“Se la devi spiegare non è venuta bene” Che stupidaggine! Le foto vanno spiegate.(Seconda parte)

Eccomi per la seconda parte…

Le foto che vi avevo mostrato nell’articolo precedente su questo argomento, le ho scattate a Tirana, in Albania, siamo in un campo rom, dietro la stazione centrale. L’interno è una delle case di una famiglia rom. Poche cose. La ragazzina si sta specchiando all’esterno della sua capanna di legno e latta,  per pettinarsi. Non conosco il suo nome. Sono scarti di un progetto che puoi vedere qui, del 2009. Nello scorso articolo, vi avevo chiesto di dirmi cosa vedevate nella foto, qualcuno ha risposto.

Nessuna tragedia, nessun cataclisma, come qualcuno aveva ipotizzato, altri sono stati più vaghi, non spiegando il contenuto, ma le sensazioni che il contenuto trasmetteva. Poche parole, ma a meno che qualcuno conoscesse il mio lavoro, dubito che avrebbe capito collocazione geografica, situazione e contesto, non trovate?

Un esperimento simile è stato condotto dallo studioso John R. Whiting, nel suo libro Photography is a language, in cui la didascalia viene considerata uno  strumento imprescindibile per comprendere una fotografia e propone questo esperimento: seleziona un Reportage da Life , toglie le foto e unisce le didascalie:  il risultato è un racconto coerente e comprensibile. Se fa l’opposto (toglie le dida e tiene le foto) ciò che ne esce è ambiguo e poco coerente.

In sostanza, la didascalia aiuta lo sguardo guidandolo sui punti di interesse.

Perfino Eugene Smith  lasciò “Life” anche per i litigi relativi alle scelte dei testi che accompagnavano le sue immagini dato che spesso ne veniva travisato il senso, e autorizzò la pubblicazione del suo lavoro su  Pittsburgh solo a condizione che venissero mantenute le didascalie scritte direttamente da lui.

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W. Eugene Smith, Steelworker with Goggles, Pittsburgh, 1955, ©The Heirs of W. Eugene Smith

Anche se la funzione del “chiarire” propria delle dida è fortemente rilevante nella fotografia documentaria, nessun genere fotografico può prescindere da una spiegazione e questo non dipende dall’impatto visivo dell’immagine che, per quanto forte, non sarebbe sufficiente a chiarire tutto ciò che il fotografo avrebbe voluto.

Non cambia se si tratta di foto singola o di portfolio, qualsiasi fotografia non può prescindere da una spiegazione o un’introduzione.

Tra l’altro, in qualche caso, si abusa dell’introduzione. In alcuni lavori che vedo mi capita di leggere per esempio:

Questo è un lavoro intimo, personale, sul distacco dalla mia famiglia, bla, bla bla…

Nelle fotografie vedo un forno elettrico, due ciabatte, un piatto vuoto su un tavolo. Beh ragazzi questo è anche un lavoro sulla fame nel mondo, sulla morte del nonno, sull’anoressia.

Attenzione a pretendere che chi guarda, dia la vostra interpretazione delle cose, la spiegazione, la sinossi, la didascalia, no sostituiscono il contenuto delle vostre foto, lo accompagnano.

Nancy Newhall in “The Caption” analizza quattro generi di didascalia:

“Didascalia enigmatica” intende una parte di frase estrapolata da un testo e posta sotto a una fotografia

“Didascalia come saggio in miniatura”  fornisce in modo ampio tutte le informazioni necessarie alla corretta lettura dell’immagine.

“Didascalia narrativa” la più comune: “dirige l’attenzione alla fotografia, di solito inizia con una frase d’effetto in grassetto, poi narra cosa avviene nella fotografia e si conclude con un commento. In una foto-storia funge da ponte tra il testo e la fotografia” (preso dal suo testo).

“Didascalia aggiuntiva” è la forma più innovativa “aggiunge una nuova dimensione”in quanto “combina le proprie connotazioni con quelle della fotografia per produrre una nuova immagine nella mente dello spettatore […] che non esiste né nelle parole né nella fotografia, ma solo nella loro giustapposizione” (preso dal suo testo).

Attenzione all’abuso di didascalie sceme, tipo:

La solitudine

L’amore

La paura

Questi sono titoli e sono anche brutti titoli, non spiegano niente e non aggiungono niente all’immagine…piuttosto cercate di scrivere un’introduzione del vostro lavoro all’inizio della mostra, magari  accompagnato da una vostra biografia, ma per favore, fatelo lontano dalle foto!! 🙂

Concludo con la definizione di didascalia.

La parola didascalia deriva dall’omonimo termine greco διδασκαλία (istruzione), derivato a sua volta da διδάσκω (insegnare).

Ciao

Sara

Qui il link all’articolo precedente.