Mostre da non perdere ad agosto!

Ciao, anche per agosto vi segnaliamo mostre interessantissime. Se siete in vacanza in quelle zone, prendete nota, altrimenti potete cogliere l’occasione delle mostre per farvi qualche gita.

A presto

Anna

Le mostre di Cortona On the Move

Il festival internazionale Cortona On The Move è il primo festival italiano a ripartire dopo l’emergenza sanitaria e alla sua decima edizione compie una svolta verso il visual narrative. Il programma di eventi e mostre saranno strutturati nel rispetto delle normative previste per fronteggiare l’emergenza Covid-19.

Sarà un’edizione speciale; perché interamente dedicata a The COVID-19 Visual Project. A Time of Distance.

Avrai la possibilità di vedere una selezione esclusiva dei lavori raccolti nel progetto. Nel quale, artisti visivi internazionali, hanno raccontato alcune storie legate a questo periodo che cambierà per sempre il nostro pianeta.

Le 21 mostre saranno esposte a Cortona in Palazzo Capannelli, in esterna nel centro storico del borgo toscano e presso la Fortezza del Girifalco.

Tra tutti i fotografi che esporranno, vi segnaliamo in particolar modo Alex Majoli, Andrea Frazzetta, Paolo Woods e Gabriele Galimberti, Davide Bertuccio e Serena Vittorini. Ma direi che ve le dovreste vedere tutte.

Dal 11 Luglio 2020 al 27 Settembre 2020 – CORTONA – Sedi varie

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FRIULI VENEZIA GIULIA FOTOGRAFIA #CHANGE.

Il Centro Ricerca e Archiviazione della Fotografia inaugura la storica rassegna in auge dal 1987 e rilancia la cultura attraverso grandi autori.
La manifestazione si occuperà delle radicali trasformazioni del pianeta, dei cambiamenti climatici e dell’uomo.
Il CRAF utilizza quest’anno l’arte della fotografia per innescare una virtuosa riflessione e sceglie il claim, #CHANGE, iconico e trasversale, affinché sia d’ispirazione per un vero cambiamento sociale, urgente e fondamentale alla sopravvivenza della Terra e delle specie viventi che la popolano.
La rassegna è realizzata grazie alla collaborazione della Regione Friuli Venezia Giulia con il sostegno della Fondazione Friuli e il patrocinio dell’Università degli Studi di Udine.

Le tre mostre in programma:

ALESSANDRO GRASSANI
Environmental migrants – The last illusion

4 luglio – 6 settembre 2020
Chiesa di San Lorenzo, San Vito al Tagliamento

FRANCESCO COMELLO
L’Isola della salvezza

9 ottobre – 15 novembre 2020
Palazzo Ricchieri, Pordenone

YANN ARTHUS-BERTRAND
Home

20 febbraio – 25 aprile 2021
Palazzo Tadea, Spilimbergo

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PETERSON – LAVINE. COME AS YOU ARE: KURT COBAIN AND THE GRUNGE REVOLUTION

Inaugurata lo scorso marzo e chiusa dopo pochi giorni per l’emergenza coronavirus, riapre giovedì 2 luglio la mostra fotografica “Peterson – Lavine. Come as you are: Kurt Cobain and the Grunge Revolution”, a Palazzo Medici Riccardi, Firenze.

A cura di ONO arte contemporanea, l’esposizione è organizzata e promossa da OEO Firenze Art e Le Nozze di Figaro, in collaborazione con MUS.E e con il patrocinio di Città Metropolitana di Firenze e Comune di Firenze.

“Peterson – Lavine. Come as you are: Kurt Cobain and the Grunge Revolution” è un viaggio nella storia della scena musicale grunge e in quella del suo eroe, Kurt Cobain, simbolo della controcultura americana della fine del XX secolo.

La mostra presenta oltre 80 foto, tra cui alcune inedite, di Charles Peterson e Michael Lavine, proposte in un accostamento inusuale che immerge il pubblico nella fascinazione di quegli anni straordinari, in cui i fan erano parte integrante di una rivoluzione musicale, e ci restituisce un ritratto ora intimo ora iconico del leader di un gruppo che ha segnato la storia del rock contemporaneo.

“Per raccontare l’avventura di Kurt Cobain, dei Nirvana e il grunge abbiamo scelto le fotografie di Michael Lavine e di Charles Peterson – spiega Vittoria Mainoldi, curatrice della mostra per ONO arte contemporanea –  non solo perché sono alcune delle più iconiche ma anche perché, meglio di chiunque altro, i loro lavori restituiscono quello che era il clima culturale nella mitica Seattle anni ’90. Il percorso espositivo, che compenetra perfettamente i bianconeri di Peterson con i colori pop di Lavine, segue quella che è la cronologia della band, partendo dai primi anni, quando al posto del batterista Dave Grohl c’era Chad Channing, fino a quelli del successo internazionale per concludersi con una sezione dedicata ad altri gruppi che hanno popolato la scena musicale grunge”

“In mezzo a tutto il caos di un concerto dal vivo, volevo trovare come un senso di grazia, volevo che le persone sperimentassero come fosse l’essere lì: il sudore, il rumore, l’essere schiacciati gli unici contro gli altri”.
(Charles Peterson)

Peterson, utilizzando uno stile personale, crea un proprio marchio di fabbrica inconfondibile: i suoi flash, molto potenti per poter squarciare il buio dei club, sono in grado di isolare i soggetti in modo classico e iconico al tempo stesso; il suo è un Cobain ritratto in immagini intime e rivelatrici come quella scattata sul palco dello storico Reading Festival in UK nell’agosto del ’92 quando il cantante, di cui già si vociferavano le precarie condizioni psicofisiche, si presentò sul palco in sedia a rotelle, esibendosi in uno degli show più memorabili nella storia del gruppo.
Oppure quella, in mostra come la precedente, del ’92 che lo vede assieme alla figlia, davanti agli elementi di un collage che rappresenta modellini di feti umani su una distesa di gigli e orchidee, idea che gli ispirò poi la realizzazione del retro della copertina dell’album In Utero. Charles Peterson fu chiamato da Kurt proprio per immortalare l’opera d’arte del collage, abbozzato sul pavimento di casa a Seattle, ma il fotografo non si lasciò sfuggire l’occasione di fotografare Kurt e Francis Bean, proprio davanti a tutti quegli elementi sparsi sul pavimento.
 
“Ripensandoci adesso è eccezionale come io abbia cominciato come un ragazzino con una macchina fotografica nel mezzo del nulla e abbia finito con il grande privilegio di testimoniare e documentare un pezzo così importante e forte della storia del rock”.

(Michael Lavine)

Lavine immortala il gruppo in studio dai mesi della loro prima formazione, fino agli anni del successo mondiale, quando accanto al leader della band c’era la moglie Courtney Love.  Contraddistinto da una cifra stilistica del tutto inconsueta, pop e patinata, Lavine viene molto apprezzato fin dai suoi primi lavori fotografici e subito gli vengono commissionati servizi per le cover di celebri album musicali. Californiano di nascita, giunto a Seattle nei primi Anni ’90, Lavine stringe amicizia con molti dei membri delle band della scena grunge, e su tutti con Kurt Cobain, cosa che gli permette di cogliere immagini dei Nirvana nei diversi momenti della loro breve ma intensa storia musicale, proprio fino a pochi giorni prima dalla scomparsa di Cobain stesso.

Iconiche le foto in mostra delle sessioni fotografiche per la promozione degli album “Nevermind” e “In Utero”.  Questi scatti, diventati simbolo di un’era, sono una vera e propria registrazione visiva del gruppo, che il fotografo accompagna in studio in tutti i diversi momenti della propria parabola, fino a pochi giorni dalla scomparsa del suo leader. Lavine è capace di cogliere immagini di un mondo che di lì a poco sarebbe scomparso, soprattutto dopo la drammatica morte di Kurt Cobain e la fine dei Nirvana.

Nel novembre del 1993 i Nirvana registrano un concerto acustico, il celebre MTV Unplugged, ma a fine anno le condizioni di Cobain peggiorano drasticamente. Nonostante questo, la band parte all’inizio del 1994 per un nuovo tour europeo, che viene però bruscamente interrotto il 4 marzo, a Roma, quando Courtney Love trova il marito privo di sensi nella stanza d’albergo. La band fa immediato ritorno negli Stati Uniti, dove Cobain comincia una riabilitazione in clinica che dura solo una settimana. Dopo un’altra settimana di latitanza, l’8 aprile 1994, Cobain viene trovato morto nella sua casa di Seattle: un colpo di fucile alla testa e una lettera di addio.

La mostra, che grazie alla selezione musicale di sottofondo permette ai visitatori di ascoltare i brani più significativi del movimento grunge, si conclude con una sezione interamente dedicata agli altri esponenti della scena di Seattle tra cui Pearl Jam, Soundgarden, Mudhoney, immortalando così non solo l’epopea di un gruppo ma le atmosfere di un periodo fortemente significativo della recente storia americana.

Dal 02 Luglio 2020 al 18 Ottobre 2020 – FIRENZE – Palazzo Medici Riccardi

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NINO MIGLIORI. STRAGEDIA

Nel 2020 ricorre il 40° anniversario della Strage di Ustica che, tra le numerose iniziative, verrà ricordato tramite la mostra Nino Migliori. Stragedia, promossa dal Dipartimento Cultura e Promozione della Città del Comune di Bologna e dall’Associazione Parenti della Strage di Ustica.

L’esposizione, a cura del responsabile Area Arte Moderna e Contemporanea dell’Istituzione, Lorenzo Balbi, si terrà negli spazi dell’Ex Chiesa di San Mattia, con inaugurazione sabato 27 giugno, data in cui avvenne la tragedia nel 1980, per proseguire fino al 27 settembre.

Il progetto, che si svilupperà in una video-installazione immersiva, nasce da una rielaborazione di immagini scattate dal grande fotografo nel 2007 durante l’allestimento dei resti del velivolo negli spazi del Museo per la Memoria di Ustica. Gli 81 scatti, corrispondenti al numero di vittime della strage, sono eseguiti a “lume di candela” tecnica utilizzata dal fotografo nel 2006 per la serie Lumen. Nino Migliori, oltre alle ricerche di stampo realista sull’Italia del dopoguerra, è noto per le sperimentazioni sul materiale fotografico eseguite mediante tecniche di sua invenzione come le ossidazioni e i pirogrammi. 

Dal 27 Giugno 2020 al 27 Settembre 2020 – BOLOGNA – Ex Chiesa di San Mattia

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MARIO CRESCI. COMBINAZIONI PROVVISORIE

In occasione dei cinque anni dall’apertura della galleria, Matèria è lieta di presentare per la prima volta nei suoi spazi la personale di Mario Cresci (Chiavari, 1942). La mostra dal titolo Combinazioni provvisorie è accompagnata dal testo critico di Mauro Zanchiepresenta due lavori dell’autore: Analogie e memoria (1980) e l’installazione Cronistorie (1970).
 
In Analogie e memoria, lavoro nato a Matera tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, Mario Cresci ingloba segni, immagini, scritte, disegni, appunti, frammenti di icone tenute negli archivi e nelle cassettiere insieme a progetti, collage, manifesti, estratti di testi e immagini stampate, fotografie di altri autori. Un diario di un viaggio iconico, in cui tutti gli elementi sono composti tra loro come un menabò in doppie pagine di un grande libro. Le fotocopie – 56 delle quali ospitate nella prima sala della galleria – qui sono “opere” nel senso di arte come idea, da intendere come proposizioni che assolvono a un assunto conoscitivo. Cresci fa ricorso a mezzi di comunicazione più anonimi: sostituisce l’utilizzo della macchina fotografica con l’atto di porre sul piano di una fotocopiatrice tutto il suo mondo, tra realtà visibile e esplorazioni cognitive, per evitare tutti i possibili risvolti formalistici connessi all’idea di immagine fotografica realizzata secondo i canoni classici.
 
In Cronistorie, Cresci, con un girato in pellicola 16mm di circa quaranta minuti e recentemente rimontato in un cortometraggio di 10’, realizza un racconto, un’indagine – al contempo realistica e visionaria, tra tradizione e avanguardia, tra opera d’arte e proiezione misterica – sulle culture popolari in Basilicata: le immagini si muovono in scenari densamente antropologici, dentro il mistero dei riti contadini, dei sacrifici animali, delle processioni religiose, dentro le zone d’ombra dell’inconscio collettivo rurale. La narrazione attinge a una fonte inesauribile di immagini latenti del mondo e porta alla luce segni, tracciati, impronte, mappe oniriche, che si muovono a livello formale e percettivo: «Cronistorie si colloca nel 1970 dentro a un coacervo di esperienze, di contaminazioni di pensiero e di sguardi, coni ottici spesso lievemente anarchici, sguardi fuori dal seminato, perché volevo capire le ragioni del mio disadattamento verso le norme del sentire e del vedere, che animavano la realtà di quegli anni. L’arte era per me l’unico modo per sopravvivere e restare lontano da tutto ciò che ritenevo e che sentivo disumano, sbagliato e falso. Il filmato è in fondo anche questo: un concentrato di malessere, che trova in un luogo particolare come Tricarico quello che poi riscontrai essere simile a Macondo in Cent’anni di solitudine». (Mario Cresci)

Dal 23 Giugno 2020 al 31 Ottobre 2020 – Roma – Matèria

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JACQUES HENRI LARTIGUE. L’INVENZIONE DELLA FELICITÀ

La Casa dei Tre Oci di Venezia riapre dopo l’emergenza Coronavirus con la più ampia retrospettiva mai organizzata in Italia, dedicata al fotografo francese Jacques Henri Lartigue (1894-1986).
 
L’esposizione, inizialmente prevista dal 4 marzo al 12 giugno 2020, ma aperta solo pochi giorni a causa dei provvedimenti per contenere il contagio da Covid-19, si terrà dall’11 luglio 2020 al 10 gennaio 2021.
 
Per celebrare la riapertura, sabato 11 luglio, la mostra sarà aperta con ingresso gratuito, dalle 14.00 alle 19.00. Nei mesi di luglio e agosto, si potrà visitare la rassegna dal venerdì alla domenica, dalle 11 alle 19, pagando il solo biglietto ridotto speciale (€9,00 anziché 13).
 
L’invenzione della felicità, curata da Marion Perceval e Charles-Antoine Revol, rispettivamente direttrice e project manager della Donation Jacques Henri Lartigue, e da Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci, è organizzata da Civita Tre Venezie e promossa da Fondazione di Venezia, in stretta collaborazione con la Donation Jacques Henri Lartigue di Parigi, con il patrocinio del Ministero della Cultura francese.
 
“Con la riapertura al pubblico della Casa dei Tre Oci la Fondazione di Venezia conferma il suo impegno al fianco della città, dopo la grave crisi generata da Covid-19, per un rilancio internazionale che non può non passare attraverso la cultura – sottolinea il Presidente della Fondazione di Venezia, Michele Bugliesi –. I Tre Oci sono ormai da anni una straordinaria casa della fotografia in cui sono ospitate mostre di grande respiro come questa dedicata a Jacques Henri Lartigue. Poter rendere nuovamente la Casa dei Tre Oci un bene al servizio della città è il segno tangibile della volontà della Fondazione di essere sotto ogni forma attore proattivo per lo sviluppo di Venezia e del suo territorio”.
 
La rassegna presenta 120 immagini, di cui 55 inedite, tutte provenienti dagli album fotografici personali di Lartigue, dei quali saranno esposte alcune pagine in fac-simile. A queste si aggiungono alcuni materiali d’archivio, libri quali il Diary of the Century (pubblicato con il titolo “Instants de ma vie” in francese), riviste dell’epoca, un diaporama con le pagine degli album, tre stereoscopie con immagini che rappresentano paesaggi innevati ed eleganti scenari parigini. Questi documenti ripercorrono la sua intera carriera, dagli esordi dei primi anni del ‘900 fino agli anni ‘80 e ricostruiscono la storia di questo fotografo e la sua riscoperta. Il 1963 è in tale contesto un anno cruciale: John Szarkowski, da poco nominato direttore del dipartimento di fotografia del MoMa – il Museum of Modern Art di New York, espone i suoi lavori al Museo newyorkese, permettendogli di raggiungere il successo quando Lartigue è vicino ormai ai settant’anni.
 
Il percorso de L’invenzione della felicità si articola intorno a questi grandi momenti di riscoperta dell’opera di Lartigue, a cominciare dalla rassegna del museo newyorkese, durante la quale sono presentati i suoi primi scatti precedenti la Prima Guerra Mondiale, e che fanno di lui l’enfant prodige della fotografia. Ispirato dai giornali e dalle riviste illustrate di quest’epoca, Lartigue s’interessa alla ricca borghesia parigina che si ritrovava ai Grandi premi automobilistici, alle corse ippiche di Auteuil, oltre che agli uomini e alle donne eleganti che le frequentavano.
 
“La ‘parte di mondo’ di Lartigue – scrive Denis Curti nel suo testo in catalogo – è quella di una Parigi ricca e borghese del nouveau siècle, e anche quando l’Europa verrà attraversata dagli orrori delle due guerre mondiali, Lartigue continuerà a preservare la purezza del suo microcosmo fotografico, continuando a fissare sulla pellicola solo ciò che vuole ricordare, conservare. Fermare il tempo, salvare l’attimo dal suo inevitabile passaggio. La fotografia diventa per Lartigue il mezzo per riesumare la vita, per rivivere i momenti felici, ancora e ancora”.
 
A seguito del successo ottenuto con la mostra al MoMa, verso la fine degli anni ‘60, Lartigue incontra Richard Avedon e Hiro, due tra i più influenti fotografi di moda di allora, che si appassionano immediatamente alla sua arte.
Avedon, in particolare, gli chiese di scavare nel suo archivio per riportare alla luce alcuni scatti al fine di creare un ‘giornale’ fotografico. La selezione di queste immagini, fatta dallo stesso Avedon e da Bea Feitler, photoeditor di Harper’s magazine, portò alla pubblicazione del volume, nel 1970, Diary of a Century che lo consacrò definitivamente tra i grandi della fotografia del Novecento.
 
Tuttavia, Lartigue non è più da tempo il fotografo amatoriale di inizio secolo. Dagli anni ‘40 pubblica le sue fotografie su riviste, combinando i suoi incontri mondani e le inquadrature ricercate.
 
Dopo l’approfondimento del periodo della sua riscoperta, le ultime sezioni si concentrano sugli anni ‘70 e ‘80, segnati dalle collaborazioni con il mondo del cinema, dove lavora come fotografo di scena per numerosi film, e della moda. L’occhio di Lartigue, tuttavia, non riuscì mai ad allontanarsi dalla vita di tutti i giorni, immortalando sempre molti dettagli curiosi e carichi d’ironia.
 
Un interessante focus è inoltre riservato alle memorie che Lartigue scrisse negli anni ‘60 e ‘70, quando inizia a ricomporre i suoi album nei quali aveva raccolto tutti i suoi scatti.
 
La mostra è accompagnata da un catalogo bilingue Marsilio Editori, con una testimonianza di Ferdinando Scianna.
 
In occasione della riapertura, la Casa dei Tre Oci mette a disposizione gratuitamente innovative modalità di fruizione della mostra, perfezionate dalla Fondazione di Venezia in collaborazione con Civita Tre Venezie nel periodo di lockdown nell’ambito del progetto FDVonair. Si tratta di un sistema di particolari QRcode, ovvero codici scansionabili con la fotocamera del proprio cellulare, associati a podcast che consentiranno ai visitatori di approfondire una significativa selezione di immagini attraverso la voce del direttore artistico Denis Curti e di ascoltare la playlist ispirata ai temi del fotografo della felicità.
 
Dall’11 luglio riapre, inoltre, nelle sale De Maria della Casa dei Tre Oci, la personale di Daniele Duca (Ancona, 1967), dal titolo Da Vicino, che presenta una serie di scatti di oggetti (grucce, penne, trame di tessuti, pasta, peperoni) che, privati del loro contesto, diventano delle nature morte contemporanee.
 
L’accesso alla Casa dei Tre Oci è contingentato, nel rispetto delle attuali norme sulla sicurezza, con alcune prescrizioni, quali l’uso della mascherina, la distanza di sicurezza di almeno 1 metro, l’obbligo di igienizzarsi le mani all’ingresso e all’interno delle sale espositive, grazie ai dispenser igienizzanti posti in più punti della Casa.

Dal 11 Luglio 2020 al 10 Gennaio 2021 – Venezia – Casa dei Tre Oci

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PIERGIORGIO BRANZI. IL GIRO DELL’OCCHIO. FOTOGRAFIE 1950-2010

Potrà sembrare un’affermazione azzardata ma, a mio giudizio,
fotografare è un’operazione compromettente.
Piergiorgio Branzi

Dal 23 giugno al 6 settembre 2020, il Castello Visconteo Sforzesco di Novara ospita una mostra che documenta oltre cinquant’anni di fotografie di Piergiorgio Branzi (Signa, FI, 1928), uno dei più importanti e riconosciuti interpreti di questa particolare forma d’arte.

La rassegna, dal titolo Il giro dell’occhio, curata da Alessandra Mauro, organizzata da Contrasto con Fondazione Forma per la Fotografia e Contrasto Galleria in collaborazione con Fondazione Castello visconteo-sforzesco di Novara e con il patrocinio del Comune di Novarapresenta 60 immagini tra le più iconiche realizzate dal fotografo toscano in mezzo secolo di sguardi sul mondo.

“Il giro dell’occhio in cui ci conduce Piergiorgio Branzi con le sue fotografie – afferma Alessandra Mauro – è un turbine d’immagini e memorie, di ricordi, impressioni e scelte meditate. Di osservazioni coerenti in cui lo sguardo è sempre pronto a percorrere il mondo, tracciare e nominare la visione di profili di terre e di pietre. Una serie di vedute e “rivedute” che comunicano la stessa esperienza esistenziale dell’autore, il suo respiro. Quello di un corpo profondamente attento, lieto di continuare a vivere di meraviglia e di osservazione”.

Il percorso espositivo, ordinato per cicli tematici cronologici, delinea una mappa geografica che dalla sua Toscana si sposta verso l’Italia del sud e il Mediterraneo, per poi salire a Parigi e a Mosca, dove Branzi lavorò come inviato della RAI.

Si parte idealmente dai chiaroscuri toscani, come omaggio alla sua regione d’origine, con fotografie scattate negli anni cinquanta che appartengono alla prima parte della sua carriera, tutte rigorosamente in bianco e nero per rispettare il cromatismo di quella terra che, secondo Branzi, si gioca tra il grigio grafite e l’ocra spento delle pietre che caratterizzano i palazzi e le strade di Firenze e tra il verde scuro del cipresso e il verde argento degli ulivi che contraddistinguono la campagna toscana.

Per Branzi, fotografare significava disegnare; e proprio il disegno divenne una pratica che l’artista non abbandonò mai e che risulta particolarmente evidente in questa serie di scatti, come nelle immagini dell’Arena e del Giardino di Boboli sotto la neve, o in quella del muro nero con suo fratello, spesso usato come modello, rattrappito nel fondo di quella che sembra una bottiglia scavata nella parete.

Il viaggio di Piergiorgio Branzi si allarga a tutta l’Italia, in particolare al Meridione, che trovò come un paese arcaico e doloroso e che accomunava con la Spagna e le Grecia, le altre due nazioni che attraversò con la sua macchina fotografica.
Sono immagini che lo stesso Branzi definiva di “realismo-formale” a valenza sociale, che gettavano uno sguardo di attenzione, ma ancor più di compassione, verso una realtà sociale uscita dalla guerra da meno di un decennio.

La mostra prosegue proponendo gli scatti realizzati tra il 1962 e il 1966 a Mosca, l’allora capitale sovietica dove Branzi lavorò come inviato della RAI. Quello che ne risulta è l’incontro con la quotidianità di una società, allora misteriosa e certamente poco conosciuta ma in lento e costante mutamento dove, tra i paesaggi urbani innevati e le celebrazioni del regime comunista, ci si trova di fronte a incontri di straordinaria umanità.

E poi Parigi che Branzi visse da vero flaneur, girovagando senza meta per le sue piazze, i suoi boulevard e i suoi bistrot, lasciandosi stupire dagli sguardi e sorprendere dagli incontri fortuiti.
L’esposizione si chiude con la sezione dedicata a Le Forme, ovvero alla produzione più recente del fotografo toscano, decisamente più sperimentale.

Dal 23 Giugno 2020 al 06 Settembre 2020 – Castello Visconteo Sforzesco – Novara

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MARIO CRESCI. LORO DEL TEMPO

Le immagini in bianco e nero esposte in mostra contribuiscono a riattivare i significati stratificati di alcune delle fotografie conservate in ICCD, una fruttuosa modalità per risvegliare tali depositi a distanza di tempo. E proprio al tempo rimanda il titolo del lavoro, che riprende una frase di André Breton: “Je cherche l’or du temps”. Una dichiarazione di intenti: l’instancabile ricerca di ciò che di prezioso e incorruttibile (come l’oro) persiste nel fluire del tempo. Il lavoro illumina di nuova “brillantezza” immagini che altre mani affidarono al tempo.
Il programma di ‘residenza d’artista’ è uno dei tanti progetti che l’Istituto sta portando avanti nell’ambito delle politiche sul contemporaneo che mirano, da un lato, a interrogare i materiali fotografici storici attraverso sguardi diversi, dall’altro a incrementare le collezioni con nuove produzioni. Il fatto che Cresci abbia da tempo rivolto la sua attenzione anche ai musei, alle istituzioni, alle collezioni, all’arte “fatta da altri” ha costituito un motivo in più per coinvolgerlo.
Nel corso delle sue visite in ICCD Cresci ha potuto così conoscere l’immenso patrimonio conservato, nutrire la sua curiosità per autori lontani nel tempo ma alle prese con lo stesso desiderio di esplorare il mezzo fotografico, ripercorrere generi e stili, approfondire gli aspetti tecnici della fotografia dell’800, toccando con mano albumine, aristotipi, dagherrotipi e carte salate. 
Nel suo lavoro Cresci pone la rappresentazione della figura umana al centro della ricerca. Da un lato i ritratti del fondo di Mario Nunes Vais, fotografati a cavallo tra otto e novecento – palpitanti di vita, sguardi, carne e sangue -, dall’altro le fotografie di sculture per lo più di ambito greco-romano facenti parte dell’archivio del Gabinetto Fotografico Nazionale. 
E così, l’affascinante ritratto dell’attrice Emma Gramatica o la Testa di Apollo Sauroktono, diventano pretesto per una serie di sperimentazioni visive ottenute alterando, isolando e reiterando alcuni particolari delle fotografie, pur nel rispetto – sempre presente in Cresci –  dell’autore che le pensò in origine. 
Alcune scelte formali sottolineano inoltre l’importanza che Cresci assegna alla natura ‘fisica’ dell’oggetto fotografico. L’utilizzo dei numeri di inventario al posto delle didascalie, l’inclusione del bordo nero del negativo nella stampa finale, così come la scelta grafica del catalogo (fogli sciolti racchiusi in una scatola di tipo conservativo) rimandano al concetto di archivio e ci ricordano che anche la collocazione fisica degli oggetti fotografici, nel loro destino errante, merita di essere osservata con intelligenza.
Come spiega Francesca Fabiani, curatrice della mostra e responsabile dei progetti sul contemporaneo dell’ICCD, “L’approccio di Cresci alla fotografia è globale: l’interesse per l’autore, per la storia, per la tecnica, per il soggetto e per l’oggetto fotografico, si sommano a quello per la fotografia intesa come linguaggio di segni, grammatica visiva, esperienza percettiva”.
La mostra è accompagnata da un libro d’artista, in copie numerate e firmate dall’autore, a tiratura limitata, edito da Postcart.

Dal 23 Giugno 2020 al 30 Ottobre 2020 – Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) – Roma

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Mostre per settembre

Ciao a tutti!

Avete trascorso buone ferie? Rilassati?
Eccoci pronti a ripartire con nuove mostre fotografiche da non perdere!

E ricordatevi di dare sempre un’occhiata alla nostra pagina dedicata alle mostre.

Anna

Ferdinando Scianna, il viaggio il racconto la memoria

“Non sono più sicuro, una volta lo ero, che si possa migliorare il mondo con una fotografia. Rimango convinto, però, del fatto che le cattive fotografie lo peggiorano”

Ferdinando Scianna

Con circa 200 fotografie in bianco e nero stampate in diversi formati, la rassegna attraversa l’intera carriera del fotografo siciliano e si sviluppa lungo un articolato percorso narrativo, costruito su diversi capitoli e varie modalità di allestimento.

Ferdinando Scianna è uno tra i più grandi maestri della fotografia non solo italiana. Ha iniziato ad appassionarsi a questo linguaggio negli anni Sessanta, raccontando per immagini la cultura e le tradizioni della sua regione d’origine, la Sicilia. Il suo lungo percorso artistico si snoda attraverso varie tematiche – l’attualità, la guerra, il viaggio, la religiosità popolare – tutte legate da un unico filo conduttore: la costante ricerca di una forma nel caos della vita. In oltre 50 anni di racconti non mancano di certo le suggestioni: da Bagheria alle Ande boliviane, dalle feste religiose – esordio della sua carriera – all’esperienza nel mondo della moda, iniziata con Dolce & Gabbana e Marpessa. Poi i reportage (fa parte dell’agenzia foto giornalistica Magnum), i paesaggi, le sue ossessioni tematiche come gli specchi, gli animali, le cose e infine i ritratti dei suoi grandi amici, maestri del mondo dell’arte e della cultura come Leonardo Sciascia, Henri Cartier-Bresson, Jorge Louis Borges, solo per citarne alcuni.

Avendo deciso di raccogliere in questa mostra la più ampia antologia dei suoi lavori fotografici, con la solita e spiccata autoironia, Ferdinando Scianna, in apertura del percorso espositivo, sceglie un testo di Giorgio Manganelli: “Una antologia è una legittima strage, una carneficina vista con favore dalle autorità civili e religiose. Una pulita operazione di sbranare i libri che vanno per il mondo sotto il nome dell’autore per ricavarne uno stufato, un timballo, uno spezzatino…”

Ferdinando Scianna del suo lavoro scrive: “come fotografo mi considero un reporter. Come reporter il mio riferimento fondamentale è quello del mio maestro per eccellenza, Henri Cartier-Bresson, per il quale il fotografo deve ambire ad essere un testimone invisibile, che mai interviene per modificare il mondo e gli istanti che della realtà legge e interpreta. Ho sempre fatto una distinzione netta tra le immagini trovate e quelle costruite. Ho sempre considerato di appartenere al versante dei fotografi che le immagini le trovano, quelle che raccontano e ti raccontano, come in uno specchio. Persino le fotografie di moda le ho sempre trovate nell’azzardo degli incontri con il mondo.”

22 settembre 2018 – 6 gennaio 2019 – Forlì, Musei San Domenico

Qua tutti i dettagli

Eliott Erwitt: i cani sono come gli umani, solo con più capelli

Suazes, in collaborazione con Fondazione Cassamarca di Treviso e Magnum Photos, organizza, presso gli spazi di Casa dei Carraresi, una grande mostra dedicata ad uno dei più importanti fotografi contemporanei, Elliott Erwitt.
Qui interpretato da un percorso espositivo originale, che esplora una delle parti più curiose ed interessanti, nonché note, della produzione del fotografo franco-americano, ovvero quella dedicata ai cani.
Una selezione che viene, con tali dimensioni, per la prima volta esposta in Italia, raggruppando oltre ottanta fotografie accompagnate da video, documenti e altro materiale dedicato al tema.

La mostra intitolata “Elliott Erwitt: i cani sono come gli umani, solo con più capelli”, curata da Marco Minuz, raccoglie una straordinaria selezione di fotografie dedicate a questo tema. In un percorso che spazia dagli anni cinquanta fino ai giorno nostri e che documenta la profondità e l’acutezza del lavoro fotografico di Erwitt su questo specifico tema. Le sue sono tutte immagini realizzate “dal punto di vista dei cani”. Spesso il fotografo pone il suo obiettivo ad altezza di cane, lasciando ai suoi padroni, il solo spazio di un piede o dei polpacci.

I cani sono tra i soggetti più amati dal fotografo. Non perché egli ne sia particolarmente affascinato (come lui sostiene), ma perché con il loro atteggiamento naturale e irriverente, fungono da perfetto contraltare alla pomposità ed alla ricercata compostezza dei loro padroni. E soprattutto, a differenza degli uomini, non hanno la pessima abitudine di pretendere una stampa delle foto che viene loro fatta!
Il titolo, tratto da una sua dichiarazione rilasciata in un’intervista, è già una guida per questa mostra che vuole essere un’opportunità per analizzare, con ironia e a volte cinismo, l’essenza profonda di questa ricerca che, attraverso il quadrupede peloso, mira all’essere umano.

Molte di queste immagini sono buffe e ritraggono animali che saltano o si mostrano sorpresi. Pose che sono ottenute, a volte, da Erwitt con un metodo preciso, ovvero suonando, poco prima di fotografare, una trombetta che spaventava i cani. Oppure, ricorrendo ad un unico forte latrato, emesso dallo stesso fotografo, che scatena la reazione dei cani che, all’improvviso, saltano, abbaiano, ringhiano, consentendogli di coglierli nella loro naturalezza. Escono così immagini di forte spontaneità, che fissano l’espressione animata degli animali.

Nelle fotografie di Erwitt non c’è un’attenzione particolare per il paesaggio; il suo occhio s’indirizza alla figure umane e sugli animali, per lui riflessi inconsapevoli delle abitudini degli uomini.

Nel corso della mostra sono in programma eventi dedicati al tema, con il coinvolgimento delle principali realtà territoriali del territorio.

Dal 22 settembre 2018 al 3 febbraio 2019 – Casa dei Carraresi – Treviso

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Le mostre del SIFEST

Ritorna a settembre l’appuntamento con Si Fest 2018 a Savignano sul Rubicone.  Alla sua 27esima edizione il festival – promosso come ogni anno dal Comune di Savignano sul Rubicone, Assessorato alla cultura, e organizzato dall’Associazione Savignano Immagini – indagherà su un nuovo tema, On Being Now, con una nuova direzione artistica composta da Roberto Alfano, Laura De Marco e Christian Gattinoni.

Tra le varie mostre, due che non mi perderei per niente al mondo sono quelle di Max Pinckers e di Carolyn Drake, oltre a tante altre. Trovate il programma del festival qua.

Dal 14 al 30 settembre – Savignano sul Rubicone (FO)

SUGGESTIONI D’ITALIA

La GAM di Torino presenta una mostra di oltre 100 fotografie, realizzate dalla fine del secondo dopoguerra ai primi anni Duemila, che raccontano l’Italia per immagini: il paesaggio e le città della nostra penisola esplorati da 14 grandi fotografi, sia nell’architettura sia nella loro dimensione umana e sociale. Le foto, in bianco nero e a colori, sono selezionate con l’intento di scandagliare l’interpretazione degli ‘esterni’, dall’arco alpino e le grandi città come Torino e Milano, per proseguire lungo la dorsale emiliana fino a scendere verso il Sud, tra Napoli, Matera, e infine toccare la Sicilia.

Paesaggi, luoghi, e anche i cosiddetti non-luoghi fanno parte di questa carrellata.

La decisione di presentare questa esposizione alla GAM nasce dalla volontà di tornare a focalizzare l’attenzione del museo sul tema della fotografia, tralasciato dalla programmazione da circa dieci anni, ma che costituisce un indubbio supporto di valore per le nostre collezioni. A cavallo del 2000 infatti, la GAM prima, e la Fondazione CRT per l’Arte Contemporanea in seguito, avevano costituito una ragguardevole collezione di fotografia dal secondo dopoguerra in avanti. Quasi tutti i grandi nomi di questo linguaggio sono entrati a far parte delle nostre collezioni.

Ai primi ‘reportage’ in ambito di Neorealismo e alle documentazioni politiche si affiancano distillati di paesaggio italiano e letture di alto formalismo, come di ricerca di una apparentemente semplice verità ottica di documentazione dell’architettura. Questa mostra ha l’intento di trasportare il visitatore in un continuo alternarsi di sensibilità e di atmosfere, intense e differenti, facendo emergere in filigrana una prospettiva storica-temporale delle interpretazioni del soggetto-paesaggio. Narrazioni antiretoriche che lasciano spazio a nuove retoriche dell’immagine, senza distinzione tra fotogramma catturato al volo e situazioni accuratamente studiate.

Nelle fotografie di Nino Migliori (Bologna, 1926) prevalgono i luoghi e i segni dell’uomo. Le sue immagini sui soggetti deboli sono costruite con una intenzione sapientemente narrativa. È forse il fotografo che prima di tutti ha saputo interpretare la forza del Neorealismo.

Gianni Berengo Gardin (Santa Margherita Ligure, GE, 1930) sembra appartenere allo stesso ordine di attenzioni: nel condurre l’obiettivo della macchina fotografica sui temi del disagio, della arretratezza sociale, in una dimensione di straordinaria epica popolare.

Sui temi di un ritardo arcaico, sulla soglia dell’umiltà, si cimenta anche in seguito Mario Cresci (Chiavari, GE, 1942) sia pure in una investigazione più marcatamente concettuale. Territorio e memoria sono indagati dal punto di vista dell’uomo come dei luoghi di lavoro, le cave.

Mimmo Jodice (Napoli, 1934) ha saputo interpretare, in bianco e nero, in maniera al contempo semplice e intensa, sia paesaggi minori sia luoghi ad alta intensità culturale e monumentale. Ciò è avvenuto nella proposizione di temi del sud e anche nelle incursioni nel nord dell’Italia.

Anche Mario Giacomelli (Senigallia, AN,1925 – 2000) fissa l’attenzione sulla cultura ‘bassa’, collegandosi soprattutto alla indagine sulla campagna. Da qui si innesta però una stupefacente rilettura formale, ad altissimo potenziale, dei campi governati dall’uomo, sfruttando al massimo le capacità del bianco e nero.

Sullo stesso orizzonte paesaggistico si è cimentato Franco Fontana (Modena, 1933), solo portando la sua ricerca sul versante di un colore trionfante, forte, di alta – per l’epoca – eccitazione cromatica. Un colore che è stato tuttavia letto in chiave mentale, inteso a portare la naturalità dei soggetti in una dimensione astraente.

Di tutt’altro segno è la fotografia a colori inaugurata da Luigi Ghirri (Scandiano, RE, 1943 – Roncocesi, RE, 1992). I suoi paesaggi ‘vuoti’, quasi non sfiorati dalla presenza umana, ci impongono un nuovo sguardo sulle cose, architetture e paesaggi. Dai suoi scatti emerge un sentimento invincibile di mistero, che ci proietta in una nuova dimensione di interpretazione del mondo.

Questa considerazione vale anche per le straordinarie fotografie – ma in bianco e nero – di Ugo Mulas (Pozzolengo, BS, 1928 – Milano, 1973). I suoi paesaggi ci obbligano a guardare in maniera diversa i soggetti, ci danno la vertigine per quel che non avevamo saputo vedere in essi prima di adesso. Ciò vale anche per la sua indagine sulle periferie brumose della città industriale, che assumono, paradossalmente un forte, inedito, fascino.

Il bianco e nero è strumento necessario anche per dare forza alle immagini di Uliano Lucas (Milano, 1942).  La sua è una fotografia, infatti, di denuncia, perché riguarda la dimensione urbana e industriale, dove però è l’uomo a costituire il dato prevalente: la sua fotografia registra lotte e sofferenze, collocate in una dimensione collettiva.

Sono in bianco e nero anche le fotografie di Ferdinando Scianna (Bagheria, PA, 1943). Le persone che ritrae ci inducono a considerare i luoghi in una dimensione antropologica. Queste immagini, come quelle di paesaggio, vivono di contrasti: sole-luce /buio, in una visione quasi abbacinante.

Di Gabriele Basilico (Milano, 1944 – 2013) colpisce la oggettività concettuale del suo bianco e nero in cui emergono dai suoi scatti le architetture e il vuoto. La dimensione è urbana, periferica ma non solo. La regola delle geometrie, specialmente perfette, ci introduce a un nuovo ordine di considerazioni sulla natura dell’architettura e del suo potenziale connotante il paesaggio contemporaneo.

Anche le fotografie dedicate all’Abbazia di San Galgano di Aurelio Amendola (Pistoia, 1938) sono consapevoli del significato di volumi e pesi dell’elemento architettonico.  Esterni, Interni, dettagli sono interpretati con religiosa semplicità.

Enzo Obiso (Campobello di Mazara, TP, 1954) lavora sul potenziale del bianco e nero. La sua Sicilia solare non ne esce affatto ridimensionata, ma anzi i suoi luoghi aumentano il potenziale di mistero, di apparizioni sorprendenti.

Il colore controllato degli scatti di Bruna Biamino (Torino, 1956) ci porta lontano, in una sorta di sogno lattiginoso. Architetture, paesaggi disadorni, luoghi d’acqua, alludono alla sospensione e al vuoto e contengono, al contempo, uno stato di concentrazione e di spaesamento indissolubili.

Dal 13 Luglio 2018 a 23 Settembre 2018 – GAM Torino

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Le mostre di Visa pour l’Image – Perpignan

 

Anche quest’anno la città di Perpignan, nel sud della Francia, ospita il festival di fotogiornalismo Visa pour l’image, giunto alla 29^ edizione. In mostra una selezione delle migliori storie d’attualità raccontate dai fotografi di tutto il mondo.

Le mostre saranno oltre 25, tra cui vi segnaliamo il lavoro di Daniel Berehulak per il New York Times sulla guerra alla droga nelle Filippine condotta dal presidente Rodrigo Duterte. E il lavoro di Lu Guang, che per dodici anni ha attraversato la Cina per raccontare la crescita economica che minaccia l’ambiente.

Una retrospettiva ricorda la carriera di Stanley Greene, morto il 19 maggio, che per quasi dieci anni ha raccontato il conflitto in Cecenia tra i separatisti e le forze armate russe.

Isadora Kosofsky ha documentato le storie di alcuni giovani detenuti ad Albuquerque, New Mexico, e i rapporti con le loro famiglie, per indagare il sistema giudiziario statunitense. Darcy Padilla presenta il progetto con cui ha vinto il Canon female photojournalist award 2016, Dreamers, sulla riserva di nativi americani Pine Ridge, uno dei luoghi più poveri degli Stati Uniti, dove il tasso di disoccupazione è dell’85 per cento.

Sul sito ufficiale trovate il programma completo.

Dal 2 al 17 settembre – Perpignan (Francia)

HOTEL BEL SIT, STORIE DI MIGRANTI

“Ai ragazzi… quelli che in quel mare, non hanno più visto le stelle”

Giovanni Mereghetti

“Ci vogliono mesi, a volte anni per avere il permesso definitivo di rifugiato. Molti migranti restano inermi in attesa, qualcuno scappa senza meta, altri inevitabilmente finiscono nelle grinfie dei caporalati del sud Italia e diventano schiavi. Sono tante le vicende che quotidianamente vivono i migranti. In determinate circostanze si intrecciano, a volte invece viaggiano su binari diversi. Ma ognuno di loro ha la sua triste storia da raccontare. C’è chi sbarca direttamente sulle coste italiane e si ricongiunge a parenti o conoscenti. C’è chi prosegue, tra mille peripezie, verso il nord Europa. C’è chi finisce “standed” quando è quasi finita, nelle stazioni di qualche grande città. C’è anche chi trova un lavoro in nero nell’edilizia o nell’agricoltura nel nord-est del nostro Paese. C’è chi si limita a sognare una vita migliore, bukra inshallah! C’è chi si innamora e si sposa. C’è chi riceve un saluto, 2

Salam Aleikum, e una mano sul cuore. C’è chi decide di ritornare in Africa, per sempre. C’è chi dorme per qualche notte in un giardinetto della stazione di Catania, poi sale su un autobus con destinazione e capolinea Milano. C’è chi a Milano non si ferma e prosegue, nonostante la nebbia e il freddo pungente.

C’è chi è fortunato e trova una “casa” in uno dei tanti alberghi gestiti dalle cooperative. A Mortara ce n’è uno: Hotel Bel Sit, una stella.”

Così scrive Giovanni Mereghetti, fotogiornalista, per presentare “Hotel Bel Sit, Storie di Migranti”. Un progetto nato dalla frequentazione di questa realtà di accoglienza a Mortara gestita dalla Cooperativa Faber che lo appassiona da quasi cinque anni; da quando l’incontro con questi ragazzi ha acceso in lui la necessità di una narrazione che potesse abbracciare le differenti storie di questi “Ulisse contemporanei”.

Le fotografie di Giovanni Mereghetti diventano così un’opportunità concreta per coinvolgere direttamente i protagonisti che vi accompagneranno attraverso questa mostra fotografica in un viaggio all’interno delle loro storie, delle esperienze vissute per arrivare nel nostro paese.

Un’occasione unica in cui l’arte visiva si offre quale strumento al servizio dello scambio, della comunicazione per abolire le distanze – individuali e collettive – alla ricerca del senso che lega l’umanità intera.

La mostra sarà accompagnata dal libro “Hotel Bel Sit, storie di migranti” con testi e foto di Giovanni Mereghetti. Il ricavato della vendita di questo libro finanzierà le attività e i progetti della Cooperativa Faber.

A cura di Alessia Locatelli

Dal 26 settembre al 9 ottobre 2018 – Ex-Fornace Alzaia Naviglio Pavese 16 Milano

AMATA BELLEZZA, fiori e visioni – Mario Carrieri

Villa Carlotta chiude la sua stagione di mostre con Mario Carrieri. Amata bellezza, fiori e visioni a Villa Carlotta (15 settembre- 4 novembre 2018) un’esposizione fotografica dedicata al mondo floreale riletto attraverso l’obiettivo di un maestro del XX secolo.

Una serie di opere di grandi dimensioni allestite in vari ambienti della villa offre la possibilità di accostarsi alla incessante ricerca fotografica portata avanti da Carrieri negli ultimi decenni concentrandosi unicamente su un soggetto: i fiori.

Lo sguardo di questo artista rilegge un soggetto tradizionale della pittura e della fotografia in una chiave totalmente inedita, componendo grandi palcoscenici di una visionaria opera teatrale senza tempo, nella quale innocenti fiori-attori recitano una tragedia shakesperiana sull’eterna fragilità della bellezza e sul suo dolore senza fine.

Con la sua luce spietata Mario Carrieri fa emergere dai fiori l’incanto e il dramma che animano ogni creatura.  Le opere di grande formato colpiscono dritte la sensibilità dell’osservatore, coinvolgendolo nel sentimento del pathos universale.

15 settembre- 4 novembre 2018 – Villa Carlotta – Tremezzo (CO)

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CAMERA POP. La fotografia nella Pop Art di Warhol, Schifano & Co

La mostra CAMERA POP. La fotografia nella Pop Art di Warhol, Schifano & Co ripercorre la storia della trasformazione del documento, fotografico nello specifico, in opera d’arte, giunta al culmine negli anni ’60. Dal 21 settembre al 13 gennaio a CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia saranno esposte oltre 120 opere tra quadri, fotografie, collages, grafiche, che illustrano la varietà e la straordinaria vivacità di questa grande vicenda.

La Pop Art è stata un fenomeno mondiale, esploso negli anni Sessanta negli Stati Uniti e in Europa, e diffusosi rapidamente anche nel resto del mondo “che ha rivoluzionato – è l’opinione di Walter Guadagnini, direttore di CAMERA e curatore della mostra –  il rapporto tra creazione artistica e società, registrando l’attualità in modo neutro, fotografico, adottando gli stessi modelli della comunicazione di massa per la realizzazione di opere d’arte. In questo senso, la fotografia è stata, per gli artisti Pop, non solo una fonte di ispirazione, ma un vero e proprio strumento di lavoro, una parte essenziale della loro ricerca”.

Allo stesso tempo, l’affermazione della cultura Pop ha liberato energie sorprendenti anche all’interno del mondo dei fotografi, che si sono misurati direttamente non solo con il panorama visivo contemporaneo, ma anche con le logiche della trasformazione del documento in opera d’arte.

Tra i protagonisti presenti in mostra si possono citare gli americani Andy Warhol, Robert Rauschenberg, Jim Dine, Ed Ruscha, Joe Goode, Ray Johnson, Rosalyn Drexler; gli inglesi Richard Hamilton, Peter Blake, Allen Jones, Joe Tilson, David Hockney, Gerald Laing, Derek Boshier; i tedeschi Sigmar Polke, Wolf Vostell; gli italiani Mimmo Rotella, Michelangelo Pistoletto, Franco Angeli, Umberto Bignardi, Gianni Bertini, Claudio Cintoli, Sebastiano Vassalli e tanti altri.

Tra i fotografi, si sottolinea la presenza di Ugo Mulas – cui viene dedicata un’intera sala, dove verranno esposte le serie realizzate negli Stati Uniti e quella della Biennale di Venezia del 1964 – e di Tony Evans, fotografo dei protagonisti della Swinging London dei primissimi anni Sessanta.

Dal 21 settembre al 13 gennaio – Camera Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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#rasoterra – Silvia Bottino

Lo spazio “Looking at Art” Associazione Culturale è lieto di presentare la mostra personale della fotografa Silvia Bottino dal titolo: #rasoterra. Un progetto che la fotografa porta avanti da circa un paio d’anni- un work in progress – che desidera accompagnare in modo scanzonato e divertente verso una riflessione più profonda sulle nuove tecnologie al servizio dell’immagine fotografica. Il desiderio di ritornare agli elementi basilari della fotografia, la luce ed il tempo, si legano in maniera inedita alle nuove  ecnologie attraverso la sperimentazione, che da sempre muove Silvia Bottino nell’ideazione dei suoi progetti, di appoggiare letteralmente il cellulare all’altezza del suolo e scattare.

Ri-leggendo così gli ambienti attraverso lo sguardo attuale e fresco fornito da prospettive mai attuate prima: nascono così gli scatti di paesaggi naturali, di neve e mare, o antropizzati al massimo come accade per lo skyline di New York. La tecnica è quella della ripresa con il cellulare, strumento ormai indispensabile nella nostra quotidianità, che – grazie anche alla tecnologia applicata alle fotocamere – permette oggi senza l’ingombro dell’obiettivo della macchina fotografica di scattare davvero a Raso Terra, catturare la trama, la matericità di quello che si trova in primo piano, in dialogo con l’immagine sullo sfondo.

Anche le stampa fotografica in piccola dimensione – con montaggio in cornice in legno – ne permette la fruizione immediata e si lega all’idea di selfmade, di velocità e capacità di cogliere il momento, concettualmente alla base della nuova ricerca della fotografa milanese. Ma non si tralascia l’attenzione alla Fine Art: nasce così la tiratura di stampa limited edition firmata dall’autrice per i collezionisti che desiderano avere su carta archivio e con durabilità museale le stampe del progetto #rasoterra.

Silvia Bottino nasce in “camera oscura” a Milano. Figlia d’arte cresce sul set dove, terminati gli studi artistici, inizia la carriera lavorativa prima come assistente di suo padre, Franco Bottino, e poi come professionista. Si occupa di vari linguaggi della fotografia come: still-life, ritratti, beauty, foto industriale, pubblicità, interagendo direttamente con il cliente o tramite agenzie di pubblicità o di pubbliche relazioni.

A cura di Alessia Locatelli.

Dal 28 settembre al 12 ottobre 2018 – Looking at Art | Via Tommaso Salvini n.2, 20122 Milano

Mostre segnalate per il mese di Giugno

Ciao,

davvero fantastiche le mostre che vi aspettano a giugno!

Non dimenticate di dare un’occhiata alla pagina delle mostre sempre aggiornata.

Anna

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Straordinarie mostre di fotografia anche a dicembre.

Nuove fantastiche mostre vi aspettano nel mese di dicembre, ma ricordatevi che ce ne sono altre ancora in corso. Trovate tutto qua!

Ciao

Anna

JAMES NACHTWEY MEMORIA

L’attesissima esposizione del pluripremiato fotografo americano, considerato universalmente l’erede di Robert Capa, è la prima tappa internazionale di un tour nei più importanti musei di tutto il mondo. La mostra propone una imponente riflessione individuale e collettiva sul tema della guerra. Curata da Roberto Koch e dallo stesso James Nachtwey, Memoria rappresenta una produzione originale e la più grande retrospettiva mai concepita sul suo lavoro.

Dal 1 dicembre 2017 – 4 marzo 2018 – Palazzo Reale Milano

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Narciso Contreras – Libya: A Human Marketplace

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Dal 04 Novembre 2017 Al 14 Gennaio 2018  – Galleria d’Arte De Chirico – Torino

Dal 4 novembre in occasione della Notte delle Arti Contemporanee, la galleria Raffaella De Chirico avrà il privilegio di ospitare in esclusiva per la città di Torino l’importante lavoro di Narciso Contreras intitolato Libya: A Human Marketplace. Una mostra, una investigazione prodotta nel quadro della settima edizione del Carmignac Photojournalism Award, che prima di toccare il suolo torinese ha avuto l’onore di essere esposta, costringendoci a vedere, a guardare, ad entrare in un mondo fatto di oppressione, di terrore, di violenza a Palazzo Reale a Milano. Il suo lavoro è stato esposto alla Saatchi Gallery a Londra ed all’Hôtel de l’Industrie a Parigi. Le fotografie del lavoro di Contreras sono la brutale testimonianza del traffico di esseri umani che viene perpetrato ai confini della Libia post?Gheddafi, da milizie che sfruttano la condizione di migranti, rifugiati e richiedenti asilo a fini commerciali ed economici.

La rotta che attraversa il Niger e poi la Libia è il terribile segreto delle politiche democratiche europee. Raccontare il viaggio da dove non possiamo ancora vedere, non dalle nostre coste, dai nostri orizzonti, ma raccontare la vulnerabilità dalle periferie dove esso si genera. Narciso Contreras ha fornito per il Prix Carmignac di fotogiornalismo una testimonianza sulla inaccettabile realtà del traffico di esseri umani ai confini della Libia, dove si è recato da febbraio a giugno 2016.

La prima volta che sentiamo la parola schiavo è lontana da noi, qui la ritroviamo in corpi senza identità. Corpi di cui rimangono solo i numeri, le lettere per identificarli in celle posti come se non avessero mai vissuto. Questi corpi urlano il diritto di essere, la possibilità alla vita, ma per loro non ci sono lacrime.

Il lavoro di Contreras mette in luce una nuova crisi umanitaria che vede migranti, rifugiati e richiedenti asilo ritrovarsi in balia delle milizie che li sfruttano a fini commerciali ed economici. Bloccati dentro centri di detenzione, queste persone sono sottoposte a condizioni di vita disumane dovute al sovraffollamento delle carceri, all’assenza di infrastrutture sanitarie e ai violenti pestaggi. Nel corso di questo reportage il fotogiornalista costruisce un racconto che sottolinea come, invece di essere un luogo di transito per i migranti diretti in Europa, la Libia sia in realtà diventata una roccaforte del traffico, dei campi di concentramento di nuova era.

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ALEC SOTH – GATHERED LEAVES

Alec Soth (*1969) is regarded as one of the most important figures in documentary photography. From 8 September 2017 to 7 January 2018, the exhibition Gathered Leaves in the House of Photography at the Deichtorhallen Hamburg will feature a comprehensive selection of some sixty-five photographs that offer an in-depth look at the work of this Magnum photographer.

The Telegraph has called Alec Soth “the greatest living photographer of America’s social and geographical landscape.” Soth thus follows in the tradition of Robert Frank, Stephen Shore, and Joel Sternfeld. He has inspired a wide audience at numerous international solo and group exhibitions, most recently at the Whitney Biennale, the 2004 São Paulo Biennale, as well as the Jeu de Paume in Paris and the Fotomuseum Winterthur in 2008. The exhibition at the Deichtorhallen Hamburg will be the first comprehensive showing of his four characteristic series Sleeping by the Mississippi (2004), Niagara (2006), Broken Manual (2010), and Songbook (2014).

The physical landscapes of his homeland—the majestic Mississippi, the torrential Niagara Falls, wide-open deserts and pristine natural expanses, small towns and suburbs—form the structure and setting of his poetic studies of American life. The subjects of Alec Soth’s works are the American ideals of independence, freedom, spirituality, and individuality, which the photographer expresses in scenes of daily life. The human essence always remains the central aspect of his intimate portraits; his trained eye is directed at the story behind the visual narrative—human emotions, personal destinies and longings. Soth always follows his aesthetic approach: “to me the most beautiful thing is vulnerability.”

The exhibition was developed in cooperation with Magnum Photos. Hamburg will be its only stop in Germany on an international tour that includes the Media Space at the Science Museum and the National Media Museum (both in London), the Finnish Museum of Photography (Helsinki), and the Fotomuseum in Antwerp.

8 SEPTEMBER 2017 − 7 JANUARY 2018 – HOUSE OF PHOTOGRAPHY – Hamburg
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MATHIEU ASSELIN – MONSANTO®: THE BOOK

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Spazio Labo’ è orgogliosa di presentare la mostra tratta dal libro Monsanto®: A Photographic Investigation (Verlag Kettler/Actes Sud, 2017) di Mathieu Asselin, un’indagine dettagliata e minuziosa sulla Monsanto® Company, la multinazionale statunitense specializzata in biotecnologie agrarie.
Dopo il grande successo riscontrato al festival Les Rencontres d’Arles edizione 2017, la mostra prodotta a Bologna è stata ripensata dal curatore Sergio Valenzuela Escobedo appositamente per la galleria di Spazio Labo’, proponendo una selezione di nuovi contenuti rispetto al festival francese. Monsanto®: The Book focalizza l’attenzione sul libro di Asselin e nasce con l’intento di mostrare come è stata portata avanti la sua indagine fotografica e come, fin dall’inizio, questo progetto sia stato pensato in forma editoriale. La scelta di concentrarsi sul “come” e sul processo realizzativo si coniuga perfettamente con la doppia anima di Spazio Labo’, galleria espositiva ma anche scuola di fotografia, motivo per cui alla mostra si affianca anche un workshop con l’autore in programma il 13 e 14 gennaio 2018.

Monsanto®: The Book propone immagini, documenti di archivio, contenuti multimediali, materiali pubblicitari e oggetti che raccontano senza filtri l’ascesa al potere, le strategie di comunicazione e manipolazione delle informazioni, la costruzione di un’identità e le drammatiche conseguenze delle azioni di una delle multinazionali più potenti al mondo. La mostra è anche un modo per riflettere su come la nuova fotografia documentaria stia diventando una alternativa alla comunicazione di massa che siamo abituati a fruire.
Monsanto®: The Book si configura, inoltre, come il contributo spontaneo che Spazio Labo’ vuole dare al dibattito culturale innescato dalle mostre e dai temi di “Foto/Industria 2017. Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro promossa dal MAST di Bologna fino al 19 novembre 2017.

Nato nel 2011, il progetto Monsanto®: a Photographic Investigation ha visto per cinque anni il fotografo Mathieu Asselin impegnato a documentare gli effetti nocivi, negli Stati Uniti e in Vietnam, di alcuni prodotti della multinazionale americana. Attraverso ritratti, foto di paesaggio, still life e materiali d’archivio (documenti, oggetti, video, testimonianze, articoli…) Asselin ha realizzato un’indagine approfondita a più livelli che ricostruisce in modo obiettivo – e, forse per questo, ancora più drammatico – la storia di Monsanto.
Monsanto®: a Photographic Investigation immerge il lettore nel complesso “sistema” della multinazionale statunitense, e lo fa conducendo l’inchiesta su un doppio binario.
Vengono così mostrate le conseguenze delle altissime concentrazioni di policlorobifenili in Alabama, le vittime di terza generazione del defoliante Agent Orange utilizzato durante la Guerra in Vietnam, la pressione esercitata a livello globale sugli agricoltori a favore dell’utilizzo di sementi OGM, ma non solo. Componente fondamentale del progetto è l’accurata ricostruzione delle strategie di marketing e comunicazione dell’azienda che rivelano, soprattutto grazie ai documenti più lontani nel tempo, una inquietante visione del rapporto natura-scienza.
Emerge così che Monsanto® intrattiene “relazioni pericolose” con il governo degli Stati Uniti, soprattutto con la FDA (Food and Drugs Administration). Mentre la multinazionale è impegnata a diffondere nuovi prodotti e tecnologie, scienziati, ecologisti, istituzioni a tutela dei diritti umani si battono per portare l’attenzione sui danni arrecati da Monsanto® in ambiti quali la salute pubblica, la sicurezza del cibo e la sostenibilità ecologica – questioni che determinano il futuro del pianeta. Muovendosi tra passato e presente, questo libro mostra come potrebbe essere il futuro se lasciato nelle mani di aziende come Monsanto®.
Il dummy di Monsanto®: a Photographic Investigation si è aggiudicato il primo premio del prestigioso Dummy Award Kassel 2016, vittoria che ha permesso la pubblicazione del libro nel 2017. Tra i riconoscimenti più importanti, la menzione speciale a Les Rencontres d’Arles Dummy Book Award 2016 e la selezione all’interno del PhotoBook Bristol’s Dummies and First Book Table. Di ottobre 2017 è la notizia che il libro Monsanto®: a Photographic Investigation è stato nominato finalista nella categoria First PhotoBook del prestigioso premio Paris Photo-Aperture Foundation PhotoBook Award, che verrà assegnato in occasione della prossima edizione di Paris Photo.

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I Grandi Maestri. 100 anni di fotografia Leica

Dal 16 novembre 2017 al 18 febbraio 2018 la mostra I Grandi Maestri. 100 Anni di fotografia Leica al Complesso del Vittoriano – Ala Brasini (Roma) che rende omaggio alla prima macchina fotografica 35 mm provvista di pellicola, alla fotografia d’epoca e a tutti gli artisti che hanno utilizzato la Leica dagli anni venti ai giorni d’oggi, celebrando le loro immagini.

Oltre 350 opere dei maggiori e più prestigiosi autori – da Henri Cartier-Bresson a Gianni Berengo Gardin, da William Klein a Robert Frank, a Robert Capa a Elliott Erwitt e molti altri – decine di documenti originali, riviste e libri rari, fotografie vintage, macchine fotografiche d’epoca, compongono questa ricca esposizione che occuperà le sale del Complesso del Vittoriano di Roma nella sua unica ed eccezionale tappa italiana.

Dal 16 novembre al 18 febbraio – Complesso del Vittoriano, Ala Brasini – Roma

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André Kertész – Mirroring Life

Foam presents Mirroring Life, a retrospective exhibition of the work of photographer André Kertész (1894–1985).

15 September – 10 January – FOAM Amsterdam

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Anna Brenna – Acque silenziose

A pochi chilometri dal centro storico di Bucarest, in Romania, si trova un singolare “circuito” di cemento. Durante il comunismo erano molti gli ambiziosi piani di sviluppo per il Paese. Uno di questi prevedeva la costruzione di un lago artificiale da collegare al fiume Dâtmbovița, per creare una sorta di porto nella città. Dopo il 1989, a seguito della rivoluzione e della caduta del regime, l’incompleto progetto venne lasciato a se stesso. Lentamente la natura prese il sopravvento, alcune sorgenti iniziarono a sgorgare dal terreno, la vasta superficie si trasformò lentamente in un’area umida, un delta urbano con pesci e uccelli. All’interno del bacino trovarono nel tempo riparo anche alcune famiglie di senza tetto. Inizialmente costruirono delle baracche in lamiera, che però vennero abbattute dalle autorità. Attualmente all’interno dell’area vivono una mezza dozzina di famiglie, che cercano di rimanere invisibili per non essere cacciate e vivono di piccoli lavori.

“Io voglio dare un nome e un volto ad alcune di queste persone, che ho conosciuto e che si sono aperte con me, raccontandomi le loro storie: Gabriel e Magda con Furnică, Petrica, Marianna e Florin, Mariuta e Florin, sperando che possano riconquistare la loro dignità”. Anna Brenna

Dal 15 dicembre al 28 gennaio – Baretto Beltrade – Milano

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Gianni Berengo Gardin – Il suo sguardo su Milano

Gianni Berengo Gardin sarà l’ottavo fotografo a ricevere il prestigioso premio “Leica Hall of Fame Award”.

Tutti i Leica Store d’Italia celebreranno l’evento con una mostra dedicata alle sue fotografie.
A Milano inaugureremo il 17 Novembre dalle 18.30 “Gianni Berengo Gardin – Il suo sguardo su Milano”, con una serie di fotografie scattate alla nostra città nel corso della sua carriera, visibile fino a Gennaio.
La mostra rimarrà in esposizione fino al 17 Gennaio 2018.

Dal 17 novembre al 17 gennaio – Leica Store Milano

I bolscevichi al potere

A La Casa di Vetro, centro culturale di Milano, dall’11 novembre 2017 al 10 marzo 2018, la mostra “I Bolscevichi al Potere. 1917 – 1940: dalla Russia rivoluzionaria al terrore staliniano”, con ca. 60 immagini storiche provenienti da agenzie internazionali distribuite in Italia da AGF – Agenzia Giornalistica Fotografica, racconta dalla caduta dello Zar alla Rivoluzione d’Ottobre, dalla guerra civile alla nascita dell’Unione Sovietica, dalla morte di Lenin al terrore staliniano e all’assassinio di Trotsky. La mostra fa parte del progetto History & Photography (www.history-and-photography.com), che ha per obiettivo raccontare la storia con la fotografia (e la storia della fotografia) al grande pubblico e ai più giovani valorizzando gli archivi storico fotografici con esposizioni e fotoproiezioni. Alle scuole sono proposte visite guidate, fotoproiezioni dal vivo e l’innovativa possibilità di usare in classe le immagini della mostra per fare lezione tramite connessione web.

“Nascondere alle masse la necessità di una guerra rivoluzionaria disperata, sanguinosa, di sterminio, come compito immediato dell’azione futura, significa ingannare sé stessi e il popolo …”

dall’11 novembre 2017 al 10 marzo 2018 – La Casa di Vetro, Milano

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Milano e la mala. La storia criminale della città

Dall’inizio del ‘900 a Milano si afferma una particolare forma di criminalità detta Ligera, termine che allude, appunto, alla leggerezza di piccole bande che si coalizzano in vista di un colpo e dopo il quale si sciolgono. Dalla seconda metà degli anni Sessanta, la Ligera lascerà il campo a una forma più organizzata e violenta di malavita, che espanderà il proprio potere fino ad avere il pieno controllo del gioco d’azzardo, della prostituzione e del traffico degli stupefacenti. Sono anni di transizione: la città non ha ancora un vero padrone e le strade sono un luogo disordinato, terreno di conquista di bande diverse che spesso vengono da fuori.

Alla fine degli anni Sessanta il potere mafioso inizia a estendere i propri tentacoli sul traffico degli stupefacenti. Protagonisti di questa stagione, fino ai primissimi anni ’80, saranno uomini i cui soli nomi evocano nei ricordi dei milanesi atmosfere da far west: Francis Turatello, Angelo Epaminonda, Joe Adonis, Luciano Liggio e Frank Coppola. Una sezione del percorso espositivo sarà dedicata al protagonista indiscusso della malavita milanese, colui che è entrato nell’immaginario collettivo cittadino come il bandito per eccellenza: il bel Renè, al secolo Renato Vallanzasca. Insieme all’evoluzione delle organizzazioni malavitose, muta Milano stessa. Bische, night club, circoli privati, l’ippodromo di San Siro, le sale corse: tutto ricade sotto il ferreo controllo dei gruppi che spadroneggiano in città.

Un punto di svolta è rappresentato dall’arrivo e dalla rapidissima diffusione delle droghe, prime fra tutte l’eroina. La città si trasforma da una tranquilla metropoli in espansione a una città attanagliata da paure di ogni tipo: i milanesi iniziano a chiudersi in una socialità privata, lasciando la notte cittadina in balia di balordi di ogni risma.

Insieme ai protagonisti della Mala, in mostra troveranno spazio le storie di coloro che la criminalità l’hanno combattuta: è il caso del celebre commissario Nardone, del questore Serra e di molti altri protagonisti di quella stagione sanguinosa.

Sfondo di tutto il racconto sarà sempre e comunque Milano, con i suoi cambiamenti repentini, con le sue paure, con le sue risposte e con la sua voglia continua di rinnovarsi.

DAL 9 NOVEMBRE 2017 ALL’ 11 FEBBRAIO 2018 – Palazzo Morando | Costume Moda Immagine – Milano

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Donne Curde una vita in lotta

Le scienze sociali ci spiegano che la nostra individualità si forma in relazione al contesto sociale in cui nasciamo e cresciamo e che ognuno di noi, nel corso della vita, arriva poi ad avere il proprio ruolo. L’ ambiente e il periodo storico in cui viviamo influenza le nostre scelte e il nostro stile di vita . Purtroppo ci sono strutture sociali che ancora tendono a discriminare gli individui che ne fanno parte: ancora oggi un importante motivo di discriminazione è quella di genere. E’ questo il caso delle donne turche e ancor di più di quelle curde. Queste donne si trovano in una condizione di oppressione a causa di organizzazioni e istituzioni che le privano delle loro libertà personali, che vogliono abolire le pene per crimini contro i diritti umani, che riempiono gli ospedali di medici obiettori, e che trovano giusto dare in spose delle bambine. Queste donne hanno deciso di lottare, di non chinare la testa di fronte a tutto questo , perchè vogliono avere un giusto riconoscimento politico ed arrivare finalmente ad un’ uguaglianza di genere. Bisogna guardare con ammirazione i percorsi tracciati da queste donne ed, oltre ad osservare, noi di Clinica Canegallo ne vogliamo parlare attraverso gli occhi e le parole di chi queste donne le ha conosciute e le ha fotografate nella loro forza e fragilità. Giovedi 23 Novembre alle ore 18.30 presso Clinica Canegallo, via dei fiori 14h Alatri (FR) ci incontreremo per parlarne con la fotografa Maria Novella De Luca e Silvia Todeschini, rappresentante del gruppo di solidarietà del movimento donne curde.

dal 23 Novembre al 31 gennaio – Studio Canegallo -Alatri (FR)

Cinema Mundi – Stefano De Luigi

Nell’anno in cui ricorre la ventesima edizione del Mestre Film Fest, festival internazionale del cortometraggio, il Centro Culturale Candiani, organizzatore del Festival, ha scelto di festeggiare il pregevole traguardo con molti eventi, tra cui un concorso fotografico a tema cinematografico con esposizione in mostra delle foto vincitrici e la mostra dedicata al mondo del cinema del maestro Stefano De Luigi Cinema Mundi.

Esiste un mondo cinematografico lontano dai fasti di Hollywood, un modo alternativo di fare cinema, con meno mezzi, ma non per questo meno ricco di idee e contenuti, tanto da guadagnare riconoscimenti nei più importanti festival europei e americani.

 Questo mondo ce lo racconta Stefano De Luigi, con un progetto al quale si è dedicato per tre anni, “calcando” le scene dei set cinematografici dalla Russia alla Cina, dalla Corea all’Argentina, dalla Nigeria all’Iran e all’India. Cinema mundi è la sua dichiarazione d’amore per il cinema, “attraverso i film ho studiato anche la luce” confessa De Luigi, ed è quella stessa luce che cogliamo in molte delle sue immagini.

Membro di VII PHOTO, della fotografia ne ha fatto una professione fin dal 1988, fotografo curioso ed eclettico, la sua cifra stilistica è non farne una questione di genere, anzi i generi li mette in dialogo: ritratti, moda, reportage, fotogiornalismo… Ama sperimentare, a seconda delle necessità: digitale, smartphone, panoramiche…

Ha all’attivo molti premi, tra i quali quattro World Press Photo molte esposizioni personali, pubblica su Stern, Paris Match, Le Monde Magazine, New Yorker, Eyemazing, Geo, Vanity Fair, Time, Newsweek, Internazionale, D repubblica …

Cinema mundi apre la ventesima edizione del Mestre Film Fest -in programma al Centro Culturale Candiani dal 16 al 18 novembre- un festival internazionale del cortometraggio, piccolo ma decisamente longevo, che della sua continuità ne ha fatto un punto di forza, presentandosi ogni anno non solo con un ricco programma di corti selezionati tra le varie centinaia e centinaia arrivati da tutto il mondo, ma anche con interessanti novità. I due progetti hanno in comune la stessa curiosità e passione per il mondo delle immagini in movimento, la conoscenza “dell’altro” e di “altri mondi”, le storie narrate dai più svariati punti di vista, oltre alla fotografia ovviamente.

E così eccoci a Buenos Aires, sul set di Leonera di Pablo Trapero, un film presentato in concorso al sessantunesimo Festival di Cannes che parla di maternità, innocenza e degrado. Oppure negli studi cinematografici di Shangai, tra figure eleganti e misteriose sul set del film Qui Tang, una storia di spie durante l’occupazione giapponese della Cina o tra le comparse che si preparano a girare una scena di un giallo ambientato negli anni ’40.  A Mosca ci ritroviamo sul set della miniserie televisiva I fratelli Karamazov, per poi trasferirci a “Nollywood”, in Nigeria, patria di una industria cinematografica definita “aggressiva”, dove si “gira” in appartamenti e hotel piuttosto che negli studios, per ritrovarci poi negli studi cinematografici di Teheran, tra le comparse sul set di Joseph un colossal religioso.  Tra colombe, conigli e divinità arriviamo a Ramoji Film City negli studi della città indiana Hyderabad, sul set del film mitologico Astadasa Purana. In Corea infine, in un lussuoso albergo di Seoul con Lee Min-jung protagonista di Elephant Penthouse e a Samcheok, durante le ripetizioni della prima scena di Mother di Bong Joon-ho.Cinema e fotografia, il legame tra i due linguaggi è profondo e viene da lontano, “per il fotografo il cinema è sempre l’immagine che viene dopo, un modo particolare di definire la progressione ma anche la differenza tra l’immagine fissa e quella in movimento”, diceva Cartier-Bresson.

Cinema e fotografia condividono tecniche, linguaggi narrativi, uso della luce, ispirazioni estetiche, atmosfere, creatività. Grandi registi come Kiarostami, Wenders, Tornatore hanno scelto la fotografia come mezzo autonomo di espressione. Grandi fotografi hanno guardato alla regia, come lo stesso Cartier-Bresson o Corbjin.  Il fotografo di scena fissa sul set le immagini più significative di un film a scopi promozionali.

Il cinema come la fotografia dunque, mette in scena il lavoro della memoria dando ai fotogrammi un respiro teso ad accentuare pulsioni, emozioni, ambiguità. Stefano de Luigi sul set gioca diversi ruoli, un po’ attore,  ma soprattutto primo spettatore, un po’ regista ma soprattutto fotografo: i suoi scatti “rubati” socchiudono delle finestre dalle quali farci spiare, immaginare, sognare e viaggiare nei mondi del cinema, nei cinema del mondo.

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Paolo Roversi – Incontri

In concomitanza con la grande esposizione di Palazzo Reale a Milano, la FondazioneSozzani con la mostra “Incontri” mette in evidenza la struttura propriamente pittorica delle fotografie di Paolo Roversi.

Roversi è artista della composizione e della geometria, con un approccio astratto alla realtà. Fin dagli Anni ’80 le sue fotografie rispondono a una costante esigenza formale che dà loro un carattere sorprendentemente atemporale, in contraddizione con il gusto e gli usi della moda. La sua familiarità con la storia dell’arte, e con la pittura italiana in particolare, gli permette di fotografare come un pittore. Lavora spesso a serie costruite attorno a un tema o a un modello, come se cercasse di estrarne tutte le possibilità plastiche. Per questa esposizione Roversi ha raccolto le sue fotografie a due e a tre, in dittici e trittici. Questo procedimento, mai utilizzato prima in modo sistematico, offre uno sguardo inedito sul suo lavoro, dandogli una dimensione monumentale. La composizione a più elementi gli consente di dare un’attenzione maggiore al soggetto arricchendone la lettura. Come nei polittici del Rinascimento, che ricorrono ampiamente a questo metodo. In questa mostra la fotografia di Paolo Roversi appare più serena e controllata che mai. Insieme ai più di trenta dittici e trittici – realizzati appositamente per questa mostra a partire da alcune delle più importanti foto di Roversi – viene presentata per la prima volta una selezione di ritratti incrociati di Paolo Roversi e Robert Frank realizzati nel 2001 in Nova Scotia.

17 novembre 2017 – 11 febbraio 2018 – Galleria Carla Sozzani – Milano

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CITIES

Il nuovo club fotografico milanese PhotoMilano ospita a Spazio Tadini Casa Museo una selezione di immagini dei due numeri CITIES, il nuovo magazine made in Italy dedicato alla street photography prodotto da ISP, il progetto di street autoriale Italian Street Photography.

In mostra 90 immagini, una selezione tra quelle pubblicate nei due numeri della rivista, stampata in oltre 400 copie a numero, che raccontano la città con personali e differenti punti di vista ma in un’ottica street.

Le fotografie esposte sono state realizzate dai partecipanti alle due edizioni del progetto Isp Experience, una vera produzione condivisa a cui hanno partecipato per i due primi numeri più di 160 fotografi in 11 città italiane; guidati in due weekend in aprile e settembre 2017 dagli undici Autori Isp in veste di mentori hanno scattato e preselezionato più di 1.800 immagini, poi definitivamente selezionate da Angelo Cucchetto e Graziano Perotti per la realizzazione della Fanzine dedicata alla Street Italiana.

CITIES è una fanzine che si basa su un’idea progettuale nuova e unica. La sua forza risiede proprio nella condivisione di un’opportunità fotografica professionale, dunque sulla sua natura “partecipativa” rara in Italia.

Un avventura iniziata ad Aprile 2017 con il lancio del progetto Isp Experience, per la produzione del primo numero di CITIES in sei città Italiane: Torino, Milano, Venezia, Genova, Roma, Catania. Per la seconda edizione e la produzione del secondo numero a settembre il progetto si è arricchito di un corso propedeutico di Street Photography e la produzione del magazine su 8 città: Bologna, Matera, Milano, Padova, Rapallo, Roma, Siracusa, Torino.

A fare da ospite a questa mostra alla Casa Museo Spazio Tadini, luogo dedicato in gran parte alla fotografia, è PhotoMilano, gruppo fotografico creato e diretto da Francesco Tadini che, in pochi mesi di attività, ha già promosso mostre personali e collettive – alle quali hanno già preso parte più di 150 autori – reportages istituzionali, nonché workshop fotografici.

dal 24 Novembre al 21 Dicembre 2017 – Spazio Tadini Milano

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Nature morte (2000-2017) di Christopher Broadbent, e Indizi. Opere dalla collezione di Mario Trevisan

La Galleria del Cembalo propone, fino al 3 febbraio 2018, due mostre in dialogo fra loro. Nature morte (2000-2017) di Christopher Broadbent, e Indizi. Opere dalla collezione di Mario Trevisan, offriranno spunti di riflessione riguardo l’affascinante e ambiguo rapporto tra la fotografia e tre grandi temi della storia dell’arte: figura, paesaggio, natura morta.

Nature morte (2000-2017)

Dopo una lunga carriera dedicata alla fotografia pubblicitaria e agli spot televisivi, Christopher Broadbent nel 2000 decide di recuperare una dimensione privata, intima, del suo ‘mestiere’, per approfondire ulteriormente il tema dello still life che già lo aveva reso noto nel panorama internazionale della comunicazione per la suggestione e la forza evocativa di molte sue immagini, vere e proprie icone della storia della pubblicità. A differenza di quanto accade frequentemente nell’opera di molti fotografi, nel caso di Christopher Broadbent non esiste discontinuità di visione tra la produzione pubblicitaria e quella privata. Anzi, si potrebbe tranquillamente affermare che è stata la pubblicità ad adattarsi per molti anni al suo sguardo, alle sue atmosfere, alla sua cultura, al suo gusto.

Da sempre Christopher Broadbent indaga la più borghese, laica, privata e domestica delle forme dell’arte.

Scrive di lui Philippe Daverio: «La natura morta è la quintessenza dell’astrazione da parte dell’osservatore. Nel paesaggio chi lo descrive è necessariamente inserito; nella natura morta chi la racconta è per definizione esterno. Qui sta la prima differenza. La seconda è forse ancora più significativa e riguarda l’oggetto stesso e la sua difficile definizione, quella che lo porta ad avere nomi diversi nelle diverse lingue: per i tedeschi e gli inglesi è stilleben o still life, cioè vita silente, silenziosa nella propria poetica, per i francesi è nature morte anche se costituita da elementi non suscettibili di morire, per gli spagnoli è molto più semplicemente bodegón, pittura realizzata all’interno della bottega, cioè dello studio. Ma in tutti i casi si tratta di una composizione che abolisce l’idea di tempo e dove la staticità degli elementi diventa motivo di sospensione astratta dalla realtà circostante. È riflessione stabile dell’esistere. Ed è al contempo riflesso dell’esistente. Christopher Broadbent porta queste considerazioni alle loro estreme conseguenze.

Le sue nature morte sono di oggi, ma potrebbero essere del XVII secolo olandese, allo stesso modo. Dall’istantanea fotografica si scivola nel tempo infinito della storia, proprio perché il tempo in queste immagini è totalmente abolito, come i petali dei fiori che non stanno cadendo ma sono definitivamente caduti.

E la conseguenza ne è curiosamente paradossale: l’unica fotografia che possa raffigurare la realtà è quella che rappresenta una realtà artefatta, composta, inventata. Sicché qui il compito del fotografo non è più solo quello di scegliere e di scattare, ma diventa quello del comporre e dell’inventare, di fabbricare il teatrino che diventa il soggetto e non più l’oggetto dell’immagine. Come nella stampa antica, il fotografo in questo caso è colui che delineabat et invenit l’opera finale. L’effetto è fortemente attraente, in quanto Broadbent così facendo scioglie i limiti fra fotografia e pittura e lascia i due generi compenetrarsi in una nuova magia, senza tempo, nella quale gli accumuli di secoli di sensibilità saltano alla ribalta come il Jack in the Box, il diavoletto dell’immaginario che compare dal fondo dei sedimenti delle nostre fantasie e delle nostre memorie».

«Uso la penombra di una stanza vuota – spiega Broadbent – per suggerire il tempo sospeso in attesa di un intervento o di una conclusione. Come per una terzina in poesia, ho adottato una gabbia metrica in uso da secoli per la natura morta: struttura ortogonale, luce dalla finestra per un disegno in chiaroscuro, piani prospettici orizzontali marcati per mettere le cose a portata di mano dell’osservatore».

Indizi – Opere dalla Collezione Trevisan

Da oltre 25 anni Mario Trevisan colleziona fotografie e questa mostra, al di là della passione, dell’entusiasmo e della determinazione che lo contraddistinguono nella ricerca di piccoli e grandi capolavori iconici per l’incremento della propria raccolta, intende trasmettere – attraverso una ventina di opere di alcuni dei protagonisti della fotografia internazionale, dai pionieri delle origini ai maestri del Novecento – la sua straordinaria capacità di lettura del mezzo e dei linguaggi ai quali questo ha dato vita nel corso di quasi due secoli.

Collezionando fotografie, che cosa collezioniamo? era la questione che si poneva Claudio Marra (in L’immagine fotografica 1945-2000, a cura di Uliano Lucas, 2004) e alla quale rispondeva riportando il fenomeno del collezionismo fotografico al problema più generale del riconoscimento di un’identità della fotografia all’interno dell’intero e complesso sistema dell’arte. Non è più possibile ormai, dopo i mutamenti concettuali avvenuti nelle pratiche artistiche nel Novecento, concepire le immagini fotografiche come qualcosa di diverso e separato dagli altri prodotti della ricerca estetica.

Riflettendo, anzi, sulla centralità che la fotografia, fin dal suo apparire, ha assunto nel mondo dell’arte, per la sua duplice e ineludibile natura di oggetto iconico e concettuale, è possibile oggi riconsiderarne gli esiti, superando – secondo l’esemplare lezione di Trevisan – pregiudizi e retaggi di sapore idealistico e ottocentesco e accogliendo, nella decontestualizzazione che opera l’azione stessa del ‘collezionare’ (con i suoi prelievi, le sue cesure, la selezione, il riscatto), anche immagini realizzate originariamente per rispondere a funzioni pratiche (quali la documentazione, l’informazione, la pubblicità, la moda) e diverse da quelle puramente estetiche.

È in questo senso che la collezione Trevisan costituisce oggi in Italia uno dei rari esempi in cui sia possibile rintracciare, grazie alla sua estensione cronologica, alla varietà e alla qualità delle opere, alla provenienza culturale degli autori, alla molteplicità delle tecniche e alla diversità dei generi che vi sono rappresentati, una storia ‘universale’ del mezzo, dalla sua invenzione ai giorni nostri, anche se con tutti i limiti oggettivi che si pongono sempre a un’impresa di questo genere.

Limiti che hanno poi il potere di esaltare, invece, l’unicità e il carattere soggettivo di una raccolta che si manifesta, a sua volta, come atto individuale e creativo, come proposta alla collettività di un bene concettualmente e intellettualmente autonomo, con tutti i suoi valori insieme storici, culturali, affettivi, simbolici.

Quello che si propone in mostra è una selezione dalla selezione, uno sguardo ulteriore (non propriamente quello del collezionista) che offre ad altri sguardi una sorta di affondo, che tenti di concentrare e rappresentare, in una sintesi estrema, le specificità e l’originalità della collezione da una parte e, dall’altra, la vastità e la complessità della storia e della natura della fotografia.

Ed è proprio dall’analisi della collezione che due aspetti, in particolare, sono emersi e sono stati scelti come ambiti privilegiati attraverso i quali ripercorrere momenti, idee, proposte, invenzioni, sperimentazioni e soluzioni con cui la fotografia ha manifestato, nel corso del tempo, la sua duplice e ambigua identità, tra pratica comportamentale e aspirazioni di carattere formale e pittorico, in una costante tensione dialettica tra verità e finzione, realtà e apparenza, opacità e trasparenza, chiarezza e mistero.

Figure e paesaggi – apertamente intesi, come corpi e spazi via via indagati, documentati, rappresentati e interpretati dai fotografi – sono le due serie, parallele e complementari, entro cui si condensa e si dipana quella “storia della fotografia” che Mario Trevisan ha cercato a suo modo di tracciare: dall’oggettività e il naturalismo delle immagini delle origini, che pure tendono alla compostezza formale della pittura coeva (le vedute di Talbot e di Macpherson, i nudi di Belloc e di Moulin), alle aspirazioni simboliche e dichiaratamente espressive dei ritratti di Julia Margaret Cameron o dei paesaggi di Emerson, fino agli studi di fotografi pittorialisti come Drtikol e gli autori dell’atelier Pastime Novelty Co; dalle nitide e accademiche composizioni di un Marconi o di un Béchard, alle rappresentazioni ‘pure’ e dirette di autori come Eugène Atget e Manuel Alvarez Bravo; dalle raffinate e più o meno esplicite ‘citazioni’ pittoriche di Jeanloup Sieff, di Meyerowitz o di Luis Gonzalez Palma, fino alle immagini di autori come Friedlander, Sternfeld e Ghirri che, dietro l’esibizione chiara e ‘documentaria’ di porzioni di realtà, manifestano la vena più profonda e affascinante della fotografia, sempre ambiguamente sospesa tra oggettività e illusione, tra narrazione e affabulazione, tra ragione e paradosso.

Dal 24 novembre al 3 febbario 2018 – Galleria del Cembalo Roma

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Fabio Moscatelli – Gioele

La stagione dell’associazione culturale Acta International prende il via con una formula nuova: saranno presentate infatti le mostre di autori che hanno già un’identità fotografica importante e la curatela sarà affidata di volta in volta a giovani studenti e studentesse di scuole d’arte.

La particolarità di questo programma espositivo, infatti, riguarda il coinvolgimento di giovani curatrici e curatori che lavoreranno sotto il tutoraggio della giornalista e curatrice Loredana De Pace, ideatrice di questa formula per l’Acta International. In tal modo queste giovani leve potranno mettersi alla prova, lavorando a stretto contatto con fotografi che hanno già costruito un proprio percorso.

Il primo autore che sarà presentato è il fotografo romano Fabio Moscatelli.

La mostra di Fabio Moscatelli ci pone dinanzi al mondo frammentato e carico di delicatezza di Gioele, un ragazzo autistico che al momento del loro primo incontro viveva l’età di passaggio tra l’infanzia e la prima adolescenza. Come è iniziato tutto? Durante il loro primo incontro fu chiesto a Gioele se fosse d’accordo che l’uomo di fronte a lui venisse nella sua casa, lui rispose con un secco “no, mi fa schifo”. Un punto di partenza inaspettato per un legame che già poco tempo dopo aveva posto salde radici.

Il progetto nasce dalla volontà di conoscere e approfondire la tematica dell’autismo, ma non si ferma ad un’analisi della specifica realtà del ragazzo, e riesce a far scaturire dalle immagini l’intimità, la profondità del loro rapporto e la voglia di entrambi di immergersi nelle reciproche vite. La capacità di creare un solido piano di dialogo e il personale modo di porre il proprio punto di vista a stretto contatto con l’emotività di chi viene ritratto denotano la fotografia di Fabio Moscatelli.

La continua evoluzione risulta una caratteristica preponderante del lavoro dell’artista. La mostra riprende anche alcuni scatti inclusi nel primo frutto dell’intensa collaborazione con Gioele: il libro “Gioele. Quaderno del tempo libero”, e li coniuga con alcuni più recenti, tutti connotati da una limpidezza che non lascia spazio a manipolazioni ed espedienti visivi.

24 novembre – 16 dicembre 2017 – Acta international – Roma

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L’Italia di Magnum, la Sirmione di Paolo Pellegrin

100 fotografie che vanno Oltre esposte a Palazzo Callas Exhibitions

“Quella che mi interessa di più è una fotografia non finita, dove chi guarda ha la possibilità di  cominciare un proprio dialogo […] Io presento la domanda […], poi lascio spazio ad ognuno perchè si interroghi, perchè si faccia un’idea”
Paolo P

100 fotografie che vanno Oltre saranno esposte a Palazzo Callas Exhibitions dal 18 novembre 2017 al 7 marzo 2018.
Le prime 50 provengono dall’archivio Magnum Photos e raccontano il paesaggio italiano così come è stato visto da fotografi quali Robert Capa, Martin Parr, Werner Bischof, Elliot Erwitt, Richard Kalvar, Alex Webb, Inge Morath, Ferdinando Scianna e altri.Le altre fotografie sono un’assoluta scoperta: 50 immagini di Sirmione realizzate appositamente per questa mostra da Paolo Pellegrin.
Un racconto di straordinaria intensità, assolutamente inedito per forma e contenuto, un racconto per immagini destinato a suscitare nuove emozioni e un moto di sorpresa in tutti i visitatori.

18 novembre 2017 – 7 marzo 2018 – Sirmione Palazzo Callas Exhibitions

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Rafal Milach – The First March of Gentlemen

“The first march of gentlemen” è il titolo del recente libro dell’ artista Polacco Rafal Milach, realizzato durante la sua permanenza a Wrzesnia (PL) in occasione della residenza d’artista Kolekcja Wrzesińska.

Il lavoro nasce da una ricerca svolta sul passato della città e la scoperta dell’ archivio del fotografo Ryszard Szczepaniak, che negli anni 50 ha ritratto parte della popolazione locale. Milach resta affascinato soprattutto dalle immagini di giovani uomini, sia civili che militari riconoscendo nei loro atteggiamenti caratteristiche anomale: ben vestiti, imbellettati, fieri e disinvolti come dei gentiluomini, sembravano apertamente ignari o sprezzanti del tumulto del comunismo e del rigido controllo del governo che attanagliava la nazione. Ma il lavoro dell’ artista non si limita alla raccolta e riutilizzo di questo materiale, Milach si ricollega direttamente ad un fatto storico che ha segnato la città, lo sciopero degli studenti delle scuole primarie del 1901, in cui per 4 anni bambini e genitori si sono ribellati all’ imposizione di studiare esclusivamente in lingua tedesca.

Il risultato finale è un immaginario “giocoso” in cui le figure di questi gentiluomini si intrecciano in scenari surreali, fatti di forme geometriche, colori accesi, tutti chiari rimandi all’ educazione infantile, che raccontano pezzi di storia attraverso simbolismi semplici ma travolgenti, come nei disegni dei bambini. E’ altresì un commento formalmente astratto sulla situazione attuale Polacca, che può facilmente riferirsi anche ad altri luoghi. La serie di collage è un tipo di spazio utopico in cui i cittadini esprimono pubblicamente i propri timori e desideri. Indipendentemente dalle possibili conseguenze, sono attivi. Le immagini contengono sia l’idea di libertà che l’apparato oppressivo.

All’interno della mostra si ritrova questo potente dualismo, lo spazio della galleria viene utilizzato come le pagine del libro, sfruttando diverse operazioni e supporti per restituire in maniera chiara il duplice livello di lettura. Le pareti tinte di rosso sono pronte a farsi tela bianca su cui le immagini possono vivere e sovrapporsi. Ritroviamo le stesse forme, griglie e simboli presenti nel libro, che anche se non comprendiamo a pieno, ci ricordano chiaramente l’ eco di idee universali. Una sorta di lezione di educazione civica, il cui concetto primario è che ogni cittadino ha diritti e doveri imprescindibili.

8.12-13.01.2018 Fonderia 20.9 – Verona

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Mostre di fotografia da non perdere a Settembre

Ciao a tutti,

riprendiamo da dove ci eravamo lasciati prima delle vacanze, con nuove fantastiche mostre da non perdere a settembre.

Date sempre un’occhiata alla pagina dedicata, sempre aggiornata con tutte le mostre in corso.

Anna

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Tutte le mostre di fotografia a luglio

Ciao a tutti,

ecco qua le mostre che vi consigliamo per questo mese di luglio.

Non impigritevi anche se fa caldo!

Anna

Robert Capa in Italia

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La mostra, dedicata al grande fotoreporter di guerra Robert Capa racconta gli anni della seconda guerra mondiale in Italia, con 35 fotografie originali incorniciate e oltre 100 immagini del biennio 1943 – 44, consultabili nello spazio multimediale dell’Alinari Image Museum.
Per la prima volta la mostra presenta oltre alle fotografie originali, un’ampia selezione di immagini digitali, con postazioni multimediali e interattive che permetteranno di contestualizzare la figura di Capa, il suo lavoro, la campagna italiana.

Considerato da alcuni il padre del fotogiornalismo, da altri colui che al fotogiornalismo ha dato una nuova veste e una nuova direzione, Robert Capa (Budapest, 1913 – Thái Binh, Vietnam, 1954) pur non essendo un soldato, visse la maggior parte della sua vita sui campi di battaglia, vicino alla scena, spesso al dolore, a documentare i fatti.

A settanta anni di distanza, la mostra racconta lo sbarco degli Alleati in Italia con una selezione di fotografie provenienti dalla serie Robert Capa Master Selection III conservata a Budapest e acquisita dal Museo Nazionale Ungherese tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009.

Esiliato dall’Ungheria nel 1931, Robert Capa inizia la sua attività di fotoreporter a Berlino e diventa famoso per le sue fotografie scattate durante la guerra civile spagnola tra il 1936 il 1939. Quando arriva in Italia come corrispondente di guerra, ritrae la vita dei soldati e dei civili, dallo sbarco in Sicilia fino ad Anzio.

Le immagini colpiscono ancora oggi per la loro immediatezza e per l’empatia che scatenano in chi le guarda. Ed è così che Capa racconta la resa di Palermo, la posta centrale di Napoli distrutta da una bomba ad orologeria o il funerale delle giovanissime vittime delle famose Quattro Giornate di Napoli. E ancora, vicino a Montecassino, la gente che fugge dalle montagne dove impazzano i combattimenti e i soldati alleati accolti a Monreale.

Grazie a un visore 3D immersivo ci si ritrova in trincea, trasportati all’interno di una azione di combattimento, tra aerei, uomini e carri armati, dove la violenza degli scontri non è mostrata, ma la tensione dell’attesa è realistica. Nello spazio 3D, indossando gli occhialini si ha davanti, in tre dimensioni, mezzi di trasporto o armi usati durante la campagna in Italia.
Una parete proiettata in alta definizione, mostra i volti della gente nella guerra, l’impatto del conflitto sulla vita civile, accompagnati dalle parole di Capa.

Trieste
Alinari Image Museum
Bastione Fiorito
Castello di San Giusto
Dal 27 maggio al 17 settembre

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Henri Cartier-Bresson Fotografo

16 giugno – 15 ottobre 2017 – Galleria di Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada” – San Gimignano

140 scatti di Henri Cartier Bresson, in mostra alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada” di San Gimignano dall’16 giugno al 15 ottobre 2017, dedicati al grande maestro, per immergerci nel suo mondo,  per scoprire il carico di ricchezza di ogni sua immagine, testimonianza di un uomo consapevole, dal lucido pensiero, verso la realtà storica e sociologica.

I suoi scatti colgono la contemporaneità delle cose e della vita. Le sue fotografie testimoniano la nitidezza e la precisione della sua percezione e l’ordine delle forme.
Egli compone geometricamente solo però nel breve istante tra la sorpresa e lo scatto. La composizione deriva da una percezione subitanea e afferrata al volo, priva di qualsiasi analisi. La composizione di Henri Cartier-Bresson è il riflesso che gli consente di cogliere appieno quel che viene offerto dalle cose esistenti, che non sempre e non da tutti vengono accolte, se non da un occhio disponibile come il suo.

“Fotografare, è riconoscere un fatto nello stesso attimo ed in una frazione di secondo e organizzare con rigore le forme percepite visivamente che esprimono questo fatto e lo significano. È mettere sulla stessa linea di mira la mente, lo sguardo e il cuore”.

La mostra è curata da Denis Curti e promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di San Gimignano, prodotta da Opera-Civita con la collaborazione della Fondazione Henri Cartier-Bresson e Magnum Photos Parigi.

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Be the bee body be boom –  Sara Munari

 

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L’edizione 2017 del Festival vede Sara Munari in una duplice veste: la prima come giurata del Concorso Fotografico 2017 e la seconda come artista in mostra in una delle nostre sedi, con uno dei suoi progetti più belli.

Be the bee body be boom

In “Be the bee body be boom” (bidibibodibibu), Sara Munari si è ispirata alle favole del folklore e alle leggende urbane che soffiano sui paesi dell’Europa dell’Est.
“L’Est Europa offre uno scenario ai miei occhi impermeabile, un pianeta in cui è difficile camminare leggeri, il fascino spettrale da cui è avvolta, dove convivono tristezza, bellezza e stravaganza: un grottesco simulacro della condizione umana. A est, in molti dei paesi che ho visitato, non ho trovato atmosfere particolarmente familiari”, afferma la fotografa di questo lavoro che contempla il suo immaginario, accumulato durante i numerosi viaggi in Est Europa e che è stato definito “visionario”, “stregato e coerente”, “magico”.

Dal 1 al 26 Luglio 2017 – Orbetello, Piazza del Popolo, Sala Espositiva ImagO Palazzo di Piazza del Popolo
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EU: SATOSHI FUJIWARA

 

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“EU” è una mostra antologica del fotografo giapponese Satoshi Fujiwara. Il progetto include alcuni dei lavori più significativi dell’artista e “5K Confinement”, una commissione realizzata per “Belligerent Eyes”, il progetto di ricerca sulla produzione contemporanea di immagini proposto dalla Fondazione nell’estate 2016 a Venezia.

Curata da Luigi Alberto Cippini in un allestimento di Armature globale, la mostra propone un’alternativa ai regimi rappresentativi che stabilizzano l’attuale “identità fotografica europea”. Come osserva Cippini, “la produzione fotografica contemporanea sembra essere determinata da rigidi standard di risoluzione, impatto e distribuzione. Un numero crescente di reporter freelance documentano quotidianamente avvenimenti sociali e politici all’interno e ai margini dell’Unione Europea, producendo immagini che sebbene libere da forme rigide di classificazione, rimangono sottostanti a determinati regimi estetici, di accessibilità, spaziali e di contenuto. Queste costrizioni permettono e sostengono il lavoro delle nuove generazioni di fotografi, aumentando la possibilità di pubblicazione dei loro scatti e contribuendo alla formazione di un gusto medio e neutrale”.

Satoshi Fujiwara (Kobe, Giappone, 1984), attraverso una peculiare scelta delle inquadrature, della distanza focale dai soggetti ritratti e della definizione eterogenea delle fotografie crea un’azione pressante e critica sull’osservatore, deviando dai canoni standard del foto-giornalismo e da una dimensione esclusivamente documentaristica, producendo in questo modo un nuovo lessico emergente.

La mostra si divide in due sezioni: la prima parte, ospitata al piano inferiore dell’Osservatorio, ricostruisce la commissione “5K Confinement”, mentre il secondo piano ospita una retrospettiva che espande e riunisce opere dalle serie “#R”(2015-in corso), “THE FRIDAY: A report on a report” (2015), “Police Brutality” (2015), “Venus” (2016-in corso), “Continent” (2017-in corso), “Animal Material” (2016-in corso), “Mayday” (2015), “Scanning”(2016) e “Green Helmet (2016).

L’allestimento di “EU” è costituito da sequenze di immagini assemblate, volte a eliminare qualsiasi contesto narrativo lineare. Un’operazione che trae origine dalla rielaborazione dell’architettura espositiva disegnata da Herbert Bayer per la mostra “The Road to Victory: a procession of photographs of the nation at war”, tenutasi al MoMA di New York nel 1942.
Porzioni di telecamere consumate dall’uso, assieme a diversi formati di presenza umana e sorveglianza convergono in una sorta di tazibao, in cui le storiche forme di informazione pubblica in uso durante la rivoluzione culturale cinese sono combinate a forme di costruzione e associazione visiva attualmente diffuse, quali i software di editing video ed elaborazione digitale. Come sostiene Cippini, l’allestimento si presenta come “un conglomerato di formati e standard di definizione che registra l’assuefazione al consumo di immagini e la necessità di dialogare con le forme meno visibili di propaganda contemporanea”.

“EU” è accompagnato da una pubblicazione, “5K Confinement. HD Environment Surface Surveillance “, a cura di Luigi Alberto Cippini ed edita da Fondazione Prada.

7 giugno – 6 ottobre – Osservatorio – Milano

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Vivian Maier – Una fotografa ritrovata

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Loggia degli Abati di Palazzo Ducale – Genova
23 giugno – 8 ottobre 2017
Vivian Maier era un nome pressoché sconosciuto fino ad una decina di anni fa. Sarebbe rimasto presente probabilmente solo nel ricordo dei bambini che aveva accudito come tata negli anni Cinquanta e Sessanta, tra Chicago e New York. E invece, grazie ad una fortunata serie di coincidenze, oggi è uno dei nomi più celebrati e amati della fotografia contemporanea.
Palazzo Ducale ospita nella Loggia degli Abati la retrospettiva dedicata a Vivian Maier, con oltre 120 fotografie in bianco e nero, una selezione di immagini a colori e alcuni filmati in super8 che mostrano come la Maier si avvicinasse ai suoi soggetti. E’ infatti questo uno dei tratti peculiari della sua fotografia: uno sguardo partecipe e distaccato al tempo stesso, a volte discreto, altre volte dissacrante. Un approccio sensibile e curioso, attento ai dettagli, alle imperfezioni, capace di documentare il reale restando nell’ombra. Era un’autodidatta, e le sue fotografie non sono mai state esposte né pubblicate mentre era in vita, la maggior parte dei rullini non sono mai stati sviluppati. Oggi proprio quelle fotografie costituiscono il racconto di un’epoca, un ritratto (non in posa) dell’America del dopoguerra. I soggetti sono bambini, anziani, lavoratori, donne: persone che Vivian Maier incontrava per la strada e immortalava con la sua inseparabile Rolleiflex, sapendo restare nascosta pur stando in mezzo alla gente.
Ciò che affascina maggiormente della sua storia è la scelta di tenere per sé le sue fotografie, di non mostrarle né condividerle con gli altri. Era un’artista continuamente all’opera, ma soltanto raramente sviluppava i suoi negativi, essendo forse più interessata all’atto stesso della fotografia che non al suo prodotto, tantomeno al commercio. Come se già solo il fare fotografia bastasse, o meglio, bastasse a lei stessa.
Nel 2007 John Maloof, allora agente immobiliare, ritrovò i migliaia di negativi della Maier stipati dentro scatoloni confiscati e messi in vendita all’asta. Da allora non smetterà di cercare materiale sulla misteriosa fotografa, arrivando ad archiviare oltre 15.000 negativi e 3.000 stampe.
La mostra di Palazzo Ducale offre l’occasione di conoscere una parte di questo immenso archivio, lasciando ammirare l’enigma di una donna misteriosa, tata di mestiere e fotografa per vocazione.

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Le mostre di Cortona on The Move

17 LUGLIO – 1 OTTOBRE 2017

Giunto alla settima edizione, il festival internazionale di fotografia Cortona On The Move ospiterà tanti protagonisti della fotografia internazionale, dai grandi maestri ai giovani talenti, in un fitto programma di mostre, eventi, letture di portfolio con esperti di fama e una serie di iniziative inedite.

Tantissime le mostre da vedere. Qua trovate il programma completo.

Segnaliamo tra le tante, Donna Ferrato, Francesco Comello, Donald Weber, Matt Black e Justyna Mielnikiewicz.

OBIETTIVO MILANO. 200 fotoritratti dall’archivio di Maria Mulas

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Dal 1° giugno al 6 settembre 2017 Palazzo Morando | Costume Moda Immagine ospita la mostra organizzata da Associazione Memoria & Progetto, “OBIETTIVO MILANO. 200 fotoritratti dall’archivio di Maria Mulas” a cura di Maria Canella e Andrea Tomasetig con Antonella Scaramuzzino e Clara Melchiorre.

Sono 200 i ritratti fotografici esposti in mostra provenienti dall’archivio di Maria Mulas, prestigiose testimonianze professionali e dei legami intessuti dalla fotografa nel corso della sua vita.

Le foto raffigurano personaggi che hanno animato la scena artistica, culturale e sociale di Milano dalla fine degli anni Sessanta al Duemila, siano essi meneghini di nascita, di adozione o di passaggio, stranieri compresi: artisti, galleristi, designer, stilisti, scrittori, editori, giornalisti, registi, attori, intellettuali, imprenditori e molti altri.

L’insieme dei materiali conferma Maria Mulas tra le più importanti fotografe del Novecento italiano e il suo archivio come uno strumento indispensabile per documentare e ricostruire la storia visiva di Milano nel secondo Novecento.

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Questioni di Famiglie

Il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena (AR), ente nato per volontà della FIAF, la storica Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, presenta la mostra fotografica “Questioni di Famiglie”, che si terrà da lunedì 17 giugno a domenica 3 settembre 2017.

La mostra “Questioni di Famiglie” viene presentata con un anno di anticipo rispetto al Progetto Nazionale “La Famiglia in Italia”, che verrà esposto a Bibbiena nel 2018 in occasione del 70° anniversario della Federazione. Il progetto, già in fase di realizzazione, si rivolge a tutti gli appassionati fotografi e chiede loro di immortalare la famiglia contemporanea italiana; l’obiettivo è quello di realizzare una campagna fotografica di ricognizione che coinvolga migliaia di fotografi.

“Questioni di Famiglie” intende presentare al pubblico i molteplici aspetti di come la famiglia è stata raccontata fotograficamente in passato. Con la  consapevolezza che l’argomento è molto vasto, sono state scelte dai dieci curatori della mostra alcune tra le diverse possibili tematiche rappresentative dell’argomento per offrire spunti di riflessione e stimoli anche ai fotografi che si apprestano a partecipare al prossimo Progetto Nazionale.

La mostra è divisa in dieci sezioni (tra cui “La famiglia a tavola”, “La famiglia Social”, “La famiglia nel cinema italiano”..) e ciascuna sezione è seguita da un curatore differente per un totale di oltre 200 immagini esposte. Con le sue 16 celle e un grande corridoio, il CIFA rappresenta il luogo ideale per questo tipo di esposizione, che si offre ai visitatori come un percorso a tappe in cui scoprire, a volte anche con curiosa sorpresa, alcuni esempi di come la fotografia in Italia ha declinato il tema della Famiglia.

Tra i vari Autori che espongono è possibile trovare Cesare Colombo, Nino Migliori, Costantino Ruspoli, Paolo Ventura, Settimio Benedusi, Federico Patellani, Paul Ronald, Eugenio Giacinto Garrone, Gianni Berengo Gardin, Mario Cresci, Toni Thorimbert, Gabriele Galimberti, Giovanni Gastel, Gabriele Basilico e ancora molti altri.

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La progettualità dello sguardo. Fotografie di paesaggio di Gabriele Basilico

 

La mostra, ideata e promossa dall’Accademia di architettura (USI) di Mendrisio assieme allo Studio Gabriele Basilico, presenta 60 fotografie. Tra le immagini selezionate quelle tratte dalla serie “Bord de Mer” e un gruppo di paesaggi realizzati in Italia, Portogallo e Spagna. Particolare attenzione è dedicata alla Svizzera: una serie racconta l’architettura di Luigi Snozzi a Monte Carasso e un’altra il passo di San Gottardo. Un nucleo di 40 fotografie è invece dedicato alla ricostruzione di Gemona del Friuli, lavoro che Basilico ha realizzato nel 1992.

Chiesa di San Lorenzo – San Vito al Tagliamento (Pordenone)

16 giugno – 10 settembre 2017

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Ed van der Elsken – Camera in Love

 

from 13 June 2017 until 24 September 2017 – Concorde, Paris

Ed van der Elsken (1925-1990) is a unique figure in Dutch 20th-century documentary cinema and photography. As a photographer, his preferred subject was the street, and in cities like Paris, Amsterdam, Hong Kong or Tokyo, he enjoyed ‘hunting’ for subjects. Often qualified as a “photographer of marginal figures”, he sought in reality an aesthetic form, a visual authenticity, devoid of artifice, a beauty that was sometimes openly sensual, at times even erotic. Ed van der Elsken was fascinated by these proud figures, full of life and vitality.

The exhibition at the Jeu de Paume presents a large selection of some of his most iconic images: shots of Paris from the 1950s, figures photographed on his numerous travels or in his native Amsterdam from the 1960s onwards, as well as his books, and excerpts from his films and slide shows, particularly Eye Love You and Tokyo Symphony.

Van der Elsken photographs and films his subjects in situations that are often theatrical, and he behaves like a director, engaging in conversation with the people he photographs. He likes to be provocative and encourages his subjects to exaggerate or accentuate certain personality traits he detects in them. In addition to his theatrical, extravagant photography, Van der Elsken has also produced a large number of understated and moving images, revelatory of his poetic nature, his innate sense of solidarity with others, and his profound empathy for all living creatures.

Van der Elsken published approximately twenty books and produced a large number of films. His first book, Love on the Left Bank, was published in 1956. Taking the form of a banal but rather unusual photobook, Love on the Left Bank is a semi-fictive account of disaffected young people, living in Paris after the Second World War. The dark tone and expressive approach, as well as the book’s almost cinematic quality contributed to its instant success. Love on the Left Bank was followed by a number of photo documentaries from his travels: Bagara (1958) featuring photographs from his trip to Equatorial Africa, and Sweet Life (1966), from his round-the-world journey in 1959-1960.
Jazz (1958) is also worth mentioning. The book is a vibrant ode to the explosion of jazz music on the Amsterdam scene. In the 1980s, he published photobooks on Paris and Amsterdam, as well as De ontdekking van Japan (The Discovery of Japan) based on his numerous trips to Japan, and colour publications: Eye Love You (1976), depicting photographs from around the world against the backdrop of the liberal atmosphere of the 1960s and 70s, and Avonturen op het land (Adventures in the Countryside) (1980), Van der Elsken’s tribute to life in the polders in the northern Netherlands.

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Willy Ronis

from 28 June 2017 until 29 October 2017 – Château de Tours

This retrospective presents a specific aspect of Willy Ronis’s work: a deep awareness of the nature of images, despite his being traditionally categorised as a mainstream humanist. For Ronis photography is not an end in itself but a means of expressing his experience of the social realities around him. Taken in the street, a factory, the countryside or some intimate setting, his photographs add up to a set of moments that span his entire career, and constitute the basis of his personal version of reality.

After World War II the torch-bearers of French photography were the Groupe des XV, whose members included Robert Doisneau, René-Jacques, Marcel Bovis and, of course, Willy Ronis. Anecdote, parody, tenderness and visual finesse were among the narrative techniques favoured by French humanist photography, and what it sought to convey. Taking as their subject busy Paris streets, working class neighbourhoods, people out for a walk, children playing and other scenes of daily life, these photographs blended poetry with a spontaneously assumed vocation of reporting on the world.

Ronis is nonetheless very much aware of the dishonesty of any attempt by photography to take the edge off social injustice. He sets out to explore the life of the poor with method, conviction and lucidity. Hence his photographs of workers, picket lines and passionate union harangues in the Citroën and Renault factories in 1936 and 1950, the Saint-Étienne mines in 1948 and the streets of Paris in 1950. But in addition to his empathy with workers in the factory, at home and in society, we sense a photographer whose socio-political concerns could not be satisfied with a few fragments of lives picked up here and there, but required active commitment. Ronis never concentrates on the sordid, nor does he disguise poverty or romanticise the poor; rather he sides with their demands and their struggle.

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EPIFANIE 02 –  LAB/per un laboratorio irregolare

Cembalo

LAB/per un laboratorio irregolare è un progetto di Antonio Biasiucci che nasce nel 2012 per rispondere all’esigenza di creare un percorso per giovani artisti, completamente gratuito, in cui trasmettere un metodo di costante approfondimento e critica del proprio lavoro. Dopo l’esperienza della prima edizione del “laboratorio irregolare”, il progetto è proseguito intorno a un tavolo, nello studio di Biasiucci, per oltre due anni, in cui si sono incontrati i giovani artisti e il fotografo per raccogliere, condividere e sviluppare i loro lavori.

Scrive Antonio Biasiucci: “oggi restituisco quello che mi è stato dato, perché non ha senso che sia io solo a salvarmi. Metto a disposizione le mie conoscenze, affinché sia dato spazio, tempo e possibilità ad altri di fare buona fotografia attraverso un Laboratorio ispirato ad Antonio Neiwiller, regista napoletano scomparso venti anni fa, che io considero mio maestro. Il Laboratorio produce immagini essenziali, nelle quali l’autore può trovare una parte di sé; sono immagini che si aprono all’altro”. Il progetto applica dunque i metodi teatrali di Antonio Neiwiller alla fotografia. Non si tratta di una scuola in senso stretto, ma di un percorso dove l’azione didattica diventa un’azione di esistenza e dove la formazione non è fine a sé stessa ma diviene: “lo stimolo a solleticare corde interne del pensiero e dell’emozione, affinché diventino delle epifanie pure e scarnificate” (Leo de Berardinis).

“Come l’azione dell’attore sul palcoscenico – spiega Giovanni Fiorentino, che presenta nel catalogo i principi e l’azione del Laboratorio – è ridotta all’essenza, così nel laboratorio irregolare il viaggio di formazione porta il fotografo a mirare all’interno di sé, ricercando una performance profonda, elaborata per sottrazione, che trasformi l’oggetto della ricerca stessa in soggetto dalla dimensione universale. Biasiucci ha messo intorno al tavolo otto esperienze di vita, e di fotografia, eterogenee, selezionandole tra più di cento di proposte per competenze e qualità della ricerca. Intorno a quel tavolo la fotografia è diventata uno strumento di connessione e di scambio continuo, apprendimento condiviso e relazione sensibile”.

Per questo i lavori del laboratorio irregolare sono sempre “Epifanie” dal contenuto e dalla forma eterogenea. Sguardi autonomi, guidati da un unico metodo, che mette insieme otto esperienze di vita e ricerche fotografiche diverse. Così Pasquale Autiero racconta delle contraddizioni inguaribili del Sud tra il sacro e il profano, Ciro Battiloro dell’umanità che popola il Rione Sanità a Napoli, Valentina De Rosa di persone affette da grave disabilità, Maurizio Esposito di una geografia dell’anima, Ivana Fabbricino della percezione del sé attraverso l’autoritratto, Vincenzo Pagliuca di case ai margini dello spazio, Valerio Polici di un viaggio nel proprio immaginario, Vincenzo Russo della “riproducibilità dell’opera d’arte”.

“Fare il Laboratorio non significa diventare artisti, ma è il tentativo di scoprire cosa è importante; aiuta a distinguere il fondamentale dall’effimero, ad acquisire una forma mentis, una metodologia che è funzionale perlomeno a realizzare una fotografia che non mente. Una fotografia, appunto, una fotografia di se stessi. Nel Laboratorio non si privilegia un genere ma, al contrario, si punta alla cancellazione del genere. È privilegiato solo il proprio dire che eventualmente può prevedere più generi per comunicarlo. Aiuta a capire che lo scambio, il confronto, il relazionarsi sono fondamentali per crescere, insegna ad avere il coraggio di presentarsi nudi, ma consapevoli che è questo l’unico modo possibile”, così Biasiucci parla del Laboratorio Irregolare.

Dal 7 giugno scorso sino al 30 luglio prossimo, un tavolo lungo 15 metri, disegnato da Giovanni Francesco Frascino, su cui sono poggiati gli 8 portfoli-libro degli artisti di LAB, illuminato da un’unica striscia di luce, accoglie i visitatori all’interno della Chiesa di Santa Maria della Misericordia ai Vergini, detta La Misericordiella. Gli otto lavori di Epifanie 02 sono pubblicati in un catalogo, a cura di Antonio Biasiucci, e edito da Peliti Associati.

14 giugno / 15 luglio 2017 – Galleria del Cembalo Roma
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POP STYLE ICONS

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30 anni di icone da Kate Moss a David Bowie negli scatti di Michel Haddi.

Barberino Designer Outlet in collaborazione con ONO arte contemporanea è lieta di presentare POP STYLE ICONS: 30 anni di icone da Kate Moss a David Bowie negli scatti di Michel Haddi, una mostra che attraverso i soggetti più rappresentativi del celebre fotografo di moda francese racconta non solo l’evoluzione dello stile di tre epoche segnate da profondi cambiamenti storici e culturali, ma testimonia anche il passaggio dall’analogico al nuovo mondo digitale e alle infinite possibilità che questo ha aperto nell’ambito della fotografia di moda e costume.

La fotografia mi permette di creare una realtà alternativa. La fotografia di moda non è una rappresentazione accurata della realtà. Certo, ci sono elementi didascalici, cosa va di moda, quali sono gli argomenti di maggior interesse popolari al momento, ma è anche un sistema fantasmagorico. Ho campo libero.
Michel Haddi

Le immagini esposte sono state selezionate insieme a Michel Haddi e provengono da un archivio sterminato di volti noti e meno noti: icone del passato e nuovi modelli culturali sono qui accomunati dal taglio contemporaneo e sempre attuale di Haddi. La sua volontà di inventare storie, di far vivere lo scatto anche al di fuori dell’immagine fotografica, è evidente nella maggior parte dei suoi ritratti che sembrano implicare un continuum spazio-temporale con il mondo esterno: un prima e un dopo che diventano quasi necessari, come se la fotografia fosse un frame tratto da una pellicola cinematografica. Le immagini che compongono la mostra descrivono non solo la sua personale evoluzione nell’ambito della fotografia di moda, ma ci offrono anche uno spaccato della trasformazione interna della cultura visuale delle riviste patinate degli ultimi trent’anni, così come dello stile visivo e popolare tout-court.

A Barberino Designer Outlet la mostra è visitabile gratuitamente dal 13 giugno al 30 luglio ogni giorno dalle 11:00 alle 20:00. Pop Style Icons: un’occasione unica per lasciarsi rapire dalle celebrità del mondo del cinema e della musica immortalate dall’arte di Michel Haddi.

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Another Look – Daniele Tamagni

Dal 6 luglio al 16 settembre, presso la Galleria del Cembalo (Palazzo Borghese) a Roma, la mostra ANOTHER LOOK, a cura di Giovanna Fazzuoli, racconterà la moda di strada come strumento di affermazione individuale e di rivendicazione politica e sociale. Dai dandy congolesi di Brazzaville ai metallari cowboys di Gaborone, dai giovani ballerini di Johannesburg ai creativi di Nairobi e Dakar, Daniele Tamagni è riuscito a cogliere l’immediatezza espressiva di queste comunità.

Nel suo lungo lavoro di reportage condotto in diversi paesi africani, Tamagni ritrae fenomeni di resistenza eccentrica e di rivendicazione della differenza attraverso la moda. L’identità delle fashion tribes è rappresentata in diversi contesti geografici in cui si è radicata una controcultura popolare che si ispira a quella coloniale e occidentale, sfidandola e reinterpretandola con inesauribile creatività.

L’intimità di questi ritratti testimonia lo stretto rapporto di fiducia che il fotografo riesce a instaurare con i soggetti rappresentati: “Questo forte legame gli ha permesso di andare alle radici, di realizzare vitali scatti istantanei con gli occhi di una persona di fiducia, calata all’interno di un microcosmo difficile da conoscere, dove è raro per un estraneo essere ammesso.” (Paul Goldwin, già curatore Tate Gallery, London).

Tra globalizzazione e tradizione, desiderio di emulazione e affermazione sociale, spontaneità e artificio, creatività individuale e reinterpretazione, le tribù della moda, raccolte nel volume “Fashion Tribes”, rivendicano la propria identità nella realtà di tutti i giorni, una realtà che Tamagni ha saputo guardare da un punto di vista diverso, sfidando stereotipi e luoghi comuni.

6 luglio / 16 settembre 2017 – Galleria del Cembalo Roma

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La fotografia del “no” di Mario Cresci.

di Gianluca

Sono andato a visitare la prima grande mostra antologica dedicata al lavoro fotografico di Mario Cresci alla GAMeC, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, dal titolo “La fotografia del no”.

La mostra si sviluppa in 12 sezioni tematiche, che attraversano tutto il periodo di produzione dell’artista, dalle sperimentazioni sulle geometrie, al lavoro sulla popolazione lucana, dalla ricerca, all’inganno percettivo.

Cresci utilizza la fotografia come mezzo di comunicazione artistica e di studio, quindi non solo foto ma opere composite che si relazionano con i vari ambienti espositivi, risaltando il dialogo tra arte, grafica e fotografia.

Vi metto alcune foto della mostra insieme all’autore Mario Cresci.

 

La mostra sarà visitabile presso la GAMeC fino al prossimo 17 aprile 2017. Vi consiglio di fare una visita perché è davvero un’esperienza coinvolgente e trasversale.

Dove: GAMeC Via San Tomaso, 53 – 24121 Bergamo
Orari d’apertura: lunedì-domenica: ore 10:00-19:00 / giovedì: ore 10:00-22:00 / martedì chiuso
sito GAMeC: www.gamec.it

Su Mario Cresci interessante questo libro che vi abbiamo presentato sul blog, intitolato
‘Fotografia e materialità in Italia’
che analizza la fotografia in Italia degli anni sessanta e settanta, interpretata dagli autori Franco Vaccari, Mario Cresci, Guido Guidi e Luigi Ghirri.

Gianluca