La prima fotografia della sacra sindone

Un ritratto di Secondo Pia

La Sacra Sindone è la reliquia più sacra della religione Cattolica, migliaia di pellegrini l’hanno visitata e ancora la visitano.

Il Duca Emanuele Filiberto nel 1578 (anno in cui Torino diventa capitale), la portò nella città.

La prima fotografia della Sindone è stata ripresa il 25 maggio 1898, da un avvocato piemontese, Secondo Pia.

Appunti del fotografo

Pia nasce ad Asti il 9 settembre del 1855 e anche se avvocato, si avvicina alla fotografia proprio agli albori della stessa, nel 1870.

Membro del Club fotografi dilettanti di Torino, scatta immagini che fanno oggi parte della collezione storica del Museo del Cinema di Torino.
Il 1898 fu un anno particolare per la Città di Torino, ricco di celebrazioni. Durante quest’anno fu anche organizzata la grande Esposizione Nazionale, con la mostra di Arte Sacra nel Parco del Valentino. Re Umberto I di Savoia volle mostrare quindi la sindone e autorizzò che venisse fatta una fotografia del telo. Il 25 maggio di quell’anno assegnarono a Secondo Pia la riproduzione fotografica.

Riproduzione della sacra sindone

Il fotografo si rese subito conto che l’immagine impressa sul telo, sarebbe stata poco visibile, data l’illuminazione scarsa ed il riflesso della luce sul vetro della teca, impossibile da gestire; Pia scattò comunque due fotografie, che sviluppò subito dopo.

Dai negativi si rese conto che si intravedeva chiaramente un volto, decise quindi di tornare, la sera del 28 maggio, per una seconda sessione fotografica.

Il volto era ancora presente.

La strabiliante scoperta di Pia aprì una serie di ricerche e studi sul volto dell’uomo comparso sul telo, presumibilmente Gesù, in tutto il mondo.

Innumerevoli indagini sono state fatte da quel momento, portando a discussioni che ci accompagnano ancora oggi.

Ciao

Sara

Dilish Parekh possiede 4.425 fotocamere

Portrait of Dilish Parekh in his Mumbai home by Dheerankur Upasak. 

La più grande collezione di fotocamere è composta da 4.425 fotocamere
ed è di Dilish Parekh, fotoreporter di Mumbai che possiede 4.425 macchine fotografiche d’epoca.

Se pensi di essere un drogato di macchine fotografiche, lui ti batte di sicuro!

Dilish Parekh è un fotoreporter e collezionista di fotocamere di Bombay. Inizialmente ha ricevuto un’eredità di 600 fotocamere da suo padre che si è trasformata, nel tempo, in una collezione di 4.425 fotocamere.

La collezione di Dilish

Dilish detiene il Guinness dei primati per la più grande collezione di fotocamere esistente. Ha battuto il suo record di 2.634 telecamere di quasi il 70%, accumulando ben 4.425 telecamere nel corso degli anni.

L’appassionato collezionista ha rovistato nei mercatini delle pulci e pubblicato annunci su giornali per ottenere pezzi che ancora non possedeva . All’interno della sua collezione ci sono fotocamere prodotte da Rolliflex, Canon, Nikon e addirittura una fotocamera per francobolli Royal Mail che risale al 1907.

Uno dei suoi pezzi più preziosi è una Leica 250, prodotta in Germania intorno al 1934. Una fotocamera molto rara modificata per contenere 10 metri di pellicola, di cui esistono solo 950 esemplari.

Nella sua collezione ci sono anche la Bessa II, prodotta nel 1962 da Voigtlander, una delle più antiche aziende ottiche tedesche, così come la Tessina L, prodotta intorno al 1959 e considerata tra le fotocamere più piccole e leggere al mondo utilizzando 35 mm, con un peso di solo cinque once e mezzo.

La maggior parte delle fotocamere della sua collezione sono oggetti d’antiquariato, molti sono pezzi difficili da trovare e apprezzati dai collezionisti!

Qui sotto un video che lo ritrae

Prova a batterlo, se riesci, ciao Sara

Mata Hari, fotografia di una spia.

Mata Hari (nome che le diede una sacerdotessa o un collezionista di oggetti di arte orientale, che significa “occhio dell’alba”, o “sole” in malese), archetipo della donna spia, seducente e bella, era una ballerina professionista che divenne una spia per la Francia durante la prima guerra mondiale. Sospettata di essere una doppiogiochista, fu giustiziata nel 1917 con l’accusa di spionaggio.
Mata arrivò per la prima volta a Parigi nel 1905 e divenne famosa per le sue danze esotiche di ispirazione asiatica. Ben presto iniziò a fare tournée in tutta Europa, creando un po’ di scompiglio perchè il suo spettacolo conteneva parti di “nudo”. In realtà, Mata Hari nacque in una piccola città nel nord dell’Olanda nel 1876, il suo vero nome era Margaretha Geertruida Zelle.

Mata Hari 1914.

Poiché la maggior parte degli europei all’epoca non conoscevano le Indie, Mata Hari era considerata esotica e veniva definita così: “è così felina, estremamente femminile, maestosamente tragica, le mille curve e movimenti del suo corpo che tremavano in mille ritmi”. Un giornalista di Vienna ha scritto, dopo aver visto uno dei suoi spettacoli, che era “snella e alta con la grazia di un animale selvatico e con i capelli blu-neri” e che il suo viso “ha una strana impressione straniera” (?).

La carriera di Mata Hari andò in declino dopo il 1912. Il 13 marzo 1915, si esibì iper l’ultima volta.

Ha avuto rapporti con ufficiali militari di alto rango, politici e altri in posizioni influenti in molti paesi. Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, il suo catalogo di amanti includeva ufficiali militari di alto rango di varie nazionalità.

Nel febbraio 1917, le autorità francesi la arrestarono per spionaggio e la rinchiusero nella prigione di St. Lazare a Parigi. Fu accusata di rivelare dettagli segreti e fu condannata e condannata a morte.

Immagine dopo il suo arresto

Il 15 ottobre fu fucilata a morte da un plotone di esecuzione a Vincennes. Rifiutò la benda sugli occhi e guardò in faccia gli esecutori. Degli undici colpi sparati contro di lei, otto la mancarono, uno la colpì al ginocchio, uno al fianco, il terzo al cuore. Moriva così, a 41 anni, la prima spia donna del Novecento, il cui nome era destinato a diventare sinonimo di fascino e mistero.

Ci sono prove che Mata Hari fosse spia tedesca, e per un periodo, anche agente per i francesi. L’attività di spionaggio, spregiudicatamente condotta sui due fronti, l’ha portata quindi alla morte.

Mata Hari è stata spesso ritratta come una “femme fatale”, la donna pericolosa e seducente che usa la sua sensualità per manipolare gli uomini, ma in realtà era nelle parole alcuni storici americani, tra cui Norman Polmer e Thomas Allen definirono quegli uomini “ingenui e facilmente ingannabili”. Ah! La debolezza degli e per gli uomini in uniforme!

In una fotografia colorata a mano sa Klimbim

Qui il trailer di “Mata Hari” del 1931, con Greta Garbo nei panni dell’agente agente segreto, film girato solo 14 anni dopo l’esecuzione.

Ciao Sara

Head ‘n’ Groove, fotografie di Rossano Ronci

Head ‘n’ Groove – Fotografie di Rossano Ronci


Il racconto fotografico di Max Casacci, colonna portante dei Subsonica. Fotografie di Rossano Ronci

É stato un lavoro durato in totale 6 anni, partito nel gennaio 2015 chiuso nel giugno 2021 con la stampa e la divulgazione del volume.

Un progetto di storytelling che ha voluto raccontare un solo componente di una delle band più influenti e importanti del panorama musicale italiano degli ultimi 25 anni. La mia scelta di raccontare solamente la vita di Max, è ponderata, perché casacci è il componente di età maggiore della band ed è il componente che ha costruito la scatola dove tutti gli altri sono stati inseriti e fatti crescere come musicisti e interpreti.

Max casacci è un visionario, uno dei musicisti e produttori più all’avanguardia della musica italiana.

Mi sono limitato a seguirlo e a raccontare le sue convergenze di vita, raccontare il legame con la città di Torino, città che non conoscevo affatto!

Immergendomi nel suo fermento artistico musicale e non solo, ho compreso il perché Max e i Subsonica hanno scritto e suonato i pezzi che li hanno portati alla ribalta in Italia ed Europa.

Con loro ho fatto due tour europei. Il sound della loro musica nasce dalle frequentazioni di Torino che nella metà degli anni 80, ruppe le catene con la Fiat, cominciando il percorso che la ha poi portata ad essere una delle città che ha prodotto artisti in vari campi della comunicazione.

Max ha scritto i testi e le musiche dei pezzi e dei loro album più importanti, quelli degli inizi, quelli che li hanno resi la band che sono oggi, anche a distanza di 25 anni.

Ho scelto di seguire e raccontare con discrezione Casacci, perché se avessi scelto di farlo con l’intera band, avrei sicuramente perso dei pezzi per strada ed il racconto sarebbe diventato più documentativo  che narrativo.

La narrazione nella fotografia di racconto, è la chiave per raggiungere il proprio linguaggio, il proprio modo di raccontare lo scorrere delle cose e del tempo, con una macchina fotografica, a prescindere dal soggetto che si e scelto di raccontare…



Rossano Ronci (Rimini, 1970), riesce nell’impresa di raccogliere in queste pagine gli istanti
salienti delle tournée di Max Casacci con i Subsonica.
Attraverso lo sguardo in bianco e nero del suo obbiettivo, Ronci ci racconta innanzi tutto
di Max, qui definito “regista e motore immobile della band”, artista a tutto tondo che, per
quanto introverso e più defilato rispetto agli altri componenti, è capace di riportare a
unità e ordine le diverse anime creative di un gruppo geniale.
Il fotografo traspone le tensioni, il sudore, l’ebbrezza e il sangue che una performance
musicale può trasmettere, ritagliando un punto d’osservazione più ampio rispetto alle
classiche collezioni fotografiche che documentano “on stage” e “backstage”: avendo
condiviso ogni istante di numerosi tour, il fotografo restituisce molto più di un reportage. Questo è il ritratto di un’esperienza unica, capace di far percepire a chi lo guarda, il
sentimento del momento.
testi di: Max Casacci, Denis Curti, Gabriele Ferraris, Michelangelo Pistoletto, Pier Paolo Pitacco.
Max Casacci

Per acquistare il libro

Due Versioni: 

Versione Deluxe Con Copertina Cartonata Serie Limitata Numerata Dalla Uno Alla 500 Acquistabile Solamente Online Su Prenotazione

Versione Con Copertina Brossurata Mille Copie In Vendita Nei Musei, Librerie Store Subsonica e Sito Subsonica


SilvanaEditoriale
a cura di Denis Curti
24 x 24 cm
144 pagine
75 illustrazioni
edizione italianabrossura
EAN 9788836645008
Costo 25 €

Ciribiribì kodak! La storia di un mito.

Instamatic 100 Kodak

La Eastman Kodak Company, grande azienda americana meglio conosciuta come Kodak, ha basato la sua forza internazionale sulla produzione di pellicole fotografiche.

Negli ultimi anni con la comparsa della fotografia digitale si è specializzata sulla diagnostica medica per immagini e prodotti per la stampa.

Il marchio Kodak è connesso alla fotografia analogica per la produzione di macchine fotografiche e per la fabbricazione di prodotti professionali e amatoriali per lo sviluppo e la stampa delle fotografie. . Il nome “Kodak” scelto in quanto breve e forte, non ha alcun significato particolare…

Voi premete il pulsante, noi facciamo il resto”

Con questo slogan George Eastman, pubblicizzò la prima fotocamera per amatori, tentando di proporre una fotografia più facile e praticabile da tutti. La macchina fotografica Kodak, infatti, si acquistava con il rullino già caricato, e, completati gli scatti, i clienti rispedivano tutto all’azienda, che procedeva a sviluppare. Nel 1900 questa macchina prende il nome di Brownie, venduta a 1$, mentre ogni rullino costava 15 cent. La Brownie fu prodotta da Kodak fino alla fine degli anni ’60, e ne vendette milioni di modelli in tutto il mondo

Il 20 ° secolo è il momento di maggior impatto della storia della Kodak e i suoi profitti sono saliti alle stelle. Dal 1900 al 1930, tutti volevano  scattare foto (un po’ come ora!).

Chi può dimenticare la pellicola Kodachrome?  Nel 1935 questa pellicola era disponibile in diversi formati, tra cui 8 mm, 16 mm, e 35mm (nel 2010 cessa la produzione).

Qui potete fare un piccolo tour nell’azienda:

La società inoltre, è stata determinante nello sviluppo della stampa di alta qualità anche a colori, negli anni ’50 e ’60.

Nel 1976, la Kodak produsse la Kodamatic, una macchina fotografica istantanea, rivale della Polaroid.

Negli anni settanta la Kodak incomincia la produzione di pellicole auto-sviluppanti denominate Kodak Instant, a differenza delle Polaroid, erano rettangolari e l’immagine sulla superficie misurava 9 x 6,8 cm. Dopo aver perso una battaglia di brevetti con la Polaroid Corporation, Kodak lascia il mercato delle Instant Camera (9 gennaio 1986).

Kodak inoltre, un po’ come in una storia da film di Netflix, inventa la fotocamera digitale già nel 1973, ma decise di tenerla nascosta.

Steven Sasson,  ventiquattrenne americano appena assunto. Stava  lavorando sui CCD (charged coupled device).

Il sistema CCD consisteva in un sensore che catturava la luce in due dimensioni e la trasformava in un segnale elettrico. Il metodo però, non riusciva ad archiviare immagini, . Così  Sasson provò a registrare l’immagine attraverso un processo di digitalizzazione, trasformando impulsi elettrici in numeri e trasferendo l’immagine  su una memoria RAM.

Avrebbe potuto  essere l’inizio di una nuova era, sconvolgendo il mondo della fotografia tradizionale, ma questo, come sappiamo, avverrà i solo molti anni dopo. La prima macchina fotografica digitale targata Kodak fu messa in commercio solo nel 1991, con il nome Kodak DCS-100.

La Eastman Kodak Company a chiude le vendite di macchine fotografiche analogiche in Europa e America nel 2004, non essendo in grado di trovare uno spazio nella sfera del digitale.

Il 19 gennaio 2012, la Kodak dichiara fallimento.

Vi metto un video che spiega bene l’accaduto:

Nel febbraio 2012, la Kodak cessa definitivamente la produzione di apparecchi fotografici e nello stesso anno cessa anche la produzione dell’Ektachrome e quindi di tutte le pellicole invertibili (diapositive) a colori del catalogo Kodak.

Il 3 settembre 2013 la Kodak annuncia di essere uscita dalla procedura di fallimento focalizzandosi sulla stampa digitale e per l’impresa, la produzione e vendita di sistemi per l’incisione di lastre offset e flessografiche, la produzione e vendita di pellicole destinate alla grafica, all’intrattenimento e all’uso commerciale.

Nel mese di Gennaio 2017 Kodak ricomincia a produrre la Kodak Professional Ektachrome, pellicola invertibile a colori che ha visto la luce negli anni ’40.

George Eastman si suicida nel 1932, dopo che gli venne diagnosticata una malattia non recuperabile e lascia un messaggio: “Ai miei amici: il mio lavoro è compiuto. Perché aspettare?”. Grande fino alla fine. A presto, ciao! Sara

Sito ufficiale

Schema storico dell’azienda:

Storia di Kodak

Le immagini di Morel di Lorenzo Zoppolato

Fotografia di Lorenzo Zoppolato

Un piccolo gioiello editoriale che consiglio a tutti, da avere in libreria. Magnifiche fotografie contenute in un bellissimo libro, curato bene! Ciao Sara

Cover “Le immagini di Morel” Lorenzo Zoppolato

Le immagini di Morel

«Le immagini che sembrano uscire da un sogno di Zoppolato. Le sue fotografie sono liriche e fantastiche. Sono eminentemente letterarie.»

Ferdinando Scianna

Questo è un diario di viaggio lungo le strade della Patagonia, fino alla fine del mondo, laddove affondano profonde le radici del realismo magico: qui realtà e immaginazione hanno la stessa consistenza.

Fotografia di Lorenzo Zoppolato

Non è la somma dei chilometri a tracciare il percorso, bensì i luoghi e i soggetti incontrati, vivi in un tempo dilatato e sospeso, come catturati dagli specchi della macchina infernale inventata da Morel, raccontata nel libro di Adolfo Bioy Casares. Nel suo cammino Lorenzo Zoppolato fa esperienza di luoghi, persone e storie strappati al loro tempo. Passati lontani, soli e senza padroni che li possano adeguatamente ricordare. Futuri distopici dove tutto è ormai perduto, finanche la memoria da cui provengono. L’autore raccoglie gli infiniti pezzi di specchio rotto e li ricompone nelle pagine di questo libro lasciando al lettore il compito di individuare trame, storie e soggetti nascosti.

Realtà e immaginazione sembrano trovare vita propria nella struttura del libro nel quale una storia dalla trama lineare convive con un infinito specchio dove il tempo e lo scrittore si guardano riflessi.

Le immagini di Morel ha vinto il Premio Werther Colonna 2020 di SI Fest – Savignano Immagini Festival.

Fotografia di Lorenzo Zoppolato

Per l’acquisto del libro

L’autore

Lorenzo Zoppolato (Udine 1990) inizia a lavorare come assistente fotografo a Milano durante gli studi universitari. Dopo la laurea entra in una multinazionale del settore pubblicitario, ma capisce presto di voler raccontare altri tipi di storie. Fotografo professionista dal 2014, vince una borsa di studio alla NABA di Milano accedendo al master in “Photography and Visual Design” e negli anni seguenti ottiene i primi riconoscimenti. Nel 2015 viene premiato come International Black & White Photographer of the Year nella categoria “Emerging Talent”, nel 2017 si aggiudica la borsa di studio dell’Ernesto Bazan Scholarship Fund for Young Photographers, poi conquista il Gran Premio Portfolio Italia FIAF (2018), il premio per il miglior portfolio all’International Month of Photojournalism di Padova (2019) e lo Storytelling Award dell’Italian Street PhotoFestival (2020). Con Le immagini di Morel ha vinto il Premio Portfolio “Werther Colonna” alla scorsa edizione del SI FEST. 

Con emuse ha pubblicato nel 2020 il volume collettivo Suite n.5.

www.lorenzozoppolato.com

Fotografia di Lorenzo Zoppolato
Titolo: Le immagini di Morel
Autore: Lorenzo Zoppolato
Testi: Lorenzo Zoppolato, Ferdinando Scianna, Denis Curti.
Data di pubblicazione: settembre 2021
Prezzo: 28,00 euro
Pagine: 70
Dimensioni: formato chiuso cm 22×15 – formato aperto cm 66×15
Peso: 280 gr.
Rilegatura: cartonato cucito filo refe
Editore: emuse https://emusebooks.com/libri/morel/
Collana: Portfolio
Fotografia di Lorenzo Zoppolato

Per l’acquisto del libro

Storia di una fotografia – Identical Twins di Diane Arbus

Buongiorno, buona lettura! Sara

Fotografia di Diane Arbus
Identical Twins, Roselle, New Jersey, 1967

Diane Arbus è nota per le sue fotografie di  persone ai margini della società. Scatta spesso con una Rolleiflex di medio formato che forniva un rapporto quadrato e il mirino a livello della vita. Il mirino permetteva alla  Arbus di connettersi con i suoi soggetti in un modo più discreto, senza portare la macchina fotografica all’occhio.

Identical Twins raffigura due giovani sorelle gemelle, Cathleen e Colleen Wade, in piedi fianco a fianco in abiti di velluto a coste, collant bianchi e fasce bianche nei capelli scuri. Entrambi fissano la telecamera, una sorride leggermente e l’altra è leggermente accigliata. Si dice che la foto riassuma la visione di Arbus.

Nella sua biografia più conosciuta, la biografa Patricia Bosworth afferma: “Era interessata alla questione dell’identità. Chi sono io e chi sei tu? L’immagine speculare in oggetto, esprime il punto cruciale di questa visione: la normalità nella bizzarria e la bizzarria nella normalità.”

L’indagine della Arbus sull’identità, raggiunge il culmine in questa fotografia e crea notevole tensione sia  tra le ragazze gemelle che tra le persone che vedono l’immagine. La loro estrema vicinanza, l’uniformità dei loro vestiti e il taglio di capelli, sottolineano lo stretto legame che esiste tra le due, mentre le espressioni facciali sottolineano fortemente la loro individualità.

Le  gemelle avevano sette anni quando la Arbus le vide ad una festa di Natale per gemelli.

Il padre delle bambine una volta disse della foto, “Ho pensato che fosse la peggiore somiglianza tra gemelli che avessi mai visto.”

Qui un video che spiega la storia dell’immagine

Diane è sempre stata in grado di avvicinarsi alla dimensione intima  dei suoi soggetti emarginati. Attraverso brevi  interazioni riusciva a stabilire un rapporto di fiducia, è stata difatti in grado di produrre ritratti significativi e indimenticabili.

Credo  che questa immagine abbia ispirato Stanley Kubrick mentre cercava gli interpreti gemelli apparsi in The Shining, 1980.