerca di una qualità estetica e narrativa potente.

Gli scatti in bianconero dai netti contrasti chiaroscurali riescono ad affascinare l’osservatore, evidenziando il mistero e una spiritualità antica che trascende una visione oggettiva della realtà. La fotografa non indugia su particolari folkloristici di facile richiamo: le persone umili, che partecipano ai riti, sono colte nella loro semplicità che le rende affascinanti e talora inquietanti, come le immagini degli uomini incappucciati vestiti di lunghe tuniche che lasciano intravedere solo gli occhi e i piedi scalzi, intangibili fantasmi che vagano in gruppo durante le processioni attraverso le strade dei paesi: il bianconero è molto contrastato, le inquadrature e i tagli sono audaci a evidenziare con forza e passione la vita quotidiana degli umili, in una parola, degli ultimi che tengono vive  con determinazione le loro tradizioni popolari e religiose.

Cristina Garcia Rodero A onze heures au Salvador, Cuenca. Spain. 1982

Il suo sguardo appassionato  si sofferma sugli atteggiamenti delle donne che sfilano incappucciate in nero e sugli uomini che portano sulle spalle pesanti croci,  evidenziando con forza come dai loro sacrifici arcaici trasudino significati legati alla sfera della  carnalità e dell’ erotismo. Di eccezionale intensità espressiva sono il ritratto dell’uomo con candelotti poggiati sulla testa che colano cera sul suo volto e della donna ritratta con quattro candele dentro la bocca che sembrano soffocarla.

Fotografia di Cristina Garcìa Rodero

“All’epoca pensavo di poter fare qualcosa in cinque anni, ma alla fine ne ho presi 15. Più facevo ricerche, più trovavo. Ed è diventata una sfida per me, scoprire queste tradizioni nascoste, farle conoscere, fare in modo che non si perdessero nella storia. Ho cercato di fotografare l’anima misteriosa, vera e magica della Spagna popolare in tutta la sua passione, amore, umorismo, tenerezza, rabbia e dolore, in tutta la sua verità raccontando i momenti pieni ed intensi nella vita di personaggi così semplici e irresistibili, come fosse una sfida personale nella quale ho investito tutto il mio cuore”. (G.C.R.).

SPAIN. 1980. Salve a la Vierge de Ujué, Lumbier. Cristine Garcìa Rodero

Cristina Garcia Rodero Waiter chocolate with churros Cartagena. Spain. 1981

Cristina Garcìa, curiosa e solidale con il genere umano di tutto il globo, si è interessata a documentare anche le tradizioni e i riti popolari e religiosi di altri paesi, dedicando particolare attenzione ai luoghi e alle tradizioni di Haiti e dell’America Latina, in particolare del Venezuela.  Il suo lavoro “Rituals in Haiti” fu esposto per la priva volta alla Biennale di Venezia nel 2001.

 In Italia, più o meno nello stesso periodo, quando fiorivano studi etnologici e antropologici, la fotografa napoletana Marialba Russo ha prodotto un prezioso lavoro in cui documenta con occhio attento e partecipato le tradizioni religiose e popolari del sud Italia.

PINO BERTELLI, la Fotografia ribelle, Interno4 2022, Rimini

https://www.magnumphotos.com

https://www.fotografiaartistica.it

Articolo di Giovanna Sparapani

L’articolo ha solo scopo didattico e culturale, le fotografie sono dell’autrice e non possono essere usate per fini commerciali.

John Free, street photography a Los Angeles

L’autore che vi presentiamo oggi è John Free, un fotografo americano, che si occupa di reportage sociale e street photography, che con le sue immagini ci offre uno spaccato della vita Americana degli anni 70 e 80.

Che ne dite?

Anna

John Free è un fotografo di reportage sociale e street photography che vive a Los Angeles. I suoi lavori variano dai vagabondi che viaggiano sulle ferrovie in California alla vita di strada a Londra e Parigi.

Il suo progetto “End of the line” è ambientato allo scalo merci di Los Angeles, dove si è recato ogni giorno per 10 anni per fotografare i vagabondi delle ferrovie. “Ho fotografato queste persone problematiche e uomini e donne che, a causa di una tragedia personale nelle loro vite, la guerra, le donne, la bottiglia, sono state forzate ad uno stile di vita pericoloso viaggiando su treni merci. Alla fine arrivano a Los Angeles, che è il posto più ad ovest che si possa raggiungere.

John è stato per molti anni una fonte di ispirazione per fotografi di ogni età e livello, attraverso i suoi insegnamenti in lezioni e workshop di Street Photography a Los Angeles, New York, Parigi e Londra.

I lavoro di John sono apparsi su numerose pubblicazioni dal U.S. News and World Report e Newsweek al Photographic Magazine e allo Smithsonian. E’ stato selezionato tra i fotografi internazionali per prendere parte al progetto che è poi diventato il libro 24 hours in the life of Los Angeles. Le sue opere sono state oggetto di diverse mostre, tra cui al California Museum of Science and Industry, Los Angeles, Laguna Festival of Art, Armory Center for the Arts in Pasadena e alla Bagier Gallery a Ojai, California.

Carla Cerati, impegno sociale e politico

Nata a Bergamo nel 1926, si iscrisse a Milano all’Accademia di Belle Arti di Brera per seguire i corsi di scultura, ma non riuscì a concludere gli studi perché si sposò nel 1947 a soli ventuno anni, e fu costretta ad intraprendere il mestiere di sarta per collaborare alla non brillante situazione economica della sua famiglia, rinunciando così per il momento ad ogni aspirazione artistica. Verso la fine degli anni Cinquanta, iniziò  ad essere attratta dalla fotografia, passione che, dopo molti successi, sostituirà con quella per la letteratura, ottenendo ambiti premi. Nel 1960, presso il Teatro Manzoni di Milano, si trovò quasi per caso a realizzare alcuni scatti durante le prove dello spettacolo “Niente per amore” del regista Franco Enriquez che, colpito dalla forza e intensità delle sue immagini, le consigliò di venderle ad alcune testate giornalistiche. Il suo linguaggio fotografico venne subito apprezzato e importanti periodici dell’epoca – “L’Illustrazione Italiana”, “Vie Nuove”, l’”Espresso” ed altri –  acquistarono le sue fotografie. Per una persona completamente autodidatta, che ignorava le nozioni di base per lo sviluppo dei rullini e la stampa delle foto, fu davvero un bel successo che la spinse ad andare avanti con coraggio.

Carla Cerati

Curiosa e dotata di uno spirito critico acuto e tagliente, cercò di esplorare  il mondo che la circondava, ripreso da diverse angolature: fotografò la società-bene milanese durante lo sfavillio degli anni Sessanta, i giovani coinvolti in rumorose manifestazioni, i luoghi industriali durante il boom economico, fino ad arrivare anche a Firenze nei giorni della tragica alluvione del Sessantasei. Nel 1965, desiderosa di scoprire alcune zone arretrate del Sud Italia, si mise in viaggio in automobile e da questa spedizione riportò interessanti foto realizzate in Abruzzo e in Sicilia e una preziosa cartella dal titolo “Nove paesaggi italiani” a cura di Bruno Munari, con una presentazione di Renato Guttuso. Parallelamente continuò  il suo lavoro in teatro, immortalando i backstages di spettacoli memorabili, diretti da Giorgio Strehler ed Eduardo de Filippo.

Nel 1967, di fronte alle audaci e innovative rappresentazioni del Living Theatre creato da Julian Beck e Judith Malina, conobbe una vera e propria folgorazione, tanto da rimanere al seguito della compagnia per diversi anni, anche durante molteplici  tournées all’estero. Verso la fine degli anni Sessanta, quando si cominciò ad avvertire in Italia una forte tensione sociale e politica, il suo occhio si rivolse a documentare i movimenti della cosiddetta ‘contestazione’ con importanti reportages. Attratta dal mondo  degli ultimi, degli umili, dei negletti, nel 1969 pubblicò l’importante volume “Morire di classe” per la casa editrice Einaudi, a cura di Franco Basaglia e sua moglie: opera che costituisce una pietra miliare per un’indagine approfondita sulla situazione dei manicomi italiani di quegli anni. Accanto a lei ha lavorato il grande fotografo Gianni Berengo Gardin, girando in lungo e largo nella penisola per  realizzare il loro fondamentale reportage: si tratta di immagini in bianconero coraggiose, intense, senza fronzoli o pietismi inutili che documentano  situazioni tragiche, riuscendo nel contempo a  mettere in rilievo e conferire dignità a persone recluse, scartate dalla società, umiliate, vittime talvolta di violenze fisiche e psichiche. L’impatto con questa dura realtà lasciò profondi solchi nell’animo dei due fotografi, che rimasero colpiti negativamente  in modo particolare dalle pessime condizioni in cui trovarono l’Ospedale psichiatrico fiorentino.

Carla Cerati, ospedale psichiatrico.

Attratta dalle manifestazioni di piazza e dai duri scontri carichi di tensione, documentò  il processo Calabresi – Lotta Continua, i funerali di Feltrinelli, le sfilate delle femministe urlanti attraverso le strade cittadine.

Contemporaneamente  ai lavori di impegno sociale e politico, Carla rivolse la sua attenzione anche agli ambienti della Milano bene, con le sue vetrine sfavillanti, i grandi magazzini stracolmi di merce, i ritrovi mondani delle signore dell’alta-borghesia. Da questa sua acuta ed ironica analisi, uscirà  un’ interessante opera dal titolo significativo “Mondo Cocktail”, pubblicato nel 1974, in cui sono immortalati “ squarci di vita mondana con belle donne”. Vengono ritratti artisti, intellettuali, modelle durante i famosi party sulla Terrazza Martini, luogo di gran moda che  la Cerati si sforza di frequentare con spigliatezza e disinvoltura, anche se quel mondo falso ed effimero, “ della Milano da bere” non la convinceva affatto, finendo ben presto per stancarla.

Alla fine degli anni Ottanta, Carla abbandonerà gradualmente la sua professione di fotoreporter, nauseata dai falsi miti che campeggiano sui giornali e sui programmi televisivi, per dedicarsi alla letteratura, sua segreta passione da sempre: il suo primo romanzo “Un amore fraterno arrivò finalista al Premio Strega del 1973.

Per quanto riguarda la fotografia, non abbandonerà mai la sua ricerca personale con scatti intimi, a ricercare astratte forme geometriche oppure  orme lasciate sul cemento e sulla sabbia da uomini ed animali, dalla serie Tracce del 1986.

 Carla Cerati è morta  a Milano nel 2016.

BIBLIOGRAFIA

Franco Basaglia e Franca Ongaro (a cura di), Morire di classe: la condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, Torino, Einaudi, 1969

Carla CeratiMondo cocktail, 61 fotografie a Milano, Nota di Maria Livia Serini (61 illustrazioni in bianco e nero), Milano, Pizzi, 1974.

Luciana MartiniCara Assuntina, Libro per ragazzi. Fotografie di Carla Cerati, Torino, Einaudi, 1976.

Carla CeratiForma di donna, 34 fotografie in bianco e nero di Carla Cerati, Milano, Mazzotta, 1978.

www.carlacerati.com

www.elle.com

ARTICOLO DI GIOVANNA SPARAPANI

Le immagini rimangono di proprietà dell’autore e hanno solo scopo didattico e divulgativo.

Sam Cortis, Deep Spring, il concetto di mascolinità

Sam Contis (nata nel 1982 in Pittsburgh, PA) è una fotografa statunitense, vive e lavora in Oakland, CA.

“I think the darkness at the periphery of the work also comes from a desire to acknowledge a certain brutality inherent to the history of the western landscape, and to the struggle for survival within it.”
Sam Cortis

In questo lavoro, libro d’artista, dal nome “Deep Spring”, l’autrice lavora sull’identità della cultura americana, cultura costruita prevalentemente tramite le proiezioni cinematografiche e le fotografie di un tempo, trattando l’archetipo dei cowboy, dialogando con il concetto di mascolinità.

Ci troviamo nel Deep Springs College.

Il college prende il nome dalla valle in cui si trova, nell’alto deserto a est della Sierra, al confine tra California e Nevada, una valle isolata.

Il fondatore da lavoro a giovani uomini con un intento educativo oltre che la gestione effettiva del ranch che comprende 155 acri di terreno e la gestione di un allevamento di 200 bovini come progetto di lavoro comune.

Gli elementi che l’autrice ci presenta sono molteplici e sicuramente intrisi di questo dualismo tra la durezza e crudeltà del lavoro che svolgono mista a  sensibilità e dolcezza dei ragazzi.

Sicuramente quello che colpisce maggiormente è la forza del legame che si crea fra questi giovani uomini in formazione, un legame di fratellanza e solidarietà che si oppone alla visione storica di uomini non curanti degli altri e di sé stessi, duri e rudi.

Immersi in paesaggi che si perdono a vista d’occhio per quanto sconfinati, la grandezza del deserto, danno loro modo di porre attenzione al proprio mondo interiore, portando sè stessi giorno dopo giorno a scoprire chi sono, i propri limiti e ad apprendere che esistono visioni diverse dalla proprie.

E’ interessante notare come la fotografa ci porta dentro alla storia tramite fotografie che riprendono pezzi di realtà molto ravvicinata, es. braccia, mezzi busti…

spesso i soggetti diventano non soggetti, grazie al fatto che viene celato il loro volto, quindi assumono un concetto più universale e come un quadro sguardo dopo sguardo intenti a capire il soggetto del nostro scatto, entriamo nell’intimità della situazione rappresentata e nello sguardo che la fotografa ci ha prestato con la sua presenza nella scena.

Grazie a queste fotografie di dettagli di corpi e non solo, paesaggio e soggetto si fondono sino a organizzare una nuova e unica forma, un nuovo senso, l’occidente spesso è rappresentato come un luogo dove poter sperimentare nuovi modi di essere, in questo caso corpi maschili vengono messi in dialogo a paesaggi che di solito erano associati a corpi femminili.

Durante la storia, scatto dopo scatto, ci imbattiamo inoltre in foto d’archivio, foto che nonostante siano state scattate in passato (intorno agli anni 1917) in quello stesso college, possiedono un linguaggio moderno e dialogano perfettamente con gli scatti dell’autrice, rinforzando il dialogo tra passato e presente.

Sitografia

https://www.samcontis.com/Recent-Work

https://klausgallery.com/artist/sam-contis/slide/

https://www.moma.org/artists/68380

https://www.moma.org/collection/works/222497?artist_id=68380&page=1&sov_referrer=artist

Articolo di Eric De Marchi