prima di partire per le meritate vacanze, eccovi le mostre che vi segnaliamo per il mese di luglio.
Anna
Le mostre di Cortona On The Move 2022 – Me, myself and Eye
Cosa succede esattamente quando fotografiamo? La fotografia è un’arma o un faro illuminante? Chi ha il diritto di fotografare cosa? Il consenso di chi è fotografato è d’obbligo? Stiamo ancora fotografando finestre o siamo solo persi in una gigantesca sala degli specchi rimirandoci all’infinito? Sono questioni discusse da decenni e intrinseche alla natura del mezzo ma che sono recentemente riemerse con nuovo vigore sospinte dalla battaglia identitaria che ci ha inghiottito. La presa di coscienza che sia urgente riconsiderare come siano rappresentate etnia, genere e classe sta sconvolgendo vecchie regole non scritte e scrivendone di nuove.
In questo momento cruciale, in cui la fotografia è più presente che mai, assurta a linguaggio universale, prodotta, condivisa e consumata in maniera ossessiva, Cortona On The Move vuole riflettere su autorialità, punto di vista e legittimità. Su come soggetto e oggetto si intersecano, si scontrano e finiscono col coesistere.
“Me, Myself and Eye” è il tema del festival per l’edizione 2022, dove la fotografia ricerca la sua anima senza sfuggire al dibattito ma sempre aspirando al poetico. Esplorando i limiti estremi del mezzo come audaci astronauti e le storie sepolte come meticolosi archeologi.
Tra le mostre più rappresentative vi segnaliamo: Lucas Foglia, Gregory Halpern, Gabriele Galimberti, Martin Parr, Martina Bacigalupo, Alessandro Cinque, ma ce ne sono molte altre da non perdere.
Le mostre del RAGUSA FOTO FESTIVAL. EDIZIONE X – ARMONIA
Dal 21 luglio al 28 agosto 2022 torna in Sicilia, a Ragusa Ibla, borgo barocco tra i più belli d’Italia, la decima edizione di Ragusa Foto Festival, manifestazione internazionale dedicata ai linguaggi della fotografia contemporanea e alla valorizzazione di giovani talenti provenienti da tutto il mondo.
Dalla Sicilia, crocevia di svariate espressioni artistiche, come il barocco simbolo di unità tra diversi linguaggi, l’edizione 2022 mette in campo tante iniziative che attraverso la fotografia e la sua immediatezza, possono aiutare a riflettere sulle possibilità di conciliazione con le molteplici sfide del contemporaneo, favorendo occasioni di dialogo, conoscenza, approfondimento e condivisione.
Durante le giornate inaugurali, da giovedì 21 a domenica 24 luglio, oltre all’apertura delle mostre alla presenza di alcuni dei fotografi selezionati per questa edizione, sono in programma diverse iniziative: seminari, talk, intrattenimento, workshop, letture portfolio e il Premio Miglior Portfolio dell’anno, aperitivi con gli artisti, visite guidate alle mostre.
Oltre venti i progetti esposti negli gli antichi Palazzi La Rocca e Palazzo Cosentini, il Centro Commerciale Culturale “Mimì Arezzo” (Ex Opera Pia), l’Auditorium (chiesa sconsacrata) San Vincenzo Ferreri e il Giardino Ibleo.
Tra gli ospiti alle giornate inaugurali, Mario Cresci, Gianluigi Colin, Alfredo Corrao, Mario Morcellini, Benedetta Donato, Carlo Bevilacqua, Tim Carpenter, Jenia Fridlyand, Yvonne De Rosa, Claudio Composti, Giuseppe Leone, Pietro Motisi, Donata Pizzi, Susanna Scafuri, Nello Scavo, Paolo Verzone, Velasco Vitali, Alba Zari.
Nell’anno del suo decimo anniversario, sotto la guida della fondatrice e direttrice Stefania Paxhia, giornalista siciliana e ricercatrice sociale per il Consorzio Aaster, insieme con il direttore artistico Steve Bisson, curatore e docente di fotografia al Paris College of Art, con il comitato scientifico diversificato e una rete di partner culturali nazionali e internazionali, Ragusa Foto Festival prosegue il percorso iniziato nel 2021 in tema di desiderio e speranza, e si interroga sul concetto di armonia cheoggi torna alla ribalta per il bisogno urgente di un approccio incentrato sulla collaborazione e sulla complementarità. E non significa necessariamente assenza di contrasti o di conflitti ma mantenere la mente aperta al bene comune. Gli antichi Greci usavano rappresentare l’armonia con il Mar Mediterraneo, tra le aree più ricche al mondo in termini di stratificazioni storiche e artistiche, né terra mobile né mare sconfinato come l’Oceano, ponte tra le sponde della civiltà, simbolo della perenne prossimità degli esseri umani tra loro diversi e allo stesso tempo uguali.
Dal 2012 il Festival costituisce un’occasione di approfondimento dedicato ai diversi linguaggi delle arti visive e all’attualità, rievocando la più antica delle peculiarità del Mediterraneo, l’armonia del dialogo tra culture diverse nel “mare fra le terre”. La coesistenza tra la ricerca del benessere e la paura dell’incertezza, l’impeto incontrollato della tecnologia, la convivenza tra popoli, la riduzione delle diseguaglianze per mezzo dell’emancipazione dei ruoli e l’inclusione delle parti sociali, la crisi ambientale e l’insalubrità crescente del pianeta, sono solo alcune delle prepotenti emergenze che la fotografia con la sua immediatezza e accessibilità può aiutarci a guardare in faccia.
Prodotto e organizzato dall’Associazione Antiruggine, il Festival è patrocinato dal Ministero dei Beni Culturali, MIC, e da Caritas Italiana, con il sostegno di Fondazione Con il Sud, di Sicilia Fondo Sociale Europeo, dell’Ambasciata e del Consolato Generale del Regno dei Paesi Bassi, della Presidenza dell’Assemblea della Regione Sicilia e dei suoi Assessorati ai Beni Culturali e al Turismo, del Comune di Ragusa, Banca Agricola Popolare di Ragusa, della Camera di Commercio del Sud Est Sicilia e del Libero Consorzio Comunale di Ragusa e del Comune di Ragusa.
Dal 21 Luglio 2022 al 28 Agosto 2022 – Ragusa – Sedi Varie
Federica Belli, The lens (Through Which We See Ourselves), 2018. Stampa digitale Fine Art ai pigmenti di colore su Hahnemuhle Photo Rag
Villa Bardini e il Forte di Belvedere, a Firenze, dal 18 giugno al 2 ottobre 2022, ospitano la grande mostra FOTOGRAFE!, a cura di Emanuela Sesti e Walter Guadagnini, presentata e promossa dalla Fondazione Alinari per la Fotografia e dalla Fondazione CR Firenze, in collaborazione con il Comune di Firenze. Un nuovo e ambizioso progetto espositivo che ha per protagoniste assolute le fotografe di ieri e di oggi e che unisce le sale delle due sedi ospitanti in un unico itinerario, ricco e suggestivo, che affianca opere originali degli Archivi Alinari a produzioni contemporanee. L’esposizione si inserisce organicamente nell’offerta culturale estiva di Forte di Belvedere curata da Museo Novecento.
Partendo dagli esiti della ricerca negli Archivi Alinari, il progetto espositivo crea un percorso che intreccia e ripropone in maniera sincronica una storia che dalla fotografia delle origini attraversa il Novecento e arriva ai nostri giorni, affiancando i primi procedimenti fotografici alle sperimentazioni contemporanee. La mostra non segue quindi un andamento cronologico, ma è costruita per analogie, differenze, suggestioni, per temi e generi, primo tra tutti il ritratto fotografico, mettendo insieme in un unico percorso fotografie e fotografe nate in epoche, luoghi e contesti sociali diversi: l’intento è non tanto e non solo la ricerca di uno specifico e quanto mai ipotetico ‘sguardo femminile’, quanto l’individuazione della centralità di alcune personalità – spesso sottostimate – nello sviluppo della ricerca fotografica sin dai suoi albori. La presenza delle autrici contemporanee costituisce un ulteriore momento di riflessione che investe le pratiche artistiche odierne, a partire dal rapporto con il passato e con la memoria, siano esse individuali o collettive, all’interno di un mondo in continuo mutamento, dove anche i ruoli sociali e i paradigmi ad essi legati sono in costante divenire.
In mostra vintage prints, album e negativi dagli Archivi Alinari, opere provenienti dalle diverse collezioni di oltre quaranta fotografe, in molti casi inedite, a partire da quelle delle prime dagherrotipiste degli anni ’40 dell’Ottocento, come la francese Bernardine Caroline Théodora Hirza Lejeune (Parigi 1824-1895) del fondo Oggetti Unici che è stato restaurato, catalogato e digitalizzato nel 2021 anche grazie al sostegno della Fondazione CR Firenze. Le stampe originali di Julia Margaret Cameron, Dorothea Lange, Margaret Bourke-White, Lucia Moholy, Maria Mulas, Ketty La Rocca, Lisetta Carmi, Diane Arbus, Bettina Rheims, per citarne solo alcune, si confrontano con le produzioni di dieci autrici italiane, Eleonora Agostini, Arianna Arcara, Federica Belli, Marina Caneve, Francesca Catastini, Myriam Meloni, Giulia Parlato, Roselena Ramistella, Sofia Uslenghi, Alba Zari, rappresentanti della più giovane generazione, nata dopo il 1980, che va affermandosi in questi anni sia sul piano nazionale che su quello internazionale, presenti con opere che interagiscono con il patrimonio storico Alinari. Le autrici innescano dunque una conversazione ideale con le fotografie storiche e con l’archivio stesso, così da esaltarne la matericità e l’aura, proponendo in questo modo anche nuove chiavi di lettura alle immagini provenienti da un passato talvolta lontanissimo. Grazie a Calliope Arts, ente no profit con sede a Firenze e Londra, nato per valorizzare e salvaguardare il patrimonio culturale delle donne attraverso il suo progetto ‘Restoration Conversations’, la mostra si arricchisce di due sezioni dedicate a fondi degli Archivi Alinari: quello delle sorelle Wanda Wulz (Trieste 1903-1984) e Marion Wulz (Trieste 1905-1990) e quello di Edith Arnaldi (Vienna 1884-Roma 1978), nota soprattutto come scrittrice ed artista di area futurista con lo pseudonimo di Rosa Rosà, che è tra le artiste selezionate per la mostra della Biennale Arte di Venezia curata da Cecilia Alemani. Da questi archivi sono tratte opere inedite, alcune stampate direttamente dai negativi originali, che restituiscono alla fruizione pubblica i risultati di una prima ricognizione su materiali finora meno esplorati di questi nuclei archivistici, di straordinario interesse per la storia della fotografia. Da una parte il fondo Wulz (noto per la fama internazionale delle opere futuriste di Wanda, tra cui la realizzazione della famosa sovraimpressione “Io+gatto”), di cui verranno esposti a Villa Bardini anche dei negativi, che riserveranno al pubblico e agli studiosi importanti sorprese, in particolare sulsodalizio lavorativo e artistico con la sorella Marion. Dall’altra, al Forte Belvedere, un archivio completamente da esplorare, sostanzialmente un inedito, che permetterà, anche grazie alla ricerca della storica dell’arte Lisa Hanstein, di riportare alla luce la produzione fotografica di un’artista poliedrica come Edith Arnaldi, caratterizzata da ritratti e fotografie di viaggio realizzate in Italia, Europa e Africa, e dai ritratti eseguiti nel suo studio romano, funzionali all’indagine sulla produzione pittorica futurista dell’autrice. Durante l’apertura saranno organizzati dialoghi con le artiste presenti in mostra, visite guidate e laboratori per bambini e famiglie. La mostra vede la collaborazione di MUS.E e la Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron, e il contributo di Unicoop Firenze.
Dal 18 Giugno 2022 al 02 Ottobre 2022 – Villa Bardini / Forte di Belvedere – Firenze
Unfolding stories è il titolo della mostra collettiva finale del biennio di studi 2020-2022 che inaugurerà mercoledì 29 giugno alle ore 19 presso la nostra sede distaccata in via Zanolini 9 a Bologna, uno spazio del tutto inedito per i nostri eventi culturali aperti al pubblico e che rappresenta il cuore laboratoriale dentro cui i nostri studenti e le nostre studentesse hanno iniziato e completato il loro percorso formativo
La mostra Unfolding stories – in cui come da tradizione della scuola di Spazio Labo’ si fruisce di una selezione tra tutti i lavori realizzati dalla classe – rappresenta la condivisione di una serie di riflessioni intime che hanno spinto gli autori e le autrici a indagare su un tema nel quale erano coinvolti in prima persona e che con questa mostra restituiscono al pubblico sotto forma di progetti e libri fotografici.
Gli autori e le autrici in mostra sono Vera Bessegato, Chiara Calgaro, Martina Ciconte, Vincenzo Foglia e Anna Michelotti. Oltre ai loro lavori, saranno esposti tutti i libri fotografici realizzati dalla classe.
In occasione dell’inaugurazione, a partire dalle ore 20, i cinque autori in mostra svolgeranno una visita guidata e racconteranno i loro progetti e i libri fotografici che hanno realizzato, disponibili a rispondere a tutte le domande e curiosità dei visitatori. Un’occasione unica per conoscere da vicino il lavoro di una serie di brillanti giovani autori.
Fino al 9 gennaio, presso le sedi di Banca Mediolanum di Palazzo Biandrà a Milano e in via Calle del Sale 19 a Mestre, in collaborazione con CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia e con Alessia Paladini Gallery,sarà possibile visitare due mostre firmate Irene Kung. L’artista di fama internazionale, nota per i suoi scatti capaci di immortalare lo spirito dei luoghi, nasce e coltiva la sua passione artistica in Svizzera dove, dopo aver studiato pittura, scopre e sviluppa la passione per la fotografia.
«Immagini sospese nel tempo e nello spazio, visioni evanescenti sottratte al loro contesto che, superando la realtà, entrano a far parte di una dimensione onirica».
Le mura dello storico palazzo costruito nel 1900 dall’architetto Luca Beltrami, sede di Banca Mediolanum, ospitano una personale dell’artista che raccoglie la serie dei suoi scatti più noti, quella dedicata alle grandi città del mondo. A legare le fotografie dei panorami urbani della Kung è una chiave di lettura ben precisa: la capacità di riappropriarsi dello sguardo. Luoghi ed edifici, i veri protagonisti della vita cittadina, da sempre costituiscono quel contorno visivo che molto spesso dà forma alle nostre giornate. Irene Kung punta i riflettori su quattro luoghi simbolo di Milano: la Stazione Centrale, il Duomo, la Scala e la Torre Velasca.
Nelle fotografie dell’artista l’immagine si spoglia di qualsiasi riferimento ordinario per trasformarsi in un’apparizione fantastica, un’autentica visione. L’ingrediente esterno, che invita oggi più che mai alla riflessione e che indaga il rapporto tra uomo e natura, ha le forme di un albero. L’elemento naturale funge da collante narrativo evidenziando la necessità umana di coesistere tra ciò che crea e ciò che è creato.
Dallo Younnan, al Tibet fino a Mestre
Seguono, invece, una differente linea narrativa le opere esposte nella sede veneta di Banca Mediolanum. S’intitola Visioni dallo Yunnan e dal Tibet il ciclo di opere dedicato all’Estremo Oriente che coinvolge lo spettro emotivo di ognuno di noi in un percorso che unisce Occidente e Oriente. L’artista, attraverso l’utilizzo del colore conferisce alle sue immagini la dimensione dell’apparizione, portando alla luce la stessa sorpresa provata dai primi viaggiatori Occidentali di fronte ai paesaggi e alle architetture della cultura Orientale. Un tema importante quello indagato da Irene, che si sofferma sulla necessità di osservare le tracce di una cultura differente dalla propria. Per farlo l’obiettivo si stringe sulle immagini sospese nel tempo che, come visioni evanescenti, superano la realtà.
Forme e colori prendono corpo in un linguaggio visivo onirico, che pone l’artista davanti ad una riflessione alla ricerca del significato stesso di esperienza emotiva:
«il tentativo di generare un nuovo significato a partire dalle percezioni di un’esperienza emotiva, è un’astrazione che mi conduce dalle zone più in ombra della dimensione meditativa, fino agli spazi inconsci dell’anima».
Le inquadrature della Kung hanno la sorprendente capacità di far emergere i soggetti dall’oscurità esprimendo, attraverso un gioco di luci e ombre, una vicinanza stilistica con il Rinascimento pittorico italiano. Nuove prospettive si aprono davanti ai suoi lavori che giocano stimolando l’attenzione di ognuno di noi su tematiche quali l’equilibrio tra uomo e natura e l’inquietudine della solitudine urbana/umana, un connubio tipico anche della visione sublime raccontata nella storia dell’arte da artisti del calibro di Turner o Blake le cui opere hanno un sottile ma necessario punto in comune con la Kung, generano quel senso di inquietudine e bellezza a cavallo tra sogno e realtà.
Dal 24 giugno al 9 gennaio – Palazzo Biandrà Milano
Con il progetto Junk B, Benassi rielabora gli scarti delle sue produzioni precedenti in dei poster/collage. Ciò che era stato abbandonato è ricomposto in una serie in bianco e nero da cui emergono scritte, personaggi, pezzi di corpo, oggetti, macchie. Alle opere Benassi aggiunge pezzi di legno, timbri, fanzine e si appropria di estratti del testo scritto da Carlo Antonelli creando una stratificazione di elementi cruda ed enigmatica. L’esposizione è accompagnata da una pubblicazione limitata in 100 copie; all’interno è archiviata la serie progressiva dei sei collage esposti in mostra, accompagnati dal testo “Gli Antenati” di Carlo Antonelli
dal 30/05/2022 – al 31/08/2022 – SPAZIO NEUTRO – Reggio Emilia
PANGEA PHOTO FESTIVAL
Con un evento organizzato in collaborazione con l’associazione Effetto Notte, sabato 18 giugno alle ore 18 alla Pineta di Casina (RE) – dove è esposta per la prima volta in Italia la mostra “Outside the binary” di Linda Bournane Egelberth – si inaugura la seconda edizione del Pangea Photo Festival, il primo festival di fotografia dedicato a tematiche contemporanee cruciali per il futuro della società e del pianeta.
Il Pangea Photo Festival è un’iniziativa nata per volere di un gruppo informale di ragazze e ragazzi nati, cresciuti e residenti sull’Appennino Reggiano, per portare attenzione, nel proprio territorio, attraverso la fotografia d’autore e di reportage, su temi legati all’attualità globale: cambiamento climatico, conflitti, migrazione, relazione uomo/natura e uomo/potere, temi che troppo spesso passano inosservati nelle nostre vite, ma che hanno un forte impatto sul nostro presente e sul nostro futuro.
Il festival di fotografia è nato infatti per riflettere sulle tematiche contemporanee cruciali per il futuro della società e del Pianeta ed è organizzato insieme al Comune di Castelnovo ne’ Monti e con il sostegno della locale Azienda Speciale Consortile Teatro Appennino, che lo ha inserito quest’anno nel contesto della quinta edizione de L’Uomo Che Cammina, evento dedicato al rapporto tra l’uomo, l’ambiente naturale e la dimensione del sacro, nato a Castelnovo ne’ Monti, in provincia di Reggio Emilia.
La seconda edizione del festival ospita fino al 18 settembre cinque reportage, di cui due inediti in Italia, open air visitabili 24/7, di autrici e autori nazionali e internazionali in alcuni dei luoghi più suggestivi dell’Appennino Reggiano come la Pietra di Bismantova, citata da Dante nel Purgatorio. Le mostre sono completamente gratuite aperte e fruibili 24/7 e sono allestite in diverse sedi outdoor in contesti significativi a livello paesaggistico o sociale nel Comune di Castelnovo ne’ Monti, e quest’anno anche in quello di Casina.
Le fotografe e i fotografi coinvolti affrontano grandi tematiche dell’attualità globale che accendono domande su come questi temi impattino sulle comunità locali e sulla vita di ciascuno di noi.
Le mostre fotografiche, allestite a cielo aperto, che interagiscono con la natura circostante, sono:
a Ginepreto “Drowning in plastic” di James Whitlow Delano, documentarista americano con base a Tokyo, curata da Marta Cannoni e Livia Corbò dell’agenzia Photo Op
alla Pineta di Monte Bagnolo “Burning dreams” di Carolina Rapezzi, fotografa italiana con base a Londra che si occupa di questioni sociali, umanitarie ed ambientali tra Europa e Africa occidentale;
alla Pineta di Casina, per la prima volta in Italia, “Outside the binary” di Linda Bournane Engelberth, fotografa documentarista focalizzata sull’identità umana, sulle identità di genere e sulle comunità rurali;
ai Giardini di via Monzani a Castelnovo il reportage, vincitore del premio World Press Photo 2018 (3° classificato nella sezione General News), “Lives in limbo” di Francesco Pistilli, fotoreporter e videomaker Abruzzese che si occupa di reportage e ritratto editoriale dai contenuti politici, sociali e ambientali;
lungo la salita alla Pietra di Bismantova, vicino a Castelnovo ne’ Monti, sui muri che dal piazzale Dante conducono all’Eremo di Bismantova, la mostra inedita in Italia “God’s Honey” di Nadia Shira Cohen, freelance già stinger per Associated Press, poi per Sipa Press e VII Photo Agency.
LE FORME DEL TEMPO. FOTOGRAFIE DI FABIO BARILE E DOMINGO MILELLA
“Conoscere il passato è un’impresa altrettanto stupefacente che conoscere le stelle”: scrive così George Kubler nel suo libro The Shape of Time (1972) da cui è tratto il titolo della mostra Le forme del tempo, che dal 22 giugno al 31 luglio 2022 presenta le fotografie di Fabio Barile e Domingo Milella in un inedito dialogo con gli spazi archeologici delle Terme di Diocleziano a Roma.
La mostra, a cura di Alessandro Dandini de Sylva, è un viaggio nel tempo geologico, archeologico e presente. Dopo i primi due capitoli espositivi al Centro Arti Visive Pescheria e nell’antica Sinagoga di Pesaro, Le forme del tempo cerca ora un nuovo legame con le Grandi Aule delle terme romane.
La mostra è un’evoluzione del dialogo tra i due artisti, questa volta dedicato al rapporto tra archeologia del paesaggio earcheologia del linguaggio:i due artisti e il curatore hanno immaginato il percorso espositivo come una conversazione tra immagini e spazio archeologico, per un ritorno arcaico alla riflessione e per una profonda ricerca sulla fotografia e sull’atto stesso del guardare. “Le opere di Fabio Barile e Domingo Milella sono fotografie che riflettono il Tempo. Le immagini di Barile mostrano forme in perenne evoluzione, fin dal tempo profondo del mondo e della geologia, mentre quelle di Milella affondano le loro radici nella pietra dell’arcaico, del primitivo nel presente in un solo sguardo. – dice Alessandro Dandini de Sylva, curatore della mostra – Il discorso sull’antico è evocato dal dialogo tra le immagini in mostra: dalle Piramidi di Giza alla Tomba di Re Mida in Frigia dall’altopiano di Campo Imperatore alla Gola di Gorropu in Supramonte. Attraverso il dialogo tra i due artisti la mostra intende avvicinare geologie mute e pietre parlanti ricercando un’archeologia comune.” Insieme ai lavori fotografici, Le forme del tempo presenta una selezione di reperti archeologici, scelti con il direttore del Museo Nazionale Romano Stéphane Verger, con l’intento di creare accostamenti visivi e semantici inaspettati tra le fotografie, le Grandi Aule e i frammenti di tempo riportati alla luce dai magazzini del museo.
Spiega il Direttore del Museo Nazionale Romano Stéphane Verger: “Con la mostra Le forme del Tempo prosegue il progetto “Archeologia e Fotografia” del Museo Nazionale Romano. Il progetto è nato per promuovere il patrimonio archeologico attraverso il linguaggio universale della fotografia. La scelta di esporre opere conservate nei depositi del Museo accanto alle immagini dei fotografi Fabio Barile e Domingo Milella, consente di evidenziare la portata della relazione che esiste tra il Museo e il suo contenuto e la creatività contemporanea. Inoltre, l’esposizione fotografica trova nella sede delle Terme di Diocleziano lo spazio ideale per un racconto visivo dedicato allo scorrere del tempo, e si pone in costante dialogo con le imponenti strutture delle aule delle Terme e i reperti”.
Come nei precedenti capitoli espositivi le opere dei due artisti sono presentate in un allestimento disegnato per favorire il dialogo con lo spazio archeologico, assorbirne tutte le preziose vibrazioni e offrire ai visitatori un’esperienza culturale originale.
La mostra sarà anche una stanza di riflessione dove, durante il periodo espositivo, si terrà un incontro con scrittori e studiosi di archeologia e un laboratorio per bambini in collaborazione con l’associazione Cartastraccia.
Le forme del tempo è accompagnata da una pubblicazione edita da Fondazione Malaspina che raccoglie un testo del direttore del Museo Nazionale Romano Stéphane Verger e una conversazione tra il curatore Alessandro Dandini de Sylva e i fotografi Fabio Barile e Domingo Milella.
Dal 21 Giugno 2022 al 31 Luglio 2022 – Museo Nazionale Romano – Terme di Diocleziano -Roma
Sensazioni visive o auditive identificate come reali; così viene definito un sogno. Di queste percezioni gli autori in mostra ne hanno fatto una poetica e hanno permesso che il senso attribuito alle loro opere rispondesse a leggi diverse da quelle imposte dalla logica e dalla realtà.
Pur partendo dal tangibile, entrambi si sono spinti, per strade distinte e personali, verso la creazione di una propria identità visiva, di un vissuto fantastico per molti versi inquietante e a tratti magico.
Impossibile è astenersi dal vivere una partecipazione emotiva forte. Come in uno specchio chi guarda trova la sua realtà e trova la sua personale logica al sogno.
Gli autori, entrambi veneti, sono esposti in dialogo per la prima volta nel loro percorso artistico in questa lettura dell’opera curata da Simona Guerra.
Mostre fantastiche vi aspettano a giugno. Ce n’è davvero per soddisfare ogni palato. Non perdetevele!
E qua trovate anche tutte le altre mostre in corso.
Anna
Paolo Pellegrin – Confini di Umanità
La mostra fotografica, realizzata appositamente per Pistoia – Dialoghi sull’uomo, propone sessanta scatti, in parte inediti, di uno dei fotografi più apprezzati nel panorama mondiale, grazie al suo impegno e all’innovativa estetica documentaria. Realizzate in Algeria, Egitto, Kurdistan, Palestina, Iraq e Stati Uniti, le immagini sono accompagnate da un video dello stesso Paolo Pellegrin, realizzato in America per indagare le linee razziali che ancora dividono il Paese, confini invisibili ma ancor più insormontabili di quelli fisici. Le immagini coprono un arco temporale di quasi trent’anni, sviluppando, per sottrazione e opposizione, l’impervio percorso della convivenza, ostacolata da muri, guerre, mari in tempesta e deserti, ovvero tutte le frontiere, naturali e artificiali, visibili e invisibili, che dividono, imprigionano e isolano gli esseri umani. La mostra ci conduce dunque lungo i confini dell’umanità, per mostrare lo sforzo continuo, ma necessario, alla base della convivenza. Catalogo edito da Contrasto.
dal 24 maggio al 30 giugno – Palazzo Comunale Pistoia
La mostra è una
grande monografica di David LaChapelle, uno dei più noti fotografi e registi
contemporanei a livello mondiale.
I suoi soggetti
sono celebrities (i fratelli Michael e Janet Jackson, Hillary Clinton e Muhammad
Ali, Jeff Koons e Madonna, Uma Thurman e David Bowie…), insieme agli scatti
delle sue recentissime ricerche che lo hanno portato a sviluppare una
dimensione più privata e filosofica, i valori assoluti.
La religione, la sensualità e la sessualità, il passare del tempo, il rispetto per la natura: il tutto è svolto nella maniera onirica, linguaggio tipico del fotografo americano, ma che sempre fa i conti con la dimensione reale perché, al contrario delle apparenze, tutto ciò che compare in queste immagini è il frutto di una ricostruzione reale, molto lontana dalle ricostruzioni digitali.
Dal 14 giugno al 6 gennaio 2020 – Citroniera delle Scuiderie Juvarriane – Reggia di Venaria (TO)
Completamente dedicata alla fantasiosa iconografia delle giostre, questa mostra, sfaccettata e divertente, è anche pensosa, e vuole suscitare nel pubblico un vero e proprio effetto-giostra, tra il gioco più semplice e genuino che rimanda all’infanzia e la riflessione sulla vita, sul tempo che passa, sul mondo che gira, sul destino.
A proporla (Palazzo Roverella, dal 23 marzo al 30 giugno 2019) è la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo insieme al Comune di Rovigo e all’ Accademia dei Concordi, per la cura di Roberta Valtorta, con la collaborazione di Mario Finazzi per il percorso riservato alla pittura.
“Il Polesine, anticipa il Presidente della Fondazione, prof. Gilberto Muraro, è da sempre terra di giostre e giostrai. Qui, e in particolare nel territorio di Bergantino, vengono realizzate giostre destinate ai parchi di divertimento e agli spettacoli viaggianti di tutto il mondo. Ed è con il Museo della Giostra e dello Spettacolo Popolare di Bergantino che questa nostra mostra idealmente si coniuga. In una unione complementare: il Museo indaga il passato di una grande tradizione. La mostra legge il tema della giostra in chiave soprattutto sociale, affidandosi a grandi fotografi e a grandi artisti che l’hanno declinato nelle loro opere”. In mostra, infatti, vengono proposte immagini di giostre grandi e piccole, così come sono state raffigurate soprattutto in fotografia, ma anche in pittura, grafica, nei numerosissimi giocattoli, nei modellini, fino ai carillon. Presenti in mostra anche “pezzi” di antiche giostre come organi e cavalli di legno. La struttura della giostra è stata infatti ampiamente rappresentata in mille forme di straordinari giocattoli meccanici per bambini ma anche per adulti, dalle forme articolate e varie, talvolta carillon, talvolta orologi e soprammobili, divenuti nel tempo oggetto di collezionismo.
L’ampia sezione di fotografie comprende opere di più di sessanta importanti fotografi dall’Ottocento a oggi. Tra questi, le immagini ottocentesche di Celestino Degoix e di Arnoux; quella della Parigi dell’inizio del Novecento di Eugène Atget e dei Frères Seeberger; le fotografie degli anni Quaranta-Sessanta di Henri Cartier Bresson, Mario Cattaneo, Cesare Colombo, Bruce Davidson, Robert Doisneau, Eliot Erwitt, Izis, Mario Giacomelli, Paolo Monti, Willy Ronis, Lamberto Vitali, David Seymour; per l’epoca contemporanea, le immagini di Bruno Barbey, Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, John Batho, René Burri, Stefano Cerio, Raymond Depardon, Luigi Ghirri, Paolo Gioli, Guido Guidi, Jitka Hanzlovà, Guy Le Querrec, Raffaela Mariniello, Bernard Plossu, Pietro Privitera, Francesco Radino, Ferdinando Scianna.
La mostra è arricchita da una selezione di importanti opere pittoriche e da manifesti di fiere di paese e sagre popolari. Importante l’installazione dell’artista contemporanea Stephen Wilks “Donkey Roundabout” e il film di Adriano Sforza “Jodi delle giostre”, vincitore del David di Donatello 2011.
dal 23 marzo al 30 giugno 2019 – Palazzo Roverella – Rovigo
Mutty, in collaborazione con Micamera presenta la mostra A Trilogy di Jessica Backhaus. Una mostra che investiga i temi universali delle origini, dei desideri, dell’identità e del destino. Basandosi sulla sua storia personale, l’autrice si fa domande sull’importanza di conoscere le radici della propria esistenza e su quanto sia possibile rielaborarle.
Jessica Backhaus è nata nel 1970 a Cuxhaven, in Germania, in una famiglia di artisti. A sedici anni si trasferisce a Parigi dove studia fotografia e comunicazione visiva. Qui nel 1992 incontra Gisèle Freund, fotografa della Magnum e grande personaggio della cultura, che diventa sua grande amica e affezionata maestra. Nel 1995, la passione per la fotografia la porta a New York, dove lavora come assistente di diversi fotografi, sviluppa i propri progetti personali e vive fino al 2009. E’ considerata una delle voci più originali nel panorama della fotografia contemporanea.
Gli ultimi due libri di Jessica Backhaus segnano due momenti fondamentali nella carriera dell’autrice. Six Degrees of Freedom è l’espressione della ricerca delle proprie radici. Dopo il rientro in Europa dagli Stati Uniti, Backhaus decide di scoprire l’identità del padre biologico. Ne ha origine un lavoro particolarmente intenso: l’uso del colore carico di sentimenti, tipico di tutta la sua produzione, vero e proprio segno distintivo, assume qui una valenza particolarmente drammatica, seguendo l’autrice nel percorso di ricostruzione delle proprie origini.
Avviene in questo lavoro un passaggio fondamentale: Backhaus (che usa solo luce naturale) inizia a intervenire spostando gli oggetti nello spazio. Ricollocando gli oggetti, sembra voler riprendere in mano il proprio destino.
E’ l’inizio di una trasformazione che A Trilogy conferma, procedendo verso una sempre maggiore astrazione. Il volume contiene tre serie differenti: Beyond Blue, Shifting Clouds e New Horizon che saranno in mostra nello spazio espositivo di Mutty.
L’artista sarà presente all’inaugurazione della mostra venerdì 24 maggio alle ore 19.30
25 maggio – 21 giugno – Mutty – Castiglione delle Stiviere (MN)
In occasione di Milano Photoweek la Fondazione Sozzani dedica una grande mostra alla fotografia di Roger Ballen, uno tra i fotografi contemporanei più originali che indaga l’invisibile. Roger Ballen sarà presente all’inaugurazione della sua mostra
dal 9 giugno 2019 al 8 settembre 2019 – Fondazione Sozzani – Milano
USA. New York. American actress Marlene DIETRICH at Columbia records’s studios. Part of a sequence showing Marlene Dietrich during a recording session when she was 51 years old, with her famous World War II songs including Lilli Marlene. 1952 Images for use only in connection with direct publicity for the exhibition “Women” by Eve Arnold presented at Abano Terme, Italy, from May 17th to December 8th 2019.
Che si tratti delle donne afroamericane del ghetto di Harlem, dell’iconica Marylin Monroe, di Marlene Dietrich o delle donne nell’Afghanistan del 1969, poco cambia. L’intensità e la potenza espressiva degli scatti di Eve Arnold raggiungono sempre livelli di straordinarietà. La fotografa americana ha sempre messo la sua sensibilità femminile al servizio di un mestiere troppo a lungo precluso alle donne e al quale ha saputo dare un valore aggiunto del tutto personale.
A questa intensa interprete dell’arte della fotografia, la Casa-Museo Villa Bassi, nel cuore di Abano Terme, dedica un’a ampia retrospettiva, interamente centrata sui suoi celebri ed originali ritratti femminili. Quella proposta in Villa Bassi dal Comune di Abano Terme e da Suasez, con la curatela di Marco Minuz, è la prima retrospettiva italiana su questo tema dedicata alla grande fotografa statunitense.
Eve Arnold, nata Cohen, figlia di un rabbino emigrato dalla Russia in America, contende ad Inge Morath il primato di prima fotografa donna ad essere entrata a far parte della Magnum. Furono infatti loro due le prime fotografe ad essere ammesse a pieno titolo nell’agenzia parigina fondata da Robert Capa nel 1947. Un’agenzia prima di loro, riservata a solo grandi fotografi uomini come Henri Cartier Bresson o Werner Bischof.
Ed è un caso fortunato che le due prime donne di Magnum siano protagoniste di altrettante retrospettive parallele in Italia entrambe promosse per iniziativa di Suazes: la Morath a Treviso, in Casa dei Carraresi, e ora la Arnold ad Abano Terme in questa mostra.
A chiamare Eve Arnold In Magnum fu, nel 1951, Henri Cartier -Bresson, colpito dagli scatti newyorkesi della fotografa. Erano le immagini di sfilate nel quartiere afroamericano di Harlem, a New York. Quelle stesse immagini rifiutate in America per essere troppo “scandalose”, vennero pubblicate dalla rivista inglese Picture Post.
Nel 1952 insieme alla famiglia Eve Arnold si trasferisce a Long Island, dove realizza uno dei reportage più toccanti della sua carriera: “A baby’s first five minutes”, raccontando i primi cinque minuti di vita dei piccoli nati al Mother Hospital di Port Jefferson. Nel 1956 si reca con un amica psicologa ad Haiti per documentare i segreti delle pratiche Woodoo.
Chiamata a sostituire il fotografo Ernst Haas per un reportage su Marlene Dietrich, inizia la frequentazione con le celebreties di Hollywood e con lo star system americano. Nel 1950 l’incontro con Marylin Monroe, inizio di un profondo sodalizio che fu interrotto solo dalla morte dell’attrice. Per il suo obiettivo Joan Crawford svela i segreti della sua magica bellezza. Nel 1960 documenta le riprese del celebre film ”The Misfits”, “Gli spostati”, con Marylin Monroe e Clark Gable, alla regia John Houston e alla sceneggiatura il marito dell’epoca di Marylin Arthur Miller.
Trasferitasi a Londra nel 1962, Eve Arnold continua a lavorare con e per le stelle del cinema, ma si dedica anche ai reportage di viaggio: in molti Paesi del Medio ed Estremo Oriente tra cui Afghanistan, Cina e Mongolia.
Fra il 1969 e il 1971 realizza il progetto “Dietro al velo”, che diventa anche un documentario, testimonianza della condizione della donna in Medio Oriente.
«Paradossalmente penso che il fotografo debba essere un dilettante nel cuore, qualcuno che ama il mestiere. Deve avere una costituzione sana, uno stomaco forte, una volontà distinta, riflessi pronti e un senso di avventura. Ed essere pronto a correre dei rischi.» Così Eve Arnold definisce la figura del fotografo. Benché il suo lavoro sia testimonianza di una lotta per uscire dalla definizione limitante di “fotografa donna”, la sua fortuna fu proprio quella capacità di farsi interprete della femminilità, come “donna fra le donne”.
17 Maggio 2019 – 08 Dicembre 2019 – Abano Terme (Pd), Casa Museo Villa Bassi
MAGNUM’S FIRST. LA PRIMA MOSTRA DI MAGNUM
La mostra Gesicht der Zeit (Il volto del tempo) venne presentata tra il giugno 1955 e il febbraio 1956 in cinque città austriache ed è la prima mostra indipendente organizzata dal gruppo Magnum. Se ne era persa completamente la memoria sino al 2006, quando nella cantina dell’Istituto Francese di Innsbruck vennero ritrovate due vecchie casse, contenenti i pannelli colorati della mostra su cui erano montate ottantatre fotografie in bianco e nero di alcuni fotografi della Magnum, insieme al testo di presentazione, ai cartellini con i nomi dei fotografi, alla locandina originale e alle istruzioni dattiloscritte per il montaggio della mostra stessa. I responsabili di Magnum Photos, prontamente avvisati del ritrovamento, si sono immediatamente resi conto dell’eccezionalità della scoperta. Si trattava di una rassegna collettiva ordinata e omogenea di otto tra i più grandi maestri del fotogiornalismo. Gli autori delle foto erano tra i più celebri fotoreporter dell’agenzia: Robert Capa, Marc Riboud, Werner Bischof, Henri Cartier-Bresson, Erns Haas, Erich Lessing, Jean Marquis e Inge Morath. Gli scatti fotografici sono stati sottoposti ad un intervento di pulitura e tutti i materiali originali sono stati restaurati. Dopo oltre cinquant’anni la prima mostra Magnum è tornata così visibile al pubblico ed è stato possibile ricostruirne la storia.
Probabilmente la mostra fu organizzata dopo che il gruppo Magnum, nel maggio 1955, aveva preso parte alla Biennale Photo Cinéma Optique al Grand Palais a Parigi, che aveva suscitato un notevole gradimento. Dopo quel primo successo, l’agenzia decise di collaborare con l’Università di Parigi per organizzare una mostra indipendente. Nacque forse così l’idea di Gesichte der Zeit (Il volto del tempo). La mostra divenne itinerante: dopo la prima tappa tenutasi all’Istituto Francese di Innsbruck si è spostata a Vienna, a Bregenz e poi a Graz. Tappa finale è stata probabilmente la Neue Galerie a Linz. Da qui le foto della mostra sono state restituite a Innsbruck nel febbraio del 1956, forse in vista di una tappa ulteriore, ma li sono rimaste sino al ritrovamento nel 2006.
Insieme all’esposizione di Werner Bischof presso la Galleria St. Annahof di Zurigo del 1953 e a quella dei fotografi Magnum alla fiera Photokina di Colonia del 1956, delle quali nulla è rimasto, la mostra Gesichte der Zeit (Il volto del tempo) è la prova che, sin dall’inizio, la Magnum era diversa dalle altre agenzie fotografiche. Con il fitto programma di mostre ed eventi, la Magnum mostrò infatti chiaro l’intento di difendere sia il valore della foto come documento sia il valore artistico degli scatti dei fotografi dell’agenzia.
Dal ritrovamento del 2006 la rassegna, con il titolo Magnum’s First, è stata allestita in diverse città europee, e viene anche oggi riproposta qui nel suo allestimento originario.
L’esposizione è realizzata in collaborazione con Magnum Photos, col patrocinio del Comune di Milano e il sostegno di Rinascente.
Una mostra che risveglia le coscienze e fa riflettere: questo è il proposito di 13 storie dalla strada. Fotografi senza fissa dimora, visitabile dal 28 maggio fino al 1 settembre alle Gallerie d’Italia di Milano.
Un viaggio dalla periferia al cuore della città
Tutto nasce dai workshop di fotografia per senzatetto organizzati dalla onlus Ri-scatti in collaborazione con Fondazione Cariplo: tra di loro c’era chi teneva in mano la macchina fotografica per la prima volta e chi, dopo tanto tempo, ritornava a usarla, ne ritrovava i segreti e la potenza espressiva.
Il passo successivo è stato chiedere ai fotografi che avevano partecipato ai workshop di documentare la realtà di Fondazione Cariplo – un patrimonio di persone e di progetti in continua evoluzione – e di affidare a loro il racconto della propria identità.
Puoi vederne i risultati nel nostro museo di Milano: 52 immagini inedite scelte tra i 9.800 scatti che i 13 autori hanno realizzato nel corso di un anno, fotografando 13 progetti scelti fra i 1.500 che Fondazione Cariplo porta avanti ogni anno (la comunità allegra di un orto urbano, il volo di un acrobata, un appartamento dove vivono ragazzi disabili, il volto di una scienziata).
Qualcuno dei fotografi senza fissa dimora è arrivato fino alla fine di questo percorso, qualcuno si è perso per strada, lasciandoci solo le sue immagini: è stato un percorso emozionante che ha incrociato fragilità e speranze, paure e orizzonti.
Una prospettiva che ha unito l’atto del raccontare a quello del raccontarsi: oltre alle immagini saranno proiettate nella mostra le video-interviste ai fotografi. Una testimonianza che illumina le vite di persone che ogni giorno attraversano l’anima periferica, fragile, marginale di Milano. Vincendo la loro ritrosia, i 13 protagonisti hanno accettato di svelare chi sono, dove trascorrono la giornata, dove mangiano, come si lavano, chi hanno perso per strada, quali luoghi chiamano casa, che cosa desiderano e che cosa hanno ritrovato osservando il mondo con la macchina fotografica.
Dal 28 maggio fino al 1 settembre 2019 – Gallerie d’Italia – Milano
Il 14 giugno 2019 alle h19:00 il fotografo Magnum Photos
Chris Steele-Perkins presenta a Magazzini Fotografici il suo progetto _JAPAN_
Una mostra a cura di Laura Noble, direttrice della L A Noble Gallery.
Il forte legame che il fotografo Chris Steele-Perkins ha
con il Giappone è nato molti anni fa e si è consolidato con le sue 48 visite al
paese. In questi suoi numerosi viaggi si sono susseguite esperienze ed avvenimenti
di varia natura, tra cui il tragico tsunami del Tōhoku del 2011.
Il Giappone è un luogo di contraddizione, molto legato
alle antiche tradizioni ma allo stesso tempo artefice costante di nuove
tendenze, che vanno dalla moda alla tecnologia, adottate da tutto il paese con
un entusiasmo sfrenato.
Per noi occidentali le usanze giapponesi risultano essere
completamente estranee al nostro modo di vivere e di conseguenza assumono un
fascino particolare.
Le città e le comunità rurali regalano al paese atmosfere
e ambienti completamente diversi tra loro. Le luci al neon sempre accese di
Tokyo sono vivaci e sorprendenti ma nel frastuono della città, la silenziosa
maestà del Monte Fuji appare sempre presente, immobile e senza tempo.
Steele-Perkins, con il suo progetto Japan, celebra questa
deliziosa combinazione di bello e bizzarro e racconta i molti strati di una
cultura ricca di tradizione e nuove tendenze.
Abitudini, sport, modi di vestire diversi si alternano tra la radicata cultura conservatrice e il moderno culto della stravaganza. Questo strano e particolare equilibrio ci permette di godere della peculiare natura di una nazione molto diversa dall’Occidente e della sua immensa ricchezza culturale.
Dal 14 giugno al 13 luglio – Magazzini Fotografici – Napoli
A partire dal 2004 più di 3.500 casi di abusi su minori commessi da preti e membri della Chiesa sono stati riportati al Vaticano. Nel 2014 un report delle Nazioni Unite ha accusato il Vaticano di adottare sistematicamente azioni che hanno permesso a preti e membri della Chiesa di abusare e molestare migliaia di bambini in tutto il mondo.
Centinaia di casi sono stati registrati, e continuano ad essere registrati, in Italia, dove l’influenza del Vaticano è più forte che altrove, e pervade vari livelli della società.
Spesso gli abusi cadono nel silenzio, i casi vengono nascosti, le vittime hanno paura di far sentire la loro voce. Hanno paura della reazione delle persone, dei loro cari, dei loro amici, delle comunità nelle quali vivono. Le vittime sono barricate in un silenzio agonizzante, non vogliono far sapere nulla delle violenze subite.
Costrette a vivere con un peso che si porteranno dietro tutta la vita, incapaci di dimenticare il passato.
Le ferite sono profonde, le memorie pesanti, i silenzi assordanti.
“Confiteor (Io Confesso)” è un viaggio di due anni in queste memorie, in queste ferite, in questi silenzi.
Dal 24 maggio al 14 giugno – Officine Fotografiche Roma
Mussolinia or how Sicilians cheated Fascism – Filippo M. Nicoletti
How Sicilians cheated Fascism «Mussolinia non esistiva. O meglio, esistiva ma in fotografia» (Andrea Camilleri, Privo di Titolo).
Mussolinia è il progetto di una città che doveva nascere nei pressi di Caltagirone, ma che non venne mai realizzata se non tramite fotomontaggio per ingannare il Duce. Photo book e mostra di Filippo M. Nicoletti, a cura di Laura Davì.
Inauguriamo la mostra MUSSOLINIA or How Sicilians cheated Fascism e celebriamo la Festa della Repubblica italiana con un confronto fra giovani generazioni su immagini e parole. Filippo M. Nicoletti, con un lavoro molto attuale, rimette in discussione il concetto di fake news in relazione a un passato collettivo recente. L’inaugurazione di Mussolinia è fissata per domenica 2 giugno dalle 11.30 alle 13.00, quando è previsto un confronto tra giovani generazioni su un passato che non passa, sulle fake news e sul ruolo delle immagini piegate a usi utilitaristici secondo convenienza; dialogano con l’autore Filippo M. Nicoletti, Irene Guandalini, curatrice indipendente esperta di fotografia e immaginari contemporanei, e Simone Pisano di Lapsus – Laboratorio di analisi storica del mondo contemporaneo. Modera la curatrice Laura Davì.
dal 3 al 9 giugno – SGallery – Milano
ZAKHEM | FERITE | WOUNDS. LA GUERRA A CASA | WHEN WAR COMES HOME
In occasione del suo venticinquesimo compleanno, EMERGENCY organizza ‘Zakhem|Ferite|Wounds. La guerra a casa|When war comes home’, una mostra fotografica di Giulio Piscitelli, realizzata da EMERGENCY con il supporto di Contrasto.
Piscitelli (Napoli, 1981), che ha visitato i nostri Centri chirurgici per vittime di guerra a Kabul e Lashkar-gah, ha dato a quelle vittime un volto e un nome, ha scoperto le loro storie. Storie che parlano di una violenza che irrompe nella vita quotidiana, senza preavviso. Storie che mostrano la ferita – zakhem, si dice in dari – provocata dalla guerra.
Le ferite fisiche causate dai proiettili e dalle schegge sono al centro del racconto fotografico, ma si vedono anche le ferite più profonde, quelle psicologiche. I dittici diGiulio Piscitelli mostrano la forza del popolo afgano e trasportano i soggetti in un mondo quasi irreale, illuminato, in una fissità senza tempo né spazio, nella verità della guerra di sempre e ovunque. Il suo lavoro ha reso queste ferite comprensibili, semplici, potenti ed eloquenti.
La mostra sarà inaugurata mercoledì 15 maggio alle ore 19.00, con una conversazione tra Giulio Piscitelli, fotografo, Gino Strada, fondatore di Emergency, Rossella Miccio, Presidente di Emergency e Giulia Tonari, curatrice della mostra e direttrice Contrasto. L’evento sarà moderato da Fabrizio Foschini, analista Afghanistan Analyst Network.
Dal 16 maggio al 9 giugno – Casa Emergency – Milano
Nella Project Room di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, verrà inaugurata giovedì 30 maggio, alle ore 18.00, la mostra personale di Irene Kung (Berna, 1958) intitolata Monumenti, curata dal direttore dell’istituto torinese, Walter Guadagnini.
A partire dalla giustapposizione di immagini appartenenti a due serie fotografiche precedenti, Le città invisibili (2012) e Trees (2014), Kung compie una selezione visiva che ricompone un’indagine al tempo stesso introspettiva e sociale sul paesaggio, sia esso urbano, archeologico o naturale. Tali elementi sono per l’autrice svizzera come fondamenti puri della visione che, spogliati dal disturbo visivo generato dalle forme di progresso e dall’incuria umana, si presentano allo spettatore come ritratti aulici che emergono dall’oscurità. Nelle diciotto opere di grande formato esposte in questa occasione, alberi, antiche rovine e architetture contemporanee assumono un carattere salvifico, diventano monumenti contemporanei che – grazie al potere dell’estetica e alla forza dell’immagine – annullano il tempo e ordinano il caos con la loro armonia costruttiva.
Formatasi in ambito pittorico, Kung ha adottato la fotografia come medium privilegiato della propria produzione artistica da circa un decennio, sfruttando la sua formazione non solo per impreziosire la componente lirica ed emotiva della sua ricerca artistica, ma anche quella gestuale ed istintiva. L’essenzialità delle inquadrature e la capacità di far emergere i suoi soggetti dall’oscurità, infatti, esprimono una vicinanza stilistica e concettuale al Rinascimento pittorico italiano: i suoi lavori evidenziano il desiderio razionale di individuare nuove strade possibili per un futuro sostenibile e la rinnovata attenzione all’equilibrio tra umano e naturale. Allo stesso tempo le composizioni di Kung evidenziano per contrasto l’ambiguità dell’urbanizzazione e della negligenza umana, facendo emergere dalla bellezza una sottile inquietudine. Descrivere la sofferenza attraverso una rappresentazione raffinata e onirica è – dichiara la Kung – un tentativo di generare un nuovo significato a partire dalle percezioni di un’esperienza emotiva, è un’astrazione che mi conduce dalle zone più in ombra alla dimensione meditativa, fino agli spazi inconsci dell’anima.
30 maggio – 28 luglio 2019 – CAMERA Centro Italiano per la Fotografia – Torino
Inaugura
martedì 7 maggio 2019 alle 18.30 la mostra di Massimo Sestini “L’aria del
tempo” presso Forma Meravigli a Milano. In contemporanea sarà presentato
il libro a cui la mostra si ispira, edito da Contrasto. L’esposizione, a cura
di Alessandra Mauro, resterà aperta fino al 4 agosto.
Come
fotogiornalista tra i più importanti e apprezzati del nostro paese, Massimo
Sestini è in grado di realizzare sensazionali scoop da prima pagina. In tanti
anni di lavoro Sestini ha puntato molte volte l’obiettivo sulla nostra penisola
e, col tempo, ha realizzato un preciso e appassionato itinerario alla scoperta
del nostro paese. A Forma Meravigli saranno esposte circa 40 fotografie
di grande e medio formato, che l’autore ha realizzato immortalando l’Italia in
modo inusuale e accattivante. Dall’alto.
Fatti
di cronaca, bellezze naturali, drammi, avvenimenti politici, tragedie e momenti
di svago: è riuscito a raccontare tutto con la sua macchina fotografica e tutto
con un punto di vista nuovo e diverso.
Le
immagini in mostra, alcune di grande formato, permettono di vivere e di sentire
le visioni aeree ed eteree dei luoghi che l’autore ci propone. Sempre alla
ricerca della “foto diversa”, nel corso degli anni Sestini ha perfezionato il
suo metodo fino alla ripresa perpendicolare che gli permette di ottenere un
impatto dimensionale amplificato. Con la visione zenitale il fotografo gioca
nel capovolgere le nostre percezioni visive, fa navigare la Concordia
spiaggiata, ribalta cielo e terra inseguendo un Eurofighter, osa nelle
proiezioni delle ombre animate.
Dall’alto
di un elicottero o di un aereo, attraverso la visione completa di un fatto di
cronaca (il barcone dei migranti fotografato dal cielo: un’immagine che ha
fatto storia e ha vinto numerosi premi come il prestigioso World Press Photo, o
ancora l’affondamento della Costa Concordia all’isola del Giglio), di una
consuetudine (il ferragosto sulla spiaggia di Ostia), di un dramma naturale (il
terremoto del Centro-Italia), di avvenimenti storici e culturali (dalla strage
di Capaci al funerale del Papa), nelle immagini di Sestini l’Italia svela in un
modo unico le sue bellezze, le sue fragilità, la sua grandiosa complessità.
Nato a Prato nel 1963, Massimo Sestini è considerato tra i migliori fotoreporter italiani. I primi scoop arrivano a metà anni Ottanta, da Licio Gelli ripreso a Ginevra mentre è portato in carcere, all’attentato al Rapido 904 nella galleria di San Benedetto Val di Sambro. Sarà il solo a riprendere il primo, clamoroso, bikini di Lady D; ma sarà anche testimone della tragedia della Moby Prince, e autore delle foto dall’alto degli attentati a Falcone e a Borsellino. Nel 2014 è testimone delle operazioni di salvataggio “Mare Nostrum”, al largo delle coste libiche. Dopo dodici giorni di tempesta, riesce a riprendere dall’elicottero un barcone di migranti tratto in salvo. La foto vince il WPP nel 2015, nella sezione General News.
Dall’8 maggio al 4 agosto – Forma Meravigli – Milano
Dal 10 maggio al 27 luglio 2019, 29 ARTS IN PROGRESS gallery di Milano (Via San Vittore 13) presenta in prima assoluta la più vasta retrospettiva sulla fotografia istantanea di Gian Paolo Barbieri intitolata “Polaroids and more”, a pochi mesi dal premio ricevuto ai Lucie Awards 2018 di New York come miglior Fotografo di Moda Internazionale.
La mostra, curata da Giovanni Pelloso, riunisce una selezione di oltre 120 Polaroid inedite e traccia per la prima volta l’uso della fotografia istantanea di Gian Paolo Barbieri negli ultimi trent’anni; un percorso articolato che abbraccia i ritratti e gli studi di figura, la moda e i suoi protagonisti, svelandone i segreti e i retroscena. Per quanto aderente alla realtà possa essere, la fotografia di moda per Barbieri è scenario, spettacolo, teatro, bellezza, metafora e realtà. Al centro di questa scena, animata spesso da una ludica e irriverente ironia, c’è la donna. Non mitizzata, la sua immagine rispecchia la profonda convinzione dell’autore che il mistero dell’universo femminile non debba mai essere completamente rivelato. In questo atteggiamento vi sono il rispetto e l’ammirazione per l’eterna e, nello stesso tempo, mutevole bellezza, ma anche la consapevolezza della ricchezza della sua personalità e delle sue innumerevoli metamorfosi. Le immagini risultano fantastiche e magiche, oniriche e ludiche, ironiche e teatrali. Sono istantanee seducenti. La superficie bidimensionale della stampa fotografica diventa, grazie alla sensibilità del fotografo milanese, un “oggetto di fascino”, uno stimolante invito all’immaginazione e alla fantasia, un territorio che cattura lo sguardo e che richiama il lettore a decifrarne i misteri.
Le Polaroid di Gian Paolo Barbieri non solo raccontano il making of della fotografia di moda per le più grandi maison di sempre, ma lasciano trasparire sguardi intimistici rivolti a soggetti diversi, dalla più iconica top model all’autoctono polinesiano. Un secondo corpo di opere è dedicato, infatti, agli indigeni colti nel loro habitat naturale, a nudi audaci concepiti spesso come lavori preparatori, e ai fiori, grande passione dell’artista.
Molte di queste piccole icone trasferiscono tenerezza e vulnerabilità, altre, durezza e immediatezza. A differenza delle immagini rigorosamente ideate e concepite in studio e per le quali Barbieri è diventato famoso nel mondo, queste disarmanti fotografie sono contrassegnate dalla spontaneità e dall’invenzione, offrendo nell’insieme un’inedita visione della sua straordinaria carriera.
Un’altra anteprima assoluta in mostra sarà una selezione di nuovi lavoriispirati all’opera di William Shakespeare, a cui Barbieri lavora da circa tre anni, nel quarto centenario della sua scomparsa: «Come mi è sempre piaciuto fare – ricorda l’autore – attingo dal passato per guardare al futuro».
Dal 10 maggio al 27 luglio 2019 – 29 ARTS IN PROGRESS gallery – Milano
Luigi Ghirri ci ricorda che il non vedere nitidamente crea una incertezza e distrugge ogni presunzione dello sguardo. Un vetro, una superficie opaca trasparente, un velo, le ombre chiuse, offrono anche la possibilità di non vedere, ed è grazie a questo diaframma che l’occhio può ritrovare quella veggenza negata dall’eccesso di visibilità. Uno schermo trasparente che separa creando dubbi così come i volti nascosti nella oscurità delle ombre, possono restituire senso alle immagini con il vantaggio di alludere ed illudere lasciando immaginare. Le fotografie esposte portano con sé tale ricerca. L’intento è quello di far soffermare l’osservatore sul mistero e sul fascino ambiguo che le immagini trasmettono già al primo sguardo, suggerendo, attraverso una stratificazione visuale, una sorte di incanto.
J’AI PLUS DE SOUVENIRS QUE SI J’AVAIS MILLE ANS – Pietro Baroni
La Mostra Fotografica “J’AI PLUS DE SOUVENIRS QUE SI J’AVAIS MILLE ANS” di Pietro Baroni, dopo essere stata a New York, Firenze e Bologna, viene presentata da Leica Camera Italia per la prima volta anche a Roma.
Emozioni, pensieri e desideri nascosti di persone comuni messe a nudo davanti all’obiettivo.
“Ho dentro più ricordi che se avessi mille anni” scrisse Baudelaire né “I Fiori del Male”. Il titolo della mostra vuole indicare che nella vita si provano emozioni così intense, che ci sembra di aver vissuto più della nostra vera età.
Grazie a questa ispirazione, Baroni è riuscito a far emergere i pensieri inconfessabili, le paure e le insicurezze più profonde che ci portiamo dentro tutti i giorni, senza rendercene conto. Tutti abbiamo paure e insicurezze che non abbiamo voglia che gli altri vedano. O che ci piacerebbe possano vedere per poter essere aiutati. Sono così profondamente intime che non sono visibili al mondo esterno. Ma ce le portiamo dietro tutti i giorni, addosso, sulla pelle.
Con questo lavoro Pietro Baroni ha reso leggibile ciò che ci è tatuato addosso ma che solitamente non viene visto. Ha chiesto alle persone che ha ritratto di entrare in empatia con queste paure, insicurezze e pensieri per catturarli in un instante.
Con questo lavoro Baroni ha vinto numerosi premi e menzioni internazionali tra cui si segnalano IPOTY – International Photographer of the Year, PX3 Prix de la Photographie Paris, Black&White International Award Rome, MonoVision Photography Awards. Lens Culture lo ha eletto nel 2017 come Emerging Photographer of the Year premiando questo progetto.
Dal 5 giugno al 7 luglio – Leica Store Roma
London Street Photography
In esposizione una collezione di immagini, inedite in Italia, opera di giovani street photographer internazionali selezionati nel 2018 nell’ambito dell’importante rassegna londinese. In collaborazione con Camera Work London. La mostra resterà aperta fino al 19 giugno e sarà visitabile durante gli eventi del calendario di Spazio Lomellini 17, il mercoledì alle ore 18 su prenotazione a lasettimanale@gmail.com e per gruppi di almeno 10 persone in orario da definirsi su prenotazione a lasettimanale@gmail.com
Dal 30 maggio al 19 giugno 2019 – Spazio Lomellini 17, Genova
C’è chi vede il notturno nella cometa di Giotto, o chi ne la Liberazione di San Pietro di Raffaello, oppure chi quasi in tutta l’opera di Tintoretto, o anche nei Due uomini che contemplano la luna di David Caspar Friedrich o poeticamente in Alla Luna di Giacomo Leopardi, quando non nella cromia blu dorata di Whistler, oppure chi nelle stelle solari di Van Gogh, o nelle opere dei futuristi Balla e Boccioni. Potremmo andare ancora avanti e indietro dall’alba al tramonto e da lì nella notte di nuovo verso l’alba nello stendere la lista delle opere d’arte che hanno come soggetto o ambientazione la notte dall’alba dell’umanità a oggi. Certamente la notte è stata molto corteggiata dai romantici, epoca in cui nasce il notturno (nocturne en français), come opera per prima musicale, una forma di musica libera, dolce e moderata che si riallacciava alla serenata: Chopin ne scrisse 21, Beetohoven ci allieta con la sonata Chiaro di luna, anche Satie e Debussy non si sottrassero all’impresa. Ma anche la letteratura non si è fatta mancare la notte e il notturno come Theodor Amadeus Hoffmann oppure ancora Leopardi con il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia e, per chi non lo sa, l’invito della presente mostra Notturno Più è mutuato dalla prima copertina del libro Notturno una raccolta di pizzini intimistici scritti a mano con gli occhi bendati a causa di ferite dal Vate Gabriele D’Annunzio. È in questa grafica evocativa che abbiamo inscritto informazioni e nomi degli artisti della mostra Notturno Più. Sono sulle cui opere poter tornare con l’immaginazione e il ricordo nella notte, in quello spazio tempo di confine in cui l’immaginazione si allarga confidenzialmente con le poetiche di Mario Airò, Atelier Biagetti, Laura Baldassari, Bertozzi & Casoni, Michel Courtemanche, Meriella Bettineschi, Tommaso Binga, Stefano Cerio, CTRL ZAK, Eteri Chkadua, Jan Fabre, Patrick Jacobs, Ugo La Pietra, Lorenzo Marini, Maria Teresa Meloni, Alessandro Mendini, Aldo Mondino, Francesca Montinaro. Fabio Novembre, Maurizio Orrico, OVO, Paola Pivi, Sarah Revoltella, Jonathan Rider, Andrea Salvatori, Denis Santachiara, Federico Solmi, Giuseppe Stampone, Patrick Tuttofuoco, Vedovamazzei, Alice Visentin.
Ma il nostro non è solo notturno è Notturno Più, in quanto la notte e il notturno sono intesi anche nella forma del Blues e del Jazz; non soltanto perché musica dell’anima, ma per la possibilità di jam session che offre soprattutto la seconda. Dunque, si tratta di una mostra che è di forma libera e dolcemente moderata, intesa come uno spartito musicale e allestita in modalità di scrittura di scena come amava dire Carmelo Bene. Una scrittura – mostra in cui ogni artista entra ed è mostrato con la sua e per la sua opera differente e diversa per componimento di una visione collettivamente diversificata con le proprie poetiche uniche e complesse come quelle originarie di Mario Airò, del lusso ospitale dell’Atelier Biagetti, o i ritratti dalla fisiognomica nascosta della pittura lisergica di Laura Baldassari, il realismo ceramico di Bertozzi & Casoni, l’abilità plastica di Michel Courtemanche, il doppio sguardo femminile di Mariella Bettineschi, l’alfabeto femminista di Tomaso Binga, i non luoghi fotografici di Stefano Cerio, il progetto rovesciato di CTRL ZAK, la pittura testimonianza dei miti e della quotidianità della Georgia di Eteri Chkadua, la malinconica metamorfica ora blu di Jan Fabre, i minuziosi e silenti diorami lillipuziani di Patrick Jacobs, le critiche riflessioni architettoniche paesaggistiche di Ugo La Pietra, gli alfabeti cromaticamente e futuristicamente mobili di Lorenzo Marini, i dettagliati e studiati all’antica ritratti fotografici di Maria Teresa Meloni, i segni-decoro astratto-futuristi di Alessandro Mendini, le illuminanti ironiche sculture di Aldo Mondino, le piante in vaso che nascondono sculture di ambienti migranti di Francesca Montinaro. La progettualità tirata verso l’inutile di Fabio Novembre, i dipinti astratto-informali di Maurizio Orrico, il progetto precariamente cartonato di OVO, l’energia espansivamente segnica di Paola Pivi, i ritratti scultorei delle famiglie polarizzate di Sarah Revoltella, le discrete e quasi invisibili sculture ambientali di Jonathan Rider, i vasi cosmici di Andrea Salvatori, il progetto animato-figurato di Denis Santachiara, le esuberanti, chiassose e ironiche opere di Federico Solmi, i disegni responsabilmente etici di Giuseppe Stampone, la rilettura dei codici visivi quotidiani alla luce della multidisciplinarità di Patrick Tuttofuoco, gli ironici e strafottenti paesaggi di Vedovamazzei, le pitture giocosamente sciamaniche di Alice Visentin.
Con queste diversità di trentuno artisti la mostra è una coralità espressiva di poetiche, tecniche, materiali che formano quel Notturno Più, dove quel più che non è più solo quello della notte, ma del giorno e della notte insieme che, come la nostra vita, non possono essere più solo solitari, anche perché questo è un group show, una pratica espositiva in cui bisogna essere almeno in due, l’uno e l’altro, per dirsi tale, iniziando quella comunità dell’arte che qui conta 31 altri, 31 artisti dalle innumerevoli opere a noi, come a loro, necessarie sia di giorno che di notte da trovare nel Notturno Più.
8 Maggio-15 Giugno 2019 – THE POOL NYC a PALAZZO CESARI MARCHESI – Venezia
Inaugura martedì 4 giugno 2019 alla Galleria Anna Maria Consadori la mostra “Milano – Arte Pubblica” inserita all’interno della terza edizione di Milano Photo Week, la rassegna interamente dedicata alla fotografia che coinvolgerà tutta la città.
Coerentemente all’indirizzo artistico della galleria, che promuove l’arte e il design del XX secolo, l’esposizione presenta il lavoro di Matteo Cirenei, fotografo di architettura e paesaggio urbano, che negli ultimi quattro anni si è dedicato a un progetto che indaga la costituzione dell’immaginario culturale rispetto a ciò che è “spazio pubblico”, e cos’è “arte pubblica”.
L’ambito in cui sono collocate le opere è parte della città, per questo motivo Il progetto vuole porre in risalto il dialogo con l’ambiente che le circonda: le opere d’arte infatti aggiungono qualità visiva a un ambiente costruito, e un’attenta strategia di progettazione urbana promuove un più alto livello di integrazione tra arte, architettura e paesaggio. Milano negli ultimi anni sta riqualificando molto il proprio tessuto urbano, migliorando notevolmente gli spazi pubblici promuovendo la mobilità alternativa e come conseguenza valorizzando le aree verdi e quelle pedonali.
dal 4 al 8 giugno 2019 – Galleria Anna Maria Consadori – Milano
Giovane artista tra le più interessanti del panorama italiano, Alessandra Calò porta alla galleria Artesì una mostra in cui i suoi tre progetti più recenti si ricollegano uno all’altro in un unico racconto intorno alla ricerca dell’identità e al recupero delle memorie del passato.
Parlare di fotografia per definire il lavoro di Alessandra Calò è sempre un po’ riduttivo, perché se dalla fotografia parte, il risultato va molto oltre, attingendo agli ambiti della scultura e dell’installazione. Come accade nel progetto Secret garden, presentato al pubblico come un paesaggio di scatole nere illuminate: una serie di lightbox dedicati a figure femminili del passato. Per la realizzazione, l’artista parte da lastre negative originali, recuperate nei mercatini, raffiguranti donne, bambine e ragazze. Persone sconosciute e consegnate all’oblio a cui Alessandra decide di restituire una storia anche grazie alla collaborazione di poetesse e scrittrici che dedicano a ogni figura un breve scritto. L’abbinamento con l’elemento vegetale (da cui l’ispirazione per il titolo), posto all’interno dei lightbox e visibile solo in trasparenza, dona nuove letture all’immagine, spezzando la continuità della visione ed enfatizzando la tridimensionalità di quei piccoli solidi scuri che si trasformano in vere e proprie “scatole nere” delle memorie perdute.
Ancora al passato – e in particolare a due pioniere della fotografia come Constance Talbot e Anna Atkins – fa riferimento il progetto Les inconnues. Qui, però, il percorso dell’artista è a ritroso. Partendo da volti femminili vintage trovati sul web, Alessandra costruisce lei stessa delle lastre in negativo, per poi stamparle su cristallo. L’elemento vegetale torna qui sotto una forma diversa, e duplice. Da un lato, isolato, va a sovrapporsi al viso; dall’altro, enormemente ingrandito, funge da pattern su cui la figura si appoggia, una figura che ingaggia con lo spettatore un suggestivo gioco di sguardi.
Kochan, infine, è il più strettamente fotografico tra i progetti in mostra, e anche il più autobiografico, anche se il viso e il corpo dell’artista – che qui si autoritrae per dettagli – è simbolo di un corpo universale. Ispirato alla dolorosa scoperta del proprio sé più autentico condotta dal protagonista delle Confessioni di una maschera di Yukio Mishima – da cui la serie prende il nome – il progetto vede la sovrapposizione dei frammenti della figura a una serie di vecchie carte topografiche dalla collezione della Public Library di New York. Mappe, però, che l’artista parzialmente cancella, di cui rende incerte le collocazioni e i confini, comunicandoci un senso di incertezza e di spaesamento. (Alessandra Redaelli)
dal 18.05.2019 al 16.06.2019 – Galleria ArteSI – Modena
Le foto di Cig Harvey, per la prima volta in mostra in Italia presso la Galleria del Cembalo dal 30 maggio al 6 luglio, sono visioni reali, istantanee della sua vita nel Maine.
Nonostante i soggetti delle sue foto siano persone e luoghi a lei familiari, gli scatti li ritraggono nel momento in cui risultano quasi irriconoscibili all’artista. È una fotografia che guarda al reale ma crede fermamente ci sia in ‘una luce particolare o nella sfumatura di un tramonto qualcosa di nuovo da scoprire’. In questi scatti predomina la convinzione che il medium fotografico catturi già di per sé una componente magica e inaspettata e che l’uso del colore la restituisca nella realtà – per come la vediamo.
Se il marito Doug, la figlia Scout, i suoi amici, i vicini di casa e la loro vita quotidiana siano i soggetti di questi scatti o tasselli di un puzzle più grande che restituisce un autoritratto della fotografa stessa è una domanda su cui il suo lavoro pone fortemente l’accento.
Per Cig Harvey, l’immagine è una dicotomia tra forma e contenuto che non può essere scissa, e la fotografia non riproduce, ma racconta. La storia è il susseguirsi di persone della comunità a lei cara e del Maine, le sue stagioni e le ombre dei suoi rami, i quadrifogli verdeggianti e le farfalle colorate. C’è una scelta accurata e meditata di ciò che viene posto davanti l’obiettivo ma Cig Harvey lavora nell’immediatezza di quello che accade, con la consapevolezza che tutto può accadere.
L’atto del fotografare è sentito ed irripetibile, un espediente che l’artista utilizza, quasi in modo catartico, per bilanciare ciò che accade nella sua vita. Ecco il motivo per cui questi lavori, realizzati in momenti di serenità, possono risultare a tratti drammatici, come l’immagine che ritrae una donna con un cappotto rosso in un piccolo giaciglio in una distesa di neve bianchissima oppure lo sguardo compassionevole di Scout di fronte al cormorano senza vita.
I lavori presenti appartengono a progetti differenti, tra cui You Look At Me Like An Emergency (2012), Gardening at Night (2015), You an Orchestra You a Bomb (2017) e quello più recente, ancora in corso, Pink is a Touch. Red is a Stare.
dal 30 maggio al 6 luglio – Galleria del Cembalo – Roma
“Tempo e Sospensione” è il titolo della mostra che vede sei artisti presentare una decina circa di lavori ciascuno tra pittura e fotografia in un serrato dialogo e confronto tra loro e lo spazio che li ospita. La mostra inaugura il 12 giugno e si conclude il 15 ottobre 2019 presso Annunciata galleria d’arte che, presente dal 1939 sul territorio milanese e non solo, (Milano è stata infatti un centro propulsivo di idee progettiste e artistiche e luogo privilegiato di scambi culturali fecondi a livello internazionale, oggi nuovamente in ripresa) racconta da allora il pensiero dell’arte ad opera di maestri di culture diverse, tenuti insieme dallo stesso periodo storico, quello del XX secolo. Ciò che caratterizza la migliore arte del XX secolo è essenzialmente la necessità di riflettere su se stessa e di fondare l’elaborazione dell’oggetto artistico su basi intellegibili: l’oggetto richiede allo spettatore di partecipare con la sua sensibilità, con il suo personale pensiero al gioco dell’arte e per ottenere questo risultato deve mostrare agli altri com’è fatto. Avanguardie che come tali si sono fatte tradizione, per lasciare posto a nuove leve, ad altre posizioni, capaci di consolidare il risultato ottenuto e di perpetuare quello stato di eccitazione innovatrice. La storia dell’Annunciata dunque, portavoce di un Tempo senza tempo, di una memoria continua, di uno stato di eterna Sospensione creativa, chiama a sé sei artisti emergenti che con la loro personale visione e cifra linguistica
raccontano del loro intimo sguardo sul nostro tempo, il XXI secolo. Ciascuno
esprime un interesse sincero verso quegli aspetti della condizione umana che
possiedono validità universale, contribuendo a stabilire in certa misura un
continuum con ciò che è stato nella storia dell’arte ed ognuno dando al
linguaggio un proprio peso ed incidenza. Tra loro c’è chi si sofferma
maggiormente sulla ricerca di un linguaggio inedito e fortemente personale
(Elena Santoro; Luisa Pineri), raccontando quindi più di sé, del proprio mondo
interiore, altri che, mettendo meno in risalto la questione del linguaggio, si
orientano a rivelare dimensioni della realtà che riguardano tutti (Pietro di
Girolamo; Donata Zanotti); altri, infine, che mescolano queste due componenti,
linguaggio audacemente personale e realtà (Francesca Giraudi; Francesca
Meloni). “Il percorso così proposto si apre all’ascolto. Sulla superficie,
nelle forme, è impressa la traccia di un gesto ispirato e capace di
un’istantaneità che pesca nel profondo senza l’obbligo di “dare a vedere”. Alla
memoria si guarda non come forma nostalgica rivolta a un passato da mitizzare,
ma come esperienza e vissuto, come formula, a volte ossessiva, di scoperta di
un sé molteplice. Nessuna forma esclude l’altra, anche quando, in apparenza,
risulta oppositiva. L’unica fedeltà è qui legata a una dimensione di ricerca
mai completamente esaustiva perché mai definitiva”. (G. Pelloso*:
dal testo critico “Fratture surmoderne”)
La fotografia, declinata in sperimentale, d’architettura, narrativa, la pittura informale e la performance, sono legate da un unico filo rosso: la traccia dell’Assente. Assenza di una presenza in una corrente artistica predominante e omologante; assenza di un desiderio di frapporsi fra l’opera ed il pubblico, assenza di frastuono, quanto, invece, desiderio di vivere e donare Sospensione, di un Tempo che ha a che fare con la profondità.
dal 13 Giugno al 15 Ottobre 2019 – Annunciata Galleria d’Arte – Milano Altre info qua
Le montagne del castello – Alberto Battarelli
“Questa mostra è il frutto di numerosi anni di esplorazione e osservazione delle montagne intorno al Castello. Durante le giornate passate a percorrere sentieri e creste per raggiungere valli e cime, la macchina fotografica mi ha sempre accompagnato, permettendomi di interpretare il paesaggio davanti ai miei occhi. Un paesaggio declinato in bianco e nero, per coglierne l’essenza, l’aspetto più intimo ed essenziale. L’attesa del momento e della luce giusta è stata spesso la parte più importante oltre al semplice scatto.
L’intento di questa esposizione è quello di trasmettere le stesse emozioni e gli sguardi vissuti da me nel momento dello scatto”.
L’autore, Alberto Battarelli, è nato e vissuto a Trento ed è molto legato alle zone del Livinallongo: il nonno materno, Giacomo Crepaz, maestro elementare, nato a Larzonei, ha vissuto ad Andraz.
Dal 15 giugno al 21 luglio – Castello di Andraz – Livinallongo del Col di Lana (Belluno)
MUHAMMAD ALI
HOUSTON,TX – NOVEMBER 14,1966: Muhammad Ali celebrates after knocking out Cleveland Williams during the fight at the Astrodome in Houston, Texas. Muhammad Ali won the World Heavyweight Title by a TKO 3. (Photo by: The Ring Magazine/Getty Images)
100 fotografie immortalano la carriera e la vita del “Re del Mondo” a cura di Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi
“Non c’è bisogno di stare in un ring di pugilato per essere un grande combattente.Finché si resterà fedeli a se stessi, si avrà successo nella propria lotta, per quello in cui si crede.”
Napoli rende omaggio a Muhammad Ali, una delle icone sportive più famose e celebrate del XX secolo, con una mostra in programma dal 22 marzo al 16 giugno 2019, al PAN – Palazzo delle Arti Napoli.
La rassegna, promossa dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, organizzata da ViDi – Visit Different, curata da Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi, presenta 100 immagini, provenienti dai più grandi archivi fotografici internazionali quali New York Post Archives, Sygma Photo Archives, The Life Images Collection che colgono Ali in situazioni e momenti fondamentali della sua vita non solo sportiva.
Ogni sala è dedicata a uno dei “doni” che Ali ha offerto a ogni singola persona come un tesoro senza prezzo e senza tempo: doni agli appassionati di boxe, al linguaggio, alla dignità umana, ai compagni di viaggio, ai bambini, al coraggio, alla memoria.
Nelle sale del PAN va in scena un lungo racconto per immagini di una tra le più straordinarie personalità del Novecento; il ritratto a 360° di un uomo che è stato capace di battersi con successo su ring diversi tra loro. Quelli che gli hanno dato per tre volte il titolo mondiale dei pesi massimi, quello della lotta per i diritti civili dei neri americani, quello dell’integrazione, quello della comunicazione.
Dal 22 marzo al 16 giugno – PAN Palazzo delle Arti Napoli
nuove fantastiche mostre vi aspettano ad aprile. Non perdetevele!
Qua trovate tutte le mostre in corso sempre aggiornate
Anna
DAVID LACHAPELLE – Lost & Found
Una grande monografica presenta oltre 100 immagini che ripercorrono, dagli anni novanta a oggi, la carriera di uno dei più importanti e dissacranti fotografi contemporanei.
Per la prima volta al mondo, sarà esposta la serie New World: 18 opere che segnano il ritorno alla figura umana e che ruotano attorno a temi come il paradiso e le rappresentazioni della gioia, della natura, dell’anima.
Casa dei Tre Oci di Venezia si appresta ad accogliere, dal 12 aprile al 10 settembre 2017, l’universo surreale, barocco e pop di David LaChapelle, uno dei più importanti e dissacranti fotografi contemporanei.
L’esposizione, curata da Reiner Opoku e Denis Curti, organizzata da Fondazione di Venezia e Civita Tre Venezie, presenterà oltre 100 immagini che ripercorrono la carriera dell’artista statunitense, dai primi progetti in bianco e nero degli anni novanta fino ai lavori, solo a colori, più recenti, opere divenute in gran parte iconiche e che gli hanno garantito un riconoscimento internazionale da parte di critica e pubblico.
Come grande novità, la rassegna, prima monografica di LaChapelle a Venezia, propone l’anteprima mondiale di New World, una nuova serie realizzata negli ultimi 4 anni. Sono 18 fotografie che segnano il ritorno alla figura umana e che ruotano attorno a temi come il paradiso e le rappresentazioni della gioia, della natura, dell’anima.
Osservando il percorso compiuto da LaChapelle negli ultimi 30 anni, si scopre come la sua fotografia si nutra da una parte del rapporto privilegiato con le riviste e la
pubblicità, dove le icone della moda e dello star system agiscono come materia grezza per l’ispirazione, dall’altra parte della pratica creativa di esprimere la propria visione del mondo per immagini, influenzata senza dubbio dalla generazione di giovani artisti a lui coetanei, formata da Andy Warhol.
“Dalle viscere più profonde del complesso sistema della comunicazione, dell’advertising e dello star system – afferma Denis Curti, LaChapelle inizia a considerare l’”icona” il seme vero di uno stile che si fa ricerca e contenuto; nella Pop Art, trova l’ispirazione per riflettere sull’infinita riproducibilità dell’immagine; nel fashion e nel merchandising l’eccesso di realismo e mercificazione che, appunto, si converte in sogno”.
Il percorso espositivo prende avvio dagli anni novanta, quando Andy Warhol gli offre il suo primo incarico professionale fotografico per la rivista Interview. È in quel periodo che LaChapelle riflette sulle possibilità comunicative e divulgative dell’editoria, incredibilmente legate alla Pop Art.
Le sue fotografie denunciano le ossessioni contemporanee, il rapporto con il piacere, col benessere, con il superfluo e con una sfrenata esigenza di apparire. Il tutto ammantato da colori elettrici e superfici laccate, e caratterizzato dalla presenza ricorrente di un nudo sfacciato e aggressivo.
I soggetti sono le celebrità, da Michael Jackson a Hillary Clinton, da Muhammad Ali a Jeff Koons, da Madonna a Uma Thurman, da Andy Warhol a David Bowie, le cui immagini sono utilizzate come merce prodotta in serie, consapevolmente sacrificata sull’altare del sistema fondato sull’icona.
Il punto di svolta che segna il passaggio a una nuova fase della sua ricerca della sua evoluzione artistica è il viaggio a Roma del 2006. È in quest’occasione che, visitando la Cappella Sistina, rimane folgorato dagli affreschi di Michelangelo e dai fasti del potere religioso, che lo condussero ad abbracciare la monumentalità e la grandiosità del Rinascimento italiano.
Proprio il Diluvio universale di Michelangelo gli suggerì la creazione di The Deluge (Il Diluvio), in cui i rimandi al capolavoro michelangiolesco si mescolano ai marchi della società consumistica e alla bellezza ostentata dei corpi nudi.
La mostra prosegue con After the Deluge, fotografie che mostrano una realtà in cui tutti gli oggetti e i simboli del mondo attuale vengono sommersi e Awakened, in cui ritrae persone immerse in acqua in uno stato embrionale: una sorta di resurrezione dopo il diluvio.
Dopo il 2006 LaChapelle inizia a lavorare per serie fotografiche. Benché nascano autonomamente, ciascuna di esse si lega all’altra con una evidente coerenza, in un sottile equilibrio tra sacro e sacrilego, alternando soggetti differenti sul tema condiviso della Vanitas. Infatti, se in Earth Laughs in Flowers questo motivo è trattato attraverso la bellezza dei fiori appassiti, in Still Life viene rappresentato da una serie di statue di cera distrutte dai vandali che riproducono le sembianze di alcune stelle hollywoodiane.
Nel corso della sua carriera, l’artista statunitense non ha certo trascurato il confronto con la fotografia di paesaggio, che diventa un suo ambito artistico a partire dal 2013. A Venezia saranno esposte alcune fotografie appartenenti al ciclo Gas Station and Land Scape, nelle quali ricostruisce modelli di impianti petroliferi e stazioni di rifornimento in scala, attraverso materiali riciclati, come cartoni delle uova, schede madri per computer, bigodini, cannucce e altro. Negli allestimenti più elaborati LaChapelle ha fotografato questi piccoli plastici nella foresta pluviale di Maui, nel deserto e lungo la costa californiana.
È proprio per queste sue oniriche raffigurazioni della realtà, che la critica lo ha definito “Il Fellini della Fotografia”.
La serie inedita di New World segna il ritorno di LaChapelle alla figura umana.
Il progetto, che verrà presentato in anteprima a Venezia, ha richiesto 4 anni di lavoro. I temi centrali sono il paradiso e le rappresentazioni della gioia, della natura, dell’anima, cercando la modalità per fotografarle in natura.
In questo, LaChapelle dichiara di essere stato ispirato da Odilon Redon, pittore francese di fine ‘800 – inizio ‘900, visto al Musée d’Orsay, William Blake, e, ancora una volta, Michelangelo e Michael Jackson. Altra fonte d’ispirazione, la musica di Pharell Williams e in particolare, la sua canzone “Happy”.
Con queste fotografie LaChapelle si pone come fine quello di riflettere su questioni metafisiche come il viaggio dell’anima dopo la morte, la gioia e le rappresentazioni del paradiso.
Stories of the City: A Magnum exhibition on the Paris Metro
JAPAN. Tokyo. 2015. Park Hyatt Hotel is where Lost in Translation was filmed.
West germany. Berlin. 1963. Christmas time. Two brothers meet after being separated by the wall.
CHINA. Shanghai. Cyclists in the rain. 1993
GB. England. London. 2004. Oxford Street.
FRANCE. Paris. 2016. Jardin des Tuileries.
USA. Daytona Beach, Florida. 1997.
USA. Brooklyn, New York. September 11, 2001. Young people relax during their lunch break along the East River while a huge plume of smoke rises from Lower Manhattan after the attack on the World Trade Center.
USA. New York City. 2000.
USA. New York City. 1967. Girl in bus and figures in street during snowstorm.
CHINA. Shanghai. YuYuan Gardens. 1980.
USA. New York City. 1969. Woman looking at herself in store window.
CHINA. Beijing. 1989.
BRAZIL. Rio de Janeiro. 2004.
Magnum photographers discuss the significance of the city as their work is rolled out across the Paris metro in a huge public exhibition.
28 February – 30 June 2017
“I’ve always seen cities as somewhat exotic and remote from my experience,” says Alec Soth, who has never lived in a major city. For him, and others like him, visiting a city can be an alien and overwhelming experience. “Being born in a small and very quiet town, I experience mixed feelings in big cities, I feel a sense of fascination for megacities as well as rejection, and sometimes anxiety. I think that this image evokes my vision of the city as a voluntary confinement with the others – loneliness,” concurs Jérôme Sessini.
To mark Magnum’s 70th anniversary, RATP, which runs the famous Paris metro system, is hosting an unprecedented exhibition across their territory of the city. From February 28 to June 30 2017, 174 images by 91 photographers will be displayed across 11 Metro stations. The diverse curation explores the city in all its guises and is showcased to its diverse audience in its public spaces.
Some photographers muse on the nature of city life itself: “The city is a place of intense concentration, crawling with people,” says Richard Kalvar; “For a few hours, for a few days, I was an inhabitant, albeit a slightly peculiar one. I remained a stranger, but I was adopted and protected by the crowd,” says Raymond Depardon. Or Guy Le Querrec, who demonstrates the way a city creates “music that the eye catches,” describing how his work captures that sound: “You can feel the presence of the city in the background, you can hear the noise of the city and the metallic roar of the aerial metro.”
Others still consider the unique individual personalities that cities seem to have: “Bollywood creates dreams for everybody – Mumbai is known as city of dreams and dreams for everyone. Even while travelling in a taxi – the interior decor has such contrasting patterns and colors you wonder – the dreams continue,” says Raghu Rai of his image taken inside a Mumbai taxi; while Carl de Keyzer captures the mood of communist Cuba: “the end of ideology, a tired nation waiting for something new.“
Some work becomes emblematic of the photographer’s practice: “Burri goes beyond particular events and cuts to the core of human life. Although he traveled to all the conflict spots in the world, his images are not violent. They show modern life, but its abuses, pains and triumphs are all sublimated under the concept of the human condition,” wrote Rene Burri’s biographer Corinne Diserens.
“Ultimo Domicilio” si presenta come albums di famiglia in tre dimensioni, le case raccontano storie e segreti: i quadri alle pareti, le fotografie, gli oggetti sul comò e i libri nella biblioteca, in risonanza tra loro, riflettono i desideri e le aspirazioni, gli affetti e i ricordi, la personalità di chi le abita, spesso più dei segni su un volto, più di uno sguardo. Un progetto fotografico che ci mostra, in continuum dialettico tra un approccio documentario ed uno narrativo, le case amate, vissute, frequentate o caparbiamente cercate.
“Ultimo Domicilio” nasce – ancora inconsapevolmente – nel 2008 quando, durante un viaggio a Sarajevo e Mostar, Lorenzo Castore fotografa interni di case abbandonate durante la guerra, lasciate dietro di sé da un giorno all’altro insieme a tutti gli effetti personali appartenuti a chi le abitava. È una rielaborazione della traumatica esperienza in Albania e Kosovo nel 1999 e si sviluppa negli anni in altri luoghi e in altri paesi: Italia, Francia, Stati Uniti, Polonia. Nel tempo, “Ultimo Domicilio” diventa un video di 18 minuti realizzato in collaborazione con il compositore Emanuele de Raymondi, nel 2015 Laura Serani ne cura la pubblicazione per L’Artiere Edizioni e la mostra.
Lorenzo Castore, Firenze, 1973. Il suo lavoro è caratterizzato da progetti di lungo termine – in bianco e nero e a colori – che hanno come tema principale il quotidiano, la memoria e la relazione tra piccole storie individuali e la Storia. Ha esposto il suo lavoro in numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Ha vinto il Premio Mario Giacomelli (2004), il Leica European Publishers Award (2005) e la Rana d’oro come miglior film documentario corto al Camerimage Film Festival (2012). Ha pubblicato due libri monografici: Nero (2004) e Paradiso (2006). Ha realizzato due cortometraggi: No Peace Without War (2012) – con Adam Cohen – e Casarola (2014).
Fino al 6 maggio – Fondazione Studio Marangoni – Firenze
Tra il 2013 e il 2015 lo svedese Martin Bogren ha viaggiato più volte in Italia fermandosi in particolare a Napoli, Palermo e Roma e creando un corpo di lavoro in bianco e nero, fortemente lirico, senza tempo.
Come scrive Sean O’Hagan su The Guardian, In un certo senso…Italia è una messa in discussione della street photography.
Esposto in parte al Festival Fotografia di Roma nel 2016, Italia è stato pubblicato dall’editore svedese Max Ström Bokförlaget nel 2016
Cammino senza meta da giorni, ormai. Strada dopo strada. Il cuore pesante, la solitudine come unica compagna. Ho dimenticato perché sono qui e cosa sto facendo. La mano stretta sulla macchina fotografica…sono pervaso dall’intensità e da una presenza – una connessione con la gente intorno a me. Sento la loro energia, percepisco le loro vibrazioni. La più piccola variazione nelle loro espressioni, i movimenti delle mani, i gesti. Ogni cosa acquisisce un significato – Martin Bogren (dal testo che accompagna il libro
A street preacher in New York appeals to Wall Street to repent. 2011 Christopher AndersonÑMagnum Photos
Maids prepare a room for a guest in a wealthy Kenyan household. 2011 Guillaume Bonn
Organizzata dall’associazione di promozione sociale fosfeniLAB, in collaborazione con PIXU Studio, il patrocinio del Comune di Albignasego, la mostra 1% Privilege in a time of global inequality curata da Myles Little (Senior Photo Editor della rivista TIME), llestimento curato da Giorgia Volpin e fosfeniLAB, verrà inaugurata venerdì 3 marzo alle ore 18.00 negli spazi espositivi di Spazio Cartabianca.
Con la mostra 1%, curata da Myles Little, aperta al pubblico fino a lunedì 3 luglio 2017, si inaugura lo spazio espositivo dedicato alla fotografia di Spazio Cartabianca.
Abbiamo l’onore di ospitare per la prima volta nel nord Italia questo lavoro di Myles Little, Senior Photo Editor della rivista TIME. L’autore raccoglie nella mostra – pubblicata anche nell’omonimo libro – quaranta immagini la cui tematica è incentrata sulle diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza nel mondo, un tema mai così attuale come al giorno d’oggi. Le fotografie in mostra, parlano di privilegi nell’istruzione, nel tempo libero, nella sanità, ma anche del conflitto di classe o di concetti più astratti che richiamano, ad esempio, “la natura effimera della ricchezza”.
Autori in mostra
Christopher Anderson / Nina Berman / Sasha Bezzubov / Peter Bialobrzeski / Guillaume Bonn / Jörg Brüggemann / Philippe Chancel / David Chancellor / Jesse Chehak / Kevin Cooley / Mitch Epstein / Floto+Warner / Greg Girard / Jacqueline Hassink / Guillaume Herbaut / Shane Lavalette / David Leventi / Michael Light / Alex Majoli / Yves Marchand / Laura McPhee / Virginia Beahan / Andrew Moore / Zed Nelson / Simon Norfolk / Mike Osborne / Matthew Pillsbury / Ben Quinton / Daniel Shea / Anna Skladmann / Juliana Sohn / Alec Soth / Mikhael Subotzky / Brian Ulrich / Eirini Vourloumis / Henk Wildschut / Michael Wolf / Paolo Woods
Spazio Carta Bianca – Albignasego (PD) Dal 3 marzo al 3 luglio 2017
140 scatti di Henri Cartier Bresson, in mostra a Palazzo Ducale, per immergerci nel suo mondo, per scoprire il carico di ricchezza di ogni sua immagine, testimonianza di un uomo consapevole, dal lucido pensiero, verso la realtà storica e sociologica.
Per Cartier Bresson la tecnica rappresenta solo un mezzo che non deve prevaricare e sconvolgere l’esperienza iniziale, reale momento in cui si decide il significato e la qualità di un’opera.
“Per me, la macchina fotografica è come un block notes, uno strumento a supporto dell’intuito e della spontaneità, il padrone del momento che, in termini visivi, domanda e decide nello stesso tempo. Per “dare un senso” al mondo, bisogna sentirsi coinvolti in ciò che si inquadra nel mirino. Tale atteggiamento richiede concentrazione, disciplina mentale, sensibilità e un senso della geometria. Solo tramite un utilizzo minimale dei mezzi si può arrivare alla semplicità di espressione”.
Henri Cartier Bresson non torna mai ad inquadrare le sue fotografie, non opera alcuna scelta, le accetta o le scarta. Nient’altro. Lo scatto è per lui il passaggio dall’immaginario al reale. Un passaggio “nervoso”, nel senso di lucido, rapido, caratterizzato dalla padronanza con la quale si lavora, senza farsi travolgere e stravolgere.
I suoi scatti colgono la contemporaneità delle cose e della vita. Le sue fotografie testimoniano la nitidezza e la precisione della sua percezione e l’ordine delle forme.
“Fotografare, è riconoscere un fatto nello stesso attimo ed in una frazione di secondo e organizzare con rigore le forme percepite visivamente che esprimono questo fatto e lo significano. E’ mettere sulla stessa linea di mira la mente, lo sguardo e il cuore”.
La mostra Henri Cartier Bresson Fotografo, curata da Denis Curti, è promossa da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura in collaborazione con la Fondazione Henri Cartier-Bresson e Magnum Photos Parigi e organizzata da Civita Mostre.
Dal 15 marzo al 20 maggio – Galleria Valentina Bonomo – Roma
Svizzera; pittrice e fotografa; espone a New York, Londra, Milano e in altre città (recentemente a Pechino e a Mosca); Sette, The New York Times Magazine, The Sunday Times Magazine, China Daily pubblicano le sue opere; ha partecipato all’Expo milanese con una personale di 26 fotografie di alberi da frutto; ha pubblicato due libri (Trees e The Invisible City). L’artista che ha fatto, detto, scritto e illustrato tutto ciò si chiama Irene Kung.
Adesso “approda” a Roma, alla Galleria Valentina Bonomo, in via del portico d’Ottavia 13. Fino al 20 maggio nella personale di Irene Kung il visitatore gode di «immagini sospese nel tempo e nello spazio, visioni evanescenti sottratte al loro contesto che, superando la realtà, entrano a far parte di una dimensione onirica».
Ci sono i luoghi nelle sue opere: c’è l’India e il paesaggio russo fino alle piazze storiche della nostra Capitale; c’è la natura con gli alberi e con il mare. «Una delicata contrapposizione fra natura e architettura e una nuova ricerca sulla luce, decisamente più chiara rispetto ai precedenti lavori, che, con la sua misteriosa energia, crea un clima di serenità e di quiete» come dicono i curatori della mostra.
La Mostra rappresenta un’occasione unica per conoscere la vita e l’opera di Vivian Maier, artista circondata da un alone di mistero che ha contribuito ad accrescerne il fascino. Esposte 120 fotografie in bianco e nero realizzate da Vivian Maier tra gli anni Cinquanta e Sessanta insieme a una selezione di immagini a colori scattate negli anni Settanta, oltre ad alcuni filmati in super 8 che mostrano come Vivian Maier si avvicinasse ai suoi soggetti.
Il progetto permetterà di mostrare al pubblico della Capitale e non solo, dato il suo carattere internazionale, fotografie mai esposte né pubblicate mentre la fotografa era in vita, pertanto la Mostra si configura come una preziosa testimonianza, unica ed eccezionale nel suo genere, dell’arte di una grande fotografa che sembrava immortalare la realtà per sé stessa e che custodiva i suoi scatti come il bene più prezioso.
Helmut Newton. Fotografie
White Women / Sleepless Nights / Big Nudes
Napoli, PAN Palazzo Arti Napoli
25 febbraio – 18 giugno 2017
Il progetto della mostra Helmut Newton. Fotografie. White Women / Sleepless Nights / Big Nudes, nasce nel 2011 per volontà di June Newton, vedova del fotografo e presidente della Helmut Newton Foundation, e raccoglie le immagini dei primi tre libri di Newton pubblicati tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, da cui deriva il titolo della mostra e l’allestimento articolato in tre sezioni. I tre libri sono fondamentali per capire la fotografia di Newton, che li ha progettati personalmente, selezionando le immagini fotografiche e la loro impaginazione.
L’esposizione, curata da Matthias Harder e Denis Curti e aperta al pubblico dal 25 febbraio al 18 giugno 2017 al PAN, Palazzo Arti Napoli, presenta per la prima volta a Napoli oltre 200 immagini di Helmut Newton, uno dei più importanti e celebrati fotografi del Novecento.
White Women
Nel 1976 Helmut Newton dà alle stampe il suo primo libro monografico, che subito dopo la sua pubblicazione riceve il prestigioso Kodak Photo Book Award. 84 immagini a colori e in bianco e nero in cui per la prima volta il nudo e l’erotismo entrano nel mondo della moda: si tratta di fotografie innovative e provocanti che rivoluzionano il concetto di foto di moda e testimoniano la trasformazione del ruolo della donna nella società occidentale. Visioni che trovano spunto anche nella storia dell’arte, in particolare nella Maya desnuda e nella Maya vestida di Goya del Museo del Prado di Madrid.
Sleepless Nights
Anche Sleepless Nights pubblicato nel 1978, ruota attorno alle donne, ai loro corpi, abiti, ma trasformando le immagini da foto di moda a ritratti, e da ritratti a reportage di scena del crimine. I soggetti sono solitamente modelle seminude che indossano corsetti ortopedici o sono bardate in selle in cuoio, fotografati fuori dal suo studio, quasi sempre in atteggiamenti sensuali e provocanti, a suggerire un uso della fotografia di moda come mero pretesto per realizzare qualcosa di completamente nuovo e molto personale. Sicuramente si tratta del volume a carattere più retrospettivo che raccoglie in un’unica pubblicazione i lavori realizzati da Newton per diversi magazine (Vogue fra tutti), ed è quello che definisce il suo stile rendendolo un’icona della fashion photography.
Big Nudes
Con la pubblicazione Big Nudes del 1981, Newton raggiunge il ruolo di protagonista della fotografia del secondo Novecento, inaugurando una nuova dimensione – misura, quella delle gigantografie che entrano prepotentemente e di fatto nelle gallerie e nei musei di tutto il mondo. Fonte di ispirazione dei nudi a figura intera ed in bianco e nero ripresi in studio con la macchina fotografica di medio formato, sono stati per Newton i manifesti diffusi dalla polizia tedesca per ricercare gli appartenenti al gruppo terroristico della RAF.
Il percorso espositivo permetterà di conoscere un Helmut Newton più profondo e se vogliamo più segreto rispetto a quanto già diffuso: infatti, se l’opera del grande fotografo è sempre stata ampiamente pubblicata e con enorme successo su tutte le riviste di moda, non sempre la selezione effettuata dalle redazioni corrispondeva ed esprimeva compiutamente il pensiero dell’artista.
L’obiettivo di Newton aveva la capacità di scandagliare la realtà che, dietro il gesto elegante delle immagini, permetteva di intravedere l’esistenza di una realtà ulteriore, che sta allo spettatore interpretare.
Obiettivo della mostra è presentare i temi distintivi dell’immaginario artistico di Helmut Newton, offrendo la possibilità ai visitatori di comprendere fino in fondo il suo lavoro come mai prima d’ora.
Promossa dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, la mostra è organizzata da Civita Mostre in collaborazione con la Helmut Newton Foundation.
Mostra nel decennale di Fondazione Fotografia Modena
Dieci anni sono trascorsi dalla nascita di Fondazione Fotografia Modena, un progetto culturale interamente intitolato all’immagine, che si è evoluto nel corso degli anni in un centro espositivo, di ricerca e formazione di livello internazionale. A celebrare questo primo, importante anniversario sarà un doppio percorso espositivo, in grado di riflettere l’attività svolta dall’istituzione.
A cura di Filippo Maggia, la mostra 10 years old, in programma al Foro Boario di Modena dall’ 11 marzo al 30 aprile 2017, avrà due anime: una prima sezione sarà dedicata alle highlights dalla collezione di fotografia e video contemporanei della Fondazione Cassa di risparmio di Modena, un patrimonio di oltre 1200 opere che Fondazione Fotografia, in qualità di società strumentale dell’ente di origine bancaria, ha il compito di gestire e valorizzare. Saranno quindi esposti alcuni gioielli tratti dalle due raccolte, quella italiana e quella internazionale, a distanza di anni dal loro primo ingresso in collezione: opere di 85 autori, tra i quali Ansel Adams, Nobuyoshi Araki, Diane Arbus, Richard Avedon, Yto Barrada, Walter Chappell, Samuel Fosso, David Goldblatt, Pieter Hugo, Daido Moriyama, Adrian Paci, Hrair Sarkissian, Dayanita Singh, Wael Shawky, Hiroshi Sugimoto, Wolfgang Tillmans, Ai Weiwei, Edward Weston, Garry Winogrand, accanto agli italiani Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Franco Fontana, Luigi Ghirri, Mimmo Jodice, Walter Niedermayr, Franco Vaccari.
Sony World Photography Awards & Martin Parr – 2017 Exhibition
A major exhibition of the world’s best contemporary photography opens this April at London’s prestigious Somerset House.
The Sony World Photography Awards & Martin Parr – 2017 Exhibition will bring to London a complete celebration of the medium of photography – showcasing rich and fascinating photographic stories from key figures and emerging talent of the photography scene today.
The exhibition will open April 21 for a limited run until May 7, and is the only UK stop before going on a worldwide tour.
The large-scale exhibition will include three rooms dedicated to the life and work of internationally renowned British photographer, Martin Parr, who is the recipient of the 2017 Sony World Photography Awards’ Outstanding Contribution to Photography prize. A hand-picked selection of rarely seen black and white images from Parr’s early career will be presented alongside some of the artist’s most talked about work, books and films and original exhibition posters.
La mostra I am nothing di Valerio Spada (Milano, 1972), presenta in anteprima il lavoro realizzato dal fotografo insignito della prestigiosa Guggenheim Memorial Foundation Fellowship sulla mafia siciliana, narrata attraverso le storie di alcuni boss e latitanti, unite ai segni della sua inesorabile penetrazione nel tessuto sociale.
A cura di Francesco Zanot
3 marzo – 21 maggio 2017 – Camera Centro Italiano per la Fotografia – Torino
L’organizzazione dell’evento è a cura dell’Associazione Regnoli 41, in collaborazione con la Fondazione della Cassa dei Risparmi di Forlì e con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Forlì, nell’ambito del progetto “Artealmonte”.
Filippo Venturi – cesenate, forlivese d’adozione – col proprio lavoro si è messo in luce negli ultimi anni, venendo selezionato tra i “Nuovi Talenti” da Fondazione Fotografia Modena e tra gli “Emerging Talents” esposti al MACRO di Roma nel 2016, oltre ad essere stato premiato in concorsi internazionali come il Sony World Photography Awards di Londra.
Il progetto “Made in Korea”, realizzato nel 2015, pone l’attenzione sui giovani sudcoreani e i fenomeni che li vedono coinvolti: da un lato la forte competizione che li spinge alla ricerca continua di risultati in ambito scolastico, professionale e anche estetico – in uno dei paesi che ha puntato tutto sulla rincorsa alla modernità e al progresso -, dall’altro i forti effetti collaterali che questo stile di vita provoca.
Lo stile scelto dall’autore nella realizzazione delle fotografie, asettico, quasi artificioso, ricalca questo aspetto della realtà coreana, dove la ricerca ed esibizione della perfezione cela aspetti oscuri e problematici.
IL PROGETTO
Fino agli anni ’60 la Corea del Sud era un paese povero e arretrato. In meno di mezzo secolo è diventato uno dei paesi più moderni al mondo. La rincorsa alla modernità e al progresso è stata realizzata imponendo alla società uno smisurato senso della competizione, nella ricerca della perfezione dal punto di vista scolastico, professionale e anche estetico.
Ai giovani vengono impose le stesse tappe obbligatorie: per essere riconosciuti socialmente è fondamentale ottenere i migliori voti per accedere ai migliori istituti che consentiranno di arrivare ai migliori lavori. Al tempo stesso sono richiesti modelli estetici uniformi, spesso senza identità, raggiunti comunemente con la chirurgia plastica.
I giovani sono così spinti verso una standardizzazione straniante e surreale, l’esatto contrario di quanto avviene in molti paesi occidentali, dove il successo è raggiunto distinguendosi dalla massa.
Tutto questo ha fatto emergere forti effetti collaterali come lo stress, l’alcolismo, l’isolamento sociale e un elevato numero di suicidi (il paese è tra i primi posti nella classifica mondiale dei suicidi: 43 al giorno).
Il lavoro intero, composto da 41 fotografie, è disponibile in ebook, edito dalla casa editrice emuse. L’ebook contiene anche due testi critici di Silvia Camporesi e Davide Grossi.
Dal 25 marzo al 23 aprile – Forlì, Palazzo del Monte di Pietà.
Ernesto Che Guevara Guerrillero Heroico – Alberto Korda
ONO arte contemporanea è lieta di presentare Ernesto Che Guevara Guerrillero Heroico una personale di Alberto Korda, fotografo cubano che deve la sua notorietà all’omonima immagine scattata al Che, che può essere considerata come la più iconica e famosa nella storia della cultura popolare. L’immagine fu scattata con una Leica durante un funerale di Stato il 5 marzo del 1960, ma fu pubblicata solo un anno dopo sul quotidiano cubano «Revolución». Personaggio pubblico e persona si fondono in un’immagine che lentamente diventa vero e proprio immaginario, portando con sé una serie di significati che via via sbiadiscono da quella pellicola, che diventa vera e propria icona. Quell’immagine è stata non solo simbolo di un’epoca, ma a livello estetico e concettuale può annoverarsi a pieno titolo tra le immagini e le icone pop che anche lo stesso Andy Warhol ha portato nell’empireo dell’arte contemporanea.
Ma la storia di Che Guevara e di Alberto Díaz Gutiérrez, detto Korda, va molto oltre rispetto a questo singolo scatto, che sicuramente ne è riassunto e compendio. Sullo sfondo Cuba e la rivoluzione, Che Guevara e Fidel Castro, ma anche tutto il milieau culturale di un’epoca, fatto di personaggi di spicco della moda e della letteratura. Fu Richard Avedon a convincerlo ad aprire il suo primo studio fotografico e presto Korda divenne il più importante fotografo di moda cubano oltre che volontario per la “Rivoluzione”.
Nel 1959 gli fu chiesto di documentare la visita ufficiale di Fidel all’Havana e l’anno successivo immortalò lo stesso Fidel al Lincoln Memorial, dando vita ad una delle immagini più iconiche del Comandante, che quando le vide decise di farsi “seguire” nelle apparizione pubbliche dal suo fidato fotogarafo, con il quale instaurò un rapporto professionale e amicale che terminò solo con la morte di Korda, nel 2001.
Con le immagini in mostra è possibile immergersi in una Cuba ormai lontana, e nella quotidianità di un mondo cristallizzato che sta svanendo davanti ai nostri occhi proprio in questi giorni con la morte di Fidel Castro e l’apertura di Cuba al mondo, con tutto ciò che ne conseguirà.
La mostra (2 marzo – 23 aprile 2017) è composta da 50 fotografie e diversi documenti originali, l’ingresso è libero
Isolab Taranto, in collaborazione con Witness Journal, QR Photogallery e Coworking Ulmo presenta “Closer – Dentro il reportage”.
31 Marzo – 13 Aprile: Sangue nero / Gaetano Fisicaro
14 Aprile – 27 Aprile: Good morning Ghana / Gabriele Cecconi
28 Aprile – 11 Maggio: In between / Marco Panzetti
12 Maggio – 25 Maggio: The endless winter of Kashmir / Camillo Pasquarelli
I light U è una selezione delle storie di viaggio e dei ritratti raccolti nel Passante Ferroviario di Porta Venezia tra dicembre 2016 e marzo 2017. Durante questi mesi il collettivo fotografico BarettoBeltrade ha allestito un set nella Galleria “Atelier della Fotografia” (di Progetto Artepassante), situata nel corridoio sotterraneo che collega le stazioni della Metropolitana Milanese e del Passante ferroviario di Porta Venezia a Milano, e ha invitato le persone a fermarsi e a raccontarsi, trasformando un tunnel di passaggio in un luogo di sosta. Viaggiare nella citta vuol dire infatti percorrere una linea che collega un punto di partenza a uno di arrivo, ma che soprattutto unisce ogni volta persone, lavori, amori, amicizie, impegni, divertimenti, doveri e mille altre cose. Infiniti punti, infinite linee: un tessuto sterminato che non si può calcolare, si può solo immaginare, anzi si può riassumere per immagini. I light U – Frames for underground stories costituisce uno di questi possibili riassunti: a chi passava in quel punto è stato chiesto di raccontare brevemente il proprio viaggio, di spiegare cosa ci fosse a un capo e all’altro della linea che stava percorrendo in quel momento e di lasciare in dono un’immagine, un ritratto fotografico. Poi ognuno ha ripreso il suo viaggio, ma in quel punto della stazione la mostra I light U costituirà la traccia delle storie e dei ritratti che sono stati illuminati in quel momento.
Da tempo residente a New York, Rebecca Norris Webb è cresciuta nel South Dakota, i cui paesaggi continuano a perseguitare la sua anima. Nel 2005 si è prefissata di fotografare il suo Stato natale.
«L’anno successivo, mio fratello Dave è improvvisamente morto d’infarto», scrive. «Per mesi, una delle poche cose in grado di dare sollievo al mio cuore sconvolto è stato il paesaggio del South Dakota. Come se tutto ciò che potessi fare fosse guidare per i calanchi e le praterie, e fotografarli.
Ho cominciato a chiedermi: “La perdita ha una sua propria geografia?”» Norris Webb, che è anche poetessa, ha scritto – e scritto a mano – il suo poema, qui intrecciato con le fotografie. Inizialmente, con My Dakota intendeva produrre una visione intima e personale dell’Ovest americano, per contrastare e dare risalto ai maestosi paesaggi e alle avventure dei trivellatori petroliferi ritratti in passato da fotografi e pittori.
My Dakota affronta il tema dell’impatto umano sulla terra, il modo in cui ha influenzato le vite degli uomini; è un registro dell’economia e del paesaggio mutevoli dello stato.
Questa serie è un elogio funebre per le fattorie di famiglia che stanno scomparendo e per le piccole città che sostentavano; è un’elegia per il fratello della Norris Webb.
dal 29 marzo al 13 aprile 2017 – Officine Fotografiche – Roma
La mostra ricostruisce attraverso oltre 150 immagini percorsi tematici e stilistici, interessi, sensibilità, legami culturali di un protagonista della fotografia italiana, da cinquant’anni attento osservatore e narratore della società e delle sue contraddizioni.
Racconta il debito di Lucas verso il mondo intellettuale della Milano della fine degli anni Cinquanta e l’influenza da esso esercitata sulla ricerca formale delle sue prime fotografie e sulla sua stessa scelta di dedicarsi alla fotogiornalismo. Segue la svolta rappresentata dai profondi cambiamenti sociali e di costume e dalle battaglie politiche e civili degli anni Sessanta e Settanta che portano alla nascita di un nuovo modo di raccontare del fotogiornalismo italiano.
E ripercorre l’impegno ventennale di Lucas in un’indagine sui problemi della propria società che trae nutrimento dalle idealità del periodo, dall’associazionismo diffuso di un mondo che si dedica con passione a comprendere il proprio tempo e ad affermare i diritti dell’individuo.
Per arrivare infine al nuovo stile con cui, in un contesto storico radicalmente mutato e in un diverso sistema dell’informazione, Uliano Lucas racconta le trasformazioni del presente, il cambiamento antropologico determinatosi con i nuovi indirizzi economico-sociali degli anni Duemila, attraverso una ricerca estetica influenzata anche dalle tendenze del linguaggio visivo degli ultimi anni.
Ne emerge un viaggio attraverso le scelte espressive, lo sguardo, la poetica personalissima di un fotografo che ha cercato di raccontare storie, problemi, realtà spesso lasciate ai margini del sistema dell’informazione; e al contempo un percorso che attraverso i suoi occhi, i suo viaggi e i suoi incontri, ci parla di altre voci e altri luoghi, fuori e dentro noi stessi.
“Stanno lì, da una parte, spesso non so neanche come archiviarle. Sono le fotografie che ho scattato senza un vero motivo, senza un progetto. Figlie di uno sguardo laterale, periferico, non amano essere definite, il loro senso è vago, o forse il loro senso mi vaga intorno e cambia con il tempo, cambia con me. Sono frutto di un gesto legato al piacere più che al desiderio: quanta pressione serve al dito per premere il pulsante di scatto? Assorbire il rumore dell’otturatore, calcolare la forza che serve al pollice per trascinare la pellicola. Lussuria, accidia. Queste fotografie raccontano la necessità compulsiva di possedere fotograficamente una scena, una persona, un paesaggio. Non sono per forza istantanee, anzi. Ci sono foto compulsive molto complesse, che richiedono impegno, a volte vera e propria fatica fisica, per essere realizzate. Questa fotografia è un piacere che vuole essere assaporato, consumato, goduto qui e ora; è un’urgenza assoluta, improvvisa, imprevista, che mette in secondo piano tutto quello che consideravi il vero motivo della tua presenza in un posto o in una situazione. Ma Beside è anche “B-side”, l’altra faccia di ciò che già conosco e accetto come faccia. Meno orecchiabile, scomoda, qualche volta imprecisa, è la fotografia che non è stata scelta, quella rifiutata, abbandonata. Annaspa controcorrente, attonita, parla di un me più insicuro, disorientato, annoiato, dubbioso. Beside sono le orme lasciate ai lati della strada maestra: incerte, labirintiche tracce, che portano in vicoli senza uscita, alle storie che potevano essere e non sono state, immagini che mi parlano di come sono se mi vedessi veramente.” Toni Thorimbert
Leica Galerie Milano – 23 marzo 2017 – 13 maggio 2017
20 autori del circolo presentano un loro progetto a tema libero dove tanti temi sono stati affrontati. Per un totale di 160 immagini.
Una sezione speciale dedicata al grande amico Sergio Magni con una Mostra di 70 immagini (curata dalla FIAF) che ricordano il passato fotografico di un grande Maestro “il fotografo che insegna”.
Tutto questo nella splendida cornice di Forte Ardietti a Ponti s/M MN
FESTIVAL FOTOGRAFICO EUROPEO 2017
Il festival, giunto alla sua 6a edizione , ideato e curato dall’Afi-Archivio Fotografico Italiano, evento posto “sotto l’alto patrocinio del PARLAMENTO EUROPEO”, con il patrocinio della Regione Lombardia, della Provincia di Varese, e delle Amministrazioni comunali di Busto Arsizio, Legnano, Castellanza, Olgiate Olona, Castiglione Olona, Milano-Municipio 6, con il patrocinio della Provincia di Varese, la collaborazione del Museo MA*GA di Gallarate, dell’Istituto Italiano di Fotografia di Milano, dell’ICMA – Istituto Cinematografico Michelangelo Antonioni di Busto Arsizio, e l’apporto tecnologico di EPSON Italia, MALEDETTI FOTOGRAFI e con la partecipazione di numerose associazioni, gallerie, scuole e realtà private tra cui: mc2Gallery Milano, Liceo Artistico Paolo Candiani e Liceo Classico Crespi di Busto Arsizio, Scuola professionale ACOF di Busto Arsizio, Punto Marte Editore, Ester Produzioni, Biblioteca Sormani Milano, Gallerie Libreria Boragno Busto A., EyesOpen Magazine trimestrale di Cultura Fotografica, Fondazione Bandera per l’Arte Busto A., , Spazio Lavit Varese, Centro Giovanile Stoa’ Busto A., Spazio d’Arte Carlo Farioli Busto A., Galleria Fotografica ALIDEM Milano, Associazione Borgo Antico di Castiglione O., Galleria d’Arte Palmieri Busto A., Il Magazzino dei Re Busto A., Studio Albè & Associati Busto A. e Milano, Associazione Culturale BARICENTRO – Milano, si pone tra le iniziative più rilevanti nel panorama fotografico nazionale ed europeo, proponendo percorsi visivi articolati, aperti alle più svariate esperienze espressive.
Una sorta di laboratorio culturale, che si apre all’Europa, che dialoga con la gente attraverso l’arte dello sguardo e mette a fuoco le aspirazioni, i linguaggi e l’inventiva di artisti provenienti da diversi Paesi.
Un progetto che vuole affermare la centralità della cultura quale potente dispositivo in grado aprire confronti tra i popoli e tra le generazioni in una prospettiva di crescita, riflessione e dialogo guidati dall’impegno sociale, dallo studio, dalla voglia di abbattere le frontiere e insieme in percorso comune di crescita e di responsabilità collettiva.
Grandi autori divengono il faro per i giovani emergenti, in un confronto dialettico teso a stimolare dibattiti e ragionamenti, attorno a temi d’attualità, di storia, d’arte e di ricerca.
Oltre trentacinque mostre, seminari, workshop, proiezioni, multivisioni, letture dei portfolio, presentazione di libri, concorsi: un programma espositivo articolato ed esteso che si muove dalla fotografia storica al reportage d’autore, dalla fotografia d’arte alle ricerche creative fino alla documentazione del territorio.
Tra le mostre principali, segnaliamo Mario Giacomelli, Maurizio Galimberti, Yoshinori Mizutani, Luca Catalano Gonzaga e molte altre.
‘Fink on Warhol: New York Photographs of the 1960s’
Fino al 30 aprile saranno esposte in mostra 15 opere fotografiche in bianco e nero che costruiscono un dialogo tra il fervore sociale e politico della New York degli anni ’60 e la figura artistica e nichilista di Andy Warhol e dei personaggi della Factory.Le fotografie che ritraggono Andy Warhol ed alcuni dei più celebri esponenti della Factory, tra cui Lou Reed e i Velvet Underground, Ingrid Superstar, Susanna Campbell e Gerard Malanga, sono state scattate nell’arco di tre giorni della primavera del 1966, quando Larry Fink fu incaricato di realizzare un servizio per l’East Side Review. Coprono invece un arco temporale più esteso, dal 1964 al 1968, gli scatti che documentano un’America percorsa dalle tensioni politiche e sociali legate alle lotte per i diritti civili e al movimento di protesta antimilitarista. Le immagini in mostra, così come l’intero corpus fotografico da cui provengono, tornano ora per la prima volta alla luce.
Dall’accostamento di questi due volti della New York degli anni ’60 emerge potente il ritratto di una società in pieno movimento. Da un lato Andy Warhol e i personaggi della Silver Factory caratterizzati da un atteggiamento di studiato distacco sociale, disimpegno politico e profonda conoscenza dell’intreccio tra logiche commerciali, arte e comunicazione di massa; dall’altro un giovane Larry Fink totalmente coinvolto nei rivolgimenti della società civile, strenuo sostenitore della partecipazione politica e convinto detrattore dell’arte asservita alle logiche di mercato.
Kevin Moore, autore del testo critico che accompagna questo progetto dai risvolti quanto mai attuali, scrive: “in un certo senso, semplificando le cose, si potrebbe asserire che Fink e Warhol fossero entrambi interessati alla politica, così come lo erano all’arte, semplicemente lo facevano partendo da presupposti non solo diversi, ma agli antipodi”.
Le fotografie in mostra restituiscono il linguaggio di Larry Fink: prospettive inconsuete, eloquenza della composizione e profondità di narrazione. L’individuo è sempre al centro della scena, anche quando questo individuo è Andy Warhol: nessun accorgimento tecnico o stilistico viene utilizzato per conferire una luce particolare ai più celebri rispetto all’uomo comune. Al contrario, negli scatti di Larry Fink ogni mezzo scenico è evocato per sottolineare l’umanità del soggetto fotografato. Il re è nudo e il mito è a portata di mano.
Fink on Warhol: New York Photographs of the 1960s è anche il titolo del volume pubblicato da Damiani tra le novità editoriali della primavera 2017 che presenta la serie completa degli 80 scatti inediti da cui è stata tratta questa mostra.
Fotografo torinese naturalista.
Qui il suo progetto, e le sue parole per descriverlo:
Dieci anni fa iniziai un progetto documentaristico che mi avrebbe portato ad attraversare i cinque continenti in cerca di paesaggi, volti, animali e ambienti. Partii seguendo un itinerario volto alla ricerca di argomenti specifici, ma col tempo mi resi conto di essere più attratto da situazioni imprevedibili, in quanto si fissavano maggiormente nella memoria, lasciando un segno indelebile. Questo nuovo stimolo iniziò a rappresentare per me l’essenza del viaggio, alimentando sempre più la necessità di ripartire. Mi svincolai quindi da programmi, temi ed itinerari prefissati, per lasciare che ad indicarmi la via fossero la casualità, l’incontro, la gente e i suggerimenti ricevuti dalle persone locali.
Iniziai così a plasmare gli stili fotografici in base alle situazioni, modificandoli a seconda degli stati d’animo, delle sensazioni, dei sapori e degli odori che trovano alternanza lungo il percorso. Per ogni scatto realizzato diventò quindi imprescindibile l’identificazione esatta dell’istante. Data, ora e luogo, riportati su ogni fotografa, la riconducono ad un momento unico ed irripetibile. Il simbolo rosso, tracciato a mano, evidenzia la scelta definitiva tra più immagini, come esito finale dell’incontro tra istante, luce, colori e sfumature. La presentazione delle immagini sospese, stampate fronte/retro, dai temi volutamente scollegati tra loro e dagli stili spesso incongruenti, vuole sottolineare l’imprevedibilità delle situazioni manifestate lungo il cammino. Infine, la riproduzione grafica del telaio bianco di una diapositiva, per riproporre uno dei simboli storici riconducibili alla fusione tra fotografia e viaggio.
FABIO BARILE – An Investigation of the laws observable in the composition, dissolution and restoration of land
16.03.2017 – 11.05.2017 – Matèria Galley – Roma
Matèria è lieta di presentare An Investigation of the laws observable in the composition, dissolution and restoration of land, la prima personale a galleria intera di Fabio Barile.
Il progetto prende ispirazione dal libro di James Hutton “Theory of the Earth, or, An Investigation into Laws observable in the Composition, Dissolution, and Restoration of Land upon the Globe”, lavori fotografici quali “Geological survey of the 40th parallel” di Timothy O’Sullivan, “Documenting science” di Bernice Abbott e dall’archivio di Gaetano Ponte.
Il lavoro consiste nell’analisi dei complessi e intricati elementi che caratterizzano il paesaggio in cui viviamo, attraverso evidenze geologiche, sperimentazioni con materiali fotografici e modelli analogici di fenomeni temporali. L’intento è quello di stabilire un dialogo con la storia profonda del nostro pianeta che, eroso, compresso e plasmato, nel corso di 4.5 miliardi di anni di storia e di trasformazioni, ha generato l’illusoria stabilità del paesaggio a cui siamo abituati oggi.
Barile crea un’ampia gamma di immagini che, condensate, rivelano un panorama tramite cui tentare una precisa lettura del paesaggio e della sua evoluzione. Questa ‘lettura trasversale’, porta a una presa di coscienza della complessità dei processi naturali che vanno ben oltre il tempo dell’esistenza umana.
Un omaggio alla genialità di studiosi che, attraverso la scienza, portano ordine a partire dal disordine, immaginando nuove connessioni fra elementi diversi e aprendo nuove prospettive nei vasti campi della conoscenza umana.
Le Vie delle Foto nasce e viene sviluppato come una mostra fotografica collettiva internazionale composta da tante mostre singole dislocate nel centro cittadino di Trieste.
Il progetto realizzato prevede un’esposizione collettiva che come un moderno network si compone e collega tante location diverse, prettamente locali caratteristici che ospitano fotografi aderenti alla manifestazione; un motivo in più per girare a piedi incuriositi per la città che negli ultimi anni si è adattata anche alla vita pedonale.
Viene coperto tutto il centro cittadino e per un mese è possibile inventarsi dei percorsi per visitare, anche quotidianamente, tutte le esposizioni in catalogo.
Le Vie delle Foto trasforma il locale cittadino in una piazza di incontri, discussioni e scoperta, infatti, proprio per la sua struttura antropologica, la città di Trieste già storicamente dimostra la sua inclinazione all’incontro nel bar (una volta chiamato anche tabaccheria o “tea room”). lo stesso James Joyce dichiara di aver scritto e letto molti libri nei locali di Trieste.
Il locale viene quindi utilizzato come punto d’incontro tra il cittadino e la cultura fotografica.
OBIETTIVI DEL PROGETTO FOTOGRAFICO: la più grande mostra collettiva in Nord Italia (nel 2016 sono stati ospitati ben 96 fotografi da tutto il mondo, USA, Svizzera, Svezia, Ungheria, Spagna, ecc.) che unisce fotografie e locali, una formula unica, consolidata nel tempo, che vanta qualche imitazione, ma che resta la sola a rappresentare un grande “network fotografico” nel cuore della città.
TURISTICO E DI PROMOZIONE DEL TERRITORIO: la manifestazione prevede itinerari dedicati ai turisti che, seguendo le varie esposizioni, possono anche scoprire le peculiarità della città. Tutti i sabati mattina e i sabati pomeriggio viene messa a disposizione una guida turistica per accompagnare i turisti a scoprire la città, i fotografi e i loro temi. Il nome di Trieste inoltre viene esportato in tutta Italia e all’estero, dove lo staff de Le Vie delle Foto promuove il proprio evento e allo stesso tempo il capoluogo giuliano. Nel 2016 Le Vie delle Foto sono state presentate al salone di ArteGenova e nel 2015 al Photoshow a Milano con il patrocinio di Milano Expo 2015.
SOLIDALE: ogni anno l’organizzazione è attiva nel campo della responsabilità sociale, creando eventi benefici a sostegno di realtà che operano sul territorio. Nel 2016 la serata organizzata nel Castello di San Giusto ha permesso la raccolta di oltre 1000 Euro per la piccola Aurora, bimba triestina affetta dalla malattia CLKD5.
Conflict, Time, Photography brings together photographic reportages and artistic works that focus on war events and their settings, their visible effects and social consequences. The arrangement of the works in the exhibition is somewhat surprising, for it is informed solely by the temporal distance to the event the photographers and artists make reference to, from “moments, weeks, months later” at the beginning of the exhibition to “years and decades later” to “100 years later” in the last of the total of 12 rooms. This gives rise to neighbourhoods of documentary-photographic, photo-artistic and conceptual works that leave it open as to how observers are to view and understand their content – even if it is unmistakeably clear that they address the historical and contemporary fact of war and our ideas concerning it.
The exhibition title forgoes putting the terms war, time and photography in a clear relationship. Conflict, Time, Photography is not a photographic or media history of war, neither is it a history of war photography or photography in times of war. Instead the exhibition inquires as to the possibilities and strategies of using photography and art to cope with war and violence: eye-witnessing – searching for clues – stocktaking – remembering – artistic ways of reading archives – return to locations – suggesting the invisible. As an exhibition within the exhibition, the London-based Archive of Modern Conflict has conceived a presentation from its extensive collections of historical photographs, objects, print material and manuscripts. It brings together private shots, official photos, historical equipment and other objects from the years of the First and Second World Wars, fusing them into a multimedia installation. For Essen, a further chapter was added to Conflict, Time, Photography exploring reports on the Ruhr region and Rhineland immediately after the end of the Second World War. At that time local and regional photographers including Albert Renger-Patzsch, Willy van Heekern and Ruth Hallensleben, as well as foreign photojournalists such as René Burri and Margaret Bourke-White, cast their gaze on the destroyed cities and their inhabitants. Their pictures not only present highly diverse perspectives, but also reveal the different aims pursued with the photo reportages. On the one hand we see the suffering of the civilian population among the piles of rubble, on the other a critical evaluation of German society, which found itself confronted with the consequences of Nazi war policy.
Artists: Jules Andrieu, Pierre Antony-Thouret, Nobuyoshi Araki, Archive of Modern Conflict, George N. Barnard, Margaret Bourke-White, Frank Breuer, Adam Broomberg, Oliver Chanarin, René Burri, Hermann Claasen, Luc Delahaye, Chloe Dewe Mathews, Ken Domon, Matsumoto Eiichi, Hugo Friedrich Engel, Roger Fenton, Toshio Fukada, Jim Goldberg, Ruth Hallensleben, Rudolf Herz, Dieter Hinrichs, Kenji Ishiguro, Kikuji Kawada, János Kender, Peter Kleu, An-My Lê, Jerzy Lewczyński, Emeric Lhuisset, Agata Madejska, Diana Matar, Don McCullin, Susan Meiselas, Angela Milden, Simon Norfolk, João Penalva, Richard Peter, Walid Raad, Jo Ractliffe, Albert Renger-Patzsch, Sophie Ristelhueber, George Rodger, Julian Rosefeldt, August Sander, Hrair Sarkissian, Michael Schmidt, Karl Hugo Schmölz, Ursula Schulz-Dornburg, Indrė Šerpytytė, Stephen Shore, Harry Shunk, Taryn Simon, Josef Stoffels, Wolf Strache, Shomei Tomatsu, Hiromi Tsuchida, Willy van Heekern, Nick Waplington, Franz Wiese, Jane Wilson, Louise Wilson, Sasaki Yuichiro
Organised by Tate Modern, London in association with Museum Folkwang, Essen and Staatliche Kunstsammlungen, Dresden.
WU MING + TERRAPROJECT = 4. UN VIAGGIO DI FOTOGRAFIE E RACCONTI
Inaugurazione mostra venerdì 8 maggio ore 19.30 anticipata dalla presentazione editoriale alle 18.30 dei libri “4” di TerraProject e di “Hotel Immagine” di Simone Donati. Intervengono Michele Borzoni e Simone Donati, modera l’incontro Emiliano Mancuso. L’esperienza esplorativa di TerraProject e Wu Ming è racchiusa nella metafora dei quattro elementi – aria, acqua terra, fuoco – linee guida nella costruzione di immagini di vulcani, impianti industriali, coste, città fratturate e personaggi immaginari. Alle 18.30 Simone Donati Presenterà il libro Hotel Imma I quattro capitoli del progetto – aria, acqua, terra, fuoco – sono dunque il frutto di un processo di selezione collettiva, un nuovo punto di partenza, quattro nuclei dentro i quali Wu Ming 2 si è orientato nella costruzione di quattro racconti.
Cremona, novembre 2010. La nuova zincheria di Arvedi. La società siderurgica è tra i principali responsabili dell’inquinamento atmosferico della città.
Ancona, luglio 2009. Scaletta sulla spiaggia cittadina del Passetto.
Isola di Vulcano, ottobre 2008. Vapori sulfurei sul cratere del vulcano.
Gibellina Vecchia, maggio 2009. Resti di una abitazione a 20 chilometri dalla città nuova.
Questo nuovo organismo fatto di parole e figure diventa un dispositivo che sposta la mera natura documentaria portandoci in un territorio altro, letterario e non solo geografico, fatto di una narrazione punteggiata da precisi riferimenti visivi che diventano i protagonisti di nuove storie. La natura della rappresentazione fotografica si apre a nuove possibilità espressive, 4 diventa un lavoro a più mani che ha un nuovo ritmo fatto di scrittura e immagine integrate. Il progetto è diventato anche un libro illustrato a cura di Renata Ferri e con il design di Ramon Pez. Un progetto editoriale, completamente autoprodotto, in cui i due linguaggi – immagine e parola – sono intrinsecamente incastrati uno nell’altro. Per maggiori informazioni è online la pagina http://www.terraproject.net/quattro.
INFO MOSTRA QUI Dall’11 al 28 maggio 2015 Inaugurazione: venerdì 8 maggio ore 19.30 Orari mostra: dal lunedì al venerdì 10.30 – 13.30 / 14.30 – 19 sabato e domenica chiuso Via Giuseppe Libetta, 1 – Roma of@officinefotografiche.org
Fotografi Magnum/Contrasto per i Cluster di Expo Milano 2015
l Tema di Expo Milano 2015 “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” rappresenta una fotografia planetaria – una immagine istantanea, precisa quanto variegata – di tutte le declinazioni possibili dell’alimentazione nel globo e, allo stesso tempo, di tutte le problematiche connesse alla sostenibilità, alla sicurezza, alla disponibilità del cibo per tutti gli abitanti del globo. La fotografia di conseguenza, tra le proposte della visitor experience, è il media che meglio interpreta la visione e la finalità dell’Esposizione Universale evidenziando e narrando gli aspetti più diversi dal reportage all’antropologia, dalla visione della natura a quella dell’arte. Il suo ruolo sempre più rilevante nella società come documento della realtà, come mezzo di comunicazione e come linguaggio artistico contemporaneo testimonia la capacità di portare verso il grande pubblico temi di grande importanza per il pianeta creando emozione e riflessione con un linguaggio artistico evocativo di forte empatia. I progetti dedicati alla fotografia di Expo Milano 2015 – dai Cluster del sito espositivo all’Area tematica “Arts & Foods. Rituali dal 1851” alla Triennale di Milano sino ai numerosi Festival e iniziative sia italiane che europee – sono stati presentati oggi all’Agorà del Castello Sforzesco da Giuseppe Sala, Commissario Unico Delegato del Governo per Expo Milano 2015 e Amministratore Delegato di expo 2015 SpA, James Msekela, Commissario Generale e Ambasciatore della Tanzania a Roma, Andrea Illy, Presidente e Amministratore Delegato di illycaffè SpA, Roberto Koch, Fondatore e Direttore di Contrasto, Ferdinando Scianna, fotografo Magnum Photos, Irene Kung, fotografa Contrasto, Enrico Deluchi, Amministratore Delegato Canon Italia SpA. “Le nove mostre fotografiche all’interno degli spazi comuni dei Cluster – ha affermato Giuseppe Sala – saranno uno dei fiori all’occhiello dell’offerta culturale di Expo, grazie al contributo di illy, che per primo ha portato Salgado, e alla collaborazione di Expo con Magnum/Contrasto, che ha costruito una grande mostra, con otto fotografi di fama internazionale chiamati a mostrare il loro sguardo con otto lavori originali sui temi specifici di ciascun Cluster”. James Msekela è intervenuto sull’importanza dei Cluster per i Paesi e sui caratteri innovativi di questo progetto collettivo di Expo Milano 2015 – che vede la Tanzania presente con un Padiglione di 125 metri quadrati all’interno del Cluster delle Spezie – oltre che sulla capacità attrattiva di queste straordinarie immagini fotografiche che aggiungono valore alla visita del pubblico rendendola unica e indimenticabile. “Magnum Photos e Contrasto sono davvero orgogliosi e lieti di portare la grande fotografia a Expo Milano 2015 – ha detto Roberto Koch – La collaborazione, avviata fin dall’inizio del 2014 e portata avanti con grande entusiasmo, ci ha permesso di realizzare un progetto con alcuni dei più importanti fotografi del mondo, ognuno dei quali si è impegnato a produrre immagini sui diversi temi dei Cluster. Molte produzioni speciali sono state realizzate in tutto il mondo, dalle Isole Oceaniche all’Asia, all’Africa, all’Europa, con i fotografi di Magnum (e non solo), con il lavoro di Gianni Berengo Gardin, Irene Kung, Joel Meyerowitz, Martin Parr, Alessandra Sanguinetti, Ferdinando Scianna, George Steinmetz, e Alex Webb. Una occasione imperdibile per mettere al centro di Expo la grande fotografia di documentazione d’autore, nella magnifica tradizione di Magnum Photos, consolidata nel mondo da 70 anni. Siamo grati a Expo e a Matteo Gatto di questa opportunità e orgogliosi che Milano, capitale del mondo durante Expo, sia anche il luogo di affermazione della grande fotografia, come insostituibile racconto del mondo.” Il progetto di mostre fotografiche sui temi dei Cluster di Expo Milano 2015 è stato realizzato da nove grandi autori della fotografia contemporanea – Ferdinando Scianna, Martin Parr, Gianni Berengo Gardin, Alex Webb, Irene Kung, Alessandra Sanguinetti, Joel Meyerowitz, George Steinmetz, Sebastião Salgado – che li hanno interpretati con linguaggi personali differenti per avvicinare e coinvolgere gli oltre venti milioni di visitatori attesi da tutto il mondo. Nove eventi artistici di grande qualità e richiamo mediatico, nove installazioni prodotte per questa occasione e pensate con un impianto scenografico dove i valori informativi sappiano emergere in un percorso immediato e attrattivo. Le filiere alimentari al centro dei nove Cluster sono Cacao, Caffè, Cereali-Tuberi, Frutta – Legumi, Isole Oceaniche, Biomediterraneo, Riso, Spezie, Zone aride e a ciascuna sarà dedicata una mostra fotografica che guiderà il pubblico nella conoscenza delle modalità con cui le diverse coltivazioni e il lavoro dell’uomo nutrono il pianeta e i suoi abitanti fornendo la vera ed essenziale energia del futuro. Cluster Riso. Terre di Riso: la Pianura Padana e altre piantagioni di riso immortalate dagli scatti dell’italiano Gianni Berengo Gardin, maestro della fotografia internazionale, che ha indagato per anni la coltura e la raccolta del riso, dalle valli del Piemonte e della Lombardia alla Cina e alla Francia.
Cluster Frutta – Legumi – Il giardino delle meraviglie: la svizzera Irene Kung attraverso le sue fotografie artistiche mostrerà la straordinaria bellezza degli alberi da frutta e dei legumi.
Cluster Cereali – Tuberi: la varietà delle diverse specie di Pane del mondo immortalate dall’americano Joel Meyerowitz con delle installazioni prodotte appositamente.
Cluster Cacao. Il cioccolato: il cioccolato prodotto, consumato e venduto in tutto il mondo grazie allo sguardo dell’inglese Martin Parr, Presidente di Magnum, che nel corso dei suoi viaggi, è stato testimone del consumo e della varietà con cui il cacao attraversa la vita di tutti gli abitanti del pianeta.
Cluster Caffè: il grande fotografo brasiliano Sebastião Salgado, ha lavorato negli ultimi dieci anni fotografando la coltivazione, la raccolta, l’essiccamento, la selezione e il trasporto del caffè, in vari paesi del mondo, con un racconto lirico ed epico degli uomini e delle donne che lo producono.
Cluster Isole del Pacifico: La natura primigenia, l’esotismo. La carnalità della Natura viste dall’americana Alessandra Sanguinetti di Magnum che mostrerà la vita delle famiglie nelle Isole Oceaniche, con tre storie diverse realizzate negli Oceani Atlantico, Pacifico e Indiano.
Cluster Biomediterraneo: la cultura, la storia, il paesaggio illustrati attraverso le fotografie di Ferdinando Scianna, fotografo italiano di Magnum che del racconto del Mediterraneo ha fatto oggetto della ricerca artistica di tutta la sua vita, a partire dalle sue origini siciliane ed esplorando altri paesi per documentare la cultura, la vita e i riti che la accompagnano.
Cluster Zone Aride- In volo sui deserti: l’americano George Steinmetz, mostrerà le Zone Aride del mondo dall’alto, attraverso un suo speciale deltaplano costruito appositamente, con delle magnifiche visione di queste zone in molti casi riadattate alla fertilità e alla coltivazione di prodotti agricoli.
Cluster Spezie. La Via delle Spezie: l’americano Alex Webb, membro di Magnum e sognante interprete della fotografia di viaggio e uno degli autori più in vista del National Geographic, racconterà la grande varietà selle spezie attraverso un itinerario che lo porterà a ripercorrere l’antica Via delle Spezie e i mercati dell’Asia.
Martedì 12 maggio alle ore 19.30 presso la Leica Galerie Milano (Via Mengoni, 4 – angolo Piazza Duomo), Leica Camera Italia inaugura la mostra “The Western Front” del celebre fotoreporter statunitense Stanley Greene, dal 2007 fondatore e membro dell’agenzia NOOR. L’esposizione, realizzata in collaborazione con aBcM – agenzia milanese che da anni sviluppa e produce progetti speciali dedicati alla fotografia d’autore -, per la prima volta in Italia offre ai visitatori la più importante edizione del lavoro di Greene con una selezione di 27 scatti, un lavoro unico sulla scena musicale punk a San Francisco negli anni ’70 e ‘80. Stanley Greene, fotoreporter di fama internazionale, nasce nel 1949 a Brooklyn (New York).Si avvicina al fotogiornalismo nel 1989, anno in cui il suo scatto “Kisses to All, Berlin Wall” diventa il simbolo indiscusso della caduta del Muro di Berlino. Nel corso della sua carriera documenta alcuni dei maggiori conflitti mondiali: dalla Georgia all’ Iraq, fino a Somalia, Kashmir, Libano e Ruanda. E’conosciuto in tutto il mondo in particolare per il suo reportage dedicato alla guerra in Cecenia, diventato poi un celebre libro (Open Wound). E’ inoltre vincitore del prestigioso Eugene Smith Humanistic Grant e del Getty Award for Editorial Images del 2011.
Per l’occasione, il fotografo sarà presente alla serata di inaugurazione.
Sebastião Salgado Profumo di Sogno. Viaggio nel mondo del Caffè
In mostra a Venezia le immagini di Sebastião Salgado per Illy A cura di Lélia Wanick Salgado
Per la prima volta, dal 6 maggio al 27 settembre 2015, la mostra di Sebastião Salgado per illy, dal titolo PROFUMO DI SOGNO. Viaggio nel mondo del Caffè, sarà proposta alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, con la collaborazione di Contrasto. La mostra è a cura di Lélia Wanick Salgado. La mostra, allestita negli spazi di Piazza San Marco, si compone di una selezione di 75 scatti più rappresentativi del viaggio fotografico compiuto dal grande maestro insieme a illy per omaggiare gli uomini e le donne del caffè: una storia di persone, di paesaggi, di rapporto armonioso con la terra raccontata attraverso immagini in bianco e nero dal forte impatto espressivo, evocativo ed emozionale. “PROFUMO DI SOGNO. Viaggio nel mondo del Caffè” si propone così come il più grande reportage mai realizzato prima dedicato al mondo del caffè. Dal 2003 ad oggi Salgado ha documentato negli anni dieci Paesi da cui illy acquista il caffè: Brasile, India, Indonesia, Etiopia, Guatemala, Colombia, Cina, Costa Rica, El Salvador e Tanzania.
L’anteprima dedicata alla stampa si svolgerà martedì 5 maggio 2015 dalle 11:00 alle 13:00 presso la Fondazione Bevilacqua LaMasa, Piazza San Marco 71/c – Venezia, alla presenza del grande fotografo Sebastião Salgado. La mostra è accompagnata anche dal libro pubblicato da Contrasto “PROFUMO DI SOGNO. Viaggio nelmondo del Caffè”, che racconta il viaggio nelle piantagioni di caffè attraverso le immagini del grande fotografo umanista e le parole di Andrea Illy, Luis Sepulveda, Angela Vettese e lo stesso Sebastião Salgado. Il libro è curato da Lélia Wanick Salgado, moglie del fotografo.
Brasiliano di origine, narratore del mondo per passione, Sebastião Salgado conosce bene la vita dei coltivatori di caffè, avendoli osservati fin dall’infanzia: nato nel 1944 in una numerosa famiglia dello Stato interno del Minas Gerais in Brasile, luogo da cui suo padre trasportava il caffè verso i porti lungo la costa, in seguito economista alla International Coffee Organization, ha scelto negli anni di farsi testimone dello sviluppo sostenibile del pianeta.
Sebastião Salgado. Profumo di Sogno – Viaggio nel mondo del Caffè Fondazione Bevilacqua La Masa, piazza San Marco, 71/c – Venezia 6 maggio – 27 settembre 2015
Michael Kenna è un fotografo forse ancora non diffusamente conosciuto in Italia, nonostante sia da anni apprezzato dagli addetti ai lavori di tutto il mondo. I suoi soggetti sono la natura, i tesori architettonici, le città e le aree industriali, che si ammantano di una propria bellezza inquietante anche nel caso più eclatante delle centrali nucleari. Michael Kenna guarda a questi luoghi da inaspettati punti di vista fisici e mentali e lo fa muovendosi in certi momenti della giornata in cui la luce deve ancora manifestarsi completamente a plasmare i soggetti.
La mostra fa parte del Circuito OFF di Fotografia Europea
Galleria 13 – arte moderna e contemporanea via Roma 34/B Reggio Emilia