Dal 12 maggio al 19 novembre 2023 a Milano presso la Fabbrica del Vapore è aperta al pubblico la mostra Amazônia di Sebastião Salgado, a cura di Lélia Wanick Salgado.
Per sei anni Sebastião Salgado ha viaggiato nell’Amazzonia brasiliana, fotografando la foresta, i fiumi, le montagne e le persone che vi abitano. La mostra, con oltre 200 opere, immerge i visitatori nell’universo della foresta mettendo insieme le impressionanti fotografie di Salgado con i suoni concreti della foresta. Il fruscio degli alberi, le grida degli animali, il canto degli uccelli o il fragore delle acque che scendono dalla cima delle montagne, raccolti in loco, compongono un paesaggio sonoro, creato da Jean-Michel Jarre.
Dal 12 Maggio 2023 al 19 Novembre 2023 – Fabbrica del Vapore – Milano
Il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore, ente nato per volontà della FIAF – Federazione Italiana Associazioni Fotografiche,associazione senza fini di lucro che si prefigge lo scopo di divulgare e sostenere la fotografia su tutto il territorio nazionale, presenta la nuova mostra “Carla Cerati – Le scritture dello sguardo” che inaugurerà sabato 1 aprile 2023 alle ore 16.30 presso il CIFA e il nuovo libro a lei dedicato per la collana “Grandi Autori della fotografia contemporanea”.
L’esposizione fotografica proposta da FIAF e curata da Roberto Rossi, Presidente FIAF, presenta una parte importante, ed in alcuni casi meno conosciuta, del lavoro fotografico di Carla Cerati. Il libro che accompagna la mostra, curato da Lucia Miodini ed Elena Ceratti, è l’occasione per continuare l’esplorazione promossa dall’editoria FIAF del mondo delle Fotografe Italiane iniziato nell’anno 2000 con il volume dedicato a Giuliana Traverso e che annovera nelle sue due principali collane, quella delle Monografie e quella dei Grandi Autori, nomi come Eva Frapiccini, Patrizia Casamirra, Antonella Monzoni, Paola Agosti, Angela Maria Antuono, Chiara Samugheo, Stefania Adami, Lisetta Carmi, Cristina Bartolozzi, Giorgia Fiorio.
Ben più di un’antologica della sua produzione, la mostra ci aiuta ad entrare in contatto con la forte personalità di questa Autrice espressa nell’impegno civile e alimentata dalle passioni per la scrittura e per la fotografia. “L’una e l’altra”, affermava Carla Cerati: sono due attività che coesistono, ma non si fondono. È sempre un’osservazione della realtà: la fotografia le serve per documentare il presente, la parola per recuperare il passato. L’incontro tra fotografia e testo caratterizza il percorso di Cerati.
La Cerati si avvicina alla fotografia agli inizi degli anni ‘60 fotografando il suo ambiente famigliare. È un periodo in cui anche grazie al crescente sviluppo economico del dopoguerra, la fotografia diventa una pratica personale diffusa e alla portata anche dei ceti sociali meno abbienti. Per chi come Cerati desidera andare oltre la cosiddetta foto di famiglia e vuole approfondire contenuti e tecnica fotografica, non esistono in Italia, salvo rarissime eccezioni come il Bauer, prima scuola pubblica di fotografia fondata nel 1954, altri luoghi da frequentare che i circoli fotografici.
Un percorso analogo è stato compiuto da altri fotografi della sua generazione, come ad esempio Gianni Berengo Gardin, Mario De Biasi, Nino Migliori, Fulvio Roiter, che, avvicinatisi alla fotografia frequentando le associazioni fotografiche fin dall’immediato dopo guerra, hanno poi scelto la strada del professionismo sotto varie forme. Cerati per un certo periodo frequenta il Circolo Fotografico Milanese, che in quegli anni è animato da un intenso dibattito tra coloro che privilegiano visioni di tipo estetico-formale e altri interessati alla ripresa del reale. Fa sua questa seconda visione e decide di avvicinarsi al professionismo.
Dal 01 Aprile 2023 al 04 Giugno 2023 – CIFA – Centro Italiano della Fotografia d’Autore – Bibbiene (AR)
Possiamo affermare che esiste un’identità comune ? In che misura mito e memoria modellano o consolidano il nostro senso di appartenenza collettiva? E in che modo la fotografia contemporanea contribuisce a dare una risposta alle sfide e alle situazioni che vivono i cittadini europei?
Considerando la relazione fra identità nazionale e comunità democratica, così come le realtà multiculturali dei singoli paesi europei, ci troviamo in bilico fra l’appartenere a nazioni distinte e a una popolazione culturalmente omogenea. Come hanno scritto Peter Gowan e Perry Anderson, «gli imperi del passato minacciano di dissolversi in lande postmoderne spazzate solo dall’ondata del mercato». Inoltre, l’Europa non è più considerata il luogo da cui si scrive la storia.
Quanto sia complesso e difficile cogliere la natura dell’Europa come comunità è il tema di una serie di progetti fotografici che si soffermano soprattutto sulle persone e sulle identità, per raccontare le politiche di inclusione ed esclusione e la persistenza delle idee di storia e di cultura nel momento presente.
I progetti che faranno parte di questa edizione indagheranno tra le altre le nozioni di appartenenza e solidarietà, così come quelle di fragilità e inquietudine.
28 aprile – 11 giugno 2023 – Reggio Emilia – sedi varie
Atelier Manassé, Vienna, La danza (Tänzerin), 1931 c., stampa vintage, IMAGNO / Collection Christian Brandstätter, Wien
Attraverso 120 fotografie la mostra ripercorre la storia dello studio fotografico più popolare della Vienna degli anni Venti: l’Atelier Manassé. Calembour visivi, ritratti di attrici e modelle, danzatrici e foto di nudo danno vita a un percorso tematico che evoca uno dei periodi più vivaci dell’Europa del secolo scorso. Al Mart, fino al 18 giugno.
Fondato dai coniugi ungheresi Olga Spolarits e Adorjan Wlassics a Vienna nel 1920, riscoperto negli anni Ottanta e studiato in anni recenti dopo un lungo oblio da Chiara Spenuso, l’Atelier Manassé costituisce un archivio fotografico unico nel suo genere.
Negli anni Venti, dopo essersi trasferiti nell’ex capitale dell’Impero austro-ungarico, i coniugi Wlassics ottengono un notevole successo fotografando i protagonisti del cinema muto. Oltre a realizzare ritratti di attrici e attori, la coppia ungherese si specializza soprattutto nel nudo femminile. Nei loro scatti i corpi sono sempre ritratti in pose studiate e giustapposti a elementi scenografici e costumi di scena spesso insoliti che creano accostamenti evocativi e suggestivi in linea con il gusto dell’epoca. Le fotografie sono spesso evocative di una femminilità misteriosa e fatale, ma non mancano i toni ironici e surreali vicini alle sperimentazioni visive delle avanguardie che si diffondono in tutta Europa. Davanti all’obiettivo di Olga e Adorjan non passano solo le attrici e le ballerine più famose, ma anche tutta la nobiltà viennese. La fama e il prestigio dell’Atelier superano i confini e conquistano altre città europee, come Berlino e Parigi. Dopo la morte di Adorjan, nel 1946, il lavoro dello studio viene portato avanti da Olga fino alla fine degli anni Sessanta.
Nello stesso periodo della grande mostra dedicata a Klimt e l’arte italiana, il Mart propone una seconda esposizione sulla Vienna degli anni Venti, grande capitale europea in un’epoca di profonde trasformazioni sociali e culturali. È in questo contesto che si afferma la Secessione Viennese la cui eco caratterizza profondamente tutti i linguaggi culturali, dal cinema alla fotografia, passando per la pubblicità e i rotocalchi. Con il titolo Cabaret Vienna, la mostra sull’Atelier Manassé approfondisce e sviluppa questi temi, attraverso cinque sezioni tematiche. 120 fotografie, spezzoni di film, documenti, copertine di riviste e libri d’artista descrivono l’atmosfera mondana e sfavillante di inizio secolo. Ritratti dei protagonisti del mondo dello spettacolo e del cinema, calembour visivi, immagini di nudo (utilizzate sia nella moda, sia nella pubblicità) e fotografie di ispirazione esotica contribuiscono all’affermazione della modernità e della stravaganza. In un clima cupo di tensioni sociali e politiche, con le dittature europee alle porte, non mancò per reazione un clima di euforia e frivolezza, in cui il cinema, la radio e la fotografia assumono un peso sempre maggiore e contribuiscono alla diffusione di stili di vita, modelli estetici e di comportamento, status symbol e tendenze, in particolare presso l’alta borghesia. Profondamente connesso al momento e al luogo in cui si sviluppa, il lavoro dell’Atelier Manassé tratteggia la “i ruggenti anni Venti”. È un periodo innovativo e straordinario, soprattutto per le donne che, in nome di una reclamata parità sessuale, si affrancano anche attraverso gesti considerati rivoluzionari: portare i capelli corti, fumare, guidare o vestire da uomo. Mezzo moderno per eccellenza, la fotografia diventa un’ottima alleata dell’emancipazionefemminile. Da qui la nuova consapevolezza delle protagoniste delle foto di Olga e Adorjan, coscienti di rappresentare solo se stesse e di non essere più semplicemente muse ispiratrici.
Dal 16 Marzo 2023 al 18 Giugno 2023 – MART – Rovereto
Dal 31 marzo al 31 maggio 2023 le opere di chi ha utilizzato la fotografia come denuncia e arma di ribellione. Trenta scatti in bianco e nero del periodo dal 1972 al 2003 provenienti dall’Archivio palermitano ‘Letizia Battaglia’.
Letizia Battaglia incarna in sè arte, impegno civile, partecipazione e passione. Trani la celebra ad un anno dalla sua scomparsa con una straordinaria mostra monografica che testimonia trent’anni di vita e società italiana.
“Letizia Battaglia. Testimonianza e narrazione”, fruibile dal 31 marzo al 31 maggio 2023 a Palazzo delle Arti Beltrani, è una carrellata di 30 scatti in bianco e nero che hanno segnato a fuoco la memoria visiva della storia del nostro Paese, passando dalla inconsapevole bellezza delle bambine dei quartieri poveri siciliani (uno su tutti ‘La bambina con il pallone del quartiere Cala di Palermo’) al volto di Pier Paolo Pasolini, ai morti per mano della mafia, tra cui Piersanti Mattarella, e poi, ancora, le processioni religiose, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, fino all’arresto del feroce boss Leoluca Bagarella.
Testimonianza vera, spesso crudele e cruenta, dell’appassionato impegno civile e politico di Letizia Battaglia che per trent’anni ha fotografato la sua terra, la Sicilia, con immagini che denunciano l’attività mafiosa nei coraggiosi reportage per il quotidiano «L’Ora» di Palermo, che l’ha eletta di fatto ad una delle prime fotoreporter italiane. La fama di Letizia Battaglia, nomen omen, è passata nel corso degli anni da una dimensione regionale a una nazionale e internazionale. Notorietà premiata, oltre che da numerosi riconoscimenti in tutto il mondo, anche dalNew York Times chenel 2017 ha inserito la fotografa ottantaduenne tra le undici donne più influenti dell’anno, per l’impegno dimostrato come artista.
Il percorso espositivo tranese intende restituire l’intensità che caratterizza tutto il suo lavoro: dall’attività editoriale a quella teatrale e cinematografica, passando per l’affresco della Sicilia più povera e la denuncia dell’attività mafiosa, della miseria, del degrado ambientale, conseguenza della deriva morale e civile. «Questa mostra, composta da immagini provenienti dall’Archivio Letizia Battaglia di Palermo e selezionate dai loro curatori Marta e Matteo Sollima, nipoti della fotografa, rappresenta un’occasione preziosa per conoscere l’artista Battaglia, divulgare la sua opera e celebrarla nel nostro territorio ad un anno dalla scomparsa – commenta Alessia Venditti, autrice con Andrea Laudisa dei testi che accompagnano l’esposizione. Battaglia è riconosciuta come una delle più grandi interpreti del Novecento e la fotografia, vocazione a tempo pieno, è stato lo strumento con cui ha rivelato la cruda realtà della mafia, del clientelismo e della povertà; celebri sono altresì i suoi ritratti, tra cui spicca la serie di fotografie scattate a Pasolini presso il Circolo Turati di Milano.
La mostra tranese e le foto per essa selezionate, che riguardano il periodo di produzione che va dal 1972 al 2003, hanno l’intento di svelare al pubblico il modo di intendere la fotografia di Letizia Battaglia come arma di ribellione e missione. Il percorso espositivo è completato dalla proiezione del documentario di Francesco Raganato “Amore amaro” (2012), visibile durante la fruizione della mostra».
Dal 31 Marzo 2023 al 31 Maggio 2023 – Palazzo delle Arti Beltrani – Trani (BA)
Modotti, i due successi degli scorsi mesi, l’appuntamento 2023 è con un altro grandissimo protagonista della storia mondiale della fotografia, un fotografo che è assurto a mito: Robert Capa. La mostra, promossa dall’Assessorato Beni e attività culturali, Sistema educativo e Politiche per le relazioni intergenerazionali della Regione autonoma Valle d’Aosta, è a cura di Gabriel Bauret, in collaborazione con Daria Jorioz, dirigente della Struttura Attività espositive e promozione identità culturale. Al Centro Saint-Bénin dal 6 maggio al 24 settembre 2023 saranno esposte oltre 300 opere, selezionate dagli archivi dell’agenzia Magnum Photos, che copriranno in modo esaustivo la produzione del celebre fotografo, dagli esordi del 1931 alla morte avvenuta – per lo scoppio di una mina – nel 1954 in Indocina. “La mostra – anticipa la Dirigente delle Attività espositive Daria Jorioz – consente di ripercorrere tutte le fasi della straordinaria carriera di Robert Capa, riservando un’attenzione particolare ad alcune delle sue immagini più iconiche, che hanno incarnato la storia della fotografia del Novecento. L’esposizione si propone di evidenziare le molteplici sfaccettature dell’opera di un autore passionale e in definitiva sfuggente, instancabile e forse mai pienamente soddisfatto, che non esitava a rischiare la vita per i suoi reportages”. Scrive Gabriel Bauret in catalogo: “Il suo posto nella storia della fotografia potrebbe essere paragonato a quello di Robert Doisneau, ma il paragone si ferma qui: tanto Capa è un eterno migrante, dallo spirito avventuroso, quanto Doisneau è un sedentario che nutre la sua fotografia con i soggetti che sa scovare a Parigi e nelle sue periferie”. Al Centro Saint-Bénin di Aosta il visitatore potrà ammirare le immagini di guerra che hanno forgiato la leggenda di Capa, ma non solo. Nei reportages del fotografo, come in tutta la sua opera, esistono quelli che Raymond Depardon chiama “tempi deboli”, contrapposti ai tempi forti che caratterizzano le azioni. I tempi deboli ci riportano all’uomo, Endre Friedmann, alla sua sensibilità verso le vittime e i diseredati, al suo percorso personale dall’Ungheria in poi. Immagini che lasciano trapelare la complicità e l’empatia del fotografo rispetto ai soggetti ritratti, soldati ma anche civili, sui terreni di scontro, in cui ha maggiormente operato e si è distinto. Di lui così scrisse Henri Cartier-Bresson: “Per me, Capa indossava l’abito di luce di un grande torero, ma non uccideva; da bravo giocatore, combatteva generosamente per se stesso e per gli altri in un turbine. La sorte ha voluto che fosse colpito all’apice della sua gloria”.
La mostra si articolerà in 9 sezioni tematiche: Fotografie degli esordi, 1932 – 1935; La speranza di una società più giusta, 1936; Spagna: l’impegno civile, 1936 – 1939; La Cina sotto il fuoco del Giappone, 1938; A fianco dei soldati americani, 1943 – 1945; Verso una pace ritrovata, 1944 – 1954; Viaggi a est, 1947 – 1948; Israele terra promessa, 1948 – 1950; Ritorno in Asia: una guerra che non è la sua, 1954. A rendere la rassegna ancora più intrigante è la possibilità che essa offre di ammirare l’utilizzo finale delle immagini di Capa, ovvero le pubblicazioni dei suoi reportages sulla stampa francese e americana dell’epoca e gli estratti di suoi testi sulla fotografia, che tra gli altri toccano argomenti come la sfocatura, la distanza, il mestiere, l’impegno politico, la guerra. Inoltre, saranno disponibili gli estratti di un film di Patrick Jeudy su Robert Capa in cui John G. Morris commenta con emozione documenti che mostrano Capa in azione sul campo e infine la registrazione sonora di un’intervista di Capa a Radio Canada. Robert Capa nasce nel 1913 a Budapest; in gioventù si trasferisce a Berlino, dove inizia la sua grande carriera di fotoreporter che lo porterà a viaggiare in tutto il mondo. Nel 1947 fonda con Henri Cartier-Bresson e David Seymour la celebre agenzia Magnum Photos. Muore in Indocina nel 1954, ferito da una mina antiuomo mentre documenta la guerra al fronte.
6 Maggio 2023 – 24 Settembre 2023 – Aosta, Centro Saint-Bénin
JR – DÉPLACÉ∙E∙S
Opera di JR
Intesa Sanpaolo organizza alle Gallerie d’Italia – Torino dal 9 febbraio 2023 al 16 luglio 2023 la prima mostra personale italiana di JR, artista francese famoso in tutto il mondo per i suoi progetti che uniscono fotografia, arte pubblica e impegno sociale. Combinando diversi linguaggi espressivi JR (1983) porterà nell’esposizione che occuperà circa 4000 mq del museo di Piazza San Carlo, realizzata in collaborazione con la Fondazione Compagnia di San Paolo e curata da Arturo Galansino, il suo tocco per raccontare la realtà e stimolare riflessioni sulle fragilità sociali. Partito dalla banlieu parigina più di vent’anni fa, JR ha portato la sua arte in tutto il mondo con monumentali interventi di arte pubblica in grado di interagire con grandi numeri di persone e attivare intere comunità, dalle favelas brasiliane ad una prigione di massima sicurezza in California, dalla Pyramide del Louvre alle piramidi egiziane, dal confine tra Israele e Palestina a quello tra Messico e Stati Uniti. I problemi dei migranti e dei rifugiati, sempre più di scottante attualità, fanno da molto tempo parte dell’indagine di JR. Con il progetto Déplacé∙e∙s, cominciato nel 2022 e presentato per la prima volta in questa mostra, l’artista ha viaggiato in zone di crisi, dall’Ucraina sconvolta dalla guerra fino agli sterminati campi profughi di Mugombwa, in Rwanda, e di Mbera, in Mauritania, Cùcuta in Colombia e a Lesbo, in Grecia per riflettere sulle difficili condizioni in cui oggi versano migliaia di persone a causa di conflitti, guerre, carestie, cambiamenti climatici e coinvolgere pubblici esclusi dal circuito artistico e culturale all’insegna di valori come libertà, immaginazione, creatività e partecipazione. Seppur effimera l’arte di JR crea un impatto sulla società e sul mondo in cui viviamo. Essa è realizzata per le persone e si realizza con le persone, rivelando l’importanza del nostro ruolo individuale e collettivo per migliorare il presente e per cercare di rispondere ad un quesito centrale per l’artista: l’arte può cambiare il mondo?
Dal 08 Febbraio 2023 al 16 Luglio 2023 – Gallerie d’Italia – Torino
La mostra “Vivian Maier. Shadows and Mirrors”, composta da 93 autoritratti, racconta la grande fotografa e la sua ricerca incessante di trovare un senso e una definizione del proprio essere. L’esposizione è in programma presso Palazzo Sarcinelli a Conegliano, dal 23 marzo al 11 giugno 2023. La mostra, a cura di Anne Morin in collaborazione con Tessa Demichel e Daniel Buso, è organizzata da ARTIKA, in sinergia con diChroma Photography e la Città di Conegliano. “Un ritratto non è fatto nella macchina fotografica. Ma su entrambi i lati di essa”, così il fotografo Edward Steichen riassumeva il principio della fotografia. Un processo creativo che ha origine dalla visione dell’artista e che si concretizza solo in un secondo tempo nello scatto. Nel caso di Vivian Maier: il suo stile, i suoi autoritratti, hanno origine da una visione artistica al di qua dell’obiettivo fotografico. Per lei fotografare non ha mai significato dar vita a immagini stampate e quindi diffuse nel mondo, quanto piuttosto un percorso di definizione della propria identità.
La mostra ripercorre l’opera della famosa tata-fotografa che, attraverso la fotocamera Rolleiflex e poi con la Leica, trasporta idealmente i visitatori per le strade di New York e Chicago, dove i continui giochi di ombre e riflessi mostrano la presenza-assenza dell’artista che, con i suoi autoritratti, cerca di mettersi in relazione con il mondo circostante.
Vivian Maier fotografò per più di quarant’anni, a partire dai primi anni ’50, pur lavorando come bambinaia a New York e a Chicago. Spese la sua intera vita nel più completo anonimato, fino al 2007, quando il suo corpus di fotografie vide la luce. Un enorme e impressionante mole di lavoro, costituita da oltre 120.000 negativi, film in super 8 e 16mm, diverse registrazioni audio, alcune stampe fotografiche e centinaia di rullini e pellicole non sviluppate. Il suo pervasivo hobby finì per renderla una delle più acclamate rappresentanti della street photography. Gli storici della fotografia l’hanno collocata nella hall of fame, accanto a personalità straordinarie come Diane Arbus, Robert Frank, Helen Levitt e Garry Winograd.
L’allestimento di Palazzo Sarcinelli esplora quindi il tema dell’autoritratto di Vivian Maier a partire dai suoi primi lavori degli anni ’50, fino alla fine del Novecento. Un nutrito corpus di opere caratterizzato da grande varietà espressiva e complessità di realizzazione tecnica. Le sue ricerche estetiche si possono ricondurre a tre categorie chiave, che corrispondono alle tre sezioni della mostra. La prima è intitolata SHADOW (l’ombra). Vivian Maier adottò questa tecnica utilizzando la proiezione della propria silhouette. Si tratta probabilmente delle più sintomatica e riconoscibile tra tutte le tipologie di ricerca formale da lei utilizzate. L’ombra è la forma più vicina alla realtà, è una copia simultanea. È il primo livello di una autorappresentazione, dal momento che impone una presenza senza rivelare nulla di ciò che rappresenta. Attraverso il REFLECTION (riflesso), a cui è dedicata la seconda sezione, l’artista riesce ad aggiungere qualcosa di nuovo alla fotografia, attraverso l’idea di auto-rappresentazione. L’autrice impiega diverse ed elaborate modalità per collocare sé stessa al limite tra il visibile e l’invisibile, il riconoscibile e l’irriconoscibile. I suoi lineamenti sono sfocati, qualcosa si interpone davanti al suo volto, si apre su un fuori campo o si trasforma davanti ai nostri occhi. Il suo volto ci sfugge ma non la certezza della sua presenza nel momento in cui l’immagine viene catturata. Ogni fotografia è di per sé un atto di resistenza alla sua invisibilità. Infine, la sezione dedicata al MIRROR (specchio), un oggetto che appare spesso nelle immagini di Vivian Maier. È frammentato o posto di fronte a un altro specchio oppure posizionato in modo tale che il suo viso sia proiettato su altri specchi, in una cascata infinita. È lo strumento attraverso il quale l’artista affronta il proprio sguardo.
“La scoperta tardiva del lavoro di Vivian Maier, che avrebbe potuto facilmente scomparire o addirittura essere distrutto, è stata quasi una contraddizione. Ha comportato un completo capovolgimento del suo destino, perché grazie a quel ritrovamento, una semplice Vivian Maier, la tata, è riuscita a diventare, postuma, Vivian Maier la fotografa”, scrive Anne Morin nella presentazione della mostra. Nelle splendide immagini in mostra al pubblico, dal 23 marzo al 11 giugno 2023, presso Palazzo Sarcinelli a Conegliano, vedremo la seconda metà del Novecento con gli occhi e negli occhi di un’icona della storia della fotografia.
23 Marzo 2023 – 11 Giugno 2023 – Palazzo Sarcinelli, Conegliano (TV)
Hervé Guibert: This and More, a cura di Anthony Huberman ed organizzata in collaborazione con il Wattis Institute di San Francisco, presenta una selezione di fotografie dello scrittore, giornalista e fotografo francese Hervé Guibert (1955-1991). Se il lavoro fotografico di Guibert è prevalentemente associato al ritratto, in questo caso la mostra esplora un nucleo di opere inusuali, in cui l’artista cattura piuttosto l’assenza dell’elemento umano: le fotografie non contengono volti ma oggetti inanimati, interni e spazi domestici carichi di ricordi ed emozioni che evocano la presenza di personaggi fuori campo.
Una buona fotografia, nelle parole di Guibert, non è necessariamente quella che rende visibile una persona o un luogo, ma quella che è “fedele alla memoria della mia emozione”. Laconiche e riservate, le fotografie esposte nella mostra offrono un approccio al ritratto in cui ciò che conta è quello che manca nell’immagine: carichi di sentimenti di amore così come di aspetti traumatici, questi spazi interni invitano a immaginare le persone che li hanno vissuti e abitati. Le opere mettono a nudo gli aspetti più intimi dell’artista, mantenendo al tempo stesso la riservatezza di momenti privati, i cui protagonisti sono tenuti al sicuro, o tragicamente distanti, al di fuori dell’inquadratura. Piuttosto che cercare un senso di verità oggettiva, la mostra mette in evidenza tutto ciò che è soggettivo e invisibile in una fotografia, in cui si stratificano ricordi, aneddoti e assenze.
Molto noto in Francia, dove la sua opera ha contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’AIDS, Guibert ha avuto una relazione speciale con l’Italia. Appassionato del cinema di Pasolini, Fellini e Antonioni, ha soggiornato a lungo all’Isola d’Elba dove ha scritto, nel corso della vita, molti dei suoi testi. Ha inoltre vissuto a Roma, tra il 1987 e il 1989 in residenza a Villa Medici e prolungando la sua permanenza anche l’anno successivo.
Dal 09 Marzo 2023 al 21 Maggio 2023 – MACRO — Museo d’Arte Contemporanea di Roma
In anteprima assoluta per l’Italia, apre al pubblico il 4 marzo 2023 presso il centro culturale ed espositivo “la Casa di Vetro” di Milano la mostra fotografica “Duck and Cover. Storia della Guerra Fredda”, una selezione di 65 immagini iconiche provenienti in gran parte dagli Archivi di Stato americani, inclusi quelli della CIA, che ripercorre il lungo conflitto semi-armato che ha contrapposto le democrazie liberali alle dittature comuniste capitanate dall’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, oggi Federazione Russa) e dalla Repubblica Popolare Cinese.
Un periodo storico, in cui in parte ci ha riproiettato l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa nel febbraio del 2022, caratterizzato da un’atmosfera opprimente di incombente disastro e contraddistinto dal terrore di un’imminente guerra nucleare su scala planetaria. Un clima interpretato dal titolo della mostra – in italiano “Accucciati e Copriti”, in primis sotto il banco se sei uno studente – tratto da quello di un famoso documentario statunitense del 1952 in cui veniva insegnato ai ragazzini delle scuole americane cosa fare in caso di attacco atomico.
Nel 2023 ricorrono il 75° del blocco di Berlino, il 75° della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani approvata all’Onu, il 70° della fine della Guerra di Corea, il 50° del ritiro degli Stati Uniti dalla Guerra del Vietnam, il 50° del golpe di Pinochet in Cile: tutti eventi che hanno segnato – dal punto di vista ideologico, politico, culturale e materiale – il lungo scontro tra due concezioni alternative e in antitesi della società e del mondo.
In programma fino al 17 giugno 2023, curata da Alessandro Luigi Perna, giornalista pubblicista specializzato in storia contemporanea ed esperto di fotografia, e prodotta da Eff&Ci – Facciamo Cose per il progetto History & Photography – la Storia raccontata dalla Fotografia, la mostra è articolata in un innovativo formato espositivo che propone fotografie di grande impatto iconografico e ampli testi di approfondimento.
Nella sua narrazione, concepita sia per un pubblico adulto che per gli studenti di scuole e università, il curatore non solo ripercorre i principali fatti dell’epoca ma cerca anche di proporre una prospettiva laica su un pezzo della Storia contemporanea ancora raccontato e deformato attraverso la propaganda e le ideologie delle parti contrapposte, protagoniste ancora oggi, nelle loro versioni aggiornate, del dibattito ideologico, politico e culturale delle democrazie liberali e delle autocrazie sparse per il pianeta.
Dal 04 Marzo 2023 al 17 Giugno 2023 – La casa di vetro – Milano
In mostra da Micamera dal 28 aprile al 3 giugno, installazione site-specific inaugurazione giovedì 27 aprile dalle 19, alla presenza dell’autore
Quando sento un odore insolito la prima cosa che voglio sapere è da dove arrivi – Adam Gilders
‘The Heart is a Sandwich’ è il nuovo corpo di lavoro dell’artista americano Jason Fulford. Lo presenta da Micamera in anteprima assoluta il 27 aprile 2023. Si tratta di una raccolta di dodici storie nate dalla frequentazione dell’Italia negli ultimi dieci anni. Tra le novelle in immagini, si narra di panificatori rompiballe, di un ricco deposito di un museo (la GAM di Milano), degli appunti di Aldo Rossi sulla felicità, del centro della terra e del garage di Guido Guidi. Il libro, fresco di stampa, è edito da Mack.
La opere saranno esposte in un’installazione ispirata alle sinopie rinascimentali, disegni preparatori per gli affreschi; gli storici dell’arte le usano per comprendere la genesi di un lavoro o ripensamenti successivi. Fulford ricorrerà liberamente al disegno per accennare alle proprie ispirazioni e ai riferimenti del lavoro presentato in cornice a parete. Il lavoro di Fulford è apparentemente semplice, grazie alla sua capacità di creare composizioni allo stesso tempo armoniche e ricche di metafore e significati. Conosciuto in tutto il mondo per il vero e proprio talento nella costruzione delle sequenze, proprie e altrui, Fulford usa un’articolazione stratificata, che unita alla sequenza precisa, suggerisce significati ambigui e apre a infinite possibilità di lettura.
In ogni vita, certe cose sono più importanti di altre. E’ così anche per una libreria e galleria ed è il caso di questa mostra.
Buongiorno, ecco tutti i premi in scadenza a Maggio, speriamo che qualcuno di voi vinca.
Buona giornata
Annalisa Melas
MONOVISIONS PHOTO AWARDS 2023
I MonoVisions Photography Awards sono un bando aperto internazionale per fotografi che utilizzano il bianco e nero per esprimersi attraverso il linguaggio visivo.
Il nostro obiettivo è scoprire i migliori fotografi monocromatici di tutto il mondo e offrire le migliori opportunità per essere riconosciuti e premiati per il loro lavoro. Puoi competere per $ 5000 in premi in denaro in due categorie: Foto in bianco e nero dell’anno 2023 e Serie in bianco e nero dell’anno 2023.
Il tuo lavoro può essere inviato in 2 sezioni: SINGOLA foto o SERIE di foto. Una serie è composta da un massimo di 8 foto, che condividono la stessa idea e concetto.
Le nostre categorie: astratto, architettura, concettuale, belle arti, paesaggi, natura e fauna selvatica, nudo, persone, fotogiornalismo, ritratto, fotografia di strada e viaggi.
Sei un fotografo commerciale emergente che cerca di dare il via alla tua carriera? Allora non perdere questa opportunità unica di ottenere la rappresentanza da uno dei principali agenti di fotografi del Regno Unito!
LPA Futures è un concorso biennale che supporta e promuove la prossima generazione di fotografi commerciali. Selezionati da una giuria di esperti del settore, 3 fotografi vengono selezionati per essere rappresentati nell’ambito di LPA Futures e del programma biennale.
Non solo c’è la possibilità di vincere un agente, ma grazie ai nostri generosi partner, ci sono anche premi utili per un valore di quasi £ 10.000 in palio.
La competizione LPA Futures è ora una delle iniziative più note del Regno Unito per coltivare nuovi talenti e spingerli alla ribalta. Istituito nel 2007, nel corso degli anni ha innalzato il profilo di molti fotografi, molti dei quali sono oggi essi stessi nomi ben noti del settore.
Nell’ambito della 33a edizione di Encontros da Imagem – Festival Internazionale di Fotografia e Arti Visive, è aperta la call per il Photobook Award EI 2023. Questo concorso è giudicato da redattori, editori e altri professionisti del settore editoriale.
Consapevole che i libri di fotografia hanno acquisito, negli ultimi anni, un ruolo di primo piano nella promozione di progetti fotografici attraverso processi creativi di narrazione, è intenzione di Encontros da Imagem promuovere autori indipendenti e il loro corpus di opere. Dal 2014 il festival si è adoperato per essere un canale privilegiato di diffusione e promozione del fotolibro, realizzando il Photobook Award 2023, invitando tutti gli artisti interessati a candidarsi al premio con il proprio fotolibro.
Saranno accettati solo fotolibri autocostruiti, ovvero libri d’artista, di produzione più o meno artigianale, originali, personali e indipendenti. Non saranno presi in considerazione per il premio i libri che siano stati pubblicati o abbiano ricevuto un impegno di pubblicazione da qualsiasi editore fino al momento della domanda. Se il progetto è un manichino, dovrebbe essere il più vicino alla sua forma finale, nei materiali utilizzati e nel suo formato.
Il Portrait Photography Collective è stato creato per mostrare il lavoro dei fotografi ritrattisti più talentuosi del mondo. Creando una piattaforma che ospita concorsi mensili esclusivamente nel campo della ritrattistica, offriamo ai fotografi un’opportunità realistica di monetizzare la loro passione gareggiando per premi in denaro completamente illimitati. Il 50% di tutti i proventi ricevuti dalle quote di iscrizione viene restituito come premio in denaro.
Come media, la fotografia non è mai stata così popolare. La combinazione di attrezzature che diventano più accessibili e social media che forniscono piattaforme multiple per i fotografi per mostrare il loro lavoro, il settore non è mai stato così competitivo. Con le opportunità che diventano sempre più scarse per guadagnarsi da vivere nel campo, il Portrait Photography Collective offre ai fotografi l’opportunità di integrare le proprie entrate partecipando a concorsi mensili di fotografia di ritratto che si svolgono uno dopo l’altro durante tutto l’anno.
PhotoVogue è entusiasta di annunciare il suo secondo Global Open Call. Quest’anno, PhotoVogue invita artisti di tutto il mondo a presentare lavori che sfidano le nozioni tradizionali di bellezza.
Poiché tutti gli angoli del mondo subiscono cambiamenti culturali, anche l’idea di bellezza deve evolversi. Non siamo più vincolati dal genere, dalla perfezione e dall’omogeneità: la bellezza non è una scatola da controllare, un test di superamento basato su norme antiquate. È in continua espansione e in continua evoluzione, mentre ci liberiamo dagli stereotipi stanchi che in precedenza dominavano il nostro panorama culturale. Mai prima d’ora l’espressione è stata più diversificata e la rappresentazione più ampia.
Cerchiamo artisti che lavorino su più formati, sia attraverso la fotografia, il video o entrambi, che rispondano alla domanda: cosa significa bellezza oggi? Diamo il benvenuto a ogni tipo di estetica visiva, dal realismo al fantasy, dall’ispirazione documentaristica al glam, dal diretto al suggestivo. Accetteremo anche progetti creati con l’IA, a condizione che il suo utilizzo sia divulgato.
Abandoned è una mostra che esplora oggetti, spazi e strutture abbandonati e riscoperti. Un genere popolare nel mondo fotografico è la tendenza dell’esplorazione urbana (“urbex”) – l’esplorazione di luoghi abbandonati o dimenticati per documentare la narrazione di coloro che vi hanno vissuto o lavorato. Attraverso l’immagine catturata, possiamo intravedere la natura effimera e la memoria di noi stessi e di ciò che ci circonda e preservarli prima che si perdano nel tempo e nello spazio. Cosa trasmettono queste strutture e oggetti sulla società mentre li lasciamo decadere? Qual è l’essenza del tempo e del luogo, e cosa o chi stiamo abbandonando?
Abandoned è una mostra collettiva internazionale con giuria aperta a fotografi dai 18 anni in su. Tutti i processi di post-produzione fotografica in bianco e nero, a colori, convenzionale, non tradizionale e digitale sono i benvenuti.
La Glasgow Gallery of Photography organizza una mostra di un mese ad agosto chiamata Identity. Il tema dell’identità per questa mostra è in realtà un tema di copertura piuttosto ampio e può essere espresso attraverso molti generi di fotografia. Usando la fotografia di ritratto puoi esplorare la tua identità o quella di altre persone attraverso il modo in cui si esprimono. Attraverso la fotografia documentaria è possibile esplorare gli aspetti dell’identità di una persona o di un gruppo di persone. Forse il paesaggio intorno a te è una parte importante della tua identità, quindi le immagini di paesaggi o paesaggi urbani potrebbero essere un modo interessante per esplorare il tema dell’identità. Il tema è aperto a molte forme di fotografia, per dare più spazio possibile all’esplorazione del tema dell’Identità.
Identity è un invito aperto ai fotografi a presentare fino a 8 immagini che rispettino il tema Identity. I fotografi selezionati esporranno il loro lavoro per una mostra della durata di un mese. Il lavoro apparirà online nella nostra galleria online sul nostro sito web.
Per la settima volta consecutiva, ti invitiamo a partecipare al concorso Nature Photographer Of The Year 2023, promosso dal Nature Talks Photo Festival nei Paesi Bassi. Invitiamo gentilmente fotografi professionisti e non professionisti, di tutte le età, provenienti da tutto il mondo, a partecipare al nostro concorso anche quest’anno. Crediamo di poter mostrare la bellezza della natura in tutto il mondo condividendo le immagini più straordinarie che realizzate. Se impariamo ad amare la natura, la proteggeremo anche. Quando partecipi a questo concorso di fotografia naturalistica hai la possibilità di diventare il fotografo naturalista dell’anno 2023 e vincere fantastici premi. Ma non è tutto, sosterrai anche la conservazione della natura. Abbiamo fondato la Nature Talks Foundation (Stichting Nature Talks) per collaborare e sostenere le organizzazioni per la conservazione della natura. Quindi unisciti oggi, mostraci le tue splendide immagini di quest’anno, dell’anno scorso o di anni fa e diventa il fotografo naturalista dell’anno 2023 e aiutaci anche a prenderci cura della natura.
Il Global Peace Photo Award riconosce e promuove i fotografi di tutto il mondo le cui immagini catturano gli sforzi umani verso un mondo pacifico e la ricerca della bellezza e del bene nelle nostre vite. Il premio va a quelle fotografie che meglio esprimono l’idea che il nostro futuro risieda nella pacifica convivenza.
La Bristol Art Gallery apre un bando per la partecipazione di opere d’arte create utilizzando generatori d’arte AI fai-da-te o standard per la mostra “Ars Artificialis”. La mostra si ispira al padre dell’Intelligenza Artificiale, il filosofo catalano Ramon Llull (1232–1316), che “riuscì a creare una scienza universale, basata sulla notazione algebrica dei suoi concetti fondamentali e sulla loro combinazione per mezzo di figure meccaniche”. Non è prevista alcuna quota di iscrizione e le opere selezionate saranno esposte gratuitamente alla mostra virtuale. Le voci selezionate per l’esposizione fisica attrarranno costi di stampa.
3RD INTERNATIONAL PORTRAIT PHOTOGRAPHER OF THE YEAR 2023
Questo è il nostro terzo premio International Portrait Photographer of the Year e continuiamo a seguire una filosofia simile al popolare International Landscape Photographer of the Year Awards (giunto alla sua decima edizione): l’obiettivo principale è quello di essere una delle 101 migliori fotografie di l’anno ed essere pubblicato nel libro. Ci sarai?
Il libro dell’International Portrait Photographer of the Year Awards verrà stampato e rilegato con copertine rigide, disponibile nel negozio online, ma ovviamente sarà anche presentato come libro sfogliabile sul sito Web affinché possa raggiungere il maggior numero di utenti possibile.
L’associazione culturale dotART, con sede a Trieste, Italia, organizza la 14a edizione del concorso URBAN Photo Awards. Il concorso è aperto a tutti e organizzato in 4 sezioni: Single Photos (4 aree tematiche: Streets, People, Spaces, Creative), Projects & Portfolios, URBAN Book Award e URBAN Photo Arena (Trieste Photo Young). I concorrenti possono partecipare a più sezioni contemporaneamente. Il tema generale del concorso è Urban Life: Urban Photography. Il tema si addentra nella modernità attraverso ogni tipo di fotografia ambientata nel tessuto cittadino. Al centro del concorso c’è la Città, l’ambiente urbano e l’umanità che lo abita: la quotidianità delle grandi città e dei piccoli centri, i contrasti e le contraddizioni tra città e campagna, gli scorci estetici, le geometrie architettoniche, i frammenti di colore che spezzano il grigiore della città. Immagini reali, immediate, capaci di raccontare la Città e le sue storie.
N.B.: Vi ricordiamo come sempre di prestare attenzione prima di candidarvi ai premi. I concorsi da noi pubblicati sono frutto di ricerche su internet e anche se i dati inseriti sono stati selezionati, restano di carattere indicativo e pertanto sta a voi verificare con attenzione i contenuti e i regolamenti prima di partecipare ai premi. Ci scusiamo per eventuali errori di traduzione e trascrizione dei contenuti.
Provateci e in bocca al lupo !
Annalisa
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E’ quanto mai ricco il calendario delle mostre per il mese di aprile. Di seguito ve ne proponiamo una selezione.
Buona visione!
Anna
LIU BOLIN PER L’IRAN
Liu Bolin per l’Iran, Galleria Gaburro, Milano
Dal 13 marzo al 30 aprile 2023, viene esposta una fotografia inedita, appartenente alla serie Target, di Liu Bolin (Shandong, 1973), uno degli artisti più conosciuti e apprezzati a livello internazionale, che s’ispira ai moti di protesta delle donne iraniane che stanno infiammando le piazze della nazione mediorientale e che sarà realizzata a Milano, proprio negli spazi della Galleria Gaburro.
Il progetto si è concretizzato grazie al contributo dell’attrice e attivista Melania Dalla Costa, testimonial della campagna 2019 delle Nazioni Unite (UNICRI), da tempo a fianco delle donne che hanno subito violenze fisiche, psicologiche e culturali. Consapevole dell’interesse di Liu Bolin nel trattare il tema della libertà tramite la sua pratica performativa, Melania, con il suo lavoro di attivista, è entrata subito in contatto con Nasibe Shamsaei dopo la sua protesta per la tragedia della giovane ragazza Mahsa Amini che ha sconvolto il mondo e con questo progetto vuole dare voce a un’altra attivista la cui voce non è libera.
Nasibe Shamsaei è fuggita dall’Iran dopo una condanna a dodici anni di reclusione per aver organizzato la campagna dei “mercoledì bianchi” in cui si incoraggiano le donne a rimuovere il velo o a indossarne uno bianco in segno di protesta. Nel novembre 2020 è stata arrestata dalla autorità turche in aeroporto, nel tentativo di trovare asilo in Unione Europea. Nasibe rischia costantemente di essere deportata in Iran, come già successo ad altre attiviste iraniane fermate in Turchia, in violazione del principio internazionale consuetudinario di non-refoulement, che vieta l’espulsione verso Paesi dove le persone sono a rischio di persecuzione, di trattamenti inumani o degradanti. Nasibe, all’interno del progetto artistico di Liu Bolin, diventa quindi simbolo delle migliaia di donne che lottano ogni giorno per la propria libertà.
A differenza del ciclo Hiding in Italy, in cui Liu Bolin si mimetizza nel contesto che lo avvolge, nella serie Target sono le persone a divenire parte integrante del progetto e quindi dell’opera finale, in una compartecipazione attiva e coerente con la tematica su cui si vuole riflettere.
Centrale nell’impianto figurativo della fotografia è il gesto di Nasibe Shamsaei di tagliarsi i capelli, sinonimo di ribellione pacifica, in cui si rivendica una libertà autentica e profonda, che ancora oggi spinge l’essere umano a rischiare la propria vita, nelle piazze e nelle strade di tutto il mondo. Insieme a Nasibe Shamsaei e Melania Dalla Costa, prendono parte alla realizzazione dell’opera ideata da Liu Bolin donne iraniane, avvalorando il significato dell’azione ed evidenziando come l’arte possa ancora stimolare una riflessione attiva di tematiche importanti della contemporaneità. Tra le personalità coinvolte ci sono anche Delshad Marsous e Taher Nikkhah, decisive nel processo di coinvolgimento dei partecipanti e nel racconto di cosa significa vivere sotto un regime totalitario, caratterizzato da esecuzioni e repressioni violente. A fianco dell’immagine inedita, saranno esposte alcune opere – fotografie e sculture, di Liu Bolin Un ringraziamento speciale ad Arianna Grava.
Dal 13 Marzo 2023 al 30 Aprile 2023 – Galleria Gaburro – Milano
Dal 24 marzo al 25 giugno 2023, Brescia accoglie la VI edizione del Brescia Photo Festival, promosso da Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei, in collaborazione con il Ma.Co.f – Centro della Fotografia Italiana, con la curatela artistica di Renato Corsini, che propone una serie di iniziative allestite nelle più prestigiose sedi espositive della città, che ruota attorno al tema Capitale.
Il fulcro del Brescia Photo Festival sarà il Museo di Santa Giulia che ospita la più importante esposizione mai realizzata sul mondo delle vette, dal titolo Luce della Montagna, a cura di Filippo Maggia, in grado di analizzare l’universo iconografico della montagna attraverso le opere di quattro maestri della fotografia: Vittorio Sella, Martin Chambi, Ansel Adams, Axel Hütte.
Dal 24 Marzo 2023 al 25 Giugno 2023 – BRESCIA – Sedi varie
La mostra “Vivian Maier. Shadows and Mirrors”, composta da 93 autoritratti, racconta la grande fotografa e la sua ricerca incessante di trovare un senso e una definizione del proprio essere. L’esposizione è in programma presso Palazzo Sarcinelli a Conegliano, dal 23 marzo al 11 giugno 2023.
La mostra, a cura di Anne Morin in collaborazione con Tessa Demichel e Daniel Buso, è organizzata da ARTIKA, in sinergia con diChroma Photography e la Città di Conegliano.
“Un ritratto non è fatto nella macchina fotografica. Ma su entrambi i lati di essa”, così il fotografo Edward Steichen riassumeva il principio della fotografia. Un processo creativo che ha origine dalla visione dell’artista e che si concretizza solo in un secondo tempo nello scatto. Nel caso di Vivian Maier: il suo stile, i suoi autoritratti, hanno origine da una visione artistica al di qua dell’obiettivo fotografico. Per lei fotografare non ha mai significato dar vita a immagini stampate e quindi diffuse nel mondo, quanto piuttosto un percorso di definizione della propria identità.
La mostra ripercorre l’opera della famosa tata-fotografa che, attraverso la fotocamera Rolleiflex e poi con la Leica, trasporta idealmente i visitatori per le strade di New York e Chicago, dove i continui giochi di ombre e riflessi mostrano la presenza-assenza dell’artista che, con i suoi autoritratti, cerca di mettersi in relazione con il mondo circostante.
Vivian Maier fotografò per più di quarant’anni, a partire dai primi anni ’50, pur lavorando come bambinaia a New York e a Chicago. Spese la sua intera vita nel più completo anonimato, fino al 2007, quando il suo corpus di fotografie vide la luce. Un enorme e impressionante mole di lavoro, costituita da oltre 120.000 negativi, film in super 8 e 16mm, diverse registrazioni audio, alcune stampe fotografiche e centinaia di rullini e pellicole non sviluppate. Il suo pervasivo hobby finì per renderla una delle più acclamate rappresentanti della street photography. Gli storici della fotografia l’hanno collocata nella hall of fame, accanto a personalità straordinarie come Diane Arbus, Robert Frank, Helen Levitt e Garry Winograd.
L’allestimento di Palazzo Sarcinelli esplora quindi il tema dell’autoritratto di Vivian Maier a partire dai suoi primi lavori degli anni ’50, fino alla fine del Novecento. Un nutrito corpus di opere caratterizzato da grande varietà espressiva e complessità di realizzazione tecnica. Le sue ricerche estetiche si possono ricondurre a tre categorie chiave, che corrispondono alle tre sezioni della mostra. La prima è intitolata SHADOW (l’ombra). Vivian Maier adottò questa tecnica utilizzando la proiezione della propria silhouette. Si tratta probabilmente delle più sintomatica e riconoscibile tra tutte le tipologie di ricerca formale da lei utilizzate. L’ombra è la forma più vicina alla realtà, è una copia simultanea. È il primo livello di una autorappresentazione, dal momento che impone una presenza senza rivelare nulla di ciò che rappresenta. Attraverso il REFLECTION (riflesso), a cui è dedicata la seconda sezione, l’artista riesce ad aggiungere qualcosa di nuovo alla fotografia, attraverso l’idea di auto-rappresentazione. L’autrice impiega diverse ed elaborate modalità per collocare sé stessa al limite tra il visibile e l’invisibile, il riconoscibile e l’irriconoscibile. I suoi lineamenti sono sfocati, qualcosa si interpone davanti al suo volto, si apre su un fuori campo o si trasforma davanti ai nostri occhi. Il suo volto ci sfugge ma non la certezza della sua presenza nel momento in cui l’immagine viene catturata. Ogni fotografia è di per sé un atto di resistenza alla sua invisibilità. Infine, la sezione dedicata al MIRROR (specchio), un oggetto che appare spesso nelle immagini di Vivian Maier. È frammentato o posto di fronte a un altro specchio oppure posizionato in modo tale che il suo viso sia proiettato su altri specchi, in una cascata infinita. È lo strumento attraverso il quale l’artista affronta il proprio sguardo.
“La scoperta tardiva del lavoro di Vivian Maier, che avrebbe potuto facilmente scomparire o addirittura essere distrutto, è stata quasi una contraddizione. Ha comportato un completo capovolgimento del suo destino, perché grazie a quel ritrovamento, una semplice Vivian Maier, la tata, è riuscita a diventare, postuma, Vivian Maier la fotografa”, scrive Anne Morin nella presentazione della mostra. Nelle splendide immagini in mostra al pubblico, dal 23 marzo al 11 giugno 2023, presso Palazzo Sarcinelli a Conegliano, vedremo la seconda metà del Novecento con gli occhi e negli occhi di un’icona della storia della fotografia.
Dal 23 Marzo 2023 al 11 Giugno 2023 – Palazzo Sarcinelli – Treviso
Al piano nobile di Palazzo Reale apre al pubblico l’ampia retrospettiva HELMUT NEWTON. LEGACY, ideata in occasione del centesimo anniversario della nascita del fotografo (Berlino, 1920 – Los Angeles, 2004) e posticipata a causa della pandemia. L’esposizione offre uno sguardo nuovo all’unicità, allo stile e al lato provocatorio del lavoro dell’artista.
La mostra, curata da Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation, e da Denis Curti, è promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Marsilio Arte, in collaborazione con la Helmut Newton Foundation di Berlino.
Il percorso espositivo ripercorre attraverso 250 fotografie, riviste, documenti e video l’intera carriera di uno dei fotografi più amati e discussi di tutti i tempi. Accanto alle immagini iconiche, un corpus di scatti inediti, presentati per la prima volta in Italia, svela aspetti meno noti dell’opera di Newton, con un focus specifico sui servizi di moda più anticonvenzionali. Polaroid e contact sheet permetteranno di comprendere il processo creativo che si cela dietro alcuni dei motivi più significativi del lavoro di Newton, mentre pubblicazioni speciali, materiali d’archivio e dichiarazioni del fotografo consentiranno di ricostruire il contesto nel quale è nata l’ispirazione di questo straordinario artista.
Lungo un percorso articolato in capitoli cronologici, i visitatori potranno attraversare tutte le fasi ed evoluzioni della vita e della carriera di Newton, dagli esordi fino agli ultimi anni di produzione. Fino alla fine della sua vita Helmut Newton ha continuato a incantare e provocare con la sua singolare interpretazione della femminilità. Il suo lavoro per oltre sei decenni ha sfidato ogni tentativo di categorizzazione. Nessun altro fotografo è mai stato pubblicato quanto Helmut Newton e alcune delle sue immagini più iconiche sono diventate parte della nostra memoria visiva collettiva: il fotografo tedesco-australiano ci ha lasciato un’opera così unica e influente che ogni sforzo sistematico per venirne a patti, anche con la minima pretesa di completezza, è destinato al fallimento.
Grazie agli accordi con la Helmut Newton Foundation, la mostra, per la quale è previsto un tour in importanti musei europei e internazionali, sarà in esclusiva in Italia a partire dalla primavera 2023 fino all’estate 2024, e dopo Palazzo Reale sarà esposta anche a Roma, al Museo dell’Ara Pacis nell’autunno 2023, e a Venezia, nel nuovo centro di fotografia “Le Stanze della Fotografia” sull’Isola di San Giorgio Maggiore, nella primavera 2024.
Dal 24 Marzo 2023 al 25 Giugno 2023 – Palazzo Reale – Milano
WALTER NIEDERMAYR. IRAN, PRIMA E DOPO LA RIVOLUZIONE
Walter Niedermayr Isfahan, Iran 176, 2008. Credits Ncontemporary Milano
Ersel presenta “Iran, prima e dopo la rivoluzione”, la mostra dedicata alle opere del fotografo e artista Walter Niedermayr, a cura di Chiara Massimello, realizzata in collaborazione con Ncontemporary Milano. L’esposizione è in programma dal 30 marzo al 30 aprile, presso la nuova sede di Ersel di via Caradosso 16 a Milano, recentemente inaugurata.
Walter Niedermayr, artista conosciuto per le sue opere presentate al MAXXI di Roma, alla Tate Moderne di Londra, al Centre Pompidou di Parigi e al Museum of Modern Art di New York, per questo progetto parte dallo studio del paesaggio urbano moderno, sorto in Iran dopo la rivoluzione islamica del 79, per lo più influenzato dall’architettura occidentale.
Dal 30 Marzo 2023 al 30 Aprile 2023 – Spazio espositivo ERSEL – Milano
GIANNI BERENGO GARDIN. COSE MAI VISTE. FOTOGRAFIE INEDITE
La VI edizione del Brescia Photo Festival, in programma dal 24 marzo al 23 luglio 2023, che quest’anno si sviluppa attorno al tema Capitale proporrà un programma ricco di eventi, diffuso nelle più prestigiose sedi espositive della città.
La manifestazione, promossa da Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei in collaborazione con il Ma.Co.f – Centro della Fotografia Italiana e che ufficialmente aprirà le danze venerdì 24 marzo, lancia un’anteprima della kermesse davvero imperdibile.
Dal 25 febbraio al 21 maggio 2023, infatti, il Mo.Ca. – Centro delle nuove Culture accoglie la mostra Cose mai viste. Fotografie inedite, a cura di Renato Corsini, nata da un’idea di Gianni Berengo Gardin, con la ricerca iconografica di Susanna Berengo Gardin. Per la prima volta, 120 fotografie in bianco e nero inedite e mai pubblicate di Gianni Berengo Gardin (Santa Margherita Ligure, GE, 1930), tutte stampate per l’occasione in camera oscura e su carta ai sali d’argento, propongono la rilettura del suo straordinario percorso, dagli anni ‘50 del secolo scorso fino a oggi, arricchendo il monumentale repertorio iconografico del Maestro con delle preziose novità.
Fotografo dal 1954, con settant’anni di carriera, Gianni Berengo Gardin è uno degli interpreti più rappresentativi del panorama italiano e internazionale. Dopo un attento lavoro di selezione, coadiuvato dalla figlia Susanna, sono riemerse una serie di immagini “nuove”, mai viste prima; fotografie all’epoca rimaste sepolte da altre o più semplicemente trascurate in quel momento. “Ridare vita e rileggere gli archivi – sottolinea il curatore Renato Corsini – è un valore fondamentale per la fotografia di qualità; solo quella che si consolida forte della capacità di storicizzarsi, e mantiene, e spesso accresce nel tempo il suo valore, testimoniale e artistico, è fotografia con la ‘f’ maiuscola”.
Il percorso espositivo tocca i temi più caratteristici della sua ricerca, che spazia dall’indagine sociale alla vita quotidiana, dal mondo del lavoro fino all’architettura e al paesaggio con scatti dal 1954 al 2019 che portano il visitatore a girare il mondo con alcuni sguardi inediti sulla realtà. Dalla Svezia a Mosca, con il fermo immagine della pesa pubblica al mercato, passando per l’immancabile Venezia, l’amata Parigi, un pellegrinaggio a El Rocío in Andalusia, si arriva fino al colpo d’occhio di un gruppo di operai che fanno ginnastica collettiva nel cantiere dell’Aeroporto di Osaka nel 1993.
La mostra, accompagnata da un libro edito da Contrasto, conferma ancora una volta Berengo Gardin come il maestro del bianco e nero, capace di costruire un patrimonio visivo unico dell’Italia dal dopoguerra a oggi (e non solo del nostro Paese), caratterizzato da un’assoluta coerenza nelle scelte linguistiche e da un approccio “artigianale” al lavoro. Nelle inchieste sociali, così come nei paesaggi, il soggetto principale della sua ricerca è sempre l’uomo, colto nella relazione emotiva, psicologica e profonda con l’ambiente che lo circonda.
Interprete sensibile e partecipe, Gianni Berengo Gardin ha osservato tante volte il mondo tornando e ritornando a visitare luoghi che col tempo sono diventati familiari al suo sguardo e alla nostra memoria.
Dal 25 Febbraio 2023 al 21 Maggio 2023 – Mo.Ca – Centro delle nuove Culture – Brescia
Mercoledì 29 marzo 2023 aprirà al pubblico il nuovo centro espositivo e di ricerca, “Le Stanze della Fotografia”, all’interno della Fondazione Giorgio Cini, nelle Sale del Convitto, sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, con un’ampia e completa retrospettiva dedicata a Ugo Mulas, che presenta per la prima volta un’importante selezione di immagini vintage mai esposte prima d’ora. “Le Stanze della Fotografia” è l’iniziativa congiunta di Marsilio Arte e Fondazione Giorgio Cini, destinata a proseguire il percorso iniziato nel 2012 alla Casa dei Tre Oci di Venezia – storico palazzo neogotico situato sull’isola della Giudecca e di recente acquistato dal Berggruen Institute – nella convinzione che la fotografia, tra i linguaggi artistici più interessanti del moderno e del contemporaneo, debba continuare ad avere una sua specifica “casa” a Venezia. Ad affiancare le attività espositive, una Fondazione dedicata sosterrà i progetti di ricerca grazie al contributo dei partner strategici Fondazione di Venezia e San Marco Group.
Marsilio Arte ha gestito tutte le mostre e le attività della Casa dei Tre Oci, proponendo, nel corso degli ultimi dieci anni, trenta esposizioni che hanno raccontato l’opera dei più grandi fotografi tra i quali Elliott Erwitt, Sebastião Salgado, Gianni Berengo Gardin, Helmut Newton, David LaChapelle, Letizia Battaglia, Ferdinando Scianna, Mario De Biasi, parallelamente a un’importante attività di ricerca sviluppata attraverso mostre di riscoperta di autori come René Burri, Willy Ronis, Henri Lartigue, Sabine Weiss, accogliendo complessivamente oltre 500.000 visitatori.
Un sodalizio naturale quello tra la fotografia e l’isola di San Giorgio, in quanto la Fondazione Giorgio Cini custodisce una delle più importanti collezioni fotografiche d’Europa. Una raccolta preziosa che nel tempo si è arricchita con un capitale fotografico unico nell’ambito della ricerca storico artistica: un immenso patrimonio documentario costituito dalle raccolte fotografiche pervenute nel tempo all’Istituto di Storia dell’Arte e appartenute a importanti storici dell’arte, tra cui Berenson, Bettini, Fiocco, Pallucchini, a giornalisti e scrittori, come Ojetti, insieme a un cospicuo numero di fotografie prodotte da scambi con altre istituzioni culturali, dai rapporti intercorsi per alcuni decenni tra Vittorio Cini, Fondazione Giorgio Cini e la società Alinari. Un sodalizio che ha contribuito, fino al 1970, alla creazione della Fototeca che, ad oggi, conta quasi un milione di fotografie, liberamente consultabili negli spazi della Nuova Manica Lunga da studiosi, ricercatori, appassionati, su appuntamento; online, grazie al grande impegno che la Fondazione Cini ha avviato dagli inizi degli anni Duemila per la digitalizzazione del suo patrimonio. Concepite come un vero e proprio centro internazionale di ricerca e valorizzazione della fotografia e della cultura delle immagini, Le Stanze proporranno, accanto alle rassegne a Venezia e in altre città italiane ed estere, laboratori, incontri, workshop, seminari con fotografi nazionali e internazionali, master, in continuità con il disegno culturale che ha animato finora la Casa dei Tre Oci, ma con una spinta e una visione ancora più internazionali. In quest’ottica verranno sviluppate diverse partnership con le più importanti realtà del mondo della fotografia, quali l’agenzia Magnum Photos, il centro parigino Jeu de Paume, la Médiathèque du patrimoine et de la photographie, il Musée de l’Elysée di Losanna, solo per citarne alcune.
Il centro può contare sulla creazione di una Fondazione dedicata, che permetterà di finanziare e sostenere i progetti di ricerca, dove confluiranno i partner strategici quali la Fondazione di Venezia, impegnata nella valorizzazione del linguaggio fotografico sin dall’acquisto della Casa dei Tre Oci negli anni 2000, e che intende promuovere l’istituzione di un Premio annuale per la fotografia rivolto ai giovani fotografi, e San Marco Group, leader in Italia nel settore delle pitture e vernici per l’edilizia professionale, che conferma il saldo legame con l’esperienza dei Tre Oci. La direzione artistica de Le Stanze della Fotografia è affidata a Denis Curti, che ha già ricoperto questo ruolo per i Tre Oci sin dal 2012 e vanta una vasta esperienza nel mondo della fotografia. È direttore e fondatore, nel 2014, della galleria STILL a Milano, è direttore artistico del “Festival di Fotografia” di Capri e in passato ha diretto per un quinquennio il “SI FEST” di Savignano sul Rubicone. È direttore responsabile del periodico Black Camera e Course Leader del Master in Fotografia di RafflesMilano. È autore di diverse mostre e pubblicazioni dedicate ai grandi fotografi italiani e internazionali e di due saggi fotografici per Marsilio Editori: Capire la Fotografia contemporanea e Il Mosaico del mondo. La mia vita messa a fuoco, dedicato alla biografia di Maurizio Galimberti. Negli anni Novanta ha diretto la sezione fotografia dell’Istituto Europeo di Design di Torino e la Fondazione Italiana per la Fotografia. Per oltre 15 anni giornalista e critico fotografico per le pagine di Vivimilano e Corriere della Sera, dal 2005 al 2014 è stato inoltre direttore di Contrasto e vicepresidente della Fondazione Forma a Milano. Le attività di ricerca ed espositive sono coordinate dal comitato tecnico-scientifico presieduto da Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini, e composto da Emanuela Bassetti, presidente di Marsilio Arte, da Chiara Casarin, responsabile sviluppo culturale e comunicazione della Fondazione Giorgio Cini, dal direttore artistico Denis Curti e da Luca De Michelis, amministratore delegato di Marsilio Arte. Tra gli sponsor tecnici figurano Distilleria Nardini, la prima distilleria d’Italia con oltre 240 anni di storia e tradizione, Grafica Veneta, azienda leader nell’editoria e stampa di libri e volumi, iGuzzini, gruppo internazionale leader nel settore dell’illuminazione architetturale, NeoTech, società di servizi informatici specializzata nella creazione e sviluppo di allestimenti audiovisivi.
«Quando abbiamo inaugurato la mostra di Sabine Weiss un anno fa – commenta Emanuela Bassetti, presidente di Marsilio Arte –, rassegna che concludeva la nostra esperienza alla Casa dei Tre Oci, avevamo detto che questo non avrebbe significato la fine del percorso Marsilio “fotografia a Venezia”, che andava ben oltre un edificio. A distanza di un anno, con la mostra di Ugo Mulas, siamo felici di inaugurare la nostra nuova “casa” all’Isola di San Giorgio, dando avvio in partenariato con Fondazione Giorgio Cini a un ambizioso progetto culturale internazionale di ricerca e di memoria». «Grande attenzione è sempre stata data dalla Fondazione Giorgio Cini alla fotografia, sia come forma d’arte sia come documentazione storico artistica, tanto da creare, sotto l’impulso dello stesso Vittorio Cini, quella che oggi è una delle più ricche fototeche d’Italia e d’Europa», spiega Giovanni Bazoli, presidente della Fondazione Giorgio Cini. «L’apertura delle Stanze della Fotografia qui sull’Isola di San Giorgio Maggiore rappresenta quindi un nuovo tassello cheva ad arricchirela già ampia e variegata offerta culturale della Fondazione Cini».
L’edificio dell’ex Convitto che ospiterà Le Stanze della Fotografia, che consta di circa 1850 metri quadrati disposti su due livelli, è stato oggetto di un importante lavoro di riallestimento e restauro finalizzato all’ampliamento e valorizzazione degli spazi, realizzato dallo Studio di Architetti Pedron / La Tegola con la speciale partecipazione del Teatro La Fenice di Venezia, che ha permesso l’installazione di pareti leggere e movibili che, come quinte teatrali, saranno rimodulabili per i diversi allestimenti espositivi, nell’ottica di una sostenibilità dell’impresa culturale. Il bookshop, con un allestimento realizzato dallo studio Retail Design di Paolo Lucchetta, è stato pensato come una vera e propria libreria e spazio fondamentale di accoglienza e incontro, e offrirà un’ampia proposta editoriale con riviste specializzate, magazine, saggi, articoli di design e oggetti iconici. Originariamente adibita per i magazzini della dogana, la sede ha preso la sua conformazione attuale nel 1870 circa. Nel 1952, alla nascita della Fondazione Giorgio Cini, l’edificio è divenuto Convitto scolastico e nel 2007 restaurato e reso sede espositiva. Si trova nella zona nord-est dell’isola di San Giorgio: per un lato lungo prospetta sulla fondamenta adiacente la Darsena Grande; per un lato corto sulla laguna, visibile dall’interno grazie a due grandi e spettacolari finestre. La mostra Ugo Mulas. L’operazione fotografica, che verrà presentata in occasione dell’inaugurazione del nuovo centro e sarà visitabile dal 29 marzo al 6 agosto 2023, è realizzata in collaborazione con l’Archivio Mulas e curata da Denis Curti e Alberto Salvadori, direttore dell’Archivio. Il progetto coincide con i 50 anni dalla scomparsa dell’autore, avvenuta il 2 marzo 1973. Più di 300 immagini, tra cui 30 foto mai esposte prima d’ora, documenti, libri, pubblicazioni, filmati, offrono una sintesi in grado di restituire una lettura che si apre alle diverse esperienze affrontate da Ugo Mulas (Pozzolengo, 1928 – Milano, 1973), fotografo trasversale a tutti i generi precostituiti e capace di approfondire tematiche diverse, cercando sempre la profondità della “quantità umana”. Tra le figure più importanti della fotografia internazionale del secondo dopoguerra, Mulas comprende presto, da autodidatta, che essere fotografo vuol dire fornire una testimonianza critica della società, ed è proprio questa consapevolezza che guida i suoi primi reportage tra il 1953 e il 1954: le periferie milanesi e l’ambiente artistico e culturale dei primi anni Cinquanta del celebre Bar Jamaica. Mulas si impone rapidamente nei più diversi ambiti della fotografia, dalla moda alla pubblicità, pubblicando su numerose riviste come “Settimo Giorno”, “Rivista Pirelli”, “Domus”, “Vogue”. In questi anni il fotografo sviluppa un’importante collaborazione artistica con Giorgio Strehler, grazie al quale pubblicherà le fotocronache “L’opera da tre soldi” (1961) e “Schweyck nella seconda guerra mondiale” (1962). L’attenzione al mondo dell’arte e alla produzione artistica diventa uno dei principali interessi di Mulas, che fotografa le edizioni della Biennale di Venezia dal 1954 al 1972. Nel 1962 documenta la mostra “Sculture nella città” a Spoleto, dove si lega soprattutto agli scultori americani David Smith e Alexander Calder. Di questo periodo è anche la serie dedicata alla raccolta Ossi di Seppia di Eugenio Montale (1962-1965). L’estate del 1964 è significativa per Mulas. Alla Biennale di Venezia viene presentata la Pop Art americana al pubblico europeo; il fotografo ottiene la collaborazione del critico Alan Solomon e l’appoggio del mercante d’arte Leo Castelli, che lo introducono nel panorama artistico americano durante il suo primo viaggio negli Stati Uniti. Può, così, ritrarre importanti pittori al lavoro tra i quali Frank Stella, Lichtenstein, Johns, Rauschenberg e importanti presenze come Andy Warhol e John Cage. La collaborazione con gli americani continuerà poi nel 1965 e successivamente nel 1967, anno nel quale Mulas presenta la sua analisi del lavoro con gli artisti pubblicando il celebre volume “New York: arte e persone”. Fondamentale, tra le altre, anche la collaborazione con Marcel Duchamp, che rivela qualcosa di più profondo e generale nella concezione di Mulas dei ritratti d’artista. «Le fotografie di Duchamp – precisa Mulas – vorrebbero essere qualcosa di più di una serie di ritratti più o meno riusciti, sono anzi il tentativo di rendere visivamente l’atteggiamento mentale di Duchamp rispetto alla propria opera, atteggiamento che si concretizzò in anni di silenzio, in un rifiuto del fare che è un modo nuovo di fare, di continuare un discorso».
All’analisi formale e concettuale della fotografia sono dedicate le Verifiche (1968- 1972), una serie di tredici opere fotografiche attraverso le quali Mulas s’interroga sulla fotografia stessa. Il titolo della mostra veneziana “Ugo Mulas. L’operazione fotografica” prende spunto proprio da una delle Verifiche e condensa la straordinaria riflessione del fotografo.
Il percorso espositivo si snoda lungo 14 sezioni che ripercorrono tutti i campi d’interesse di Mulas. Dal teatro alla moda, con i ritratti di amici e personaggi della letteratura, del cinema e dell’architettura fotografati come “modelli in posa”, dai paesaggi e dalle città alla sua esperienza con la Biennale di Venezia e con gli artisti della Pop Art. Una sezione, naturalmente, è dedicata a Milano e al celebre bar Jamaica, che il grande Luciano Bianciardi descrive nel suo libro “La vita agra” come il “il bar delle Antille”. «Il Jamaica – osserva Denis Curti – è il luogo degli incontri, delle amicizie complici, quelle con Mario Dondero, Piero Manzoni, Alfa Castalfi, Pietro Consagra, Carlo Bavagnoli e Antonia Buongiorno, che diventerà sua moglie. A questa sezione segue un capitolo dedicato ai progetti industriali e alle esperienze più interessanti con Olivetti e Pirelli. A chiudere il percorso, le “serie” più significative per lo stesso Mulas, quelle dedicate a Calder, a Duchamp e le fondamentali “verifiche”, che sono certamente da considerarsi come uno dei più interessanti “esperimenti di pensiero critico” sulla fotografia». «Il lavoro fotografico di Ugo Mulas – commenta Alberto Salvadori – offre un punto di vista imprescindibile sullo statuto dell’opera d’arte stessa, che ci spinge a riflettere sulla relazione, ogni volta nuova e peculiare, tra l’artista e il suo spazio di lavoro, l’ispirazione e il contesto che la esprime. L’ampia retrospettiva che inaugura Le Stanze della Fotografia dà conto di questa sempre presente «attualità» dello sguardo di Mulas, mostrandone anche aspetti meno noti attraverso scatti, documenti d’archivio, video mai esposti prima d’ora e restituendoci il ritratto di un artista a tutto tondo, della sua visione dell’arte e della cultura del Novecento».
Dal 29 Marzo 2023 al 06 Agosto 2023 – Le Stanze della Fotografia – VENEZIA
Il 3 Marzo alle ore 19 la Fondazione di Sardegna, in collaborazione con il Museo MAN, inaugura la mostra Twelve ee h s nine – Dolmen e Menhir in Sardegna di Olivo Barbieri, a cura di Marco Delogu e Chiara Gatti.
La serie inedita dell’artista conclude il suo lavoro nell’ambito della Commissione Sardegna, un progetto che sostiene il percorso di produzione di opere d’arte contemporanea attraverso la piattaforma AR/S Arte Condivisa, con lo scopo di aprire una finestra sul territorio, la storia e le stratificazioni che caratterizzano l’isola, per mezzo degli sguardi di curatrici e curatori, artisti e artiste invitati a vivere esperienze di residenza e produzione in Sardegna.
Olivo Barbieri, uno dei maggiori artisti e fotografi italiani contemporanei, è stato invitato dalla Fondazione di Sardegna a rivolgere il suo sguardo all’isola, a intraprendere tre viaggi nell’arco di due anni, decifrando una bolla spazio-temporale tra archeologia e immaginario contemporaneo.
Oggetto della ricerca è il patrimonio composto da numerosissimi megaliti, dolmen e menhir disseminati sull’isola, secondo logiche ancora non chiare agli studiosi, osservati nella loro capacità di modificare lo spazio che li circonda.
Barbieri, che già negli anni ottanta aveva viaggiato lungamente in Bretagna e a Carnac, attratto da questi monumenti megalitici, dal mistero della loro genesi e della loro funzione, anche se con anni di ritardo e con un certo senso di colpa per aver atteso tanto, arriva in Sardegna per accostarsi a un patrimonio altrettanto unico, poco divulgato, addirittura per molti quasi sconosciuto.
Guidato dalla sapiente disponibilità di studiosi come l’archeologo Riccardo Cicilloni, dalle indicazioni degli abitanti del luogo, da ricercatori e da memorie locali, Barbieri in Twelve ee h s nine – Dolmen e Menhir in Sardegna restituisce una ricognizione, una mappatura sensoriale libera e non scientifica dei megaliti, ma soprattutto racconta come lo spazio intorno a questi sia cambiato, come il mondo si sia modificato attraverso forme, stratificazioni e passaggi logici inconsci.
Le fotografie registrano autentiche situazioni di convivenza e compenetrazione tra passato arcaico, costruito recente e paesaggio vegetale.
L’artista ha allargato il suo sguardo dal singolo sito al paesaggio antropizzato, verso contesti abitati che hanno assorbito i volumi e la storia di questi straordinari oggetti di resistenza, in uno scenario nuovo, modificato dal contesto dei reperti e dal loro ascendente, ispirando nuove immagini e nuove architetture.
Olivo Barbieri attraverso questa indagine sulla variazione, con un processo di osservazione chiaro e privo di orpelli linguistici, ma portando all’estremo le possibilità percettive del vedere, traccia una geografia immaginaria della Sardegna profonda, silente e diversa dalla nota bellezza della costa internazionalmente famosa.
Nei suoi viaggi da Dorgali a Laconi, da Calangianus a Barrali, esplora percorsi avventurosi fra campi coltivati, pascoli e paesi alla ricerca di vestigia a volte inghiottite dalla vegetazione o dal cemento per restituirli al presente.
Nel dialogo con Chiara Gatti pubblicato in catalogo Olivo Barbieri dice: «Ho lavorato e riflettuto molto sulla modificazione dello spazio attorno a ogni reperto, come le epoche siano trascorse sovrapponendo innesti, strati, passaggi. È un racconto temporale sincretico…»
Come scrivono Marco Delogu e Franco Carta nel testo che accompagna la mostra: “le forme della pietra sono intrise dal tempo e Barbieri ne coglie il mistero, racchiude nell’inquadratura il colore e la luce, ne esalta la forza estetica, ne interroga le suggestioni magiche e il valore simbolico-sacrale che da sempre dolmen e menhir evocano nella mente dell’osservatore, sia esso uno studioso o un profano”.
Il lavoro di Barbieri è coerente con le produzioni originali della Fondazione di Sardegna realizzate in questi anni, produzioni il cui obiettivo è raccontare l’isola attraverso la visione dell’arte, interpellando protagonisti di primaria levatura per restituire un’immagine dell’isola in dialogo con i contesti creativi nazionali e internazionali più dinamici. Da questo dialogo scaturiscono i segni di una Sardegna insolita che, a volte, stentiamo a riconoscere.
Dal 03 Marzo 2023 al 25 Giugno 2023 – Museo MAN – Nuoro
La prima mostra personale dedicata al fotografo americano Michael Ackerman a Napoli, “Homecoming – New York • Varanasi • Napoli ”, contiene, già nel titolo, il senso del percorso visivo delineato dalla gallerista Cristina Ferraiuolo. Nella parte dedicata a New York, accanto ad alcune immagini iconiche degli anni ‘90, sono esposte le opere più recenti realizzate dall’artista durante i suoi continui ritorni nella città dov’è cresciuto e dove si è formata la sua visione artistica. Le sue fotografie nascono da un desiderio di casa, dall’amore per la città e da un profondo bisogno di entrare in contatto con la sua gente. I suoi ritratti, posati o fugaci, mettono a nudo le emozioni di un’umanità che è allo stesso tempo cupa, tenera, vulnerabile, persino dolce. Sono frutto di profonda empatia e affetto.
Immagini composte in trittici, dittici, usate in sequenza, in formati diversi, scandiscono un ritmo e una narrazione quasi cinematografici. Sarah Moon, sua cara amica, osserva che “Ackerman non cerca mai ‘l’istante decisivo’ come altri fotografi ma cattura quel momento tra i momenti, quell’attimo in cui l’inaspettato o l’invisibile si rivela, cogliendo non ciò che vediamo, ma ciò che sentiamo”. In un angolo della sala, due pareti allestite dall’artista con numerose prove di stampa consentono al visitatore di entrare idealmente nella sua camera oscura, nelle sue continue sperimentazioni, combinazioni di scelta e casualità.
La seconda parte della mostra è dedicata a Varanasi, altra meta fondante del percorso artistico di Michael Ackerman. Qui negli anni ’90 realizza il suo primo grande progetto “End Time City”, pubblicato nel 1999 da Robert Delpire, che lo fa emergere come una delle più interessanti e innovative voci nel panorama della fotografia contemporanea. Dopo oltre vent’anni Ackerman decide di ritornare a fotografare nella città sacra e lavora ad una nuova edizione del suo libro cult “End Time City”, pubblicato nel 2021 da Atelier EXB. Il suo sguardo si poggia in particolare sul mondo degli animali, protagonisti assoluti di questa sezione della mostra, e ci trasporta in un paesaggio di pura emozione.
Stormi frenetici di gabbiani siberiani si lanciano in volo sul fiume Gange, un elefante sembra accennare un sorriso, una piccola scimmia cammina su un cavo elettrico che oscilla nel vuoto, un cavallo bianco fa pensare ad un fantasma avvolto in una nube granulosa. Siamo tra il sogno e l’apparizione.
Infine Napoli. Oltre New York, città della formazione e del continuo ritorno, Varanasi, città della sperimentazione e della presa di coscienza di un proprio sguardo, un terzo approdo familiare è Napoli, città dove Ackerman ha scelto di tornare più volte nel corso degli anni, per dedicarsi alla sua ricerca personale, ospite in questa casa che oggi è diventata Spot home gallery.
13 aprile – 30 giugno 2023 – Spot home gallery – Napoli
Tonni, Yann Arthus-Bertrand e Brian Skerry. Pianeta Mare
Per la prima volta in Italia la mostra fotografica di Yann Arthus-Bertrand e Brian Skerry “PIANETA MARE”, allestita nelle sale della Mole Vanvitelliana di Ancona, dal 25 febbraio al 25 giugno 2023, racconta la bellezza del nostro pianeta Blu e suscita una riflessione sull’urgenza di preservarlo e sui modi di viverlo. L’esposizione – promossa dal Comune di Ancona con la collaborazione della Fondazione Goodplanet e di Contemplation, e organizzata da Rjma Progetti culturali – offre al pubblico l’opportunità di riscoprire la forte e primordiale relazione tra l’uomo e il mare. I punti di vista dei due fotografi, uno dal cielo e l’altro dalle profondità marine, si rincorrono in 70 straordinarie fotografie d’autore sul nostro Pianeta Mare. “Non esiste luogo più adatto della Mole di Ancona per ospitare Pianeta Mare, una mostra d’arte e di cura che intreccia i fili del legame infinito tra l’essere umano e l’elemento più importante del pianeta: l’acqua. Uso il termine cura perché il primo effetto di questa straordinaria mostra è quello di creare un’affezione nuova tra chi la visita e il mare, un sentimento, un amore. Ed è l’amore il presupposto della cura” sono le parole dell‘assessore alla Cultura del Comune di Ancona Paolo Marasca. Quando gli astronauti hanno potuto vedere la Terra dallo spazio si sono resi conto che il nostro è un pianeta Blu, innanzitutto perché le acque degli oceani occupano i due terzi della superficie. Il Mare produce il 50% dell’ossigeno che respiriamo e assorbe un terzo delle nostre emissioni di CO2. Gli oceani sono la principale fonte di proteine per circa un miliardo di persone e le attività direttamente o indirettamente legate alla pesca impiegano circa 200 milioni di persone nel mondo. È nel Mare che sono apparse le prime forme di vita, un miliardo di anni dopo la formazione degli oceani. E fino a 250 milioni di anni fa la vita sul pianeta è stata dominata da creature marine, dai batteri fino ai grandi cetacei. Il corpo umano è costituito per il 60% di acqua e contiene la stessa percentuale di sale dell’Oceano. L’Uomo e il Mare sono intimamente legati. Negli scatti di Yann Arthus-Bertrand e Brian Skerry, dunque, non scopriamo solo le bellezze degli Oceani ma anche l’importanza e la necessità di tutelare il Mare quale patrimonio dell’umanità. Nelle foto in mostra, tutte a colori e in grandi formati, sarà possibile osservare da vicino e in modo inedito, la ricchezza e la varietà di ambienti marini e costieri, di specie animali e vegetali. Ma oltre a presentare alcune delle più̀ belle foto dedicate al mondo del Mare, la mostra mette in evidenza l’impatto dell’uomo, che è nello stesso tempo la causa e la soluzione di tutti i problemi che si sono ormai determinati. Basti pensare alle plastiche, ai cambiamenti climatici, all’inquinamento, all’ipersfruttamento. La mostra mette in scena la bellezza degli oceani, la loro diversità̀, la loro utilità̀, i pericoli che li minacciano e le soluzioni che si possono apportare. Gran parte del mondo marino ci è ancora sconosciuto eppure l’impronta dell’uomo è percepibile ovunque. Nel Summit della Terra, Rio de Janeiro 1992, la salvaguardia dei nostri Oceani era unanimemente considerata come una priorità. A 30 anni da quella Dichiarazione c’è ancora molto da fare, e come dice lo stesso Yann Arthus-Bertrand “Sia io che Brian Skerry abbiamo visto la bellezza del mondo e, per proteggerla, abbiamo deciso di esserne testimoni. Poiché́, anche se è cambiato e molte minacce pesano sul suo futuro, il nostro resta un Pianeta magnifico. E dire la sua bellezza è suscitare, forse, lo slancio che permetterà̀ di preservare il nostro pianeta blu. Il nostro PIANETA MARE”.
Dal 25 Febbraio 2023 al 25 Giugno 2023 – Mole Vanvitelliana – Ancona
MIDDLE MONFEST 2023 – MARIA VITTORIA BACKHAUS. I MIEI RACCONTI DI FOTOGRAFIA OLTRE LA MODA
Maria Vittoria Backhaus, Pullmann, Editoriale Io DonnaMilano 2000
Nella primavera del 2023, l’anno d’intermezzo della Biennale di Fotografia di Casale Monferrato, il Comune di Casale e il Direttore artistico Mariateresa Cerretelli annunciano la prima stagione del Middle MonFest con una grande esposizione dedicata alla brillante personalità creativa di Maria Vittoria Backhaus, dai suoi esordi negli Anni Settanta al contemporaneo.
Sarà una grande antologica, frutto di un’attenta ricerca all’interno di un archivio ricco e articolato dove gli anni di progettazione editoriale si alternano a un incessante studio personale e le immagini rispecchiano interpretazioni nuove e controcorrente realizzate per la Moda, il Design e la Ritrattistica, con una fantasmagorica produzione di Still life e di Costruzioni artistiche che esprimono la versatilità di una grande protagonista italiana, fotografa, milanese di nascita e piemontese d’adozione.
A sfilare nelle Sale Chagall del Castello di Casale Monferrato sarà una galleria caleidoscopica di immagini, curata da Luciano Bobba e Angelo Ferrillo con la direzione artistica di Mariateresa Cerretelli per scoprire la creatività dell’autrice a tutto tondo. Esplosiva, sperimentale e rivoluzionaria per i tempi, animata da un’attenzione quasi maniacale per l’estetica e per la finezza delle fotografie e sempre un passo avanti rispetto alla classicità delle immagini imperanti nelle riviste patinate o nelle campagne pubblicitarie dagli anni ’70 a oggi, l’artista/fotografa si colloca a pieno titolo tra i nomi di punta della fotografia italiana. Con una rilettura inedita di un archivio sterminato e ricchissimo, la mostra prende in esame i vari temi che compongono la multiforme genialità di Maria Vittoria Backhaus che si è espressa soprattutto in ambito editoriale, nelle pubblicità e in un suo percorso personale attraverso un’osservazione e una messa a fuoco di una società in evoluzione continua.
“La creatività artistica ci unisce e per me studiare la mostra con Maria Vittoria passo dopo passo è come seguire la linea parallela di uno scambio naturale e spontaneo senza barriere in un fluire di pensiero e di accordi estetici profondi e immediati che derivano dalla comune passione per l’arte fotografica” afferma il curatore Luciano Bobba. Una girandola di bianco e nero e di colore che rappresenta lo specchio di un’iconografia senza confini, dove Backhaus si muove a suo agio e rivela anche uno studio approfondito sull’uso delle diverse macchine fotografiche di cui si serve. “Ho lavorato – afferma l’autrice – con tutti i formati possibili delle macchine fotografiche analogiche, dal formato Leica ai grandi formati con il soffietto sotto il panno nero 20 x 25. Stavano tutte in un grande armadio nel mio studio. Mi piacevano anche come oggetti, così le ho anche ritratte. Ho dovuto imparare tutte le diverse tecniche per poterle usare, acquisite ma dimenticate al momento dello scatto per concentrarmi sul racconto della fotografia”.
I temi portanti di un racconto sempre in progress si susseguono nelle sale Chagall mettendo in risalto la moda, gli accessori, gli still-life, il design, la natura, le statuine, i collages e le composizioni scenografiche costruite con miniature di edifici e pupazzetti. Più di quarant’anni di fotografia dove i reportage e i ritratti trovano spazio e si completano con racconti dedicati tra i quali spiccano gli abitanti di Filicudi, l’isola amata dalla fotografa e, più di recente, Rocchetta Tanaro e la sua gente monferrina. Il co-curatore Angelo Ferrillo conosce da molto tempo Maria Vittoria Backhaus e la sua narrazione fotografica: “Immaginifico. È l’aggettivo che mi ha pervaso la prima volta che ho avuto la fortuna di vedere il lavoro di Maria Vittoria. Conoscendola poi a fondo, vivendo la produzione e approfondendo il suo pensiero, mi sono reso conto di quanto la sua fotografia si muova in equilibrio tra visione, creatività e metodo”. È una mostra che rende omaggio a una mente estrosa con una vena artistica inarrestabile, tutta dedicata al linguaggio della fotografia. Il Middle MonFest 2023 si estenderà con FOTOGRAFIA IN VETRINA nella Sala Marescalchi. Nella prima edizione del MonFest 2022 era già stata annunciata la mostra Fotografia in Vetrina, con i commercianti di Casale, messi in posa dagli studenti dell’Istituto Leardi, seguendo lo stile di Francesco Negri. Chi conosce la città, i suoi negozi, i bar, i caffè e i locali, potrà riconoscere in un percorso virtuale attraverso le vie principali, tanti volti di esercenti che con la loro attività nutrono il tessuto economico di Casale, riuniti in una straordinaria raccolta di ritratti in bianco e nero nella sala Marescalchi. Una galleria da visitare nello stesso periodo del Middle Monfest 2023, realizzata con la cura di Ilenio Celoria.
Dal 31 Marzo 2023 al 11 Giugno 2023 – Castello del Monferrato – Casale Monferrato
PIERO NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE – PIERO PERCOCO
Piero nel paese delle meraviglie di Piero Percoco è la nuova mostra che Leica Camera Italia presenta dal 12 aprile 2023 negli spazi di Leica Galerie Milano,a cura di Denis Curti e Maurizio Beucci.
Una gigantografia di oltre 11 metri di un grande ulivo che brucia conduce in un mondo surreale che si rivela, in maniera contradditoria, molto più vicino alla realtà. Da un’immagine straziante che richiama con forza la necessità di proteggere la terra e la natura, si avvia un viaggio verso una possibile salvezza, verso una nuova vita, un Paese delle meraviglie, la Puglia, terra d’origine di Percoco, che diventa simbolo di ripartenza, come i fiori che continuano a vivere sopra le fiamme testimoniano.
È la magia della fotografia. È il mistero che prende la forma di immagini capaci di superare i generi più conosciuti per diventare “valore” simbolico e assoluto. Denis Curti
Questo nuovo progetto espositivo, che raccoglie immagini scattate da Percoco con Leica Q2 e D-Lux 7, consolida l’impegno di Leica Camera Italia a farsi portavoce di una cultura fotografica d’autore,aprendo le porte dei propri spazi per renderli un luogo di accoglienza e ricerca,in un’alternanza di temi, periodi, stili, tecniche e visioni, nei diversi passaggi del tempo, dall’analogico al digitale. A
Anche se a volte il quotidiano sembra soffocarci, se stiamo attenti, anche nei luoghi che crediamo noiosi può accadere qualcosa di sorprendente. Piero Percoco
12 aprile – 8 luglio 2023 –Leica Galerie Milano presso Leica Store Milano
Dal 31 marzo al 31 maggio 2023 le opere di chi ha utilizzato la fotografia come denuncia e arma di ribellione. Trenta scatti in bianco e nero del periodo dal 1972 al 2003 provenienti dall’Archivio palermitano ‘Letizia Battaglia’.
Letizia Battaglia incarna in sè arte, impegno civile, partecipazione e passione. Trani la celebra ad un anno dalla sua scomparsa con una straordinaria mostra monografica che testimonia trent’anni di vita e società italiana.
“Letizia Battaglia. Testimonianza e narrazione”, fruibile dal 31 marzo al 31 maggio 2023 a Palazzo delle Arti Beltrani, è una carrellata di 30 scatti in bianco e nero che hanno segnato a fuoco la memoria visiva della storia del nostro Paese, passando dalla inconsapevole bellezza delle bambine dei quartieri poveri siciliani (uno su tutti ‘La bambina con il pallone del quartiere Cala di Palermo’) al volto di Pier Paolo Pasolini, ai morti per mano della mafia, tra cui Piersanti Mattarella, e poi, ancora, le processioni religiose, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, fino all’arresto del feroce boss Leoluca Bagarella.
Testimonianza vera, spesso crudele e cruenta, dell’appassionato impegno civile e politico di Letizia Battaglia che per trent’anni ha fotografato la sua terra, la Sicilia, con immagini che denunciano l’attività mafiosa nei coraggiosi reportage per il quotidiano «L’Ora» di Palermo, che l’ha eletta di fatto ad una delle prime fotoreporter italiane. La fama di Letizia Battaglia, nomen omen, è passata nel corso degli anni da una dimensione regionale a una nazionale e internazionale. Notorietà premiata, oltre che da numerosi riconoscimenti in tutto il mondo, anche dalNew York Times chenel 2017 ha inserito la fotografa ottantaduenne tra le undici donne più influenti dell’anno, per l’impegno dimostrato come artista.
Il percorso espositivo tranese intende restituire l’intensità che caratterizza tutto il suo lavoro: dall’attività editoriale a quella teatrale e cinematografica, passando per l’affresco della Sicilia più povera e la denuncia dell’attività mafiosa, della miseria, del degrado ambientale, conseguenza della deriva morale e civile. «Questa mostra, composta da immagini provenienti dall’Archivio Letizia Battaglia di Palermo e selezionate dai loro curatori Marta e Matteo Sollima, nipoti della fotografa, rappresenta un’occasione preziosa per conoscere l’artista Battaglia, divulgare la sua opera e celebrarla nel nostro territorio ad un anno dalla scomparsa – commenta Alessia Venditti, autrice con Andrea Laudisa dei testi che accompagnano l’esposizione. Battaglia è riconosciuta come una delle più grandi interpreti del Novecento e la fotografia, vocazione a tempo pieno, è stato lo strumento con cui ha rivelato la cruda realtà della mafia, del clientelismo e della povertà; celebri sono altresì i suoi ritratti, tra cui spicca la serie di fotografie scattate a Pasolini presso il Circolo Turati di Milano.
La mostra tranese e le foto per essa selezionate, che riguardano il periodo di produzione che va dal 1972 al 2003, hanno l’intento di svelare al pubblico il modo di intendere la fotografia di Letizia Battaglia come arma di ribellione e missione. Il percorso espositivo è completato dalla proiezione del documentario di Francesco Raganato “Amore amaro” (2012), visibile durante la fruizione della mostra».
In occasione della preview della mostra per la stampa, con ingresso solo su invito, giovedì 30 marzo alle ore 18:30, Alessia Venditti presenterà l’opera della fotografa introducendo il progetto espositivo ideato con Marta e Matteo Sollima, curatori dell’archivio palermitano. Interverranno Niki Battaglia, direttore del Palazzo delle Arti Beltrani, e il sindaco della città di Trani, Amedeo Bottaro. Il vernissage offrirà inoltre l’opportunità per presentare la nuova stagione artistica di Palazzo delle Arti Beltrani, centro e contenitore culturale polifunzionale della città di Trani.
Dal 31 Marzo 2023 al 31 Maggio 2023 – Palazzo delle Arti Beltrani – Trani (BA)
Si terrà alle Scuderie del Forte di Bard (AO), dal 26 marzo al 25 aprile l’esposizione delle foto vincitrici e menzionate della sedicesima edizione del concorso internazionale di fotografia naturalistica Fotografare il Parco, organizzato dai Parchi nazionali di Gran Paradiso, Stelvio, Abruzzo, Lazio e Molise e da quello francese de la Vanoise, con il patrocinio di Alparc, Federparchi e la partecipazione del media partner La Rivista della Natura.
Le quattro aree protette, divise da centinaia di chilometri, ma unite nell’intento di conservare un patrimonio di biodiversità unico per bellezza e ricchezza, vogliono così proseguire il percorso di cultura delle immagini di natura fin qui intrapreso.
Le immagini della mostra ritraggono i paesaggi e gli abitanti che è possibile incontrare nelle quattro aree protette: il camoscio impegnato nelle continue sfide per la sopravvivenza in montagna, il lento scorrere di nubi notturne sopra i monti rocciosi, il delicato dischiudersi di gemme nel bosco sul finire dell’inverno. E poi ampi panorami, animali e piante.
Grazie alle immagini sarà possibile assistere a istanti di vita sulle nostre montagne: momenti che, senza lo sguardo attento e la prontezza di riflessi dei fotografi, a molti di noi non potrebbero che sfuggire. Per un attimo il mondo della natura si dischiude ai nostri occhi nel pieno della sua bellezza.
Dal 26 Marzo 2023 al 25 Aprile 2023 – Forte di Bard – Aosta
In occasione della settimana della moda di Milano, Giorgio Armani inaugura negli spazi di Armani/Silos la mostra Guy Bourdin: Storyteller, un omaggio all’opera del fotografo francese, nata dall’idea di raccontarne l’intento compositivo e narrativo, al di là della provocazione da sempre associata al suo lavoro. Sulla scia di Alfred Hitchcock ed Edward Hopper, un regista e un artista che ammirava molto, Guy Bourdin è stato essenzialmente uno storyteller, capace di racchiudere interi romanzi, di preferenza gialli o noir, in un singolo scatto. Presentate negli spazi di Armani/Silos sono cento fotografie che Giorgio Armani insieme a The Guy Bourdin Estate ha selezionato tra scatti iconici e immagini meno note. L’uso dei colori saturi – tratto distintivo dello stile di Bourdin – è esplorato attraverso intere sale dedicate a rossi, verdi e rosa, così come la sua abilità nel gioco con la forma decostruita, in particolare con i manichini, e la sua inconfondibile idea di composizione. Ventuno fotografie in bianco e nero mostrano come la capacità espressiva di Bourdin sia immediatamente percepita anche con il più semplice dei contrasti. Una sezione esplora l’amore di Bourdin per il cinema, elemento centrale della sua creatività, e presenta una selezione di fotografie di campagne pubblicitarie che mostrano quelle che sembrano scene del crimine o inseguimenti della polizia, e che riportano alla fascinazione per Alfred Hitchcock e al tema della “trama misteriosa”.
“Questa mostra conferma la mia volontà di fare di Armani/Silos un centro di cultura fotografica contemporanea, includendo ciò che è prossimo al mondo Armani, ma anche ciò che ne è lontano. A prima vista, Guy Bourdin non è un autore a me vicino: il suo era un linguaggio netto, grafico, forte. Nella sua opera quel che si percepisce subito, in superficie, è la provocazione, ma quello che mi colpisce, e che ho voluto mettere in risalto, sono piuttosto la sua libertà creativa, la sua capacità narrativa e il suo grande amore per il cinema. Bourdin non seguiva la corrente e non scendeva a compromessi: un tratto nel quale mi riconosco io stesso, credo non ci sia un altro modo per lasciare un segno nell’immaginario collettivo”, dichiara Giorgio Armani. Nato nel 1928 a Parigi, Guy Bourdin inizia la carriera come pittore, passando alla fotografia da autodidatta nei primi anni Cinquanta. Sviluppa da subito uno stile personale, intriso di atmosfere e richiami surrealisti, anche grazie alla lunga amicizia con Man Ray, conosciuto nel 1951. Notato da Vogue Paris, Guy Bourdin inizia a collaborare con la testata e a produrre servizi fotografici, ma anche campagne pubblicitarie, che si contraddistinguono per l’incredibile libertà creativa. La sua ferma volontà è di mettere in primo piano la creazione dell’immagine, non il prodotto, e rimane costantemente fedele a questo intento. Il background di Bourdin come pittore influenza il suo approccio, dallo studio minuzioso dei colori alle composizioni sospese tra l’assurdo e il sublime, capaci di stimolare il subconscio dello spettatore. I colori iperreali, i giochi di luci e ombre, ma anche il trucco ‘glossy’ delle modelle fanno parte del suo codice visivo, unico e riconoscibile.
Dal 24 Febbraio 2023 al 31 Agosto 2023 – Armani/Silos – Milano
Il legame tra Cascina Roma Fotografia a San Donato Milanese e la fotografia si è fatto nel tempo sempre più stretto. Quest’anno la rassegna torna con sei mostre, quasi tutte inedite in Italia, di altrettanti giovani fotografi internazionali. Sei percorsi espositivi, dal 22 aprile al 4 giugno, di qualità eccezionale e molto diverse tra loro da cui emergono storie inusuali, racconti da terre e culture lontane dalla nostra. Una serie che si articola tra le sale di Cascina Roma Fotografia e gli spazi pubblici outdoor, accessibili grazie ad un approccio volto a portare la fotografia nella comunità.
Gli autori sono Chiara Negrello, Mikkel Hørlyck, Ian Cheibub, Stephan Lucka, Laure Andrillon e Jana Mai.
Chiara Negrello con Like The Tide (Come la marea), racconta le storie di un gruppo di donne pescatrici nel Delta del Po, in Emilia Romagna. La parità di genere in Italia varia da regione a regione e in base alla linea di demarcazione tra la vita che le donne conducono a casa e nei luoghi di lavoro. In questo groviglio di cultura, tradizioni, politica e patriarcato le donne del Delta sono state per tre generazioni parte integrante del motore economico che ha sollevato le loro famiglie e la regione intera. Sembrano trovare con naturalezza un equilibro tra un lavoro fisicamente impegnativo come quello di pescare vongole, portato avanti in un clima non certo gradevole, e uno straordinario impegno nel prendersi cura delle proprie famiglie e l’una dell’altra. Così come l’acqua riflette i cieli dal colore azzuro-grigio, queste donne si presentano a noi in doppia veste con un fisico provato dalle intemperie, ma che che brilla di gentilezza e cura. Questo racconto fotografico insegue le vite di queste donne mentre infuriava la pandemia di Covid-19 e il loro stesso settore stava affrontando l’incertezza del futuro. Attraverso l’obiettivo, che ci ha regalato questa straordinaria sorellanza di donne ambientata in un piccolo villaggio remoto, questo progetto spera di annullare alcune delle idee stereotipate di femminilità e dell’essere donna.
Mikkel Hørlyck con Last Stronghold (L’ultima roccaforte). “I rifugiati non si arrendono facilmente. Sono pienamente consapevoli del rischio che corrono e di ciò che li attende in Croazia, ma sono determinati ad attraversare il confine”, afferma Nataša Omeroviš, 47 anni, operatrice umanitaria che coordina l’International Organization for Migration (IOM). Nella Bosnia nord-occidentale rifugiati e migranti subiscono una sconfitta dopo l’altra quando tentano di attraversare il confine per entrare nell’Unione Europea e in Croazia, dove ci sono circa 6.500 poliziotti pronti a respingerli. Le condizioni di vita per rifugiati e migranti bloccati in una condizione che perdura sono difficili. Subiscono violenze e umiliazioni da parte della polizia di frontiera croata che è molto potente e si appropria del poco denaro che i migranti possiedono o distrugge i cellulari che portano con sè. L’ONG Border Violence Monitoring Group e diversi organi di stampa denunciano la violenza degli agenti ormai da diversi anni. Dal 2015 l’Unione Europea ha concesso alla Croazia 150 milioni di euro per rafforzare i controlli alle frontiere e tenere migranti e rifugiati fuori dai propri confini. I migranti hanno lasciato i loro paesi d’origine a causa delle condizioni di vita precarie o insostenibili, a causa di conflitti, povertà o disastri naturali che impediscono loro di tornare.
Ian Cheibub con There’s a Hole Inside Us (C’è un vuoto dentro di noi) Sotto terra ci sono i nostri morti e la nostra ricchezza. Aerei, automobili, frigoriferi, edifici e gran parte del materiale che ci circonda proviene da Carajas, la più grande miniera di ferro del mondo, situata nel cuore della foresta pluviale brasiliana. Oggi genera miliardi di dollari di profitti per le aziende, ma una volta era il centro del più importante movimento di guerriglia in Brasile. Nel 1982, 10 anni dopo la cessazione dei combattimenti, il progetto Great Carajás fu lanciato dal governo brasiliano, con l’assistenza degli Stati Uniti. Questa operazione ha portato con sè un’eredità di cancellazione storica poiché le violazioni dei diritti umani sono state seppellite lungo i 900.000 km² della regione. Questo progetto si propone pertanto di ricercare sia i vuoti lasciati nella terra a causa dell’attività mineraria, che quelli nelle persone che vivono a Carajas e che conservano nella loro memoria la complessa storia di questa regione. Si tratta di un racconto alternativo dove il fotografo indaga come miti e sincretismi siano strumenti di sovversione allo status quo, guardando all’intersezione tra cultura, dipendenza e sfruttamento. L’obiettivo è quello di creare una narrazione che ritragga queste persone come protagoniste della società, riaffermando la loro centralità nel complesso rapporto tra l’ambiente che si abita e la storia di un luogo.
Stephan Lucka con The Feeling We Only Know (Il sentimento che solo noi possiamo capire). Se chiedi a uno scout cosa c’è di speciale nell’essere scout, spesso la risposta che ti viene data è la seguente: “È difficile da descrivere, una sensazione che probabilmente solo gli scout comprendono appieno”. Stephan Lucka conosce bene questa sensazione, perché lui stesso è stato uno scout in gioventù. Con questo progetto ha voluto così avvicinarsi fotograficamente a questo “indescrivibile” e lo ha fatto tornando tra i Boy Scout, immergendosi ancora una volta in quel mondo a lui familiare. I Boy Scout e le Girl Scout sono il più grande movimento giovanile del pianeta: sono circa 46 milioni in tutto il mondo, 260.000 in Germania. Gli scout formano il proprio microcosmo socioculturale, un piccolo mondo che riflette sempre un contesto sociale più ampio. Cosa rende ancora oggi attraente l’ambiente degli Scout agli occhi dei giovani in una società così accelerata, consumistica e high-tech? Le immagini cercano di dare una risposta visiva alla domanda a cui è così difficile rispondere per la maggior parte degli scout e restituiscono un racconto fedele di crescita, amicizia e intimità, ma anche di rispetto e considerazione, su come vogliamo trattarci gli uni con gli altri e su come possiamo vivere insieme.
Laure Andrillon con Fountain of Youth (Fonte della giovinezza). Gli Harlem Honeys & Bears sono una squadra senior di nuoto sincronizzato fondata nel 1979 nel cuore di Harlem, a New York. I membri hanno attualmente un’età compresa tra i 64 e i 100 anni. Alcuni componenti della squadra nuotano da quando sono nati; altri hanno superato la paura dell’acqua dopo i sessant’anni. Nel febbraio del 2022 questa comunità ha ripreso a riunirsi in piscina, dopo aver trascorso quasi due anni lontano dall’acqua a causa della pandemia e della conseguente chiusura delle piscine pubbliche. Ogni martedì e giovedì, gli Honeys & Bears trasformano il centro ricreativo St Mary’s, situato nel Bronx, in un gioioso parco giochi. Alcuni lasciano i loro bastoni e deambulatori sul ponte della piscina. Quando scivolano in acqua, la gravità sembra scomparire, le malattie e le ferite passano inosservate: si sentono di nuovo giovani. Per questi nuotatori parte della minoranza afro-americana, la piscina è diventata un luogo di guarigione fisica ma anche psicologica, poiché alcuni di loro hanno vissuto in prima persona l’era delle piscine segregate negli Stati Uniti. Ricordano com’era quando potevano andare in piscina solo nei giorni ”colored” e quando la piscina doveva essere svuotata il giorno successivo perché i bianchi erano troppo disgustati per nuotare nella stessa acqua dei neri.
Queste cinque mostre saranno visitabili presso le sale espositive di Cascina Roma Fotografia.
Jana Mai invece ci porta nella Repubblica Moldova, dove c’è una piccola regione autonoma conosciuta come Gagauzia. Qui vive una popolazione in gran parte sconosciuta ma che preserva antiche tradizioni. “The Descendants of the Wolves” (I discendenti dei lupi) sono una minoranza turca di fede ortodossa cristiana che cerca orgogliosamente di preservare l’identità di un popolo, le tradizioni e soprattutto la lingua per raggiungere, un giorno, l’agognata indipendenza a lungo sognata.
Questa mostra invece sarà visitabile presso il parco Laghetto Europa.
22 Aprile 2023 – 04 Giugno 2023 – San Donato Milanese, Cascina Roma
Piccola America – Lucia Laura Esposto
Quando si pensa all’America, di solito, le prime immagini che affiorano alla mente sono quelle delle grandi metropoli sempre in movimento, dei grattacieli, dei noti immensi parchi nazionali. Invece “Piccola America” è un progetto in itinere che mostra la realtà della provincia, di quelle piccole città che si sviluppano sui due lati della strada principale che le attraversa. Tra un centro abitato e l’altro ci sono miglia e miglia da percorrere e lungo la strada può apparire un distributore di benzina nel mezzo del deserto, oppure uno schoolbus che raccoglie bambini che sembrano sbucati dal nulla. Spesso percorro centinaia di miglia “perdendomi” verso direzioni impreviste: seguo la strada senza cercare cose da vedere, sono loro che trovano me! Soprattutto lungo la Route 66, le tracce del passato mi fanno fantasticare: distributori di benzina in disuso, vecchi veicoli abbandonati, motel le cui stanze potrebbero raccontare storie di amore, di odio, di speranza, di sogni interrotti per fare spazio a nuovi sogni, in attesa dopo la prossima curva. Questa mia passione per i cosiddetti road trip è nata quando ero ancora una ragazzina: pensavo agli Stati Uniti come a un posto meraviglioso, dove tutto era facile e bello… ricordo che ogni tanto ricevevo lettere dal classico “zio d’America” con dentro qualche banconota da uno o cinque dollari, io le mettevo da parte e sognavo di prendere un aereo e raggiungere quel mondo sconosciuto. Poi ho continuato a sognare leggendo “On the Road”, di Jack Kerouac, quel narrare la vita che scorre attraverso un viaggio in auto o sui mitici Greyhound, la descrizione dei paesaggi, delle città, delle persone, il tutto così ben sintetizzato in un breve dialogo: “Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati. Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare”. E io vado!
2 aprile 2023 – 16 aprile 2023 – Sala delle Carrozze di Villa Marazzi – Cesano Boscone (MI)
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Buongiorno a tutti, ecco tutti i premi a cui potete partecipare ad Aprile!
Buona giornata e in bocca al lupo!
Annalisa Melas
INTERNATIONAL PHOTO DRONE AWARDS 2022
Il Photo Drone Awards è uno dei principali concorsi fotografici al mondo incentrato sulla fotografia con i droni. Un concorso fotografico online internazionale che mette in luce le capacità di questi droni o quadricotteri all’interno del campo fotografico.
Per evidenziare il più possibile le diverse capacità di questi strumenti fotografici, abbiamo selezionato 5 categorie che, crediamo, rappresentino fedelmente le loro capacità:
AMBIENTE / URBANO / ASTRATTO / SERIE
Le quattro categorie di questi International PHOTO DRONE AWARDS 2022 sono progettate per consentirti di dare il meglio di te in questo concorso fotografico e di rifletterlo nel tuo lavoro.
Il Photo Drone Awards è uno dei principali concorsi fotografici al mondo incentrato sulla fotografia con i droni. Un concorso fotografico online internazionale che mette in luce le capacità di questi droni o quadricotteri all’interno del campo fotografico.
Con una lunga tradizione, Milvus Photocontest è il più importante concorso di fotografia naturalistica in Romania, che espone fotografi e immagini straordinari durante le sue precedenti 13 edizioni annuali. È aperto a fotografi amatoriali e professionisti di tutto il mondo.
Handbali Magazine invita artisti e collettivi a presentare un progetto documentario che metta in risalto gli spazi naturali o urbani, così come l’interazione tra la natura e gli esseri umani, per comporre la sesta pubblicazione di questa rivista di fotografia emergente.
Aperto a partecipanti di qualsiasi età e nazionalità, con progetti completati o in via di sviluppo. I partecipanti devono impegnarsi, nel caso in cui non abbiano presentato un progetto completo, a ultimarlo entro la data di pubblicazione della rivista. Può essere presentato gratuitamente un solo progetto per partecipante o gruppo.
La selezione sarà effettuata dall’organizzazione Handbali Magazine tra tutte le proposte pervenute, privilegiando opere di qualità e con uno sviluppo più vicino alla pubblicazione. Le opere non selezionate verranno messe in lista d’attesa in caso di abbandono della lista. Le proposte saranno valutate dal team e dall’organizzazione che compongono Handbali Magazine e le loro decisioni saranno insindacabili. Cinque (5) progetti completi saranno selezionati per la futura pubblicazione in stampa e dieci (10) progetti finalisti. Una singola fotografia di ciascuno dei progetti finalisti sarà scelta per la pubblicazione in stampa.
2023 INTERNATIONAL PHOTOGRAPHY COMPETITION FMOPA X TPA
Il Florida Museum of Photographic Arts invita fotografi di tutti i livelli a partecipare a un concorso fotografico mondiale, sponsorizzato dall’aeroporto internazionale di Tampa. I vincitori sono selezionati da una giuria di 10 esperti. Le opere vincitrici verranno comunicate entro l’8 maggio 2023. Le opere migliori saranno esposte all’aeroporto internazionale di Tampa dal 12 giugno al 18 agosto 2023. Per celebrare questa collaborazione, FMoPA sta introducendo una nuova categoria di concorso, Fotografia di viaggi in aereo/aereo. Le immagini saranno giudicate in base all’originalità, all’eccellenza tecnica, alla composizione, all’impatto complessivo, al merito artistico e come altrimenti stabilito dalla giuria. Ci sono 8 categorie in cui candidarsi:
Persone/Ritratti Luoghi/Paesaggio Natura/Scienza/Animali Documentazione/Fotogiornalismo Natura morta Fotografia astratta Fotografia concettuale Fotografia di viaggi in aereo/aereo
Il potere della fotografia come strumento per la narrazione risiede nella sua capacità di trasmettere l’impressione che l’immagine catturata all’interno dell’inquadratura sia una rappresentazione accurata di un momento specifico nel tempo. Tuttavia, ogni narrazione è intrinsecamente limitata dall’inclusione ed esclusione selettiva di alcuni elementi. Questo è un aspetto cruciale della narrazione fotografica; non si tratta solo di ciò che viene presentato all’interno della cornice, ma anche di ciò che viene lasciato fuori dalla cornice – e lasciato all’immaginazione dello spettatore – garantendo libertà interpretativa (o licenza poetica) sia al creatore che allo spettatore.
Praxis Gallery cerca la presentazione di arte fotografica che esplori lo sviluppo di narrazioni visive attraverso una lente poetica. Le storie possono assumere qualsiasi forma che va dalle rappresentazioni letterali alla fantasia o finzione, possono essere complesse o minimaliste nell’approccio. Tutti i generi, i tipi di acquisizione, i processi di post-produzione fotografica e digitale in bianco e nero ea colori, tradizionali e non tradizionali sono i benvenuti.
“Se il mondo fosse chiaro, l’arte non esisterebbe.” – Albert Camus. Mentre il termine si riferisce comunemente a una sorta di situazione arida e ironica, The Absurd ha una ricca tradizione filosofica più strettamente associata agli scritti di Albert Camus. Nel suo saggio The Myth of Sisyphus, Camus dice che “bisogna immaginare Sisyphus felice”, ma questo non è un compito semplice. Che cosa dobbiamo fare con la questione del significato della vita, soprattutto di fronte alla sua infinita irresponsabilità? Nei tempi moderni, sperimentiamo echi del ciclo in cui è bloccato Sisifo, dall’eterno ciclo di guerra, pestilenza e morte; come trovi uno scopo e sfuggi alle ripetizioni della realtà in cui il significato sfugge alla nostra presa e l’Assurdo è tutto ciò che rimane?
L’acclamatissimo ND AWARDS è un crogiolo di alcune delle anime più straordinarie e talentuose del mondo nel campo della fotografia, dove il riconoscimento, il prestigio e la pubblicità vengono istantaneamente guadagnati dal vincitore. Questo è un invito aperto. Unisciti a noi e partecipa al concorso!
Gli ultimi due anni sono stati un’evidente testimonianza del successo di ND AWARDS nel suo viaggio per diventare una delle competizioni professionali più ambite tra i fotografi. Il nostro marchio di fabbrica è l’approccio moderno alla fotografia unito al rispetto per la tradizione. Nello spirito della reciprocità, a ND AWARDS, i nostri partecipanti sono al centro della competizione in quanto questo ente premiante non può esistere senza i suoi partecipanti. Questi ultimi sono altrettanto importanti per noi quanto noi lo siamo per loro. Allo stesso modo, illuminiamo il percorso verso lo sviluppo mentre continuiamo a scoprire, ispirare e scoprire la promozione dei brani per i migliori artisti.
Saggio per il futuro: Considerare il presente come immaginiamo e costruire insieme il futuro.
Per la 33a edizione di Encontros da Imagem, desideriamo esplorare le sfide che il mondo continua a sperimentare e mantenere le conversazioni necessarie su temi come la rappresentazione, l’inclusione, la sostenibilità ambientale, la politica della vita quotidiana e il potere del cambiamento detenuto dai movimenti sociali. C’è un urgente bisogno di fermarsi ad ascoltare. Mentre la democrazia si indebolisce e gli estremisti guadagnano terreno nella frenesia della vita sia virtuale che reale, vogliamo fare un passo indietro e pensare a nuove forme di organizzazione, modi di vita e creazione.
EARTH.ORG GLOBAL WILDLIFE & NATURAL WORLD COMPETITION 2023
Il nostro concorso fotografico sulla natura e la fauna selvatica 2023 è ora aperto per le candidature. Come dice il proverbio: “un’immagine vale più di mille parole”. Noi di Earth.Org crediamo fermamente che la fotografia e le immagini abbiano il potere di ispirare, educare e galvanizzare l’azione per proteggere e preservare la nostra casa e il nostro pianeta. Il nostro Global Wildlife & Natural World Photography Competition 2022 ha visto più di 500 fotografi di talento provenienti da oltre 60 paesi presentare il loro lavoro, i quali condividono la passione per l’ambiente, scoprendo la bellezza naturale del nostro pianeta e mettendo in evidenza il nostro pianeta in evoluzione e l’impatto delle attività umane.
Ribbet, la piattaforma di fotoritocco scelta da oltre 2 milioni di creativi in tutto il mondo, ha lanciato la prima stagione del suo nuovo concorso annuale Ribbet Emerging Photographer. Con una giuria composta da fotografi di fama mondiale e migliaia di dollari in premi in denaro offerti, i fotografi emergenti e dilettanti sono incoraggiati a inviare immagini che si adattino al tema ufficiale di quest’anno: “Non c’è niente di simile”. Le iscrizioni si chiudono il 30 aprile.
I fotografi sono invitati a cercare cose piccole e belle intorno a loro. “Non c’è niente di simile” si riferisce a quei momenti che sono unici per ognuno di noi e che, in un ambiente affollato e frenetico, portano felicità e calma.
La partecipazione al Concorso è aperta a tutti i soci (chi non lo è, può associarsi contestualmente all’iscrizione al concorso): fotografi professionisti, appassionati, fotografi emergenti, autodidatti di qualsiasi nazionalità e sesso. Il Concorso incoraggia la partecipazione di artisti di ogni livello senza limiti di età.
In occasione del 10° anno di LIVORNO ARTISTICA, abbiamo pensato ad una edizione speciale del LAPA. Quest’anno i partecipanti potranno inviare una foto a tema libero. Vi invitiamo a inviarci la vostra o le vostre foto che ritenete più belle, più riuscite, che ritenete meritino di partecipare e magari vincere ad un concorso fotografico. Ogni partecipante potrà inviare massimo n.3 foto.
Non c’è da meravigliarsi che l’arte si manifesti attraverso così tanti veicoli. Ispirata da trionfi o cicatrici, risate o lacrime, l’arte è tanto varia quanto le esperienze che la informano. Questa realtà è stata il catalizzatore della concezione di PhotoVogue dodici anni fa. Come piattaforma preminente che abbraccia vari mezzi visivi e come comunità creativa in cui chiunque, da qualsiasi luogo, può esprimersi, PhotoVogue cura un pool di creatori di immagini diversificati a livello internazionale che spingono i confini ed eleva le storie più interessanti condivise attraverso la fotografia contemporanea.
Come la fotografia, la moda è stata a lungo una tela bianca per l’espressione di sé ampia quanto le persone che la indossano. Ciò è particolarmente vero per Levi’s® 501®, il jeans che è stato vissuto e indossato in tutto il mondo, trascendendo confini, culture, lingue e generazioni.
Ecco perché, per celebrare i 150 anni della 501® e in onore dello spirito condiviso di espressione di sé e delle esperienze vissute, PhotoVogue e Levi’s® stanno collaborando per un invito aperto globale ai narratori visivi emergenti. Spesso sono i momenti quotidiani che hanno un impatto inaspettato e duraturo.
Come l’uniforme vissuta condivisa da milioni di changemaker, icone e originali, il blue jean originale è stato una parte fondamentale delle nostre storie in continua evoluzione. Your Greatest Story Ever Worn chiede alla talentuosa community di artisti visivi di PhotoVogue di condividere cosa significa per loro il jeans 501®.
Le candidature saranno valutate da cinque stimati giurati, tutti esperti a pieno titolo della comunità internazionale della moda e della fotografia.
N.B.: Vi ricordiamo come sempre di prestare attenzione prima di candidarvi ai premi. I concorsi da noi pubblicati sono frutto di ricerche su internet e anche se i dati inseriti sono stati selezionati, restano di carattere indicativo e pertanto sta a voi verificare con attenzione i contenuti e i regolamenti prima di partecipare ai premi. Ci scusiamo per eventuali errori di traduzione e trascrizione dei contenuti.
Provateci e in bocca al lupo !
Annalisa
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Per oltre vent’anni Mauro Fiorese ha documentato luoghi e situazioni al limite tra reale e immaginario. Ciò che lo ha spinto in quest’indagine è stata la necessità di andare oltre le informazioni visive in cui ci imbattiamo ogni giorno per scoprire, tramite la fotografia, nuove realtà.
Dopo un lungo periodo di ricerca iconografica, condotto sia su archivi amatoriali on-line che in archivi di Stato recentemente resi pubblici, l’autore ha intrapreso innumerevoli viaggi in remote località del nostro Pianeta con l’intento di produrre il primo archivio ufficiale di Soggetti Fotografici non Identificati (U.Pho.S.).
Le fotografie di Fiorese ci parlano contemporaneamente di presenza e di assenza: il soggetto fotografato è reale, in quanto esistente dinnanzi al fotografo nel momento dello scatto, ma rimane sempre e misteriosamente difficile da identificare. Si tratta infatti spesso di oggetti lontani dal nostro quotidiano oppure di oggetti comuni che, decontestualizzati, subiscono una trasfigurazione suggerendoci sensazioni inquietanti.
L’opera finale assume il significato di “prova fotografica”, in un’accezione quasi scientifica del termine, chiamata a testimoniare un momento solo cronologicamente e geograficamente definito.
Mauro Fiorese è stato autore e docente di fotografia per oltre vent’anni, ha tenuto corsi presso l’Accademia di Belle Arti e l’Università degli Studi di Verona, allʼIstituto Europeo di Design di Milano e alla University of Illinois at Urbana-Champaign. I suoi lavori sono stati premiati ed esposti dal 1996 negli Stati Uniti, in Giappone, Canada, ed Europa, in gallerie private, istituzioni pubbliche, festival e rassegne internazionali inclusa la 54esima Biennale di Venezia. Le sue opere fanno parte di collezioni private e pubbliche internazionali (Museum of Fine Arts di Houston, Texas, Bibliothèque nationale de France di Parigi, Museo di Fotografia Contemporanea di Milano). Negli Stati Uniti è stato inserito nella TOP 100 World Photographers list dellʼedizione 1997 dellʼErnst Haas/Golden Light Award e, nel 2012, ha esposto presso la George Eastman House di Rochester (New York), il primo e più importante museo americano dedicato alla Fotografia e al Cinema. Ha organizzato diversi incontri sulla fotografia dʼautore e ha curato mostre di alcuni tra i più grandi maestri della fotografia contemporanea presso il Centro Internazionale di Fotografia “Scavi Scaligeri” del Comune di Verona. Il suo progetto U.Pho.S. Unidentified Photographic Subject, è stato incluso nel libro “Dalla Fotografia d’Arte all’Arte della Fotografia” edito da ALINARI 24Ore ed esposto nel 2014 in occasione della 3.a Quadriennale di Düsseldorf. Nel 2015 e 2016 tre nuovi traguardi: uno scatto del progetto Treasure Rooms si aggiudica il primo premio di Codice Mia, assegnato da una giuria internazionale; mentre nell’ambito di ArtVerona la Fondazione Domus acquisce Depositi della Galleria degli Uffizi – Firenze, 2014 e la Galleria d’Arte Moderna Achille Forti, con l’istituzione del Premio “Ottella For GAM”, un lavoro dal titolo Treasure Rooms degli Scavi di Pompei – Napoli 2015. A gennaio 2016 è stato invitato come Cultural Leader al World Economic Forum di Davos. Si spegne per una malattia nella sua Verona a soli 46 anni nel dicembre 2016. Sulla sua vita è in lavorazione un docu-film.
Dima Gavrysh, nato a Kiev, Ucraina nel 1978, è un visual artist che ha scelto come mezzo per esprimersi la fotografia. Questa grande passione che ormai coltiva da più di due decenni lo ha portato da Detroit a Kabul e dalla Crimea alla Patagonia. Attualmente risiede a Portland, Oregon.
Dopo essersi laureato a Kiev nel 2000 come Director of Photography in Motion Picture Imaging, Master che, come lui afferma, gli ha insegnato a vedere fotograficamente, nel 2012 ha conseguito un secondo Master of Fine Arts presso la Rhode Island School of Design che lo ha aiutato a liberarsi del confinamento bidimensionale del frame e gli ha permesso di sviluppare il suo pensiero come autore e documentarista.[1]
A partire dal 1998 ha iniziato a collaborare con diverse testate ed agenzie in tutto il mondo. Inoltre ha lavorato a molti progetti in collaborazione con Medici Senza Frontiere ed il Fondo delle Nazioni Unite in Uganda, Senegal e Niger. Dal 2009 ha iniziato a lavorare ad un progetto che si proponeva di documentare la Guerra americana in Afghanistan per mezzo di video-installazioni, fotografie e dati concreti. Questo lavoro, Inshallah, prese la forma di un libro fotografico e venne pubblicato nel 2015 da Kehrer Verlag.[2]
In Inshallah, che in arabo significa “Se dio vuole”, Dima Gavrysh documenta l’occupazione dell’Afghanistan da parte dell’esercito Sovietico ed Americano. L’autore, cresciuto nell’ex Unione Sovietica, è sempre stato esposto ad una presentazione idealizzata ed eroica della guerra, ideologia che trovava conferma nei numerosi ricordi della Seconda Guerra Mondiale che poteva osservare in film eroici, monumenti e celebrazioni annuali della vittoria. Una volta trasferitosi nel 2004 negli Stati Uniti ebbe modo di ritrovare in questa nuova terra un paese che aveva un complesso rapporto culturale con la guerra, così come lo aveva il suo paese nativo. Questo lavoro, Inshallah, si forma per mezzo di una visione molto personale dell’autore per quanto riguarda la guerra: qui intreccia tra di loro scene del fronte con ricordi dell’infanzia, fantasmi, sogni ed esperienze interculturali.[3]
Nel 2009, Dima Gavrysh, fu mandato per conto della Associated Press in Afghanistan al fianco dell’esercito degli Stati Uniti. Il lavoro è stato realizzato con immagini scattate con il suo iPhone, prediligendo il bianco e nero. La decisione di non usare la sua macchina fotografica lo ha aiutato nel prendere le distanze dalla sua routine di fotografia documentarista e a trovare il giusto modo per unire il reportage diretto della guerra cruda e la sua interpretazione personale. Molte immagini fanno capire come il fotografo abbia preferito immortalare frammenti di vita che normalmente non assoceremmo a una zona di conflitto. Grazie al sapiente uso di schemi, di ombre e di fughe di luce Dima Gavrysh costruisce un racconto sensibile ed introspettivo.
“I create a dark fairytale filled with my fears and dreams, based on my fascination with the army’s strength and order, set on the front lines of what has become America’s longest running war in history. Mesmerized by the complexity of the Afghan chaos, I strive to better comprehend my personal relationship to these wars: two empires, two mentalities, same battlefield, twelve years apart.”[4]
[4] Creo una favola oscura piena delle mie paure e dei miei sogni, basata sul mio fascino per la forza e l’ordine dell’esercito, in prima linea in quella che è diventata la guerra più lunga d’America nella storia. Ipnotizzato dalla complessità del caos afghano, mi sforzo di comprendere meglio il mio rapporto personale con queste guerre: due imperi, due mentalità, stesso campo di battaglia, a dodici anni di distanza.
La mostra Man Ray. Opere 1912-1975 rende omaggio al lavoro del grande maestro Emmanuel Radnitzky, in arte Man Ray, nato a Filadelfia nel 1890 e morto a Parigi nel 1976, passato alla storia come uno dei più grandi fotografi del secolo scorso, ma anche straordinario pittore, scultore e regista d’avanguardia.
Il progetto è firmato Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura di Genova e Suazes, impresa culturale e creativa con la quale Fondazione è alla sua quinta collaborazione.
La mostra – curata da Walter Guadagnini e Giangavino Pazzola – raccoglie circa 340 pezzi, fra fotografie, disegni, dipinti, sculture e film: il percorso espositivo è, per la qualità delle opere e per la loro provenienza da importanti collezioni nazionali e internazionali, un appuntamento imperdibile per tutti coloro che desiderano immergersi nel fecondo periodo delle avanguardie di inizio Novecento e nella creatività di uno dei protagonisti assoluti di quella stagione, attivo poi anche nella seconda metà del secolo.
La volontà dell’artista di rompere gli schemi e creare nuove estetiche, unita all’ironia e alla sensualità che permeano ogni sua opera, sono gli elementi che ne hanno ispirato e caratterizzato la poetica. Lo stesso Man Ray racconta nella sua autobiografia del carico di «entusiasmo a ogni nuova direzione imboccata dalla mia fantasia, e con l’aiuto dello spirito di contraddizione progettavo nuove escursioni nell’ignoto».
La mostra di Palazzo Ducale si articola in sezioni che ne ripercorrono cronologicamente la biografia, dai suoi esordi nella New York di inizi Novecento, passando per la Parigi delle avanguardie storiche tra anni Venti e Trenta, fino a giungere agli ultimi anni della sua carriera e della vita, trascorsi tra gli Stati Uniti e Parigi. Un viaggio che comincia – nella prima sezione – con una serie di autoritratti dell’artista, nei quali già si ritrova quell’idea di corpo che sarà centrale in tutta la sua produzione; autoritratti fotografici, tra cui quello celeberrimo con la barba tagliata a metà, ma anche calchi dorati, maschere, in una continua rappresentazione di sé e della propria ambigua e sempre mutante identità. Ad essi si affiancano alcuni ritratti di Man Ray realizzati da grandi protagonisti dell’arte della seconda metà del Novecento come Andy Warhol (una splendida tela e una preziosa serigrafia), David Hockney e Giulio Paolini, a dimostrazione del rispetto e della considerazione di cui Man Ray ha sempre goduto nell’ambiente artistico. La seconda sezione della mostra – “New York” – racconta il rapporto con la metropoli americana, dove l’artista tiene la sua prima personale alla Daniel Gallery nel 1915. In questo periodo realizza alcuni dei suoi primi capolavori, come i collages della serie Revolving Doors esposti in mostra, e le due versioni della scultura By Itself. È la stagione del Dada americano, che Man Ray vive da protagonista assieme a colui che sarà prima il suo mentore e poi l’amico e complice artistico di una vita, Marcel Duchamp, autentico faro dell’avanguardia mondiale nella prima metà del Novecento.
È proprio questo rapporto creativo con Marcel Duchamp a costituire la terza sezione della mostra genovese. Qui si trovano due autentiche icone dell’arte del XX secolo come La tonsure e Elevage de poussiére (entrambe realizzate nel 1921), fotografie che rimettono in discussione l’idea stessa di ritratto e di realtà, là dove la superficie impolverata di un vetro diventa un paesaggio alieno, futuribile.
La sezione che segue è dedicata a Parigi e alla “scoperta della luce”. Man Ray giunge nella capitale francese nel 1921, accolto dallo stesso Duchamp e dall’intera comunità dadaista: il racconto degli Anni Venti e Trenta e dell’evasione dell’artista dalle abitudini e dalle convenzioni sociali americane viene sviluppato interamente attraverso la fotografia, tecnica alla quale Man Ray deve la parte più consistente della sua fama. A Parigi tiene una personale alla Librairie Six di Parigi e l’anno dopo pubblica i primi Rayographs, le immagini fotografiche ottenute senza la macchina fotografica che saranno accolte con entusiasmo dalla comunità artistica parigina. Una comunità che vive, tra Dadaismo e Surrealismo, la sua stagione d’oro negli anni Venti e Trenta, e di cui Man Ray è insieme protagonista e testimone.
Proprio in questa sezione sono esposte le immagini dei personaggi che animavano il contesto culturale dell’epoca, che diventano protagoniste di alcuni dei capolavori assoluti dell’artista. Ad esempio, la leggendaria modella Kiki De Montparnasse (soggetto di una delle icone più celebri del XX secolo, Le Violon d’Ingres, esposto in mostra), oppure Lee Miller (assistente, compagna, musa ispiratrice e a sua volta grande fotografa, protagonista e complice di alcuni degli scatti più celebri di Man Ray), Meret Oppenheim e Nush Eluard, o artisti e intellettuali come Erik Satie, Antonin Artaud e Georges Braque. Nella “Ville Lumière”, Man Ray decide infatti di dedicarsi alla fotografia anche come professione, trovando uno studio, relazioni e strumenti propri per sostentarsi economicamente e instaurare legami di committenza con il mondo della moda, dell’arte e della cultura. È così che l’artista diventa il narratore per immagini di una delle stagioni più ricche di fascino della cultura del XX secolo, il ritrattista di un mondo irripetibile. La mostra prosegue con le sezioni “Corpo surrealista” e “Corpo, ritratto e nudo”. Temi fondamentali e ricorrenti nella ricerca visiva di Man Ray sono quelli del corpo e della sensualità, che nel periodo surrealista diventano il centro della sua ispirazione, come dimostrano alcune delle immagini più note dell’artista esposte in questa occasione: le fotografie come Larmes, La Prière, Blanche et Noire, dipinti e grafiche come A l’heure de l’observatoire – Les Amoureux, con le labbra di Lee Miller ingigantite che volano sopra il paesaggio, un’altra delle grandi icone inventate da Man Ray nella sua carriera, per giungere a una scultura come Venus restaurée, ironica e geniale riflessione sulla classicità. Unpunto cardine nella storia del movimento è l’Exposition Internationale du Surréalisme del 1938, illustrata all’interno del percorso espositivo dalla serie fotografica Resurrection des mannequins(1938), e da numerosi prodotti editoriali creati a più mani per raccontare le varie modalità di rappresentare questa rivoluzione culturale e le intersezioni dell’avanguardia con il mondo reale. Nella serie Mode au Congo (1937), ad esempio, i copricapi centrafricani acquistati da Man Ray all’Esposizione coloniale di Parigi del 1931 sono sfoggiati come haute coutureda modelle femminili, tra cui la compagna dell’epoca Ady Fidelin. In questa sezione sono mostrate anche altre opere fotografiche come i ritratti di Meret Oppenheim al torchio da Louis Marcoussis e Models (1937), nucleo di lavori che presenta una raccolta quotidiana di fotografie di modelle e artiste che Man Ray aveva frequentato durante il primo periodo parigino, espressione di come l’erotismo e l’amore libero rappresentino non solo uno dei ricordi più intimi dell’autore ma anche uno dei motori propulsori della sua creatività. Il 1940 segna l’anno del ritorno di Man Ray in America – prima a New York e successivamente a Los Angeles –, un ritorno causato dall’impossibilità di vivere nella Parigi occupata dai nazisti. Nella sezione “Los Angeles/Paris” vengono indagati gli anni in cui l’artista preferisce rimanere ai margini della scena e lavorare in ritiro solitario, dedicandosi in particolare alla sua prima grande passione, la pittura. Allo stesso tempo, sono tempi segnati dalla relazione con la ballerina e modella Juliet Browner, musa della sua vita e protagonista della meravigliosa serie fotografica 50 Faces of Juliet, realizzata tra il 1941 e il 1955. Si tratta di cinquanta ritratti della donna realizzati con diverse tecniche e stili, spaziando tra i vari registri per esplorare le possibilità creative offerte dalla fotografia. Continua comunque in questi anni anche la realizzazione di nuovi ready made, così come possibile vedere ad esempio in Mr Knife and Miss Fork (1944-1973).
La sezione finale della mostra vede Man Ray attivo nuovamente a Parigi e in Europa, dove si consolida la sua fama di maestro dell’arte delle avanguardie. È una sorta di revisione, rilettura e aggiornamento del proprio percorso, rappresentata in mostra dagli splendidi dipinti Decanter (1942) e Corps à Corps (1952), da ready made come Pêchage (1972) e Pomme à vis (1973). La mostra si chiude dunque come era cominciata, con un maestro della luce che continua a reinventare il mondo attraverso l’arte, con infinita ironia e intelligenza.
La mostra evidenzia l’originalità, le innovazioni e i contributi dell’artista nell’evoluzione e nell’ideazione anche del cinema d’avanguardia, con pellicole storiche proiettate in un ambiente autonomo quali – tra le altre – Le Retour à la raison (1923), Emak Bakia (1926), L’Étoile de mer (1928) e Les Mystères du château du dé (1929).
Dal 11 Marzo 2023 al 09 Luglio 2023 – Palazzo Ducale – GENOVA
Elliott Erwitt, il grande autore che ha fatto la storia fotografica del nostro secolo, con il suo stile unico, potente e leggero, romantico o leggermente ironico, affronta in modo trasversale il tema della Famiglia.
La curatrice della mostra, la Dottoressa Biba Giacchetti, ha chiesto a uno dei più importanti maestri della fotografia di creare un album personale e pubblico, storico e contemporaneo, serissimo e al contempo ironico: è nata così “Elliott Erwitt – FAMILY”.
Alla Palazzina di Caccia di Stupinigi le fotografie che nella lunghissima carriera di Erwitt – oggi 94enne – meglio hanno descritto e rappresentato tutte le sfaccettature del concetto così inesprimibile e totalizzante dell’essere famiglia. Niente è infatti più assoluto e relativo, mutevole, universale e altrettanto particolare come il tema della famiglia, che ha a che fare con la genetica, il sociale, il diritto, la sicurezza, la protezione e l’abuso, la felicità e la tristezza. Mai come oggi la famiglia è tutto e il suo contrario.
Gli scatti esposti in mostra nelle antiche cucine della Palazzina di Caccia di Stuinigi sono stati selezionati da Erwitt in persona e raccontano trasversalmente settant’anni di storia della famiglia e delle sue infinite sfaccettature intime e sociali.
Si offrono indifferentemente all’osservatore istanti di vita dei potenti della terra, come Jackie al funerale di JFK, accanto a scene intime come la madre che osserva rapita la neonata, che poi è Ellen, la primogenita del fotografo.
Scorci rigorosamente in bianco e nero da tutto il mondo. Dalla Provenza, in Francia, un adulto che porta con sé un bambino, in bicicletta, su un viale alberato che pare non avere fine, un’immagine celebre e tanto amata. Dall’Irlanda due anziani, di spalle, si godono la brezza del mare, curvati e appesantiti dall’età, ma insieme. Dalla Cina un bimbo aiuta la sua mamma a spingere un carrellino pieno di povere cose. Dagli Stati Uniti la protagonista del manifesto della mostra: un’elegante signora, vestita con soprabito e stivali alti, raffigurata mentre porta a passeggio un buffo e minuscolo cagnolino da una parte e un altrettanto imponente cane dall’altra; la celebre immagine iconica di Erwitt: Felix Gladys and Rover.
La cifra di Erwitt si esprime in questa mostra con un ritmo esilarante eppure profondo su un tema che certamente ha avuto un’importanza determinante nella sua vita personale, visti i quattro matrimoni, i sei figli e un numero di nipoti e pronipoti tutt’ora in divenire.
Come sempre Elliott Erwitt – spiega Biba Giacchetti “è voluto uscire dai canoni classici e sviluppare il concetto di famiglia in modo libero e provocatorio. Immagini romantiche si alternano a immagini di denuncia (come quella del Ku Klux Klan), fino alla ben nota ironia che vuole assolvere chi elegge a membro prediletto della propria famiglia l’animale più amato, che sia un cane, un maiale o un cavallo, e celebrare così con serietà e sorriso, il sentimento universale che ci lega a chi amiamo”.
Dal 04 Marzo 2023 al 11 Giugno 2023 – Palazzina di Caccia di Stupinigi – Nichelino (TO)
David LaChapelle per Giacomo Ceruti. Nomad in a Beautiful Land è una mostra fotografica originale, che presenta un’opera inedita eseguita dal celebre artista americano per Brescia e ispirata alla produzione pauperistica di Giacomo Ceruti. La Pinacoteca Tosio Martinengo, il museo che conserva il più alto numero di opere di Ceruti nel mondo, ospiterà questo scatto per narrare, attraverso un linguaggio nuovo e contemporaneo, le sale solitamente dedicate al pittore degli ultimi. Insieme alla serie Jesus is my homeboy (2003), la nuova fotografia di LaChapelle si insinuerà tra le fitte pieghe del presente, per fornirne un’interpretazione attenta e consapevole della marginalità: un’ode alla decadenza sociale.
Giocando con una smaccata ambivalenza di linguaggi, la mostra si pone l’obiettivo di strutturare un’architettura espositiva e itinerante, nella quale l’universo classico di Giacomo Ceruti incontra l’immaginario di David LaChapelle, in una sinergia museale tra Fondazione Brescia Musei e il Getty Center che vedrà le opere pauperistiche di Ceruti approdare a Los Angeles. Questa coinvolgente sfida, al contempo, farà arrivare presso la Pinacoteca Tosio Martinengo la serie Jesus is my homeboy (2003), accompagnata dalla nuovissima opera Gated Community di LaChapelle. Arte classica e fotografia si aprono al dialogo, mettendo in campo le loro differenze formali allo scopo di scuotere una contemporaneità afflitta dall’aridità relazionale. Gated Community, scattata a Los Angels nel mese di dicembre 2022, rappresenta una messa in scena ideologica del sacro e del profano, in cui una lunghissima tendopoli, rifugio dei senzatetto, affolla i marciapiedi della città, colorandosi di opulenza hollywoodiana.
Dal 14 Febbraio 2023 al 10 Novembre 2023 – Museo di Santa Giulia – BRESCIA
La celebre fotografa americana Eve Arnold, che ha stretto con Marilyn Monroe un vero e proprio sodalizio artistico grazie al quale sono nati alcuni dei suoi scatti più iconici, è la protagonista della prima mostra del 2023 a CAMERA, che si aprirà a fine febbraio.
Prima donna, insieme a Inge Morath, a far parte dal 1951 dell’Agenzia Magnum, Eve Arnold ha fotografato le grandi star del cinema e dello spettacolo del dopoguerra, da Marlene Dietrich a Joan Crawford a Orson Welles, ma ha anche affrontato temi e questioni assolutamente centrali nel dibattito pubblico attuale, come la questione del razzismo negli Stati Uniti, l’emancipazione femminile, l’interazione fra le differenti culture del mondo. Tra le sue immagini più note si ricorda non a caso uno straordinario ritratto di Malcom X, che sarà esposto in mostra insieme ad altri scatti realizzati ad Harlem negli anni Cinquanta e ai raduni dei Black Muslims negli anni Sessanta. L’esposizione, composta da 170 fotografie, è realizzata in collaborazione con Magnum Photos.
Ripercorrendo le tappe salienti della sua carriera, a partire dai primi scatti in bianco e nero della New York degli anni Cinquanta fino agli ultimi lavori a colori realizzati all’età di 85 anni, la mostra vuole raccontarne l’«appassionato approccio personale», come lei stessa più volte definisce il proprio atteggiamento.
Dal 25 Febbraio 2023 al 04 Giugno 2023 – CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia – Torino
RITRATTI AFRICANI. SEYDOU KEÏTA, MALICK SIDIBÉ, SAMUEL FOSSO
Seydou Keïta, Senza titolo, 1949-1951. Stampa alla gelatina ai sali d’argento. Courtesy Jean Pigozzi African Art Collection
Ormai celebrati in tutto il mondo fra i protagonisti della fotografia dell’ultimo mezzo secolo, i tre artisti si sono stati scoperti in occidente solo in anni recenti e le loro storie personali hanno contribuito a rendere ancora più affascinanti le loro opere.
L’esposizione, prodotta e organizzata da ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia, presenta per la prima volta in Italia un’importante selezione di più di cento opere dei tre fotografi, messe a disposizione dalla C.A.A.C. The Contemporary African Art Collection di Ginevra, dalla Galleria Jean Marc Patras di Parigi, dalla Fondazione Modena Arti Visive e da numerosi prestatori privati.
Seydou Keïta e Malik Sidibé nascono da famiglie modeste e iniziano la propria carriera in piccoli studi fotografici nella capitale del Mali, Bamako. Davanti al loro obiettivo sfilano i propri concittadini, in anni cruciali per la storia del Paese e dell’Africa. Essi immortalano con abilità straordinaria non solo una eccezionale galleria di volti e di figure, ma soprattutto catturano le aspirazioni, le mode, l’evoluzione di una società che a partire dagli anni Cinquanta muta rapidamente sia in conseguenza della riconquistata indipendenza politica del Mali nel 1960, ma anche del desiderio dei giovani africani di stare al passo con i propri coetanei europei.
Di una generazione successiva a quella di Keïta e Sidibé, Samuel Fosso riparte da dove gli altri avevano lasciato. Anche lui inizia la propria carriera in un piccolo studio fotografico senza l’ambizione di essere artista, ma la sua opera, che al bianco e nero alterna il colore, non si compone come quella di Keïta e Sidibé di ritratti di altri. Fosso inizia quasi per gioco a ritrarre sé stesso, e il suo lavoro si sviluppa attraverso autoritratti in cui egli interpreta ironicamente gli stereotipi dell’Africa vista con gli occhi dell’Occidente o in cui reincarna, a partire da Malcolm X, le figure simbolo dell’emancipazione dei neri.
Il percorso si può configurare come una “staffetta”, come lo definisce il curatore Filippo Maggia, che permette di coprire un lungo periodo di storia africana. “Keïta – scrive Maggia – è attivo negli anni che precedono l’indipendenza del Mali (avvenuta nel 1960), Sidibé vive e racconta gli anni immediatamente successivi all’indipendenza, Fosso nasce negli anni in cui diversi Paesi africani raggiungono l’indipendenza. Una staffetta che riscontriamo anche nei contenuti delle loro immagini, come se il filo narrativo tracciato da Keïta alla fine degli anni Quaranta avesse poi trovato un suo percorso evolutivo che corre di pari passo con la progressiva conquista e manifestazione di una consapevole ‘africanità’, segno distintivo che leggiamo nei loro ritratti, che non casualmente divengono autoritratti in Fosso”.
Attraverso il genere del ritratto, che per ragioni storiche, politiche, sociali e religiose è stato quello prediletto da molti fotografi africani, l’esposizione al Magazzino delle idee racconta dunque attraverso immagini di straordinaria bellezza un’Africa di rinascita e di ricerca della propria identità, documentando le aspirazioni sociali dei soggetti fotografati sullo sfondo di una realtà culturale, politica ed economica con caratteristiche e urgenze lontane da quelle occidentali.
Dal 17 Febbraio 2023 al 11 Giugno 2023 – Magazzino delle Idee – Trieste
Il Museo di Palazzo Grimani di Venezia celebra la figura della fotografa Inge Morath (Graz 1923 – New York 2002) con una sezione inedita per l’Italia dedicata alla città lagunare dove la sua carriera ebbe avvio.
E’ stato l’amore a condurre nel novembre del 1951 Inge Morath e Lionel Burch, neo sposi, a Venezia. E sono stati il maltempo in Laguna e Robert Capa, a far diventare lei, che con la fotografia non aveva dimestichezza diretta ma che collaborava già con la celebre agenzia fotografica parigina, la prima donna fotografa dell’Agenzia Magnum Photos.
La mostra che dal 18 gennaio al 4 giugno 2023 si ammirerà al Museo di Palazzo Grimani focalizza la Venezia di Inge Morath, attraverso il celebre reportage che la fotografa austriaca realizzò in Laguna, quando l’Agenzia Magnum la inviò in città per conto de L’Oeil, rivista d’arte che aveva scelto di corredare con scorci veneziani un reportage della mitica Mary McCarthy.
“Inge Morath Fotografare da Venezia in poi” è curata da Kurt Kaidl e Brigitte Blüml, con Valeria Finocchi; promossa dalla Direzione regionale Musei Veneto (direttore Daniele Ferrara) e la società Suazes che, alcuni anni fa, ha fatto conoscere in maniera dettagliata la carriera di questa fotografa in Italia.
All’epoca del primo soggiorno veneziano, la Morath lavorava in Magnum non come fotografa ma come collaboratrice redazionale. In pratica si occupava, anche grazie alla sua conoscenza delle lingue, della realizzazione delle didascalie che accompagnavano le immagini dei suoi colleghi fotografi, del calibro di Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e Robert Capa.
Non fotografava, ma non le mancavano occhio e sensibilità. In quel novembre, la luce di Venezia sotto la pioggia la stregò, tanto da indurla a chiamare Robert Capa, responsabile della Magnum, per suggerirgli di inviare un fotografo in grado di catturare la magia che tanto la stava stupendo. Capa le rispose che un fotografo di Magnum a Venezia c’era già: era lei con la macchina fotografica. Non restava che comprare un rullino, caricarla e iniziare a fotografare.
“Ero tutta eccitata. Sono andata nel luogo in cui volevo scattare le mie fotografie e mi sono fermata: un angolo di strada dove la gente passava in un modo che mi sembrava interessante. Ho regolato la fotocamera e ho premuto il pulsante di scatto non appena ho visto che tutto era esattamente come volevo. È stata come una rivelazione. Realizzare in un istante qualcosa che mi era rimasto dentro per così tanto tempo, catturandolo nel momento in cui aveva assunto la forma che sentivo giusta. Dopo di che, non c’è stato più modo di fermarmi”.
Nel 1955, quattro anni dopo quelle prime fotografie, arriva l’incarico dalla rivista L’Oeil. Una volta a Venezia, avverte l’urgenza di esplorare la città e così “per ore andai in giro senza meta, solo a guardare, ossessionata dalla pura gioia di vedere e scoprire un luogo. Ovviamente avevo divorato libri su Venezia, sulla pittura e su quello che avrei dovuto fare. Il mio cervello ne era pieno… “.
“Il mio divertimento maggiore era quello di sedermi alla Scuola degli Schiavoni ed immergermi nelle opere di Carpaccio, quasi sempre da sola. O passare il tempo in compagnia del Tiepolo, era la fine del mondo. La sera i miei piedi erano stanchi e anche nel sonno mi trovavo ancora a camminare su innumerevoli ponti, le onde dei canali come pietrificate”.
Poi il Cimitero all’Isola di San Michele, Burano, Murano, Torcello, le processioni, il Redentore, i gatti ed i panni stesi, monumento, acqua e la gente comune…
“Come sarei felice di aver catturato con la mia macchina fotografica qualcosa che mi ha commosso, come la donna davanti al cancello del Palazzo Furstenberg con i gomiti piegati dietro la schiena o le scarpe dimenticate davanti a una fontana, la quotidianità in tutto la sua precaria bellezza”.
“Fotografare era diventata per me una necessità e non volevo assolutamente più farne a meno”.
La mostra nel suo complesso raccoglie circa 200 fotografie che avranno un focus specifico e inedito su Venezia anche con il supporto di documentazione inedita. Molte di queste fotografie veneziane, circa un’ottantina, non sono mai state esposte prima in Italia.
A corredo una selezione dei suoi principali reportage fotografici dedicati alla Spagna, Iran, Francia, Inghilterra-Irlanda, Stati Uniti d’America, Cina e Russia, oltre che la sezione dedicata ai ritratti, sezione molto importante nella sua ultima parte di carriera. Un progetto che cade in concomitanza dei cento anni della nascita di Inge Morath (Graz 1923).
Come dichiara Daniele Ferrara, direttore regionale Musei Veneto: “Prosegue il rapporto del Museo di Palazzo Grimani, Istituto statale della Direzione regionale musei Veneto – Ministero della Cultura, con espressioni alte della creatività contemporanea Il concetto è quello di un museo laboratorio, che eredita quella funzione di crogiuolo di esperienze artistiche svolta dal Palazzo tra il Cinque e il Settecento. Successivamente ad “Archinto”, mostra site specific del maestro tedesco Georg Baselitz con opere dialoganti con lo spazio del Palazzo e la sua collezione, il museo ha accolto l’esposizione di importanti artisti italiani del fumetto, “Dopo la fine. Architetture narrative e nuove umanità”. Ora il Museo volge lo sguardo alla fotografia ed è scelta che scaturisce anche dall’impegno congiunto della Direzione Musei Veneto e dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione per lo studio, la tutela e la valorizzazione del patrimonio fotografico”.
Concetti che vengono confermati da Valeria Finocchi, direttrice del Museo di Palazzo Grimani: “Il Museo da alcuni anni è oggetto di un’importante processo di valorizzazione grazie alla fattiva collaborazione pubblico-privato con prestigiose realtà come la Fondazione Venetian Heritage e all’incessante lavoro di costruzione di nuovi contenuti e nuove prospettive di lettura del suo prezioso patrimonio artistico e architettonico, che impegnano lo staff interno e i collaboratori dalla ricerca storico-museologica fino alla progettazione di esperienze di alta divulgazione ed educative. Attraverso il riallestimento di numerosi ambienti del piano nobile, tra cui la celebre Tribuna, nel 2019, e la Sala del Doge, nel 2021, il Palazzo è tornato al centro della scena culturale veneziana e oggi si rivolge a pubblici differenziati, in un rinnovato rapporto con la città stessa grazie a progetti dedicati al recupero del patrimonio immateriale del territorio di riferimento”.
Marco Minuz di Suazes come coorganizzatore del progetto espositivo: “Questa collaborazione con la Direzione museale del Veneto e con il Museo di Palazzo Grimani valorizza un lavoro da noi intrapreso qualche anno fa per far scoprire al nostro paese la figura di questa straordinari fotografa”.
Dal 18 Gennaio 2023 al 04 Giugno 2023 – Museo di Palazzo Grimani – Venezia
Ruth Orkin, Two American Tourists, Rome, Italy, 1956. Modern Print, 2021
Dal 17 marzo al 16 luglio 2023, le Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino ospitano la più vasta antologica mai organizzata in Italia di Ruth Orkin (Boston 1921 – New York 1985), fotoreporter, fotografa e regista statunitense, tra le più rilevanti del XX secolo.
L’esposizione dal titolo RUTH ORKIN. Una nuova scoperta, curata da Anne Morin, organizzata da diChroma, prodotta dalla Società Ares srl con i Musei Reali e il patrocinio del Comune di Torino, riunisce 156 fotografie, la maggior parte delle quali originali, che ripercorrono la traiettoria di una delle personalità più importanti della fotografia del XX secolo, in particolare tra il 1939 e la fine degli anni Sessanta, attraverso alcune opere capitali come VE-Day, Jimmy racconta una storia, American Girl in Italy, uno dei suoi scatti più iconici della storia della fotografia,i ritratti di personalità quali Robert Capa, Albert Einstein, Marlon Brando, Orson Welles, Lauren Bacall, Vittorio De Sica, Woody Allen e altri.
“Come curatore e storico della fotografia – afferma Anne Morin -, mi è sempre sembrato che il lavoro di Ruth Orkin non abbia ricevuto il riconoscimento che merita. Eppure, se questa fotografa ha un destino affascinante, il suo lavoro lo è altrettanto. Questa mostra si propone di rivisitare il lavoro della donna che voleva essere una regista e che, a causa delle circostanze, essendo un mondo cinematografico maschile, ha dovuto trovare il suo posto altrove. Non ha rinunciato al suo sogno, ma lo ha affrontato in modo diverso, creando un linguaggio singolare, estremamente ricco e nuovo attraverso la fotografia. Il lavoro fotografico di Ruth Orkin riguarda le immagini, il cinema, le storie e, in definitiva, la vita. Questa mostra è l’affermazione definitiva del lavoro di questa giovane donna che ha reinventato un altro tipo di fotografia.” “Dopo il grande successo di Vivian Maier – dichiara Edoardo Accattino, Amministratore Ares srl -, portiamo a Torino una nuova mostra, dedicata a Ruth Orkin, fotografa elegante e sofisticata. La più ampia antologia mai realizzata su una delle firme più importanti del XX secolo, la cui opera è ancora oggi poco nota. Per questo, abbiamo voluto creare un percorso coinvolgente che accompagnerà i visitatori a scoprire e conoscere un’artista sensibile, la cui straordinaria opera affascinerà il pubblico torinese”.
“L’esposizione monografica su Ruth Orkin – sostiene Enrica Pagella, Direttrice dei Musei Reali – continua la serie di mostre dedicate alla fotografia quale cifra identitaria delle Sale Chiablese, spazio che i Musei Reali riservano soprattutto alle arti contemporanee e alla riflessione sui mezzi di comunicazione che hanno contribuito a mutare il volto della storia e della società. Dopo Vivian Maier. Inedita e Focus on Future. 14 fotografi per l’Agenda ONU 2030, questa antologica restituisce una riflessione attenta ai diversi linguaggi che hanno condotto l’artista ad accreditarsi e a distinguersi nel panorama della fotografia mondiale, attestando il primato e la visionarietà di uno sguardo ancora da approfondire, fedele alla narrazione di un’epoca in cui l’affermazione di genere era una conquista lontana, anche in ambito artistico”.
La mostra affronta il suo lavoro da una prospettiva completamente nuova, all’incrocio tra l’immagine fissa e l’immagine in movimento. Affascinata dal cinema, Ruth Orkin sognava infatti di diventare una regista, grazie anche all’influenza della madre, Mary Ruby, attrice di film muti, che la portò a frequentare le quinte della Hollywood degli anni Venti e Trenta del Novecento. Nella prima metà del secolo scorso, tuttavia, per una donna la strada per intraprendere questa carriera era disseminata di ostacoli. Ruth Orkin dovette quindi rinunciare al sogno di diventare cineasta o perlomeno dovette reinventarlo e trasformarlo; complice il regalo della sua prima macchina fotografica, una Univex da 39 centesimi, si avvicinò alla fotografia, ma senza mai trascurare il fascino del cinema.
Proprio l’appuntamento mancato con la sua vocazione, la costringerà a inventare un linguaggio alla confluenza tra queste due arti sorelle, tra l’immagine fissa e l’illusione dell’immagine in movimento, un linguaggio che induceva una corrispondenza costante tra due temporalità non parallele. Attraverso un’analisi molto specifica dell’opera di Orkin, la rassegna permette di capire i meccanismi messi in atto per evocare il fantasma del cinema nel suo lavoro. Come avviene nel suo primo Road Movie del 1939, quando attraversò in bicicletta gli Stati Uniti da Los Angeles a New York. In quell’occasione, Ruth Orkin tenne un diario che diventò una sequenza cinematografica, un reportage che raccontava questo viaggio e la cui linearità temporale si svolge in ordine cronologico. Ispirandosi ai taccuini e agli album in cui la madre documentava le riprese dei suoi film, e utilizzando lo stesso tipo di didascalie scritte a mano, l’artista inseriva l’immagine fotografica in una narrazione che riprendeva lo schema della progressione cinematografica, come se le fotografie fossero immagini fisse di un film mai girato e di cui vengono esposte 22 pagine.
Il percorso propone inoltre lavori come I giocatori di carte o Jimmy racconta una storia, del 1947, in cui Ruth Orkin usa la macchina fotografica per filmare, o meglio, per fissare dei momenti, lasciando allo sguardo dello spettatore il compito di comporre la scena e riprodurre il movimento, ma anche le immagini e il film Little fugitive (1953), candidato al Premio Oscar per la migliore storia cinematografica e vincitore del Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia, che racconta la storia di un bambino di sette anni di nome Joey (Richie Andrusco) che fugge a Coney Island dopo essere stato indotto con l’inganno a credere di aver ucciso suo fratello maggiore Lennie e che François Truffaut riteneva di fondamentale importanza per la nascita della Nouvelle vague. Nei primi anni Quaranta, Ruth Orkin si trasferisce a New York, dove diventa membro della Photo League, cooperativa di fotografi newyorkesi, e instaura prestigiose collaborazioni con importanti riviste, tanto da diventare una delle firme femminili del momento. È in questo periodo che realizza alcuni degli scatti più interessanti della sua carriera. Con Dall’alto Orkin cattura perpendicolarmente da una finestra gli avvenimenti che si svolgono per strada, riprendendo alcune persone del tutto ignare di essere oggetto del suo sguardo fotografico: un gruppo di signore che danno da mangiare ai gatti di strada; un padre che, acquistata una fetta di anguria, la porge alla figlia davanti al chiosco del venditore ambulante; due poliziotti che fanno cordone attorno a un materasso logoro abbandonato per strada; due bambine che giocano a farsi volteggiare l’un l’altra; un gruppo di marinai che incedono speditamente e che divengono riconoscibili per i loro cappelli che si stagliano come dischi bianchi sul fondale grigio dell’asfalto. A molti anni di distanza, tornò a questo genere di scatti: da una finestra con vista Central Park, l’artista riproponeva lo stesso gesto e la stessa inquadratura, nelle diverse stagioni, registrando la fisionomia degli alberi, la tonalità delle loro foglie: il soggetto è proprio il tempo e il suo scorrere, sotto forma di una sequenza che parla dell’elasticità del tempo filmico.
La mostra darà poi conto del reportage per la rivista LIFE, realizzato nel 1951 in Israele a seguito della Israeli Philarmonic Orchestra e del viaggio compiuto in Italia, visitando Venezia, Roma e Firenze, città dove incontra Nina Lee Craig, una studentessa americana, alla quale chiede di farle da modella per un servizio volto a narrare per immagini l’esperienza di una donna che viaggia da sola in un paese straniero e che divenne soggetto di American Girl in Italy, una delle sue fotografie più iconiche e più famose della storia della fotografia; la scena che immortala Nina Lee Craig passeggiare per le strade di Firenze tra un gruppo di uomini che ammiccano al suo passaggio, riesce a ispirare a Ruth Orkin la foto-racconto che cercava da tempo.
Dal 17 Marzo 2023 al 16 Luglio 2023 – Musei Reali | Sale Chiablese – Torino
FUORI DAL MONDO Più di venti anni, la voglia di conoscere, lontano da casa. I loro occhi, i miei occhi. Accolto con stupore nelle loro vite, spazio condiviso, cibo condiviso, gioia e tristezza. Ma tu chi sei? Fuori dal mondo loro, o io? o noi? Differenze affascinanti, la natura cambia, il clima cambia. Lasciare la terra dove sei nato, umanità in fuga con i pochi averi tutti in una valligia, a volte in una busta. La guerra. Sangue e merda. Il miraggio di avere un’istruzione, cure mediche. Fotografare come apprezzare e scoprire terre sconosciute. Il mondo ora corre troppo, rimanere più tempo nei luoghi per scoprire una vita vera, un sentimento di comunità che noi abbiamo perso, ritrovare un senso di grande dignità, non di povertà. Volti che non puoi mai dimenticare Marco Palombi
Scatti presentati in grande formato per un site specific incentrato sugli sguardi e sui ritratti di popoli costretti alla fuga dai propri territori per le guerre, per la fame, per la siccità o per calamità naturali, destinati così alla dissoluzione delle loro civiltà. La mostra include anche una serie di foto di piccolo e medio formato a testimonianza di etnie che a breve saranno fuori dal mondo non avendo più futuro.
Marco Palombi, fotoreporter free lance, inviato di Repubblica, La Stampa ed altre testate, dagli anni ’90 del secolo scorso viaggia per raccogliere immagini per i suoi reportage, dove le minoranze etniche, i popoli nomadi e i contrasti tra occidente e oriente diventano il fulcro della sua ricerca fotografica.
Dal 1 al 31 marzo – galleria BiancoContemporaneo – Roma
Alessia Paladini Gallery è lieta di presentare Librarium, fotografie di Fulvio Magurno. Un viaggio nel mondo della lettura e del libro attarverso una suggestiva serie di immagini in bianco e nero, scattate da Fulvio Magurno tra la metà degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta in Europa, Africa, Asia. In queste raffinate fotografie l’oggetto scritto è l’unico soggetto, la fascinazione per la parola scritta emerge in ogni scatto: nelle pagine consumate di un antico volume, nelle pagine fermate da un sasso per impedire alla brezza marina di scompigliarle, nello sguardo assorto di un bambino immerso nella lettura, nei dorsi di volumi celati dal velo di una tenda, scolpite su pietra consumata. Il legame di Fulvio Magurno con la letteratura è ricorrente nel suo processo creativo: sperimentatore, fotografo e sofisticato intellettuale, costantemente alla ricerca di legami interdisciplinari tra le più diverse forme artistiche, Fulvio Magurno sublima nei suoi scatti, al tempo stesso modernissimi e classici, un universo culturale profondo e stimolante. In un momento come quello attuale, dove la “lentezza” della lettura, il gesto di sfogliare un libro, il sentire la consistenza delle pagine tra le dite sembrano appartenere ad un mondo in via d’estinzione, sopraffatto dalla voracità del mondo digitale, Librarium appare come un’oasi di calma e di riflessione. “Un libro, una lettera, una poesia sono parole scritte e parole lette. Librarium di Fulvio Magurno è un viaggio di immagini vicine e lontane (…) per accompagnare chi guarda dentro un mondo fatto di parole, scritte e lette, che riverberano nel bianco e nero della stampa fotogafica, lasciando ben impressa una sensazione di passato che resta immutato. (…) “ (Anna Orlando).
1 marzo – 14 aprile 2023 – Alessia Paladini Gallery – Milano
Le origini del nome del fiume Lambro sono da ricercare nella parola greca λαμπρως (lampròs) che significa limpido, lucente e anche un vecchio detto in dialetto milanese recita “ciar com’el Làmber”, cioè limpido come il Lambro.
l fiume Lambro nasce in provincia di Como e lungo il suo corso attraversa la Lombardia da nord a sud, attraversando 52 comuni, toccando sei province e percorrendo silenziosamente tutta la periferia orientale della città di Milano, per poi sfociare nel Po poco a sud di Lodi, con un percorso di 130km.
Purtroppo il Lambro è noto per essere tutt’altro che limpido, è infatti uno dei grandi fiumi italiani che più ha risentito della pesantissima industrializzazione avvenuta sulle sue rive. Il corso è stato modificato e danneggiato a favore delle città e ciò è stato causa di esondazioni e inquinamento.
Solo dalla fine degli anni novanta, la situazione è decisamente migliorata soprattutto grazie agli interventi di bonifica promossi anche dall’Unione Europea e al sistema depurativo della città di Milano.
Numerosi parchi cittadini ospitano tratti del fiume Lambro, dal Parco di Monza al Parco Lambro di Milano, solo per citare i più importanti, offrendo polmoni verde a una delle zone più industrializzate d’Italia. Diverse piste ciclopedonali sono inoltre state create lungo le rive del fiume, tra cascine, mulini, campi coltivati a mais, balle di fieno arrotolate e uccelli, che numerosi popolano le aree fluviali.
Ho percorso in cinque mesi l’intero corso del fiume, dalla sorgente alla foce, cercando di catturare immagini del fiume e dell’ambiente circostante, che rappresentassero il rapporto dell’uomo con il fiume e i cambiamenti nel paesaggio che ne ospita il corso, principalmente dovuti all’intervento umano.
Ho amato perdermi nella campagna, le sensazioni di lentezza e l’immobilità che caratterizzano il fiume, le atmosfere a tratti fiabesche, la presenza umana che si perde nel paesaggio o che lascia solo tracce del proprio passaggio.
Dal 25 marzo al 6 aprile – Biblioteca Comunale di Costa Masnaga (LC)
Diachronicles Giulia Parlato
Con il progetto Diachronicles Giulia Parlato ha vinto Giovane Fotografia Italiana | Premio Luigi Ghirri 2022, ideato e promosso dal Comune di Reggio Emilia in collaborazione con Triennale Milano, GAI – Associazione per il Circuito dei Giovani Artisti Italiani e Fotografia Europea, con il contributo di Reire srl. Diachronicles racconta lo spazio storico come contenitore immaginario in cui un’apparente raccolta di prove apre al fantastico. In questo spazio, i tentativi di ricostruire il passato si perdono in vuoti fantasmagorici, dove gli oggetti vengono generati, usati, sepolti, dissotterrati, trasportati e trasferiti.
Sonata è un ampio corpo di lavoro composto da immagini realizzate da Aaron Schuman in Italia nell’arco di quattro anni. Presentato inizialmente in un volume monografico edito nel 2022 dagli inglesi di MACK (che trovate qui), acclamato dalla critica, trae ispirazione da Viaggio in Italia di Johann Wolfgang von Goethe (1786-1788) e ricerca quelle che Goethe definiva le “impressioni dei sensi“. Come Goethe nei suoi viaggi in terra italiana, Schuman cerca risposte alle stesse riflessioni introspettive: “L’esenziale si è, che io prendo di bel nuovo interessamento alle cose di questo mondo; che io cerco di bel nuovo di esercitare il mio spirito di osservazione, per quanto i miei lumi e le mie cognizioni lo consentono; che la mia vista è pronta ad afferrare rapidamente quanto si offre allo sguardo; e che il mio animo può di bel nuovo esercitare le sue facoltà, le quali erano rimaste oppresse ed irrigidite.”
Sonata non cerca di cogliere e raccontare la realtà oggettiva; piuttosto, la filtra consapevolmente, rileggendola attraverso i miti, le idealizzazioni, le fascinazioni e le fantasie associate al nostro paese e a ciò che ha rappresentato nell’immaginario degli innumerevoli viaggiatori che lo hanno visitato nel corso dei secoli. Schuman stesso – prima con i suoi genitori, poi con la moglie e i figli – ha sviluppato fin dall’infanzia un legame viscerale, quasi primordiale, con l’Italia; un legame che è certamente, evidentemente quello di uno straniero, ma che è comunque forte, intuitivo, profondamente sincero e personale. Con Sonata, Schuman ci invita a esplorare un’Italia tanto simbolica quanto reale: intrisa dell’euforia e del terrore, dell’armonia e della dissonanza delle sue eredità culturali e storiche, eppure sempre nuova, rinvigorente e risonante nelle sue suggestioni sensoriali e psicologiche.
Micamera è orgogliosa di presentare una mostra e un’installazione site-specific di Sonata, concepita e realizzata in collaborazione con l’artista stesso. Oltre alle bellissime stampe, l’esposizione includerà anche una selezione di oggetti provenienti dalla collezione personale di Schuman, fotografie ed ephimera che hanno imperniato questo lavoro, e dialogherà con una selezione curata di libri dagli scaffali di Micamera.
Conosci tu il paese dove i limoni fioriscono, nel fogliame buio fulgon le arance d’oro? – Johann Wolfgang von Goethe, 1796
dall’11 marzo al 22 aprile – MICamera – Milano
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