I tempi lunghi fanno parte del mio modo di vedere la fotografia, Nadia Garaventa Lanfranco

“I tempi lunghi fanno parte del mio modo di vedere la fotografia, anche se poi capisco che è in un attimo che scegli” (N.L.)

Articolo di Giovanna Sparapani

Enrico Castellani, Alberto Burri, M.me Christian Stein, Patrizia Locatelli – Fotografie di Nadia Garaventa Lanfranco

Il 31 ottobre scorso è scomparsa a Pieve Ligure un’importante fotografa italiana, Fernanda Lanfranco detta Nanda, colei che con professionalità e precisione fin dagli anni Settanta ha immortalato le installazioni, gli eventi e le mostre dei più grandi artisti contemporanei, tra cui Alberto Burri (famoso è un suo ritratto in bianconero), Meret Oppenheim, Mario Merz, Jannis Kounellis e molti altri. Nata a Genova nel 1935 da una famiglia di origini contadine, dopo i trenta anni, a contatto con l’illustre critico d’arte Germano Celant con il quale collabora e che resterà per lei un punto di riferimento per tutta la vita, approfondisce le sue conoscenze in campo storico artistico e parallelamente scopre la magia e le enormi possibilità della fotografia: il suo archivio fotografico, composto da migliaia di immagini analogiche e digitali, è una fonte preziosa per chi vuole conoscere e studiare l’arte europea del suo tempo. Amante del bianconero e dei formati quadrati, fotografa con una Hasselblad e, seppur autodidatta, raggiunge una capacità tecnica ed estetica di alto livello; la conoscenza dell’opera e degli scritti di Ugo Mulas di cui ammira la libertà espressiva e la sua carica innovativa, è di assoluta importanza per la sua formazione.

Fotografia di Nadia Garaventa Lanfranco

Collaborando con testate giornalistiche dedicate al mondo dell’arte, Nanda si dedica a documentare – a partire dal 1975 e per circa tre decenni – i più importanti eventi artistici a lei contemporanei in Italia e in Europa, tra cui ricordiamo “Relation in space” di Marina Abramović e Ulay alla Biennale di Venezia e in seguito la mostra “L’alto in basso, il basso in alto…” di Michelangelo Pistoletto, tenuta nel 1977 a Genova presso la Samangallery diretta da Ida Giannelli. Nel complesso, si può affermare che non ci sono artisti della sua generazione che la fotografa genovese non abbia immortalato, soffermandosi sugli eventi ufficiali, le inaugurazioni, le interviste, ma anche sugli interessanti momenti degli allestimenti, quando gli spazi espositivi sono ancora ingombrati da scale, pannelli, fili, ganci e molte opere giacciono stese sui pavimenti o appoggiate provvisoriamente alle pareti.

Fotografia di Nadia Garaventa Lanfranco

Oltre al suo lavoro di documentazione, Nanda si dedica senza clamore a ricerche personali, creando una interessante galleria di ritratti degli amici artisti, dei suoi familiari, degli animali domestici; anche la natura la affascina con i suoi silenzi rotti da squarci di luce, magnificamente captati con i suoi scatti rigorosamente in bianconero. Piuttosto schiva, silenziosa ed introversa si mostra disinteressata a mostrare al pubblico le sue opere, considerando le esposizioni come eventi mondani da evitare perché troppo chiassosi. Agli anni Ottanta risale la sua indagine fotografica sulle statue del Cimitero monumentale di Staglieno a Genova, delle quali mette in evidenza la perturbante sensualità delle figure femminili marmoree; sempre nello stesso periodo si colloca la serie di splendide nature morte con al centro oggetti che emergono da fondi oscuri grazie a sapienti giochi luministici. Tra il 1987 e il 1989 nasce un nuovo lavoro intitolato “Tempo rubato” (Allemandi Editore, Torino 1989), nel quale le immagini di corpi di donne e uomini anziani escono dal buio. “Se questa fotografia è il risultato di quanto sfugge al buio, se è il discreto esserci dei corpi che la luce annuncia e manifesta aderendo appena ai loro orli e sfumando via …. l’immagine fotografica allora diviene privata meditazione intorno all’amore e alla morte” (Bruno Corà).  Alvar Gonzaléz Palacios nel 1991 cura una mostra ad Aosta, intitolata “Foto di gruppo”, in cui Nanda espone una serie di scatti mirabili in cui ha immortalato gli artisti a lei più cari.  Per circa dieci anni, a partire dal 1985 fino alla metà degli anni Novanta, si dedica ad un’interessante ricerca sul tema dei Tarocchi, con gli Arcani Maggiori e Minori interpretati in un’originale chiave simbolica: questo lavoro costituirà il corpus del volume “I tarocchi. Mise en abyme”,  Allemandi editore, Torino 1995.

Enciclopedia delle donne | Biografie | Garaventa Lanfranco Nanda

Nanda Lanfranco, elogio della lentezza (ilgiornaledellarte.com)

https://www.artnet.com/artists/nanda-lanfranco

“Tutte le immagini presenti nell’articolo sono di proprietà dell’autore/autrice e hanno solo scopo didattico e informativo”

Lin Zhipeng, un’innocenza giocosa.

Lin Zhipeng (alias No.223) è nato a Guangdong, in Cina, nel 1979. Si è laureato presso l’Università di studi esteri del Guangdong con una specializzazione in inglese finanziario. Lin è un fotografo e scrittore freelance con sede a Pechino. Creato nel 2003, il suo blog “North Latitude 23”, in cui pubblica foto di accompagnate da brevi testi, ha ricevuto milioni di visualizzazioni e lo ha reso famoso tra la comunità web. Presentate per dieci anni in mostre collettive in Cina e all’estero, le opere di Lin sono state anche oggetto di diverse mostre personali a livello nazionale e internazionale (Delaware Contemporary Museum; Walther Collection Ulm; De Sarthe Gallery Beijing; Stieglitz19 Gallery Antwerp; M97 Gallery Shanghai, ecc.) Ha pubblicato libri di fotografia in Cina, Francia, Canada, Giappone e Italia.

© Lin Zhipeng

Lin è una figura di spicco della nuova fotografia cinese dell’ultimo decennio; ha diffuso il suo lavoro originariamente attraverso i social media e altre piattaforme online, oltre che con le sue zine autopubblicate. Il lavoro di Lin è arrivato a definire un certo “zeitgeist” della generazione di giovani cinesi, non mainstream, post anni Ottanta e Novanta. In mezzo a una società e a un contesto culturale tradizionali, conservatori e spesso chiusi, le fotografie di Lin agiscono come un diario collettivo non privato di una giovane generazione che desidera sfuggire alle pressioni della società . Fiori sbiaditi che si mescolano a toni della pelle, una miriade di motivi che si mescolano con un’ambiguità emotiva fatta di amore e caos, fantasia ed erotismo. Le opere di 223 sono sature di senso di spensieratezza, di un’innocenza giocosa e di un certo ottimismo in mezzo a uno stile di vita edonista che va contro i piaceri e le trappole del sogno della classe media.

© Lin Zhipeng

Lin Zhipeng offre il suo punto di vista sulla cultura giovanile alternativa nel contesto culturale cinese, spesso conservatore. Le sue fotografie spontanee ritraggono una giovane generazione che si abbandona all’amore e alla vita, oscillando tra l’esultanza e la profonda malinconia, la sessualità e spesso il semplice bisogno umano di essere amati in una società altrimenti indifferente e in continua evoluzione.

© Lin Zhipeng

Per conoscere meglio l’autore www.linzhipeng223.com Su Instagram @finger223

L’articolo ha solo scopo didattico e culturale, le fotografie sono dell’autrice e non possono essere usate per fini commerciali.

“Open See” di Jim Goldberg

Buongiorno, questo libro mi ha sempre colpita per contemporaneità del linguaggio e struttura! Ve lo propongo! Buona giornata

Sara

Questo libro è composto da quattro parti differenti con copertina morbida, rilegati in modo indipendente e assemblati successivamente con una fascetta di cartone. Tre sono saggi fotografici che riguardano persone provenienti da diverse regioni del mondo che cercano un posto migliore dove vivere in Europa occidentale. La loro speranza è di vivere in una terra sicura, dal punto di vista economico, religioso e politico. Le fotografie sono spesso accompagnate da testi, segni, disegni, simboli e dipinti creati dagli stessi soggetti di Goldberg.

©Jim Goldberg – Left, Julian Silva, a 17-year-old West Haven, Conn., Boy Scout. Right, a photo of an affluent San Francisco couple from “Rich and Poor.”Credit…Left to right: Jim Goldberg; Jim Goldberg/Steidl

Il primo libro si apre con una strada sfocata con basso contrasto, che dà la sensazione di essere in viaggio verso una destinazione sconosciuta e misteriosa. Questa è la storia di coloro che risiedono nell’Europa dell’Est, in Russia e nelle nazioni dell’ex blocco sovietico e sognano di sfruttare le possibilità che si aprono potenzialmente in Occidente. Allo stesso modo, il secondo libro parla di coloro che risiedono in India, Bangladesh ed Estremo Oriente con sogni e speranze simili. Il terzo libro documenta coloro che in Africa risiedono nei campi profughi e vivono in condizioni pessime rispetto agli standard occidentali, sognando e pensando all’Europa come luogo di rinnovamento e speranza. Le persone sono documentate in movimento, nel tentativo di realizzare i loro sogni. Nel quarto libro il loro sogno di vivere in Europa sembra realizzato e ora affrontano la realtà che non è sempre quella che si aspettavano.

Il libro sembra essere una narrazione incerta e confusa, priva di didascalie e di impaginazione. Le fotografie non sono sempre nitidamente a fuoco e creano un senso di disagio poiché potrebbero essere di un principiante.

©Jim Goldberg “Eropa.” A former fisherman whose livelihood has been destroyed by over fishing by European countries has no choice but to think about emigrating to Europe where the there is hope of work and money (…)

Le fotografie interne sembrano essere attaccate alle pagine come se si trattasse di un album di immagini, una registrazione grezza di pensieri, emozioni e ricordi. Le fotografie non sono presentate con un linguaggio coerente. Ve ne sono alcune con una messa a fuoco nitida, una messa a fuoco morbida, profondità di campo ridotta, molta profondità di campo, un’inquadratura stretta, un’inquadratura larga, un contrasto basso, un contrasto alto, polaroid, foto decorate, foto dritte, sparse per le pagine, in bianco e nero o a colori.

Sfruttando questa modalità, viene creata una meravigliosa analogia con i difetti dell’umanità. Si commettono errori e si prendono decisioni difficili che causano errori, tristezza, infelicità, angoscia, problemi e tristezza. La vita non è mai perfetta, quindi Goldberg propone fotografie della vita che non possono essere perfette.

I suoi soggetti sono clandestini, senza documenti, poveri, costretti a scegliere o forse spinti a una vita illegale per sopravvivere.

Per approfondire

https://www.magnumphotos.com/newsroom/conflict/jim-goldberg-open-see/

https://jimgoldberg.com/projects/open-see

Per l’acquisto del libro

L’articolo ha solo scopo didattico e non commerciale, le immagini sono di proprietà dell’autore, vietata la vendita o la riproduzione.

Melissa Spitz – Nothing to worry about

Buona lettura! Sara

Il racconto virtuale delle nostre vite prende sempre più spazio e la forma narrativa dell’album di famiglia, per il quale avevamo scelto le foto migliori, viene sostituito da una storia che si modella sul quotidiano e che non considera gli scatti dei giorni precedenti, né pensa agli scatti di domani. Esistono però profili Instagram di fotografi che ricorrono alle tecniche dello storytelling classico per “costruire” la propria pagina, anche se, nel mare magnum di immagini, coinvolgere gli utenti in una narrazione pensata e logica non è affatto semplice.
Il profilo di Melissa Spitz @nothing_to_worry_about conta oggi 51.600 follower, grazie al lavoro dall’omonimo titolo You have nothing to worry about, ha ottenuto il riconoscimento di fotografa dell’anno 2017 su Instagram per il Time. Nella sua pagina, la fotografa ha raccolto momenti di vita con sua madre Deborah Adams, tossicodipendente, alla quale sono stati diagnosticati sia il disturbo bipolare che il disturbo dissociativo dell’identità. Un esempio di medicina narrativa che fa uso del potere congiunto di immagini e social media.

Melissa Spitz, da: You have nothing to worry about

Il racconto assume un triplice valore: l’informazione verso chi segue il progredire della malattia della donna, la presa di coscienza da parte della fotografa e la condivisione dell’esperienza vissuta anche da
molti follower che hanno in qualche modo rassicurato la ragazza.
Il lavoro in sé inizia per una consegna scolastica, ma dal 2014 la fotografa pubblica regolarmente su Instagram le fotografie, insieme a didascalie aneddotiche. In un primo momento, le foto erano tutte candid (non messe in posa), ma da quando Deborah è diventata più consapevole di ciò che sua figlia stava facendo, ha contribuito con idee creative, addirittura preparando alcuni scatti.
Melissa ha più volte detto che il suo intento è quello di lasciare una traccia, una testimonianza reale della complessità della malattia mentale.

Per conoscere il lavoro di Melissa su Instagram @nothing_to_worry_about

Il sito dell’autrice https://www.melissaspitz.com/

il suo lavoro sul sito https://www.melissaspitz.com/yhntwa-2022

Un estratto del mio libro “Troppa fotografia, poca fotografia | Riflessioni sui linguaggi contemporanei”

Per l’acquisto del libro

“Ordos” la città fantasma, di Anthony Reed

Buongiorno, ho scovato questo autore con questo lavoro su una città fantasma in Mongolia. Spero vi piaccia, ciao

Sara

Ordos, nella Mongolia interna, è una città desertica in rapida espansione urbana. La scoperta di grandi riserve di carbone ha dato il via a un investimento governativo di 1,1 trilioni di yuan (161 miliardi di dollari) per la costruzione di una nuova città. Concepita all’inizio degli anni 2000, la visione prevedeva che la città appena completata potesse ospitare un milione di abitanti e fungere da nuovo centro culturale, politico ed economico della regione.

La costruzione è iniziata nel 2004, ma il nuovo distretto non è riuscito ad attirare i residenti e si è rapidamente guadagnato l’etichetta indesiderata di “città fantasma”. I funzionari locali, tuttavia, hanno insistito sul fatto che c’era sempre un piano a lungo termine in gioco e che i progressi sono rimasti sulla buona strada. Nel 2021 la città era occupata al 30% e si dice che il numero sia in aumento, ma è difficile non notare l’inquietante silenzio che regna qui.

Musei d’arte contemporanea, stadi da 80.000 posti, ospedali nuovi di zecca, sono tutti vuoti, come se aspettassero l’arrivo di un futuro lontano. È un ambiente alienante e surreale, manifestazione di una visione poco fantasiosa ma coraggiosa. Cosa riserverà il futuro a questa città così poco comune?

Fotografie di Anthony Reed

Anthony Reed è un fotografo e regista di origine inglese che lavora e vive a Shanghai. La sua pratica esplora l’interpretazione soggettiva dell’ambiente e i rapidi processi di cambiamento in Cina. Nelle sue opere si percepisce il denso tessuto urbano della città. Blocchi di appartamenti stretti, lotti recentemente demoliti, interni abbandonati, individui isolati, grattacieli torreggianti rivestiti di neon. Tutto si combina per rivelare la natura sfaccettata della città. Le persone stanno trasformando il mondo, ma allo stesso tempo ne sono trasformate. Reed si diverte a presentare la trasformazione della “materia fisica” attraverso il tempo, ma anche la solitudine intangibile e immutabile che è legata alle persone nelle grandi metropoli.

Fotografie di Anthony Reed

Per lui, le città sono il luogo in cui le persone sole stanno ammassate. Egli cattura questo contrasto nelle sue immagini ed esplora emozioni astratte con immagini figurative. Cercare senza meta con la macchina fotografica è il suo modo terapeutico di fare fotografia. Il mondo è un luogo fiorente, promettente e talvolta deprimente. La fotografia è il suo meccanismo di reazione per affrontare il mondo. Con milioni di persone che vivono in un unico luogo, le lunghe passeggiate, l’esplorazione e la documentazione sono un modo per registrare queste molteplici facciate del mondo in drastica transizione, non importa se in progresso o in regresso, le immagini rappresentano fette di momenti della memoria collettiva.

Fotografie di Anthony Reed

Per maggiori informazioni anthony-reed.com

L’articolo ha solo scopo didattico e divulgativo. Le immagini sono di proprietà dell’autore e non possono essere riprodotte o utilizzate per scopi commerciali.

“Cognition” di Bence Bakonyi

Buongiorno, vi presento oggi questa serie di immagini che mi è piaciuta molto. Spero vi piaccia! Buona giornata

Sara

Fotografia di Bence Bakonyi

Bence Bakonyi è nato nel 1991 a Keszthely. Una delle più grandi città intorno al lago Balaton, in Ungheria. Durante gli anni del liceo ha studiato fotografia da autodidatta. Dopo il diploma è stato ammesso all’Università d’Arte e Design Moholy-Nagy, dove i suoi maestri sono stati, tra gli altri, Gábor Arion Kudász e Mátyás Misetics. I suoi primi lavori sono stati fortemente influenzati dalle opere di Marina Gadonneix e Mathieu Bernard Reymond. All’inizio dei suoi vent’anni ha vissuto in Cina e ha viaggiato in Asia, dove le sue serie di fotografie di scena sono state integrate con fotografie documentarie. Nonostante la giovane età, Bence Bakonyi ha già partecipato a numerose mostre e fiere d’arte ed è rappresentato da molte gallerie in tutto il mondo. Collabora con gallerie di Hong Kong, Parigi, Svezia e Budapest. Le sue opere sono state incluse in mostre collettive organizzate dal Museo Ludwig e dalla Hall of Art di Budapest, in Costa Rica e a Toronto, organizzate dalla Nicholas Metivier Gallery. Ha inoltre partecipato a mostre personali organizzate, tra gli altri, dalla galleria Artify di Hong Kong e dallo Xuhui Art Museum di Shanghai. Per quanto riguarda le pubblicazioni, le sue opere sono state incluse nelle selezioni di The Guardian, Wired, Blink, Étapes Magazin e The Red List. Le opere fotografiche di Bence Bakonyi rappresentano i simboli di libertà, ariosità e transustanziazione. Al di sotto della loro estetica contemporanea e giovane, ci offrono strati interpretativi più profondi. Gli spazi generosi delle sue fotografie e la loro capacità di collegare realtà e fantasia ci allontanano dai problemi della vita quotidiana e indirizzano i nostri pensieri verso le questioni molto più universali e dignitose dell’esistenza umana. Attualmente Bakonyi lavora tra Budapest e il Kuwait.

Fotografie di Bence Bakonyi

Descrizione del progetto

La serie Cognition è stata realizzata a Dunhuang, al confine con il deserto del Gobi, in Cina. La città era un importante punto di controllo per le carovane commerciali dell’antica Via della Seta. Avevo programmato il mio viaggio nel periodo di una settimana di vacanza cinese, dove ho seguito e osservato i turisti presenti per una settimana. Esamino dalla posizione di uno spettatore esterno e distante il tipo di comprensione che è possibile solo attraverso un notevole distacco. Attraverso il particolare punto di vista delle fotografie, cerco di rappresentare lo spirito del gruppo. Non mi concentro quindi sull’individuo, ma sulla comunità: la vediamo muoversi, traccia il suo percorso e quindi il processo attraverso il quale questa massa di persone scopre l’ignoto. Poiché i protagonisti delle fotografie scattate a Dunhuang sono turisti, il paesaggio era altrettanto estraneo e affascinante per loro, quanto lo era per me, quando l’ho documentato.

Fotografie di Bence Bakonyi

Per maggiori informazioni https://bencebakonyi.com/menu/

L’articolo ha solo scopo didattico e divulgativo. Le immagini sono di proprietà dell’autore e non possono essere riprodotte o utilizzate per scopi commerciali.

Graciela Iturbide, testimone della dimensione magica e poetica dell’uomo

Articolo di Giovanna Sparapani

“Io sono una testimone della dimensione magica e poetica dell’uomo, fino ad arrivare al lato mistico della vita quotidiana, forse…” (G.I)

Graciela Iturbide, autoritratto

Nata a Città del Messico nel 1942,  figura di spicco nell’ambito della  fotografia messicana, è stata allieva del famoso Manuel Alvarez Bravo, dei cui insegnamenti conserverà per tutta la vita preziosi ricordi: “… Questo grande uomo mi ha dato la libertà di essere chi sono…”

©Graciela Graciela Iturbide

Graciela inizialmente mostrò interesse per il mondo del  cinema frequentando il Centro Universitario di studi cinematografici presso l’Università del Messico, ma fu l’incontro con Don Manuel, di cui divenne assistente, a instradarla nel mondo della fotografia. Il Maestro allora sessantenne, non ancora giunto alle vette della fama, praticava una tecnica fotografica lontana dalla mobilità delle sequenze cinematografiche, usando il cavalletto e prediligendo le Immagini statiche. Graciela al suo fianco, durante le frequenti escursioni fotografiche, percepì e assorbì la passione di Alvarez, sviluppando una visione personale con la creazione di scatti originali che oscillano tra una visione documentaria ed una magicamente lirica. La morte di sua figlia Claudia nel 1970 la indusse a riflettere sul ruolo della fotografia,  il cui scopo non può limitarsi ad una  mera documentazione  rivolta alla produzione di immagini riprese direttamente dalla realtà. Per esorcizzare la paura della morte,  ben presente quotidianamente nell’animo del popolo messicano, la fotografa attinse ispirazione per i suoi scatti dagli angelitos, bambini defunti con indosso abiti bianchi, circondati da fiori e nastri. La ricerca e lo studio accurato di questa tradizione funzionò per lei come terapia, allontanandola gradatamente da sensazioni luttuose che la attanagliavano. Nel suo ritorno alla vita vissuta, la macchina fotografica diventò la sua compagna inseparabile, fornendole uno strumento utile per uscire dal proprio mondo luttuoso attraverso la vicinanza con altre persone, soprattutto gente semplice incontrata durante le diffuse feste di paese. Nelle immagini dalle inquadrature spesso decentrate, caratterizzate da un bianconero fortemente contrastato, immortala situazioni in cui si sente immersa e partecipe senza aver concepito un vero e proprio progetto a priori, ma abbandonandosi all’istinto, coinvolta dalla gioia di vivere e dall’allegria  dei suoi conterranei. ” In definitiva, penso che la fotografia sia un rituale per me. Partire con la mia macchina fotografica, osservare, catturare la parte più mitica dell’uomo, poi andare nell’oscurità, sviluppare, scegliere il simbolismo… “ (G. I.)

©Graciela Graciela Iturbide

Nei molteplici viaggi ha fotografato le persone e anche gli oggetti che più hanno attirato la sua attenzione principalmente in paesi come il Messico, ma anche la Germania, la Spagna, l’ Ecuador, il Giappone, gli Stati Uniti, l’India, il Madagascar, l’Argentina, il Perù e Panama. Togliendosi di dosso l’etichetta di appartenenza al realismo magico o alle correnti surrealiste a cui è stata spesso associata, Graciela Iturbide  spiega che a lei interessa conferire “un tocco di poesia e immaginazione”  a ciò che incontra nel suo girovagare, ricercando “ la sorpresa nell’ordinario”.

 I lavori incentrati sulla condizione delle donne nelle loro mansioni quotidiane, messe a fuoco al’interno di comunità messicane ricche di tradizioni legate ad un mondo prevalentemente arcaico, si impongono con una forza e talvolta con una crudezza che le rende emblematiche del loro stile di vita.  Di grande valore anche dal punto di vista sociale, la sua indagine sulle donne del Mozambico che pone l’accento in modo magistrale sulla lotta alle malattie che travagliano l’universo femminile. Anche il mondo animale affascina la Iturbide e famose sono le immagini inquietanti dei neri uccelli che solcano cieli biancastri in campagna o in zone urbane oppure le foto delle selvagge iguane di cui circa una dozzina albergano in precario equilibrio sopra i capelli corvini di una imponente signora fotografata in Juchitàn (Messico) nel 1979.

©Graciela Iturbide

Mujer Angel, Sonora Desert  ( 1979 ) è un’immagine paradigmatica della sua originale visione, costituendo un’estrema sintesi del suo lavoro: protagonista è  una donna indigena ripresa di schiena che si allontana di corsa da un paesaggio roccioso per lanciarsi verso una pianura desertica dall’aspetto quasi lunare con indosso un abito dalla foggia antica; a sorpresa, tiene nella mano destra una radio portatile, indicando le contraddizioni  e gli insanabili contrasti tra un mondo tradizionale arcaico ed un futuro tecnologico.

Graciela ci consegna una visione originale della società messicanam visione che, grazie alla profondità di analisi e al suo sguardo lirico e poetico, assume una rilevanza universale.

Bibliografia

Alfredo Lopez Austin e Roberto Tejada, Graciela Iturbide Image of the spirit, New York, 1996

Elena Poniatowska, Jughitán de las mujeres, Toledo, Mexico 1989

Graciela Iturbide, El baño de Frida Kahlo, galeria Quiroga, Messico 2009

Michel Frizot, Graciela Iturbide, Photo Poche – Actes Sud, 2011

  1. Graciela Iturbide – Italia | Profilo dell’artista | NMWA
  2. Mexico Photography: Graciela Iturbide | digitalartteacher
  3. La fotografa Graciela Iturbide: “Noto il dolore e la bellezza” | Fotografia | Il Guardiano (theguardian.com)
  4. Graciela Iturbide la più famosa fotografa messicana vivente (fotografaremag.it)

5. Graciela Iturbide: in Messico nella casa della fotografa progettata da suo figlio | Architectural Digest Italia (ad-italia.it)

Graciela Iturbide, autoritratto