Le mostre di fotografia da non perdere a ottobre!

Ciao,

questo mese vi presentiamo mostre importanti, da non perdere!

Date un’occhiata!

Anna

Life’s a beach – Martin Parr

La Fondazione Carlo Laviosa porta a Livorno la mostra “Life’s a beach” di Martin Parr, uno dei giganti della fotografia contemporanea, internazionalmente noto per aver trasformato la foto documentaristica in foto d’arte attraverso un punto di vista originalissimo e un uso del colore esasperato.

Grazie alla collaborazione col Comune di Livorno la mostra sarà al Museo civico Giovanni Fattori – Granai di Villa Mimbelli (via San Jacopo in Acquaviva, 65) dal 25 settembre al 12 dicembre 2021.

“Martin Parr – spiega Serafino Fasulo, curatore della mostra – è un reporter della quotidianità, lavoratore dello sguardo, che fotografa abitudini e costumi che raccontano l’animo umano, smascherando i luoghi comuni dietro ai quali spesso si nascondono trivialità, grottesco, cultura degradata. È capace di vedere ciò a cui siamo assuefatti e metterci davanti a uno specchio che rimanda un’immagine tutt’altro che gratificante. Riesce a trovare grandi temi di riflessione sulla condizione umana con un umorismo che rasenta il sarcasmo, ponendoci, per una volta, non di fronte ai vizi degli altri ma ai nostri”.

In esposizione ai Granai di Villa Mimbelli 56 scatti di Parr, fotografo della prestigiosa agenzia Magnum di Parigi, che raccontano il mondo dei bagnanti nel loro tempo libero, mentre stanno distesi al sole, senza “difese”, in costume da bagno, mentre si rilassano. La mostra “Life’s a beach” assume significati molteplici per Livorno, città che del rapporto col mare e la balneazione ha fatto la sua cifra esistenziale.

“La vita è una spiaggia o la spiaggia è la vita – ha dichiarato Giovanni Laviosa, presidente della Fondazione Carlo Laviosa – Se gli umani tendessero a ricercare la propria comunità, intesa come individui che si assomigliano, potrebbero farlo anche sulla spiaggia. Grazie a Martin Parr per darci uno spunto di riflessione mostrandoci quel che spesso ci sfugge”. 

dal 25 settembre al 12 dicembre 2021 – Museo civico Giovanni Fattori – Granai di Villa Mimbelli – Livorno

LINK

IRVING PENN

Considered to be one of the greatest photographers of the 20th century, Irving Penn (1917–2009) radically modernised photography as a medium, creating a canon that would manifest a rich and influential legacy of commercial and personal work. Mentored by the legendary photographer and art director Alexey Brodovitch, Penn began working as a commercial artist for Harper’s Bazaar in the late 1930s and later for American Vogue in the early 1940s. Encouraged by Alexander Liberman, editorial director at Vogue, he committed to professional photography in 1943.

Over the next sixty years, Penn photographed more than 150 covers for Vogue and produced thousands of ground-breaking editorials celebrated for their formal simplicity and use of natural light. Penn’s artistic contributions for Vogue formed an unprecedented legacy which, in the words of the magazine’s Editorin-
Chief Anna Wintour, “changed the way people saw the world and our perception of what is beautiful”. Breaking all conventions, Penn approached photography as an artist, expanding the medium’s creative potential at a time when the photograph was primarily understood as a means of communication.

The exhibition brings together remarkable masterpieces that situate Penn’s work in the context of various artistic, social, and political subjects. On display are some of his most iconic motifs, ranging from captivating portraits of celebrities and cultural groups, to imposing images of street debris and surreal still-lifes. On a constant quest for authenticity, IRVING PENN introduces the artist as one who took inspiration from familiar objects, that sought beauty in environments of reduced noise and minimal aesthetic, resulting in a distilled visual language characterised by arresting elegance.

September 09 – December 22, 2021 – Cardi Gallery Milan

LINK

LE MOSTRE DEL COLORNO PHOTO LIFE

ITALY, Sicily, Randazzo: italian Writer Leonardo SCIASCIA. (c) Ferdinando Scianna/Magnum Photos
Per informazioni sulle mostre nello spazio museale del MUPAC
Ingresso gratuito  
orari: sabato e domenica 10,00 12,30  – 15,00 18,00
Spazio MUPAC
Tel. 3493512737  
Email: info@colornophotolife.it 
Sito web: www.colornophotolife.it www.mupac.it

Per informazioni sulle mostre della Reggia di Colorno

Per maggiori informazioni: www.reggiadicolorno.it
Reggia di Colorno Piazza Garibaldi, 26 – 43052 Colorno Parma
Tel. +39. 0521.312545

Orari di visita guidata alla Reggia con prenotazione obbligatoria
10.00 -13.00; 15-18.00
Orari
Dal martedì al venerdì 10 – 13.00 / 15.00 -18.00

Biglietto di ingresso mostra

Biglietto intero € 8,00; Biglietto ridotto € 7,00
Biglietti online http://reggiadicolorno.it/?p=3118

Biglietto ingresso con visita guidata al complesso della Reggia di Colorno + mostre
€. 10,00 – ridotto €. 9,00 – gruppi min. 15 pax €. 8.00

LE MOSTRE DEL FESTIVAL DELLA FOTOGRAFIA ETICA DI LODI

Oltre venti mostre per raccontare il mondo in cui viviamo.

Un grande affresco fotografico realizzato dai migliori fotogiornalisti ti accompagnerà per chiostri, parchi, musei e piazze.

Come al solito le mostre sono organizzate in sezioni:

UNO SGUARDO SUL NUOVO MONDO

Nel Festival del fotogiornalismo italiano non può mancare uno spazio dedicato agli avvenimenti internazionali più importanti che negli ultimi anni hanno segnato la cronaca e le vite di così tante persone in un mondo globale e interconnesso.
Un’area espositiva per conoscere la realtà, per comprenderla e cambiarla.

SPAZIO APPROFONDIMENTO

È lo spazio dedicato a capire a fondo una storia, una tematica, con il dettaglio e il tempo necessario per problemi complessi e delicati. Storie individuali che diventano un fenomeno sociale di grande impatto collettivo. Quest’anno la sezione accoglie la mostra di Eugene Richards.

World.Report Award 2021

Il World.Report Award è il concorso internazionale del Festival di Lodi, che ha lo scopo di dare voce e supporto all’impegno sociale dei fotografi e si rivolge a tutti, italiani e stranieri, professionisti e non.
Il soggetto è l’umanità con le sue vicende pubbliche e private, le sue piccole e grandi storie; i fenomeni sociali, i costumi, le civiltà, le grandi tragedie e le piccole gioie quotidiane, i cambiamenti e l’immutabilità.

SPAZIO NO PROFIT

La sezione storica del Festival prende spunto dai reportage commissionati dalle organizzazioni No Profit sui territori e sulle tematiche in cui operano.
Voci e testimonianze che possiamo conoscere solo grazie allo sforzo di fotografi impegnati direttamente sul campo.
Ancora una volta, l’immagine è motore per il cambiamento.

PREMIO VOGLINO

Come ogni anno, il Festival continua la collaborazione con il Premio Voglino, dedicato alla figura di Alessandro per la dedizione e passione investite nella divulgazione della cultura fotografica italiana.

SPAZIO CORPORATE FOR FESTIVAL

Lo spazio Corporate for Festival è dedicato alle mostre realizzate in collaborazione e sostenute dal mondo delle aziende profit, che attraverso lo sviluppo di progetti di responsabilità sociale d’impresa vogliono gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale ed etico.

SPAZIO OUTDOOR

Un’area all’aperto dove immergersi nelle storie attraverso i racconti per immagini di grandi fotografi del National Geographic. Uno spazio per tutti coloro che vogliono scoprire il nostro pianeta.

SPAZIO RESET

I vincitori di RESET, la open call promossa da Sistema Festival Fotografia e incentrata sulla rigenerazione urbana e umana.

SPAZIO FREEDOM

I vincitori della call FREEDOM, la open call promossa e organizzata dall’associazione Roma Fotografia in collaborazione con la rivista IL FOTOGRAFO, TWM Factory, Bresciani Visual Art, Camera Service Centro Autorizzato Canon Roma e The Walkman Magazine, con il supporto del nostro Festival e della Biennale di Fotografia Femminile di Mantova.

dal 25 settembre al 24 ottobre 2021 – Lodi – Sedi Varie

LINK

LE MOSTRE DI CASTELNUOVO FOTOGRAFIA

Fotografia di Sara Munari

Ritorna anche quest’anno con la IX edizione, il Festival Castelnuovo Fotografia, che ha per tema PAESAGGIO FUTURO
Rappresentazione / Immaginazione.

Numerose mostre e molti eventi, quali Workshop e letture portfolio, si terranno a Castelnuovo di Porto (Roma) dal 2 al 10 ottobre.

Qua trovate il programma completo della manifestazione.

Le mostre sono aperte al pubblico nei due weekend: 2-3 ottobre e 9-10 ottobre

Castelnuovo di Porto – sedi varie

LINK

GUS POWELLFAMILY CAR TROUBLE

Venerdì 8 ottobre inaugura da Micamera la mostra Family Car Trouble. Per l’occasione, Micamera non esporrà le sole opere a parete, ma ha in progetto uno speciale allestimento che coprirà anche le vetrine della galleria e arriverà in strada, dove una Volvo simile a Jimmy sarà protagonista dell’inaugurazione.

Family Car Trouble è una narrazione intima della vita in famiglia che racchiude immagini scattate nei mesi precedenti alla morte del padre dell’autore, avvenuta nel 2015. Protagonisti sono la moglie e le figlie – Townes e Maude  – che crescono e una vecchia Volvo 940 Turbo station wagon del 1993 soprannominata Jimmy.

Il lavoro di Powell parla della vita e del suo procedere, dell’intrecciarsi di gioia e malattia. Jimmy segue, accoglie, accompagna la famiglia fino alla morte del padre e ancora dopo, mostrando i vetri appannati e infine, le due bambine che sedute sul cofano guardano verso l’orizzonte.

9 ottobre – 7 novembre 2021 – MiCamera – MIlano

LINK

MULATTIERE ACQUASANTA – AUTORI VARI

L’esposizione conclude il progetto di residenza d’artista Mulattiere Acquasanta, curato da Serena Marchionni per ikonemi, centro indipendente per la fotografia e le immagini di paesaggio. Sette sono stat* gli artist* coinvolt, in ordine alfabetico, Andrea Alessandrini, Daniele Cinciripini, il duo Nicola Domaneschi / Marco Verdi, Francesca Iovene, Iacopo Pasqui e Arianna Sanesi. L’inaugurazione sarà venerdì 24 settembre alle ore 16, mentre sabato 2 ottobre dalle ore 16 è previsto un incontro con gli artist che a seguire accompagneranno il pubblico in visita. L’esposizione sarà visitabile fino al 10 ottobre, gli orari di apertura sono i seguenti: martedì e giovedì 10-13, mercoledì e venerdì 15-18, festivi e prefestivi 10-13 e 15 -18, lunedì chiuso.
In mostra saranno presentate per la prima volta le opere realizzate durante il periodo di residenza a Fornara di
Acquasanta Terme tra il 16 e il 31 ottobre 2020. Gli artist* , hanno condiviso tempi e spazi di lavoro ed esplorato insieme i 140km di sentieri e mulattiere oggetto del ripristino e valorizzazione ad opera del progetto Le antiche vie Mulattiere dell’Acquasantano. Indispensabili per la buona riuscita della residenza sono stati i resident, custod e conoscitor* espert* di questi luoghi, che nonostante il difficile periodo pandemico e le relative zonizzazioni, ci hanno accolto e guidato.
L’arte in questa residenza è stata interpretata come un modo di agire polifonico. Sono stat* coinvolt* artist* divers* per
poetica e professione e invitat* a produrre un lavoro individuale condividendo metodi e fasi di produzione. Questa
comunione di tempi, prassi e spazi -insieme alla guida dei residenti- sono stati fattori essenziali per scongiurare ogni
possibile forma di narcisismo solipsistico, e fondamentali per legare nella relazione coi luoghi ogni opera.
Il fine ultimo di questa esperienza è quello di contribuire a rigenerare l’immaginario dell’Acquasantano attraverso l’arte
quale forma libera di conoscenza intuitiva.

Tutt* gli artist* coinvolt* lavorano principalmente con il medium fotografico. Il duo Marco Verdi e Nicola Domaneschi,
che abitualmente concentra la propria ricerca su fotografia documentaria e sound art, in questa occasione ha deciso
creare un’opera sonora fruibile in quadrifonia (allestita nella sala di Santa Maria del Lago) dal titolo “memorie sfiorate”; il montaggio di suoni materici, registrati sul campo e voci invita a intraprendere un percorso intimo di ricordo. Arianna
Sanesi ha costruito un percorso visuale che lega i simboli e gli attributi dell’antico carnevale degli Zanni di Pozza e Umito agli elementi misteriosi naturali di questi luoghi. Francesca Iovene presenta una serie fotografica in cui ogni immagine è uno stato d’animo, un movimento interiore di ricerca di familiarità e prossimità con lo spazio che diventa “casa”. Al centro dell’opera di Daniele Cinciripini una riflessione sulla relazione tra corpo paesaggio, percezione e
rappresentazione, incarnata tra le valli e le creste dell’Acquasantano. Andrea Alessandrini ha creato un’opera fotografica che come una moderna wunderkammer presenta una collezione di meraviglie immortalate lungo i sentieri. Iacopo Pasqui trae ispirazione da una fantasia di noir per indagare il rapporto uomo/natura e il sentimento di paura che si manifesta nel contatto con l’elemento naturale

Dal 24 settembre al 10 ottobre – Forte Malatesta – Ascoli Piceno

LINK

Marina Alessi +D1 – Ritratti corali

Carlo Gallerati è lieto di presentare +D1 – Ritratti corali, una mostra personale di Marina Alessi a cura
di Manuela De Leonardis. L’evento si inserisce da lunedì 25 a sabato 30 ottobre nel programma della
sesta edizione di RAW (Rome Art Week).
Un ritratto (fotografico) è fatto di tante ‘p’: posa, psicologia, pazienza, professione e professionalità,
protagonisti, punctum… È il risultato dell’attimo in cui si consuma una performance che contiene
una discreta varietà di emozioni e di sfaccettature prismatiche, riflesso della personalità degli attori:
davanti e dietro l’obiettivo. C’è anche chi lo paragona a un passo di danza, quando i soggetti sono
due, presupponendo l’abbraccio, l’armonia, il trasporto e la complicità. Per Roland Barthes è un
campo chiuso di forze. Il noto critico e semiologo francese ne parla in uno dei suoi saggi più noti, La
camera chiara. Nota sulla fotografia (1980). “Quattro immaginari vi s’incontrano, vi si affrontano, vi si
deformano. Davanti all’obbiettivo, io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere,
quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far
mostra della sua arte”. Parole che sono la sintesi eloquente di come la fotografia debba essere
sempre considerata la traccia visibile della soggettività di uno sguardo. Per Marina Alessi quello
sguardo traduce innegabilmente una scelta professionale che risale alla fine degli anni Ottanta, in cui
si è delineato sempre più chiaramente l’orientamento di ricerca nell’ambito autoriale. Ideale
proseguimento della performance fotografica della Black Room, realizzata al MACRO Asilo di Roma
nel novembre 2019, con Legàmi e il precedente Legàmi al femminile, il progetto +D1 – Ritratti corali
entra nello spazio della Galleria Gallerati con una nuova serie di ritratti fotografici che va a
implementare un repertorio che contempla donne, uomini, coppie, famiglie, generazioni a confronto.
La fotografa ha ritratto tra gli altri, solo per citarne alcuni operando una selezione del tutto casuale,
Daniele Di Gennaro, Luca Briasco, Umberto Ambrosoli, Elisa Greco, Amanda Sandrelli, Serena

Iansiti, Emiliano Ponzi, Stefano Cipolla, Chicco Testa, Marco Tardelli, Mario Tronco con tre musicisti
dell’Orchestra di piazza Vittorio, e Sonia (Zhou Fenxia) con la sua famiglia. Volti e corpi che attraverso
il body language – si sfiorano, si abbracciano, si baciano – si fanno portavoce di storie personali che
sconfinano nelle dinamiche psicologiche e sociali, restituendo al contempo il riflesso di un’idea (o di
un ideale) che in parte è anche la traduzione di un dato reale. Ansie, trepidazioni, insicurezze, ma
anche felicità, amore, condivisione, unione… in questi ritratti leggiamo stati d’animo, emozioni più o
meno sfuggenti come raggi proiettati oltre una distanza di grandezze omogenee. È presente,
naturalmente, anche la complicità nell’interazione della fotografa con il suo occhio intransigente e
rigoroso, ma in fondo anche un po’ indulgente. “Ho sempre fotografato persone: “mi piace la
complicità che si crea quando le ritraggo e questa maniera di entrare in punta di piedi nel sentimento,
nel legame. Soprattutto quando si tratta di ritratti di gruppo – famiglie con figli – ragiono molto in
libertà. Non c’è la finzione della messa in posa. Anche per questo i miei ritratti rimangono classici,
non di maniera: ritratti di cuore”. Cercare il punto d’incontro vuol dire mettersi in gioco, sia per i
soggetti che per l’autrice. L’imprevisto è altrettanto importante, perché il momento – l’incontro – non
è mai lo stesso. Può anche capitare che le persone recitino un ruolo, interpreti di un’idea di sé. In
questi casi, pur nella consapevolezza delle strategie che sono in atto, la fotografa asseconda la
volontà altrui. Inizia a fotografare e via via prova a lasciarsi andare in una direzione che chiama
“dimensione di rotondità, di equilibrio geometrico e anche affettivo”. Quello di Alessi non è il
tradizionale affanno nel cogliere illusoriamente ‘l’anima’ del soggetto che è di fronte a lei e al suo
apparecchio fotografico, piuttosto a intercettare il suo sguardo è il momento che, come un’alchimia,

dove la presenza (o l’assenza) della gestualità pone gli attori su un unico piano. “L’incontro è un
luogo neutro per tutti. Usciamo dalla messinscena e dal mostrare”. Diversamente dalla costruzione
del ritratto di famiglia di cui parla anche Annie Ernaux nel romanzo Gli anni (2008), in cui la descrizione
della foto che “inscrive la ‘famigliola’ all’interno di una stabilità di cui lei (quella ‘lei’ è la scrittrice
stessa, immersa nel flusso di ricordi) ha predisposto la prova rassicurante a uso e consumo dei nonni
che ne hanno ricevuto una copia”, il fondale a cui ricorre Marina Alessi, oltre a evitare distrazioni,
riconduce l’immagine all’interno di confini atemporali in cui la sospensione è enfatizzata dall’utilizzo
del linguaggio del bianco e nero. Eppure, alla dilatazione temporale prodotta dall’oggetto-ritratto
fotografico corrisponde la necessità di tempi di lavoro piuttosto veloci, soprattutto quando l’azione
è performante e la tensione del momento incalzante. Un procedimento che la fotografa ha affinato
nel tempo, attraverso l’esperienza quasi decennale dei ritratti fotografici degli scrittori e dei
personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo realizzati per Vanity Fair al Festivaletteratura
di Mantova con la Polaroid Giant Camera 50×60 (banco ottico costruito in soli 5 esemplari nel
mondo) e con la Linhof Technika dotata di lastrine 4×5. Marina Alessi porta fuori la sua ‘scatola vuota’
(ovvero lo studio), munita della fotocamera, del cavalletto, del fondale e del bank (o soft box) che
garantisce una diffusione omogenea della luce e restituisce maggiore dettaglio al soggetto, pur
conservando la qualità luminosa di morbidezza. È lì, in quella zona neutra, che avviene l’incontro. In
fondo, come diceva Irving Penn, “fotografare una persona è avere una storia d’amore, per quanto
breve”. (Manuela De Leonardis)


Dal 14 ottobre al 12 novembre – Galleria Gallerati – Roma

LINK

SULLA TUA PELLE – ALESSANDRO DIDONI

Le cicatrici testimoniano che un evento doloroso è stato superato. Rappresentano l’ultimo gradino di un percorso spesso lungo e difficile. Dimostrano la potenza rigeneratrice della carne, che appena viene deturpata inizia il suo processo di guarigione. Finché il cuore batte e il sangue scorre nelle vene, il corpo non smetterà mai di cicatrizzare le ferite. Metaforicamente simboleggiano la vita e la capacità di superare gli ostacoli. Solamente dopo la morte, una ferita non si rimarginerà e una cicatrice non verrà mai generata.
Le cicatrici raccontano sempre una storia. Offrono un pretesto per affrontare temi importanti come l’identità sessuale, l’accettazione di sé, il bullismo, l’autolesionismo, la violenza (nelle sue varie declinazioni), oppure sono la conseguenza di un incidente stradale o di un’operazione chirurgica non sempre finita bene. Ci ricordano che la carne umana è uguale per tutti: il colore della pelle, il ceto sociale e il sesso non influiscono sul destino di una ferita.
Le cicatrici contribuiscono al crollo dei pregiudizi e meritano rispetto.
In questo progetto il fotografo funge da veicolo, da “mezzo di trasporto” che percorre un viaggio durante il quale invita a salire a bordo i soggetti che incontra. La loro intimità, la loro personalità, le loro storie vissute sono il fulcro del racconto. Le Persone, seppur differenti, entrano a far parte di un coro compatto e armonico, al quale l’autore lascia tutto lo spazio, restando fuori scena.
Ogni virtuosismo stilistico è categoricamente bandito. Il fondale nero, la nudità e il tipo di inquadratura cancellano qualsiasi gerarchia tra i protagonisti ed evidenziano un’autentica semplicità compositiva. L’assenza di post-produzione (soprattutto per quanto riguarda il ritocco della pelle) e di luce “costruita” (quasi sempre naturale) è coerente con questa linea. Le fotografie vogliono essere sincere, crude e dirette.

Dal 24 settembre al 13 ottobre – Spazio Raw – Milano

LINK

Mostre di fotografia da non perdere a Settembre

Buongiorno, eccomi a consigliarvi le mostre da non perdere a Settembre, buona giornata, Anna

Paolo Ventura. Carousel

Dal 17 settembre all’8 dicembre CAMERA ospita Carousel, un percorso all’interno dell’eclettica carriera di Paolo Ventura (Milano, 1968), uno degli artisti italiani più riconosciuti e apprezzati in Italia e all’estero. Dopo aver lavorato per anni come fotografo di moda, all’inizio degli anni Duemila si trasferisce a New York per dedicarsi alla propria ricerca artistica. Sin dalle sue prime opere unisce una grande capacità manuale a una visione poetica del mondo, costruendo scenografie all’interno delle quali prendono vita brevi storie fiabesche e surreali, immortalate poi dalla macchina fotografica. Con «War Souvenir» (2005), rielaborazione delle atmosfere della Prima Guerra Mondiale attraverso piccoli set teatrali e burattini, ottiene i primi importanti riconoscimenti, come l’inserimento all’interno del documentario della BBC «The Genius of Photography» nel 2007. Dopo dieci anni negli Stati Uniti, rientra in Italia dove realizza alcuni dei suoi progetti più celebri, all’interno dei quali mescola fotografia, pittura, scultura e teatro, come ad esempio nella scenografia di «Pagliacci» di Ruggero Leoncavallo, frutto dell’importante collaborazione con il Teatro Regio di Torino, di cui CAMERA ha esposto alcuni lavori preparatori a gennaio 2017.

In quest’occasione le sale di CAMERA ospitano alcune delle opere più suggestive degli ultimi quindici anni – provenienti da svariate collezioni, oltre che dallo studio dell’artista – in un’assoluta commistione di linguaggi che comprende disegni, modellini, scenografie, maschere di cartapesta e costumi teatrali. Non si tratta, tuttavia, di un percorso lineare né di una retrospettiva, quanto piuttosto di una messa in scena di tutti i temi ricorrenti della sua poetica, fra i quali spiccano quello del doppio e della finzione. In mostra anche due progetti inediti: «Grazia Ricevuta» e il lavoro che Paolo Ventura sta realizzando a seguito di una residenza presso l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma, avviata grazie alla collaborazione fra CAMERA e l’ente ministeriale.

In occasione della mostra sarà pubblicato un volume edito da Silvana Editoriale che ripercorre le tappe salienti della ricerca dell’artista.

Dal 17 settembre all’8 dicembre CAMERA – Torino

LINK

LETIZIA BATTAGLIA. STORIE DI STRADA

Arriva ad Ancona la mostra “Letizia Battaglia. Storie di strada”, in programma alla Mole Vanvitelliana, dal 25/07/2020  al 15/01/2021.

Storie di strada”, una grande retrospettiva con oltre 300 fotografie che ricostruiscono per tappe e temi la straordinaria vita professionale di  Letizia BattagliaPromossa dal Comune di Ancona,  Assessorato alla Cultura, l’esposizione, che ha già toccato con successo Milano, propone circa  300 fotografie, molte delle quali inedite.
La mostra continua a completare un percorso espositivo che il Comune di Ancona e Civita hanno voluto dedicare ai grandi maestri della fotografia del Novecento e contemporanea.

“Ancona ospita alla Mole una mostra che era in procinto di arrivare all’inizio del 2020 – spiega l‘assessore alla Cultura e Turismo, Paolo Marasca – . L’Amministrazione ha deciso, con grande spirito di reazione e di consapevolezza, di programmarla comunque al momento della ripresa delle attività, perché è una mostra che parla di vita, di sfide, di relazioni, di tenacia e di un Paese complesso e difficile.

Ma anche perché riprendere da una grande mostra, da un grandissimo evento di portata nazionale e di altissima valenza sociale, è un segnale per tutto il territorio. Non ci sarebbe stata artista più adatta, perché Letizia Battaglia parla ai sentimenti e al cuore, e lo fa consenso critico e grande passione. Devo personalmente ringraziare tutto lo staff del Comune e della Mole che ha contribuito ad un evento così importante, in così poco tempo, e con le difficoltà di questi mesi. Davvero delle persone appassionate e meravigliose.”

L’esposizione

 
Storie di strada” attraversa l’intera vita professionale della fotografa siciliana, e si sviluppa lungo un articolato percorso narrativo costruito su diversi capitoli e tematiche. I ritratti di donne, di uomini o di animali, o di bimbi, sono solo alcuni capitoli che compongono la rassegna; a questi si aggiungono quelli sulle città come Palermo, e quindi sulla politica, sulla vita, sulla morte e sull’amore, e due filmati che approfondiscono la sua vicenda umana e artistica. Il percorso espositivo si focalizza sugli argomenti che hanno costruito la cifra espressiva più caratteristica dell’artista, che l’ha portata a fare una profonda e continua critica sociale, evitando i luoghi comuni e mettendo in discussione i presupposti visivi della cultura contemporanea. Quello che ne risulta è un vero ritratto, quello di un’intellettuale controcorrente, ma anche una fotografa poetica e politica, una donna che si interessa di ciò che la circonda e di quello che, lontano da lei, la incuriosisce.
Come ha avuto modo di ricordare la stessa Battaglia, La fotografia l’ho vissuta come documento, come interpretazione e come altro ancora […]. L’ho vissuta come salvezza e come verità”. “Io sono una persona – afferma ancora – non sono una fotografa. Sono una persona che fotografa.”.

Quelle che il progetto della mostra si propone di esporre – afferma Francesca Alfano Miglietti curatrice della mostra – del percorso di Letizia Battaglia, sono ‘forme d’attenzione’: qualcosa che viene prima ancora delle sue fotografie, perché Letizia Battaglia si è interrogata su tutto ciò che cadeva sotto al suo sguardo, fosse un omicidio o un bambino, uno scorcio o un raduno, una persona oppure un cielo. Guardare è stata la sua attività principale, che si è ‘materializzata’ in straordinarie immagini”.

dal 25/07/2020  al 15/01/2021 – Ancona – Mole Vanvitelliana

LINK

UNDER COVID di Gianmarco Maraviglia

Gianmarco Maraviglia


Mostra fotografica di Gianmarco Maraviglia
a cura di Chiara Oggioni Tiepolo

Inaugurazione – 15 settembre 2020, ore 19.00
In esposizione – dal 15 al 24 settembre 2020

E’ come se qualcosa si fosse inceppato e poi rotto. Rotto il tempo, la realtà, le abitudini. Il senso di libertà, la leggerezza, una certa arroganza nel dare per scontata la vita, perfino. Quella vita.
Poi è arrivato il giorno in cui è cambiato tutto. Stroncata la spensieratezza, annullata una gestualità tipicamente italica, spazzato via lo scorrere “normale” delle consuetudini e delle giornate. Ci si è scoperti vulnerabili, l’universo tutto da conquistare si è rimpicciolito fino a entrare all’interno delle pareti domestiche. Polverizzate le certezze, spogliate le impalcature, ci si è stretti alle uniche sicurezze ancora solide.
Si è aspettato, come se fossimo rinchiusi in un bunker, che un’entità altra ci desse nuovamente il via libera. Si è affidata la nostra esistenza prima a un bollettino, poi alle tecnologie. La parola “controllo” ha assunto le tinte rassicuranti di un mantello di protezione.
E infine la riapertura. Evviva. Ecco dunque tutti riversarsi in strada, con la fretta l’urgenza di riappropriarsi del tempo che fu, la necessità quasi fisica di convincersi che fosse tutto finito, passato, pronto a essere dimenticato.
Eppure. Abbiamo fatto finta che non fosse successo niente, volevamo che non fosse successo niente. Ma qualcosa continua a non funzionare. Ed è solo adesso, probabilmente, ora che le emozioni si depositano e sedimentano, che abbiamo il coraggio e la lucidità di comprendere quanto davvero quella frattura del normale si sia fissata dentro di noi in maniera irreversibile.
Gianmarco Maraviglia ha voluto raccontare il “suo” covid, in una narrazione a metà fra il racconto intimo e l’indagine fotogiornalistica, pur evitando la dimensione più dettagliata della malattia. Ma anche lui si è ritrovato di fronte al dilemma del “disallineamento”. Come rappresentare e
sintetizzare dunque visivamente il cambio di piano sequenza del reale che le nostre esistenze hanno subito? Nasce così il glitch, l’errore di sistema. Immagini di “matrixiana” suggestione che lasciano aperto un interrogativo sul nostro futuro prossimo.

Ingresso gratuito contingentato a max 20 persone contemporaneamente
ZONA K è un’associazione culturale con attività riservate ai soci. Per accedere alla mostra occorre inviare la richiesta tesseramento almeno 24 ore prima sul sito http://www.zonak.it, costo tessera € 2,00.

Dal 15 al 24 settembre – MILANO – Zona K

LINK

OLIVO BARBIERI. EARLY WORKS 1980-1984

Dopo i mesi difficili che Bergamo ha vissuto a causa della pandemia, la Fondazione MIA, nel rispetto delle norme e dei protocolli, ha deciso di proporre per l’estate 2020 la mostra fotografica che negli anni è diventata per la città un appuntamento fisso e molto seguito, anche come segno di rinascita e di ripartenza attraverso la cultura. 

L’esposizione presenta per la prima volta insieme 35 fotografie realizzate dal grande autore emiliano agli inizi degli anni Ottanta raffiguranti prevalentemente l’Italia, dai grandi centri urbani alle piccole città, colte nei momenti di vita quotidiana dei suoi abitanti

Un’occasione unica per scoprire la serie cult di immagini, quasi interamente inedita, da cui è iniziato il fortunato percorso artistico di Olivo Barbieri, che ha segnato una stagione straordinaria della fotografia italiana. Alcune delle immagini esposte hanno fatto parte di Viaggio in Italia, il progetto ideato nel 1984 da Luigi Ghirri – ancora oggi considerato un manifesto per le nuove generazioni – che, riunendo venti giovani fotografi di allora, ha lavorato alla possibile ridefinizione dell’idea di paesaggio e contemporaneamente a un ripensamento del fatto fotografico.

Viaggio in Italia ha rappresentato una svolta decisiva per la fotografia italiana, e non solo, segnando un profondo mutamento all’interno di questo linguaggio, di cui Barbieri è stato uno dei protagonisti più incisivi. 

Spiega lo stesso autore: «Queste mie immagini raccontano di luoghi fino ad allora poco rappresentati. Sono state esposte in parecchie personali e collettive ma non sono mai state raccolte e pubblicate in modo organico. Sono immagini di poco prima che tutto fosse fotografato e vorticosamente divulgato. Prima del web e dei telefonini».

«La nostra attenzione per i margini, per le periferie, fu anche una reazione esasperata da quell’attenzione istituzionale eccessiva sul centro storico come cliché, come cartolina… Si voleva uscire dal museo, dalla scenografia classica, scavalcare la quinta teatrale.»

Nelle opere in mostra si ritrovano già tutti gli elementi e i temi che nei decenni successivi Barbieri ha continuato a sviluppare con i suoi progetti: l’illuminazione artificiale nella città contemporanea, le vedute dall’alto, gli interni delle abitazioni e dei bar, i segni nel paesaggio.

Una ricerca complessa, che si è sviluppata in un continuo transito di linguaggi, attraversamenti temporali di e con discipline diverse, al fine di stimolare interpretazioni e riflessioni per una lettura aperta del mondo e dell’opera stessa dell’autore.

Scrive Corrado Benigni nel testo del catalogo edito da Silvana Editoriale: «Come il concetto di paesaggio, il lavoro di Barbieri non si lascia interamente ricondurre a direzioni interpretative troppo definite, mantenendo un proprio grado di autonomia, di resistenza. Attraverso la sottile ambiguità delle sue immagini, il maestro emiliano ci insegna come sia necessario guardare moltiplicando i punti di vista dentro e fuori di noi, per vedere in modo più consapevole ciò che è indefinitamente vero».

Arricchisce l’esposizione una serie di fotografie di grandi dimensioni realizzate dall’alto su quattro grandi metropoli, Roma, Napoli, Pechino, appartenenti all’ultimo periodo della produzione di Olivo Barbieri.

Dal 26 giugno al 31 ottobre – Monastero di Astino – Bergamo

LINK

Le mostre di PHEST 2020

Diverse e di grande effetto le location, vecchie e nuove, individuate dagli organizzatori per la V edizione di PhEST – festival internazionale di fotografia e arte a Monopoli in programma dal 7 agosto al 1° novembre. Organizzato dall’associazione culturale PhEST, il festival ha la direzione artistica di Giovanni Troilo e la curatela fotografica di Arianna Rinaldo. Un’edizione che si è immediatamente contraddistinta per la ferma volontà degli organizzatori e degli amministratori locali di rendere la fruizione delle mostre completamente sicura e gratuita per tutti, con la scelta di location tutte all’esterno per questa edizione dedicata alla Terra, nel senso di pianeta, ma anche di mondo contadino e riscoperta del suo valore, per aiutarci a ritrovare l’essenza delle cose e il contatto con la terra per ripartire da essa.
Nella nostra passeggiata virtuale abbiamo deciso di iniziare dalla zona “sud” del centro città dove si trova lo skate park a ridosso del mare con il progetto fotografico di Inka & Niclas, 4K ULTRA HD. Camminando poi verso Cala Porta vecchia si incontra l’isolotto su cui campeggiano le foto di Jan Erik Waider, North Landscapes, dedicate agli iceberg, mentre sul fondo marino è allestita la mostra subacqueaSee the sea you usually don’t see dedicata ai pesci notturni con gli scatti di David Doubilet e Jennifer Hayes e realizzata in collaborazione con National Geographic. Di fronte, l’antica muraglia è stata scelta per stupire i visitatori con la gigantografia del ghiacciaio Antartide- Il continente bianco e i suoi contrasti inaspettati di Igor Gvozdovskyy. Tornando appena indietro, andando verso la città nuova, la parete accanto al Kambusa su Largo Portavecchia è lì che aspetta i visitatori con il murale appena realizzato da Millo dal titolo Beyond the Sea. Sul Belvedere di Porta Vecchia si trovano invece Land(e)scape, progetto realizzato su commissione dell’azienda di abbigliamento di Martina Franca, Hevò, e Ciril Jazbec con il suo The Ice Stupas.
Passeggiando sul lungomare Santa Maria si incontrano invece due mostre-installazioni allestite sul muretto prima e dopo il bastione: Dillon Marsh (Gallery Momo) con il suo Counting the Costs e Solmaz Daryani con The Eyes of the Earth.
Si arriva quindi al Castello Carlo V, unica eccezione in interni sempre ad ingresso gratuito, voluta dal Comune che ne avrà in carico la gestione anche per quanto riguarda i controlli anticovid, dove PhEST ha allestito due mostre fotografiche: La nuda vita di Antoine d’Agata (Magnum Photos) e No agua, no vida di John Trotter,  cui si aggiungono le video installazioni di Endri Dani, Poiein, Simon Norfolk, When I Am Laid in Earth, e Luca Locatelli, 2050. All’interno del Castello si trova anche l’arte di Giorgio di Palma con la sua Eredità. Sui frangiflutti davanti al Castello è allestito invece il lavoro commissariato da Tormaresca a Piero Percoco: Calafuria – The Rainbow is Underestimated.
Andando verso il Porto Vecchio, sul molo Margherita arrivando fino al Faro Rosso ci sono due mostre, Imagined Homeland di Sharbendu De e Mezzogiorno di Marco Zanella, cui si aggiunge The Future of Farming di Luca Locatelli allestita sui new jersey sul  filo del mare. Sulle pareti del Porto Vecchio campeggeranno invece le fotografie di Ground Contol il lavoro di Roselena Ramistella realizzato su commissione di PhEST e dedicato ai contadini e alle contadine pugliesi.
Incamminandosi quindi dal Porto vecchio verso piazza Vittorio Emanuele si trova via Garibaldi con l’allestimento sospeso tra i balconi delle case di Earth calls PhEST con foto courtesy di Google Earth. Arrivati quindi in piazza Vittorio Emanuele si possono ammirare i coloratissimi insetti Micro Beauty in pvc calpestabile in gigantografia di Igor Siwanowicz. Per completare il circuito e non dimenticare nessuna delle 24 mostre allestite a Monopoli ci sono ancora due tappe da fare: piazza Palmieri dove su una struttura poligonale realizzata appositamente per PhEST si trova Ustica di Jacob Balzani Lööv / Premio PHMuseum Grant. In piazzetta S.Maria un grande planisfero metterà in mostra una selezione degli scatti arrivati in queste settimane da tutto il mondo da chi ha risposto alla social call internazionale #PhESTchiamaTERRA.
Infine, in piazzetta Garibaldi, all’Info point turistico del Comune di Monopoli – Sala dei pescatori, dove tra l’altro sono esposte le foto di Piero Martinello protagoniste del primo progetto speciale del festival di Monopoli, ci sarà un corner PhEST per la distribuzione dei percorsi per le mostre e la vendita di gadget PhEST .
E se avete paura di perdervi, non vi preoccupate. In giro per la città non mancherà la segnaletica stradale, orizzontale e verticale, con il giallo PhEST che indicherà ai visitatori la direzione da seguire per non perdere nessuna delle mostre, indicando anche la giusta distanza da mantenere per godere al meglio della loro visione oltre che fruirne in sicurezza rispettando la normativa anti-Covid19.
Da non perdere, poi, nelle giornate inaugurali le visite guidate con distanziamento che saranno seguite da 4 artisti che hanno garantito la loro presenza e i numerosi eventi collaterali come la proiezione su waterscreen per la serata inaugurale, la musica in filodiffusione da un peschereccio al Porto Vecchio in collaborazione con Time Zones e le performance di Music of the plants in largo castello (in allegato il programma completo). 
E per chi volesse approfondire la conoscenza degli autori e dei loro lavori PhEST ha inserito sui pannelli di presentazione di ciascuna mostra un QR code con contenuti extra in grado di raccontare le mostre ai visitatori.
 
Anche quest’anno il Festival ha ricevuto il sostegno e il patrocinio di numerosi soggetti istituzionali a partire dall’Assessorato all’Industria Turistica e Culturale della Regione Puglia nell’ambito del FESR – FSE 2014/2020 e di Teatro Pubblico Pugliese e PugliaPromozione tra le azioni realizzate d’intesa e finalizzate alla valorizzazione, promozione e comunicazione della Puglia come destinazione turistica e culturale.
E ancora di Piiil Cultura – Piano strategico della Cultura della Regione Puglia, del Comune di Monopoli e il patrocinio dell’Apulia Film Commission, dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale e del Politecnico di Bari.

Dal 07 Agosto 2020 al 01 Novembre 2020 – LECCE – sedi varie

LINK

MARIO CRESCI. LA LUCE, LA TRACCIA, LA FORMA

Fondazione Modena Arti Visive è lieta di presentare La luce, la traccia, la forma, personale di Mario Cresci (Chiavari, 1942) a cura di Chiara Dall’Olio. Per l’occasione l’artista ha ideato, all’interno della sede espositiva di Palazzo Santa Margherita, un allestimento composto da opere realizzate con linguaggi differenti e tecniche sperimentali, che da sempre connotano la sua cifra stilistica.
 
Mario Cresci è autore, fin dagli anni Settanta, di opere eclettiche caratterizzate da una libertà di ricerca che attraversa il disegno, la fotografia, il video, l’installazione, il site specific. Il suo lavoro si è sempre rivolto a una continua investigazione sulla natura del linguaggio visivo attraverso il mezzo fotografico usato come pretesto opposto al concetto di veridicità del reale.
 
Fondazione Modena Arti Visive ha invitato l’artista a creare un dialogo con la mostra L’impronta del reale. W. H. Fox Talbot alle origini della fotografia che contemporaneamente le Gallerie Estensi, in collaborazione con FMAV, dedicano al noto fotografo inglese, inventore della fotografia su carta, e ai procedimenti di riproduzione delle immagini. Mario Cresci si è ispirato alle origini della fotografia come traccia creata dalla luce e ha selezionato per La luce, la traccia, la forma una serie di opere che evidenziano il suo interesse per l’incisione e più in generale per il “segno” che fin dal primo momento è stato, in senso più ampio, un tema costante della sua ricerca artistica. Come sottolinea Cresci, prima dell’invenzione della fotografia, le immagini venivano diffuse attraverso l’uso della tecnica calcografica, ovvero attraverso delle lastre di rame incise con le tecniche dell’acquaforte e del bulino. Con l’avvento del dagherrotipo è la luce che impressiona la lastra metallica sostituendosi alla mano dell’artista e, poco tempo dopo, sarà Talbot a inventare il negativo su supporto cartaceo.
 
In occasione della mostra, l’artista riprende un lavoro fatto nel 2011 per l’Istituto Centrale per la Grafica di Roma, che si focalizzava in parte sui segni incisi da Giovanni Battista Piranesi, Annibale Carracci e Luigi Calamatta, analizzati attraverso opere video e scatti fotografici capaci di disvelarne la matericità nel rapporto con la lastra di rame. In mostra, Cresci espone i Rivelati (Roma 2010), tre inclinazioni diverse della lastra che rivelano tre “diverse” immagini modificate dalla luce della “Madonna della Seggiola” di Raffaello, incisa al bulino da Calamatta nel 1863. Integra la serie con macro prelievi estratti dalle fotografie (realizzate ad hoc da Alfredo Corrao all’inizio 2020) delle lastre dei tre incisori. Queste elaborazioni di Cresci manifestano la loro natura di opere d’arte autonome generando, attraverso tracce e segni, altre opere, utilizzando riproduzioni di riproduzioni della realtà, in un continuo circolo interpretativo e creativo. Nel video Tre focus su Piranesi (Roma 2011-Bergamo 2020), l’artista ha invece operato per sottrazione isolando, a partire da una macrofotografia, i solchi del bulino incisi da Piranesi intorno al 1745 sulle lastre di rame dalla serie “Le Carceri”. Cresci trasforma i segni incisi in segni luminosi in movimento che si sommano ridefinendo il disegno originario, operando così un’analisi della percezione visiva attraverso i suoi componenti elementari: le linee.
 
Al centro dello spazio espositivo, la grande teca retroilluminata contiene l’opera Alterazione del quadrato, dalla serie “Geometria non euclidea” (Venezia, 1964), sequenza di immagini su pellicola auto-positiva, dove la riflessione di Cresci si concentra sullo spostamento del punto di vista, sull’esperienza della percezione e sulla sua ambiguità, e lo fa ricorrendo ancora una volta alla geometria, struttura elementare dell’analisi, punto di partenza di molti dei suoi lavori.
 
Tra le opere in mostra è significativo anche il dittico Autoritratto, dalla serie “Attraverso la traccia” (Bergamo, 2010) realizzato usando la superficie specchiante del retro di un “grande rame” che, modificata dall’ossidazione del tempo, restituisce un’immagine alterata della figura. Un gesto simbolico quello dell’intervento di Mario Cresci perché in questo caso è la fotografia a “incidere” la lastra di rame: un omaggio a quello sperimentalismo che caratterizzò l’invenzione della fotografia fin dalla sua comparsa nel mondo dell’arte.
 
dal 12 settembre 2020 al 10 gennaio 2021 – Modena Sala Grande di Palazzo Santa Margherita.

LINK

JACOPO BENASSI. VUOTO

Venticinque anni di fotografia al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, nella prima personale in un museo dedicata a Jacopo Benassi: con la mostra Vuoto, a cura di Elena Magini, dall’8 settembre al 1 novembre 2020 il museo di Prato offre uno sguardo sul lavoro potente, personalissimo, privo di mediazioni, del fotografo spezzino.
 
Dallo studio dell’artista parzialmente ricreato all’interno della mostra alle sale del Centro Pecci, il progetto espositivo si sviluppa in una spazialità dilatata che accoglie alcune delle serie e dei lavori più significativi dell’autore, e si riversa anche negli spazi cittadini, in cui la mostra viene annunciata da un progetto site specific di affissioni.
 
La sua prima fotografia è quella di un gruppo punk in un centro sociale: dalla fine degli anni Ottanta Jacopo Benassi si forma nell’alveo della cultura underground spezzina, sviluppando nel tempo uno stile particolare fatto di mancanza di profondità di campo e flash; una fotografia cruda, vera, pur nella totale mancanza di luce reale: un atto forzato, un evento creato dall’artista in cui lo scatto perfetto non esiste.
 
I soggetti di Benassi sono i più disparati, dall’umanità che abita la cultura underground e musicale internazionale (a partire dall’esperienza del club Btomic, gestito dallo stesso fotografo con alcuni amici) a ritratti di modelle, attrici, artisti, stilisti pubblicati nelle più importanti riviste italiane, fino all’indagine sul corpo, che varia dalla documentazione autobiografica di incontri sessuali, allo sguardo intenso sulla statuaria antica e che può essere considerato il “filo rosso” della sua produzione pantagruelica.
Un posto speciale nell’opera di Benassi è occupato dall’autoritratto, spesso legato al suo percorso performativo: la sperimentazione sulla performance, sua o di altri, si lega costantemente alla musica e viene sempre mediata dall’immagine fotografica, soggetto e oggetto della sua ricerca.
 
In mostra vengono presentate anche opere inedite legate all’interesse di Benassi per l’editoria e la produzione di libri; proprio da un lavoro editoriale in via di pubblicazione nasce la serie The Belt, progetto sul distretto industriale di Prato in collaborazione con l’Archivio Manteco, che oltre a essere esposto è protagonista delle affissioni pubbliche in città nei giorni precedenti alla mostra.
Con The Belt,dal 31 agosto le attività, gli strumenti, gli uomini e le donne che animano il distretto tessile pratesediventano i soggetti delle immagini esposte su grandi cartelloni pubblicitari in vari punti della città. La scelta di anticipare la mostra con una campagna di affissioni pubbliche che presenta il lavoro di Benassi su Prato e le sue fabbriche, risponde all’interesse del museo ad uscire dalle sue mura e a cercare un rapporto più dinamico e diretto con la comunità cittadina.
 
Il titolo della mostra – Vuoto – richiama la specifica sensazione dell’autore rispetto alla sua produzione, un desiderio di mettersi a nudo, tirando fuori da sé tutto, in un percorso di auto-esposizione pubblica.
In questa mostra il fotografo si concede interamente allo spettatore, consegnando il suo studio, i suoi strumenti, il panorama creativo che l’accompagna nella gestazione del lavoro, l’insieme degli scatti che danno vita a un’indagine ventennale sui temi dell’identità, della notte, del lavoro.
Un atto di apertura verso l’esterno che costituisce un punto zero nella carriera dell’artista e, di contro, una possibile rinascita. 

Dal 08 Settembre 2020 al 01 Novembre 2020 – Prato – Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci

LINK

Fase Gardaland – Giulia Mozzini

“Fase Gardaland”: è il titolo della serie di 12 fotografie pensate, scattate ed editate da Giulia Mozzini, vincitrice del Concorso Europeo di Fotografia “Ginko Raw Edition”, ed. 2020 La serie viene presentata nell’omonima mostra, curata da Anna Mola, che si tiene presso lo Spazio Raw di Milano dal 3 al 15 settembre.
Dopo interminabili mesi di lockdown, necessari e dovuti al coronavirus, l’Italia comincia a riaprirsi lentamente. E in un caldo sabato di metà giugno, riapre anche il luogo concettualmente più lontano dalla morte, dalla malattia, dall’isolamento, cioè Gardaland: il parco divertimenti tra i più conosciuti al mondo, un luogo topico nell’infanzia di ognuno di noi.
Un posto simbolico e caro a Giulia durante tutta la sua crescita. Quel sabato lei non poteva mancare, accompagnata dalla sua fedele compagna di vita: la macchina fotografica.
In poche ore realizza l’intera serie – di cui abbiamo selezionato le 12 immagini in esposizione. Con il suo stile pulito ed evocativo e una palette di colori caldi e brillanti, l’autrice coglie perfettamente l’atmosfera di quella particolare giornata e ce la descrive così: “Le lunghe ore di fila per salire sulle attrazioni sono ormai un lontano ricordo: si prenota il proprio turno in coda con l’app per evitare gli assembramenti. Ogni attrazione viene disinfettata alla fine di ogni corsa. Sul pavimento e sui sedili delle giostre sono attaccati tanti piccoli bollini gialli, sulle panchine è stato fissato un divisorio, giallo anche lui, per garantire l’allontanamento sociale. Le strade del parco, un tempo affollate di gente e riempite dalle grida di gioia e adrenalina, ora sono deserte. C’è un silenzio assordante e troppo spazio vuoto, si può sentire il rumore echeggiante delle ruote delle montagne russe
che corrono sui binari”.
Questo servizio fotografico ci restituisce una visione quasi surreale di questo luogo così conosciuto anche per le grandi folle di pubblico che è in grado di attirare. Le immagini raccontano tutta la solitudine, l’immobilità e la desolazione della prima metà del 2020 e stridono ideologicamente con le giostre, i fast food a tema e le statue di personaggi fantastici. Oltre a tutto questo, però, troviamo anche qualcos’altro: la voglia di ricominciare, con le dovute precauzioni ma anche con un ritrovato desiderio di svago e di relax.
Il titolo “Fase Gardaland” ha l’intento di richiamare alla mente le varie fasi” di uscita dal lockdown con l’aggiunta del nome del famoso parco: protagonista di queste foto e simbolo del graduale ritorno alla normalità e – perché no? – di un nuovo weekend di puro divertimento e spensieratezza anche se coperti con le mascherine e muniti di gel igienizzante.

dal 3 al 15 settembre 2020 – Spazio Raw – Milano

LINK

MILANO PHOTOFESTIVAL 2020. XV EDIZIONE – SCENARI, ORIZZONTI, SFIDE. IL MONDO CHE CAMBIA

E’ un inedito palcoscenico autunnale quello pronto ad accogliere  la quindicesima edizione di Photofestival, la rassegna di fotografia d’autore che tradizionalmente anima la primavera culturale milanese: dopo la decisione di rinviare la manifestazione dal 7 settembre al 15 novembre 2020 a causa dell’emergenza coronavirus, questa edizione assume un significato importante, perché rappresenta un’occasione di ripartenza per la città e per la sua linfa vitale culturale.

Il titolo della rassegna – Scenari, orizzonti, sfide. Il mondo che cambia.”– è imprevedibilmente il grande tema di questo momento storico così unico e straordinario, che ha lasciato un segno indelebile nelle nostre vite, cambiando approcci e percezioni.

In questi mesi l’organizzazione di Photofestival, sotto la direzione artistica di Roberto Mutti, si è impegnata per offrire una proposta all’altezza delle aspettative, nonostante le molte difficoltà organizzative e finanziarie legate a questo periodo così complesso, e grazie al lavoro collettivo svolto con operatori, galleristi e autori, che hanno creduto nel progetto, è ora in grado di annunciare un programma di ottimo livello, per numeri e qualità delle proposte.

Sono 140 le mostre fotografiche previste in oltre due mesi di programmazione, inserite in un circuito capillare che abbraccia l’intera Città Metropolitana di Milano, sino a toccare alcune Province lombarde: Lecco, Monza, Pavia e Varese.
Gli spazi espositivi del festival includono gli ambiti ufficiali di gallerie d’arte, musei, biblioteche e sedi municipali, ma anche spazi non istituzionali come negozi e show-room. Caposaldo del circuito è – ancora una volta – il “Palazzo della Fotografia” di Photofestival, Palazzo Castiglioni di Confcommercio Milano, che ospiterà alcune mostre del programma.

All’insegna dell’inclusività, come di consueto,anche il programma espositivo della manifestazione, che spazia tra personali e collettive di autori di fama e talenti emergenti.

Dal 07 Settembre 2020 al 15 Novembre 2020 – Sedi varie

LINK

SINE DIE. LA FOTOGRAFIA NEL TEMPO DELL’ISOLAMENTO CREATIVO

La mostra SINE DIE, promossa e realizzata dalla Fondazione OELLE Mediterraneo antico e co-organizzata dal Comune di Catania nelle sale del Palazzo della Cultura, ripercorre attraverso lo sguardo di oltre 100 autori le complesse dinamiche sociali che il mondo sta vivendo quotidianamente al tempo del Coronavirus.

Stampate in formato 50×70 cm e ciascuna abbinata a un testo dell’autore, le 122 fotografie selezionate in mostra si susseguono nelle sale del Palazzo della Cultura di Catania tra immagini iconiche ed emozionanti. A partire dalla testimonianza da Bergamo di Mario Cresci (Chiavari, 1942), un maestro che la fotografia l’ha reinventata, elevandola al rango di arte visiva. Fino ad arrivare allo scatto di Michael Christopher Brown (Skagit Valley, Washington, 1978), il famoso fotoreporter americano per National Geographic, Time, New York Times Magazine.

“Tra gli scatti più toccanti in mostra c’è l’autoscatto di un mio caro amico, Fabio Pagliara (Segretario Generale della Federazione Italiana di Atletica Leggera) che ha contratto il Covid-19, e si è voluto mostrare senza filtri durante la sua malattia, trasmettendo con il suo sguardo, dolcemente spaventato, l’essenza di un tempo senza fine” afferma Ornella Laneri. 

Ogni autore in è in mostra con una fotografia e un proprio scritto (una poesia, un pensiero, un saggio breve), entrambi scaturiti dal tempo per la riflessione che ha portato con sé il lockdown. Con esiti sorprendenti, gli autori coinvolti (molti artisti professionisti) hanno prodotto dei lavori fuori dai tradizionali schemi, ricorrendo a sperimentazioni dagli esiti sorprendenti, con uno sguardo obliquo sull’attualità stra-ordinaria che stiamo vivendo. “Paradossalmente i lavori più ordinati li hanno prodotti gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Catania, invitati nella sezione Academy Young”, dichiara Carmelo Nicosia.

La scelta di esporre fotografie e testi intende sottolineare lo stretto legame che intercorre, sin dalla loro invenzione, tra questi due linguaggi. Un grande esempio, al riguardo, fu offerto dal grande fotografo e regista Robert Louis Frank (1924-2019), con opere memorabili nelle quali il segno e la parola determinavano nella fotografia un flusso spazio-temporale assolutamente tipico di quella sua generazione.

La mostra è aperta dal 18 luglio al 04 ottobre 2020, tutti i giorni, orario 09.00-19.00, a ingresso libero, ed è accompagnata da un catalogo, a cura di Carmelo Nicosia, edito dalla Fondazione OELLE.

Gli autori in mostra sono: Abati Andrea, Alessandra Noemi, Allia Erika, Antoci Rosario, Arcoria Antonio, Argentino Gabriele, Attanasio Sergio, Bagalà Miriana, Baldaro Roberta, Barbagallo Ignazio, Barone Giulia, Bella Sara, Biasini Selvaggi Cesare, Blanco Tiziana, Bonanno Alfio, Borzì Bernasconi Fabrice, Brogna Sonnino Giovanna e Aldo Premoli, Bronzino Mario, Brown Michael Cristopher, Calabrese Ramona, Caramma Cristina Rita, Cardillo Carmen, Carlino Ilaria, Carracchia Francesco, Cassaro Giulia, Castilletti Claudio, Chiara Federica, Chindemi Giuseppe, Clienti Kiki, Condorelli Giuseppe, Costanzo Ezio, Costanzo Stefania, Cremona Paolo, Cresci Mario, Crostella Elisa, Currò Cecilia, Cuscunà Martina, Daddabbo Laura, Del Zoppo Annita, Di Fini Giorgio, Di Giovanni Francesco, Distefano Marzio, Donetti Marta, Emmanuele Marco, Faia Monica, Fazio Nicolò, Feoli Ilaria, Ferrara Paolo, Foti Andrea, Frazzetto Giuseppe, Gentiluomo Noemi, Grasso Roberta, Gualtieri Davide, Guarnera Roberta, Gucciardello Enrico, Ilaria Francesco, Iodice Angelo, Kong Filippo, Labozzetta Antonia, Lanzo Melissa, Lawaert Koen, Li Greci Valentina, Liggera Egidio, Lisi Paolo, Lo Monaco Agata, Luciano Maria, Lucifora Francesco,Maffi Maria Chiara e Giancamilli Chiara, Magagnin Luca, Magrì Irene, Mangione Contarini Carmelo, Mariani Michela, Massimi Arianna, Mendoza Ryan, Merendino Teresa, Militello Alice, Miroddi Valentina, Nicosia Carmelo, Nicotra Giovanni, Nicotra Simona, Nobile Irene, Pagliara Fabio, Paladino Luana, Papa Filippo, Pascale Giorgia con Introduzione del Prof. Bruno Cacopardo, Piano Ivan, Piccari Virgilio, Pirri Alfredo, Platania Saverio, Praticò Anna, Privitera Roberto, Ranno Samuele, Reale Gianluca, Ricca Letizia, Rizzo Alessandro, Roccaro Andrea, Rossano Mainieri Tiziano, Salomone Claudia, Sangiorgio Chiara, Santarlasci Andrea, Scala Fabiana, Scavo Simona, Scudero Vincenzo, Severini Giuliano, Sofi Annalisa, Spitale Alessandro, Tabellini Alex, Tabita Alessia, Terranova Ivan, Testa Iannilli Lucrezia, Tittaferrante Futura, Torrisi Simona, Tripiciano Pietro, Tudisco Tracy, Tusa Anna, Valisano Andrea, Vecchio Miriam, Villa Fabrizio e Antonello Piraneo, Zamparo Roberto, Zangarella Simona, Zucco Aldo.  

Dal 18 Luglio 2020 al 04 Ottobre 2020 – Catania – Palazzo della Cultura

D’ESTATE

Hanno aperto i loro archivi. Inseguito memorie e ricordi di estati lontane, visioni perdute, atmosfere dimenticate: spiagge solitarie e campagne battute dal sole; l’esuberanza dei fiori selvaggi e il rassicurante raccolto di un campo di zucche, il profilo dei vulcani all’orizzonte e al tramonto, lo scatto onirico di palme e pini marittimi che, con la loro ombra allungata, quasi accarezzano il blu del mare.

Nella stagione più incerta e inquieta di quest’epoca contemporanea, sei fotografi – Giuseppe Cuttitta, Nino Giaramidaro, Melo Minnella, Giovanni Pepi, Carmelo Petrone e Angelo Pitrone – sei straordinari “pittori di luce” ci consegnano “D’Estate”, mostra fotografica della FAM Gallery di Agrigento, dal 7 agosto e fino al 4 ottobre. 
Inaugurazione sabato 7, ore 20.

Da un’idea di Paolo Minacori, patron della galleria di Agrigento, una piccola mostra che è un pretesto per guardarci indietro e guardarci dentro, scoprendo – forse – come fossero perfettamente straordinari i banali giorni qualunque di appena qualche mese fa. “Queste foto – scrive nella presentazione Giovanni Pepi – esprimono le pulsioni di un tempo imprevisto, forse un’epoca nuova. Quello del Covid. Misterioso e despota. Ignoto e predatore. Quanti non si chiedevano, ancora pochi mesi fa, nell’incertezza, che cosa sarebbe stata la nostra estate? Delle loro estati gli autori di questi fanno vedere quanto avrebbero voluto vivere. Hanno ripescato visioni perdute, atmosfere dimenticate, paesaggi e colori, folle e solitudini di mare, spiagge fascinose, colori di campagne battute dal sole, paesaggi ora smaglianti ora ombrosi, fiori coltivati e selvaggi, alberi possenti ed esili rami, rossi, tramonti infuocati e grigi pomeriggi, giochi notturni di luci e riflessi. Nel tempo buio la fotografia rivelava il suo valore. Facendo vivere e rivivere desideri impediti”.

Per accedere alla sala espositiva occorre essere muniti di mascherina e seguire il percorso obbligatorio – indicato dalla segnaletica – in ossequio alle norme anti-covid.

Dal 07 Agosto 2020 al 04 Ottobre 2020 – AGRIGENTO –  FAM Gallery

L’ADIEU DES GLACIERS, IL MONTE ROSA: RICERCA FOTOGRAFICA E SCIENTIFICA

Un viaggio iconografico e scientifico tra i ghiacciai dei principali Quattromila della Valle d’Aosta per raccontare la storia delle loro trasformazioni. E’ questo il cuore del progetto L’Adieu des glaciers: ricerca fotografica e scientifica, prodotto dal Forte di Bard, che si traduce in un approfondito lavoro di studio attorno al Monte Rosa, al Cervino, al Gran Paradiso e al Monte Bianco. Il progetto si sviluppa nell’arco di quattro anni, uno per ciascuna realtà fisica e culturale connotativa della piccola regione alpina. Coinvolti nella realizzazione numerosi enti ed istituzioni. Prima tappa di questo tour sarà il massiccio del Monte Rosa. Nel 2021 sarà la volta del Cervino, nel 2022 toccherà al Gran Paradiso per concludere nel 2023, con il Monte Bianco.

Per la mostra Il Monte Rosa: ricerca fotografica e scientifica, che sarà aperta al pubblico nelle sale delle Cannoniere dal 1° agosto 2020 al 6 gennaio 2021, il Forte di Bard si è affidato per la cura degli aspetti fotografici a Enrico Peyrot, fotografo e ricercatore storico-fotografico e, per la cura degli aspetti scientifici, a Michele Freppaz, professore del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino. L’apporto dei contenuti scientifici è stato condotto in  collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano, la Cabina di Regia dei Ghiacciai Valdostani, la Fondazione Montagna Sicura, l’Arpa Valle d’Aosta, l’Archivio Scientifico e Tecnologico Università Torino (Astut), il Centro Interdipartimentale sui rischi naturali in ambiente montano e collinare, il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino e con il professor Marco Giardino, segretario generale del Comitato Glaciologico Italiano e il professor Piergiorgio Montarolo, direttore dell’Istituto Scientifico Angelo Mosso.

«Crediamo profondamente che il Forte di Bard debba diventare il luogo in cui la ricerca e le tematiche che a vario titolo ruotano attorno alla montagna, si incontrano per trovare una  originale espressione anche attraverso la declinazione delle arti – spiega la Presidente del Forte di Bard, Ornella Badery -. Le prospettive per il Forte di Bard sono di essere un vero e proprio laboratorio di analisi delle trasformazioni climatiche, ambientali e antropiche in atto sulle  principali aree d’alta quota  della Valle. Il progetto si tradurrà in quattro grandi mostre e in occasioni di incontro e approfondimento aperti al territorio, al mondo scientifico e artistico, e al grande pubblico oltre che alle scuole. Un progetto complesso, frutto di un lavoro di squadra tra studiosi ed esperti, che consente al Forte di recuperare la sua originaria vocazione di centro internazionale di studio e interpretazione sulla montagna».

La mostra Il Monte Rosa: ricerca fotografica e scientifica, che gode del patrocinio della FAO-Mountain Partnership, presenta 100 opere fotografiche connotative di documentazioni scientifiche e/o artistiche. Un dialogo iconografico nel sedimento della cultura fotografica alpina, carico di suggestioni tra passato e presente. L’identità glaciale del Monte Rosa viene presentata attraverso un corpus di fotografie inedite che raffigurano ambienti naturali e antropizzati, contesti e sodalizi storico-culturali, imprese scientifiche.
Il progetto si avvale di opere di autorevoli autori e selezionate fotografie realizzate nel corso degli ultimi 150 anni e attualmente collezionate presso Enti pubblici, Università, Centri di ricerca, Associazioni, Fondazioni e privati. L’esposizione offre l’opportunità di apprezzare la qualità materico-fotografica delle stampe sia storiche che contemporanee, frutto di specifiche procedure, strumentazioni e materiali messi in opera – in ripresa – nelle alte valli che nascono dal Monte Rosa.

«Il duplice binario scientifico e fotografico della mostra descrive il fascino degli ambienti glaciali, unici e straordinari, ma anche la loro estrema fragilità – evidenzia il Direttore del Forte di Bard, Maria Cristina Ronc –. L’osservazione che ci siamo posti e che proponiamo all’attento pubblico del Forte attraverso un panorama di immagini straordinarie e inedite, è una riflessione tramite la bellezza sullo scenario fisico e naturale di un mondo che cambia, si depaupera dei suoi elementi fondanti per l’arco alpino e che presuppone un’umanità senza mondo rispetto al principio di sentirsi “a casa propria nel mondo”. E’ stato un appassionante e complesso lavoro di ricerca, condotto anche nel recupero dell’altrettanto fragile patrimonio fotografico».

I ghiacciai rispondono in modo diretto e rapido al cambiamento climatico modificando la propria massa e le proprie caratteristiche morfologiche e dinamiche: progressivo arretramento delle fronti glaciali, incremento delle zone crepacciate, formazione di depressioni e di laghi sulla superficie, aumento dell’instabilità di seracchi pensili. Dal termine della Piccola Età Glaciale (fase di espansione dei ghiacciai Alpini protrattasi dal 1300 al 1850 circa), la superficie dei ghiacciai dell’arco alpino si è ridotta di circa 2/3. In 30 anni (dagli anni ’80 ad oggi) la superficie dei ghiacciai italiani si è ridotta del 40%, mentre il numero dei ghiacciai è aumentato a causa dell’intensa frammentazione dei ghiacciai più grandi che riducendosi si dividono in singoli ghiacciai più piccoli. Monitorare le variazioni glaciali, consente da un lato di documentare l’impatto dei cambiamenti climatici e dall’altro di valutarne gli effetti sul territorio, con particolare attenzione agli elementi di fragilità che contraddistinguono le aree montane.

Dal 01 Agosto 2020 al 06 Gennaio 2021 – AOSTA Forte di Bard

LINK

Il lavoro a Livorno NONOSTANTE il COVID 19

In una doppia mostra le foto selezionate del concorso fotografico.

Le immagini saranno esposte in formato macro, 24 ore su 24, in piazza Anita Garibaldi (anche nei week end di Effetto Venezia) e poi in piazza del Luogo Pio e, in formato più piccolo, negli spazi espositivi della Fondazione Carlo Laviosa in via della Posta, 44.

“Il lavoro a Livorno nonostante il Covid 19” era il titolo del concorso fotografico promosso dalla Fondazione Carlo Laviosa e dal Comune di Livorno. Si trattava del terzo concorso fotografico, ma quello di quest’anno era davvero particolare perché si svolgeva poco dopo la fine del lockdown e rappresentava uno dei primissimi eventi dedicati alla cultura a Livorno. Il concorso era rivolto a tutti: fotoamatori e professionisti, e gli scatti dovevano raccontare il lavoro di tutti coloro che in tanti settori non si sono mai fermati, consentendo alla città di andare avanti.

Il progetto espositivo si svolgerà in due modalità e con una nota speciale, anche perché una parte sarà all’aperto, quindi non nella consueta sede museale di Villa Mimbelli, ma in piazza Anita Garibaldi (adiacente a piazza del Luogo Pio). Le foto, in questa prima modalità, saranno in grande formato su pannelli fissi e visitabili per il periodo di Effetto Venezia 24 ore su 24  e dal 31 agosto al 4 ottobre in piazza del Luogo Pio sempre 24 ore su 24.

Le stesse immagini (in formato più piccolo) saranno oggetto di una mostra che aprirà il 21 agosto (ore 21.30) negli spazi espositivi della Fondazione Carlo Laviosa (via della Posta, 44). In questa sede l’esposizione proseguirà, a ingresso gratuito, fino al 4 ottobre (solo il venerdì, sabato e domenica).

Dal 21 agosto al 4 ottobre – LIVORNO

LINK

Mostre di fotografia da non perdere a luglio

Ed eccoci anche questo mese al nostro appuntamento fisso con le mostre per il mese di luglio. Davvero interessanti.

E non dimenticate di dare un’occhiata alla nostra pagina sempre aggiornata.

Ciao, Anna

Larry Fink “Unbridled Curiosity” e Jacopo Benassi “Crack”

Con la programmazione estiva, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia lancia il nuovo format espositivo CAMERA DOPPIA: due mostre allestite in contemporanea negli spazi della galleria principale di Via Delle Rosine 18 a Torino che mettono in dialogo e a confronto due autori, diversi per generazioni e formazione, accomunati dall’approccio al linguaggio. In questo modo gli artisti in mostra riflettono dunque sulle sfumature e sugli utilizzi del mezzo fotografico e delle sue potenzialità di osservazione dei fenomeni che caratterizzano la società odierna.

Per il primo appuntamento di CAMERA DOPPIA, che aprirà al pubblico giovedì 18 luglio 2019, il direttore di CAMERA Walter Guadagnini ha curato la mostra antologica di Larry Fink (Brooklyn, New York, 1941), Unbridled Curiosity e il progetto di Jacopo Benassi (La Spezia, 1970) intitolato Crack. Le mostre – entrambe prodotte da “Fotografia Europea” di Reggio Emilia – presentano diversi aspetti comuni, sia dal punto di vista tematico che da quello specificamente fotografico: gli autori, infatti, utilizzano unicamente il bianco e nero e adottano l’uso del flash per focalizzare l’attenzione sul soggetto della rappresentazione, esaltandone atmosfera, forma e contenuto.

Nell’antologica del fotografo americano Larry Fink sono presentate oltre novanta immagini, realizzate tra gli anni Sessanta e oggi, che saranno esposte nelle prime cinque sale di CAMERA. La selezione in bianco e nero e di grande potenza estetica, mira a evidenziare quei legami tra le persone e tra le persone e i luoghi che Fink, nel corso di tutta la sua carriera, ha saputo immortalare con occhio attento e “sfrenata curiosità”, mischiandosi ai contesti, rubando momenti di intimità e mettendo in evidenza l’anima dei soggetti ritratti. Le grandi battaglie civili, i party esclusivi tra Hollywood e i grandi musei, la vita rurale, le palestre pugilistiche: nulla sfugge all’obiettivo di Fink. La mia vita è una cascata di rivelazioni empatiche – commenta Larry Fink. Una vita spesa cercando di costruire ponti tra le classi, le fatiche, i piaceri e le paure del dolore. Una vita trascorsa ad accumulare immagini che attestano un senso di meraviglia sensuale e sociale. Questo spettacolo è un viaggio sconnesso attraverso molte esperienze e sensazioni. È una testimonianza di curiosità sfrenata (Unbridled Curiosity).

Nella Sala Grande e nel lungo corridoio di CAMERA, invece, verranno allestite le sessanta immagini che compongono Crack, progetto che Jacopo Benassi ha realizzato mettendo al centro della sua riflessione il rapporto tra classicità e contemporaneità nei corpi e nei legami che gli individui instaurano con uomini e ambienti. Crack – commenta Walter Guadagnini – è un atlante del corpo, elaborato tra gli estremi della plastica antica e della flagranza fisica contemporanea. Il risultato è la sottolineatura non solo della decadenza in agguato tanto per il corpo umano quanto per il corpo scolpito, ma anche, e forse più, della possibilità di ricomposizione delle fratture, delle rotture e del fascino che anche questi elementi assumono nella nostra lettura del corpo e della forma. A tale visione concorrono anche l’incorniciatura delle singole opere e l’intero, sorprendente allestimento della mostra, che sono parte integrante del progetto espositivo e caricano le immagini di un’ulteriore, vitale tensione.  

La mostra è prodotta in collaborazione con Fondazione Nazionale della Danza – Aterballetto.

Le due mostre – commenta Walter Guadagnini, curatore delle mostre e direttore di CAMERA – segnano la costante attenzione di CAMERA alla produzione artistica contemporanea e la sua capacità di guardare sia alla scena italiana che a quella internazionale.

18 luglio 2019 – 29 settembre 2019 – Camera Centro Italiano per la Fotografia – Torino

Tutti i dettagli qua

Emiliano Mancuso. Una diversa bellezza. Italia 2003 – 2018

L’esposizione è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale -Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali ed è prodotta e organizzata da Officine Fotografiche con Zona, PCM Studio, Postcart edizioni in accordo con la famiglia di Emiliano Mancuso, ed è realizzata con il supporto di Digital Imaging partner di Canon.

La mostra è a cura di Renata Ferri che ha selezionato quattro differenti corpi di lavoro realizzati lungo l’arco di quindici anni in cui emerge un’umanità dolente, un’Italia ferita alla costante ricerca della sua identità in un perenne oscillare tra la conferma dello stereotipo e la cartolina malinconica.

Emiliano Mancuso ha usato tecniche e linguaggi diversi: bianco e nero, colore, immagini digitali o analogiche. E le polaroid, importanti poiché nella loro immediatezza accompagnano il passaggio dell’autore dall’immagine fissa a quella in movimento che lo porterà, nell’ultima parte della sua vita, a essere regista. Senza abbandonare il suo terreno d’indagine, semmai amplificandolo grazie all’audio e al video, Emiliano Mancuso traccia un paese intessuto di microstorie, di esperienze che ci appaiono nude nella loro sincerità.

In mostra saranno esposti i principali lavori di Emiliano Mancuso:

Terre di Sud (2003-2008): un progetto fotografico sul Mezzogiorno che, nell’epoca della globalizzazione, si trova ancora a fare i conti con i vecchi termini della “questione meridionale”. Dal lavoro è stato realizzato un libro, Terre di Sud, pubblicato nel 2008 dalla casa editrice Postcart.

Stato d’Italia (2008-2011): un viaggio lungo tre anni attraverso l’Italia, alla ricerca di storie, cronache e volti della crisi economica e sociale: gli sbarchi di Lampedusa, Rosarno e la rivolta dei braccianti africani, i ragazzi di Taranto assediati dai fumi delle acciaierie Ilva. Anche questo lavoro è diventato un libro, Stato d’Italia, pubblicato nel 2011 da Postcart.

Il Diario di Felix (2016): è un lavoro realizzato a Casa Felix, la casa famiglia di Roma dove vengono ospitati sia minori del circuito penale che scontano misure alternative al carcere, sia minori civili. Il Diario di Felix racconta l’ultimo anno di permanenza all’interno della struttura di un gruppo di otto ragazzi.

Le Cicale (2018, co-regia di Federico Romano): è un viaggio intimo della vita di quattro persone, già andate in pensione o in procinto di andarci, e il loro barcamenarsi per riuscire ad avere delle condizioni di vita dignitose nonostante una vita di lavoro.

In esposizione circa 150 fotografie.

I differenti capitoli della mostra sono accompagnati dai testi di Lucia Annunziata, Domenico Starnone e di Mimmo Lombezzi, oltre che della curatrice Renata Ferri, con le traduzioni in inglese di Francesca Povoledo.

14 giugno – 6 ottobre 2019 – Museo di Roma in Trastevere

Tutti i dettagli qua

Sally Mann – A Thousand Crossings

For more than forty years, Sally Mann (born 1951) has been taking hauntingly beautiful experimental photographs that explore the essential themes of existence: memory, desire, mortality, family, and nature’s overwhelming indifference towards mankind. What gives unity to this vast corpus of portraits, still lifes, landscapes and miscellaneous studies is that it is the product of one place, the southern United States.

Sally Mann was born in Lexington, Virginia. Many years ago she wrote about what it means to live in the South; drawing on a deep love for that area and a profound awareness of its complex historical heritage, she raised bold, thought-provoking questions – about history, identity, race and religion – that went beyond geographical and national boundaries.

This exhibition is the first major retrospective of the eminent artist’s work; it examines her relationship with her native region and how it has shaped her work. The retrospective is arranged in five parts and features many previously unknown or unpublished works. It is both an overview of four decades of the artist’s work and a thoughtful analysis of how the legacy of the South – at once, homeland and cemetery, refuge and battlefield – is reflected in her work as a powerful and disturbing force that continues to shape the identity and the reality of an entire country.

from 18 June 2019 until 22 September 2019 – Jeu de Paume Concorde, Paris

All details here

FEDERICO PATELLANI. DA MONZA VERSO IL MONDO

Una ragazza sorridente che «sbuca» dalla prima pagina del Corriere della Sera il giorno della proclamazione della Repubblica, nel giugno 1946. Una foto-icona che racconta la speranza di un Paese che guarda avanti dopo il fascismo e la guerra. L’autore è monzese, Federico Patellani, classe 1911, maestro del fotogiornalismo italiano.

In Arengario dal 26 maggio. A lui è dedicata la mostra «Federico Patellani. Da Monza verso il mondo», a cura di Giovanna Calvenzi e Kitti Bolognesi, all’Arengario dal 26 maggio al 28 luglio (inaugurazione sabato 25 maggio alle ore 18).

La storia della costruzione dell’identità italiana. Il suo lavoro, commentano il Sindaco e l’Assessore alla Cultura, a oltre quarant’anni dalla sua morte, conserva ancora uno sguardo attuale e testimonia gli sforzi compiuti dagli italiani per la costruzione di un’identità comune, fatta di molti intrecci, sfumature culturali e di costume. La mostra consentirà ai monzesi di scoprire un fotografo eccezionale e, nel contempo, di presentare in Arengario un evento di altissima qualità culturale.

Il «giornalista nuova formula». Federico Patellani, uno dei più importanti fotografi italiani del XX secolo, è stato il primo fotogiornalista italiano. Già nel 1943 aveva indicato come doveva essere il «giornalista nuova formula»: un giornalista che, oltre a scrivere i testi, sapesse anche realizzare immagini «viventi, attuali, palpitanti». Patellani si avvicina alla fotografia dopo la laurea in Legge, durante il servizio militare in Africa nel 1935, quando documenta con una Leica le operazioni del Genio Militare italiano. Dal 1939 collabora con il settimanale “Tempo” di Alberto Mondadori che si rifaceva all’esperienza dell’americano «Life» adattato alla realtà italiana. Sensibile e colto narratore, testimone puntuale della società italiana, Patellani (scomparso a Milano nel 1977) racconta senza retorica l’Italia nel dopoguerra, che cerca di dimenticare il passato recente e di ritrovare le proprie radici, ma narra anche la ripresa economica di un Paese che sta cambiando pelle, passando da contadino a industriale, la moda, il costume e la vita culturale.

L’Italia in cento scatti. Le curatrici hanno selezionato dal Fondo conservato presso il Museo di Fotografia Contemporanea di Milano-Cinisello Balsamo, costituito da quasi 700 mila immagini tra stampe originali, negativi, diapositive e provini a contatto, un centinaio di fotografie in bianco e nero che meglio rappresentano le tappe fondamentali della carriera di Patellani dalla fine della Seconda guerra mondiale alla metà degli anni Sessanta, quando il fotografo si dedicò soprattutto alla fotografia di viaggio. Il percorso espositivo è suddiviso in sezioni che rappresentano i temi più importanti della sua produzione: la distruzione delle città italiane alla fine della Seconda guerra mondiale, la ricostruzione e la ripresa economica, il sud Italia e la Sardegna, la nascita dei concorsi di bellezza e la ripresa del cinema italiano, i ritratti dei più importanti intellettuali del Novecento come Benedetto Croce, Thomas Mann, Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, Elio Vittorini, Bruno Munari. E grazie all’amicizia con registi e produttori come Carlo Ponti, Mario Soldati, Dino De Laurentiis e Alberto Lattuada, realizza servizi fotografici sui set di importanti film italiani e internazionali e ritrae alcuni tra i volti più noti del cinema: da Totò ad Anna Magnani, da Gina Lollobrigida a Silvana Mangano, da Vittorio De Sica a Luchino Visconti e da Sophia Loren a Roberto Rossellini.

La Monza del dopoguerra. Una sezione è dedicata alle fotografie di Monza. Alcune immagini inedite, che raccontano la città, le gite domenicali al Canale Villoresi, il Parco e l’Autodromo negli anni del dopoguerra, eleganti servizi di moda in Villa Reale e l’amico e artista monzese Leonardo Spreafico, ritratto nel suo studio

L’omaggio a «Stromboli». Infine un omaggio al film di Roberto Rossellini «Stromboli. Terra di Dio», a quasi settant’anni dalla sua uscita: a fianco degli straordinari ritratti di Ingrid Bergman e del regista, una bacheca con le pagine del servizio pubblicato da «Tempo» nel 1949, che documentano la realizzazione del film, i luoghi e i protagonisti, insieme ai provini delle immagini che raccontano il metodo di lavoro di Patellani.

Dal 25 Maggio 2019 al 28 Luglio 2019 – Arengario Monza

Le mostre di Cortona On The Move

Torna anche quest’anno il famoso festival di Cortona con una nuova edizione e dun nuovo tema.  Il focus di quest’anno si muove attorno al rapporto tra gli umani e il paesaggio. La natura e l’ambiente sono parole chiavi ai giorni nostri. Sia nell’ambito delle problematiche ecologiche e urgenti che vanno affrontate, che in relazione alla situazione economico-sociale mondiale, il territorio è un protagonista centrale del vivere umano.

Il festival quest’anno ospita mostre di Simon Norfolk, Paolo Verzone, Diana Markosian, Gideon Mendel e Nadia Bseiso, tra le altre. Trovate il programma completo e con tutte le location qua.

Dall’11’luglio al 29 settembre – Cortona sedi varie

The Red Road Project – Carlotta Cardana e Danielle SeeWalker

Sage Honga, 22 (at time of photograph), of the Hualapai tribe, earned the title of 1st attendant in the 2012 Miss Native American USA pageant. From that point forward, she has been encouraging Native youth to travel off the reservation to explore opportunities. In Native American culture, knowledge is power and the youth are encouraged to leave the reservations, receive an education and then come home to give back to your people. Sage continues to speak to youth focusing on four fundamental principles: traditionalism, spirituality, contemporary issues and education. Sage stands at the base of the Grand Canyon in waters that are sacred to her people. She wears a traditional, hand-made dress and natural make-up on her face.

Il Museo del Paesaggio di Verbania presenta presso gli spazi di Villa Giulia a Verbania Pallanza The Red Road Project”, un progetto della fotografa Carlotta Cardana e dell’artista Lakota Danielle SeeWalker.

La mostra, curata e prodotta da Fonderia 20.9 di Verona, mette al centro il rapporto tra identità della comunità, cultura e paesaggio, nello specifico con una rilettura del complesso legame odierno dei nativi d’America con la loro terra e la cultura tradizionale. Circa 70 opere, tra immagini d’archivio e fotografie realizzate appositamente per il progetto, esplorano e documentano il rapporto tra la cultura tradizionale dei nativi americani e l’identità delle popolazioni tribali di oggi, in un viaggio tra diversi stati USA.

IL PROGETTO DI RICERCA ARTISTICA SECONDO LE AUTRICI

Costituendo appena l’1% della popolazione americana totale, i nativi americani vivono spesso ai margini e la loro voce non viene ascoltata. Hanno subito, e subiscono tuttora, una sorta di segregazione forzata occupando gli ultimi posti della società americana secondo tutti gli indicatori, dal tasso di disoccupazione dell’88 per cento, alla seconda più bassa aspettativa di vita al mondo. Non è azzardato affermare che le riserve indiane siano “isole di Terzo mondo” all’interno della più grande potenza economica mondiale. Tossicodipendenza, alcolismo, abusi sessuali, povertà, criminalità e i più alti tassi di suicidio nel Paese sono solo alcune delle conseguenze di secoli di oppressione e continui tentativi di assimilazione.

The Red Road Project  (La Strada Rossa) vuole esplorare il rapporto tra la cultura tradizionale dei nativi americani e l’identità delle popolazioni tribali di oggi, attraverso un viaggio in North Dakota, South Dakota, Wyoming, Nevada, Colorado, Arizona, New Mexico, California, Louisiana, North Carolina.

Il titolo di questo progetto si riferisce agli insegnamenti che incoraggiano a seguire “la strada rossa”, ovvero procedere verso un cambiamento positivo nonostante un contesto avverso, ed è per questo ancora più sorprendente lo sforzo dei nativi per migliorare le condizioni delle comunità e riconquistare la propria identità. Il legame con la terra, con la lingua e le tradizioni sono solo alcuni degli strumenti utilizzati per il processo di legittimazione e di miglioramento.

La mostra, oltre a guardare alla condizione attuale dei nativi americani, racconta anche alcuni fatti storici come quello delle “boarding schools”, i collegi in cui venivano mandati i bambini indiani, tra la fine del diciottesimo e inizio del diciannovesimo secolo, fino al compimento della maggiore età. Operando in base al motto “uccidi l’indiano, ma salva l’uomo”, queste scuole hanno causato la quasi totale perdita delle tradizioni e della lingua.

DAL 09/06/2019 AL 29/09/2019 – Museo del Paesaggio – Verbania

Tutti i dettagli qua

SOTTO LA TENDA DI ABRAMO – DEIR MAR MUSA EL-HABASCI – Ivo Saglietti

La mostra racconta, attraverso le immagini di Ivo Saglietti, la vita e le giornate all’interno dell’antico monastero siro antiocheno Deir Mar Musa el-Habasci (San Mosè l’Abissino), un luogo dove tutte le comunità religiose si possono incontrare, creando dei momenti comuni di dialogo e di preghiera. Alla ricostruzione del monastero, voluto fortemente da Padre Paolo Dall’Oglio, hanno partecipato sia musulmani che cristiani.

“Il tuo modo di fotografare è un vivere assieme, nella luce normale del quotidiano, dal mattino, alla sera, alle candele della notte, senza schermi, riflettori e lampi. La tua macchina fotografica è discreta, rumore quasi zero. Ma non è per rubare le immagini; è piuttosto per riceverle con cortesia e affetto. I tuoi scatti non sono quelli d’un fotoreporter, ma quelli d’un compagno di strada che diventa amico”.

Questo breve passo tratto da una lettera di Padre Paolo Dall’Oglio a Ivo Saglietti, ci fa capire pienamente il rapporto venutosi a creare tra l’autore e la comunità presente nel Monastero.

Orario mostra tutti i giorni 10-18

dal 13 luglio all’08 agosto 2019 – Forte di Santa Tecla – Sanremo

Il mondo nell’obiettivo – I fotografi delle Ong

Il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’autore di Bibbiena (AR), ente nato per volontà della FIAF, la storica Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, presenta la mostra fotografica “Il Mondo nell’obiettivo. I fotografi delle Ong” curata da Claudio Pastrone in collaborazione con Giovana Calvenzi e Giuseppe Frangi. L’esposizione si terrà da sabato 15 giugno a domenica 8 settembre 2019 presso il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena (Via delle Monache 2) con inaugurazione il 15 giugno alle ore 17.30 e preceduta, alle ore 16.00, da un incontro-dibattito presieduto da Giuseppe Frangi della rivista VITA, organo di informazione di riferimento per le maggiori Ong italiane, con la partecipazione di rappresentanti delle Ong, dei fotografi e dei curatori per parlare delle opere esposte e delle motivazioni che le hanno fatte nascere.

“Mai come in questi tempi il tema delle Organizzazioni non governative è stato al centro dell’attenzione pubblica- scrive Giuseppe Frangi, che ha realizzato l’opera di scouting dei lavori in mostra -. È un’attenzione che spesso ha assunto toni polemici e verbalmente violenti, che finisce con il relegare in secondo piano il lavoro capillare e sistematico che la cooperazione italiana continua a svolgere in contesti difficili e marginali.

È un’azione meritoria, sia a livello sociale che culturale, che tra le sue ricadute ha anche quella di tenere aperti canali di conoscenza con aree dimenticate del mondo. In molti casi questo è anzi un impegno prioritario di cui le Ong si fanno carico, come dimostra la mostra proposta dal Centro italiano di fotografia. Sono decine i fotografi che in questi anni recenti, grazie all’appoggio delle organizzazioni, hanno documentato contesti ed emergenze dimenticati. Non si tratta semplicemente di testimoniare con le immagini i progetti che gli enti di cooperazione hanno realizzato. L’obiettivo è sempre più largo, al punto che questi reportage finiscono con lo svolgere quasi una funzione di supplenza rispetto ad una grande informazione, sia carta stampata che televisiva, che hanno sempre più ridotto impegno ed investimenti rispetto all’informazione internazionale. Il risultato è stato quello di ridurre le conoscenze e di alimentare inevitabilmente una cultura dell’indifferenza.

Le Ong invece hanno continuato ad investire, pur in tempi non semplici, nella documentazione soprattutto visiva, mostrando in particolare una grande fiducia nello strumento fotografico. La fotografia nella sua oggettività garantisce uno sguardo ravvicinato e fedele; è anche coinvolgente e quindi capace di mobilitare le coscienze rispetto a situazioni che richiedono un impegno diffuso. I fotografi delle Ong infatti mettono in campo professionalità, passione e anche un’adesione solidale agli obiettivi delle Ong, ben riconoscibile nei lavori presentati a Bibbiena.”

La mostra vede coinvolte le Ong e i fotografi:

•             ActionAid (fotografi Alessandro Serranò e Marco Gualazzini)             Amref (fotografe Diana Bagnoli e Valentina Tamborra)

             Amref (fotografe Diana Bagnoli e Valentina Tamborra)

•             AVSI (fotografi Stefano Schirato e Andrea Signori)

•             AVSI  – CHE ARTE (fotografo Tanino Musso)

•             CIAI (fotografi Studio14photo: Marco Sartori, Andrea Arcidiacono e dei fotografi Massimiliano Pescarolo e Alessandro Castiglioni)

•             COOPI ( fotografo Abdoulaye Barry)

•             Emergency ( fotografo Mario Dondero)

•             Fondazione Francesca Rava – Nph Italia (fotografo Stefano Guindani)

•             Funima International (fotografo Giovanni Marrozzini)

•             Save the Children (fotografi Francesco Alesi e Giancarlo Ceraudo)

•             WeWorld (fotografa Isabella Balena)

15 giugno – 8 settembre 2019  – CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore

Altre info qua

A CERTAIN BLOOM – Kristina Bengtsson

A certain bloom è una mostra di Kristina Bengtsson presso Fonderia 20.9 a Verona. La mostra è a cura di Paola Paleari ed è la prima presentazione personale dell’artista svedese in Italia.
Nella sua pratica, Bengtsson spesso esplora lo spazio residuo tra le categorie razionali prestabilite che adottiamo per orientarci nella nostra vita quotidiana. La mostra indaga nozioni quali il romanticismo, il tempo, la natura e l’artificio – concetti creati dall’uomo, e quindi altamente soggettivi e aperti all’interpretazione.
Presso Fonderia 20.9 viene presentata una selezione di lavori, in origine realizzati individualmente e in momenti diversi, che qui si uniscono in un concerto di voci orchestrate per l’occasione. Combinando fotografia, scultura, scrittura e suono, A certain bloom suggerisce che il modo in cui definiamo le cose non dovrebbe influenzare ciò che esse sono realmente.

21.6 – 13.7.2019 – Fonderia 20.9 – Verona

Altre info qua

Nicholas Dominic Talvolta – Model 3255

Fotografia in pellicole 35mm, registrazioni analogiche, musica dal vivo.
Installazione con tromba, synth analogico e anni di registrazioni con micro-cassette che si mescolano per creare una colonna sonora dal vivo e permettere agli ospiti di vedere le fotografie durante l’inaugurazione della mostra.

Dal 15 giugno al 5 luglio – Spazio Raw – Milano
Altre info qua

Mostre per giugno

Mostre fantastiche vi aspettano a giugno. Ce n’è davvero per soddisfare ogni palato. Non perdetevele!

E qua trovate anche tutte le altre mostre in corso.

Anna

Paolo Pellegrin – Confini di Umanità

La mostra fotografica, realizzata appositamente per Pistoia – Dialoghi sull’uomo, propone sessanta scatti, in parte inediti, di uno dei fotografi più apprezzati nel panorama mondiale, grazie al suo impegno e all’innovativa estetica documentaria. Realizzate in Algeria, Egitto, Kurdistan, Palestina, Iraq e Stati Uniti, le immagini sono accompagnate da un video dello stesso Paolo Pellegrin, realizzato in America per indagare le linee razziali che ancora dividono il Paese, confini invisibili ma ancor più insormontabili di quelli fisici. Le immagini coprono un arco temporale di quasi trent’anni, sviluppando, per sottrazione e opposizione, l’impervio percorso della convivenza, ostacolata da muri, guerre, mari in tempesta e deserti, ovvero tutte le frontiere, naturali e artificiali, visibili e invisibili, che dividono, imprigionano e isolano gli esseri umani. La mostra ci conduce dunque lungo i confini dell’umanità, per mostrare lo sforzo continuo, ma necessario, alla base della convivenza. Catalogo edito da Contrasto.

dal 24 maggio al 30 giugno – Palazzo Comunale Pistoia

Tutti i dettagli qua

David La Chapelle

La mostra è una grande monografica di David LaChapelle, uno dei più noti fotografi e registi contemporanei a livello mondiale.

I suoi soggetti sono celebrities (i fratelli Michael e Janet Jackson, Hillary Clinton e Muhammad Ali, Jeff Koons e Madonna, Uma Thurman e David Bowie…), insieme agli scatti delle sue recentissime ricerche che lo hanno portato a sviluppare una dimensione più privata e filosofica, i valori assoluti.

La religione, la sensualità e la sessualità, il passare del tempo, il rispetto per la natura: il tutto è svolto nella maniera onirica, linguaggio tipico del fotografo americano, ma che sempre fa i conti con la dimensione reale perché, al contrario delle apparenze, tutto ciò che compare in queste immagini è il frutto di una ricostruzione reale, molto lontana dalle ricostruzioni digitali.

Dal 14 giugno al 6 gennaio 2020 – Citroniera delle Scuiderie Juvarriane – Reggia di Venaria (TO)

Altre info qua

Giostre! Storie, immagini, giochi

Completamente dedicata alla fantasiosa iconografia delle giostre, questa mostra, sfaccettata e divertente, è anche pensosa, e vuole suscitare nel pubblico un vero e proprio effetto-giostra, tra il gioco più semplice e genuino che rimanda all’infanzia e la riflessione sulla vita, sul tempo che passa, sul mondo che gira, sul destino.

A proporla (Palazzo Roverella, dal 23 marzo al 30 giugno 2019) è la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo insieme al Comune di Rovigo e all’ Accademia dei Concordi, per la cura di Roberta Valtorta, con la collaborazione di Mario Finazzi per il percorso riservato alla pittura.

“Il Polesine, anticipa il Presidente della Fondazione, prof. Gilberto Muraro, è da sempre terra di giostre e giostrai. Qui, e in particolare nel territorio di Bergantino, vengono realizzate giostre destinate ai parchi di divertimento e agli spettacoli viaggianti di tutto il mondo. Ed è con il Museo della Giostra e dello Spettacolo Popolare di Bergantino che questa nostra mostra idealmente si coniuga. In una unione complementare: il Museo indaga il passato di una grande tradizione. La mostra legge il tema della giostra in chiave soprattutto sociale, affidandosi a grandi fotografi e a grandi artisti che l’hanno declinato nelle loro opere”.
In mostra, infatti, vengono proposte immagini di giostre grandi e piccole, così come sono state raffigurate soprattutto in fotografia, ma anche in pittura, grafica, nei numerosissimi giocattoli, nei modellini, fino ai carillon. Presenti in mostra anche “pezzi” di antiche giostre come organi e cavalli di legno.
La struttura della giostra è stata infatti ampiamente rappresentata in mille forme di straordinari giocattoli meccanici per bambini ma anche per adulti, dalle forme articolate e varie, talvolta carillon, talvolta orologi e soprammobili, divenuti nel tempo oggetto di collezionismo.

L’ampia sezione di fotografie comprende opere di più di sessanta importanti fotografi dall’Ottocento a oggi. Tra questi, le immagini ottocentesche di Celestino Degoix e di Arnoux; quella della Parigi dell’inizio del Novecento di Eugène Atget e dei Frères Seeberger; le fotografie degli anni Quaranta-Sessanta di Henri Cartier Bresson, Mario Cattaneo, Cesare Colombo, Bruce Davidson, Robert Doisneau, Eliot Erwitt, Izis, Mario Giacomelli, Paolo Monti, Willy Ronis, Lamberto Vitali, David Seymour; per l’epoca contemporanea, le immagini di Bruno Barbey, Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, John Batho, René Burri, Stefano Cerio, Raymond Depardon, Luigi Ghirri, Paolo Gioli, Guido Guidi, Jitka Hanzlovà, Guy Le Querrec, Raffaela Mariniello, Bernard Plossu, Pietro Privitera, Francesco Radino, Ferdinando Scianna.

La mostra è arricchita da una selezione di importanti opere pittoriche e da manifesti di fiere di paese e sagre popolari. Importante l’installazione dell’artista contemporanea Stephen Wilks “Donkey Roundabout” e il film di Adriano Sforza “Jodi delle giostre”, vincitore del David di Donatello 2011.

dal 23 marzo al 30 giugno 2019 – Palazzo Roverella – Rovigo

Altre info qua

Jessica Backhaus – A trilogy

Mutty, in collaborazione con Micamera presenta la mostra A Trilogy di Jessica Backhaus.
Una mostra che investiga i temi universali delle origini, dei desideri, dell’identità e del destino. Basandosi sulla sua storia personale, l’autrice si fa domande sull’importanza di conoscere le radici della propria esistenza e su quanto sia possibile rielaborarle.

Jessica Backhaus è nata nel 1970 a Cuxhaven, in Germania, in una famiglia di artisti. A sedici anni si  trasferisce a Parigi dove studia fotografia e comunicazione visiva. Qui nel 1992 incontra Gisèle Freund, fotografa della Magnum e grande personaggio della cultura, che diventa sua grande amica e affezionata maestra. Nel 1995, la passione per la fotografia la porta a New York, dove lavora come assistente di diversi fotografi, sviluppa i propri progetti personali e vive fino al 2009. E’ considerata una delle voci più originali nel panorama della fotografia contemporanea.

Gli ultimi due libri di Jessica Backhaus segnano due momenti fondamentali nella carriera dell’autrice. Six Degrees of Freedom è l’espressione della ricerca delle proprie radici. Dopo il rientro in Europa dagli Stati Uniti, Backhaus decide di scoprire l’identità del padre biologico. Ne ha origine un lavoro particolarmente intenso: l’uso del colore carico di sentimenti, tipico di tutta la sua produzione, vero e proprio segno distintivo, assume qui una valenza particolarmente drammatica, seguendo l’autrice nel percorso di ricostruzione delle proprie origini.

Avviene in questo lavoro un passaggio fondamentale: Backhaus (che usa solo luce naturale) inizia a intervenire spostando gli oggetti nello spazio. Ricollocando gli oggetti, sembra voler riprendere in mano il proprio destino.

E’ l’inizio di una trasformazione che A Trilogy conferma, procedendo verso una sempre maggiore astrazione. Il volume contiene tre serie differenti: Beyond Blue, Shifting Clouds e New Horizon che saranno in mostra nello spazio espositivo di Mutty.

L’artista sarà presente all’inaugurazione della mostra venerdì 24 maggio alle ore 19.30 

25 maggio – 21 giugno – Mutty – Castiglione delle Stiviere (MN)

Altre info qua

Roger Ballen – The Body, the Mind, the Space

In occasione di Milano Photoweek la Fondazione Sozzani dedica una grande mostra alla fotografia di Roger Ballen, uno tra i fotografi contemporanei più originali che indaga l’invisibile. Roger Ballen sarà presente all’inaugurazione della sua mostra

dal 9 giugno 2019 al 8 settembre 2019 – Fondazione Sozzani – Milano

Per info qua

EVE ARNOLD. Tutto sulle donne – All about women

USA. New York. American actress Marlene DIETRICH at Columbia records’s studios. Part of a sequence showing Marlene Dietrich during a recording session when she was 51 years old, with her famous World War II songs including Lilli Marlene. 1952 Images for use only in connection with direct publicity for the exhibition “Women” by Eve Arnold presented at Abano Terme, Italy, from May 17th to December 8th 2019.

Che si tratti delle donne afroamericane del ghetto di Harlem, dell’iconica Marylin Monroe, di Marlene Dietrich o delle donne nell’Afghanistan del 1969, poco cambia. L’intensità e la potenza espressiva degli scatti di Eve Arnold raggiungono sempre livelli di straordinarietà. La fotografa americana ha sempre messo la sua sensibilità femminile al servizio di un mestiere troppo a lungo precluso alle donne e al quale ha saputo dare un valore aggiunto del tutto personale.

A questa intensa interprete dell’arte della fotografia, la Casa-Museo Villa Bassi, nel cuore di Abano Terme, dedica un’a ampia retrospettiva, interamente centrata sui suoi celebri ed originali ritratti femminili. Quella proposta in Villa Bassi dal Comune di Abano Terme e da Suasez, con la curatela di Marco Minuz, è la prima retrospettiva italiana su questo tema dedicata alla grande fotografa statunitense.

Eve Arnold, nata Cohen, figlia di un rabbino emigrato dalla Russia in America, contende ad Inge Morath il primato di prima fotografa donna ad essere entrata a far parte della Magnum. Furono infatti loro due le prime fotografe ad essere ammesse a pieno titolo nell’agenzia parigina fondata da Robert Capa nel 1947. Un’agenzia prima di loro, riservata a solo grandi fotografi uomini come Henri Cartier Bresson o Werner Bischof.

Ed è un caso fortunato che le due prime donne di Magnum siano protagoniste di altrettante retrospettive parallele in Italia entrambe promosse per iniziativa di Suazes: la Morath a Treviso, in Casa dei Carraresi, e ora la Arnold ad Abano Terme in questa mostra.

A chiamare Eve Arnold In Magnum fu, nel 1951, Henri Cartier -Bresson, colpito dagli scatti newyorkesi della fotografa. Erano le immagini di sfilate nel quartiere afroamericano di Harlem, a New York. Quelle stesse immagini rifiutate in America per essere troppo “scandalose”, vennero pubblicate dalla rivista inglese Picture Post.

Nel 1952 insieme alla famiglia Eve Arnold si trasferisce a Long Island, dove realizza uno dei reportage più toccanti della sua carriera: “A baby’s first five minutes”, raccontando i primi cinque minuti di vita dei piccoli nati al Mother Hospital di Port Jefferson. Nel 1956 si reca con un amica psicologa ad Haiti per documentare i segreti delle pratiche Woodoo.

Chiamata a sostituire il fotografo Ernst Haas per un reportage su Marlene Dietrich, inizia la frequentazione con le celebreties di Hollywood e con lo star system americano. Nel 1950 l’incontro con Marylin Monroe, inizio di un profondo sodalizio che fu interrotto solo dalla morte dell’attrice. Per il suo obiettivo Joan Crawford svela i segreti della sua magica bellezza. Nel 1960 documenta le riprese del celebre film ”The Misfits”, “Gli spostati”, con Marylin Monroe e Clark Gable, alla regia John Houston e alla sceneggiatura il marito dell’epoca di Marylin Arthur Miller.

Trasferitasi a Londra nel 1962, Eve Arnold continua a lavorare con e per le stelle del cinema, ma si dedica anche ai reportage di viaggio: in molti Paesi del Medio ed Estremo Oriente tra cui Afghanistan, Cina e Mongolia.

Fra il 1969 e il 1971 realizza il progetto “Dietro al velo”, che diventa anche un documentario, testimonianza della condizione della donna in Medio Oriente.

«Paradossalmente penso che il fotografo debba essere un dilettante nel cuore, qualcuno che ama il mestiere. Deve avere una costituzione sana, uno stomaco forte, una volontà distinta, riflessi pronti e un senso di avventura. Ed essere pronto a correre dei rischi.» Così Eve Arnold definisce la figura del fotografo. Benché il suo lavoro sia testimonianza di una lotta per uscire dalla definizione limitante di “fotografa donna”, la sua fortuna fu proprio quella capacità di farsi interprete della femminilità, come “donna fra le donne”.

17 Maggio 2019 – 08 Dicembre 2019 – Abano Terme (Pd), Casa Museo Villa Bassi

MAGNUM’S FIRST. LA PRIMA MOSTRA DI MAGNUM

La mostra Gesicht der Zeit (Il volto del tempo) venne presentata tra il giugno 1955 e il febbraio 1956 in cinque città austriache ed è la prima mostra indipendente organizzata dal gruppo Magnum. Se ne era persa completamente la memoria sino al 2006, quando nella cantina dell’Istituto Francese di Innsbruck vennero ritrovate due vecchie casse, contenenti i pannelli colorati della mostra su cui erano montate ottantatre fotografie in bianco e nero di alcuni  fotografi della Magnum, insieme al testo di presentazione, ai cartellini con i nomi dei fotografi, alla locandina originale e alle istruzioni dattiloscritte per il montaggio della mostra stessa.
I responsabili di Magnum Photos, prontamente avvisati del ritrovamento, si sono immediatamente resi conto dell’eccezionalità della scoperta. Si trattava di una rassegna collettiva ordinata e omogenea di otto tra i più grandi maestri del fotogiornalismo. Gli autori delle foto erano tra i più celebri fotoreporter dell’agenzia: Robert Capa, Marc Riboud, Werner Bischof, Henri Cartier-Bresson, Erns Haas, Erich Lessing, Jean Marquis e Inge Morath.
Gli scatti fotografici sono stati sottoposti ad un intervento di pulitura e tutti i materiali originali sono stati restaurati. Dopo oltre cinquant’anni la prima mostra Magnum è tornata così visibile al pubblico ed è stato possibile ricostruirne la storia.

Probabilmente la mostra fu organizzata dopo che il gruppo Magnum, nel maggio 1955, aveva preso parte alla Biennale Photo Cinéma Optique al Grand Palais a Parigi, che aveva suscitato un notevole gradimento. Dopo quel primo successo, l’agenzia decise di collaborare con l’Università di Parigi per organizzare una mostra indipendente. Nacque forse così l’idea di Gesichte der Zeit (Il volto del tempo).
La mostra divenne itinerante: dopo la prima tappa tenutasi all’Istituto Francese di Innsbruck si è spostata a Vienna, a Bregenz e poi a Graz. Tappa finale è stata probabilmente la Neue Galerie a Linz. Da qui le foto della mostra sono state restituite a Innsbruck nel febbraio del 1956, forse in vista di una tappa ulteriore, ma li sono rimaste sino al ritrovamento nel 2006.

Insieme all’esposizione di Werner Bischof presso la Galleria St. Annahof di Zurigo del 1953 e a quella dei fotografi Magnum alla fiera Photokina di Colonia del 1956, delle quali nulla è rimasto, la mostra Gesichte der Zeit (Il volto del tempo) è la prova che, sin dall’inizio, la Magnum era diversa dalle altre agenzie fotografiche. Con il fitto programma di mostre ed eventi, la Magnum mostrò infatti chiaro l’intento di difendere sia il valore della foto come documento sia il valore artistico degli scatti dei fotografi dell’agenzia.

Dal ritrovamento del 2006 la rassegna, con il titolo Magnum’s First, è stata allestita in diverse città europee, e viene anche oggi riproposta qui nel suo allestimento originario.

L’esposizione è realizzata in collaborazione con Magnum Photos, col patrocinio del Comune di Milano e il sostegno di Rinascente.

08-05-2019/ 06-10-2019 – Museo Diocesano – MIlano

Altre info qua

13 STORIE DALLA STRADA

Una mostra che risveglia le coscienze e fa riflettere: questo è il proposito di 13 storie dalla strada. Fotografi senza fissa dimora, visitabile dal 28 maggio fino al 1 settembre alle Gallerie d’Italia di Milano.

Un viaggio dalla periferia al cuore della città

Tutto nasce dai workshop di fotografia per senzatetto organizzati dalla onlus Ri-scatti in collaborazione con Fondazione Cariplo: tra di loro c’era chi teneva in mano la macchina fotografica per la prima volta e chi, dopo tanto tempo, ritornava a usarla, ne ritrovava i segreti e la potenza espressiva.

Il passo successivo è stato chiedere ai fotografi che avevano partecipato ai workshop di documentare la realtà di Fondazione Cariplo – un patrimonio di persone e di progetti in continua evoluzione – e di affidare a loro il racconto della propria identità.

Puoi vederne i risultati nel nostro museo di Milano: 52 immagini inedite scelte tra i 9.800 scatti che i 13 autori hanno realizzato nel corso di un anno, fotografando 13 progetti scelti fra i 1.500 che Fondazione Cariplo porta avanti ogni anno (la comunità allegra di un orto urbano, il volo di un acrobata, un appartamento dove vivono ragazzi disabili, il volto di una scienziata).

Qualcuno dei fotografi senza fissa dimora è arrivato fino alla fine di questo percorso, qualcuno si è perso per strada, lasciandoci solo le sue immagini: è stato un percorso emozionante che ha incrociato fragilità e speranze, paure e orizzonti.

Una prospettiva che ha unito l’atto del raccontare a quello del raccontarsi: oltre alle immagini saranno proiettate nella mostra le video-interviste ai fotografi. Una testimonianza che illumina le vite di persone che ogni giorno attraversano l’anima periferica, fragile, marginale di Milano. Vincendo la loro ritrosia, i 13 protagonisti hanno accettato di svelare chi sono, dove trascorrono la giornata, dove mangiano, come si lavano, chi hanno perso per strada, quali luoghi chiamano casa, che cosa desiderano e che cosa hanno ritrovato osservando il mondo con la macchina fotografica.

Dal 28 maggio fino al 1 settembre 2019 – Gallerie d’Italia – Milano

Tutti i dettagli qua

Chris Steele-Perkins – Japan

Il 14 giugno 2019 alle h19:00 il fotografo Magnum Photos Chris Steele-Perkins presenta a Magazzini Fotografici il suo progetto _JAPAN_ Una mostra a cura di Laura Noble, direttrice della L A Noble Gallery.

Il forte legame che il fotografo Chris Steele-Perkins ha con il Giappone è nato molti anni fa e si è consolidato con le sue 48 visite al paese. In questi suoi numerosi viaggi si sono susseguite esperienze ed avvenimenti di varia natura, tra cui il tragico tsunami del Tōhoku del 2011.

Il Giappone è un luogo di contraddizione, molto legato alle antiche tradizioni ma allo stesso tempo artefice costante di nuove tendenze, che vanno dalla moda alla tecnologia, adottate da tutto il paese con un entusiasmo sfrenato.

Per noi occidentali le usanze giapponesi risultano essere completamente estranee al nostro modo di vivere e di conseguenza assumono un fascino particolare.

Le città e le comunità rurali regalano al paese atmosfere e ambienti completamente diversi tra loro. Le luci al neon sempre accese di Tokyo sono vivaci e sorprendenti ma nel frastuono della città, la silenziosa maestà del Monte Fuji appare sempre presente, immobile e senza tempo.

Steele-Perkins, con il suo progetto Japan, celebra questa deliziosa combinazione di bello e bizzarro e racconta i molti strati di una cultura ricca di tradizione e nuove tendenze.

Abitudini, sport, modi di vestire diversi si alternano tra la radicata cultura conservatrice e il moderno culto della stravaganza. Questo strano e particolare equilibrio ci permette di godere della peculiare natura di una nazione molto diversa dall’Occidente e della sua immensa ricchezza culturale.

Dal 14 giugno al 13 luglio – Magazzini Fotografici – Napoli

Altre info qua

Tommaso Clavarino – Confiteor

A partire dal 2004 più di 3.500 casi di abusi su minori commessi da preti e membri della Chiesa sono stati riportati al Vaticano. Nel 2014 un report delle Nazioni Unite ha accusato il Vaticano di adottare sistematicamente azioni che hanno permesso a preti e membri della Chiesa di abusare e molestare migliaia di bambini in tutto il mondo.

Centinaia di casi sono stati registrati, e continuano ad essere registrati, in Italia, dove l’influenza del Vaticano è più forte che altrove, e pervade vari livelli della società.

Spesso gli abusi cadono nel silenzio, i casi vengono nascosti, le vittime hanno paura di far sentire la loro voce. Hanno paura della reazione delle persone, dei loro cari, dei loro amici, delle comunità nelle quali vivono. Le vittime sono barricate in un silenzio agonizzante, non vogliono far sapere nulla delle violenze subite.

Costrette a vivere con un peso che si porteranno dietro tutta la vita, incapaci di dimenticare il passato.

Le ferite sono profonde, le memorie pesanti, i silenzi assordanti.

“Confiteor (Io Confesso)” è un viaggio di due anni in queste memorie, in queste ferite, in questi silenzi.

Dal 24 maggio al 14 giugno – Officine Fotografiche Roma

Tutti i dettagli qua

Mussolinia or how Sicilians cheated Fascism – Filippo M. Nicoletti

How Sicilians cheated Fascism
«Mussolinia non esistiva. O meglio, esistiva ma in fotografia» (Andrea Camilleri, Privo di Titolo).

Mussolinia è il progetto di una città che doveva nascere nei pressi di Caltagirone, ma che non venne mai realizzata se non tramite fotomontaggio per ingannare il Duce. Photo book e mostra di Filippo M. Nicoletti, a cura di Laura Davì.

Inauguriamo la mostra MUSSOLINIA or How Sicilians cheated Fascism e celebriamo la Festa della Repubblica italiana con un confronto fra giovani generazioni su immagini e parole. Filippo M. Nicoletti, con un lavoro molto attuale, rimette in discussione il concetto di fake news in relazione a un passato collettivo recente. L’inaugurazione di Mussolinia è fissata per domenica 2 giugno dalle 11.30 alle 13.00, quando è previsto un confronto tra giovani generazioni su un passato che non passa, sulle fake news e sul ruolo delle immagini piegate a usi utilitaristici secondo convenienza; dialogano con l’autore Filippo M. Nicoletti, Irene Guandalini, curatrice indipendente esperta di fotografia e immaginari contemporanei, e Simone Pisano di Lapsus – Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo. Modera la curatrice Laura Davì. 

dal 3 al 9 giugno – SGallery – Milano

ZAKHEM | FERITE | WOUNDS. LA GUERRA A CASA | WHEN WAR COMES HOME

In occasione del suo venticinquesimo compleanno, EMERGENCY organizza ‘Zakhem|Ferite|Wounds. La guerra a casa|When war comes home’, una mostra fotografica di Giulio Piscitelli, realizzata da EMERGENCY con il supporto di Contrasto.

Piscitelli (Napoli, 1981), che ha visitato i nostri Centri chirurgici per vittime di guerra a Kabul e Lashkar-gah, ha dato a quelle vittime un volto e un nome, ha scoperto le loro storie. Storie che parlano di una violenza che irrompe nella vita quotidiana, senza preavviso. Storie che mostrano la ferita – zakhem, si dice in dari – provocata dalla guerra.

Le ferite fisiche causate dai proiettili e dalle schegge sono al centro del racconto fotografico, ma si vedono anche le ferite più profonde, quelle psicologiche. I dittici di Giulio Piscitelli mostrano la forza del popolo afgano e trasportano i soggetti in un mondo quasi irreale, illuminato, in una fissità senza tempo né spazio, nella verità della guerra di sempre e ovunque. Il suo lavoro ha reso queste ferite comprensibili, semplici, potenti ed eloquenti.

La mostra sarà inaugurata mercoledì 15 maggio alle ore 19.00, con una conversazione tra Giulio Piscitelli, fotografo, Gino Strada, fondatore di Emergency, Rossella Miccio, Presidente di Emergency e Giulia Tonari, curatrice della mostra e direttrice Contrasto. L’evento sarà moderato da Fabrizio Foschini, analista Afghanistan Analyst Network.

Dal 16 maggio al 9 giugno – Casa Emergency – Milano

Tutti i dettagli qua

Irene Kung. Monumenti

Irene Kung. Monumenti – CAMERA

Nella Project Room di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, verrà inaugurata giovedì 30 maggio, alle ore 18.00, la mostra personale di Irene Kung (Berna, 1958) intitolata Monumenti, curata dal direttore dell’istituto torinese, Walter Guadagnini.

A partire dalla giustapposizione di immagini appartenenti a due serie fotografiche precedenti, Le città invisibili (2012) e Trees (2014), Kung compie una selezione visiva che ricompone un’indagine al tempo stesso introspettiva e sociale sul paesaggio, sia esso urbano, archeologico o naturale. Tali elementi sono per l’autrice svizzera come fondamenti puri della visione che, spogliati dal disturbo visivo generato dalle forme di progresso e dall’incuria umana, si presentano allo spettatore come ritratti aulici che emergono dall’oscurità. Nelle diciotto opere di grande formato esposte in questa occasione, alberi, antiche rovine e architetture contemporanee assumono un carattere salvifico, diventano monumenti contemporanei che – grazie al potere dell’estetica e alla forza dell’immagine – annullano il tempo e ordinano il caos con la loro armonia costruttiva.

Formatasi in ambito pittorico, Kung ha adottato la fotografia come medium privilegiato della propria produzione artistica da circa un decennio, sfruttando la sua formazione non solo per impreziosire la componente lirica ed emotiva della sua ricerca artistica, ma anche quella gestuale ed istintiva.  L’essenzialità delle inquadrature e la capacità di far emergere i suoi soggetti dall’oscurità, infatti, esprimono una vicinanza stilistica e concettuale al Rinascimento pittorico italiano: i suoi lavori evidenziano il desiderio razionale di individuare nuove strade possibili per un futuro sostenibile e la rinnovata attenzione all’equilibrio tra umano e naturale. Allo stesso tempo le composizioni di Kung evidenziano per contrasto l’ambiguità dell’urbanizzazione e della negligenza umana, facendo emergere dalla bellezza una sottile inquietudine. Descrivere la sofferenza attraverso una rappresentazione raffinata e onirica è – dichiara la Kung – un tentativo di generare un nuovo significato a partire dalle percezioni di un’esperienza emotiva, è un’astrazione che mi conduce dalle zone più in ombra alla dimensione meditativa, fino agli spazi inconsci dell’anima.

30 maggio – 28 luglio 2019 – CAMERA Centro Italiano per la Fotografia – Torino

Tutti i dettagli qua

L’ARIA DEL TEMPO – Massimo Sestini

Inaugura martedì 7 maggio 2019 alle 18.30 la mostra di Massimo Sestini “L’aria del tempo” presso Forma Meravigli a Milano. In contemporanea sarà presentato il libro a cui la mostra si ispira, edito da Contrasto. L’esposizione, a cura di Alessandra Mauro, resterà aperta fino al 4 agosto. 

Come fotogiornalista tra i più importanti e apprezzati del nostro paese, Massimo Sestini è in grado di realizzare sensazionali scoop da prima pagina. In tanti anni di lavoro Sestini ha puntato molte volte l’obiettivo sulla nostra penisola e, col tempo, ha realizzato un preciso e appassionato itinerario alla scoperta del nostro paese.  A Forma Meravigli saranno esposte circa 40 fotografie di grande e medio formato, che l’autore ha realizzato immortalando l’Italia in modo inusuale e accattivante. Dall’alto. 

Fatti di cronaca, bellezze naturali, drammi, avvenimenti politici, tragedie e momenti di svago: è riuscito a raccontare tutto con la sua macchina fotografica e tutto con un punto di vista nuovo e diverso.

Le immagini in mostra, alcune di grande formato, permettono di vivere e di sentire le visioni aeree ed eteree dei luoghi che l’autore ci propone. Sempre alla ricerca della “foto diversa”, nel corso degli anni Sestini ha perfezionato il suo metodo fino alla ripresa perpendicolare che gli permette di ottenere un impatto dimensionale amplificato. Con la visione zenitale il fotografo gioca nel capovolgere le nostre percezioni visive, fa navigare la Concordia spiaggiata, ribalta cielo e terra inseguendo un Eurofighter, osa nelle proiezioni delle ombre animate. 

Dall’alto di un elicottero o di un aereo, attraverso la visione completa di un fatto di cronaca (il barcone dei migranti fotografato dal cielo: un’immagine che ha fatto storia e ha vinto numerosi premi come il prestigioso World Press Photo, o ancora l’affondamento della Costa Concordia all’isola del Giglio), di una consuetudine (il ferragosto sulla spiaggia di Ostia), di un dramma naturale (il terremoto del Centro-Italia), di avvenimenti storici e culturali (dalla strage di Capaci al funerale del Papa), nelle immagini di Sestini l’Italia svela in un modo unico le sue bellezze, le sue fragilità, la sua grandiosa complessità.

Nato a Prato nel 1963, Massimo Sestini è considerato tra i migliori fotoreporter italiani. I primi scoop arrivano a metà anni Ottanta, da Licio Gelli ripreso a Ginevra mentre è portato in carcere, all’attentato al Rapido 904 nella galleria di San Benedetto Val di Sambro. Sarà il solo a riprendere il primo, clamoroso, bikini di Lady D; ma sarà anche testimone della tragedia della Moby Prince, e autore delle foto dall’alto degli attentati a Falcone e a Borsellino. Nel 2014 è testimone delle operazioni di salvataggio “Mare Nostrum”, al largo delle coste libiche. Dopo dodici giorni di tempesta, riesce a riprendere dall’elicottero un barcone di migranti tratto in salvo. La foto vince il WPP nel 2015, nella sezione General News.

Dall’8 maggio al 4 agosto – Forma Meravigli – Milano

Tutte le info qua

Gian Paolo Barbieri – POLAROIDS AND MORE

Dal 10 maggio al 27 luglio 2019, 29 ARTS IN PROGRESS gallery di Milano (Via San Vittore 13) presenta in prima assoluta la più vasta retrospettiva sulla fotografia istantanea di Gian Paolo Barbieri intitolata “Polaroids and more”, a pochi mesi dal premio ricevuto ai Lucie Awards 2018 di New York come miglior Fotografo di Moda Internazionale.

La mostra, curata da Giovanni Pelloso, riunisce una selezione di oltre 120 Polaroid inedite e traccia per la prima volta l’uso della fotografia istantanea di Gian Paolo Barbieri negli ultimi trent’anni; un percorso articolato che abbraccia i ritratti e gli studi di figura, la moda e i suoi protagonisti, svelandone i segreti e i retroscena.
Per quanto aderente alla realtà possa essere, la fotografia di moda per Barbieri è scenario, spettacolo, teatro, bellezza, metafora e realtà.
Al centro di questa scena, animata spesso da una ludica e irriverente ironia, c’è la donna. Non mitizzata, la sua immagine rispecchia la profonda convinzione dell’autore che il mistero dell’universo femminile non debba mai essere completamente rivelato.
In questo atteggiamento vi sono il rispetto e l’ammirazione per l’eterna e, nello stesso tempo, mutevole bellezza, ma anche la consapevolezza della ricchezza della sua personalità e delle sue innumerevoli metamorfosi.
Le immagini risultano fantastiche e magiche, oniriche e ludiche, ironiche e teatrali.
Sono istantanee seducenti. La superficie bidimensionale della stampa fotografica diventa, grazie alla sensibilità del fotografo milanese, un “oggetto di fascino”, uno stimolante invito all’immaginazione e alla fantasia, un territorio che cattura lo sguardo e che richiama il lettore a decifrarne i misteri.

Le Polaroid di Gian Paolo Barbieri non solo raccontano il making of della fotografia di moda per le più grandi maison di sempre, ma lasciano trasparire sguardi intimistici rivolti a soggetti diversi, dalla più iconica top model all’autoctono polinesiano. Un secondo corpo di opere è dedicato, infatti, agli indigeni colti nel loro habitat naturale, a nudi audaci concepiti spesso come lavori preparatori, e ai fiori, grande passione dell’artista.

Molte di queste piccole icone trasferiscono tenerezza e vulnerabilità, altre, durezza e immediatezza. A differenza delle immagini rigorosamente ideate e concepite in studio e per le quali Barbieri è diventato famoso nel mondo, queste disarmanti fotografie sono contrassegnate dalla spontaneità e dall’invenzione, offrendo nell’insieme un’inedita visione della sua straordinaria carriera.

Un’altra anteprima assoluta in mostra sarà una selezione di nuovi lavori ispirati all’opera di William Shakespeare, a cui Barbieri lavora da circa tre anni, nel quarto centenario della sua scomparsa: «Come mi è sempre piaciuto fare – ricorda l’autore – attingo dal passato per guardare al futuro».

Dal 10 maggio al 27 luglio 2019 – 29 ARTS IN PROGRESS gallery – Milano

Tutti i dettagli qua

LA PRESUNZIONE DELLO SGUARDO – UMBERTO VERDOLIVA

Luigi Ghirri ci ricorda che il non vedere nitidamente crea una incertezza e distrugge ogni presunzione dello sguardo. Un vetro, una superficie opaca trasparente, un velo, le ombre chiuse, offrono anche la possibilità di non vedere, ed è grazie a questo diaframma che l’occhio può ritrovare quella veggenza negata dall’eccesso di visibilità. Uno schermo trasparente che separa creando dubbi così come i volti nascosti nella oscurità delle ombre, possono restituire senso alle immagini con il vantaggio di alludere ed illudere lasciando immaginare. Le fotografie esposte portano con sé tale ricerca. L’intento è quello di far soffermare l’osservatore sul mistero e sul fascino ambiguo che le immagini trasmettono già al primo sguardo, suggerendo, attraverso una stratificazione visuale, una sorte di incanto.

Dal 18 maggio al 7 giugno – Spazio Raw – Milano

Altre info qua

J’AI PLUS DE SOUVENIRS QUE SI J’AVAIS MILLE ANS – Pietro Baroni

La Mostra Fotografica “J’AI PLUS DE SOUVENIRS QUE SI J’AVAIS MILLE ANS” di Pietro Baroni, dopo essere stata a New York, Firenze e Bologna, viene presentata da Leica Camera Italia per la prima volta anche a Roma.

Emozioni, pensieri e desideri nascosti di persone comuni messe a nudo davanti all’obiettivo.

“Ho dentro più ricordi che se avessi mille anni” scrisse Baudelaire né “I Fiori del Male”. Il titolo della mostra vuole indicare che nella vita si provano emozioni così intense, che ci sembra di aver vissuto più della nostra vera età.

Grazie a questa ispirazione, Baroni è riuscito a far emergere i pensieri inconfessabili, le paure e le insicurezze più profonde che ci portiamo dentro tutti i giorni, senza rendercene conto. Tutti abbiamo paure e insicurezze che non abbiamo voglia che gli altri vedano. O che ci piacerebbe possano vedere per poter essere aiutati. Sono così profondamente intime che non sono visibili al mondo esterno. Ma ce le portiamo dietro tutti i giorni, addosso, sulla pelle.

Con questo lavoro Pietro Baroni ha reso leggibile ciò che ci è tatuato addosso ma che solitamente non viene visto. Ha chiesto alle persone che ha ritratto di entrare in empatia con queste paure, insicurezze e pensieri per catturarli in un instante.

Con questo lavoro Baroni ha vinto numerosi premi e menzioni internazionali tra cui si segnalano IPOTY – International Photographer of the Year, PX3 Prix de la Photographie Paris, Black&White International Award Rome, MonoVision Photography Awards. Lens Culture lo ha eletto nel 2017 come Emerging Photographer of the Year premiando questo progetto.

Dal 5 giugno al 7 luglio – Leica Store Roma

London Street Photography

In esposizione una collezione di immagini, inedite in Italia, opera di giovani street photographer internazionali selezionati nel 2018 nell’ambito dell’importante rassegna londinese.
In collaborazione con Camera Work London.
La mostra resterà aperta fino al 19 giugno e sarà visitabile durante gli eventi del calendario di Spazio Lomellini 17, il mercoledì alle ore 18 su prenotazione a lasettimanale@gmail.com e per gruppi di almeno 10 persone in orario da definirsi su prenotazione a lasettimanale@gmail.com

Dal 30 maggio al 19 giugno 2019 – Spazio Lomellini 17, Genova

Altre info qua

NOTTURNO PIÙ

C’è chi vede il notturno nella cometa di Giotto, o chi ne la Liberazione di San Pietro di Raffaello, oppure chi quasi in tutta l’opera di Tintoretto, o anche nei Due uomini che contemplano la luna di David Caspar Friedrich o poeticamente in Alla Luna di Giacomo Leopardi, quando non nella cromia blu dorata di Whistler, oppure chi nelle stelle solari di Van Gogh, o nelle opere dei futuristi Balla e Boccioni. Potremmo andare ancora avanti e indietro dall’alba al tramonto e da lì nella notte di nuovo verso l’alba nello stendere la lista delle opere d’arte che hanno come soggetto o ambientazione la notte dall’alba dell’umanità a oggi. Certamente la notte è stata molto corteggiata dai romantici, epoca in cui nasce il notturno (nocturne en français), come opera per prima musicale, una forma di musica libera, dolce e moderata che si riallacciava alla serenata: Chopin ne scrisse 21, Beetohoven ci allieta con la sonata Chiaro di luna, anche Satie e Debussy non si sottrassero all’impresa. Ma anche la letteratura non si è fatta mancare la notte e il notturno come Theodor Amadeus Hoffmann oppure ancora Leopardi con il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia e, per chi non lo sa, l’invito della presente mostra Notturno Più è mutuato dalla prima copertina del libro Notturno una raccolta di pizzini intimistici scritti a mano con gli occhi bendati a causa di ferite dal Vate Gabriele D’Annunzio. È in questa grafica evocativa che abbiamo inscritto informazioni e nomi degli artisti della mostra Notturno Più. Sono sulle cui opere poter tornare con l’immaginazione e il ricordo nella notte, in quello spazio tempo di confine in cui l’immaginazione si allarga confidenzialmente con le poetiche di Mario Airò, Atelier Biagetti, Laura Baldassari, Bertozzi & Casoni, Michel Courtemanche, Meriella Bettineschi, Tommaso Binga, Stefano Cerio, CTRL ZAK, Eteri Chkadua, Jan Fabre, Patrick Jacobs, Ugo La Pietra, Lorenzo Marini, Maria Teresa Meloni, Alessandro Mendini, Aldo Mondino, Francesca Montinaro. Fabio Novembre, Maurizio Orrico, OVO, Paola Pivi, Sarah Revoltella, Jonathan Rider, Andrea Salvatori, Denis Santachiara, Federico Solmi, Giuseppe Stampone, Patrick Tuttofuoco, Vedovamazzei, Alice Visentin.

Ma il nostro non è solo notturno è Notturno Più, in quanto la notte e il notturno sono intesi anche nella forma del Blues e del Jazz; non soltanto perché musica dell’anima, ma per la possibilità di jam session che offre soprattutto la seconda. Dunque, si tratta di una mostra che è di forma libera e dolcemente moderata, intesa come uno spartito musicale e allestita in modalità di scrittura di scena come amava dire Carmelo Bene. Una scrittura – mostra in cui  ogni artista entra ed è mostrato con la sua e per la sua opera differente e diversa per componimento di una visione collettivamente diversificata con le proprie poetiche uniche  e complesse come quelle originarie di Mario Airò,  del lusso ospitale dell’Atelier Biagetti, o i ritratti dalla fisiognomica nascosta della pittura lisergica di Laura Baldassari, il realismo ceramico di Bertozzi & Casoni, l’abilità plastica di Michel Courtemanche, il doppio sguardo femminile di Mariella Bettineschi, l’alfabeto femminista di Tomaso Binga, i non luoghi fotografici di Stefano Cerio, il progetto rovesciato di CTRL ZAK, la pittura testimonianza dei miti e della quotidianità della Georgia di Eteri Chkadua, la malinconica metamorfica ora blu di Jan Fabre, i minuziosi e silenti diorami  lillipuziani di Patrick Jacobs, le critiche riflessioni architettoniche paesaggistiche di Ugo La Pietra, gli alfabeti cromaticamente e futuristicamente mobili di Lorenzo Marini, i dettagliati e studiati all’antica ritratti fotografici di Maria Teresa Meloni, i segni-decoro astratto-futuristi di Alessandro Mendini, le illuminanti ironiche sculture di Aldo Mondino, le piante in vaso che nascondono sculture di ambienti migranti di Francesca Montinaro. La progettualità tirata verso l’inutile di Fabio Novembre, i dipinti astratto-informali di Maurizio Orrico, il progetto precariamente cartonato di OVO, l’energia espansivamente segnica di Paola Pivi, i ritratti scultorei delle famiglie polarizzate di Sarah Revoltella, le discrete e quasi invisibili sculture ambientali di Jonathan Rider, i vasi cosmici di Andrea Salvatori, il progetto animato-figurato di Denis Santachiara, le esuberanti, chiassose e ironiche opere di Federico Solmi,  i disegni responsabilmente etici di Giuseppe Stampone, la rilettura dei codici visivi quotidiani alla luce della multidisciplinarità di Patrick Tuttofuoco, gli ironici e strafottenti paesaggi di Vedovamazzei,  le pitture giocosamente sciamaniche di  Alice Visentin.

Con queste diversità di trentuno artisti la mostra è una coralità espressiva di poetiche, tecniche, materiali che formano quel Notturno Più, dove quel più che non è più solo quello della notte, ma del giorno e della notte insieme che, come la nostra vita, non possono essere più solo solitari, anche perché questo è un group show, una pratica espositiva in cui bisogna essere almeno in due, l’uno e l’altro, per dirsi tale, iniziando quella comunità dell’arte che qui conta 31 altri, 31 artisti dalle innumerevoli opere a noi, come a loro, necessarie sia di giorno che di notte da trovare nel Notturno Più.

8 Maggio-15 Giugno 2019 – THE POOL NYC a PALAZZO CESARI MARCHESI – Venezia

Altre info qua

Milano – Arte Pubblica – Matteo Cirenei

Inaugura martedì 4 giugno 2019 alla Galleria Anna Maria Consadori la mostra “Milano – Arte Pubblica” inserita all’interno della terza edizione di Milano Photo Week, la rassegna interamente dedicata alla fotografia che coinvolgerà tutta la città.

Coerentemente all’indirizzo artistico della galleria, che promuove l’arte e il design del XX secolo, l’esposizione presenta il lavoro di Matteo Cirenei, fotografo di architettura e paesaggio urbano, che negli ultimi quattro anni si è dedicato a un progetto che indaga la costituzione dell’immaginario culturale rispetto a ciò che è “spazio pubblico”, e cos’è “arte pubblica”.

L’ambito in cui sono collocate le opere è parte della città, per questo motivo Il progetto vuole porre in risalto il dialogo con l’ambiente che le circonda: le opere d’arte infatti aggiungono qualità visiva a un ambiente costruito, e un’attenta strategia di progettazione urbana promuove un più alto livello di integrazione tra arte, architettura e paesaggio. Milano negli ultimi anni sta riqualificando molto il proprio tessuto urbano, migliorando notevolmente gli spazi pubblici promuovendo la mobilità alternativa e come conseguenza valorizzando le aree verdi e quelle pedonali.

dal 4 al 8 giugno 2019 – Galleria Anna Maria Consadori – Milano

Tutte le info qua

IL SILENZIO DELLA LUCE – Alessandra Calò

Giovane artista tra le più interessanti del panorama italiano, Alessandra Calò porta alla galleria Artesì una mostra in cui i suoi tre progetti più recenti si ricollegano uno all’altro in un unico racconto intorno alla ricerca dell’identità e al recupero delle memorie del passato.

Parlare di fotografia per definire il lavoro di Alessandra Calò è sempre un po’ riduttivo, perché se dalla fotografia parte, il risultato va molto oltre, attingendo agli ambiti della scultura e dell’installazione. Come accade nel progetto Secret garden, presentato al pubblico come un paesaggio di scatole nere illuminate: una serie di lightbox dedicati a figure femminili del passato. Per la realizzazione, l’artista parte da lastre negative originali, recuperate nei mercatini, raffiguranti donne, bambine e ragazze. Persone sconosciute e consegnate all’oblio a cui Alessandra decide di restituire una storia anche grazie alla collaborazione di poetesse e scrittrici che dedicano a ogni figura un breve scritto. L’abbinamento con l’elemento vegetale (da cui l’ispirazione per il titolo), posto all’interno dei lightbox e visibile solo in trasparenza, dona nuove letture all’immagine, spezzando la continuità della visione ed enfatizzando la tridimensionalità di quei piccoli solidi scuri che si trasformano in vere e proprie “scatole nere” delle memorie perdute.

Ancora al passato – e in particolare a due pioniere della fotografia come Constance Talbot e Anna Atkins – fa riferimento il progetto Les inconnues. Qui, però, il percorso dell’artista è a ritroso. Partendo da volti femminili vintage trovati sul web, Alessandra costruisce lei stessa delle lastre in negativo, per poi stamparle su cristallo. L’elemento vegetale torna qui sotto una forma diversa, e duplice. Da un lato, isolato, va a sovrapporsi al viso; dall’altro, enormemente ingrandito, funge da pattern su cui la figura si appoggia, una figura che ingaggia con lo spettatore un suggestivo gioco di sguardi.

Kochan, infine, è il più strettamente fotografico tra i progetti in mostra, e anche il più autobiografico, anche se il viso e il corpo dell’artista – che qui si autoritrae per dettagli – è simbolo di un corpo universale. Ispirato alla dolorosa scoperta del proprio sé più autentico condotta dal protagonista delle Confessioni di una maschera di Yukio Mishima – da cui la serie prende il nome – il progetto vede la sovrapposizione dei frammenti della figura a una serie di vecchie carte topografiche dalla collezione della Public Library di New York. Mappe, però, che l’artista parzialmente cancella, di cui rende incerte le collocazioni e i confini, comunicandoci un senso di incertezza e di spaesamento. (Alessandra Redaelli)

dal 18.05.2019 al 16.06.2019 – Galleria ArteSI – Modena

Altre info qua

Luci del Nord-est – Cig Harvey

Le foto di Cig Harvey, per la prima volta in mostra in Italia presso la Galleria del Cembalo dal 30 maggio al 6 luglio, sono visioni reali, istantanee della sua vita nel Maine.

Nonostante i soggetti delle sue foto siano persone e luoghi a lei familiari, gli scatti li ritraggono nel momento in cui risultano quasi irriconoscibili all’artista. È una fotografia che guarda al reale ma crede fermamente ci sia in ‘una luce particolare o nella sfumatura di un tramonto qualcosa di nuovo da scoprire’. In questi scatti predomina la convinzione che il medium fotografico catturi già di per sé una componente magica e inaspettata e che l’uso del colore la restituisca nella realtà – per come la vediamo.

Se il marito Doug, la figlia Scout, i suoi amici, i vicini di casa e la loro vita quotidiana siano i soggetti di questi scatti o tasselli di un puzzle più grande che restituisce un autoritratto della fotografa stessa è una domanda su cui il suo lavoro pone fortemente l’accento.

Per Cig Harvey, l’immagine è una dicotomia tra forma e contenuto che non può essere scissa, e la fotografia non riproduce, ma racconta. La storia è il susseguirsi di persone della comunità a lei cara e del Maine, le sue stagioni e le ombre dei suoi rami, i quadrifogli verdeggianti e le farfalle colorate. C’è una scelta accurata e meditata di ciò che viene posto davanti l’obiettivo ma Cig Harvey lavora nell’immediatezza di quello che accade, con la consapevolezza che tutto può accadere.

L’atto del fotografare è sentito ed irripetibile, un espediente che l’artista utilizza, quasi in modo catartico, per bilanciare ciò che accade nella sua vita. Ecco il motivo per cui questi lavori, realizzati in momenti di serenità, possono risultare a tratti drammatici, come l’immagine che ritrae una donna con un cappotto rosso in un piccolo giaciglio in una distesa di neve bianchissima oppure lo sguardo compassionevole di Scout di fronte al cormorano senza vita.

I lavori presenti appartengono a progetti differenti, tra cui You Look At Me Like An Emergency (2012), Gardening at Night (2015), You an Orchestra You a Bomb (2017) e quello più recente, ancora in corso, Pink is a Touch. Red is a Stare.

dal 30 maggio al 6 luglio – Galleria del Cembalo – Roma

Altre info qua

Tempo e Sospensione

“Tempo e Sospensione” è il titolo della mostra che vede sei artisti presentare una decina circa di lavori ciascuno tra pittura e fotografia in un serrato dialogo e confronto tra loro e lo spazio che li ospita. La mostra inaugura il 12 giugno e si conclude il 15 ottobre 2019 presso Annunciata galleria d’arte che, presente dal 1939 sul territorio milanese e non solo, (Milano è stata infatti un centro propulsivo di idee progettiste e artistiche e luogo privilegiato di scambi culturali fecondi a livello internazionale, oggi nuovamente in ripresa) racconta da allora il pensiero dell’arte ad opera di maestri di culture diverse, tenuti insieme dallo stesso periodo storico, quello del XX secolo. Ciò che caratterizza la migliore arte del XX secolo è essenzialmente la necessità di riflettere su se stessa e di fondare l’elaborazione dell’oggetto artistico su basi intellegibili: l’oggetto richiede allo spettatore di partecipare con la sua sensibilità, con il suo personale pensiero al gioco dell’arte e per ottenere questo risultato deve mostrare agli altri com’è fatto. Avanguardie che come tali si sono fatte tradizione, per lasciare posto a nuove leve, ad altre posizioni, capaci di consolidare il risultato ottenuto e di perpetuare quello stato di eccitazione innovatrice. La storia dell’Annunciata dunque, portavoce di un Tempo senza tempo, di una memoria continua, di uno stato di eterna Sospensione creativa, chiama a sé sei artisti emergenti che con la loro personale visione e cifra linguistica raccontano del loro intimo sguardo sul nostro tempo, il XXI secolo. Ciascuno esprime un interesse sincero verso quegli aspetti della condizione umana che possiedono validità universale, contribuendo a stabilire in certa misura un continuum con ciò che è stato nella storia dell’arte ed ognuno dando al linguaggio un proprio peso ed incidenza. Tra loro c’è chi si sofferma maggiormente sulla ricerca di un linguaggio inedito e fortemente personale (Elena Santoro; Luisa Pineri), raccontando quindi più di sé, del proprio mondo interiore, altri che, mettendo meno in risalto la questione del linguaggio, si orientano a rivelare dimensioni della realtà che riguardano tutti (Pietro di Girolamo; Donata Zanotti); altri, infine, che mescolano queste due componenti, linguaggio audacemente personale e realtà (Francesca Giraudi; Francesca Meloni). “Il percorso così proposto si apre all’ascolto. Sulla superficie, nelle forme, è impressa la traccia di un gesto ispirato e capace di un’istantaneità che pesca nel profondo senza l’obbligo di “dare a vedere”. Alla memoria si guarda non come forma nostalgica rivolta a un passato da mitizzare, ma come esperienza e vissuto, come formula, a volte ossessiva, di scoperta di un sé molteplice. Nessuna forma esclude l’altra, anche quando, in apparenza, risulta oppositiva. L’unica fedeltà è qui legata a una dimensione di ricerca mai completamente esaustiva perché mai definitiva”. (G. Pelloso*: dal testo critico “Fratture surmoderne”)

La fotografia, declinata in sperimentale, d’architettura, narrativa, la pittura informale e la performance,  sono legate da un unico filo rosso: la traccia dell’Assente. Assenza di una presenza in una corrente artistica predominante e omologante; assenza di un desiderio di frapporsi fra l’opera ed il pubblico, assenza di frastuono, quanto, invece, desiderio di vivere e donare Sospensione, di un Tempo che ha a che fare con la profondità.

dal 13 Giugno al 15 Ottobre 2019 – Annunciata Galleria d’Arte – Milano
Altre info qua

Le montagne del castello – Alberto Battarelli

“Questa mostra è il frutto di numerosi anni di esplorazione e osservazione delle montagne intorno al Castello.
Durante le giornate passate a percorrere sentieri e creste per raggiungere valli e cime, la macchina fotografica mi ha sempre accompagnato, permettendomi di interpretare il paesaggio davanti ai miei occhi. Un paesaggio declinato in bianco e nero, per coglierne l’essenza, l’aspetto più intimo ed essenziale.
L’attesa del momento e della luce giusta è stata spesso la parte più importante oltre al semplice scatto.

L’intento di questa esposizione è quello di trasmettere le stesse emozioni e gli sguardi vissuti da me nel momento dello scatto”.

L’autore, Alberto Battarelli, è nato e vissuto a Trento ed è molto legato alle zone del Livinallongo: il nonno materno, Giacomo Crepaz, maestro elementare, nato a Larzonei, ha vissuto ad Andraz.

Dal 15 giugno al 21 luglio – Castello di Andraz – Livinallongo del Col di Lana (Belluno)

MUHAMMAD ALI

HOUSTON,TX – NOVEMBER 14,1966: Muhammad Ali celebrates after knocking out Cleveland Williams during the fight at the Astrodome in Houston, Texas. Muhammad Ali won the World Heavyweight Title by a TKO 3. (Photo by: The Ring Magazine/Getty Images)

100 fotografie immortalano la carriera e la vita del “Re del Mondo” a cura di Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi

“Non c’è bisogno di stare in un ring di pugilato per essere un grande combattente. Finché si resterà fedeli a se stessi, si avrà successo nella propria lotta, per quello in cui si crede.”

Napoli rende omaggio a Muhammad Ali, una delle icone sportive più famose e celebrate del XX secolo, con una mostra in programma dal 22 marzo al 16 giugno 2019, al PAN – Palazzo delle Arti Napoli.

La rassegna, promossa dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, organizzata da ViDi – Visit Different, curata da Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi, presenta 100 immagini, provenienti dai più grandi archivi fotografici internazionali quali New York Post Archives, Sygma Photo Archives, The Life Images Collection che colgono Ali in situazioni e momenti fondamentali della sua vita non solo sportiva.

Ogni sala è dedicata a uno dei “doni” che Ali ha offerto a ogni singola persona come un tesoro senza prezzo e senza tempo: doni agli appassionati di boxe, al linguaggio, alla dignità umana, ai compagni di viaggio, ai bambini, al coraggio, alla memoria.

Nelle sale del PAN va in scena un lungo racconto per immagini di una tra le più straordinarie personalità del Novecento; il ritratto a 360° di un uomo che è stato capace di battersi con successo su ring diversi tra loro. Quelli che gli hanno dato per tre volte il titolo mondiale dei pesi massimi, quello della lotta per i diritti civili dei neri americani, quello dell’integrazione, quello della comunicazione.

Dal 22 marzo al 16 giugno – PAN Palazzo delle Arti Napoli

Tutti i dettagli qua

Mostre per ottobre

Ciao! Anche ad ottobre vi consigliamo mostre molto interessanti, un po’ ovunque.

Fateci un giro!

Ciao

Anna

Continua a leggere

Cominciamo l’anno con una selezione di mostre!

Ciao, vi siete riposati durante le feste di Natale? Eccoci pronti a ripartire con nuove bellissime mostre.

Date un’occhiata alla nostra pagina sempre aggiornata.

Anna

Continua a leggere

Mostre per maggio

Ciao!

Ed eccoci anche per questo mese al nostro appuntamento fisso con le mostre. Il programma si preannuncia ricchissimo anche per maggio. Siateci! 😀

Sulla pagina dedicata, trovate il calendario aggiornato di tutte le mostre in corso!

Anna

Sara Munari – Be the bee body be boom (bidibibodibibu)

Mi sono ispirata sia alle favole del folklore dell’Est Europa, sia alle leggende urbane che soffiano su questi territori. Un incontro tra sacro e profano, suoni sordi che ‘dialogano’ tra di loro permettendomi di interpretare la voce degli spiriti dei luoghi. Ogni immagine è una piccola storia indipendente che tenta di esprimere rituali, bugie, malinconia e segreti. L’Est Europa offre uno scenario ai miei occhi impermeabile, un pianeta in cui è difficile camminare leggeri, il fascino spettrale da cui è avvolta, dove convivono tristezza, bellezza e stravaganza: un grottesco simulacro della condizione umana. A est, in molti dei paesi che ho visitato, non ho trovato atmosfere particolarmente familiari, in tutti questi luoghi ho percepito una forte collisione tra passato, spesso preponderante, e presente. Sono anni che viaggio a est, forse il mio sguardo è visionario e legato al mondo dei giovani, a quella che presuppongo possa essere la loro immaginazione.

dal 12 maggio al 3 giugno 2017 – Spazio Raw Milano

Tutti i dettagli qua

Paolo Pellegrin. Frontiers

PELLEGRIN_news_700x250pxl

L’esposizione Paolo Pellegrin. Frontiers visitabile dal 30 aprile al 26 novembre 2017 negli spazi del nuovo Museo il Ferdinando, documenta in anteprima mondiale attraverso gli intensi scatti di Paolo Pellegrin, il dramma dei viaggi della speranza delle migliaia di migranti che fuggono in cerca di un futuro migliore.
L’orrore delle traversate del Mar Mediterraneo, l’esperienza degli sbarchi e della permanenza nei centri di accoglienza. Si tratta di un’anteprima assoluta firmata da uno tra i più importanti fotoreporter al mondo. Membro di Magnum Photos dal 2001, Pellegrin lavora con le più affermate testate internazionali e ha ottenuto innumerevoli riconoscimenti, tra cui dieci World Press Photo e la Medaglia d’oro Robert Capa.

La mostra, realizzata in collaborazione con l’Agenzia Magnum Photos di Parigi integra ed attualizza i contenuti del nuovo Museo delle Frontiere evidenziando il tragico racconto del fenomeno migratorio in atto, ormai diventato tratto distintivo del nostro tempo. Un fenomeno che secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni non si arresterà prima del 2050. Le fotografie, in bianco e nero, di notevole impatto visivo ed emotivo, sono state scattate nel 2015. La maggior parte di esse documenta la situazione sull’isola greca di Lesbo dove, secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), sono sbarcati più di 500.000 degli 850.000 rifugiati giunti in Grecia nel corso del 2015.

Il tema dell’esposizione offre un punto di vista quanto mai attuale sul dramma dei migranti, oltre a un’esplicita riflessione sulle frontiere – visibili o invisibili, geografiche, politiche e sociali – che dividono le persone, in un’Europa che oggi è chiamata alla sfida dell’accoglienza.

Forte di Bard – Aosta dal 30 aprile al 26 novembre 2017

Tutti i dettagli qua

Antoine D’Agata

Torna a Milano Antoine D’Agata. A cura di Claudio Composti, la personale presenta alcuni dei suoi lavori più iconici degli ultimi 15 anni.

Una mostra in collaborazione con la Gallerie Filles du Calvaire di Parigi.

Altre info qua

Istanti di luoghi – Ferdinando Scianna

Scianna

Nella mia vita ho incrociato uomini, storie, luoghi, animali, bellezze, dolori, che mi hanno suscitato, come persona e come fotografo, emozioni, pensieri, reazioni formali che mi hanno imposto di fotografarli, di conservarne una traccia. Ho sempre pensato io faccio fotografie perché il mondo è lì, non che il mondo è lì perché io ne faccia fotografie. Anche questi luoghi non mi sembra di averli cercati, li ho incontrati vivendo, e poi ho scelto alcune delle tante fotografie che in questi incontri mi sono state regalate per comporne un libro nel quale riconoscermi.

Ferdinando Scianna

Forma Meravigli dal 21 aprile al 30 luglio

Tutti i dettagli qua

World Press Photo 2017

World Press Photo 2017, promossa da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale, è ideata da World Press Photo Foundation di Amsterdam e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con 10b Photography

La mostra del World Press Photo 2017 si terrà a Roma in prima mondiale insieme a Siviglia e Lisbona presso il Palazzo delle Esposizioni dal 28 aprile al 28 maggio 2017. Il Premio World Press Photo è uno dei più importanti riconoscimenti nell’ambito del fotogiornalismo.
Ogni anno, da più di 60 anni, una giuria indipendente, formata da esperti internazionali, è chiamata ad esprimersi su migliaia di domande di partecipazione inviate alla Fondazione World Press Photo di Amsterdam da fotogiornalisti provenienti da tutto il mondo.

Per l’edizione 2017 le immagini sottoposte alla giuria del concorso World Press Photo sono state 80,408, inviate da 5,034 fotografi di 125 nazionalità. La giuria, che ha suddiviso i lavori in otto categorie, ha premiato 45 fotografi provenienti da 25 paesi: Australia, Brasile, Canada, Cile, Cina, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, India, Iran, Italia, Pakistan, Filippine, Romania, Russia, Sud Africa, Spagna, Svezia, Siria, Nuova Zelanda, Turchia, UK, USA.

Palazzo delle Esposizioni – Roma dal 28 aprile al 28 maggio

Tutti i dettagli qua

Le mostre di Fotografia Europea 2017

Come ogni anno torna a Reggio Emilia il festival Fotografia Europea. Quest’anno il concept sviluppato è Mappe del tempo. Memoria, archivi, futuro.

Tra le varie mostre che si terranno in città dal 5 maggio al 9 luglio, ve ne segnaliamo alcune tra le più importanti. Date comunque un’occhiata al sito per il programma completo, perchè ce ne sono veramente molte interessanti.

PAUL STRAND E CESARE ZAVATTINI a Palazzo Magnani

strand_the-family-luzzara-italy-1953

UN PAESE. LA STORIA E L’EREDITÀ
a cura di Laura Gasparini e Alberto Ferraboschi

Un Paese è uno dei primi libri fotografici italiani e risente della cultura del neorealismo italiano e racconta, attraverso le immagini del fotografo statunitense e i testi di Cesare Zavattini, le vite e le storie degli umili di un paese italiano – Luzzara, nella pianura padana – scelto come specchio dello spirito di un popolo e del ritmo universale della vita legata alla terra.

La rassegna illustrerà, inoltre, attraverso gli scatti di Gianni Berengo Gardin, che insieme a Zavattini realizza Un Paese vent’anni dopo nel 1976, Luigi Ghirri, Stephen Shore, Olivo Barbieri fino alla ricerca artistica di Claudio Parmiggiani, come Un Paese sia stato fonte di ispirazione per diversi autori, fotografi, scrittori e artisti e come questi abbiano preso spunto dal volume, divenuto esemplare nella storia della fotografia e nella letteratura per il rapporto tra immagine e scrittura.

DALL’ARCHIVIO AL MONDO.
L’ATELIER DI GIANNI BERENGO GARDIN. – Chiostri di San Pietro

2bassa

A cura di Alessandra Mauro e Susanna Berengo Gardin, coordinamento scientifico Laura Gasparini. In collaborazione con Fondazione Forma per la Fotografia e Contrasto.

La mostra propone di indagare  l’archivio come luogo del pensiero e della creazione oltre che di custodia della memoria del proprio lavoro. Verranno esplorate le numerose connessioni tra il processo creativo e gli oggetti di lavoro del fotografo italiano, come le macchine fotografiche, le attrezzature, ma anche i provini a contatto, documenti, video, che illustrano l’atelier, l’archivio e l’opera di uno dei più importanti fotografi italiani.

UP TO NOW. FABRICA PHOTOGRAPHY.
a cura di Enrico Bossan – Chiostri di San PIetro

ReedYoungbassa

Fin dalla sua fondazione nel 1994, Fabrica ha accolto decine di fotografi che sono cresciuti e si sono messi alla prova in un ambiente internazionale unico nel suo genere.

Nel tempo è diventata una fucina capace di intercettare talenti e di dare loro un terreno fertile per sperimentare e formarsi, sviluppando linguaggi autonomi. Up To Now. Fabrica Photography raccoglie oltre cento opere fine art e si concentra sui lavori di tutti quei giovani che negli anni sono diventati autori riconosciuti a livello internazionale. Dagli Albino Portraits di Pieter Hugo ai Libyan Battle Trucks di James Mollison, passando per The Middle Distance di Olivia Arthur e A bad day di Laia Abril, fino ad arrivare alla Ponte City raccontata da Mikhael Subotzky e Patrick Waterhouse e al problema energetico affrontato da Lorenzo Vitturi in Oil will never end, questa raccolta è una testimonianza della varietà di approcci alla documentazione fotografica che attraversa realtà e continenti creando un unicum iconografico e narrativo.

In occasione di Fotografia Europea 2017, Fabrica proporrà inoltre un focus dedicato ai lavori di Drew Nikonowicz e di Ali Kaveh, attualmente borsisti a Fabrica.

Fabrica è il centro di ricerca sulla comunicazione di Benetton Group, fondato nel 1994. Offre a un gruppo molto eterogeneo di giovani creativi provenienti da tutto il mondo una borsa di studio annuale per sviluppare progetti di ricerca nelle aree di design, grafica, fotografia, interaction, video e musica.

70 at 70 in London

BOB194404CW000X1/ICP154

An exhibition at London’s Kings Cross showcases 70 iconic images from 70 years of Magnum Photos

An exhibition at London’s Kings Cross of 70 pictorial and historical photographic icons, celebrating the diversity of the Magnum Photos agency and how its photographers have born witness to major events of the last 70 years.

The exhibition charts a potted history of Magnum, including early photography by Magnum’s founding fathers, the introduction of colour photographers such as Harry Gruyaert and Bruno Barbey, through to the contemporary practice of photographers working in a more art medium, such as Alec Soth and Alessandra Sanguinetti.

Presented in the 90m long pedestrian tunnel with Allies & Morrison-designed LED-integrated light wall, in collaboration with King’s Cross.

May 15 – Jun 15 – King’s Cross Tunnel – London

Walker Evans

Walker_Evanspresse-900x713

Première grande rétrospective organisée en France de l’œuvre si influente de ce photographe américain. 300 vintages et autres documents retrace toute l’œuvre de l’artiste.

First major retrospective organised in France of the very influencial work of this american photographer. 300 vintages and other documents relating its entire work.

Cette retrospective a pour ambition de mettre en évidence la fascination du photographe pour la culture vernaculaire qu’il n’a cessé de traquer tout au long de sa carrière. À travers plus de 300 tirages vintages provenant des plus grandes collections internationales et une centaine de documents et d’objets, elle accorde également une large place aux collections de cartes postales, de plaques émaillées, d’images découpées, et d’éphéméra graphiques réunis par Walker Evans pendant toute sa vie.

26/04/2017 – 14/08/2017 – Centre Pompidou – Paris

Altre info qua

JACOPO BENASSI –  THE EYES CAN SEE WHAT THE MOUTH CAN NOT SAY

8

Jacopo Benassi sarà in mostra da Micamera a Milano con una serie di fotografie realizzate tra il 2011 e il 2015 presso il Btomic. La mostra sarà accompagnata da un libro edito da Peperoni Books.

Il Btomic era un locale iconico di 70 metri quadri a La Spezia, aperto nel 2011 e chiuso nel 2015 per problemi economici. Era gestito da un gruppo di amici, Gianluca Petriccione, Lorenzo D’Anteo, Roberto Buratta e Jacopo Benassi; tra i musicisti che si sono esibiti al Btomic, Teho Tehardo, Jozef van Wissem, Chris Imler, Julia Kent , Mary Ocher, Lydia Lunch, F.M Palumbo, Embryo, Lori Goldston, Hugo Race, Tav Falco, Carla Bozulich, Andrea Belfi, Lubomyr Melnyk, Ernesto Tommasini, Matt Eliot, Z’EV, Sir Richard Bishop, Six Organs Admittance, Emidio Clementi, Khan, Mangiacassette, Baby Dee, Eugene Chadbourne e molti altri…

THE EYES CAN SEE WHAT THE MOUTH CAN NOT SAY è il titolo di una mostra e di un libro. Le fotografie sono state scattate in occasione dei concerti ma nelle immagini i musicisti non compaiono mai. (In questo, è un lavoro decisamente diverso dall’omonima rivista pubblicata da Benassi negli anni in cui il Btomic era aperto) Si vedono solo persone che guardano. I latini dicevano contemplatio – il prefisso con indicava una connessione, il termine templum denotava un’area circoscritta.

Nelle immagini di Benassi vi è una forte connessione tra le persone e l’area è ben definita. Vi è una geografia composta da muri scrostati, immagini dentro le immagini, segni sul muro, dettagli dell’arredamento, strumenti, simboli. Le persone che abitano questa geografia guardano e ascoltano. Un ragazzo con una maglietta degli Sonic Youth ascolta in piedi, accanto a una donna con un semplicissimo vestito a fiori. Se la relazione tra luogo e identità è uno dei temi fondamentali della geografia mi chiedo: cos’hanno in comune? Mi piace il loro modo di stare vicini.
Questo lavoro descrive un paesaggio sonoro.
E’ opera di Jacopo Benassi, fotografo di paesaggio.

Tutti i dettagli qua

Mario Giacomelli. Terre scritte

“Cerco i segni nella terra, cerco la materia e i segni, come può fare un incisore” affermava il fotografo Mario Giacomelli, che per tutta la sua carriera ha raccontato il paesaggio percorrendo una strada personale e rivoluzionaria.

Una mostra, ospitata nel complesso monumentale di Astino, in provincia di Bergamo, rilegge l’esperienza del paesaggio nella sua opera, attraverso una quarantina di immagini, di cui molte inedite e provenienti dall’archivio Mario Giacomelli di Sassoferrato.

Giacomelli (1925-2000) parte dalla sua terra, le Marche, per indagare il rapporto tra memoria e natura, componendo le sue immagini su piccoli dettagli che si incastrano in uno stile grafico unico, come se il fotografo interpretasse la realtà con una matita invece che con una macchina fotografica. L’apice di questa visione è raggiunto nella serie Presa di coscienza sulla natura, in cui Giacomelli arriva all’astrazione totale del paesaggio: ”Attraverso le foto di terra io tento di uccidere la natura” scrive negli anni novanta, “cerco di togliere quella vita che le è stata data non so da chi ed è stata distrutta dal passaggio dell’uomo, per ridarle una vita nuova, per ricrearla secondo i miei criteri e la mia visione del mondo”.

La mostra Mario Giacomelli. Terre scritte, a cura di Corrado Benigni e Mauro Zanchi in collaborazione con l’archivio Mario Giacomelli di Sassoferrato, è stata realizzata dalla Fondazione MIA e sarà aperta dal 22 aprile al 31 luglio.

 

Like A Samba – Fotografie di: René Burri, David Alan Harvey and Francesco Zizola

Le spiagge di Rio de Janeiro viste dall’occhio di tre fotografi stranieri – uno svizzero, un americano, un italiano – che hanno vissuto in questo ritmo per mesi, anni, decenni. Una raccolta di fotografie che esprimono una sorta di nostalgia, come una canzone d’amore, o la famosa saudade. Per la prima volta, le opere di tre fotografi – René Burri, David Alan Harvey e Francesco Zizola – si riuniscono per Like A Samba: venti fotografie esposte presso la ILEX Gallery, co-curate da Deanna Richardson e Daniel Blochwitz, che vanno dal 1950 fino ad arrivare all’anno scorso e creano un racconto pieno di ritmo e di colori, proprio come il flusso e riflusso della vita di tutti i giorni in Brasile. Ma oltre la superficie color caramella delle spiagge e l’ottimismo del Tropical Modernismo, molte di queste foto alludono sottilmente alle realtà più dure e nascoste.

dal 7 aprile al 21 luglio 2017 presso ILEX Gallery @10b Photography Gallery

Altre info qua

Prelude to a Landscape – Group show

Almudena Lobera | Anthony Goicolea | Carla Cabanas | Gohar Dashti | Irene Grau | Isabel Brison | Jessica Backhaus | Manuel Vilariño | Marco Pires | Mónica de Miranda | Sara Ramo | Sérgio Carronha | Yto Barrada

In each one of us there is an appeal for everything that exists beyond our own existence which is nothing more than the result of “a process of selecting spaces to destroy or to keep in each period of time”1. The contemporary landscape, almost inclusively, is the result of alterations that comes with the human occupation and that, for different reasons, results from adapting the environment to its own establishment and development needs. In this way, landscape can be understood, rather than anything else, as a cultural construction. Its natural condition is directly related to the concept of nature created in different historical and social contexts. The idea of landscape is something that is constructed and rebuilt it is as a mental elaboration that begins with the moment when look at the territory. We can only think about the idea of landscape as a response to our beliefs, knowledge and desires and that define the world in every moment. In doing so, we follow the Kesslerian idea that “landscape is not a reality in itself because it cannot be separated from the gaze of the beholder”2. The concept of landscape from these believes transforms itself into a form of knowledge, a means to understand the environment in which we move, because “not only shows us how the world is, but is also a construction, a composition, a way of seeing it “3. Through this exhibition proposal, entitled “Prelude to a Landscape”, it is intended to reflect on the landscape and the territory, how it is interpreted, constructed and reconstructed from an artistic view. From the works of this group of artists, with different approaches to the concept of landscape and the construction of imaginary spaces, we try to clarify which are the main paths that disturb the artists and
which are the working research lines close to architecture, geography , anthropology, sociology, among others.

Galeria Carlos Carvalho – Lisbon – 06 April 2017 / 27 May 2017

Further info here

TERRA SENZ’OMBRA. IL DELTA DEL PO NEGLI ANNI CINQUANTA – PIETRO DONZELLI

Dal 25 marzo al 2 luglio 2017 a Palazzo Roverella a Rovigo una mostra fotografica riunisce oltre 100 scatti di Pietro Donzelli: stampe vintage e moderne che raccontano con l’intensità del bianco e nero il Delta del Po negli anni cinquanta.
Pietro Donzelli, milanese di nascita ma polesano d’adozione, arriva per la prima volta nel Polesine nell’aprile del ’45, innamorandosene da subito. Ci torna nel 1953 per realizzare la serie di fotografie Terra senz’ombra, capolavoro della fotografia neorealista e documento prezioso e memorabile della storia del territorio. Fotografa il Po di Levante, il Po di Volano, Adria, Goro, Rosolina, Mesola, Scardovari, l’isola di Ariano.

Ambienti meravigliosi e drammatici, abitati da gente che vive tra terra e acqua, costretta a misurarsi con la forza di una natura spesso ostile, di cui egli restituisce un ritratto di grande dignità. Donzelli riesce, come pochi altri, ad entrare nell’anima della gente e della terra, restituendone una visione precisa, senza sconti, distaccata e profondamente partecipe.

L’obiettivo di Donzelli si ferma su una festa di paese, il cinema all’aperto, le venditrici ambulanti, gli artigiani all’opera, il mondo dei pescatori e degli specchi d’acqua riflessi. Uomini, donne, vecchi e bambini colti nelle espressioni più spontanee, più vere. Una terra dura, che tuttavia lo conquista: “Senza volerlo – egli annota – l’avevo scelta come patria ideale, come protezione dalla minaccia di sentirmi per sempre un apolide”.

“Terra senz’ombra – come racconta la curatrice Roberta Valtorta – racchiude in sé la piattezza del paesaggio, il silenzio, la fatica e il senso della vita nell’ampiezza della pianura assolata. Esprime anche la luce di cui la fotografia ha bisogno per raccontare che in quei territori la pianura si fa dominante, schiacciante. Ma c’è anche qualcos’altro in questo titolo, cioè che il racconto sarà senza ombre, schietto, vero.”

Donzelli presenta con la fotografia le storie che Antonio Cibotto raccontava nei suoi libri e quelle che Rossellini, Visconti, Dall’Ara, Vancini trasferivano dal Delta al cinema.

Tutte le info qua

Night Games – Stefano Cerio

53 Lunaeur Roma

Cosa succede in un parco dei divertimenti quando si spengono le luci? Cosa succede di notte nei parchi per bambini? Una quiete desolata pervade lo spazio in cui, quando brilla il sole, i bambini giocano e gli adulti si rilassano.

Alcune risposte a questi interrogativi – sicuramente suggestive testimonianze – saranno proposte dalle fotografie di Stefano Cerio nella mostra Night Games, che aprirà al  ubblico il 5 maggio presso la Galleria del Cembalo a Roma.

Con la serie Night Games Stefano Cerio prosegue la sua ricerca, apparentemente oggettiva, sui luoghi, sulle macchine del consumo del divertimento di massa, avviata con lavori Aqua Park (2010) e sviluppatasi negli anni successivi con Night Ski (2012) e Chinese Fun (2015).

Al riguardo scrive Gabriel Bauret nel testo introduttivo del volume, edito da Hatje Cantz, che accompagna la mostra: “Oggettività non significa, però, che il fotografo si rinchiuda in un protocollo documentario. Stefano Cerio non realizza un inventario dei parchi divertimento e nemmeno cerca di declinare le fotografare al servizio di certe tematiche. Night Games riunisce luoghi e spazi differenti, come sono differenti i mondi a cui fanno riferimento gli scenari dei parchi: cinematografico, urbano, militare… Tutte le fasce di età sono in qualche modo coinvolte nella varietà dei parchi ai quali si interessa Cerio; compresa l’infanzia, perché Cerio fotografa anche nei giardini pubblici con giostre e scivoli, nel cuore di città come Parigi. La composizione dell’immagine è di grande sobrietà.”

Angela Madesini, contestualizzando il lavoro di Cerio (sempre dal volume di Hatje Cantz): “Alla fine degli anni Settanta Luigi Ghirri aveva dato vita a In scala (1977-78), scattando a Rimini presso l’Italia in Miniatura, un parco di divertimento. Ma l’effetto è completamente diverso rispetto a quello di Cerio. Se per Ghirri la tensione è nei confronti di una ricerca sullo spazio tra realtà e finzione, nel lavoro di Cerio il tentativo, riuscito, è quello di ritrarre delle situazioni, edifici, animali fantastici, personaggi, la Statua della Libertà caduta al suolo. La sua è una dimensione scenica che mi piace equiparare ai Dioramas di Hiroshi Sugimoto o a La nona ora (1999) di Maurizio Cattelan, in cui il papa è schiacciato da un meteorite. È una dimensione strettamente legata al nostro tempo, come per l’americano Gregory Crewdson. Tra i lavori dei due artisti ci sono delle vicinanze: le stesse atmosfere,  un simile afflato poetico.”

Galleria del Cembalo – Roma dal 5 maggio all’8 luglio

Tutti i dettagli qua

MY DAKOTA – Rebecca Norris Webb

10-Badlands

Il South Dakota, terra natale di Rebecca Norris Webb, è uno degli stati di frontiera delle Grandi Pianure americane. Un luogo scarsamente popolato, dove è più facile incontrare animali che persone. Dominati dai vasti spazi e dal silenzio, gli aspri e bellissimi paesaggi del South Dakota sono a volte preda di un vento brutale e di condizioni climatiche estreme.

Mentre fotografava per il suo progetto, Rebecca è stata travolta dalla notizia della morte improvvisa di suo fratello. «Per mesi una delle poche cose che hanno alleviato il mio cuore instabile era il paesaggio del South Dakota… ho cominciato a chiedermi: può la perdita avere una propria geografia?»

My Dakota, che intreccia testi e fotografie liriche, è un lavoro intimo sul West e un’elegia per un fratello perduto. Da questo lavoro, oltre la mostra è stato realizzato un volume, edito in Italia da Postcart Edizioni, selezionato tra i migliori libri del 2012 da photo-eye e pluri recensito dalla critica sui più importanti magazine e blog internazionali, quali il Time, Lens Blogs del The New York Times e The New Yorker.

Officine Fotografiche Milano – dal 27 aprile al 26 maggio 2017

Tutti i dettagli qua

 I must have been blind – Simone D’Angelo

Locandina-web-4

Si apre Sabato 13 Maggio alle ore 17 presso la Galleria de Le Murate Caffè Letterario  a Firenze la personale di Simone D’Angelo  I must have been blind. L’esposizione è la terza di un primo ciclo di tre mostre fotografiche personali a cura di Sandro Bini e Giulia Sgherri organizzate da Deaphoto in collaborazione con il Caffè Letterario.

Con I must have been blind Simone D’Angelo, come un novello Stalker (il protagonista dell’omonimo film di Andrej Tarkovskij), ci guida nella sua Zona, la Valle del Sacco, poco più a sud di Roma, da anni gravemente inquinata dallo sviluppo industriale. L’avventura, iniziata nel tentativo di raccontare le responsabilità politiche e civili che hanno reso possibile questo e altri disastri ecologici nel nostro Paese, diventa soprattutto un percorso di riappropriazione di un paesaggio familiare. Come il Saramago di Cecità, D’Angelo si interroga sulle fonti dell’indifferenza e dell’abbandono, ma come l’amante afflitto della canzone di Tim Buckley (da cui mutua sapientemente il titolo per questa raccolta), egli si domanda se sia possibile un eventuale recupero. Per questo motivo, questo progetto documentario, che filtra la realtà con uno sguardo fortemente coinvolto perché umanamente “innamorato”, è decisamente “politico”: non solo perché denuncia un problema ambientale, ma perché si fa autentico promotore di un futuro ecologicamente sostenibile. Queste fotografie dai colori cupi, in grado di farci commuovere con la loro tragica e desolante bellezza, ci mostrano una ferita, che è sia interna che esterna, e ci invitano a riaprire gli occhi e a immaginare, come per i personaggi di Tarkovksij, una possibile rinascita.

Tutti i dettagli qua

Alberto Fanelli | 3rd District stereoscopic street journey

01_tailor_and_ladyboys-PER-CATALOGO

Una mostra di street photography,  da Venezia e Stoccolma a Seul e Singapore.
Fotografie stereoscopiche a forte impatto visivo,  immagini che trascinano l’osservatore
in un’esperienza visiva vertiginosa,  affascinante per la sua novità.
Riprodurre sul piano la percezione tridimensionale della realtà: un traguardo inseguito dall’arte di ogni epoca.

L’autore riprende gli studi pionieristici di metà ottocento sulla stereoscopia spingendola ai limiti delle sue capacità espressive: osservando le opere siamo progressivamente trascinati in un’esperienza visiva vertiginosa, che disorienta e affascina per la sua novità. Oggetti e paesaggi un tempo familiari ci appaiono alterati da una insondabile metamorfosi, tanto più inspiegabile quanto più ci sforziamo di forzare la serratura che ne custodisce il segreto: se la distorsione della realtà è un meccanismo artistico che ci è familiare, siamo invece del tutto impreparati al suo opposto, la facoltà di mettere a fuoco il mondo al di là del confine naturale dei nostri sensi.

Spazio Raw – Milano dal 20 aprile al 9 maggio

Alte info qua

Amy Winehouse: A Family Portrait

16 March – 24 September 2017
“This is an exhibition bursting with warmth, life and affection.”
Time Out

Discover the woman behind the music and beyond the hype in this intimate and moving exhibition about a much loved sister.

Get to know the real Amy Winehouse through her personal belongings, from family photographs to fashion. Items on display reflect Amy’s love for her family, London and more.

Originally staged at the museum in 2013 and returning following an international tour, Amy Winehouse: Family Portrait was co-curated with Winehouse’s brother Alex and sister-in-law Riva.

The exhibition is accompanied by a new Amy-themed street art trail which leads to ‘Love Is A Losing Game’ by renowned street artist Pegasus in our Welcome Gallery.

All details here

Patti Smith – Higher learning & The NY scene

Patti Smith

Dall’8 aprile al 16 luglio 2017 il Palazzo del Governatore di Parma ospita Higher Learning, mostra di opere fotografiche di Patti Smith, con più di 120 immagini scattate in bianco e nero durante i viaggi dell’artista per il mondo. La mostra, organizzata da Università di Parma e Comune di Parma, è stata pensata appositamente in occasione del conferimento della laurea ad honorem che l’Ateneo assegnerà il 3 maggio a Patti Smith.

Higher Learning è un’evoluzione di Eighteen Stations, presentata a New York ed esposta recentemente a Stoccolma. Il progetto originale è stato realizzato in collaborazione con la Robert Miller Gallery di New York e il Kulturhuset Stadsteatern di Stoccolma. Quella di Parma è l’unica tappa italiana dell’esposizione.

Higher Learning, che arriva a più di dieci anni dall’ultima mostra fotografica di Patti Smith in Italia, ruota intorno al mondo del libro M Train (2015), nel quale partendo da un piccolo caffè del Greenwich Village l’artista traccia di fatto un’autobiografia: “una tabella di marcia per la mia vita”. Riflettendo sui temi e sulle sensibilità del libro, Higher Learning è una sorta di meditazione sull’atto della creazione artistica e sul passare del tempo, nella piena consapevolezza del potenziale di speranza e consolazione di arte e letteratura: un diario visivo che ritrae oggetti, statue, strumenti, lapidi, appartenuti a personaggi che hanno fatto la nostra cultura.

Smith utilizza una macchina fotografica vintage Land 250 Polaroid, prodotta alla fine degli anni ’60 con un telemetro Zeiss Ikon. Nell’epoca degli scatti digitali e della manipolazione delle immagini, le sue opere combattono per l’uso della fotografia nella sua forma più classica, come strumento per documentare e fissare per sempre un istante, un momento ritrovato.

All’interno della mostra sarà allestita anche la Patti Smith Library, con un centinaio di opere letterarie e cinematografiche che hanno ispirato e guidato il lavoro dell’artista nel corso della sua vita. I libri e i DVD saranno a disposizione del pubblico che potrà consultarli sul posto. Alcune opere saranno anche in vendita nel bookshop.

Tutti i dettagli qua

Ramya – Petra Savast

Ramya

Spazio Labo’ è lieta di presentare, per la prima volta in Italia nella sua versione completa, la mostra personale del lavoro più recente dell’artista olandese Petra Stavast: Ramya.
La mostra prende il nome dall’omonimo libro che Stavast ha pubblicato nel 2014 (Fw:Books/Roma Publications) e che ha rappresentato una delle più interessanti produzioni editoriali del mondo della fotografia di questi ultimi anni.

Ramya è il nome della proprietaria della casa in cui Petra si trasferisce, ad Amsterdam, nel 2001. Da allora e per un periodo lungo tredici anni, la fotografa ha documentato la vita di Ramya, nei suoi discreti cambiamenti, nella sua lentezza e anche nella sua intimità, trasformando la fotografia in mezzo di comunicazione tra le due donne, fra cui fin da subito instaura una relazione speciale. Il risultato è una serie di immagini sobrie e intime della casa e dei suoi abitanti, almeno sino al 2012, quando Ramya muore e Petra ha la possibilità di accedere al suo archivio privato e il progetto acquistata una nuova dimensione: si scopre non solo un passato di Ramya estremamente affascinante, ma anche una serie di scatti della donna rubati da un vicino di casa. Petra ricostruisce il periodo in cui Ramya entra nella comune di Rajneeshpuram, creata tra il 1981 e il 1985 dai seguaci di Bhagwan (Osho) e attiva nel deserto dell’Oregon, Stati Uniti. Di questa realtà utopica resta solo una strada asfaltata, che ritroviamo in una delle fotografie di Petra. Conclusa l’esperienza di Rajneeshpuram, Ramya rientra ad Amsterdam e comincia a frequentare un nuovo guru. Petra recupera e dà nuova forma e luce a reperti dell’epoca come una vhs delle sedute di autovisualizzazione e un elenco, scritto a mano, di desideri da esprimere durante gli esercizi spirituali.
Attraverso i materiali prodotti e raccolti dal 2001 al 2014 – fotografie, video, disegni e note autografe – Petra Stavast ha documentato con estrema cura e devozione la vita di Ramya, registrando e interpretando una biografia inusuale e rivelando una ricerca visuale di un’identità.

Tutti i dettagli qua

The Grain of the Present

GrainOfThePresent-72

The Grain of the Present, Pier 24 Photography’s ninth exhibition, examines the work of ten photographers at the core of the Pilara Foundation collection—Robert Adams, Diane Arbus, Lewis Baltz, Bernd and Hilla Becher, Lee Friedlander, Nicholas Nixon, Stephen Shore, Henry Wessel, and Garry Winogrand—whose works share a commitment to looking at everyday life as it is. Each of these figures defined a distinctive visual language that combines formal concerns with a documentary aesthetic, and all of them participated in one of two landmark exhibitions: New Documents (1967) at the Museum of Modern Art, New York, or New Topographics (1975) at the International Museum of Photography, George Eastman House, Rochester.

Looking back, inclusion in these exhibitions can be seen as both a marker of success and a foreshadowing of the profound impact this earlier generation would have on those that followed. Although these two exhibitions were significant, most of these photographers considered the photobook as the primary vehicle for their work. At a time when photography exhibitions were few and far between, the broad accessibility of these publications introduced and educated audiences about their work. As a result, many contemporary photographers became intimately familiar with that work, drawing inspiration from it and developing practices that also value the photobook as an important means of presenting their images.

The Grain of the Present features the work of these ten groundbreaking photographers alongside six contemporary practitioners of the medium—Eamonn Doyle, LaToya Ruby Frazier, Ed Panar, Alec Soth, Awoiska van der Molen, and Vanessa Winship. This generation embodies Wessel’s notion of being “actively receptive”: rather than searching for particular subjects, they are open to photographing anything around them. Yet the contemporary works seen here do not merely mimic the celebrated visual languages of the past, but instead draw on and extend them, creating new dialects that are uniquely their own.

All of the photographers in this exhibition fall within a lineage that has been and continues to be integral to defining the medium. What connects them is not simply style, subject, or books. It is their shared belief that the appearance of the physical world and the new meaning created by transforming that world into still photographs is more compelling than any preconceived ideas they may have about it. Each photographer draws inspiration from the ordinary moments of life, often seeing what others overlook—and showing us if you look closely, you can find beauty in the smallest aspects of your surroundings. As a result, the visual language of these photographers resonates beyond each photograph’s frame, informing the way viewers engage with, experience, and perceive the world.

April 1, 2017 – January 31, 2018 – Pier 24 Photography – San Francisco

Further info here

Mauro Galligani “Alla luce dei fatti”

Mauro Galligani, Alla luce dei fatti, CIFA di Bibbiena

La mostra è una retrospettiva del lavoro di Mauro Galligani. Con oltre mille servizi realizzati in ogni parte del mondo, Galligani è uno dei fotogiornalisti più importanti del nostro dopoguerra e ha collaborato con alcune delle più importanti testate al mondo. Nelle 16 celle e nel corridoio del CIFA, la mostra si sviluppa per grandi temi, che suddivisi per aree geografiche, percorrono alcuni degli eventi politici, sociali e di costume che hanno fatto la storia tra gli anni’ 70 e i giorni nostri.

Mauro Galligani ama definirsi un giornalista che usa l’immagine fotografica per esprimersi. “Pur essendoci fotografi straordinariamente bravi, i miei modelli di riferimento vengono dal giornalismo scritto. Ciò che voglio sottolineare è che non sono mai andato a fotografare le bellezze o i drammi del mondo per fare l’eroe o per vincere un premio fotografico. Ho sempre cercato di svolgere il mio lavoro cogliendo fotograficamente aspetti e particolari della realtà davanti a cui mi trovavo, per dare la possibilità al lettore di rendersi conto di ciò che stava accadendo.”

“La cosa che più ci colpisce di Galligani è l’attenzione che pone a ciò che gli sta attorno e la sua sensibilità nel capire le persone che gli stanno di fronte – afferma Claudio Pastrone, Direttore del CIFA – I suoi scatti, sempre magistralmente composti e mai artefatti, riescono a farci entrare nell’avvenimento e a trasmetterci l’informazione e l’emozione della presa diretta. Nei suoi servizi ogni immagine è significativa e serve a completare il racconto dell’evento fotografato”.

“Ho apprezzato, vedendo lavorare Galligani – scrive il giornalista Enrico Deaglio – cose che non sapevo. Che dietro una fotografia ci sono la pazienza di tornare anche dieci volte sullo stesso posto, la fiducia di chi viene fotografato e l’eleganza dei gesti del fotografo. L’ho visto stare fermo ad aspettare un avvenimento, sapendo che doveva succedere. Molte volte non succedeva, ma quando succedeva era  una foto”

“I grandi fotografi – scrive il giornalista Giampaolo Pansa – sono sempre grandi narratori. E hanno un vantaggio rispetto a noi che parliamo attraverso la scrittura: il loro occhio vede e spiega con una sintesi, un’efficacia e una forza di verità che nessun giornalista, per bravo che sia, possiede. Mauro Galligani è un grande narratore di storie”.

Centro Italiano della Fotografia d’Autore – Bibbiena – 8 aprile 2017 – 4 giugno 2017

Tutte le info qua

Violet ISLE – foto di Alex Webb e Rebecca Norris Webb

17917742_1526968884042564_2097791820809466056_o

Alex Webb è un fotografo internazionalmente conosciuto per i colori vivaci delle sue fotografie, specialmente del mondo caraibico e dell’America Latina. Rebecca Norris Webb ha esplorato attraverso la macchina fotografica la complessa relazione tra le persone e il mondo naturale. Questo progetto è il primo di numerosi lavori a quattro mani creati da Alex e Rebecca nel corso degli ultimi vent’anni.

Insieme nella vita e nel lavoro, la coppia rimane affascinata dal liricismo e dall’intensità della vita cubana più di venti anni fa. Tra il 1993 e il 2008 hanno compiuto undici viaggi fotografici a Cuba. Lavoravano individualmente: Alex catturando volti e sguardi delle persone che incontrava nelle strade, nei cortili, nei caffè; Rebecca costruendo un personale registro delle diverse specie animali che scopriva quotidianamente a Cuba: dai piccioni a piccoli giardini zoologici casalinghi.

Intessute insieme, le fotografie di Alex e Rebecca, pur mantenendo la loro specifica individualità, formano un commovente diario visivo, una duetto, un dialogo sulla bellezza e sulle contraddizioni di questo luogo. In modo sottile, le immagini di Alex e Rebecca Webb evocano il passato di Cuba e il suo isolamento politico, economico, ambientale e culturale.

Spazio Fotografia San Zenone – Reggio Emilia –  dal 5 maggio

Più culture

pi-culture_737x3201

Migranti nel Municipio II di Roma Diletta Bisetto, Luca Cascianelli, Francesca Landini, Daniela Manco, Alessandro Maroccia, Vincenzo Metodo, Carolina Munzi, David Pagliani, Melissa Pallini, Simona Scalas, Serena Vittorini e Martina Zanin sono i giovani fotografi dell’ISFCI, Istituto Superiore di Fotografia, autori delle 87 foto in mostra, scattate nell’ambito di un progetto didattico realizzato dal prof. Dario Coletti in collaborazione con Eliana Bambino, photo editor e curatrice della mostra, a conclusione del corso triennale di studi e del master.

I lavori raccontano, attraverso una densa narrazione visiva, le trasformazioni del II Municipio di Roma, protagonista di un processo di immigrazione e integrazione che lo rende specchio di una Roma che cambia: flussi migratori vecchi e nuovi, palazzine occupate, centri diurni e notturni per minori non accompagnati, e poi negozi aperti di notte, botteghe con competenze artigiane, luoghi di culto di fedi diverse e luoghi di passaggio e altri diventati ormai insediamenti stabili, per quanto precari. È un’umanità varia, quella del II Municipio. Un cuore pulsante di vita che proviene da tutto il mondo e che ha trovato in una fetta di Roma la sua casa, amata, odiata, plasmata nel tempo, vissuta sempre con un occhio all’altro capo del globo. Se Roma è lente di ingrandimento del mondo e della sua globalizzazione, le storie locali sono descrizione di un fenomeno più complesso. E la fotografia, nella sua immediatezza, diventa specchio del nostro sguardo quotidiano su quel mondo.

Goethe Institut Roma – fino al 27 maggio

Tutti i dettagli qua