Mostre di fotografia in programma a ottobre

Ciao a tutti!

E’ quanto mai ricco il calendario delle mostre da vedere ad ottobre.

Spero ne troviate qualcuna di vostro interesse.

Ciao

Anna

Don’t let my mother know

Sara Munari

Mi chiamo Sara Munari, sono nata nel 1930 a Milano, in Italia.

La mia famiglia è emigrata a New York l’anno successivo. Quasi per caso, a 18 anni, inizio a lavorare per l’Ente spaziale Americano, che allora si chiamava Naca (National Advisory Committee for Aeronautics) formata nel 1915 e nata per supervisionare e gestire gli studi scientifici legati al ‘volo’. Nel 1958 fondiamo la Nasa (National Aeronautics and Space Administration) l’agenzia governativa civile responsabile del programma spaziale degli Stati Uniti d’America e della ricerca aerospaziale. Nel 1959 creo un settore personale la RASA (Rational Aeronautics and Space Administration e acronimo del mio nome) che si occupa solo di avvenimenti considerati realmente accaduti perché scientificamente provati (da qui Rational) Io sono quello che viene definito ‘membro occulto’ quindi il mio nome non è mai potuto comparire per ragioni di sicurezza,  così come il settore RASA. Dopo innumerevoli studi, tenuti nascosti fino ad oggi, posso dire di aver scoperto la vita su un altro Pianeta. Il nome che ho dato al pianeta è Musa 23. Gli abitanti sono umanoidi e io mi sono confrontata sempre e solo con uno di loro, l’ho chiamato x23. Sono stata su musa 23 in diverse occasioni. Ho 88 anni, ho piena facoltà di intendere e di volere. Qui ci sono i miei studi e le mie scoperte. Dopo quello che vi mostrerò non avrete più dubbi.

Finalmente posso raccontare tutto.

Sara Munari

Inaugurazione Giovedi 1 Ottobre ore 19.00

Musa fotografia – Via Mentana, 6 – Monza

Solo per un giorno.

Prima, donna. Margaret Bourke-White

Construction workers and taxi dancers enjoying a night out in bar room in frontier town. LIFE magazine’s first photo essay.

Una straordinaria retrospettiva per ricordare un’importante fotografa, una grande donna, la sua visione e la sua vita controcorrente.

La mostra raccoglie, in una selezione del tutto inedita, le più straordinarie immagini realizzate da Margaret Bourke-White – tra le figure più rappresentative ed emblematiche del fotogiornalismo – nel corso della sua lunga carriera. Accanto alle fotografie, una serie di documenti e immagini personali, video e testi autobiografici, raccontano la personalità di un’importante fotografa, una grande donna, la sua visione e la sua vita controcorrente.

Pioniera dell’informazione e dell’immagine, Margaret Bourke-White ha esplorato ogni aspetto della fotografia: dalle prime immagini dedicate al mondo dell’industria e ai progetti corporate fino ai grandi reportage per le testate più importanti come Fortune Life; dalle cronache visive del secondo conflitto mondiale ai celebri ritratti di Stalin e Gandhi, dal Sud Africa dell’apartheid all’America dei conflitti razziali fino al brivido delle visioni aeree del continente americano.

Sarà possibile ammirare oltre 100 immagini, provenienti dall’archivio Life di New York e divise in 11 gruppi tematici – L’incanto delle acciaierieConca di PolvereLifeSguardi sulla RussiaSul fronte dimenticatoNei campiL’India, Sud AfricaVoci del Sud biancoIn alto e a casaLa mia misteriosa malattia – che, in una visione cronologica, rintracciano il filo del percorso esistenziale di Margaret Bourke-White e mostrano la sua capacità visionaria e insieme narrativa, in grado di comporre “storie” fotografiche dense e folgoranti.

L’esposizione rientra ne “I talenti delle donne”, un palinsesto promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano dedicato all’universo delle donne: “I talenti delle donne” intende far conoscere al grande pubblico quanto, nel passato e nel presente – spesso in condizioni non favorevoli – le donne siano state e siano artefici di espressività artistiche originali e, insieme, di istanze sociali di mutamento. Si vuole  rendere visibili i contributi che le donne nel corso del tempo hanno offerto e offrono in tutte le aree della vita collettiva, a partire da quella culturale ma anche in ambito scientifico e imprenditoriale, al progresso dell’umanità. L’obiettivo è non solo produrre nuovi livelli di consapevolezza sul ruolo delle figure femminili nella vita sociale ma anche aiutare concretamente a perseguire quel principio di equità e di pari opportunità che, dalla nostra Costituzione, deve potersi trasferire nelle rappresentazioni e culture quotidiane.

Dal 25 settembre al 14 febbraio 2021 – Palazzo Reale – Milano

LINK

Cindy Sherman at Fondation Louis Vuitton

Cindy Sherman, 45 anni di «selfie»: la fotografia come strategia di genere

The Fondation Louis Vuitton is hosting the first show dedicated to Cindy Sherman since her 2006 solo exhibition at the Jeu de Paume.  “Cindy Sherman at Fondation Louis Vuitton” (initially scheduled for April 2 to August 31, 2020) brings together some 170 works by the artist produced between 1975 and 2020 – more than 300 images from series including Untitled film stills, Rear Screen Projections, Fashion, History Portraits, Disasters, Headshots, Clowns, Society Portraits, Murals, and Flappers, as well as a new set of images presenting male figures and couples.  In a scenography designed in close collaboration with Cindy Sherman, this presentation covers her entire career while also focusing on works she has created since the beginning of the last decade, including a series of very recent and previously unseen works.

To coincide with this retrospective, Fondation Louis Vuitton will present “Crossing Views” a selection of works from its Collection, chosen together with Cindy Sherman. Echoing her work, the installed artworks, spread out over two floors, will be centered on the theme of the portrait and its interpretations across different disciplines and mediums: painting, photography, sculpture, video, installation.  The exhibition brings together some 20 French and international artists of different generations and backgrounds through some 60 works, many of which are being shown for the very first time at the Fondation. 

From 23 September 2020 to 3 January 2021 – Fondation Louis Vuitton – Paris

LINK

CAPA IN COLOR

Curata dall’International Center of Photography (ICP) di New York, presenta per la prima volta al grande pubblico le fotografie a colori di Robert Capa.

Per la prima volta in Italia, i Musei Reali presentano una raccolta di oltre 150 immagini a colori del grande fotografo. 

L’esposizione è nata da un progetto di Cynthia Young, curatrice della collezione al Centro Internazionale di Fotografia di New York, per illustrare il particolare approccio di Capa verso i nuovi mezzi fotografici e la sua straordinaria capacità di integrare l’uso del colore nei reportage realizzati tra il 1941 e il 1954, anno della morte.

La mostra è organizzata dai Musei Reali con il Centro Internazionale di Fotografia di New York e Ares Torino.

Dal 26 Settembre 2020 al 31 Gennaio 2021 – Musei Reali Torino – Sale Chiablese

LINK

ROBERT DOISNEAU

Il più bel bacio della storia della fotografia? Impossibile, certo, stabilirlo.
Ma è certo che un posto sul podio spetta all’immagine di questa giovane coppia, indifferente alla folla dei passanti e al traffico della place de l’Hôtel de Ville di Parigi.
L’autore è Robert Doisneau, il grande maestro della fotografia cui Palazzo Roverella renderà omaggio nell’autunno 2020 attraverso una mostra originale, capace di rivelare al pubblico delle opere la cui vocazione è, appunto, catturare momenti di felicità come questo.
Insieme a Henri Cartier-Bresson, Doisneau è considerato uno dei padri fondatori della fotografia umanista francese e del fotogiornalismo di strada. Con il suo obiettivo cattura la vita quotidiana degli uomini e delle donne che popolano Parigi e la sua banlieue, con tutte le emozioni dei gesti e delle situazioni in cui sono impegnati.
Il suo è un racconto leggero, ironico, che strizza l’occhio con simpatia alla gente. Che diventa persino teneramente partecipe quando fotografa innamorati e bambini.
“Quello che cercavo di mostrare era – ricorda l’artista – un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere. “
“Mi piacciono – continua – le persone per le loro debolezze e difetti. Mi trovo bene con la gente comune. Parliamo. Iniziamo a parlare del tempo e a poco a poco arriviamo alle cose importanti. Quando le fotografo non è come se fossi lì ad esaminarle con una lente di ingrandimento, come un osservatore freddo e scientifico. È una cosa molto fraterna, ed è bellissimo far luce su quelle persone che non sono mai sotto i riflettori.”
“Il fotografo deve essere come carta assorbente, deve lasciarsi penetrare dal momento poetico. La sua tecnica dovrebbe essere come una funzione animale, deve agire automaticamente.”

Doisneau nasce nel 1912 nel sobborgo parigino di Gentilly, la sua formazione come fotografo nasce dall’apprendistato nel laboratorio di un fotografo pubblicitario. Ma la sua attenzione si trasferisce presto ai quartieri popolari di Parigi e della banlieue, immagini che cominciano a comparir sulle riviste attraverso l’agenzia Rapho, di cui è uno dei membri più importanti. Poi la guerra lo spinge a mettersi a disposizione della resistenza per dare nuova identità ai ricercati. Dopo la Liberazione, ecco alcuni reportages per “Vogue” e, nel ’49 il libro realizzato in collaborazione col suo sodale, il celebre scrittore Blaise Cendrars, La Banlieue de Paris, la prima sintesi dei molti racconti per immagini che dedicherà a questo mondo. Doisneau ne descrive la quotidianità, componendo un racconto visivo in cui si mescolano una profonda umanità e una nota di umorismo, sempre presente nel suo lavoro.

Dal 26 Settembre 2020 al 31 Gennaio 2021 – Rovigo -Palazzo Roverella

LINK

Le mostre del Festival della Fotografia Etica di Lodi

L’undicesimo anno è, per il Festival della Fotografia Etica di Lodi, il momento di mutare pelle e rinnovarsi. E succede in un anno, il 2020, in cui molto è cambiato e sta cambiando a livello globale, come raramente è capitato nei tempi moderni.
Sguardi sul nuovo mondo è infatti, e non a caso, la lente attraverso la quale pensare a questa nuova edizione in cui saremo come esploratori appena giunti su terre sconosciute. Il linguaggio attraverso cui conoscere i fatti e le dinamiche del nuovo mondo sarà, come sempre, quello universale della fotografia. Con l’obiettivo di tendere non tanto a un giudizio definitivo sulle cose del mondo, quanto alla comprensione della sua complessità. Magari ponendo il dubbio su opinioni e certezze che avevamo fino a poco prima.

Ecco un assaggio di cosa vi attenderà a Lodi, in attesa del programma definitivo.

Cuore del Festival, il World Report Award. Sei le sezioni che lo comporranno, con i relativi vincitori scelti dalla Giuria composta da Alberto Prina – Festival della Fotografia Etica, Aldo Mendichi – Festival della Fotografia Etica, Sarah Leen- Ex Photo Editor del National Geographic, Peter Bitzer, Direttore dell’agenzia Laif.
A partire dalla categoria MASTER, vinta dal russo Nikita Teryoshin con Nothing Personal – the back office of war, viaggio nel dietro le quinte del business mondiale della difesa e il back office della guerra; la categoria SPOTLIGHT va alla britannica Mary Turner e alla sua Dispossessed, racconto dei problemi sociali del nord-est dell’Inghilterra a causa della crisi dell’industria carbone; la sezione SINGLE SHOT con lo scatto singolo di Francesca Mangiatordi sull’infermiera di Cremona; la categoria SHORT STORY è stata vinta dall’italiana Rosa Mariniello con Vitiligo, racconto intimo nel mondo della vitiligine; il tedesco Ingmar Björn Nolting si è aggiudicato la categoria STUDENT con il lavoro Measure and Middle – a journey through Germany during the COVID-19 Pandemic, un viaggio che racconta la Germania durante il lockdown; infine la categoria MADRE TERRA, che è anche lo spazio tematico del Festival, vinta dall’italiano Dario De Dominicis con To the Left of Christ, che ci porta nella baia di Guanabara, il porto naturale di Rio de Janeiro, dove lo sviluppo industriale si sta accaparrando il territorio a discapito della pesca tradizionale.

Madre Terra sarà anche il nome del nuovo spazio che racchiude tre reportage sul tema: Pablo Ernesto Piovano con l’intensa The awakening of ancient voices, in cui storia racconta la lotta per la propria sopravvivenza della comunità Mapuche in Sudamerica; il pluripremiato fotografo canadese Aaron Vincent Elkaim con A State of Erosion: 2016-2019, che racconta le difficoltà delle comunità dei nativi nella provincia di Manitoba, in Canada, a seguito della crisi del settore idroelettrico; infine l’olandese Jasper Doest con Flamingo Bob, bellissima storia di un fenicottero rosso divenuto testimonial ufficiale FDOC. Queste mostre saranno all’aperto, negli spazi pubblici della città. La fotografia esce quindi dai palazzi e dalle sedi espositive per incontrare il pubblico nelle strade e nei parchi.

Ma tornando al sottotitolo dell’edizione di quest’anno, grande attenzione sarà per la sezione Uno Sguardo sul Mondo che propone quattro percorsi: due sono proposti da AFP che attraverso lo sguardo di diversi fotografi andrà a raccontare il Covid nel mondo e le recentissime proteste ad Hong Kong; il britannico Andrew Testa, invece, con la sua A nation divided racconterà, tra il 2015 e il 2020, l’Inghilterra al tempo della Brexit; l’australiano Matthew Abbott ci porta nella Black Summer, ossia la stagione degli incendi che ogni anno devasta violentemente l’entroterra della sua isola.

Uno spazio del tutto nuovo sarà Storie di Coraggio, che ospiterà due mostre di grande impatto: la fotografa americana Maggie Stebber, che ha documentato il primo trapianto facciale negli Stati Uniti ad una paziente molto giovane; il neozelandese Robin Hammond con un importante lavoro sulle questioni di genere.

Il mondo delle organizzazioni umanitarie sarà piuttosto articolato: a partire dalla mostra del fotografo Alessio Romenzi che ha seguito Medici Senza Frontiere in azione proprio nel Lodigiano durante l’emergenza Covid.
Sono previsti altri spazi per ONG che utilizzano la fotografia come strumento di comunicazione.

Immancabile l’appuntamento con il Premio Voglino che quest’anno è stato assegnato al torinese Giorgio Negro e al suo Pathos, che racconta la dualità Bene e Male, che è sempre affilata durante il tempo di guerra che il fotografo ha sperimentato in prima persona.

Altra importante novità di quest’anno, il coinvolgimento e il sostegno del Comune di Codogno, prima città della zona rossa. Attraverso la collaborazione con Roma Fotografia e il magazine Il Fotografo sarà raccontato l’impatto del virus che ha cambiato il pianeta attraverso storie che offriranno una visione globale e una locale del periodo storico che stiamo vivendo.

Contemporaneamente al Festival si svolgerà FFE OFF, un circuito di mostre fotografiche, esposte in negozi, bar, ristoranti, gallerie, circoli culturali e aree pubbliche della città.

Dal 26 settembre al 25 ottobre – Lodi e Codogno – sedi varie

LINK

Ren Hang, photography

La Fondazione Sozzani presenta “Ren Hang, photography” per la prima volta a Milano. Con oltre ottanta fotografie, video, libri e riviste, la retrospettiva è dedicata a uno dei più importanti fotografi della Cina contemporanea, tragicamente scomparso nel 2017 a soli ventinove anni. La fotografia di Ren Hang è un inno all’uomo, al suo corpo, alla sessualità, alla bellezza e alla vulnerabilità. Le sue immagini mettono in relazione i sentimenti, i desideri, le paure e la solitudine delle giovani generazioni in Cina in modo quasi ironico, attraverso la loro corporeità. Il nudo è al centro del suo lavoro perché, racconta Ren: “gli esseri umani vengono al mondo nudi, quindi il corpo nudo rappresenta la versione originaria delle persone. Fotografando nudi, si coglie l’esistenza più reale e autentica”.

13 settembre 2020 – 29 novembre 2020 – Galleria Sozzani – Milano

LINK

Le mostre di Colorno Photo Life

“Il Tempo, intorno a noi”, questo il tema dell’edizione 2020 di ColornoPhotoLife la manifestazione dedicata alla fotografia allestita nella Reggia di Colorno dal 12 settembre all’ 8 novembre. .

Nel piano nobile torna la grande fotografia con gli scatti di importanti fotografi del panorama nazionale e internazionale; un grande fotografo emiliano Franco Fontana e le sue immagini della Route 66 saranno i protagonisti insieme all’ inglese Michael Kenna con il nuovo e inedito progetto dedicato al Po. Entrambe le mostre sono a cura di Sandro Parmiggiani.

Il festival fotografico giunto all’undicesima edizione è organizzato dal Circolo Fotografico Color’s Light e da Antea. Progetti e Servizi per la Cultura e il Turismo grazie alla collaborazione con la Provincia di Parma, il patrocinio del Comune di Colorno e il sostegno di importanti istituzioni cittadine.

12 settembre al 8 novembre 2020 – Franco Fontana “Route 66”

16 ottobre al 8 novembre 2020 – Michael Kenna “Fiume Po”

Reggia di Colorno (PR)

Attraversare l’immagine
Donne e fotografia tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta

La Biennale Donna è lieta di comunicare le nuove date e la nuova sede in cui si svolgerà la XVIII edizione della manifestazione.
La mostra Attraversare l’immagine. Donne e fotografia tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, a cura di Angela Madesani, inizialmente prevista in aprile, sarà allestita presso i suggestivi spazi di Palazzina Marfisa d’Este (Corso Giovecca 170, Ferrara) dal 20 settembre al 22 novembre 2020. 
Presenterà le opere di 13 fotografe italiane e internazionali: Paola Agosti, Diane Arbus, Letizia Battaglia, Giovanna Borgese, Lisetta Carmi, Carla Cerati, Françoise Demulder, Mari Mahr, Lori Sammartino, Chiara Samugheo, Leena Saraste, Francesca Woodman e Petra Wunderlich.
Il progetto si inserisce nella riflessione che dal 1984 lUDI – Unione Donne in Italia, dedica alla creatività femminile in tutte le sue forme e linguaggi. Dopo le mostre che hanno presentato alcune delle artiste più rilevanti della scena internazionale, ultima delle quali Ketty La Rocca (2018), Attraversare l’immagine indagherà il mondo della fotografia al femminile mettendone in luce i filoni di ricerca più originali.
 
Numerose sono state, soprattutto negli ultimi anni, le rassegne dedicate alla fotografia delle donne. Nella maggior parte dei casi si è trattato di esposizioni che hanno presentato le opere di artiste e fotografe senza porre differenze fra i diversi ambiti di ricerca. Attraversare l’immagine invece si concentra sulle fotografe attive in un periodo di impegno politico e sociale portante nella storia del cosiddetto secolo breve, caratterizzato da grandi mutamenti di cui le donne sono state protagoniste.
La mostra si apre con ricerche a sfondo antropologico della fine degli anni Cinquanta per arrivare agli anni Sessanta, che hanno segnato l’avvio di significative lotte in nome di un cambiamento radicale della cultura e della società, per il raggiungimento di libertà individuali e di conquiste democratiche. Raggiungimenti che gli anni Settanta avrebbero estremizzato, animando, sullo sfondo di drammatici conflitti, il rapporto tra politica e cultura. Gli anni Ottanta hanno poi costituito in qualche modo il momento del riflusso: le grandi battaglie condotte per i diritti civili, per l’emancipazione delle classi sociali, delle donne, degli emarginati, sono defluite verso modi diversi di avvertire l’esistenza, soppiantando le pratiche collettive, delle quali l’arte e la fotografia si erano rese interpreti, a favore di un sentire più individuale.
Le fotografe hanno saputo registrare tali cambiamenti, concentrando il proprio sguardo su temi scottanti connessi al sociale, al patrimonio antropologico, alla sfera psicologica.
 
La mostra si apre con l’opera di Diane Arbus (1923-1971), una delle più interessanti artiste della seconda metà del XX secolo, la cui ricerca ha fatto da cerniera, da punto di svolta, a quanto era stato fatto sino a quel momento nel campo dell’immagine. Le sue fotografie hanno come soggetto i mondi paralleli alla normalità, mondi negati, che Arbus riesce a raccontare nella sua verità e crudezza, arrivando a realizzare alcune fra le fotografie più iconiche dei nostri tempi.
Continuando nel percorso espositivo, due sono i lavori che potremmo collocare nell’ambito del fotoreportage tradizionale, con una chiara propensione all’indagine sociale e antropologica. Di Chiara Samugheo (1935), alcune fotografie di ambito neorealista, parte della serie dedicata alle tarantate salentine della fine degli anni Cinquanta. Di Lori Sammartino (1924-1971), le fotografie tratte da La domenica degli italiani, un volume del 1961, corredato da un testo di Ennio Flaiano, che racconta un’Italia semplice negli anni precedenti il boom economico.
Presente una selezione di opere da Morire di classe di Carla Cerati (1926-2016), pubblicato nel 1969 con Gianni Berengo Gardin per Einaudi. Una delle ricerche più significative e conosciute dell’artista, che ha contribuito a mutare la situazione manicomiale nel nostro Paese.
Di grande forza le immagini di Letizia Battaglia (1935), che in sessant’anni di ricerca ha indagato potere criminale, prepotenza e corruzione in Sicilia, di cui sono esposte una serie di fotografie dedicate al mondo femminile.
La mostra propone anche riflessioni dedicate ai mondi extraeuropei: due reportage di guerra ambientati in Libano e in Cambogia della francese Françoise Demulder (1947-2008), la prima donna a vincere nel 1977 il World Press Photo, il più prestigioso premio fotografico del mondo; mentre della finlandese Leena Saraste (1942) sono presentate le immagini dedicate alle “rovine” umane e architettoniche del conflitto israelo-palestinese dell’inizio degli anni Ottanta.
Impegnata nella documentazione del mutamento della condizione femminile è Paola Agosti (1947), tra le più acute fotogiornaliste italiane, di cui viene presentato un intenso reportage sull’apartheid realizzato negli anni Ottanta in Sudafrica.
È legata al mondo genovese del porto la preziosa indagine di Lisetta Carmi (1924): una ricerca in cui l’uomo, il paesaggio, l’architettura giocano ruoli equivalenti.
Sono dedicati al mondo dell’industria, nel momento della sua trasformazione, anche i partecipati scatti di Giovanna Borgese (1939), in cui i protagonisti sono i lavoratori e gli scioperanti – oltre agli edifici abbandonati, veri e propri esempi di fotografia industriale. 
La ricerca di Petra Wunderlich (1954), di matrice prettamente architettonica, travalica i confini fra generi e temi aprendo nuovi scenari. Le sue opere indagano il paesaggio dell’uomo e, in particolar modo, quelle esposte in mostra, raccontano dettagli di edifici religiosi tra Germania e Belgio.
Di Mari Mahr (1941), fotografa anglo-ungherese, nata in Cile da genitori ebrei ungheresi, è la raffinata serie, di matrice letteraria e artistica, dedicata a Lili Brik, la scrittrice, artista, attrice russa, compagna e musa di Vladimir Majakovskij.
Chiude la rassegna una piccola ma significativa selezione di opere di Francesca Woodman (1958-1981), artista che ha lavorato sul disagio femminile, il proprio, dando vita a immagini di grande forza e poesia.

Dal 20 Settembre 2020 al 22 Novembre 2020 – Palazzina Marfisa d’Este – Ferrara

LINK

LA PROSSIMA IMMAGINE

Apre mercoledì 30 settembre 2020 alle ore 15 a Forma Meravigli, Milano, La prossima immagine, un progetto espositivo prodotto da Contrasto in collaborazione con Fondazione Forma per la Fotografia e Contrasto Galleria. La mostra, che resterà aperta fino al 18 dicembre, raccoglie e mette a confronto una serie di antiche e pregiate albumine dell’Ottocento, provenienti dal Fondo Antonetto di Fondazione Forma per la Fotografia, con le recenti, insolite, colorate elaborazioni digitali del fotografo americano Bill Armstrong.

Forma Meravigli è un’iniziativa di Fondazione Forma per la Fotografia in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi e Contrasto.

30 settembre – 18 dicembre 2020 – Forma Meravigli – Milano

LINK

NELLO SPAZIO FA FREDDO – AA.VV.

Chippendale Studio inaugura il 7 ottobre a Milano la mostra collettiva multimediale Nello spazio fa freddo.
Le case a igloo del quartiere milanese La Maggiolina, dove lo studio ha sede, hanno ispirato i curatori della mostra che, partendo dalla forma semisferica, ne hanno indagato la ricchezza di significati. Igloo quindi non è solo da intendersi come modello abitativo ma soprattutto come struttura elementare capace di contenere diverse valenze. Da quella di cosmo a quella di utero, fonte di vita, da quella di arca portatrice di salvezza a quella di navicella spaziale, cellula di esplorazione.
Sulla base di una mappa concettuale appositamente disegnata dai curatori della mostra, che esplora i possibili significati da loro individuati intorno al concetto di igloo, gli artisti sono stati invitati a dare la propria interpretazione sul tema.
I contributi raccolti riflettono una molteplicità di significati di carattere biologico e cosmologico, ma anche di stampo sociologico, fantascientifico e poetico. Così il titolo dell’esibizione, Nello spazio fa freddo, vuole evocare lo spazio astronomico, popolato da corpi celesti in equilibrio dinamico, e lo spazio fisico, inteso come distanza e isolamento.
Lavorando sull’idea di accumulo, i video, le fotografie e gli oggetti esposti danno origine a un’esperienza ricca di contaminazioni. Il pubblico è invitato a visitare le diverse postazioni dell’esibizione, avendo così la possibilità di sedersi e soffermarsi su ogni diverso contributo, spaziando dalle immagini stampate ai video, dai file audio ai testi autoriali.
Lo spazio espositivo si trasforma così in un archivio dove i documenti sono le opere in mostra e l’eterogeneità dei significati e dei collegamenti ne sono i protagonisti.
Il progetto è sempre aperto a nuovi contributi e si avvale al momento delle opere di oltre settanta artisti.

7 ottobre – 8 novembre 2020 – CHIPPENDALE STUDIO – Milano

LINK

CONDOMINIUM – LOREDANA CELANO

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Condominium è il progetto fotografico che Loredana Celano ha realizzato nei mesi in cui abbiamo dovuto rimanere in casa a causa del Covid 19.
L’autrice vive in un appartamento di una classica casa di ringhiera milanese in cui le abitazioni private si affacciano su spazi comuni condivisi.
La ricerca della Celano si rivolge con una delicatezza e un profondo senso di vicinanza a coloro che abitano accanto a lei (e anche a se stessa). Lo sguardo si muove sicuro alla ricerca di un contatto, almeno visivo, in un momento di privazione e la struttura stessa dell’edificio la asseconda, facilitando l’incontro e la socialità.
Due i rimandi immediati che questo lavoro mi ha suggerito: la fotografia di Robert Doisneau La maison des locataires e il romanzo di Georges Perec La vita Istruzioni per l’uso. Ne Gli inquilini, questo il titolo con cui è conosciuta in Italiano la fotografia, Doisneau dimostra le sue doti di sperimentatore montando sulla facciata di un palazzo gli interni delle diverse abitazioni e la vita quotidiana che vi si svolge.
L’interno portato all’esterno. Anche Perec immagina uno stabile a cui sia stata tolta la facciata rendendo così immediatamente e simultaneamente visibili le stanze interne. Ogni dettaglio concorre alla costruzione del racconto in un’esplorazione continua lungo le stanze del condominio. Calvino, che ha definito iper-romanzo questo di Perec, scrive: “il senso dell’oggi che è anche fatto di accumulazione del passato e di vertigine del
vuoto, la compresenza continua d’ironia e angoscia, insomma il modo in cui il perseguimento d’un progetto strutturale e l’imponderabile della poesia diventano una cosa sola”.
Loredana Celano compone, muovendosi sulla soglia e alternando bianco e nero e colore, una serie di scatti dalla grande potenza rassicurante e amorevole. Sono finestre e sedie vuote, ringhiere e scale, ritratti. È il dentro e il fuori, il lavoro e l’attesa, la paura e il sorriso, il riposo e l’attività. La quotidianità di ognuno, uguale e differente, l’universale e il particolare. È la vita che scorre. Quando tutto sembra bloccato, quando le strade sono vuote e le persone in casa, si sente forte il silenzio e il battito del cuore.
L’esposizione propone una serie di connessioni (formali, di significato o libere associazioni) e si sviluppa lungo i muri dell’ingresso del condominio stesso e nel cortile. Un omaggio dell’autrice ai suoi vicini di casa.
A cura di Laura Davì

Dal 7 al 31 ottobre – via Resegone, 3 – MILANO

INHABITED DESERTS – John R. Pepper

Lo splendido scenario del centro storico di Todi ospita, dal 3 ottobre al 28 novembre, la mostra fotografica di John R. Pepper dal titolo “Inhabited Deserts”, allestita negli spazi Museo civico e Pinacoteca e nel Complesso del “Nido dell’Aquila”.

In 53 immagini analogiche della sua Leica M6, stampate in grande formato in bianco e nero, senza artifici in post-produzione, John R. Pepper narra il suo viaggio nei più remoti deserti del mondo, facendo scoprire al visitatore della mostra, che lo segue in questa sua formidabile avventura, qualcosa di nuovo su se stesso. Il percorso espositivo è accompagnato da video sul backstage del fotografo, con interviste alle guide che lo hanno accompagnato e ai personaggi incontrati. Un “dietro le quinte” attraverso cui il visitatore potrà comprendere il complesso processo creativo fotografico di Pepper, dai preparativi, allo scatto e alla stampa, condividendo così la piena esperienza dell’artista come se fosse la propria.

 “I deserti hanno sempre affascinato i fotografi” – dicePepper – “La ragione che spesso li porta lì è catturare la bellezza del paesaggio. Una bella sfida, ma non era quello che cercavo: io volevo andare oltre. La mia idea, il mio intento, è stato usare il deserto come il pittore sfrutta la verginità di una tela bianca. Ho cercato di scoprire quali immagini si offrivano al mio sguardo – a volte erano visioni figurative, altre volte astratte e la simbiosi tra il paesaggio che avevo davanti e le immagini sepolte dentro di me. Alla fine di questa ricerca subliminale, la mia fotografia, la mia “tela”, si fa espressione del mio essere profondo, delle mie percezioni di artista”.

Tre anni di lavoro, 18.000 chilometri percorsi nei deserti di Dubai, Egitto, Iran, Israele, Mauritania, Oman, Russia e Stati Uniti, hanno permesso a Pepper di scoprire luoghi che esprimono complessità e diversità emotive oltre che geografiche. Un viaggio soprattutto interiore che emerge dai silenzi delle immagini e palesa la scoperta di quanto questi accomunino l’umanità in incontri intensi e profondi. La mostra “Inhabited Deserts” arriva a Todi dopo aver debuttato nel 2017 a Parigi in occasione della fiera Paris-Photo e compiuto un ciclo espositivo che ha toccato Teheran, Dubai, San Pietroburgo e Tel Aviv dove ha rappresentato l’Italia alla sesta edizione del festival “Photo Is:Rael”.

Dal 3 ottobre al 28 novembre – Museo civico e Pinacoteca Todi

MERISTA’Fatima Bianchi e Ilaria Turba

“Meristà” è la nuova mostra che dal 17 ottobre 2020 Casa Testori dedicherà all’arte contemporanea nel ciclo Pocket Pair. Curata da Giulia Zorzi, presenta il lavoro di due artiste visuali, Ilaria Turba e Fatima Bianchi. Entrambe prendono spunto da elementi della vita personale e familiare e innescano un dialogo incrociato fra di loro che, seguendo i diversi ambienti della casa, la storia del luogo e delle persone che lo hanno abitato in passato e intrecciando diversi linguaggi espressivi, rielaborano il proprio ricordo rendendolo universale. Una memoria fertile e generativa dunque: non solo ricordo, ma vero terreno di scoperte e rivelazioni. Da qui il titolo della mostra “Meristà”, parola inventata che ha origine nel termine meristema, che prende spunto dal suo significato: tessuto vegetale le cui cellule sono capaci di dividersi e riprodursi. Un neologismo che è anche omaggio a Giovanni Testori, grandissimo inventore di lingue proprie.

A completare l’esposizione è un lavoro a quattro mani sull’archivio fotografico della famiglia Testori: una selezione di immagini presentata in due letture intrecciate delle due artiste.

Pocket Pair, ciclo di mostre coordinato da Marta Cereda avviato da Casa Testori nel 2018, riprende un’espressione del gioco del poker che indica la situazione in cui un giocatore ha due carte, di uguale valore, e deve scommettere su di esse. Allo stesso modo, i curatori scommettono su talenti emergenti, due artiste/i dal pari valore, per dar vita a una bipersonale di elevata qualità, allestita al pian terreno di Casa Testori dove sono liberi di incontrarsi, anche all’interno delle singole stanze, di farsi visita, di dialogare da vicino.

dal 17 ottobre al 15 novembre – Casa Testori – Novate Milanese

LINK

GIOVANNI GASTEL. THE PEOPLE I LIKE

«Fotografare è una necessità e non un lavoro. Rendere eterno un “incontro” tra due anime, mi incanta e mi fa sentire parte di un tutto».

Il maestro fotografo si svela nella sua più intima autenticità e consacra il “ritratto” opera artistica d’eccellenza. Al pari della cultura umanistica, Gastel restituisce valore all’uomo e dignità al soggetto autonomo e, attraverso i suoi 200 ritratti in mostra, documenta una parte importante del suo lavoro d’artista in oltre quarant’anni di attività.

Modelle, attrici, artisti, operatori del settore, vip, cantanti, musicisti, politici, giornalisti, designer, cuochi fanno parte del caleidoscopio di fotografie esposte senza un ordine preciso, o un’appartenenza ad un determinato settore o categoria. Come lo stesso Gastel afferma: «The people I like racconta il mio mondo, le persone che mi hanno trasmesso qualcosa, insegnato, toccato l’anima».

15 Settembre 2020 – 22 Novembre 2020 – MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo – ROMA

LINK

L’impronta del reale. William Henry Fox Talbot. Alle origini della fotografia

“La fotografia è l’arte di fissare un’ombra” diceva William Henry Fox Talbot (1800-1877), l’inventore della fotografia su carta, al quale le Gallerie Estensi dedicano, dal 12 settembre 2020 al 10 gennaio 2021, “L’impronta del reale. William Henry Fox Talbot. Alle origini della fotografia”. Si tratta della prima grande retrospettiva italiana che documenta l’attività di questo pioniere della fotografia, mettendo a confronto il suo lavoro con quello di altri fotografi, artisti, scienziati, e documentando i suoi legami con l’Italia, in particolare con Modena. 

Attraverso oltre 100 opere esposte, fra cui disegni fotogenici, calotipi, dagherrotipi, incisioni da dagherrotipi, fotografie contemporanee, la mostra ripercorre le esperienze che portarono alla nascita di questa nuova forma di rappresentazione della realtà. La rassegna propone anche la straordinaria corrispondenza autografa tra William Henry Fox Talbot e l’ottico, matematico, astronomo e studioso di scienze naturali modenese Giovanni Battista Amici (1786-1863), mostrando alcuni strumenti scientifici che furono alla base del rapporto fra i due inventori. Talbot intrattenne, infatti, con lo scienziato modenese, considerato il più importante costruttore italiano di strumenti ottici del XIX secolo, una relazione testimoniata da una serie di lettere e da alcune ‘prove fotografiche’ conservate nella Biblioteca Estense, che l’inventore inglese donò ad Amici. Proprio il ritrovamento di questi materiali, avvenuto nel 1977, diede vita a una mostra curata da Italo Zannier che si tenne al Palazzo dei Musei di Modena.

A quarant’anni da quella iniziativa, “L’impronta del reale. William Henry Fox Talbot. Alle origini della fotografia”, curata da Silvia Urbini con Chiara Dall’Olio, in collaborazione con Fondazione Modena Arti Visive e partner del festival Fotografia Europea, rappresenta, quindi, un approfondimento eccezionale dello studio delle collezioni delle Gallerie Estensi, e allo stesso tempo un’esposizione, attualissima, un evento imperdibile per tutti coloro che si interessano alla storia e all’evoluzione della cultura visiva.

12 settembre 2020 – 10 gennaio 2021 – Galleria Estense – Modena

LINK

Il rigore dello sguardo – AAVV

Franco Fontana

L’archivio della Fondazione 3M custodisce opere composte con quel rigore dello sguardo che accomuna immagini realizzate in epoche diverse da autori famosi e da altri più giovani in un panorama che si offre al piacere della visione. Con l’architettura si misurano Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Ferruccio Leiss e autrici dal gusto contemporaneo come Gianna Spirito e Lia Stein. La ricerca di prospettive insolite accosta Gianni Borghesan, Piergiorgio Branzi, Roberto Spampinato a donne dallo sguardo curioso come Chiara Samugheo e Giancarla Pancera. Leggono il paesaggio come spazio dell’essenzialità Franco Fontana, Federico Vender e Mario Finazzi, interpreta la moda Elio Luxardo, gioca con le forme Lucrezia Roda.

1/15 ottobre – Milano – Palazzo Castiglioni

LINK

SGUARDI A FIOR DI PELLE

Nella sua storia, la fotografia non è rimasta immutabile, ma si è di volta in volta trasformata non solo dal punto di vista estetico e stilistico, ma anche da quello tecnico, passando dalle stampe all’albumina a quelle digitali.
Questa mostra raccoglie un panorama di importanti autori italiani e internazionali che si sono misurati dalla seconda metà dell’Ottocento ad oggi con i più diversi generi, dal ritratto al nudo, dal paesaggio al reportage, dallo still life alla ricerca.
L’elemento che lega fra di loro queste fotografie è la capacità di trasformarsi mantenendo la propria identità che è propria di ogni sistema. Proprio come l’azienda farmaceutica Giuliani, che nel video e nel catalogo che accompagnano la mostra racconta la sua storia fatta di profonde innovazioni. 

05 – 25.10.2020 – Centro Culturale di Milano

LINK

SERGEI VASILIEV. RUSSIAN CRIMINAL TATTOO

In occasione dell’apertura della sua nuova sede, ONO arte è lieta di presentare la mostra “Sergei Vasiliev – Russian Criminal Tattoo” una personale del fotografo Sergei Vasiliev dedicata ad una delle sue serie più famose – quella sui tatuaggi dei detenuti delle carceri russe – che è a tutti gli effetti una storia della Russia dagli anni Settanta alla fine dell’era Sovietica raccontata sulla pelle dei suoi cittadini. La mostra è realizzata in collaborazione con l’associazione Amici dell’Ermitage e Francesco Bigazzi.
 
I tattoo dei criminali sono simboli sbiaditi di una vita dedicata al sangue, alla violenza e come nella tradizione di quest’arte sono portatori di un codice ben definito ed accessibile a pochi. Lontano da essere una variegata collezione di disegni e scritte, ogni tatuaggio ha il suo significato e, per chi li sa codificare, possono essere letti come una sorta curriculum vitae. Queste immagini, a volte inquietanti, altre tragiche o irridenti, sono state scattate da Vasiliev che eccezionalmente ottenne l’accesso a più di 30 delle prigioni più dure della Russia in un periodo di oltre 40 anni, che tocca il suo apice negli anni ‘80. Gli uomini nelle foto sono tutti membri di gang, rinchiusi per una varietà di crimini tra cui furto, racket e omicidio: un pugnale al collo significa che il soggetto ha ucciso e avrebbe ucciso di nuovo al giusto prezzo (il numero di gocce di sangue sulla lama indica il numero di omicidi che ha commesso), mentre una rosa sulla spalla significa che ha compiuto 18 anni in prigione.
I bianchi e neri di Vasiliev, e la sua cifra stilistica, raccontano per immagini un mondo nel quale l’isolamento delle persone più che fisico era spesso soprattutto mentale.
 
I tatuaggi criminali hanno, oramai da anni, iniziato a destare interesse e ad influenzare fotografi, registi, scrittori e, più in generale, i creativi occidentali e al tempo stesso hanno riportato alla luce un aspetto della Russia e del suo mondo criminale rimasto segreto almeno fino alla fine dell’Unione Sovietica. Sono infatti a tutti gli effetti un aspetto culturale che contraddistingue il mondo russo, in cui la pelle era forse l’unica vera proprietà privata, e rispecchiano il passaggio non indolore dall’Unione Sovietica alla moderna Russia.

Dal 10 Settembre 2020 al 31 Ottobre 2020 – Bologna – Ono Arte Contemporanea

LINKhttp://www.onoarte.com/

Nell’ombra di un sogno – Mario Mencacci

Circa trenta immagini, riprese nel villaggio di Crespi d’Adda da un punto di vista molto personale, fanno parte della mostra fotografica del toscano Mario Mencacci che si terrà al Castello Visconteo di Trezzo sull’Adda (Mi) dal 3 all’11 ottobre, con il patrocinio dello stesso Comune. 

L’allestimento della mostra è stato realizzato in collaborazione con la CASTELLO SOCIETA’ COOPERATIVA SOCIALE ONLUS, di cui ricorre il 40° anno di attività proprio in questo strano 2020. Le foto esposte, stampate fine art su carta Epson Enhanced Matte 190 g da stampatore professionista e applicate su supporto realizzato a mano, sono esemplari unici e saranno in vendita a scopo benefico a favore della stessa Cooperativa Castello

dal 3 all’11 ottobre – Castello Visconteo di Trezzo sull’Adda (Mi)

Mostre per maggio

Anche a maggio proseguono i festival di fotografia e nuove mostre da non perdere si inaugurano in Italia e all’estero. Date un’occhiata. Sono davvero tante e una più interessante dell’altra.

E non dimenticatevi di controllare sempre la nostra pagina sempre aggiornata con tutte le mostre in corso.

Anna

Berenice Abbott – Topographies

Giovedì 18 aprile al Palazzo delle Paure (piazza XX Settembre 22), si inaugura la mostra dedicata a Berenice Abbott, famosissima fotografa statunitense.

La mostra, curata da Anne Morin e Piero Pozzi, in collaborazione con il Comune di Lecco ed il Si.M.U.L. (Sistema Museale Urbano Lecchese), prodotta e realizzata da Di Chroma Photography e ViDi – Visit Different, presenta 80 fotografie in bianco e nero che ripercorrono le tappe salienti dell’intera produzione artistica della fotografa americana. 

Dagli esordi come assistente del fotografo surrealista Man Ray, dove realizza i primi ritratti, all’impegno nell’elevare i fenomeni scientifici ad opere d’arte mediante il mezzo fotografico, passando per la celebre serie dedicata alla documentazione dei grandi cambiamenti in atto nella New York del 1929, all’epoca della Grande Depressione: questi i punti nodali individuati per riassumere la carriera della Abbott, declinati in apposite sezioni all’interno della mostra.

La mostra, visitabile dal 20 aprile all’8 settembre 2019, apre la stagione delle grandi mostre a Palazzo delle Paure, dopo il successo riscontrato nelle precedenti edizioni dedicate al fotografo Antoine Doisneau e all’Ottocento Lombardo.

Dal 20 aprile all’8 settembre – Palazzo delle Paure – Lecco

Altre info qua

Helmut Newton

Sarà inaugurata mercoledì 17 aprile alle ore 18, presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di San Gimignano, la grande retrospettiva dedicata a Helmut Newton promossa dai Musei Civici del Comune di San Gimignano e prodotta da Opera-Civita con la collaborazione della Fondazione Helmut Newton di Berlino. Il progetto espositivo è di Matthias Harder, curatore della Helmut Newton Foundation di Berlino, che ha selezionato 60 fotografie con lo scopo di presentare una panoramica, la più ampia possibile, della lunga carriera del grande fotografo tedesco.

Apre “idealmente” l’esposizione il ritratto di Andy Wharol realizzato nel 1974 per Vogue Uomo, l’opera più tarda è invece il bellissimo ritratto di Leni Riefenstahl del 2000. In questo lungo arco di tempo Newton ha realizzato alcuni degli scatti più potenti e innovativi del suo tempo. Dei numerosi ritratti a personaggi famosi del Novecento sono visibili circa 25 scatti, tra i quali quello a Gianni Agnelli (1997), a Paloma Picasso (1983), a Catherine Deneuve (1976), ad Anita Ekberg (1988), a Claudia Schiffer (1992) e a Gianfranco Ferrè (1996). Delle importanti campagne fotografiche di moda, invece, sono esposti alcuni servizi realizzati per Mario Valentino e per Tierry Mugler nel 1998, oltre a una serie di importanti fotografie, ormai iconiche, per le più importanti riviste di moda internazionali.

18 aprile – 1° settembre 2019
San Gimignano – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea 

Per info

Le mostre del Brescia Photo Festival – Donne

La terza edizione del Brescia Photo Festival, rassegna internazionale di fotografia con la direzione artistica di Renato Corsini, si terrà a Brescia da giovedì 2 a domenica 5 maggio 2019.

Promosso da Comune di Brescia, Fondazione Brescia Musei e Ma.Co.f. – Centro della fotografia italiana, esplorerà per quattro giornate molteplici aspetti del vastissimo universo femminile affiancando allo sguardo di grandi artisti della fotografia dall’Ottocento a oggi – da Man Ray a Robert Mapplethorpe, da Vanessa Beecroft a Francesca Woodman, da Julia Margaret Cameron a Mihaela Noroc ed Elisabetta Catalano – riflessioni e progetti inediti che indagano la complessità del femminile nella società contemporanea.

Il Museo della città, un antico monastero femminile di origine longobarda, accoglie Da Man Ray a Vanessa Beecroft, un percorso di 9 mostre: un trittico tematico dedicato al rapporto tra donne e obiettivo fotografico; 3 monografichededicate al ritratto dal XIX al XXI secolo; un’installazione che ripercorre la vita e la carriera di oltre trenta fotografe italiane, dall’inizio del secolo ad oggi e due progetti one-off, omaggio a grandi artisti contemporanei.

Il trittico

Donne davanti l’obiettivo, a cura di Mario Trevisan,racconta il nudo femminile con 110 straordinari scatti di artisti di fama internazionale dagli albori della fotografia a oggi, passando dagli anni ’20 e dalla Parigi del periodo surrealista all’America Latina degli inizi del ‘900, non dimenticando il Giappone e la sua cultura. Tra i fotografi in mostra: Marina Abramovic, Vanessa Beecroft, E.J. Bellocq, Bill Brant, Robert Mapplethorpe, Elmut Newton, Man Ray, Peter Witkin, Francesca Woodman (inedita, produzione Brescia Photo Festival).

Dietro l’obiettivo. Fotografe italiane 1965-2018, dalla collezione Donata Pizzi, a cura di Alessandra Capodacqua, conta 100 immagini di 70 tra le più importanti fotografe italiane appartenenti a generazioni e ambiti espressivi diversi, tra cui: Paola Agosti, Marina Ballo Charmet, Letizia Battaglia, Silvia Camporesi, Lisetta Carmi, Gea Casolaro, Anna Di Prospero, Adelita Husni-Bey, Allegra Martini, Paola Mattioli, Marialba Russo, Alba Zari. Attraverso le opere in mostra – da quelle di reportage a quelle più spiccatamente sperimentali – affiorano i mutamenti concettuali, estetici e tecnologici che hanno caratterizzato la fotografia italiana dell’ultimo cinquantennio.

Autoritratto al femminile, a cura di Donata Pizzi e Mario Trevisan, chiude idealmente il trittico e ammicca alla cultura del selfie con 50 opere che non si fermano alla semplice e formale produzione del ritratto ma sono caratterizzate da una forte ricerca nella rappresentazione intimista del soggetto/oggetto. In mostra, tra gli altri, scatti di Marcella Campagnano, Paola De Pietri, Florence Henry e Carolee Schneemann (inedita, produzione Brescia Photo Festival).

Le monografiche

Due le esposizioni dalla collezione di Massimo Minini, entrambe per la prima volta in Italia: Julia Margaret Cameron, con 25 fotografie vintage della storica fotografa inglese, la più importante ritrattista di epoca vittoriana, ed Elisabetta Catalano. Ritratti dell’arte: 30 scatti di una delle più importanti fotografe italiane che, attraverso i ritratti di grandi personaggi del Novecento, si è fatta testimone della storia d’Italia dagli anni Settanta ai giorni nostri.

Un’altra eccezionale prima per il nostro Paese: Mihaela Noroc. The Atlas of Beauty, a cura di Roberta D’Adda e Katharina Mouratidi, con la collaborazione della galleria berlinese f3 – freiraum für fotografie. La fotografa romena – che dal 2013 viaggia in tutti gli angoli del pianeta per catturare, con i suoi scatti, la varietà del nostro mondo, attraverso ritratti di donne – espone a Brescia 44 opere. Il suo Atlante della bellezza è un progetto aperto che, a oggi, conta oltre 2.000 ritratti da più di 50 paesi e che, attraverso volti e storie, testimonia come la bellezza non abbia etnia né confini geografici ridefinendo il concetto di bellezza multiculturale.

Dal 2 maggio all’8 settembre – Brescia

Tutte le informazioni qua

Boys don’t cry

Inaugura venerdì 19 aprile al Centro Internazionale di Fotografia diretto da Letizia Battaglia, “Boys don’t cry”, la mostra a cura di Ludovica Anzaldi.

Boys don’t cry, è il risultato di un progetto che ha coinvolto un gruppo di migranti ospiti del Centro d’accoglienza Asante di Palermo, in un workshop di educazione all’immagine e filmmaking condotto dalla stessa Anzaldi durante la scorsa estate. Un percorso lungo un mese, per sensibilizzare e stimolare il loro sguardo sulla realtà e imparare a esprimersi utilizzando il mezzo fotografico. Durante il workshop ai ragazzi sono stati forniti gli strumenti creativi per imparare a costruire un lavoro foto/video e a comporre immagini per elaborare un racconto: il loro racconto personale. 

L’obiettivo è stimolare i giovani autori, che hanno lavorato in piena libertà, e suscitare nei ragazzi degli sguardi personali, critici e liberi, attraverso uno scambio emotivo e culturale: l’acquisizione di una visione e di una tecnica per esprimersi, consente infatti il superamento di ogni barriera linguistica e culturale, costituendo inoltre un bagaglio di competenze e abilità che potranno sfruttare anche oltre quest’esperienza. 

“I ragazzi di Asante, di età compresa tra i 17 e il 23 anni, hanno tutti provenienze diverse e abitano nel Centro d’accoglienza in attesa di quei documenti che potrebbero dargli una nuova possibilità di vita. I tempi posso anche essere lunghissimi. Da qui è nata l’idea di fare un piccolo workshop così che possano integrarsi attraverso l’apprendimento, la creazione, l’espressione di sé e la conoscenza del nostro paese”. Spiega Ludovica Ansaldi. 

La narrazione è andata avanti unendo insieme momenti di lavoro nel centro accoglienza – dove i giovani autori hanno realizzato una serie di scatti utilizzando le tecniche principali del ritratto classico- con visite alla Biennale d’arte contemporanea Manifesta 12, importante occasione di conoscenza della città oltre che di confronto culturale con tematiche che li chiamano in causa direttamente. 

In mostra sono esposti un corpus di fotografie a colori realizzate su pellicola medio formato (6×6) da Hamissa Dembélé, Mory Sangare, Fofana Abdoulaye, Buba Drammeh e Kaita Aboubacar con un Hasselblad 500 che ritraggono gli stessi ragazzi – o anche la loro assenza – utilizzando i pochissimi oggetti che possiedono (camicie, scarpe, le sedie delle loro camere, le riproduzioni dei dipinti nei corridoi del centro…) insieme a frutta e verdura acquistate nel vicino mercato di Ballarò; una proiezione di foto (pellicola in bianco e nero) realizzate durante le visite a Manifesta che offrono uno sguardo sulla città di Palermo, dai palazzi del centro storico all’Orto Botanico.

E infine due video sempre realizzati dai giovani migranti che documentano le fasi del progetto. Accompagnano il percorso espositivo anche una serie di disegni a colori di Hamissa Dembélé in cui il giovane autore maliano reinterpreta i set fotografici. Accompagnerà la serata d’inaugurazione, la musica del gruppo Max3, formato da uno dei ragazzi del centro Asante, il cantante M’snop,  con i musicisti Fatima e Pambino. Il buffet è offerto da Moltovolti, il ristorante siculo -etnico che è anche uno spazio nel cuore di Palermo per la condivisione di esperienze, idee e culture. 

Ludovica Anzaldi è nata a Roma da famiglia palermitana, vive e lavora a Parigi. Il suo lavoro è orientato soprattutto sulla fotografia e il video: le sue immagini raccontano le declinazioni dell’essere umano nella sua complessità e quella parte della società – dalle donne agli stranieri – la cui voce ha avuto sempre poco spazio.“

Dal 19 aprile al 19 maggio 2019 – Centro Internazionale di Fotografia – Palermo

Altre info qua


LOOKING ON – SGUARDI E PROSPETTIVE SULLA NUOVA FOTOGRAFIA ITALIANA

LOOKING ON significa stare a guardare.
L’accezione comunemente negativa e passiva dello stare a guardare, la negligenza dell’astenersi da ogni azione diventa positivo e attivo esercizio di pazienza e osservazione, che richiede appunto uno stare, stare fermi a guardare, insistere, guardare ancora.
Questa insistenza è indispensabile sia a chi fotografa che a chi guarda la fotografia.

L’edizione 2019 di LOOKING ON, progetto ideato da Silvia Loddo e Cesare Fabbri per Osservatorio Fotografico nel 2014, studiata in collaborazione con la direzione e lo staff del Museo d’Arte della Città di Ravenna e dedicata alla fotografia emergente in Italia, è stata costruita attraverso un doppio invito. Il primo rivolto ad alcune figure professionali provenienti da diversi ambiti della fotografia: Chiara Bardelli Nonino, photoeditor di Vogue Italia e L’Uomo Vogue; Federica Chiocchetti, fondatrice della piattaforma Photocaptionist che si occupa di fotografia e letteratura; Silvia Loddo, ricercatrice indipendente e fondatrice di osservatorio fotografico; Elisa Medde, managing editor di Foam International Photography Magazine; Giulia Ticozzi, photo editor di La Repubblica; Giulia Zorzi, fondatrice della libreria/galleria Micamera di Milano, specializzata in fotografia.

Ciascuna delle sei ‘onlookers’ a sua volta ha invitato a presentare il proprio lavoro in una mostra che inaugura il 3 maggio 2019 negli spazi del Mar, tre autori emergenti italiani che ci suggerisce di stare a guardare: Eleonora Agostini, Nicola Baldazzi, Marina Caneve, Valeria Cherchi, Giammario Corsi, Matteo Di Giovanni, Karim El Maktafi, Francesca Gardini, Giulia Iacolutti, Claudio Majorana, Sofia Masini, Luca Massaro, Michela Palermo, Piero Percoco, Federica Sasso, Francesca Todde, Angelo Vignali, Alba Zari. 

04 Mag 2019 – 30 Giugno 2019 – MAR Museo d’Arte della Città di Ravenna

Tutti i dettagli qua

LIU BOLIN. VISIBLE INVISIBLE

MUDEC PHOTO ospita la seconda mostra fotografica dalla sua apertura a oggi e affida a Liu Bolin il compito di raccontare la sua arte in prima persona, con una performance appositamente creata per il MUDEC e soprattutto con una mostra “Visible Invisible”.

L’artista cinese di fama internazionale Liu Bolin (Shandong, 1973) è conosciuto al grande pubblico per le sue performance mimetiche, in cui, grazie a un accurato body painting, il suo corpo risulta pienamente integrato con lo sfondo.

Luoghi emblematici, problematiche sociali, identità culturali note e segrete: Liu Bolin fa sua la poetica del nascondersi per diventare cosa tra le cose , per denunciare che tutti i luoghi, tutti gli oggetti, anche i più piccoli, hanno un’anima che li caratterizza e in cui mimetizzarsi, svanire, identificarsi nel Tutto: una filosofia figlia dell’Oriente, ma che ha conquistato il mondo intero, soprattutto quello occidentale.
Contraddizioni tra passato e presente, tra il potere esercitato e quello subito: è la lettura opposta e complementare della natura delle cose, documentata dalle immagini di Liu Bolin. Dietro lo scatto fotografico che si conclude in un momento c’è lo studio, l’installazione, la pittura, la performance dell’artista: un processo di realizzazione che dura anche giorni, a dimostrazione di come un’immagine fotografica artistica non sia mai frutto di un caso, ma la sintesi di un processo creativo spesso complesso, che rivela la coscienza dell’artista e la sua intima conoscenza della realtà in tutta la sua complessità.

È una lettura della performance fotografica che lo spazio MUDEC PHOTO accoglie in pieno, non limitandosi così a ospitare solo mostre fotografiche canoniche, ma allargando lo sguardo anche al mondo della fotografia ‘prima dello scatto’, a quell’universo di ricerca preparatoria che è essa stessa performance artistica, coinvolgimento emotivo, attesa dell’attimo perfetto, concentrazione intima e lavoro di squadra; e infine, scatto.

Dal 15 maggio al 15 settembre – MUDEC Milano

Tutti i dettagli qua

World Press Photo 2019

La Fondazione Sozzani torna a ospitare – per il 25° anno consecutivo – il World Press Photo, 62° edizione di uno dei più significativi premi di fotogiornalismo del mondo, che premia il fotografo che nel corso dell’ultimo anno, con creatività visiva e competenza, sia riuscito a catturare o a rappresentare un avvenimento o un argomento di forte rilevanza giornalistica.

L’inaugurazione a Milano si terrà sabato 11 maggio e la mostra sarà al pubblico fino al 2 giugno 2019.

Quest’anno, il concorso ha visto la partecipazione di 4.783 fotografi da 129 Paesi diversi che hanno presentato un totale di 78.801 immagini. Una giuria indipendente composta da esperti del settore e presieduta da Whitney C. Johnson, vicepresidente della sezione Esperienze Visive ed Immersive presso National Geographic ha selezionato 43 candidati provenienti da 25 differenti nazioni.

Dall’11 maggio al 2 giugno – Galleria Sozzani – Milano

I dettagli qui

Le mostre di Street Photo Milano

Street Photo Milano, il festival internazionale di street photography, dopo il successo della prima edizione, torna a Milano dal 16 al 19 maggio 2019.

Tra le mostre diq uest’anno, vi segnaliamo: Fulvio Bugani; Jacob Aue Sobol; Matt Stuart; Observe Collective Finalisti Miami Street Photography Festival 2018; Finalisti Street Photo Milano 2019; The Henkin Brothers: A Discovery. People of 1920s-1930s Berlin and Leningrad

Dal 16 Maggio 2019 al 19 Maggio 2019 – BASE Milano

Tutti i dettagli qua

ANDRÉ KERTÉSZ – Window Views

Following his move in 1952 to a 12th story apartment overlooking Washington Square Park, the 56-year-old Hungarian emigrant André Kertész would begin a series of modernist masterworks shot from his window that he would continue until his death in 1985. From the privacy of his home, Kertész honed his lens on anonymous city dwellers, capturing fragments of passersby on the streets below or reveling in the park, in an attempt to engage with his newfound community.  Many of the photographs made by Kertész during this period expressed a voyeuristic quality that reflected the artist’s sense of isolation in his adopted homeland.  Later in life, following the loss of his beloved wife Elizabeth, Kertész found himself in the same surroundings, amongst all their collective memories, voraciously experimenting with a Polaroid camera as a means of working through his overwhelming grief.

MARCH 28 – MAY 4, 2019 – Silverstein Gallery – New York

All details here

Sotto la tenda di Abramo – Ivo Saglietti

Italian Jesuit father Paolo Dall’ Oglio rebuilds the Mar Musa monastery into a center for peaceful dialogue between Christians and Muslims. Musicians after the Sunday mass.

Sotto la tenda di Abramo racconta del dialogo possibile e necessario tra le religioni e gli uomini attraverso l’esperienza comunitaria dell’antico monastero siro antiocheo di Deir Mar Musa el-Habasci (San Mosè l’Abissino), luogo di ospitalità e di scambio interreligioso cattolico e musulmano abbarbicato sulle montagne della Siria.
I monaci fotografati da Ivo Saglietti sono uomini e donne di diverse chiese e di diversi Paesi che sperimentano quotidianamente le difficoltà e la ricchezza della diversità, dimostrando che Dio è uno e si può vivere insieme nella sua fede, indipendentemente dalla religione che si professa. Il bianco e nero intenso di questo lavoro, che documenta dall’interno la vita della comunità nel suo quotidiano, ben rappresenta il contrasto di luci e ombre di due mondi in perenne conflitto ideologico, che nell’enclave di Deir Mar Musa el-Habasci trovano invece un luogo di dialogo e di costruttivo confronto.

dal 4 aprile al 5 maggio- Sala Liguria – Palazzo Ducale Genova

Altre info qua

Gioele, un viaggio nel Blu – Fabio Moscatelli

Aurea vi invita alla mostra fotografica di Fabio Moscatelli “Gioele, un viaggio nel Blu”: Sabato 11 Maggio ore 18.30.

A Gioele piace cambiarsi le scarpe. Gli piacciono l’acqua e i cavalli. E gli piace dare da mangiare alle sue foche di plastica.
E’ un tipo di poche parole, lui. Ma sul suo quaderno scrive storie lunghe e intricate di misteriosi animali, leoni domestici, anaconde e ragni-lupo. Disegna anatre che cucinano e zebre a strisce colorate. Ma poi, spesso, accartoccia i disegni perché nessuno li veda. Dentro, Gioele ha un mondo intero. Solo che nel suo mondo non si può entrare.
Gioele è autistico, che è un po’ come essere una casa senza porta: dall’interno non si può uscire, e da fuori non si sa come varcare la soglia.
Lui, però, sta alla finestra. Guarda, osserva. E da lì, scatta foto del mondo come lo vede: troppo vicino o troppo lontano, spesso in movimento veloce, a volte amico, a volte impossibile da decifrare.

A Gioele piace anche farsi guardare, ed è così che nasce questo progetto: da uno scambio di visioni tra un fotografo che vuole provare ad avvicinarsi a un’interiorità difficile da comprendere e un ragazzino che vuole comunicare con un esterno difficile da raggiungere.
La fotografia diventa strumento di reciproca comprensione, un territorio visivo e visionario in cui incontrarsi, e proiettare all’esterno sensazioni e emozioni mute. Ma la fotografia è anche il filo conduttore di un racconto di formazione. Una formazione delicata e complessa: non solo quella di un bambino di 11 anni, oggi quindicenne, che lentamente si trasforma in uomo, ma anche quella di un essere umano speciale che cresce confrontandosi con un mondo da cui è percepito come diverso e alieno.”
(Irene Alison)

Dall’11 al 18 maggio – Associazione Aurea – Roma

Altre info qua

PAOLO DI PAOLO. MONDO PERDUTO

Un racconto delicato, rigoroso e sapiente di un’Italia che rinasceva dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale.

È stato il fotografo più amato de Il Mondo di Pannunzio, dove in 14 anni ha pubblicato 573 foto, con reportage dall’Italia e dal mondo. Ha ritratto divi del cinema, scrittori, artisti, nobiltà e gente comune. Ha percorso le coste italiane con Pier Paolo Pasolini raccontando le vacanze degli italiani.

È Paolo Di Paolo (Larino, Molise, classe 1925), straordinario cantore dell’Italia tra gli anni Cinquanta e Sessanta, che ha saputo raccontare con delicatezza, rigore e sapienza il Paese che rinasceva dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale.

Tra le sue foto, riscoperte dopo più di cinquant’anni di oblio, quelle di Pier Paolo Pasolini al Monte dei Cocci a Roma, Tennesse Williams in spiaggia con il cane, Anna Magnani con il figlio sulla spiaggia del Circeo, Kim Novak che stira in camera al Grand Hotel, Sofia Loren che scherza con Marcello Mastroianni negli studi di Cinecittà. E poi una famiglia per la prima volta di fronte al mare di Rimini e i volti affranti del popolo ai funerali di Palmiro Togliatti.

17 Aprile 2019 – 30 Giugno 2019 – Maxxi – Roma

Tutti i dettagli qua

BARRY FEINSTEIN. A Retrospective

Fondazione Carispezia presenta nei propri spazi espositivi “BARRY FEINSTEIN. A Retrospective”, una mostra che ripercorre per la prima volta in Italia la lunga carriera del fotografo americano, nato a Philadelphia nel 1931 e scomparso a Woodstock nel 2011, che nell’arco di sessant’anni di attività ritrasse i grandi nomi della Hollywood degli anni ’50 e i più iconici musicisti rock e pop degli anni ’60 e ’70.

I 45 scatti in esposizione, in bianco e nero e a colori, sono dedicati ai principali protagonisti della cultura cinematografica e musicale americana di quegli anni: da Marlene Dietrich a Bob Dylan, da Janis Joplin a Steve McQueen, da Aretha Franklin a George Harrison, da Marlon Brando a Eric Clapton.

Le fotografie in mostra, a cura di ONO arte contemporanea e The J. Blatt Agency LLC, New York, sono state selezionate con l’aiuto di Judith Jamison, vedova di Feinstein ed esecutrice del Barry Feinstein Estate. Tutti gli scatti, alcuni dei quali restaurati in occasione di questa esposizione, sono stati stampati da Pete Mauney, storico collaboratore di Feinstein.

Barry Feinstein approda all’arte fotografica diventando prima assistente di Ike Vern, fotografo di LIFE, e in seguito, dal 1955 al 1957, lavorando come assistente di camera per la Louis Kellman Productions. Dal 1957 al 1960 si dedica alla cinematografia: viene assunto come stagista di produzione dalla Columbia Pictures e lavora su importanti set come L’ultimo urrà di John Ford con Spencer Tracy, Operazione Mad Ball con Jack Lemmon e Ernie Kovacs, e Pal Joey con Frank Sinatra, Rita Hayworth e Kim Novak. In un secondo momento passa alle produzioni europee per la Morningside Productions.

Dal 1960 torna negli Stati Uniti dove inizia la carriera come fotografo freelance, ritraendo personalità come Marlene Dietrich, Elizabeth Taylor, Frank Sinatra, Steve McQueen, Marilyn Monroe e Clark Gable, i presidenti degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy e Richard Nixon, e musicisti del calibro di Eric Clapton, George Harrison, Janis Joplin, B.B King, Aretha Franklin, Barbra Streisand.

In questo periodo inizia una costante attività di reportage e viene chiamato da Cornell Capa, fratello di Robert, per collaborare con la famosa agenzia Magnum Photos.

Nel 1966 segue la tournée europea del maggior cantore di quegli anni febbrili: Bob Dylan, di cui diventa il fotografo ufficiale per undici anni.

Nel corso della sua carriera Feinstein ha realizzato oltre 500 leggendarie copertine di album tra cui Pearldi Janis Joplin, The Times They Are a-Changin’ di Bob Dylan, All Things Must Pass di George Harrison, Beggars Banquet dei The Rolling Stones e Ringo di Ringo Starr. Ha inoltre documentato il leggendario Monterey Pop Festival del 1967, girato il film You Are What You Eat e fotografato il Concert for Bangladesh al Madison Square Garden nel 1971.

Numerosi sono i libri a lui dedicati e molte le riviste che si sono avvalse della sua collaborazione artistica, da Time a Life, da GQ a Rolling Stone, fino al New York Times. Il suo lavoro è stato esposto nei più importati musei e gallerie internazionali

dal 14 aprile al 30 giugno 2019 – Fondazione Carispezia – La Spezia

Altre info qua

EAST 10th STREET by Saul Leiter

Gallery FIFTY ONE is proud to present its sixth solo exhibition on Saul Leiter (USA, 1923-2013), focusing on his studies of the female figure in both photography and painting. In addition to his colourful, poetic street photographs that by now belong to the collective art memory, the nude photographs Leiter took in his apartment on East 10th Street in New York City’s East Village reveal an intimate insight into his personal habitat.

From his arrival in New York in 1946 through the early 1970s, Leiter took thousands of nude pictures of his female friends and lovers. One of the great qualities of these images is the candid, spontaneous atmosphere. The women behave naturally in front of Leiter’s lens; they lie stretched out on the bed, looking slightly provocatively into the camera. Others are (un)dressing, masturbating or smoking a cigarette. During his lifetime, the artist rarely showed these images to outsiders. The photographs included in this exhibition were all printed by Leiter in his private darkrooms in the 1970s for a book collaboration with art director and close friend Henry Wolf. The project was never realized.

Although of a more direct nature than Leiter’s famous street photography, these interior portraits include many of the artist’s typical elements. The unusual camera angles create complex, multilayered compositions. Leiter’s subjects are often obstructed by pieces of furniture in the foreground, or photographed from a distance through narrow door openings or mirror reflections. Leiter introduces abstract elements, for instance by keeping a zone in the image out of focus or by focusing on the side of a bed or a wall, leaving a large part of the frame blank.

This tendency towards abstraction becomes even more apparent in the painted nudes on view. From the 1970s onwards, Leiter began to apply gouache on the nude photographs he kept in his apartment. In these colourful works the subject, often captured from up close, blends into a tumultuous background of brushstrokes. The paint layers come together in a jumble of vivid, volatile lines and firmly placed flat areas. The bright, expressionist colour palette and the impetuous way of painting are reminiscent of the work of Pierre Bonnard (1867-1947), one of Leiter’s favorite artists. This French painter was known for his landscapes and his depictions of everyday life in Paris, in which he placed great emphasis on emotion and spirituality. Bonnard also made countless nude portraits of his wife, Marthe, with the same intimacy and candid atmosphere as Leiter’s photographs. Both artists’ preference for unconventional compositions is striking and hints at the flat design and strong lines of Japanese art, which strongly influenced them.

In FIFTY ONE TOO this Saul Leiter show extends into a series of photographs taken in 1958 in a summer cottage in Lanesville, a small town on the Atlantic Coast north of Boston. These are the only nude images Leiter ever made in colour, and they are among the few pictures he shot outside New York City. The eight variants of one subject gracefully posing epitomize the artist’s mastery of colour and composition, and reveal the process behind the making of an iconic image. The combination of a soft pastel palette and natural light adds to the particularly romantic atmosphere.

In 2018, a long awaited book of Leiter’s nudes, In My Room, was published by Steidl. A selection of vintage and later prints of these images was recently shown at the Helmut Newton Foundation in Berlin, among other venues. On the occasion of this exhibition, the gallery will launch a new FIFTY ONE Publication, Saul Leiter: EAST 10th STREET, including previously unseen images.

May 7th – June 29th 2019 – GALLERY FIFTY ONE – Antwerp

All details here

Gabriele Basilico / Giovan Battista Piranesi. Viaggi e vedute: da Roma a Shanghai

Il Museo Ettore Fico ha il piacere di presentare una mostra dedicata al grande fotografo Gabriele Basilico.
Corpus centrale della mostra è una sezione commissionata al fotografo dalla Fondazione Giorgio Cini di Venezia nel 2010, in occasione della retrospettiva dedicata al grande incisore veneto : “Le arti di Piranesi. Architetto, incisore, antiquario, vedutista, designer” a cura di Michele De Lucchi, Adam Lowe e Giuseppe Pavanello.
In quell’occasione la Fondazione Cini chiese all’artista di ritrarre, dalle stesse angolazioni delle incisioni piranesiane, la “città eterna” e altri luoghi italiani.
Il risultato fu riassunto in 32 scatti messi successivamente a confronto con le 32 incisioni di Piranesi.
Una vasta selezione di oltre cinquanta fotografie, di differenti formati, completa la mostra che, per la prima volta in Italia, esamina la poetica urbana e concettuale del grande fotografo
attraverso le immagini scattate nei suoi innumerevoli viaggi.

10 aprile – 14 luglio 2019 – Museo Ettore Fico – Torino

Tutti i dettagli qua

Aprire gli occhi: quattro sguardi dei fotografi del Festival della Fotografia Etica

Le prime tre mostre proposte raccontano gli avvenimenti più importanti, che negli ultimi anni, hanno cambiato le sorti di tre nazioni: la guerra alla droga del presidente Duterte nelle Filippine, le rivolte che hanno sconvolto il Venezuela ed hanno portato alla gravissima crisi economica e sociale che affligge la popolazione e, infine, la guerra in Ucraina e la vita che va avanti, nonostante tutto.

3 fotografi per 3 grandi storie raccontate con lo sguardo di chi si avvicina alle vittime, alle sofferenze di un popolo per dar loro voce e per continuare a puntare lo sguardo su storie che devono essere raccontate.

La quarta mostra rappresenta una raccolta degli scatti più significativi dei lavori esposti nel corso degli ultimi nove anni: la storia del Festival della Fotografia Etica.

dal 17 aprile al 9 giugno 2019 –
Cascina Roma Fotografia di San Donato Milanese

Tutte le info qua

Alessio Romenzi “Life, Still”

La devastazione causata dalla guerra è protagonista assoluta degli scatti presentati nella mostra Life, Still che Alessio Romenzi realizza tra dicembre 2017 e aprile 2018 a Mosul, Raqqa e Sirte. L’autore ritorna in queste città dopo la fine del conflitto per documentarne il disfacimento, che egli stesso definisce “uno scenario di distruzione apocalittica”.

Nel racconto di ciò che rimane, Romenzi metabolizza la capacità di sintesi dell’immagine, derivante dalla sua passata esperienza di fotoreporter, per affrontare una riflessione più profonda e meditata, offerta dall’osservazione a distanza. Infatti, la serie supera intenzionalmente lo svolgimento delle azioni belliche, per interrogarsi sulle loro conseguenze. Il cortile della scuola nel quartiere di Ghiza e la sala interna del centro conferenze Ougadougou III a Sirte, gli esterni del Palazzo delle assicurazioni governative e la Moschea a Mosul, centri propulsori di attività pedagogiche, culturali, religiose, e politiche sono segnati dalla guerra. Il ponte Al Shohada di Mosul, sospeso in un’atmosfera crepuscolare, crolla sotto il peso delle bombe. Tra scheletri di palazzi e cumuli di macerie, si intravede il ricordo di quanto è accaduto: la saracinesca alzata di un negozio, un semaforo ancora in funzione, la vita delle persone al confine con la guerra. Sono queste le “insopprimibili esistenze” di cui Giovanna Calvenzi scrive nell’introduzione al catalogo Life, Still, come “reazione alla morte e una speranza di futuro possibile”.

dal 12 aprile al 25 maggio 2019 – Galleria del Cembalo – Roma

Tutti i dettagli qua

CONFITEOR (IO CONFESSO) – Tommaso Clavarino

a cura di Teodora Malavenda 
In collaborazione con Zine Tonic

A partire dal 2004 più di 3.500 casi di abusi su minori commessi da preti e membri della Chiesa sono stati riportati al Vaticano. Nel 2014 un report delle Nazioni Unite ha accusato il Vaticano di adottare sistematicamente azioni che hanno permesso a preti e membri della Chiesa di abusare e molestare migliaia di bambini in tutto il mondo.
Centinaia di casi sono stati registrati, e continuano ad essere registrati, in Italia, dove l’influenza del Vaticano è più forte che altrove, e pervade vari livelli della società.

Spesso gli abusi cadono nel silenzio, i casi vengono nascosti, le vittime hanno paura di far sentire la loro voce. Hanno paura della reazione delle persone, dei loro cari, dei loro amici, delle comunità nelle quali vivono. Le vittime sono barricate in un silenzio agonizzante, non vogliono far sapere nulla delle violenze subite.
Costrette a vivere con un peso che si porteranno dietro tutta la vita, incapaci di dimenticare il passato.
Le ferite sono profonde, le memorie pesanti, i silenzi assordanti.
“Confiteor (Io Confesso)” è un viaggio di due anni in queste memorie, in queste ferite, in questi silenzi.

dall’ 11 aprile al 10 maggio 2019 – Officine Fotografiche Milano

Altre info qua

UNTIL WE RETURN – Dalia Khamissy

Nel marzo 2011, quella che è iniziata come una serie di proteste contro il regime siriano, si è trasformata ben presto in un conflitto armato che dura da oltre 8 anni. Pochi mesi dopo centinaia di migliaia di rifugiati sono scappati dalla Siria in cerca di rifugio nei paesi vicini. Solo in Libano oltre un milione di rifugiati hanno attraversato il confine in cerca di sicurezza, e si sono stabiliti in tende, rifugi collettivi e appartamenti in tutto il paese. Dal 2011 Dalia Khamissy ha viaggiato attraverso il Libano raccontando le diverse storie dei rifugiati siriani. Ritratti e momenti di quotidianità raccontati con grande intensità artistica: storie di uomini, donne e bambini fuggiti dagli attentati, dai rapimenti, alcuni di loro gravemente feriti nei combattimenti, altri hanno perso le persone amate, altri ancora sono fuggiti perché minacciati. In Libano hanno incontrato una realtà altrettanto difficile. Mentre raccontava con il suo obiettivo le loro storie, tutti sognavano la fine della guerra e il loro ritorno in patria, “Until We Return”. Coordinamento del progetto di Alessandra Capodacqua.

5 aprile – 31 maggio – Fondazione Studio Marangoni  – Firenze

Tutti i dettagli qua

Francesco Bosso. Waterheaven

Waterheaven, mostra personale di Francesco Bosso (Barletta, 1959) curata da Walter Guadagnini, sarà allestita nella Project Room di CAMERA e visitabile dal 18 aprile al 26 maggio 2019.

Bosso indaga il paesaggio naturale nelle sue manifestazioni più pure e selvagge, isolandone forme ed elementi per interpretare luoghi disabitati ed evidenziare il significato profondo del legame dell’uomo con le sue origini.

Allievo di Kim Weston, nipote del grande maestro Edward, e di John Sexton e Alan Ross, assistenti di Ansel Adams, per questa occasione il fotografo pugliese presenta un lavoro che nasce da diverse serie scattate nel corso degli ultimi anni, dedicate soprattutto a paesaggi marini. L’acqua come forza creatrice è al centro di venti fotografie caratterizzate anche da un meticoloso processo di stampa, che intensifica la pulizia dei bianchi e la profondità dei contrasti. Con il suo costante fluire – racconta Bosso – l’acqua rappresenta il liquido primordiale che crea, modella, modifica il mondo, in un moto continuo ed eterno di trasformazione. Waterheaven è un percorso per immagini attraverso l’affascinante “forza creatrice” dell’acqua, tra visione e realtà, un susseguirsi di evocazioni e frammenti di memorie.

Alcuni esempi della grande capacità di Bosso di raccontare per mezzo della luce e della forma una realtà lirica e armoniosa, di matrice pittorica, sono le immagini delle cascate realizzate in Islanda, incluse nella serie Golden Light (2012), oppure le vedute di Last Diamonds (2015), serie realizzata nel ghiacciaio Sermeq Kujalleq, nei pressi del villaggio di Ilulissat, in Groenlandia. Mentre nel primo caso l’autore entra in relazione con lo spazio e rende visibile l’intimità di un luogo attraverso la fotografia, nel secondo ha raccolto forti emozioni, la fluidità di un simile paesaggio naturale[…] sconvolgente, al fine di documentarne la fragilità e ammonire sulle nefaste conseguenze del riscaldamento globale – continua Bosso. Le immagini di Waterheaven, inoltre, sono incluse in un volume monografico edito da Silvana Editoriale, corredato di un testo critico di Walter Guadagnini. La pubblicazione arricchisce un già vasto portfolio di progetti editoriali dell’autore, tra i quali: Last Diamonds (Skira, 2017), The Beauty Between Order And Disorder (Centro Culturale Candiani, 2015), Sassi e Calanchi (Castelvecchi, 2006), Swahili Ritratti Africani (Electa, 2003) e altri ancora.

Attraverso il medium fotografico – commenta Walter Guadagnini – Bosso comunica un’etica della protezione e della salvaguardia del paesaggio naturale: con un sapiente uso delle tonalità di bianco e nero celebra i suoi soggetti e allo stesso tempo mette in guardia lo spettatore sulla fragilità e unicità di tale patrimonio. Fenomeni come l’urbanizzazione massiva e la concentrazione di un numero sempre maggiore di persone nelle città caratterizzano la vita contemporanea, espellendo dall’immaginario quotidiano il paesaggio naturale. Bosso lo rimette al centro dell’attenzione, documentandone anche le trasformazioni e gli effetti deleteri della noncuranza con la quale l’uomo si relaziona con la natura.

Le sue opere fanno parte di importanti collezioni private e pubbliche, mentre i suoi progetti espositivi sono stati ospitati in istituzioni nazionali e internazionali come il Museo Pino Pascali (Polignano), il Centro Culturale Candiani (Venezia), il Museo Nazionale della Fotografia (Brescia) e il Cultural Centre Museum (Hong Kong).

18 aprile – 26 maggio – Camera Centro Italiano per la Fotografia – Torino

Tutti i dettagli qua

LEVANTE – Massimiliano Gatti

Di fronte agli eventi che hanno interessato la politica internazionale di questi ultimi anni, si impone la necessità di gettare luce su ciò che paesi come Siria e Iraq, culla delle nostre civiltà hanno vissuto e che la furia distruttiva delle guerre ha ridotto in polvere.

Dal 28 marzo fino al 17 maggio 2019, gli spazi della galleria Podbielski Contemporary ospiteranno Levante, mostra che raccoglie il lungo lavoro maturato da Massimiliano Gatti in Medio Oriente, e che coniuga un racconto intimo a una ricerca approfondita di stampo documentaristico, volta a tramandare una memoria nel tempo.

Levante è una mappatura della memoria, un tentativo di preservare tracce di epoche lontane, dalla furia iconoclasta di movimenti fanatici che stanno ferendo e deturpando quelle terre. Le serie ripercorrono le aree geografiche che vanno a mappare il vissuto di Massimiliano di quegli anni: Partendo dal nord Iraq, la serie In Superficie nasce dall’esperienza di Massimiliano Gatti come fotografo della missione archeologica dell’Università di Udine e allo studio del paesaggio archeologico della terra di Ninive (Parten Project). Come una tassonomia imperfetta, cataloga tutto ciò che la superficie della terra restituisce: da reperti archeologici di epoche remote a residuati bellici dei conflitti di cui questa regione è stata teatro. L’accostamento casuale genera un corto circuito in cui tutto si mescola, mentre dal gioco estetico di rimandi e somiglianze emerge la circolarità della storia.

Palmira, città simbolo nel deserto siriano, è protagonista di due progetti. In Rovine, la grandiosità dei suoi monumenti è ritratta nella sua intatta bellezza, prima di esser colpita dalla furia distruttrice della guerra. Le Nuvole, invece, vede Palmira accostata a nubi che rappresentano le esplosioni dei monumenti distrutti dall’IS; si tratta di frame di video pubblicati su youtube, che aprono una riflessione sull’uso dei social come strumento di propaganda. Questo progetto verrà esposto al Forte Strino di Vermiglio (TN), in dialogo con le strutture di origine bellica del luogo, in una mostra, Sottopelle, curata da Serena Filippini.

Grazie alla gentile concessione da parte di una collezione privata, le Rovine di Massimiliano Gatti saranno messe in dialogo con due stampe della seconda metà del Settecento edite dalla bottega di Augusta di Georg Balthasar Probst e raffiguranti vedute sulla città di Palmira. Limes è una riflessione sull’atto del guardare. La finestra, rappresenta una soglia, definisce un dentro e un fuori, incornicia la vista, istituendo un punto di vista particolare sul mondo. Le finestre di Gatti circoscrivendo un frammento di paesaggio in un’inquadratura forzata, gli conferiscono la profondità e l’importanza di una totalità all’interno del fotogramma.

In Terra promessa, invece, le cartine non delimitano dei confini corretti, sono un’interpretazione del territorio, non un’oggettiva rappresentazione. In questa una situazione paradossale nella sua drammaticità, si stagliano gli oggetti dell’autore, come proiezione dei suoi personali ricordi. Perché Levante è il Medio Oriente, ma anche la porzione di cielo da cui si leva il sole. Una speranza dopo la lunga notte che stanno vivendo queste terre e queste popolazioni. Privo di strumenti culturali sufficientemente potenti per mettere ordine nel dominio caotico delle immagini, lo spettatore è spesso relegato a una condizione di passività, sospeso tra l’indifferenza e il consumo acritico. Il lavoro di Gatti tenta di riportare l’attenzione sulla responsabilità dell’immagine, sul suo compito di affondare nelle contraddizioni e nelle crisi del nostro tempo, di rendere visibile la tragedia della nostra cultura, senza perdere mai il legame con la memoria che è, al tempo stesso, speranza per un futuro diverso.

28 MAR – 17 MAY 2019 – Podbielski Contemporary  – Milano

Tutte le info qua

NEL MIRINO. L’Italia e il mondo nell’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo 1939-1981

Si apre al pubblico sabato 13 aprile 2019 a CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino la mostra Nel mirino – L’Italia e il mondo nell’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo 1939-1981, prima organica ricognizione sullo straordinario patrimonio dell’Agenzia, acquisito nel 2015 da Intesa Sanpaolo che, attraverso il proprio Archivio storico, lo conserva, restaura, studia e valorizza anche con il supporto di esperti, come è avvenuto in occasione della realizzazione di questa mostra.

Curata da Aldo Grasso e Walter Guadagnini, l’esposizione – realizzata da CAMERA con Intesa Sanpaolo nell’ambito di Progetto Cultura, il programma triennale delle iniziative culturali della Banca – presenta alcuni degli episodi cruciali della storia e della cronaca italiane e mondiali in un periodo che va dal 1939, anno in cui Vincenzo Carrese volle chiamare “Publifoto” la sua agenzia – nata a Milano nel 1937 con il nome Keystone -, fino al 1981, anno della scomparsa del fondatore. Quasi mezzo secolo di eventi raccontati attraverso circa duecento quaranta immagini realizzate dai fotografi di quella che è stata per un lungo periodo l’agenzia fotogiornalistica più importante del paese.

13 aprile – 7 luglio 2019 – Camera Centro Italiano per la Fotografia – Torino

Altre info qua

Heroes – Bowie by Sukita

“Heroes – Bowie by Sukita è una mostra, promossa da OEO Firenze e Le Nozze di Figaro con Città Metropolitanadedicata a David Bowie, icona della cultura pop, ritratto da un maestro indiscusso della fotografia giapponese Masayoshi Sukita.

“Seeing David Bowie on stage opened up my eyes to his creative genius. Bowie was different to the other rock and rollers, he had something special that I knew I had to photograph” (Masayoshi Sukita)

L’esposizione, che ha il patrocinio del Comune di Firenze è curata da ONO Arte Contemporanea, e presenta 90 fotografie alcune delle quali esposte in anteprima nazionale, che ripercorrono un sodalizio durato oltre quarant’anni tra uno dei più rivoluzionari artisti del XX secolo e il grande maestro della fotografia. Non solo gli scatti iconici che illustrarono la copertina dell’album “HEROES”, ma anche fotografie storiche tratte dall’archivio personale di Sukita che raccontano un’amicizia iniziata negli anni Settanta. Il catalogo è edito da OEO Firenze.

“It was 1972 that I started it. And I’m still looking for David Bowie even now.”
(Masayoshi Sukita)

Sarà Palazzo Medici Riccardi, dimora quattrocentesca della Famiglia Medici, ad ospitare le immagini che ritraggono il Duca Bianco, artista tra i più significativi della storia della cultura contemporanea che ha saputo elevare a forma d’arte la musica rock. Firenze con questa mostra fa il suo personale omaggio a Bowie, aprendo le porte di uno dei suoi palazzi più ricchi di storia e fascino. Antico e moderno si fondono dando la possibilità ai visitatori con lo stesso biglietto di vedere lo splendido lavoro che Sukita ha dedicato al Bowie artista e amico, ma anche di visitare il prestigioso palazzo. 

Nel corso dei tre mesi di esposizione, molti saranno gli eventi collaterali nel segno di Bowie. Le Nozze di Figaro coordineranno infatti una scaletta di concerti acustici di musicisti nel cortile del palazzo ed i fan di Bowie potranno trovare al bookshop una ricca scelta di libri e merchandising a lui dedicato. 

Dal 30 marzo al 28 giugno – Palazzo Medici Riccardi – Firenze

Tutti i dettagli qua

PAOLO NOVELLI – LA FOTOGRAFIA COME DIFFERENZA

Palazzo Grillo è lieto di ospitare la mostra “La Fotografia come differenza” che propone per la prima volta una selezione di 40 scatti appartenenti a cinque progetti del fotografo di ricerca Paolo Novelli, attivo dal 1997. L’esposizione si concentra sul periodo creativo 2002-2013, con l’intento di evidenziare nascita e consolidamento di uno stile personale, tra i più interessanti e coerenti tra le generazioni italiane emerse negli anni duemila. Il percorso di Novelli in questo contesto si distingue infatti per scelte del tutto inusuali, sia nei contenuti che nella tecnica; i cicli di immagini scelti rivelano come filo conduttore una fotografia introversa, essenziale, senza tempo e senza luogo, sintetizzata, non a caso, da Giovanni Gastel come “fotografia della solitudine”; linguaggio visivo quindi in netta controtendenza con la comunicazione preponderante nell’attuale era digitale. L’altro aspetto, quello tecnico, rafforza questa direzione atemporale di Novelli, la cui disciplina è in effetti una sola, la Fotografia analogica: pellicola, luce naturale, assenza di filtri; ripresa analogica amplificata da una premeditata anarchia operativa nell’uso dell’apparecchio fotografico, come sottolineato da Olivo Barbieri nel testo introduttivo de “La notte non basta”: “fotograficamente sono tutte sbagliate ma è un errore che può funzionare”. I progetti scelti in questa sede affrontano il tema principale della ricerca di Novelli: l’incomunicabilità”; porte, tunnel, nebbie, finestre e morte s’inseguono in un arco temporale di poco più di una decade, attraverso i progetti: “Vita brevis, Ars longa” (2002), “Grigio Notte” (2004-2006) “Niente più del necessario” (2006), “Interiors” (2007-2012) “La Notte non basta” (2011-2013): La mostra è accompagnata da un catalogo, curato da Giovanni Battista Martini

Dal 3 maggio al 16 giugno 2019 – Palazzo Grillo – Genova

Altre info qua

Mediterranean Sonata – Matteo Nasini

MEDITERRANEAN SONATA è il progetto site-specific realizzato dall’artista Matteo Nasini per lo spazio espositivo LABottega. Il progetto, a cura di Beatrice Audrito, è il risultato di un periodo trascorso dall’artista in residenza, una pratica con la quale LABottega inaugura una nuova stagione espositiva che presenterà il lavoro prodotto da artisti e fotografi invitati a vivere questa esperienza, confrontandosi con il territorio circostante.

Dopo gli studi musicali, la ricerca artistica di Matteo Nasini si esprime, fin da subito, in una direzione fortemente sperimentale volta a stabilire delle connessioni tra arte e musica. Partendo dallo studio del suono, Nasini progetta performance, sculture e installazioni che traducono in forma contenuti musicali complessi, rendendoli più accessibili al grande pubblico. Un’indagine profonda e sistematica delle qualità della materia sonora, poi tradotte in immagine o in scultura per dare vita ad un universo di forme e colori fatto di insoliti strumenti musicali, sculture realizzate nei materiali più disparati, ricami ed arazzi in tessuto, dai quali emerge sempre una precisa e coerente metodologia d’indagine.

MEDITERRANEAN SONATA è una suonata cartografica realizzata da Nasini ripercorrendo fisicamente e metaforicamente la linea geografica della costa del Mediterraneo per ricavarne una melodia, riportandone la cartografia su di un pentagramma al fine di trasporre in note la morfologia sinuosa e frastagliata della costa. Un progetto ambizioso che si presenta come un’installazione sonora composta da undici scatti fotografici realizzati in diversi tratti costieri che, come tanti piccoli spartiti, raccontano il viaggio fisico e melodico condotto dall’artista, portandone a galla le note della melodia. Una composizione musicale, poi suonata e registrata in studio dall’artista con strumenti di origine mediterranea come l’arpa, la marimba e altre percussioni, cui si sovrappongono altre tracce sonore registrate nei luoghi costieri visitati. La trasposizione musicale di una visione poetica che si configura come una narrazione sinestetica condotta dall’artista servendosi di diversi medium: la musica, la fotografia, il colore.

Durante il periodo espositivo, Matteo Nasini offrirà al pubblico di LABottega la possibilità di partecipare ad uno Sleep Concert, una performance durante la quale sarà possibile ascoltare per una notte intera i suoni generati dal pensiero di una persona addormentata durante le varie fasi del sonno: quei sogni preziosi che l’artista cattura e traduce in forma bidimensionale nelle sue sculture in porcellana. La forma dei nostri sogni.

La performance è parte del progetto Sparkling Matter: il risultato di una complessa indagine tra suono, tecnologie e neuroscienze, vincitore del Talent Prize 2016 e presentato al Museo MACRO di Roma nel 2017.

dal 21 Aprile al 14 Luglio 2019 – La Bottega – Marina di Pietrasanzta (LU)

Altre info qua

Mostre per ottobre

Ciao! Anche ad ottobre vi consigliamo mostre molto interessanti, un po’ ovunque.

Fateci un giro!

Ciao

Anna

Continua a leggere

Mostre per maggio

Ciao, ancora tantissime mostre scelte per voi nel mese di maggio.

Spero  avrete la possibilità di vederne almeno qualcuna.
Non dimenticate di dare un’occhiata alla pagina delle mostre, sempre aggiornata

Anna

WORLD PRESS PHOTO 2018

img_0863

Il Premio World Press Photo è uno dei più importanti riconoscimenti nell’ambito del fotogiornalismo. Ogni anno, da più di 60 anni, una giuria indipendente, formata da esperti internazionali, è chiamata ad esprimersi su migliaia di domande di partecipazione inviate alla Fondazione World Press Photo di Amsterdam da fotogiornalisti provenienti da tutto il mondo.

Questo anno cambia la modalità di annuncio dei premiati. La fondazione annuncia il 14 febbraio tutti i nominati in ciascuna categoria del concorso fotografico ed i sei nomi dei candidati alla foto dell’anno. I vincitori di tutte le categorie ed il vincitore della foto dell’anno, saranno rivelati alla cerimonia di premiazione che si svolgerà durante il World Press Photo Festival di Amsterdam il 12 aprile.

Per l’edizione 2018 la giuria, che ha suddiviso i lavori in otto categorie, tra cui la nuova categoria sull’ambiente, ha nominato 42 fotografi provenienti da 22 paesi: Australia, Bangladesh, Belgio, Canada, Cina, Colombia, Danimarca, Egitto, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Norvegia, Russia, Serbia, Sud Africa, Spagna, Svezia, Paesi Bassi, Regno Unito, USA e Venezuela. In totale, ci sono 307 fotografie nominate nelle otto categorie.

Lars Boering, managing director della World Press Photo Foundation:

“Il meglio del giornalismo visivo tratta di qualcosa. Dovrebbe interessare le persone a cui si rivolge. Oggi la World Press Photo Foundation continua a svolgere il ruolo che ricopre dal 1955 perché le giurie nei nostri concorsi nominano i migliori fotografi e produttori video. Il grande lavoro svolto in questa edizione 2018 del nostro concorso ci aiuta a realizzare il nostro scopo: connettere il mondo con le storie che contano”.

L’esposizione del World Press Photo 2018 non è soltanto una galleria di immagini sensazionali, ma è un documento storico che permette di rivivere gli eventi cruciali del nostro tempo. Il suo carattere internazionale, le centinaia di migliaia di persone che ogni anno nel mondo visitano la mostra, sono la dimostrazione della capacità che le immagini hanno di trascendere differenze culturali e linguistiche per raggiungere livelli altissimi e immediati di comunicazione.

27 aprile > 27 maggio 2018 – Palazzo delle Esposizioni – Roma

Altre info qua

13 maggio 2018 – 3 giugno 2018 – Galleria Carla Sozzani – MIlano

Altre info qua

Le mostre di Fotografia Europea – RIVOLUZIONI Ribellioni, cambiamenti, utopie

leadImage

La nuova edizione di Fotografia Europea si pone sotto l’egida della  “rivoluzione dello sguardo e della visione” una delle conseguenze che proprio la nascita della fotografia ha determinato.

Come al solito ricco il programma di mostre nell’ambito del Festival.

Tra le tante, segnaliamo Joel Meyerowitz e Toni Thorimbert a Palazzo Da Mosto, Luca Campigotto alla Sinagoga, Lorenzo Tricoli a Villa Zironi, una selezione di fotografi iraniani contemporanei ai Chiostri di S. Domenico, MIshka Henner alla Banca d’Italia, Simone Sapienza e Danila Tkachenko in via Secchi 11.

Dal 20 aprile al 17 giugno

Qua trovate il programma completo

Duane Michals

Vasta retrospettiva, organizzata in collaborazione con Fundacion Mapfre di Madrid, dedicata a Duane Michals, uno dei fotografi contemporanei che ha rinnovato il linguaggio fotografico con maggiore intensità. Artista in bilico tra fotografia e poesia, Michals è uno dei nomi più prestigiosi dell’avanguardia americana. Negli anni Sessanta attiva un nuovo approccio alla fotografia che non pretende di documentare il fatto compiuto, il “momento decisivo”, o di affrontare gli aspetti metafisici della vita.

“Quando guardi le mie fotografie, stai osservando i miei pensieri”  In questa frase si trova la chiave per leggere l’opera completa di Duane Michals: un’opera che corrisponde alla sua filosofia di vita.

La mostra è realizzata secondo un percorso espositivo suddiviso in sezioni che mostrano le diverse modalità espressive gradualmente inventate da Michals, nonché le diverse serie realizzate su argomenti specifici nel tempo.

4 maggio – 29 luglio 2018 – Museo Ettore Fico – Torino

Tutti i dettagli qua

Alex Majoli – Andante

La mostra segue un percorso temporale dal 1985 fino al 2018 in cui Alex Majoli indaga l’animo umano e gli elementi più oscuri della società. Un viaggio che si conclude con teatro, un’esplorazione della teatralità presente nella vita quotidiana, in cui si confondono i confini tra vita reale e finzione.

La linea sottile tra realtà e rappresentazione scenica, documentario e arte, comportamento umano e recitazione è l’esatto attrito che lo affascina e lo porta a tornare nelle strade e nei luoghi in cui la condizione umana viene messa in discussione.

Anche nella più tragica delle miserie il fotografo ravennate trova il “teatro”, l’orgoglio e soprattutto la magnificenza dello spirito dell’uomo. La carriera di Majoli, membro della prestigiosa Agenzia Magnum Photos, inizia precocemente nello studio di Casadio e Malanca, ma solo dopo aver fotografato la chiusura del famigerato manicomio sull’isola di Leros, in Grecia, trova eco nella sua forma autoriale, da cui la sua prima monografia intitolata Leros. L’iniziale interesse di Majoli per le teorie di Franco Basaglia, pioniere del moderno concetto di salute mentale e noto per aver abolito gli ospedali psichiatrici in Italia, lo porta a viaggiare in Brasile, dove gli studi e le esperienze di Basaglia vengono adottate con entusiasmo.

Nel corso di vent’anni Majoli ha fotografato il Paese sudamericano collezionando una serie scatti della complessa società brasiliana unite in un progetto tutt’ora in corso chiamato Tudo bom. Nel rappresentare attraverso le immagini le dinamiche teatrali della vita, in cui le azioni umane sembrano prendere ispirazione dallo spettacolo, Majoli si pone come artista provocatore accentuando la drammaticità della routine quotidiana con l’uso di luci artificiali. Le sue foto diventano scene in cui le persone, attraverso la loro “vita/performance”, si esprimono in quello che poi diventa un non dichiarato set cinematografico o un palcoscenico teatrale.

La mostra Andante è presentata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna e dal MAR-Museo d’Arte della città di Ravenna

15 Aprile 2018 – 17 Giugno 2018 – MAR Museo d’Arte della città di Ravenna

Tutti i dettagli qua

Robert Capa – Retrospective

Il più grande fotoreporter del mondo attraverso 100 immagini in b/n che ripercorrono i maggiori conflitti del XX secolo. Copenhagen 1932, Francia 1936-1939, Spagna 1936-1939, Cina 1938, Seconda guerra mondiale 1939-1945, Francia 1944, Germania 1945, Europa orientale 1947, Israele 1948-1950, Indocina 1954 a cui si affianca una sezione dedicata ai Ritratti di Gary Cooper, Ernest Hemingway, Ingrid Bergman, Pablo Picasso, Henri Matisse, Truman Capote, John Huston, William Faulkner e infine un ritratto del fotografo scattato da Ruth Orkin nel 1951. In collaborazione con Magnum Photos e la Regione Siciliana, Civita propone la mostra “Robert Capa Retrospective”, curata da Denis Curti.

Palermo, Real Albergo dei Poveri
25 aprile – 9 settembre 2018

Nel cuore del Maggio ‘68

A cinquant’anni dall’inizio della più grande rivoluzione sociale del secolo scorso, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia e l’Alliance française di Torino presentano, per la prima volta in Italia, una mostra dedicata al reportage fotografico realizzato da Philippe Gras a Parigi durante il Maggio ’68 e rinvenuto negli archivi dell’artista dopo la sua morte, nel 2007.

Il progetto espositivo, organizzato dall’Associazione Amis de Philippe Gras e Les films de quatre planètes con il supporto di Institut Français, ci restituisce, attraverso 43 scatti in bianco e nero, l’immagine composita di una città fra manifestazioni e scontri, animata da tensioni ideali, scossa dalla violenza e da aria di cambiamento.

Il reportage di Philippe Gras si distingue da tanta iconografia legata al ‘68 per la capacità di coniugare uno sguardo empatico con una lettura ad ampio spettro dei complessi avvenimenti di cui è testimone, come l’occupazione della Sorbona e del teatro dell’Odéon – con i celebri  interventi di Jean-Paul Sartre, Aimé Césaire e Julian Beck –  le barricate e i conflitti con le forze dell’ordine che infuocarono la notte del 24 maggio 1968; e ancora, le folle, i volti e le parole apparse su muri, monumenti e manifesti pubblicitari parigini.

Camera Torino In Project Room, dal 19 aprile al 13 maggio

Altre info qua

George Georgiou – Fault Lines/Turkey/East/West

21f62ae03d0e7c548c44d73b3f705695

La Turchia è una delle nazioni strategicamente più importanti – in bilico geograficamente e simbolicamente, tra Europa e Asia. Ma le tensioni nel cuore della Turchia stanno diventando sempre più pronunciate. Si sta verificando una lotta tra modernità e tradizione, islamismo e secolarismo, democrazia e repressione, spesso in combinazioni improbabili e contraddittorie. Allo stesso tempo, la Turchia sta subendo un rapido cambiamento, i paesaggi, le città e le città vengono rimodellate, i centri urbani “abbelliti” e grandi condomini sorgono nelle città di tutta la Turchia. Spesso l’architettura e le infrastrutture fanno parte dello stesso progetto. Le città stanno iniziando a diventare copia-carbone l’una dell’altra e la natura della comunità inizia a cambiare. Le fotografie di Georgiou esplorano e mettono in discussione questo concetto di Est / Ovest, le numerose e complesse linee di faglia che caratterizzano la Turchia contemporanea e le questioni globali riguardanti l’urbanizzazione e lo sviluppo. Viaggiando attraverso il paese e concentrandosi sulla vita di tutti i giorni e sul paesaggio rurale drammaticamente alterato, l’opera coglie gli effetti di questa modernizzazione e urbanizzazione sulla psiche nazionale e culturale del paese in un contesto di innalzamento del nazionalismo e della religione in un momento in cui la Turchia si trova ad un crocevia politico, un crocevia che definirà il suo futuro.

dal 20 aprile al 13 maggio – Gallerie QF1 e QF3 – Verona

Altre info qua

South Sudan: Walk or die The forgotten genocide – Ugo Lucio Borga

Dopo due anni dall’ultima mostra, dedicata alla guerra d’Ucraina, torna a esporre presso lo spazio di Paola Meliga Art Gallery il fotogiornalista Ugo Lucio Borga, con un reportage realizzato in Sud Sudan.

Il conflitto in Sud Sudan ha provocato il più grande esodo della storia, in Africa, dal genocidio in Rwanda. È una guerra segnata da atrocità e massacri su base etnica. Secondo l’Unicef, sono oltre 19.000 i bambini reclutati nel conflitto, 250.000 sono a rischio di morte imminente per fame, 2,4 milioni sono costretti a fuggire.

La guerra civile del Sud Sudan ha provocato una delle più gravi crisi umanitaria nel mondo.
I combattimenti infuriano in tutto il Paese: I soldati della missione UNMISS non sono in grado di proteggere i civili, venendo meno al loro mandato.
Molti giornalisti sud sudanesi sono stati incarcerati, torturati, uccisi.
Secondo l’OMS, oltre il 40 per cento della popolazione è affetta da PTSD (Sindrome da stress post-traumatico) a causa delle violenze subite.

Dal 03 Maggio 2018 al 15 Giugno – Paola Meliga Art Gallery Torino

Tutti i dettagli qua

acqua | water | 물 – koo bohnchang

„“Acqua | Water | 물” è il titolo della mostra personale dell’artista coreano Koo Bohnchang che si svolgerà all’Acquario Civico di Milano dal 12 aprile al 9 maggio 2018. Promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, Acquario Civico di Milano e Studio AKKA, curata da Roberto Mutti e Alessia Locatelli.

Una mostra in completa assonanza sin dal titolo, con il tema dell’acqua attorno a cui ruota l’identità dell’Acquario Civico di Milano. Koo Bohnchang possiede la capacità visionaria di andare oltre la complessità e il caos dell’esistente per interpretarlo come se fosse – sono parole sue – “la superficie silenziosamente ondulata di un grandioso oceano”. Queste parole sono la chiave interpretativa di un lavoro che usa la natura come un rispecchiamento dell’essere: attraverso le sue immagini, infatti, scopriamo non solo l’oggetto delle nostre osservazioni ma soprattutto noi stessi. Dietro l’apparente semplicità di un titolo come “Acqua” si nasconde la complessità di una ricerca dai forti richiami filosofici che confluisce in una visione zen dove il soggetto si rispecchia nella natura fino a identificarsi con i suoi ritmi e farli propri.
Anche dal punto di vista più strettamente linguistico le opere legate all’acqua meritano alcune considerazioni: riprendono la stessa superficie ma lo fanno in momenti diversi, colgono una medesima inquadratura ma la luce crea effetti ribaditi dalla stampa che sottolinea il susseguirsi di diverse tonalità dei grigi. In questa mostra l’allestimento è parte integrante del messaggio che richiede al visitatore di rapportarsi con tre livelli percettivi corrispondenti ad altrettanti modi di presentare le immagini. Alcune fotografie sono appese su pannelli, altre sono stampate su un supporto leggerissimo che, grazie all’allestimento che le tiene sospese nel vuoto, ripropongono quelle vibrazioni, quei fremiti, quelle fluttuazioni che l’immagine fotografica aveva immobilizzato in un frammento temporale. Il discorso non cambia ed anzi è ribadito quando le immagini appaiono in video riproponendo con un diverso mezzo lo stesso effetto, la stessa riflessione.
La mostra prevede anche una sezione dedicata a “Good-bye Paradise”, una ricerca che, per quanto appaia diversa dal punto di vista estetico con il passaggio dal bianconero al monocromo, ribadisce la visione del mondo di Koo Bohnchang e il suo modo di usare le metafore per trasmetterla. Sulla carta appaiono, realizzate con la tecnica del fotogramma, figure di animali acquatici che riempiono lo spazio muovendosi verso le più diverse direzioni. Il fotografo ci obbliga così a confrontarci con la contrapposizione dialettica fra vita e morte riflettendo sulla condizione degli animali del cui destino siamo troppo spesso artefici.

Una pluralità progettuale – indizio della capacità di osservazione del fotografo – che conduce inevitabilmente alla necessità di esprimere attraverso le immagini la sua sensibilità, che diviene empatia con il tutto“

Dal 11/04/2018 al 09/05/2018 – Acquario Civico di Milano

Forme di Paesaggio. Basilicata, 2018 – Antonio DI Cecco

Mostra fotografica di Antonio Di Cecco, nell’ambito della rassegna “Faszination Basilikata”. In occasione dell’inaugurazione della mostra giovedì, 5 aprile 2018, ore 19.00, sarà proiettato il documentario di Vania Cauzillo “Dalla terra alla luna” (2015, 37 min.), dedicato agli uomini di scienza della Basilicata.

“Una volta in cima alla ripida scalinata scavata nella roccia, il mio sguardo cerca istintivamente il mare ma l’orizzonte piatto è ancora lontano da raggiungere. Mi trovo sulle Piccole Dolomiti Lucane, una singolarità geologica dell’Appennino Meridionale. Riprendo il mio percorso verso il mare, attraverso il paesaggio osservato dall’alto e ne esploro i segni. Mi trovo in uno spazio modellato dal tempo e dall’acqua. Il territorio della Basilicata si sviluppa essenzialmente su quote montane e collinari. Continue azioni erosive generano estese aree calanchive mentre i materiali vengono portati a valle dai numerosi fiumi. Ed io non faccio altro che seguirne il corso” Antonio Di Cecco

Antonio Di Cecco, nato nel 1978 a L’Aquila dove attualmente vive e lavora, è laureato in Ingegneria Edile-Architettura con una tesi in Composizione Architettonica. Si occupa di fotografia di paesaggio urbano e architettura, oltre all’analisi dei processi di modificazione dei luoghi, con interesse specifico per l’ambito montano. É rappresentato dall’agenzia fotogiornalistica Contrasto. Nel 2013 pubblica il volume In Pieno Vuoto. Uno sguardo sul territorio aquilano (Peliti Associati), a cura di Benedetta Cestelli Guidi, con testi di Laura Moro, direttore dell’ICCD; nel 2015 le immagini del progetto entrano a far parte dell’archivio dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione. Attualmente è impegnato nel progetto Paesaggio culturale dell’Appennino sismico presso il Kunsthistorisches Institut in Florenz. Per saperne di più: www.contrastiurbani.it

Faszination Basilikata gode del patrocino della Regione Basilicata e della Università degli studi della Basilicata, del sostegno dell’Agenzia Nazionale del Turismo (ENIT) e della collaborazione della Lucana Film Commission.

da Gio 5 Apr 2018 a Dom 30 Set 2018Istituto Italiano di Cultura di Amburgo

Tutti i dettagli qua

MAN RAY. Wonderful visions

untitled

Oltre cento immagini fotografiche di Man Ray, in mostra alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di San Gimignano, dall’8 aprile al 7 ottobre 2018, ci consentono di rileggere il lavoro fotografico di uno dei più significativi artisti del XX secolo.

Universalmente noto come artista dadaista e surrealista, Man Ray è stato uno dei più grandi fotografi del XX secolo. Sperimentatore instancabile, ha reinventato tutto ciò che ha toccato: così come ha rielaborato l’invenzione dei readymades dell’amico Marcel Duchamp, trasformandoli in “oggetti d’affezione”, altrettanto ha trasformato la fotografia in “fotografia d’affezione”, cioè a funzionamento simbolico invece che a pura registrazione. Allora ogni soggetto che ha fotografato ha saputo trasformarlo, trasfigurarlo, caricarlo di senso proprio: i ritratti, gli autoritratti, i nudi, gli still life, le composizioni più complesse, ma anche la fotografia di moda, quella di pubblicità. Per non parlare delle reinvenzioni di tecniche particolari come il fotogramma, ribattezzato rayograph e sublimato surrealisticamente, e la solarizzazione, attraverso la quale ha restituito l’aura ai ritratti e ai corpi.

Scrive Elio Grazioli, il curatore della mostra: “L’affezione è ciò che crea il mistero, è il sentimento segreto che resta enigmatico al di là dello svelamento simbolico, è una dimensione privata in più di cui si carica l’oggetto, fotografia compresa, e lo sguardo, che si fa ‘incantato’”.

Man Ray trasforma ogni immagine in un enigma che indica come nel reale, anche il più abituale, sia nascosto un mistero. Tutto diventa strano, inconsueto, inatteso e si carica di un senso imprevisto, un significato non riconducibile a una formula, a un messaggio, ma sospeso, straniante, che conserva la sua enigmaticità.

Anche un abito, un cappello, un accessorio diventa un punto di domanda sul corpo, sul volto, sul braccio su cui è posato.

La mostra testimonia, nelle sue tappe fondamentali e attraverso alcune delle opere più famose, il Man Ray fotografo, ma finalmente con un taglio particolare, solo apparentemente dato per acquisito ma in realtà sempre rimesso in discussione, ovvero quello che afferma l’equivalenza tra il fotografo artista, quello di moda, di pubblicità, di fotografia pura. Ciò che accomuna e lega in un unico gesto creativo è lo sguardo, quello che trasforma tutto in “meravigliose visioni”.

8 aprile — 7 ottobre 2018 San Gimignano, Galleria di Arte Moderna e Contemporanea

Tutti i dettagli qua

Arma il prossimo tuo

locandina.jpg

Al Museo Nazionale del Risorgimento, dal 1 marzo al 9 settembre 2018 una mostra fotografica che ricerca e racconta come forse mai si sia fatto finora un aspetto poco rivelato: la fede in Dio e il dovere di combattere in nome di Dio, oggi come ieri.

Centodieci scatti realizzati dai fotoreporter Roberto Travan e Paolo Siccardi.

Repubblica Centrafricana, Sud Sudan, Kosovo, Siria, Afghanistan, Israele, Ucraina: sono solo alcuni dei luoghi del mondo devastati negli anni più recenti e ancora oggi da guerre. Magari scoppiate per motivi diversi (politici, economici, etnici), ma tutte accomunate da una sottile linea rossa, non sempre visibile, capace però di alimentare conflitti che per questo paiono non poter finire: la religione, il dovere di combattere in nome di Dio.

Nasce da qui Arma il prossimo tuo. Storie di uomini, conflitti, religioni. Una mostra fotografica che racconta le testimonianze raccolte nelle trincee, nelle chiese e nelle moschee distrutte, tra le popolazioni ridotte in miseria e disperazione.  Una ricerca che Roberto Travan, autore del progetto, ha realizzato con Paolo Siccardi. I due fotoreporter hanno selezionato tra le centinaia di fotografie scattate in conflitti sovente lontani dai riflettori dell’informazione: le vittime nei campi di battaglia, i villaggi depredati, i profughi in fuga. Ne emerge un aspetto sinora poco raccontato: la fede in Dio.

La mostra è organizzata dal Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, in collaborazione con il Consiglio regionale del Piemonte, con il supporto di Fujifilm Italia.

Centodieci scatti che catturano l’attenzione e generano forti emozioni. A condurre il visitatore le parole del giornalista Domenico Quirico: “Queste foto sono lampi di crudo dolore. La guerra e i segni di dio: piccoli e grandi, pendagli e lapidi, chiese e moschee, segni tracciati sui muri e scritte che gridano dio come documentano queste fotografie strazianti che grondano ancora dolore. La fede ottiene dall’essere umano ciò che nessun’altra dottrina ha mai ottenuto. Nel bene e nel male”.

Il progetto vuole dunque fare emergere i modi in cui la fede viene vissuta nelle zone teatro di conflitti. Si tratta di un’idea originale che sfrutta appieno il potere delle immagini rispetto ad altri mezzi di comunicazione. Il linguaggio scelto infatti è quello della fotografia di reportage, genere che coniuga ricerca personale e rigore giornalistico e garantisce una narrazione omogenea e profonda, in linea con la tradizione del fotogiornalismo di guerra.

L’esposizione è suddivisa in quattro macro aree:

Balcani (Bosnia, Serbia, Kosovo, Albania)

Europa e Caucaso (Ucraina, Nagorno-Karabakh)

Medio Oriente (Afghanistan, Iraq, Cisgiordania, Golan, Siria, Isreale,)

Africa (Repubblica Centraficana, Sud Sudan)

Luoghi in cui si continua a pregare. E a uccidere – e morire – in nome di Dio.

1 marzo al 9 settembre 2018 –  Museo Nazionale del Risorgimento

Tutte le info qua

Jason Fulford – Work in progress

fulford_1.jpg

A cura di Studio Blanco

Work In Progress è uno sguardo d’autore sul famoso metodo educativo Reggio Approach. Il fotografo americano Jason Fulford ha avuto una settimana di tempo per indagare luoghi, materiali, volti e relazioni che si creano nei laboratori del Centro Internazionale Loris Malaguzzi. Il risultato è una mostra ed una pubblicazione sperimentale, che aggiunge strati di significati all’esperienza educativa reggiana, proponendo nuove traiettorie e contesti.

Dal 20.04 al 20.05 –  Studio Blanco / Palazzo Brami Reggio Emilia

Altre info qua

Daring&Youth – Yulia Krivic

Nell’ambito del circuito OFF di Fotografia Europea, la mostra Daring&Youth porta in Italia il progetto fotografico della giovane artista ucraina Yulia Krivich, ispirato agli account Instagram di un gruppo di hooligan di estrema destra ucraini.  Krivich, colpita dalle modalità di narrazione che questi ragazzi adottano sui social media, ha deciso di seguirli nella vita reale, appropriandosi del linguaggio visuale con cui essi stessi si raccontano.

Ne risulta una quotidianità all’apparenza famigliare, ma abitata da dettagli che aprono uno squarcio su una realtà violenta e totalmente estranea: è così che, in uno scatto di Yulia, così come in un post dei ragazzi stessi, i colori delicati e l’atmosfera sospesa distraggono dalla pistola che sporge dai pantaloni di un ragazzo, o da una svastica tatuata.

Curata dal collettivo kublaiklan, la mostra è accompagnata da contenuti multimediali e interattivi che incoraggiano i partecipanti ad andare oltre la patina da filtro Instagram e ad approfondire il processo creativo del progetto attraverso il proprio cellulare.

Dal 20 aprile al 27 maggio 2018 – Via Secchi 3/c, Reggio Emilia

Janet Sternburg. Overspilling World

Curata da Alessia Paladini, la mostra esposta alla Galleria Contrasto offre al visitatore un caleidoscopio di riflessi, di storie, di sensazioni e di emozioni. Janet Sternburg coglie nella propria opera fotografica l’incessante fluire del tempo e la vitalità del mondo. A ben guardare, sulla superficie sensibile, strato dopo strato si deposita la vita e il suo quotidiano. L’autrice – oltre che fotografa è scrittrice, poetessa e filosofa –, lavorando senza alcuna manipolazione ottica e utilizzando le più semplici macchine fotografiche usa e getta e i primi modelli di iPhone, registra su un piano unico i propri stati d’animo attraverso l’incontro con la realtà e i suoi diversi aspetti. In un gioco di rifrazioni si moltiplicano le esistenze e i loro significati per giungere a una sensazione di vertigine e di perdita di orientamento, scoprendosi preda nell’osservazione della sua bellezza.

dall’11 aprile al 27 luglio – Contrasto Galleria Milano

Altri dettagli qua

Fabio Moscatelli – Qui vive Jeeg

Io non sono nato qui, ci sono capitato perché così ha voluto il destino, ma a differenza di molti sono arrivato senza nutrire alcun pregiudizio.

Ho scoperto Tor Bella Monaca nel corso degli anni – sono ormai quindici – imparando ad amare un quartiere da sempre legato alla cronaca nera; una fama triste e in gran parte immeritata, che sembra oramai un marchio indelebile.

Questa però è la mia periferia, quella che amo e quella che ho cercato di raccontare attraverso la sua straordinaria normalità, con la mia fotografia: qui vivono padri, madri, uomini e donne, bambini e ragazzi che non sono poi così diversi da quelli che possiamo incontrare nei quartieri ‘per bene’.

Sono le persone che non leggerete mai sui giornali, perché a TBM non si vive solo di spaccio, di omicidi e malaffare; si lavora, si studia, si conducono vite normali, di quelle che non riempiono le pagine di cronaca.

Recentemente anche il cinema ha preso in prestito gli scenari urbani e sociali di questo quartiere: Lo chiamavano Jeeg Robot ci ha mostrato la crudezza ma anche la bontà e soprattutto l’umanità che si respira nelle nostre torri, dove non circola solo droga e delinquenza, ma anche voglia di riscatto. Mia figlia è nata qui ed io ho intenzione di farcela crescere, perché questa è ormai casa mia.

Io non sono nato qui, ma a TBM ci vivo.

Fabio Moscatelli

Dal 18 maggio al 2 giugno  –  OPS Spazio Fotografico Livorno

Tutti i dettagli qua

Isabella Sommati – Alveare

Isabella Sommati, fotografa e art director di origine livornese, si addentra negli spazi, pubblici e segreti, della squadra di calcio femminile Alveare e, attraverso una costellazione di scatti in bianco e nero, racconta micro realtà quotidiane e corpi in movimento. Muscoli contratti, vene gonfie sotto pelli giovani, segni di sbucciature sulle ginocchia, tatuaggi che si mescolano negli abbracci.

Il risultato è un universo femminile composto da interessi, cultura ed età diverse, che trovano un punto di incontro in uno sport convenzionalmente considerato maschile. Il gioco del calcio, per la squadra Alveare, intercetta legami in bilico tra la  gioia e lo sconforto dettati dall’esito di un goal e, sigla unioni consolidate prima di ogni altra cosa dalla volontà di divertirsi, di sentirsi squadra.

Si litiga, si ride, si fatica, si ascolta… e finalmente si gioca.

dal 12 al 20  maggio – Gogol and Company – Milano

Altre info qua

Dreamers. 1968: come eravamo, come saremo

Mostra fotografica e multimediale in occasione del 50° anniversario del 1968, a cura di AGI Agenzia Italia e resa possibile dalle numerose fotografie provenienti dall’archivio storico di AGI e completata con gli altrettanto numerosi prestiti messi a disposizione da AAMOD-Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, AFP Agence France-Presse, AGF Agenzia Giornalistica Fotografica, ANSA, AP Associated Press, Marcello Geppetti Media Company, Archivio Riccardi, Contrasto, Archivio Storico della Biennale di Venezia, LUZ, Associazione Archivio Storico Olivetti, RAI-RAI TECHE, Corriere della Sera, Il Messaggero, La Stampa, l’Espresso.

L’iniziativa nasce da un’idea di Riccardo Luna, direttore AGI e curata a quattro mani con Marco Pratellesi, condirettore dell’agenzia, e intende delineare un vero e proprio percorso nell’Italia del periodo: un racconto per immagini e video del Paese di quegli anni per rivivere, ricordare e ristudiare quella storia.
Da qui, AGI ha ricreato un archivio storico quanto più completo del ’68 attraverso le immagini simbolo dell’epoca. Non solo occupazioni e studenti, ma anche e soprattutto la dolce vita, la vittoria dei campionati europei di calcio e le altre imprese sportive, il cinema, la vita quotidiana, la musica, la tecnologia e la moda.

Un viaggio nel tempo fra 171 immagini, tra le quali più di 60 inedite; 19 archivi setacciati in Italia e all’estero; 15 filmati originali che ricostruiscono più di 210 minuti della nostra storia di cui 12 minuti inediti; 40 prime pagine di quotidiani e riviste riprese dalle più importanti testate nazionali; e inoltre una ricercata selezione di memorabilia: un juke boxe, un ciclostile, una macchina da scrivere Valentine, la Coppa originale vinta dalla Nazionale italiana ai Campionati Europei, la maglia della nazionale italiana indossata da Tarcisio Burgnich durante la finale con la Jugoslavia, la fiaccola delle Olimpiadi di Città del Messico.

Tutti questi temi verranno raccontati attraverso la cronaca, gli usi, i costumi e le tradizioni in diverse sezioni tematiche, dando vita e facendo immergere il pubblico in questo lungo e intenso racconto nell’Italia del ’68.

Ad accogliere i visitatori ci saranno i grandi “sognatori del futuro”; attraverso le figure e le parole di Martin Luther King e Bob Kennedy il pubblico sarà guidato all’interno della cronaca internazionale del ’68: dalla guerra del Vietnam alla segregazione razziale negli USA, dalla presidenza di Nixon alla fine della Primavera di Praga, dalla Grecia dei colonnelli al maggio francese, si ripercorreranno alcuni degli eventi che hanno influenzato e cambiato le sorti della storia del mondo.

Le occupazioni, le contestazioni e le rivolte studentesche saranno invece i temi affrontati nella sala “Il movimento fra occupazioni e tazebao – Valle Giulia”; in particolare saranno ripercorsi i tragici scontri tra studenti e forze dell’ordine avvenuti nella famosa “Battaglia di Valle Giulia” (Roma, 1 marzo 1968) e sarà, inoltre, riportato un ciclostile originale dell’epoca, per rievocare i momenti della ribellione per mezzo della stampa di volantini e giornaletti universitari. Figura chiave dei movimenti del ’68 che viene messa in evidenza in questa sezione è Pier Paolo Pasolini con il testo “Vi odio cari studenti” e la poesia “Il PCI ai giovani”.

L’esposizione proseguirà nella sala “Le due Italie: dal Belice al Piper”, nella quale saranno contrapposte le immagini delle “due Italie” che hanno, entrambe, cambiato il futuro del nostro Paese. Da un lato si vedrà l’Italia della gente comune e delle famiglie, con uno sguardo particolare al violento terremoto che colpì la Valle del Belice nella Sicilia Occidentale. Si racconterà il Piper Club di Roma, punto d’incontro di alcune famose celebrities nazionali e internazionali come l’attore Sean Connery, il cantante Adriano Celentano, il regista Federico Fellini, l’attore Alberto Sordi, l’attrice Anna Magnani, il cantante Massimo Ranieri, il regista e attore Vittorio Gassman, il cantante Domenico Modugno.

Un’altra sezione sarà dedicata alla musica italiana e internazionale e alle grandi imprese sportive del ‘68, come ad esempio la vittoria ai Campionati Europei della Nazionale Italiana a Roma contro la Jugoslavia; in questa sezione il pubblico potrà ammirare dal vivo, grazie al supporto della FIGC – Federazione Italiano Giuoco Calcio, della Fondazione Museo del Calcio e del CONI – Comitato Olimpico Nazionale Italiano, la Coppa dei Campionati Europei, la maglia della nazionale italiana indossata da Tarcisio Burgnich e la Fiaccola delle Olimpiadi del 1968.

Proseguendo nel percorso, nel porticato del Museo, i visitatori saranno catapultati in un ambiente sonoro immersi nelle voci del 1968: dalle urla degli studenti nei cortei ai discorsi dei politici, i suoni e le parole dei personaggi di quell’epoca accompagneranno il pubblico alla riscoperta di quegli anni.

Anche l’innovazione tecnologica avrà il suo spazio all’interno della mostra. Sarà presente, infatti, una sezione dedicata al grande fermento tecnologico del 1968 che culminerà con lo sbarco sulla luna di Neil Armstrong del 1969.

Al termine del percorso fotografico, all’interno dell’Auditorium del Museo, i visitatori potranno vivere una esperienza immersiva; sarà infatti riprodotto scenograficamente l’ambiente di un’aula universitaria occupata all’interno della quale il pubblico avrà la possibilità di visionare cinegiornali dell’epoca e documenti originali ceduti da AAMOOD e RAI – RAI TECHE.

La mostra è inoltre arricchita da un vasto repertorio di memorabilia e materiale d’epoca, tra cui le prime pagine dei quotidiani e delle riviste, il famoso Jukebox, e alcune magliette autografate dei giocatori che hanno vinto l’Europeo.

L’esposizione proporrà inoltre un confronto tra la comunicazione giovanile del ’68, fatta di tazebao, assemblee e giornaletti scolastici, e quella contemporanea caratterizzata dall’utilizzo dei social media, delle web radio e dei blog universitari: attraverso le immagini si racconterà come i giovani del ’68 comunicavano con quegli strumenti; in quest’ambito saranno coinvolti direttamente realtà giovanili come il magazine universitario “Scomodo”, Radioimmaginaria, il primo e unico network radiofonico in Europa creato, diretto e condotto da adolescenti, e VoiceBookRadio, webradio gestita interamente dagli studenti di varie scuole secondarie di Roma che sarà anche uno dei media partner della mostra.

Nell’ambito della mostra il pubblico stesso sarà coinvolto in prima persona attraverso un’attività social per condividere la foto preferita del ’68, inviandola ad AGI utilizzando l’hashtag #ilmio68; le foto inviate saranno proiettate a turno su un monitor a fine mostra, nel quale si snoderà così un racconto parallelo, un mosaico di storie di quell’anno che crescerà nel corso dei mesi.

Oltre all’esposizione l’iniziativa prevede l’organizzazione di un ciclo di eventi e incontri estivi, che si svolgeranno nel Chiostro del Museo, dedicati ai principali momenti musicali, sportivi, politici, culturali e cinematografici che hanno caratterizzato l’Italia nel 1968 con l’obiettivo di coinvolgere un vasto pubblico e il maggior numero di scuole. Obiettivo primario dell’iniziativa è far sì che ciascuno studente, grazie soprattutto alla partecipazione diretta alle proiezioni cinematografiche, ai dibattiti sulla politica, ai concerti musicali nonché ad altre iniziative tematiche, possa conoscere e vivere più da vicino un anno e, soprattutto, un Paese sino ad oggi studiato solamente sui libri di storia.

Dal 5 maggio al 2 settembre 2018 – Museo di Roma in Trastevere

Tutti i dettagli qua

The Fragility of Existence – Margaret Courtney-Clarke

La fragilità dell’esistenza L’ultimo lavoro di Margaret Courtney-Clarke si differenzia dai precedenti, tre libri, tre indagini sull’Africa negli ultimi quindici anni. Margaret, nata e cresciuta in Namibia, è tornata a vivere nel deserto nel 2008 per riprendersi da una malattia. In questo periodo ha avuto modo di abbracciare la realtà di quel territorio e della sua gente con una straordinaria energia, acutezza e dedizione. Queste fotografie, raccolte nel libro “Cry sadness into the coming rain”, parlano dell’esistenza, e nascono dalla profonda consapevolezza della fragilità della vita, prima di tutto la propria, colta entrando profondamente in contatto con la vita di queste persone, la loro cultura e l’attività di estrazione minerale. Lontane dalla tentazione di assumere un tono nostalgico e retorico, sono immagini grezze, che non nascondono nulla delle difficoltà di un territorio tanto inospitale, ma neanche della sua vitalità, in una visione sorprendentemente onesta e aggraziata.

Dall 8/5 al 1/6 2018 – Galleria P46 – Camogli (GE)

Per dettagli qua

Korean Dream – Filippo Venturi

Filippo Venturi continua l’indagine iniziata con “Made in Korea”, risalendo la penisola coreana al di sopra del 38° parallelo per entrare nello stato che negli ultimi tempi, più di ogni altro, è al centro dell’attenzione politica e mediatica. La repubblica del “caro leader” Kim Jong-Un infatti, con il proprio arsenale nucleare orgogliosamente propagandato, rappresenta nello scacchiere internazionale una variabile al di fuori di ogni controllo. La storia di queste terre è nota: la penisola coreana al termine del secondo conflitto mondiale venne arbitrariamente  divisa in due zone, l’una sotto l’influenza statunitense e l’altra legata alla Russia; i coreani, vittime dei giochi di potere innescati dalla guerra fredda tra le due superpotenze, si trovarono così ad affrontare una sanguinosa guerra civile le cui ferite non sono ancora risanate. Entrare e soprattutto fotografare in un paese situato all’ultimo posto della classifica sulla libertà di stampa, in cui lavita della popolazione è capillarmente controllata a partire dalla prima infanzia, non è certo semplice. L’autore sceglie volutamente un approccio distaccato, il più possibile scevro da preconcetti, inserendosi in quella corrente neotopografica (1) che evita di enfatizzare luoghi e situazioni. Eppure in questo caso le accurate composizioni, con i soggetti quasi sempre al centro dell’inquadratura, insieme alla perfetta padronanza cromatica e tonale, non fanno che rivelare e amplificare la sensazione del controllo pervasivo che si respira a Pyongyang. E ciò si percepisce non solo dalle imponenti architetture celebrative, ma anche nelle situazioni ludiche e di svago. Nei parchi giochi, negli imponenti teatri, nelle piscine o in una sala biliardo, ogni cosa pare congelata, come se tutte le manifestazioni delle umane emozioni fossero in paziente attesa di approvazione. Sotto alla superficie patinata si aprono le crepe della distopia e il Paese si rivela come un esteso Panopticon  a cielo aperto, dove scuole e istituzioni sono le centrali operative di un potere che stravolge il concetto primario dell’educare: non più ex-ducere, condurre oltre, bensì trattenere.

Fortezza del Girifalco di Cortona dal 9 maggio al 17 giugno 2018

Sara Munari- BE THE BEE BODY BE BOOM

Sara

Per Be the bee body be boom (bidibibodibibu) mi sono ispirata sia alle favole del folklore dell’Est Europa, sia alle leggende urbane che soffiano su questi territori. Un incontro tra sacro e profano, suoni sordi che ‘dialogano’ tra di loro permettendomi di interpretare la voce degli spiriti dei luoghi. Ogni immagine è una piccola storia indipendente che tenta di esprimere rituali, bugie, malinconia e segreti. L’Est Europa offre uno scenario ai miei occhi impermeabile, un pianeta in cui è difficile camminare leggeri, il fascino spettrale da cui è avvolta, dove convivono tristezza, bellezza e stravaganza: un grottesco simulacro della condizione umana. A est, in molti dei paesi che ho visitato, non ho trovato atmosfere particolarmente familiari, in tutti questi luoghi ho percepito una forte collisione tra passato, spesso preponderante, e presente. Sono anni che viaggio a est, forse il mio sguardo è visionario e legato al mondo dei giovani, a quella che presuppongo possa essere la loro immaginazione

presso la galleria FIAF c/o PHOTOCLUB EYES BFI presso il CENTRO CULTURALE OPERA – Azioni Creative  San Felice Sul Panaro (MO)

dal 14 Maggio al 24 Giugno 2018 Ore 21,30.

Brown Print – Altilia

Dopo Isernia e Sepino la mostra “Brown Print – Altilia” torna a Campobasso negli splendidi locali del Museo Sannitico in via Chiarizia, 10 grazie al Polo museale del Molise che ha messo a disposizione la location, cornice perfetta per le stampe raffiguranti l’antica città di Altilia.

La mostra “Brown Print – Altilia” prosegue un percorso di studi sulle tecniche alternative di stampa fotografica ideato e condotto dal fotografo Luigi Grassi (www.luigigrassi.com), organizzato dal Centro per la Fotografia Vivian Maier di Campobasso, con la collaborazione di Arte Studio, Me.MO Cantieri Culturali a.p.s. e il Polo Museale del Molise. Durante il corso gli studenti si sono confrontati fotograficamente con il paesaggio archeologico di Altilia e hanno avuto modo di sperimentare una tecnica di stampa artigianale. La stampa bruna si colloca indietro nel tempo – precisamente a partire dal 1889 grazie agli studi del chimico inglese W.J. Nichols – e l’obiettivo del corso e di questa mostra è quello di stabilire un legame tra antico e moderno, tra antichi metodi di stampa e tecnologia digitale. La semplicità, intesa come genuinità, insieme a una buona dose di precisione, tempo e concentrazione, della stampa bruna è il presupposto fondamentale per la creazione di immagini fotografiche di rara originalità. Oltre al procedimento tecnico, la bellezza delle immagini è il risultato anche della scelta del soggetto: il sito archeologico di Altilia. La rappresentazione fotografica dell’antico nucleo abitativo romano contribuisce a rendere ancora più singolare l’immagine prodotta attraverso la stampa bruna. Iscrizioni sparse ovunque, colonne che si innalzano verso il cielo, pietre che ancora definiscono i sentieri percorsi, le porte e le mura che invitano a entrare in città: tutti questi elementi sono stati catturati dalle immagini in mostra con lo scopo di rendere visibile agli occhi di chiunque quel valore antico ed eterno che rende unica e autentica anche la stampa bruna.

Per l’occasione Alessandra Capocefalo, archeologa, socia fondatrice dell’Associazione Me.MO Cantieri Culturali, guiderà gli ospiti in un tour virtuale dell’area archeologica di Saepinum – Altilia attraverso le immagini realizzate da Rosso Albino, Chiara Brunetti, Paolo Cardone, Rossana Centracchio, Simone Di Niro, Alexandra R. Ionescu, Lello Muzio. Il percorso si snoderà tra le immagini sottolineando i particolari più significativi di una città antica scomparsa per secoli e riemersa, in parte, negli anni ’50 del Novecento. Il municipio romano, sorto a cavallo del tratturo Pescasseroli – Candela nel tratto che attraversa la Valle del Tammaro in corrispondenza della montagna di Sepino, ha una lunga storia da raccontare a partire dalla sua prima organizzazione urbana, racchiusa all’interno delle possenti mura, che furono fatte edificare dai figli adottivi di Augusto, Tiberio e Druso. Diversi secoli di transumanza e opere pubbliche, finanziate dai membri illustri di famiglie locali che raggiunsero le più alte cariche dell’Impero, la resero uno dei municipia più importanti del Sannio molisano fino al suo progressivo decadimento che raggiunse il culmine in epoca altomedievale. Da questo momento in poi l’area sarà occupata da piccoli nuclei organizzati intorno alle aree coltivabili che conserveranno la loro fisionomia fino alla seconda metà del ‘900.

Questo percorso storico, umano e sociale, si rivelerà attraverso gli straordinari scatti della mostra “Brown Print – Altilia”, organizzata dal Centro per la Fotografia Vivian Maier di Campobasso e dal Polo Museale del Molise che si terrà a Campobasso in via Chiarizia, 10 presso i locali del Museo Sannitico.

Dal 26 aprile al 23 maggio – Museo Sannitico Campobasso

Altre info qua

Le mostre di fotografia da non perdere a Marzo.

Ciao,

ecco le mostre che vi segnaliamo per il mese di marzo, in ITalia e all’estero.

Non perdetevele!

Anna

FULVIO ROITER. FOTOGRAFIE 1948 – 2007

La Casa dei Tre Oci presenta la prima retrospettiva dedicata al grande Fulvio Roiter dopo la sua scomparsa, il 18 aprile 2016.

Promossa dalla Fondazione di Venezia in partenariato con Città di Venezia, la mostra ripercorre l’intera carriera fotografica di Fulvio Roiter, presentandosi come la più completa monografica mai realizzata sull’autore e la prima dopo la sua recente scomparsa. Un omaggio e un ricordo che la Casa dei Tre Oci ha voluto dedicare al fotografo che più di ogni altro ha legato l’immagine di Venezia al proprio nome.

L’esposizione, curata da Denis Curti, resa possibile grazie al prezioso contributo della moglie Lou Embo, farà emergere attraverso 200 fotografie, la maggior parte vintage, tutta l’ampiezza e l’internazionalità del lavoro di Fulvio Roiter, collocandolo tra i fotografi più significativi dei nostri giorni. Partendo dalle origini e dal caso che hanno determinato i primi approcci di Roiter alla fotografia, nel pieno della stagione neorealista, di cui il fotografo veneziano ha ereditato la finezza compositiva, il percorso racconta gli immaginari inediti e stupefacenti che rappresentano Venezia e la laguna, ma anche i viaggi a New Orleans, Belgio, Portogallo, Andalusia e Brasile.

L’allestimento si arricchisce di videoproiezioni, ingrandimenti spettacolari e una ventina di libri originali, che, oltre a visualizzare in pagina l’opera di Roiter, restituiscono anche la vastità di contributi critici dei tanti autori che hanno scritto sul suo lavoro, tra cui Andrea Zanzotto, Italo Zannier, Alberto Moravia, Ignazio Roiter, Fulvio Merlak, Gian Antonio Stella, Roberto Mutti, Giorgio Tani, Enzo Biagi.

Non manca il breve ma intenso ricordo della moglie Lou, riferito a quel primo incontro in Belgio, che fu la nascita di un rapporto umano e professionale lungo quarant’anni. Contenitore e veicolo ideale dell’opera artistica di Fulvio Roiter è stato infatti, sin dal principio, il libro fotografico. E la completa dedizione verso di esso ha portato l’autore a ricevere numerosissimi e importanti riconoscimenti come il prestigioso Premio Nadar, ottenuto nel 1956, con il libro Umbria. Terra di San Francesco, e il Grand Prix a Les Rencontres de la Photographie d’Arles, nel 1978, con Essere Venezia.

VENEZIA/TRE OCI 16.03 > 26.08.2018

Tutte le info qua

Magnum Manifesto. Guardare il mondo e raccontarlo in fotografia

In mostra al Museo dell’Ara Pacis i 70 anni della Magnum Photos.
Le celebri immagini e gli storici reportage della più grande agenzia fotogiornalistica al mondo.
La mostra raccoglie parte del lavoro realizzato in tutti questi anni e getta uno sguardo nuovo e approfondito sulla storia e sull’archivio dell’Agenzia.
Le immagini celebri e i grandi reportage dei suoi autori permettono di comprendere in che modo e per quale motivo Magnum sia diventata diversa, unica e leggendaria.
Dal reportage sui lavoratori immigrati negli USA, realizzato da Eve Arnold negli anni Cinquanta, ai ritratti di “famiglia”, teneri e intimi, di Elliott Erwitt; dalle celebri immagini degli zingari di Josef Koudelka, fino alla toccante serie realizzata nel 1968 da Paul Fusco sul “Funeral Train”, il treno che trasportò la salma di Robert Kennedy nel suo ultimo viaggio verso il cimitero di Arlington, attraversando un’America sconvolta e dolente. E ancora, le serie più recenti dei nuovi autori di Magnum: dalla “Spagna Occulta” di Cristina Garcia Rodero, alle osservazioni antropologiche, sotto forma di fotografie, realizzate nel mondo da Martin Parr; dalla cruda attualità del Sud America documentato da Jérôme Sessini, fino al Mar Mediterraneo, tenebroso e incerto nelle notti dei migranti, fotografato da Paolo Pellegrin.

Il curatore, Clément Chéroux ha selezionato una serie di documenti rari e inediti, immagini di grande valore storico e nuove realizzazioni, per illustrare come Magnum Photos debba la sua eccellenza alla capacità dei fotografi di fondere arte e giornalismo, creazione personale e testimonianza del reale, verificando come il “fattore Magnum” continui a esistere e a rinnovare continuamente il proprio stile.

Il percorso espositivo è suddiviso in tre sezioni

La mostra è accompagnata da un libro edito da Contrasto.

07/02 – 03/06/2018 – Museo dell’Ara Pacis,Spazio espositivo Ara Pacis

Tutti i dettagli qua

STEVE McCURRY. ICONS

Steve McCurry è uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea, attivo da ormai quasi quarant’anni e punto di riferimento per un larghissimo pubblico che nelle sue fotografie riconosce un modo di guardare il nostro tempo.

Steve McCurry – Icons è una mostra che raccoglie in oltre 100 scatti l’insieme e forse il meglio della sua vasta produzione, per proporre ai visitatori un viaggio simbolico nel complesso universo di esperienze e di emozioni che caratterizza le sue immagini.

A partire dai suoi viaggi in India e poi in Afghanistan, da dove veniva Sharbat Gula, la ragazza che ha fotografato nel campo profughi di Peshawar in Pakistan e che è diventata una icona assoluta della fotografia mondiale.

Con le sue foto Steve McCurry ci pone a contatto con le etnie più lontane e con le condizioni sociali più disparate, mettendo in evidenza una condizione umana fatta di sentimenti universali e di sguardi la cui fierezza afferma la medesima dignità. Guardando le sue foto è possibile attraversare le frontiere e conoscere da vicino un mondo che è destinato a grandi cambiamenti.

La mostra inizia infatti con una straordinaria serie di ritratti e si sviluppa tra immagini di guerra e di poesia, di sofferenza e di gioia, di stupore e di ironia.

SCUDERIE DEL CASTELLO VISCONTEO DI PAVIA DAL 3 FEBBRAIO AL 3 GIUGNO 2018

Tutti i dettagli qua

MAST Foundation for Photography Grant on Industry and Work

Il MAST Foundation for Photography Grant on Industry and Work è una competizione internazionale che giunge quest’anno alla quinta edizione, raccogliendo il testimone del concorso GD4PhotoArt.

L’iniziativa vuole dare voce alla ricerca fotografica delle nuove generazioni di artisti arricchendo l’offerta culturale della Fondazione MAST di spunti inediti legati agli sguardi dei giovani sui temi dell’industria, della tecnologia, del territorio e del lavoro.

Presentando i progetti dei fotografi finalisti, questa mostra è l’atto conclusivo della competizione 2018.

Mari Bastashevski, Sara Cwynar, Sohei Nishino e Cristóbal Olivares fanno luce su quattro realtà geografiche e umane che riflettono le rapidissime trasformazioni in atto nel mondo a livello economico e produttivo e le loro implicazioni ambientali, sociali, ed etiche nella vita di ciascuno di noi.

Dobbiamo continuamente prendere atto di quanto siano scarse le nostre conoscenze sul mondo della progettazione, dello sviluppo, della produzione, del marketing e della vendita di prodotti, di quanto sia limitata la circolazione di immagini provenienti da questi settori.

A grandi passi, la ricerca, la tecnologia e la finanza hanno reso astratto il nostro mondo. Tanto più importante ed essenziale diventa allora visualizzarlo: solo restituendolo attraverso le immagini possiamo tentare di seguirne i percorsi, di comprendere gli aspetti più radicali della digitalizzazione, l’apertura di nuovi ambiti, nuove conoscenze, nuovi materiali e nuovi modelli finanziari. E la comprensione del mondo è condizione primaria ed essenziale per l’esistenza di un cittadino adulto e responsabile in una società libera e democratica.

Dal 31/01 al 01/05/2018 – MAST Bologna

Altre info qua

(un)expected families

Bringing together more than 80 pictures taken by American photographers from the 19th century to today, “(un)expected families” explores the definition of the American family—from the families we are born into to the ones we have chosen for ourselves. The works on view depict a wide range of relationships, including multiple generations, romantic unions, and alternative family structures. Using archival, vernacular, and fine art photographs, “(un)expected families” offers a variety of perspectives on the American family, from Dorothea Lange’s depiction of a migrant family at the time of the Dust Bowl to Louie Palu’s portraits of US Marines fighting in Afghanistan. The exhibition illustrates that the family has always taken diverse forms: affluent and destitute, cohesive and fractured, expected and unexpected. Taken together, the photographs challenge visitors to consider what family means to them. “(un)expected families” features celebrated practitioners like Nan Goldin, Carrie Mae Weems, LaToya Ruby Frazier, and Harry Callahan, as well as a number of renowned Boston-area artists, such as David Hilliard, Nicholas Nixon, Abe Morell, and Sage Sohier.

December 9, 2017 – June 17, 2018
Herb Ritts Gallery (Gallery 169) and Clementine Brown Gallery (Gallery 170) – Boston

All details here

Stati di Tensione | Percorsi nelle collezioni

Riparte la stagione espositiva del Museo di Fotografia Contemporanea con la mostra STATI DI TENSIONE | Percorsi nelle collezioni. Il curatore Carlo Sala è stato invitato a “rileggere” i diversi fondi fotografici che costituiscono il patrimonio del Museo, creando un percorso espositivo di oltre ottanta lavori di autori italiani e stranieri e due interventi site-specific di giovani artisti contemporanei.

Il titolo della mostra richiama metaforicamente la tensione-trazione cui è sottoposta la società odierna di fronte a sfide e mutamenti epocali: dai cambiamenti climatici ai flussi migratori, alle insorgenze dei nuovi nazionalismi.
Il progetto espositivo al Mufoco vuole così proporre dialoghi inediti tra immagini, sia avvalorando le ragioni storiche che le hanno prodotte, sia innescando, mediante la loro collazione, interrogativi non previsti originariamente dagli autori e che possono essere un ideale centro di riflessione sul presente e sul passato, nonché sulla funzione politica e sociale dell’immagine.

La mostra è suddivisa in due capitoli, in cui il discorso avviato e sviluppato attraverso le opere presenti nelle collezioni viene concluso da un’installazione di artisti emergenti contemporanei, che costituiscono una sorta di chiave di lettura a ritroso del percorso e al contempo provocano un’inaspettata esplosione dei temi stessi.

La scelta di individuare un giovane curatore e di ospitare, in occasione della mostra, le opere di giovani artisti dà continuità a una politica avviata lo scorso anno e che a partire dal 2018 diventerà una consuetudine nella programmazione del Museo. Puntare sui giovani attraverso incontri, mostre e acquisizioni permette di riallacciare un dialogo con i fotografi e gli operatori, a cui il Museo si rivolge come luogo aperto di discussione e sperimentazione.

Autori in mostra: Marina Ballo Charmet, Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Letizia Battaglia, Lisetta Carmi, Vincenzo Castella, Paolo Ciregia, Mario Cresci, Paola Di Bello, Peter Fischli & David Weiss, Joan Fontcuberta, Leonard Freed, Jochen Gerz, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Paolo Gioli, Paul Graham, Roni Horn, Francesco Jodice, Michi Suzuki, The Cool Couple, Arthur Tress, Klaus Zaugg.

18.02.2018 > 15.04.2018 – MUFOCO – Cinisello Balsamo (MI)

Tutte le info qua

MAN RAY

untitled

Man Ray (born as Emmanuel Radnitzky in 1890 in Philadelphia, died in 1976 in Paris) has always been primarily received as a photographer. He achieved worldwide renown for his portraits of artists and his rayographs of the 1920s, produced without the use of a camera. However, Man Ray painted, drew, designed, made films and objects, wrote, invested his talents enthusiastically in typography, book and magazine design, and pursued a veritable career as experimental fashion photographer for Harper’s Bazaar and Vogue – thus providing enviable scope for Kunstforum to visualise all this in its exhibition. Man Ray exploited countless artistic media and techniques in an inventive and playful manner. In his autobiography, appearing in 1963, he wrote: “… the instrument did not matter – one could always reconcile the subject with the means and get a result that would be interesting (…) One should be superior to his limited means, use imagination, be inventive.”While Man Ray’s photography is omnipresent in every overview on Dadaism and Surrealism, until now only few people in the German-speaking regions have been aware of him as a universal artist. His artistic brinkmanship relates not only to very diverse media, but also the two art capitals of the twentieth century – Paris and New York, where Man Ray alternately lived. Kunstforum’s exhibition will be devoted to “the universal Man Ray” and critically address discourses that mark his oeuvre in general, such as the closeness and distance between male and female physicality and creativity and their enactment in his oeuvre; it will also show Man Ray as “friend to everyone who was anyone”, who associated in the most glamorous circles of society and thus as prototype of the artistic networker and catalyst.

A selection of 150 keyworks from all over the world, including painting, photography, objects, works on paper, collages and assemblages and experimental film, will help to map the outline of an enigmatic and complex artist personality who paved the way for modern and contemporary art, and – in congenial artistic complicity with Marcel Duchamp – laid groundwork for how and what we see as “art” today.

14.02. – 24.06.2018 – Bank Austria Kunstforum – Vienna

All details here

VIVIAN MAIER – LA FOTOGRAFA RITROVATA

La vita e l’opera di Vivian Maier sono circondate da un alone di mistero che ha contribuito ad accrescerne il fascino. Tata di mestiere, fotografa per vocazione, non abbandonava mai la macchina fotografica, scattando compulsivamente con la sua Rolleiflex. È il 2007 quando John Maloof, all’epoca agente immobiliare, acquista durante un’asta parte dell’archivio della Maier confiscato per un mancato pagamento. Capisce subito di aver trovato un tesoro prezioso e da quel momento non smetterà di cercare materiale riguardante questa misteriosa fotografa, arrivando ad archiviare oltre 150.000 negativi e 3.000 stampe. La mostra presenta 120 fotografie in bianco e nero realizzate tra gli anni ‘50 e ‘60 insieme a una selezione di immagini a colori scattate negli anni ‘70. Figura imponente ma discreta, decisa e intransigente nei modi, Vivian Maier ritraeva le città dove aveva vissuto – New York e Chicago – con uno sguardo curioso, attratto da piccoli dettagli, dai particolari, dalle imperfezioni ma anche dai bambini, dagli anziani, dalla vita che le scorreva davanti agli occhi per strada, dalla città e i suoi abitanti in un momento di fervido cambiamento sociale e culturale. Immagini potenti, di una folgorante bellezza che rivelano una grande fotografa. E sue fotografie non sono mai state esposte né pubblicate mentre lei era in vita, la maggior parte dei suoi rullini non sono stati sviluppati, Vivian Maier sembrava fotografare per se stessa. Osservando il suo corpus fotografico spicca la presenza di numerosi autoritratti, quasi un possibile lascito nei confronti di un pubblico con cui non ha mai voluto o potuto avere a che fare. Il suo sguardo austero, riflesso nelle vetrine, nelle pozzanghere, la sua lunga ombra che incombe sul soggetto della fotografia diventano un tramite per avvicinarsi a questa misteriosa fotografa. Vivian Maier. Una fotografa ritrovata presenta al pubblico l’enigma di un’artista che in vita realizzò un enorme numero di immagini senza mai mostrarle a nessuno e che ha tentato di conservare come il bene più prezioso. Come scrive Marvin Heiferman “Seppur scattate decenni or sono, le fotografie di Vivian Maier hanno molto da dire sul nostro presente. E in maniera profonda e inaspettata… Maier si dedicò alla fotografia anima e corpo, la praticò con disciplina e usò questo linguaggio per dare struttura e senso alla propria vita conservando però gelosamente le immagini che realizzava senza parlarne, condividerle o utilizzarle per comunicare con il prossimo. Proprio come Maier, noi oggi non stiamo semplicemente esplorando il nostro rapporto col produrre immagini ma, attraverso la fotografia, definiamo noi stessi”.

3 marzo – 27 maggio 2018 – Palazzo Pallavicini – Bologna

Altri dettagli qua

Kind of a day in Milano, photographs by Bruce Weber

Era quel genere di giornata da film noir a Milano. Il sole stava cercando di penetrare tra le nuvole che si muovevano veloci mentre noi cercavamo un lungo vicolo per lo studio di Kris. Ovviamente non c’era un numero civico – non c’era nemmeno il nome RUHS inciso nel metallo del grande portone industriale all’ingresso. Finalmente Kris uscì, si aggirava nei suoi abiti da lavoro come un personaggio dell’opera teatrale ‘Uomini e topi’ di John Steinbeck.
Siamo entrati, e lui rispose con il suo modo dolce di parlare, mentre noi ci complimentavamo per i disegni e le sculture che riempivano lo spazio, “La luce è bella qui dentro.” Il mio esposimetro segnava un’apertura di diaframma di appena f/ 2.8 ad 1/15.  Mi venne in mente quando avevo fotografato Balthus nel suo studio in Svizzera, costruito direttamente nella terra. Lì, a malapena, sono riuscito a leggere il mio esposimetro.

Era abbastanza tardi quando arrivammo al club di boxe, ma non me ne accorsi nemmeno perché ero già occupato a fotografare i combattenti sul ring, che si tiravano feroci pugni l’uno l’altro, imprecando in italiano; come diceva Kris in modo rassicurante, “Non ti preoccupare, amerai la luce.”

Bruce Weber

Gli artisti spesso nascondono il loro processo creativo agli altri per proteggere un sistema, o una mentalità, o l’unicità della loro visione.
Alcuni artisti indossano veli di personalità impenetrabili che proteggono questo processo creativo mentre lavorano tra la folla. Altri evitano la folla mentre lavorano.

La necessità di non svelare la fonte della propria creatività rende difficile la collaborazione tra artisti. Ci vuole un alto livello di fiducia per permettere a un altro artista di guardare in questo mondo interiore. E la fiducia cresce solo nel tempo.

Kris Ruhs e Bruce Weber si sono incontrati decenni fa. E nel tempo sono diventati amici. Anni di cene e cartoline e storie circolate tra loro.

Nel 2003 Bruce ha visitato lo studio di Kris, nuovamente quindi nel 2011 e nel 2014, ha scattato una serie di fotografie. Una collaborazione tra artisti.
Questa mostra è la memoria di quei giorni e di questa amicizia.

21 febbraio 2018 – 8 aprile 2018 – Galleria Carla Sozzani – Milano

Tutte le info qua

David Wilson, Minor collisions

Minor collisions è Londra, ma una Londra anti-turistica, lontana dai luoghi canonici. L’iconografia classica è tenuta a debita distanza, la città che ci appare è piuttosto un archetipo: la Grande Metropoli Occidentale. E le fotografie di David Wilson, più che desiderose di mostrare, sembrano voler occultare, o meglio di far solo intravedere un frammento di paesaggio che emerge al di là di un muro, di una rete. Gli edifici non sono quasi mai frontali. Le facciate sono quasi sempre laterali o posteriori. Lo sguardo è quasi sempre diagonale o bloccato. Un tema leopardiano: la siepe che ferma lo sguardo e lascia immaginare o intravedere a volta il nulla, altre volte veri e propri idilli moderni, come la giostra a forma di stella che ritorna alla fine del libro nelle vesti di origami spezzato in una pozzanghera.
Spazi intravisti e spazi interstiziali: in modo ossessivo lo sguardo si sofferma sulle aperture tra una zona pianificata e l’altra, lì dove restano fette di città che sfuggono all’attenzione dell’urbanista e dell’amministrazione del territorio: disadorne e squallide, ma anche elementi di resistenza. Qui spesso compaiono i bambini, sempre intenti a giocare o ad approfittare della mancanza di controllo, e alcuni elementi biologici: piante che mostrano strane escrescenze fuori misura, animali al pascolo placidamente riconciliati o in inquieti stormi di fronte a ricordi di incendi.
Gli adulti invece sono quasi sempre di spalle, i loro sguardi sono divergenti. Spesso appaiono in situazioni incongrue e quasi ridicole, come incapaci di funzionare a dovere, immobili (o intenti a reiterare lo stesso movimento) come automi dal meccanismo inceppato. Gli animali e i bambini sembrano i soli a loro agio nel loro spazio.
Non c’è in queste foto alcuna pretesa di spiegare un luogo difficilmente riassumibile in una sequenza di fotografie: il tentativo è piuttosto quello di trasmettere uno straniamento, percepibile nel confronto tra la normalità dei gesti e il contesto in cui vanno a collocarsi. La distanza e lo spazio diventano l’unità di misura di uno sforzo, quello di mantenere un ordine impossibile. Uno sforzo che tuttavia procede con un’energia identica a quella espressa dalle forze che ad esso si oppongono, producendo una sorta di precaria e bellicosa immobilità, o di attesa. La critica verso la prepotenza con cui l’uomo cerca di assumere il controllo dell’ambiente che lo circonda si ferma nel momento in cui riconosce che sarà l’uomo stesso, in ultimo, a doversi adeguare a un sistema di regole non scardinabile, ma che è possibile solo assecondare e fare proprio.

Baretto Beltrade, Milano –  2 marzo 2018 – 28 aprile 2018

Tutti i dettagli qua

Straordinarie mostre di fotografia anche a dicembre.

Nuove fantastiche mostre vi aspettano nel mese di dicembre, ma ricordatevi che ce ne sono altre ancora in corso. Trovate tutto qua!

Ciao

Anna

JAMES NACHTWEY MEMORIA

L’attesissima esposizione del pluripremiato fotografo americano, considerato universalmente l’erede di Robert Capa, è la prima tappa internazionale di un tour nei più importanti musei di tutto il mondo. La mostra propone una imponente riflessione individuale e collettiva sul tema della guerra. Curata da Roberto Koch e dallo stesso James Nachtwey, Memoria rappresenta una produzione originale e la più grande retrospettiva mai concepita sul suo lavoro.

Dal 1 dicembre 2017 – 4 marzo 2018 – Palazzo Reale Milano

Qua tutti i dettagli

Narciso Contreras – Libya: A Human Marketplace

contreras_human_trafficking_07

Dal 04 Novembre 2017 Al 14 Gennaio 2018  – Galleria d’Arte De Chirico – Torino

Dal 4 novembre in occasione della Notte delle Arti Contemporanee, la galleria Raffaella De Chirico avrà il privilegio di ospitare in esclusiva per la città di Torino l’importante lavoro di Narciso Contreras intitolato Libya: A Human Marketplace. Una mostra, una investigazione prodotta nel quadro della settima edizione del Carmignac Photojournalism Award, che prima di toccare il suolo torinese ha avuto l’onore di essere esposta, costringendoci a vedere, a guardare, ad entrare in un mondo fatto di oppressione, di terrore, di violenza a Palazzo Reale a Milano. Il suo lavoro è stato esposto alla Saatchi Gallery a Londra ed all’Hôtel de l’Industrie a Parigi. Le fotografie del lavoro di Contreras sono la brutale testimonianza del traffico di esseri umani che viene perpetrato ai confini della Libia post?Gheddafi, da milizie che sfruttano la condizione di migranti, rifugiati e richiedenti asilo a fini commerciali ed economici.

La rotta che attraversa il Niger e poi la Libia è il terribile segreto delle politiche democratiche europee. Raccontare il viaggio da dove non possiamo ancora vedere, non dalle nostre coste, dai nostri orizzonti, ma raccontare la vulnerabilità dalle periferie dove esso si genera. Narciso Contreras ha fornito per il Prix Carmignac di fotogiornalismo una testimonianza sulla inaccettabile realtà del traffico di esseri umani ai confini della Libia, dove si è recato da febbraio a giugno 2016.

La prima volta che sentiamo la parola schiavo è lontana da noi, qui la ritroviamo in corpi senza identità. Corpi di cui rimangono solo i numeri, le lettere per identificarli in celle posti come se non avessero mai vissuto. Questi corpi urlano il diritto di essere, la possibilità alla vita, ma per loro non ci sono lacrime.

Il lavoro di Contreras mette in luce una nuova crisi umanitaria che vede migranti, rifugiati e richiedenti asilo ritrovarsi in balia delle milizie che li sfruttano a fini commerciali ed economici. Bloccati dentro centri di detenzione, queste persone sono sottoposte a condizioni di vita disumane dovute al sovraffollamento delle carceri, all’assenza di infrastrutture sanitarie e ai violenti pestaggi. Nel corso di questo reportage il fotogiornalista costruisce un racconto che sottolinea come, invece di essere un luogo di transito per i migranti diretti in Europa, la Libia sia in realtà diventata una roccaforte del traffico, dei campi di concentramento di nuova era.

Tutte le info qua

ALEC SOTH – GATHERED LEAVES

Alec Soth (*1969) is regarded as one of the most important figures in documentary photography. From 8 September 2017 to 7 January 2018, the exhibition Gathered Leaves in the House of Photography at the Deichtorhallen Hamburg will feature a comprehensive selection of some sixty-five photographs that offer an in-depth look at the work of this Magnum photographer.

The Telegraph has called Alec Soth “the greatest living photographer of America’s social and geographical landscape.” Soth thus follows in the tradition of Robert Frank, Stephen Shore, and Joel Sternfeld. He has inspired a wide audience at numerous international solo and group exhibitions, most recently at the Whitney Biennale, the 2004 São Paulo Biennale, as well as the Jeu de Paume in Paris and the Fotomuseum Winterthur in 2008. The exhibition at the Deichtorhallen Hamburg will be the first comprehensive showing of his four characteristic series Sleeping by the Mississippi (2004), Niagara (2006), Broken Manual (2010), and Songbook (2014).

The physical landscapes of his homeland—the majestic Mississippi, the torrential Niagara Falls, wide-open deserts and pristine natural expanses, small towns and suburbs—form the structure and setting of his poetic studies of American life. The subjects of Alec Soth’s works are the American ideals of independence, freedom, spirituality, and individuality, which the photographer expresses in scenes of daily life. The human essence always remains the central aspect of his intimate portraits; his trained eye is directed at the story behind the visual narrative—human emotions, personal destinies and longings. Soth always follows his aesthetic approach: “to me the most beautiful thing is vulnerability.”

The exhibition was developed in cooperation with Magnum Photos. Hamburg will be its only stop in Germany on an international tour that includes the Media Space at the Science Museum and the National Media Museum (both in London), the Finnish Museum of Photography (Helsinki), and the Fotomuseum in Antwerp.

8 SEPTEMBER 2017 − 7 JANUARY 2018 – HOUSE OF PHOTOGRAPHY – Hamburg
All details here

MATHIEU ASSELIN – MONSANTO®: THE BOOK

28 001

Spazio Labo’ è orgogliosa di presentare la mostra tratta dal libro Monsanto®: A Photographic Investigation (Verlag Kettler/Actes Sud, 2017) di Mathieu Asselin, un’indagine dettagliata e minuziosa sulla Monsanto® Company, la multinazionale statunitense specializzata in biotecnologie agrarie.
Dopo il grande successo riscontrato al festival Les Rencontres d’Arles edizione 2017, la mostra prodotta a Bologna è stata ripensata dal curatore Sergio Valenzuela Escobedo appositamente per la galleria di Spazio Labo’, proponendo una selezione di nuovi contenuti rispetto al festival francese. Monsanto®: The Book focalizza l’attenzione sul libro di Asselin e nasce con l’intento di mostrare come è stata portata avanti la sua indagine fotografica e come, fin dall’inizio, questo progetto sia stato pensato in forma editoriale. La scelta di concentrarsi sul “come” e sul processo realizzativo si coniuga perfettamente con la doppia anima di Spazio Labo’, galleria espositiva ma anche scuola di fotografia, motivo per cui alla mostra si affianca anche un workshop con l’autore in programma il 13 e 14 gennaio 2018.

Monsanto®: The Book propone immagini, documenti di archivio, contenuti multimediali, materiali pubblicitari e oggetti che raccontano senza filtri l’ascesa al potere, le strategie di comunicazione e manipolazione delle informazioni, la costruzione di un’identità e le drammatiche conseguenze delle azioni di una delle multinazionali più potenti al mondo. La mostra è anche un modo per riflettere su come la nuova fotografia documentaria stia diventando una alternativa alla comunicazione di massa che siamo abituati a fruire.
Monsanto®: The Book si configura, inoltre, come il contributo spontaneo che Spazio Labo’ vuole dare al dibattito culturale innescato dalle mostre e dai temi di “Foto/Industria 2017. Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro promossa dal MAST di Bologna fino al 19 novembre 2017.

Nato nel 2011, il progetto Monsanto®: a Photographic Investigation ha visto per cinque anni il fotografo Mathieu Asselin impegnato a documentare gli effetti nocivi, negli Stati Uniti e in Vietnam, di alcuni prodotti della multinazionale americana. Attraverso ritratti, foto di paesaggio, still life e materiali d’archivio (documenti, oggetti, video, testimonianze, articoli…) Asselin ha realizzato un’indagine approfondita a più livelli che ricostruisce in modo obiettivo – e, forse per questo, ancora più drammatico – la storia di Monsanto.
Monsanto®: a Photographic Investigation immerge il lettore nel complesso “sistema” della multinazionale statunitense, e lo fa conducendo l’inchiesta su un doppio binario.
Vengono così mostrate le conseguenze delle altissime concentrazioni di policlorobifenili in Alabama, le vittime di terza generazione del defoliante Agent Orange utilizzato durante la Guerra in Vietnam, la pressione esercitata a livello globale sugli agricoltori a favore dell’utilizzo di sementi OGM, ma non solo. Componente fondamentale del progetto è l’accurata ricostruzione delle strategie di marketing e comunicazione dell’azienda che rivelano, soprattutto grazie ai documenti più lontani nel tempo, una inquietante visione del rapporto natura-scienza.
Emerge così che Monsanto® intrattiene “relazioni pericolose” con il governo degli Stati Uniti, soprattutto con la FDA (Food and Drugs Administration). Mentre la multinazionale è impegnata a diffondere nuovi prodotti e tecnologie, scienziati, ecologisti, istituzioni a tutela dei diritti umani si battono per portare l’attenzione sui danni arrecati da Monsanto® in ambiti quali la salute pubblica, la sicurezza del cibo e la sostenibilità ecologica – questioni che determinano il futuro del pianeta. Muovendosi tra passato e presente, questo libro mostra come potrebbe essere il futuro se lasciato nelle mani di aziende come Monsanto®.
Il dummy di Monsanto®: a Photographic Investigation si è aggiudicato il primo premio del prestigioso Dummy Award Kassel 2016, vittoria che ha permesso la pubblicazione del libro nel 2017. Tra i riconoscimenti più importanti, la menzione speciale a Les Rencontres d’Arles Dummy Book Award 2016 e la selezione all’interno del PhotoBook Bristol’s Dummies and First Book Table. Di ottobre 2017 è la notizia che il libro Monsanto®: a Photographic Investigation è stato nominato finalista nella categoria First PhotoBook del prestigioso premio Paris Photo-Aperture Foundation PhotoBook Award, che verrà assegnato in occasione della prossima edizione di Paris Photo.

Tutti i dettagli qua

I Grandi Maestri. 100 anni di fotografia Leica

Dal 16 novembre 2017 al 18 febbraio 2018 la mostra I Grandi Maestri. 100 Anni di fotografia Leica al Complesso del Vittoriano – Ala Brasini (Roma) che rende omaggio alla prima macchina fotografica 35 mm provvista di pellicola, alla fotografia d’epoca e a tutti gli artisti che hanno utilizzato la Leica dagli anni venti ai giorni d’oggi, celebrando le loro immagini.

Oltre 350 opere dei maggiori e più prestigiosi autori – da Henri Cartier-Bresson a Gianni Berengo Gardin, da William Klein a Robert Frank, a Robert Capa a Elliott Erwitt e molti altri – decine di documenti originali, riviste e libri rari, fotografie vintage, macchine fotografiche d’epoca, compongono questa ricca esposizione che occuperà le sale del Complesso del Vittoriano di Roma nella sua unica ed eccezionale tappa italiana.

Dal 16 novembre al 18 febbraio – Complesso del Vittoriano, Ala Brasini – Roma

Tutti i dettagli qua

André Kertész – Mirroring Life

Foam presents Mirroring Life, a retrospective exhibition of the work of photographer André Kertész (1894–1985).

15 September – 10 January – FOAM Amsterdam

All details here

Anna Brenna – Acque silenziose

A pochi chilometri dal centro storico di Bucarest, in Romania, si trova un singolare “circuito” di cemento. Durante il comunismo erano molti gli ambiziosi piani di sviluppo per il Paese. Uno di questi prevedeva la costruzione di un lago artificiale da collegare al fiume Dâtmbovița, per creare una sorta di porto nella città. Dopo il 1989, a seguito della rivoluzione e della caduta del regime, l’incompleto progetto venne lasciato a se stesso. Lentamente la natura prese il sopravvento, alcune sorgenti iniziarono a sgorgare dal terreno, la vasta superficie si trasformò lentamente in un’area umida, un delta urbano con pesci e uccelli. All’interno del bacino trovarono nel tempo riparo anche alcune famiglie di senza tetto. Inizialmente costruirono delle baracche in lamiera, che però vennero abbattute dalle autorità. Attualmente all’interno dell’area vivono una mezza dozzina di famiglie, che cercano di rimanere invisibili per non essere cacciate e vivono di piccoli lavori.

“Io voglio dare un nome e un volto ad alcune di queste persone, che ho conosciuto e che si sono aperte con me, raccontandomi le loro storie: Gabriel e Magda con Furnică, Petrica, Marianna e Florin, Mariuta e Florin, sperando che possano riconquistare la loro dignità”. Anna Brenna

Dal 15 dicembre al 28 gennaio – Baretto Beltrade – Milano

Tutti i dettagli qua

Gianni Berengo Gardin – Il suo sguardo su Milano

Gianni Berengo Gardin sarà l’ottavo fotografo a ricevere il prestigioso premio “Leica Hall of Fame Award”.

Tutti i Leica Store d’Italia celebreranno l’evento con una mostra dedicata alle sue fotografie.
A Milano inaugureremo il 17 Novembre dalle 18.30 “Gianni Berengo Gardin – Il suo sguardo su Milano”, con una serie di fotografie scattate alla nostra città nel corso della sua carriera, visibile fino a Gennaio.
La mostra rimarrà in esposizione fino al 17 Gennaio 2018.

Dal 17 novembre al 17 gennaio – Leica Store Milano

I bolscevichi al potere

A La Casa di Vetro, centro culturale di Milano, dall’11 novembre 2017 al 10 marzo 2018, la mostra “I Bolscevichi al Potere. 1917 – 1940: dalla Russia rivoluzionaria al terrore staliniano”, con ca. 60 immagini storiche provenienti da agenzie internazionali distribuite in Italia da AGF – Agenzia Giornalistica Fotografica, racconta dalla caduta dello Zar alla Rivoluzione d’Ottobre, dalla guerra civile alla nascita dell’Unione Sovietica, dalla morte di Lenin al terrore staliniano e all’assassinio di Trotsky. La mostra fa parte del progetto History & Photography (www.history-and-photography.com), che ha per obiettivo raccontare la storia con la fotografia (e la storia della fotografia) al grande pubblico e ai più giovani valorizzando gli archivi storico fotografici con esposizioni e fotoproiezioni. Alle scuole sono proposte visite guidate, fotoproiezioni dal vivo e l’innovativa possibilità di usare in classe le immagini della mostra per fare lezione tramite connessione web.

“Nascondere alle masse la necessità di una guerra rivoluzionaria disperata, sanguinosa, di sterminio, come compito immediato dell’azione futura, significa ingannare sé stessi e il popolo …”

dall’11 novembre 2017 al 10 marzo 2018 – La Casa di Vetro, Milano

Tutti i dettagli qua

Milano e la mala. La storia criminale della città

Dall’inizio del ‘900 a Milano si afferma una particolare forma di criminalità detta Ligera, termine che allude, appunto, alla leggerezza di piccole bande che si coalizzano in vista di un colpo e dopo il quale si sciolgono. Dalla seconda metà degli anni Sessanta, la Ligera lascerà il campo a una forma più organizzata e violenta di malavita, che espanderà il proprio potere fino ad avere il pieno controllo del gioco d’azzardo, della prostituzione e del traffico degli stupefacenti. Sono anni di transizione: la città non ha ancora un vero padrone e le strade sono un luogo disordinato, terreno di conquista di bande diverse che spesso vengono da fuori.

Alla fine degli anni Sessanta il potere mafioso inizia a estendere i propri tentacoli sul traffico degli stupefacenti. Protagonisti di questa stagione, fino ai primissimi anni ’80, saranno uomini i cui soli nomi evocano nei ricordi dei milanesi atmosfere da far west: Francis Turatello, Angelo Epaminonda, Joe Adonis, Luciano Liggio e Frank Coppola. Una sezione del percorso espositivo sarà dedicata al protagonista indiscusso della malavita milanese, colui che è entrato nell’immaginario collettivo cittadino come il bandito per eccellenza: il bel Renè, al secolo Renato Vallanzasca. Insieme all’evoluzione delle organizzazioni malavitose, muta Milano stessa. Bische, night club, circoli privati, l’ippodromo di San Siro, le sale corse: tutto ricade sotto il ferreo controllo dei gruppi che spadroneggiano in città.

Un punto di svolta è rappresentato dall’arrivo e dalla rapidissima diffusione delle droghe, prime fra tutte l’eroina. La città si trasforma da una tranquilla metropoli in espansione a una città attanagliata da paure di ogni tipo: i milanesi iniziano a chiudersi in una socialità privata, lasciando la notte cittadina in balia di balordi di ogni risma.

Insieme ai protagonisti della Mala, in mostra troveranno spazio le storie di coloro che la criminalità l’hanno combattuta: è il caso del celebre commissario Nardone, del questore Serra e di molti altri protagonisti di quella stagione sanguinosa.

Sfondo di tutto il racconto sarà sempre e comunque Milano, con i suoi cambiamenti repentini, con le sue paure, con le sue risposte e con la sua voglia continua di rinnovarsi.

DAL 9 NOVEMBRE 2017 ALL’ 11 FEBBRAIO 2018 – Palazzo Morando | Costume Moda Immagine – Milano

Tutti i dettagli qua

Donne Curde una vita in lotta

Le scienze sociali ci spiegano che la nostra individualità si forma in relazione al contesto sociale in cui nasciamo e cresciamo e che ognuno di noi, nel corso della vita, arriva poi ad avere il proprio ruolo. L’ ambiente e il periodo storico in cui viviamo influenza le nostre scelte e il nostro stile di vita . Purtroppo ci sono strutture sociali che ancora tendono a discriminare gli individui che ne fanno parte: ancora oggi un importante motivo di discriminazione è quella di genere. E’ questo il caso delle donne turche e ancor di più di quelle curde. Queste donne si trovano in una condizione di oppressione a causa di organizzazioni e istituzioni che le privano delle loro libertà personali, che vogliono abolire le pene per crimini contro i diritti umani, che riempiono gli ospedali di medici obiettori, e che trovano giusto dare in spose delle bambine. Queste donne hanno deciso di lottare, di non chinare la testa di fronte a tutto questo , perchè vogliono avere un giusto riconoscimento politico ed arrivare finalmente ad un’ uguaglianza di genere. Bisogna guardare con ammirazione i percorsi tracciati da queste donne ed, oltre ad osservare, noi di Clinica Canegallo ne vogliamo parlare attraverso gli occhi e le parole di chi queste donne le ha conosciute e le ha fotografate nella loro forza e fragilità. Giovedi 23 Novembre alle ore 18.30 presso Clinica Canegallo, via dei fiori 14h Alatri (FR) ci incontreremo per parlarne con la fotografa Maria Novella De Luca e Silvia Todeschini, rappresentante del gruppo di solidarietà del movimento donne curde.

dal 23 Novembre al 31 gennaio – Studio Canegallo -Alatri (FR)

Cinema Mundi – Stefano De Luigi

Nell’anno in cui ricorre la ventesima edizione del Mestre Film Fest, festival internazionale del cortometraggio, il Centro Culturale Candiani, organizzatore del Festival, ha scelto di festeggiare il pregevole traguardo con molti eventi, tra cui un concorso fotografico a tema cinematografico con esposizione in mostra delle foto vincitrici e la mostra dedicata al mondo del cinema del maestro Stefano De Luigi Cinema Mundi.

Esiste un mondo cinematografico lontano dai fasti di Hollywood, un modo alternativo di fare cinema, con meno mezzi, ma non per questo meno ricco di idee e contenuti, tanto da guadagnare riconoscimenti nei più importanti festival europei e americani.

 Questo mondo ce lo racconta Stefano De Luigi, con un progetto al quale si è dedicato per tre anni, “calcando” le scene dei set cinematografici dalla Russia alla Cina, dalla Corea all’Argentina, dalla Nigeria all’Iran e all’India. Cinema mundi è la sua dichiarazione d’amore per il cinema, “attraverso i film ho studiato anche la luce” confessa De Luigi, ed è quella stessa luce che cogliamo in molte delle sue immagini.

Membro di VII PHOTO, della fotografia ne ha fatto una professione fin dal 1988, fotografo curioso ed eclettico, la sua cifra stilistica è non farne una questione di genere, anzi i generi li mette in dialogo: ritratti, moda, reportage, fotogiornalismo… Ama sperimentare, a seconda delle necessità: digitale, smartphone, panoramiche…

Ha all’attivo molti premi, tra i quali quattro World Press Photo molte esposizioni personali, pubblica su Stern, Paris Match, Le Monde Magazine, New Yorker, Eyemazing, Geo, Vanity Fair, Time, Newsweek, Internazionale, D repubblica …

Cinema mundi apre la ventesima edizione del Mestre Film Fest -in programma al Centro Culturale Candiani dal 16 al 18 novembre- un festival internazionale del cortometraggio, piccolo ma decisamente longevo, che della sua continuità ne ha fatto un punto di forza, presentandosi ogni anno non solo con un ricco programma di corti selezionati tra le varie centinaia e centinaia arrivati da tutto il mondo, ma anche con interessanti novità. I due progetti hanno in comune la stessa curiosità e passione per il mondo delle immagini in movimento, la conoscenza “dell’altro” e di “altri mondi”, le storie narrate dai più svariati punti di vista, oltre alla fotografia ovviamente.

E così eccoci a Buenos Aires, sul set di Leonera di Pablo Trapero, un film presentato in concorso al sessantunesimo Festival di Cannes che parla di maternità, innocenza e degrado. Oppure negli studi cinematografici di Shangai, tra figure eleganti e misteriose sul set del film Qui Tang, una storia di spie durante l’occupazione giapponese della Cina o tra le comparse che si preparano a girare una scena di un giallo ambientato negli anni ’40.  A Mosca ci ritroviamo sul set della miniserie televisiva I fratelli Karamazov, per poi trasferirci a “Nollywood”, in Nigeria, patria di una industria cinematografica definita “aggressiva”, dove si “gira” in appartamenti e hotel piuttosto che negli studios, per ritrovarci poi negli studi cinematografici di Teheran, tra le comparse sul set di Joseph un colossal religioso.  Tra colombe, conigli e divinità arriviamo a Ramoji Film City negli studi della città indiana Hyderabad, sul set del film mitologico Astadasa Purana. In Corea infine, in un lussuoso albergo di Seoul con Lee Min-jung protagonista di Elephant Penthouse e a Samcheok, durante le ripetizioni della prima scena di Mother di Bong Joon-ho.Cinema e fotografia, il legame tra i due linguaggi è profondo e viene da lontano, “per il fotografo il cinema è sempre l’immagine che viene dopo, un modo particolare di definire la progressione ma anche la differenza tra l’immagine fissa e quella in movimento”, diceva Cartier-Bresson.

Cinema e fotografia condividono tecniche, linguaggi narrativi, uso della luce, ispirazioni estetiche, atmosfere, creatività. Grandi registi come Kiarostami, Wenders, Tornatore hanno scelto la fotografia come mezzo autonomo di espressione. Grandi fotografi hanno guardato alla regia, come lo stesso Cartier-Bresson o Corbjin.  Il fotografo di scena fissa sul set le immagini più significative di un film a scopi promozionali.

Il cinema come la fotografia dunque, mette in scena il lavoro della memoria dando ai fotogrammi un respiro teso ad accentuare pulsioni, emozioni, ambiguità. Stefano de Luigi sul set gioca diversi ruoli, un po’ attore,  ma soprattutto primo spettatore, un po’ regista ma soprattutto fotografo: i suoi scatti “rubati” socchiudono delle finestre dalle quali farci spiare, immaginare, sognare e viaggiare nei mondi del cinema, nei cinema del mondo.

Tutte le info qua

Paolo Roversi – Incontri

In concomitanza con la grande esposizione di Palazzo Reale a Milano, la FondazioneSozzani con la mostra “Incontri” mette in evidenza la struttura propriamente pittorica delle fotografie di Paolo Roversi.

Roversi è artista della composizione e della geometria, con un approccio astratto alla realtà. Fin dagli Anni ’80 le sue fotografie rispondono a una costante esigenza formale che dà loro un carattere sorprendentemente atemporale, in contraddizione con il gusto e gli usi della moda. La sua familiarità con la storia dell’arte, e con la pittura italiana in particolare, gli permette di fotografare come un pittore. Lavora spesso a serie costruite attorno a un tema o a un modello, come se cercasse di estrarne tutte le possibilità plastiche. Per questa esposizione Roversi ha raccolto le sue fotografie a due e a tre, in dittici e trittici. Questo procedimento, mai utilizzato prima in modo sistematico, offre uno sguardo inedito sul suo lavoro, dandogli una dimensione monumentale. La composizione a più elementi gli consente di dare un’attenzione maggiore al soggetto arricchendone la lettura. Come nei polittici del Rinascimento, che ricorrono ampiamente a questo metodo. In questa mostra la fotografia di Paolo Roversi appare più serena e controllata che mai. Insieme ai più di trenta dittici e trittici – realizzati appositamente per questa mostra a partire da alcune delle più importanti foto di Roversi – viene presentata per la prima volta una selezione di ritratti incrociati di Paolo Roversi e Robert Frank realizzati nel 2001 in Nova Scotia.

17 novembre 2017 – 11 febbraio 2018 – Galleria Carla Sozzani – Milano

Tutte le info qua

CITIES

Il nuovo club fotografico milanese PhotoMilano ospita a Spazio Tadini Casa Museo una selezione di immagini dei due numeri CITIES, il nuovo magazine made in Italy dedicato alla street photography prodotto da ISP, il progetto di street autoriale Italian Street Photography.

In mostra 90 immagini, una selezione tra quelle pubblicate nei due numeri della rivista, stampata in oltre 400 copie a numero, che raccontano la città con personali e differenti punti di vista ma in un’ottica street.

Le fotografie esposte sono state realizzate dai partecipanti alle due edizioni del progetto Isp Experience, una vera produzione condivisa a cui hanno partecipato per i due primi numeri più di 160 fotografi in 11 città italiane; guidati in due weekend in aprile e settembre 2017 dagli undici Autori Isp in veste di mentori hanno scattato e preselezionato più di 1.800 immagini, poi definitivamente selezionate da Angelo Cucchetto e Graziano Perotti per la realizzazione della Fanzine dedicata alla Street Italiana.

CITIES è una fanzine che si basa su un’idea progettuale nuova e unica. La sua forza risiede proprio nella condivisione di un’opportunità fotografica professionale, dunque sulla sua natura “partecipativa” rara in Italia.

Un avventura iniziata ad Aprile 2017 con il lancio del progetto Isp Experience, per la produzione del primo numero di CITIES in sei città Italiane: Torino, Milano, Venezia, Genova, Roma, Catania. Per la seconda edizione e la produzione del secondo numero a settembre il progetto si è arricchito di un corso propedeutico di Street Photography e la produzione del magazine su 8 città: Bologna, Matera, Milano, Padova, Rapallo, Roma, Siracusa, Torino.

A fare da ospite a questa mostra alla Casa Museo Spazio Tadini, luogo dedicato in gran parte alla fotografia, è PhotoMilano, gruppo fotografico creato e diretto da Francesco Tadini che, in pochi mesi di attività, ha già promosso mostre personali e collettive – alle quali hanno già preso parte più di 150 autori – reportages istituzionali, nonché workshop fotografici.

dal 24 Novembre al 21 Dicembre 2017 – Spazio Tadini Milano

Tutti i dettagli qua

Nature morte (2000-2017) di Christopher Broadbent, e Indizi. Opere dalla collezione di Mario Trevisan

La Galleria del Cembalo propone, fino al 3 febbraio 2018, due mostre in dialogo fra loro. Nature morte (2000-2017) di Christopher Broadbent, e Indizi. Opere dalla collezione di Mario Trevisan, offriranno spunti di riflessione riguardo l’affascinante e ambiguo rapporto tra la fotografia e tre grandi temi della storia dell’arte: figura, paesaggio, natura morta.

Nature morte (2000-2017)

Dopo una lunga carriera dedicata alla fotografia pubblicitaria e agli spot televisivi, Christopher Broadbent nel 2000 decide di recuperare una dimensione privata, intima, del suo ‘mestiere’, per approfondire ulteriormente il tema dello still life che già lo aveva reso noto nel panorama internazionale della comunicazione per la suggestione e la forza evocativa di molte sue immagini, vere e proprie icone della storia della pubblicità. A differenza di quanto accade frequentemente nell’opera di molti fotografi, nel caso di Christopher Broadbent non esiste discontinuità di visione tra la produzione pubblicitaria e quella privata. Anzi, si potrebbe tranquillamente affermare che è stata la pubblicità ad adattarsi per molti anni al suo sguardo, alle sue atmosfere, alla sua cultura, al suo gusto.

Da sempre Christopher Broadbent indaga la più borghese, laica, privata e domestica delle forme dell’arte.

Scrive di lui Philippe Daverio: «La natura morta è la quintessenza dell’astrazione da parte dell’osservatore. Nel paesaggio chi lo descrive è necessariamente inserito; nella natura morta chi la racconta è per definizione esterno. Qui sta la prima differenza. La seconda è forse ancora più significativa e riguarda l’oggetto stesso e la sua difficile definizione, quella che lo porta ad avere nomi diversi nelle diverse lingue: per i tedeschi e gli inglesi è stilleben o still life, cioè vita silente, silenziosa nella propria poetica, per i francesi è nature morte anche se costituita da elementi non suscettibili di morire, per gli spagnoli è molto più semplicemente bodegón, pittura realizzata all’interno della bottega, cioè dello studio. Ma in tutti i casi si tratta di una composizione che abolisce l’idea di tempo e dove la staticità degli elementi diventa motivo di sospensione astratta dalla realtà circostante. È riflessione stabile dell’esistere. Ed è al contempo riflesso dell’esistente. Christopher Broadbent porta queste considerazioni alle loro estreme conseguenze.

Le sue nature morte sono di oggi, ma potrebbero essere del XVII secolo olandese, allo stesso modo. Dall’istantanea fotografica si scivola nel tempo infinito della storia, proprio perché il tempo in queste immagini è totalmente abolito, come i petali dei fiori che non stanno cadendo ma sono definitivamente caduti.

E la conseguenza ne è curiosamente paradossale: l’unica fotografia che possa raffigurare la realtà è quella che rappresenta una realtà artefatta, composta, inventata. Sicché qui il compito del fotografo non è più solo quello di scegliere e di scattare, ma diventa quello del comporre e dell’inventare, di fabbricare il teatrino che diventa il soggetto e non più l’oggetto dell’immagine. Come nella stampa antica, il fotografo in questo caso è colui che delineabat et invenit l’opera finale. L’effetto è fortemente attraente, in quanto Broadbent così facendo scioglie i limiti fra fotografia e pittura e lascia i due generi compenetrarsi in una nuova magia, senza tempo, nella quale gli accumuli di secoli di sensibilità saltano alla ribalta come il Jack in the Box, il diavoletto dell’immaginario che compare dal fondo dei sedimenti delle nostre fantasie e delle nostre memorie».

«Uso la penombra di una stanza vuota – spiega Broadbent – per suggerire il tempo sospeso in attesa di un intervento o di una conclusione. Come per una terzina in poesia, ho adottato una gabbia metrica in uso da secoli per la natura morta: struttura ortogonale, luce dalla finestra per un disegno in chiaroscuro, piani prospettici orizzontali marcati per mettere le cose a portata di mano dell’osservatore».

Indizi – Opere dalla Collezione Trevisan

Da oltre 25 anni Mario Trevisan colleziona fotografie e questa mostra, al di là della passione, dell’entusiasmo e della determinazione che lo contraddistinguono nella ricerca di piccoli e grandi capolavori iconici per l’incremento della propria raccolta, intende trasmettere – attraverso una ventina di opere di alcuni dei protagonisti della fotografia internazionale, dai pionieri delle origini ai maestri del Novecento – la sua straordinaria capacità di lettura del mezzo e dei linguaggi ai quali questo ha dato vita nel corso di quasi due secoli.

Collezionando fotografie, che cosa collezioniamo? era la questione che si poneva Claudio Marra (in L’immagine fotografica 1945-2000, a cura di Uliano Lucas, 2004) e alla quale rispondeva riportando il fenomeno del collezionismo fotografico al problema più generale del riconoscimento di un’identità della fotografia all’interno dell’intero e complesso sistema dell’arte. Non è più possibile ormai, dopo i mutamenti concettuali avvenuti nelle pratiche artistiche nel Novecento, concepire le immagini fotografiche come qualcosa di diverso e separato dagli altri prodotti della ricerca estetica.

Riflettendo, anzi, sulla centralità che la fotografia, fin dal suo apparire, ha assunto nel mondo dell’arte, per la sua duplice e ineludibile natura di oggetto iconico e concettuale, è possibile oggi riconsiderarne gli esiti, superando – secondo l’esemplare lezione di Trevisan – pregiudizi e retaggi di sapore idealistico e ottocentesco e accogliendo, nella decontestualizzazione che opera l’azione stessa del ‘collezionare’ (con i suoi prelievi, le sue cesure, la selezione, il riscatto), anche immagini realizzate originariamente per rispondere a funzioni pratiche (quali la documentazione, l’informazione, la pubblicità, la moda) e diverse da quelle puramente estetiche.

È in questo senso che la collezione Trevisan costituisce oggi in Italia uno dei rari esempi in cui sia possibile rintracciare, grazie alla sua estensione cronologica, alla varietà e alla qualità delle opere, alla provenienza culturale degli autori, alla molteplicità delle tecniche e alla diversità dei generi che vi sono rappresentati, una storia ‘universale’ del mezzo, dalla sua invenzione ai giorni nostri, anche se con tutti i limiti oggettivi che si pongono sempre a un’impresa di questo genere.

Limiti che hanno poi il potere di esaltare, invece, l’unicità e il carattere soggettivo di una raccolta che si manifesta, a sua volta, come atto individuale e creativo, come proposta alla collettività di un bene concettualmente e intellettualmente autonomo, con tutti i suoi valori insieme storici, culturali, affettivi, simbolici.

Quello che si propone in mostra è una selezione dalla selezione, uno sguardo ulteriore (non propriamente quello del collezionista) che offre ad altri sguardi una sorta di affondo, che tenti di concentrare e rappresentare, in una sintesi estrema, le specificità e l’originalità della collezione da una parte e, dall’altra, la vastità e la complessità della storia e della natura della fotografia.

Ed è proprio dall’analisi della collezione che due aspetti, in particolare, sono emersi e sono stati scelti come ambiti privilegiati attraverso i quali ripercorrere momenti, idee, proposte, invenzioni, sperimentazioni e soluzioni con cui la fotografia ha manifestato, nel corso del tempo, la sua duplice e ambigua identità, tra pratica comportamentale e aspirazioni di carattere formale e pittorico, in una costante tensione dialettica tra verità e finzione, realtà e apparenza, opacità e trasparenza, chiarezza e mistero.

Figure e paesaggi – apertamente intesi, come corpi e spazi via via indagati, documentati, rappresentati e interpretati dai fotografi – sono le due serie, parallele e complementari, entro cui si condensa e si dipana quella “storia della fotografia” che Mario Trevisan ha cercato a suo modo di tracciare: dall’oggettività e il naturalismo delle immagini delle origini, che pure tendono alla compostezza formale della pittura coeva (le vedute di Talbot e di Macpherson, i nudi di Belloc e di Moulin), alle aspirazioni simboliche e dichiaratamente espressive dei ritratti di Julia Margaret Cameron o dei paesaggi di Emerson, fino agli studi di fotografi pittorialisti come Drtikol e gli autori dell’atelier Pastime Novelty Co; dalle nitide e accademiche composizioni di un Marconi o di un Béchard, alle rappresentazioni ‘pure’ e dirette di autori come Eugène Atget e Manuel Alvarez Bravo; dalle raffinate e più o meno esplicite ‘citazioni’ pittoriche di Jeanloup Sieff, di Meyerowitz o di Luis Gonzalez Palma, fino alle immagini di autori come Friedlander, Sternfeld e Ghirri che, dietro l’esibizione chiara e ‘documentaria’ di porzioni di realtà, manifestano la vena più profonda e affascinante della fotografia, sempre ambiguamente sospesa tra oggettività e illusione, tra narrazione e affabulazione, tra ragione e paradosso.

Dal 24 novembre al 3 febbario 2018 – Galleria del Cembalo Roma

Tutti i dettagli qua

Fabio Moscatelli – Gioele

La stagione dell’associazione culturale Acta International prende il via con una formula nuova: saranno presentate infatti le mostre di autori che hanno già un’identità fotografica importante e la curatela sarà affidata di volta in volta a giovani studenti e studentesse di scuole d’arte.

La particolarità di questo programma espositivo, infatti, riguarda il coinvolgimento di giovani curatrici e curatori che lavoreranno sotto il tutoraggio della giornalista e curatrice Loredana De Pace, ideatrice di questa formula per l’Acta International. In tal modo queste giovani leve potranno mettersi alla prova, lavorando a stretto contatto con fotografi che hanno già costruito un proprio percorso.

Il primo autore che sarà presentato è il fotografo romano Fabio Moscatelli.

La mostra di Fabio Moscatelli ci pone dinanzi al mondo frammentato e carico di delicatezza di Gioele, un ragazzo autistico che al momento del loro primo incontro viveva l’età di passaggio tra l’infanzia e la prima adolescenza. Come è iniziato tutto? Durante il loro primo incontro fu chiesto a Gioele se fosse d’accordo che l’uomo di fronte a lui venisse nella sua casa, lui rispose con un secco “no, mi fa schifo”. Un punto di partenza inaspettato per un legame che già poco tempo dopo aveva posto salde radici.

Il progetto nasce dalla volontà di conoscere e approfondire la tematica dell’autismo, ma non si ferma ad un’analisi della specifica realtà del ragazzo, e riesce a far scaturire dalle immagini l’intimità, la profondità del loro rapporto e la voglia di entrambi di immergersi nelle reciproche vite. La capacità di creare un solido piano di dialogo e il personale modo di porre il proprio punto di vista a stretto contatto con l’emotività di chi viene ritratto denotano la fotografia di Fabio Moscatelli.

La continua evoluzione risulta una caratteristica preponderante del lavoro dell’artista. La mostra riprende anche alcuni scatti inclusi nel primo frutto dell’intensa collaborazione con Gioele: il libro “Gioele. Quaderno del tempo libero”, e li coniuga con alcuni più recenti, tutti connotati da una limpidezza che non lascia spazio a manipolazioni ed espedienti visivi.

24 novembre – 16 dicembre 2017 – Acta international – Roma

Alte info qua

L’Italia di Magnum, la Sirmione di Paolo Pellegrin

100 fotografie che vanno Oltre esposte a Palazzo Callas Exhibitions

“Quella che mi interessa di più è una fotografia non finita, dove chi guarda ha la possibilità di  cominciare un proprio dialogo […] Io presento la domanda […], poi lascio spazio ad ognuno perchè si interroghi, perchè si faccia un’idea”
Paolo P

100 fotografie che vanno Oltre saranno esposte a Palazzo Callas Exhibitions dal 18 novembre 2017 al 7 marzo 2018.
Le prime 50 provengono dall’archivio Magnum Photos e raccontano il paesaggio italiano così come è stato visto da fotografi quali Robert Capa, Martin Parr, Werner Bischof, Elliot Erwitt, Richard Kalvar, Alex Webb, Inge Morath, Ferdinando Scianna e altri.Le altre fotografie sono un’assoluta scoperta: 50 immagini di Sirmione realizzate appositamente per questa mostra da Paolo Pellegrin.
Un racconto di straordinaria intensità, assolutamente inedito per forma e contenuto, un racconto per immagini destinato a suscitare nuove emozioni e un moto di sorpresa in tutti i visitatori.

18 novembre 2017 – 7 marzo 2018 – Sirmione Palazzo Callas Exhibitions

Tutti i dettagli qua

Rafal Milach – The First March of Gentlemen

“The first march of gentlemen” è il titolo del recente libro dell’ artista Polacco Rafal Milach, realizzato durante la sua permanenza a Wrzesnia (PL) in occasione della residenza d’artista Kolekcja Wrzesińska.

Il lavoro nasce da una ricerca svolta sul passato della città e la scoperta dell’ archivio del fotografo Ryszard Szczepaniak, che negli anni 50 ha ritratto parte della popolazione locale. Milach resta affascinato soprattutto dalle immagini di giovani uomini, sia civili che militari riconoscendo nei loro atteggiamenti caratteristiche anomale: ben vestiti, imbellettati, fieri e disinvolti come dei gentiluomini, sembravano apertamente ignari o sprezzanti del tumulto del comunismo e del rigido controllo del governo che attanagliava la nazione. Ma il lavoro dell’ artista non si limita alla raccolta e riutilizzo di questo materiale, Milach si ricollega direttamente ad un fatto storico che ha segnato la città, lo sciopero degli studenti delle scuole primarie del 1901, in cui per 4 anni bambini e genitori si sono ribellati all’ imposizione di studiare esclusivamente in lingua tedesca.

Il risultato finale è un immaginario “giocoso” in cui le figure di questi gentiluomini si intrecciano in scenari surreali, fatti di forme geometriche, colori accesi, tutti chiari rimandi all’ educazione infantile, che raccontano pezzi di storia attraverso simbolismi semplici ma travolgenti, come nei disegni dei bambini. E’ altresì un commento formalmente astratto sulla situazione attuale Polacca, che può facilmente riferirsi anche ad altri luoghi. La serie di collage è un tipo di spazio utopico in cui i cittadini esprimono pubblicamente i propri timori e desideri. Indipendentemente dalle possibili conseguenze, sono attivi. Le immagini contengono sia l’idea di libertà che l’apparato oppressivo.

All’interno della mostra si ritrova questo potente dualismo, lo spazio della galleria viene utilizzato come le pagine del libro, sfruttando diverse operazioni e supporti per restituire in maniera chiara il duplice livello di lettura. Le pareti tinte di rosso sono pronte a farsi tela bianca su cui le immagini possono vivere e sovrapporsi. Ritroviamo le stesse forme, griglie e simboli presenti nel libro, che anche se non comprendiamo a pieno, ci ricordano chiaramente l’ eco di idee universali. Una sorta di lezione di educazione civica, il cui concetto primario è che ogni cittadino ha diritti e doveri imprescindibili.

8.12-13.01.2018 Fonderia 20.9 – Verona

Tutti i dettagli qua

Mostre consigliate per giugno

Ciao a tutti,

ed eccoci giunti anche questo mese alnostro appuntamento fisso con le mostre,  quanto mai ricco in quest’inizio d’estate.

Non  perdetevi le mostre di giugno! Magari potete approfittarne per delle piccole vacanzine o per visitare altre città…

E ricordate di dare un’occhiata alla nostra pagina con tutte le mostre in corso, sempre aggiornata.

Anna

The Many Lives of Erik Kessels

IMG_6897-copia_crop_low-1920x1280

“The Many Lives of Erik Kessel” è la prima mostra retrospettiva dedicata al lavoro fotografico dell’artista, designer ed editore olandese Erik Kessels.

Aperta la pubblico dal primo giugno al 30 luglio, “The Many Lives of Erik Kessels” attraversa la carriera fotografica dell’autore lungo un articolato percorso che include centinaia di immagini.

Ventisette sono in totale le serie presentate, oltre a numerosi libri e riviste pubblicati dall’ormai celebre casa editrice dello stesso Kessels e da altri editori. In un percorso non-lineare e senza cronologia, si ritrovano lavori monumentali, serie più intime e private, autentiche icone dell’intero universo della ‘fotografia trovata,’ così come produzioni recenti e ancora inedite.

A cura di Francesco Zanot.

Co-prodotta con NRW-Forum, Düsseldorf, l’esposizione è accompagnata da un libro di 576 pagine pubblicato per questa occasione da Aperture, New York, con testi di Hans Aarsman, Simon Baker, Erik Kessels, Sandra S. Phillips e Francesco Zanot.

1 giugno – 30 luglio 2017 – Camera Centro Italiano per la Fotografia  – Torino

Tutti i dettagli qua

DEANNA & ED TEMPLETON –  LAST DAY OF MAGIC

Schermata-2017-04-30-alle-03_28_39

Quasi tutti conosciamo Deanna Templeton per essere la moglie, la musa, la donna dietro lo skater (due volte campione del mondo) nonché straordinario fotografo Ed Templeton. Allo stesso modo, però, potremmo definire  Ed Templeton come il compagno, la musa di Deanna.
La verità è che procedono insieme – a volte letteralmente, mano nella mano – soprattutto quando sia avviano verso la loro passeggiata a Huntington Beach, dove fotografano sistematicamente, immortalando la gente della costa bruciata dal sole.
Non lavorano in coppia, non hanno una produzione comune e hanno due personalità uniche e indipendenti, dinamiche e creative. Ma vi sono dei tratti comuni, dei rimandi evidenti tra i propri lavori.
Ed e Deanna Templeton sono sposati da quasi 25 anni. A Milano allestiranno una mostra insieme, presentando una selezione di vari lavori di entrambi, che mescoleranno a parete, creando un dialogo che sottolinerà le caratteristiche in comune, i temi ricorrenti, in una sorta di flusso di coscienza per immagini. Il soggetto è spesso il mondo degli adolescenti.

MiCamera – Milano dal 26 maggio al 24 giugno

Tutti i dettagli qua

Hiroshi Sugimoto – Le notti bianche

La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, dal 16 maggio al 1 ottobre 2017, presenta Le Notti Bianche, personale dell’artista giapponese Hiroshi Sugimoto, a cura di Filippo Maggia e Irene Calderoni.

La mostra presenta in anteprima internazionale una nuova serie fotografica, dedicata ai teatri storici italiani, che prosegue e sviluppa la ricerca di Hiroshi Sugimoto intorno al tema degli spazi teatrali e cinematografici.

L’intera produzione fotografica di Hiroshi Sugimoto è volta all’esplorazione del rapporto fra tempo e spazio, o meglio, alla percezione che noi abbiamo di questa relazione, l’occhio umano come la macchina fotografica che ce ne restituisce una versione, un’immagine ben definita, nel caso di Sugimoto, plastica. L’indagine prende avvio da una semplice domanda -quasi una curiosità- che l’artista giapponese si pone verso la fine degli anni settanta: provare a racchiudere in un solo scatto l’intero flusso di immagini contenute in una pellicola cinematografica durante la sua regolare proiezione al cinema. Il risultato è uno schermo abbagliante che illumina la sala, depositario di storie che per due lunghe ore hanno permesso al pubblico di sognare. Fotografando prima le sale cinematografiche degli anni venti e trenta e successivamente quelle più eleganti degli anni cinquanta per arrivare ai drive-in, Sugimoto contestualizza la sua ricerca ripercorrendo lo sviluppo della settima arte: dalla sua rivelazione come nuova espressione artistica e culturale a fenomeno di massa, capace quindi, oltre che ad affascinare al contempo alienando dalla vita quotidiana, di comunicare, celebrando come criticando.

Esattamente come avviene nei suoi Seascapes, ove i mari rappresentano un passato che va rigenerandosi e ripetendosi, ogni volta più ricco di vissuto, di Storia, anche qui Sugimoto delega allo spettatore -delle sue opere, non dei film- la responsabilità di declinare al tempo presente la memoria contenuta in quel magico spazio bianco.

La serie inedita di 20 opere presentata a Torino è stata interamente realizzata in Italia nel corso degli ultimi tre anni dopo una pausa di 12 anni nella produzione dei Theaters e, per la prima volta, presenta oltre allo schermo illuminato anche la platea e la galleria del teatro ove è stata organizzata la ripresa fotografica. Fra i teatri fotografati troviamo il Teatro dei Rinnovati, Siena; il Teatro dei Rozzi, Siena; il Teatro Scientifico del Bibiena, Mantova; il Teatro Comunale di Ferrara; il Teatro Olimpico, Vicenza; Villa Mazzacorrati, Bologna; il Teatro Goldoni, Bagnacavallo; il Teatro Comunale Masini, Faenza; il Teatro all’Antica, Sabbioneta; il Teatro Sociale, Bergamo; il Teatro Farnese, Parma; il Teatro Carignano, Torino

Mostra realizzata con il contributo della Regione Piemonte

Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino,  dal 16 maggio al 1 ottobre 2017

Tutte le info qua

Sguardi sul mondo attuale – #2 Americas

Sguardi sul mondo attuale richiama nel titolo un’antologia di saggi scritti da Paul Valéry – ancora ricchi di significati per il nostro presente – e vuole esprimere un’idea dell’arte che sia presidio di civiltà e democrazia, configurandosi come un

viaggio ricco d’interesse e necessario attraverso i continenti: perché «il viaggio», sottolinea Manca, «è una delle forme più immediate per la comprensione del contemporaneo e per vivere esperienze ricche di contenuti qualificanti. Alcuni riportano souvenir, immagini, emozioni… Io ho sempre pensato che la mia collezione dovesse essere il mio cordone ombelicale con quei luoghi, quelle culture, quelle genti…».

Il programma espositivo, a cura di Simona Campus in collaborazione con lo stesso Manca, ha preso avvio nel 2016 con la mostra EASTERN EYES, presentando quindici artisti orientali, a partire dai paesi dell’Ex Unione Sovietica fino in Cina, Indonesia, Giappone, una panoramica sui cambiamenti politici, sociali, culturali degli ultimi decenni. Nel 2017, volgendo a Occidente, questo affascinante itinerario attraverso le geografie culturali della contemporaneità prosegue con AMERICAS, che abbraccia un continente intero, dal Canada al Messico e a Cuba, passando per gli Stati Uniti.

Agli esordi di una problematica “era Trump”, Americas è un’esposizione importante, impegnata, partecipe del nostro presente: riafferma il valore dell’incontro, del dialogo e delle contaminazioni, mentre la politica impone nuovi muri e separazioni; laddove i decreti dividono, l’arte unisce, grazie al lavoro di quanti per le proprie storie biografiche, e per il coraggio di perseguire idee scomode e controcorrente, costituiscono un ponte tra differenti culture.

In Americas, gli artisti sono di assoluto rilievo, e tra loro alcune vere e proprie icone della contemporaneità, quali David LaChapelle, Andres Serrano, Cindy Sherman, Nan Goldin: alla Goldin è riservato uno spazio privilegiato, con una raccolta di immagini appartenenti ad alcune tra le sue serie più celebri, a partire da The Ballad of Sexual Dependency, costruita come un diario intimo d’amore e perdizione contro il perbenismo della middle-class americana.

Le opere in mostra – molte sono state esposte in precedenza nei più autorevoli musei e gallerie del mondo – propongono alla nostra attenzione i temi legati alla profonda ricchezza delle differenze, alle specificità di genere e all’identità sessuale, alla convivenza interculturale, come nel caso del trittico fotografico December 17 (1999) di Maria Magdalena Campos-Pons, artista cubana con antenati nigeriani – tratti in schiavitù nel continente americano alla fine del Settecento – cinesi e ispanici: la multiculturalità appartiene alla sua esperienza di vita e alla sua ricerca artistica, dove si mescolano tradizioni e generazioni. Tra i maggiori esponenti dell’arte contemporanea cubana è anche Carlos Garaicoa, che concentra la sua ricerca sulla realtà urbana e, in particolare, sulla sua città natale, L’Avana: nella serie El dibujo, la escritura, la abstracciòn immortala fotograficamente i graffiti sui muri, testimoni silenziosi di una storia controversa che mettono in comunicazione esistenze private e vita pubblica, interiorità e società.

I fragili equilibri che governano il rapporto tra privato e pubblico, le relazioni tra interiorità ed esteriorità rappresentano un’altra riflessione fondamentale della mostra: le raffinate ambientazioni allestite da Gregory Crewdson per le immagini di Dream House (2002) narrano dei ruoli che la società impone, di alienazioni e solitudini; i lavori di Catherine Opie e Susan Paulsen, ricerche sul corpo e sugli

spazi, restituiscono la tensione tra l’io e ciò che lo circonda, mentre Sandy Skoglund proietta sul paesaggio un senso surreale d’inquietudine. Ne deriva un affresco composito dei luoghi e dei non-luoghi fisici e metaforici del mondo attuale.

Le immagini fotografiche sovente derivano da azioni performative o da progetti complessi, realizzati in seguito ad una lunga progettazione ed elaborazione, rendendo evidente i legami con gli altri linguaggi artistici, con la pittura e

soprattutto con il cinema, che si conferma espressione privilegiata dell’immaginario americano: cinematografici sono senz’altro gli scatti di Sebastian Piras, fotografo e filmaker sardo, stabilitosi a New York negli anni Ottanta.

Più in generale, trovano riscontro in mostra la pluralità di forme espressive, le mescolanze e le ibridazioni caratteristiche del fare artistico contemporaneo, ma anche le connessioni che l’arte intraprende con gli altri ambiti d’indagine del sapere umano: da una prospettiva multimediale e interdisciplinare, integrando arte, filosofia e scienza lavora Ale de la Puente, artista messicana della quale viene esposta la poetica installazione fotografica Tormenta seca (2008).

In tale pluralità di sensibilità, sollecitazioni, punti di vista emerge l’immagine più veritiera delle Americhe, le cui latitudini fisiche, umane e culturali sono sterminate, contraddittorie, impossibili da sintetizzare in un unico sguardo. Di tale pluralità la mostra dà conto, con gli artisti citati e con i molti altri che contribuiscono a definirne il grande interesse, tra i quali due maestri storicizzati del calibro di Sol LeWitt, rappresentato da una delle sue peculiari composizioni grafiche, e Bill Owens, del quale non poteva mancare la serie di fotografie intitolata Altamont (1969) dedicata al concerto organizzato dai Rolling Stones che appena quattro mesi dopo Woodstock, funestato dall’assassinio del giovane afroamericano Meredith Hunter, segnò irrimediabilmente la fine delle illusioni nel movimento giovanile. Una piccola perla, infine, è Abramović Sixty (2006) di Marina Abramović, artista serba naturalizzata statunitense, gran madre della performance, il cui lavoro rappresenta una testimonianza straordinariamente significativa degli sguardi inediti, anticonformisti, tesi al cambiamento che l’arte, e forse soltanto l’arte, sa rivolgere al mondo attuale.

Artisti in mostra

Marina Abramović, Maria Magdalena Campos-Pons, Ofri Cnaani, Gregory Crewdson, Ale de la Puente, Janieta Eyre, Carlos Garaicoa, Nan Goldin, Robert Gutierrez, David LaChapelle, Sol LeWitt, Jason Middlebrook, Catherine Opie, Bill Owens, Susan Paulsen, Sebastian Piras, Jimmy Raskin, Andres Serrano, Cindy Sherman, Sandy Skoglund, Pat Steir.

Cagliari – EXMA Exhibiting and Moving Arts –  26 maggio – 25 giugno 2017

Tutti i dettagli qua

Le mostre di Fotoleggendo 2017

Torna anche quest’anno a giugno Fotoleggendo, festival internazionale di fotografia giunto alla sua XIII edizione, che si tiene a Roma dal 6 giugno al 15 luglio, con l’organizzazione di  Officine Fotografiche.

Quest’anno la sede sarà presso l’ex Pelanda del Macro Testaccio, uno dei gioielli dell’archeologia industriale romana.

Tra le mostre, segnaliamo im particolare Watermark di Michael Ackermann, The Polarities di Larry Fink, Lobismuller di Laia Abril,  Sogno #5 di Lorenzo Castore e The 7th Generation’s Prophecy di Michela Benaglia e Emanuela Colombo, ma date un’occhiata al programma completo, che si preannuncia ricchissimo.

Tutte le info qua

Eugene Richards: The Run-On of Time

This retrospective exhibition features the work of Eugene Richards (American, b. 1944), one of the world’s most respected photographers. In the tradition of W. Eugene Smith and Robert Frank, Richards is devoted to socially committed photography that focuses on the diverse, often complex lives of Americans, as well as the ongoing struggles of the world’s poor.

Richards’s photographs speak to the most profound aspects of human experience: birth, family, mortality, economic inequality and the human cost of war are recurring themes. His style is unflinching yet poetic, his photographs deeply rooted in the texture of lived experience. In his wide range of photographs, writings, and videos he works to increasingly involve his audience in the lives of people in ways that are challenging, lyrical, melancholy, and often beautiful. Ultimately, Richards’s photographs illuminate aspects of humanity that might otherwise be overlooked.

June 10–October 22, 2017, Eastman Museum Main Galleries – Rochester

All details here

Irving Penn: Centennial

irving-penn-press-room-image

The Metropolitan Museum of Art will present a major retrospective of the photographs of Irving Penn to mark the centennial of the artist’s birth. Over the course of his nearly 70-year career, Irving Penn (1917–2009) mastered a pared-down aesthetic of studio photography that is distinguished for its meticulous attention to composition, nuance, detail, and printmaking. Irving Penn: Centennial, opening April 24, 2017, will be the most comprehensive exhibition of the great American photographer’s work to date and will include both masterpieces and hitherto unknown prints from all his major series.

Long celebrated for more than six decades of influential work at Vogue magazine, Penn was first and foremost a fashion photographer. His early photographs of couture are masterpieces that established a new standard for photographic renderings of style at mid-century, and he continued to record the cycles of fashions year after year in exquisite images characterized by striking shapes and formal brilliance. His rigorous modern compositions, minimal backgrounds, and diffused lighting were innovative and immensely influential. Yet Penn’s photographs of fashion are merely the most salient of his specialties. He was a peerless portraitist, whose perceptions extended beyond the human face and figure to take in more complete codes of demeanor, adornment, and artifact. He was also blessed with an acute graphic intelligence and a sculptor’s sensitivity to volumes in light, talents that served his superb nude studies and life-long explorations of still life.

Penn dealt with so many subjects throughout his long career that he is conventionally seen either with a single lens—as the portraitist, fashion photographer, or still life virtuoso—or as the master of all trades, the jeweler of journalists who could fine-tool anything. The exhibition at The Met will chart a different course, mapping the overall geography of the work and the relative importance of the subjects and campaigns the artist explored most creatively. Its organization largely follows the pattern of his development so that the structure of the work, its internal coherence, and the tenor of the times of the artist’s experience all become evident.

The exhibition will most thoroughly explore the following series: street signs, including examples of early work in New York, the American South, and Mexico; fashion and style, with many classic photographs of Lisa Fonssagrives-Penn, the former dancer who became the first supermodel as well as the artist’s wife; portraits of indigenous people in Cuzco, Peru; the Small Trades portraits of urban laborers; portraits of beloved cultural figures from Truman Capote, Joe Louis, Picasso, and Colette to Alvin Ailey, Ingmar Bergman, and Joan Didion; the infamous cigarette still lifes; portraits of the fabulously dressed citizens of Dahomey (Benin), New Guinea, and Morocco; the late “Morandi” still lifes; voluptuous nudes; and glorious color studies of flowers. These subjects chart the artist’s path through the demands of the cultural journal, the changes in fashion itself and in editorial approach, the fortunes of the picture press in the age of television, the requirements of an artistic inner voice in a commercial world, the moral condition of the American conscience during the Vietnam War era, the growth of photography as a fine art in the 1970s and 1980s, and personal intimations of mortality. All these strands of meaning are embedded in the images—a web of deep and complex ideas belied by the seeming forthrightness of what is represented.

Penn generally worked in a studio or in a traveling tent that served the same purpose, and favored a simple background of white or light gray tones. His preferred backdrop was made from an old theater curtain found in Paris that had been softly painted with diffused gray clouds. This backdrop followed Penn from studio to studio; a companion of over 60 years, it will be displayed in one of the Museum’s galleries among celebrated portraits it helped create. Other highlights of the exhibition include newly unearthed footage of the photographer at work in his tent in Morocco; issues of Vogue magazine illustrating the original use of the photographs and, in some cases, to demonstrate the difference between those brilliantly colored, journalistic presentations and Penn’s later reconsidered reuse of the imagery; and several of Penn’s drawings shown near similar still life photographs.

The Met Fifth Avenue, Gallery 199 – NY – April 24–July 30, 2017

All details here

Hollywood Icons. Fotografie della Fondazione John Kobal

Audrey-Hepburn_banner

Hollywood Icons è un’estesa indagine sulle grandi stelle cinematografiche dell’epoca classica hollywoodiana e che rende evidente il lavoro di quei fotografi che crearono le immagini scintillanti degli stessi divi.

La mostra presenta 161 ritratti: dai più grandi nomi nella storia cinematografica, iniziando con le leggende del muto come Charlie Chaplin e Mary Pickford, continuando con gli eccezionali interpreti dei primi film sonori come Marlene Dietrich, Joan Crawford, Clark Gable e Cary Grant infine per concludere con i giganti del dopoguerra come Marlon Brando, Paul Newman, Marilyn Monroe, Sophia Loren e Marcello Mastroianni. Organizzata per decadi, dagli anni Venti fino ai Sessanta, che presentano i divi principali di ciascun periodo, Icone di Hollywood include anche gallerie dedicate ai fotografi degli studi di Hollywood, mostra il processo di fabbricazione di una stella cinematografica e introduce vita e carriera del collezionista e storico del cinema John Kobal, il quale ha estratto da archivi polverosi tutto ciò mettendolo a disposizione dell’arena pubblica e del plauso della critica.

La storia del film solitamente è scritta dal punto di vista di attori o registi, prestando poca attenzione a quell’impresa enorme che rende possibile fare i film. Icone di Hollywood, presenta quel ritratto in gran parte inatteso e quei fotografi di scena che lavorarono silenziosamente dietro le quinte, ma le cui fotografie ricche di stile furono essenziali alla creazione di divi, dive e alla promozione dei film. Milioni e milioni d’immagini, distribuite dagli studi di Hollywood durante l’età d’oro, erano tutte quante il lavoro di artisti della macchina fotografica che lavoravano in velocità, con efficienza e il più delle volte in maniera splendida al fine di promuovere lo stile hollywoodiano in tutto il mondo.

I ritratti di Joan Crawford fatti da George Hurrell hanno contribuito a plasmare la sua emozionante presenza sullo schermo. L’indelebile immagine della Garbo è stata creata nello studio per ritratti di Ruth Harriet Louise. In questa mostra sarà presentato il lavoro di più cinquanta fotografi inconfondibili, tra cui: Clarence Sinclair Bull, Eugene Robert Richee, Robert Coburn, William Walling Jr, John Engstead, Elmer Fryer, Laszlo Willinger, A.L. “Whitey” Schafer e Ted Allan.

Nessuno, meglio di John Kobal, ha compreso l’importanza di questa ricchezza fondamentale del materiale hollywoodiano. Iniziando come un appassionato di film, divenne un giornalista, più tardi uno scrittore e infine, prima della sua morte precoce nel 1991 all’età di 51 anni, fu riconosciuto come uno tra gli storici preminenti del cinema. Essenzialmente la sua reputazione si basa sul lavoro pionieristico di riesumare le carriere di alcuni tra questi maestri della fotografia d’epoca classica hollywoodiana.

Iniziando dai tardi anni sessanta, Kobal cercò di ricongiungere questi artisti dimenticati con i loro negativi originali e li incoraggiò a produrre nuove stampe per mostre che allestì in tutto il mondo, in luoghi come il Victoria & Albert Museum e la National Portrait Gallery a Londra, il MoMA a New York, la National Portrait Gallery a Washington DC, il Los Angeles County Museum of Art a Los Angeles. Una selezione di queste stampe, assieme a quelle d’epoca originali risalenti al periodo degli studi, crea il cuore della mostra.

Tutti i dettagli qua

Gianluca Micheletti – Lifepod – Capsula di salvataggio

GianlucaMicheletti_Lifepod_01

Il progetto di Micheletti si presenta come “un’arca di Noè senza Noè”. La sua riflessione prende il via da un doppio binario. Da un lato lo Svalbard Global Seed Vault, il deposito globale di sementi delle Isole Svalbard in Norvegia, una raccolta dell’universale patrimonio genetico di sementi; dall’altro il 99 per cento di DNA che i primati hanno in comune con l’uomo. Il fotografo ha ripreso le scimmie in alcuni zoo d’Europa inserendole poi in capsule di sicurezza che rimandano a un futuro in cui la vita primordiale possa essere ricreata.

Micheletti’s project presents itself as “a Noah’s Ark without Noah.” His reflections arise along dual tracks: on one side the Svalbard Global Seed Vault in Norway, a collection of universal genetic plant heritage; on the other, the 99 percent of DNA that primates have in common with man. The photographer captures monkeys within several zoos in Europe, and then inserts them into safety capsules to symbolize a future in which primordial life can be recreated.

30 maggio/20 giugno – Biblioteca Zara – Milano

Joel Meyerowitz: Towards Colour 1962-1978

A new exhibition of work by Joel Meyerowitz will open at Beetles+Huxley on 23 May, including rarely seen black and white photographs from Meyerowitz’s early career. The exhibition will highlight the photographer’s seminal street photography – tracing his gradual move from using both black and white and colour film to a focus on pure colour, over the course of two decades.

The subject of over 350 exhibitions in museums and galleries worldwide and two-time Guggenheim Fellow, Meyerowitz is one of the most highly-regarded photographers of the second half of the twentieth century. Alongside his contemporaries, William Eggleston and Stephen Shore, Meyerowitz drove the positioning of colour photography from the margins to the mainstream.

The exhibition will feature bodies of work made by Meyerowitz between 1963 and 1978, from his very early days shooting in black and white on the streets of New York alongside Garry Winogrand and Tony Ray-Jones, to the year he published his first book, “Cape Light”. This period was vital for Meyerowitz as he began to question the medium of photography itself, engaging in an aesthetic exploration or both form and composition. He moved away from what he describes as the “caught moment” toward a more non-hierarchical image in which everything in the image, including the colour, plays an equal, vital role. These intricately structured images, which Meyerowitz calls “field photographs”, marked a seismic shift in the history of photography.

The exhibition will include works made in Florida and New Mexico as well as iconic street scenes captured in New York. The exhibition will also include a selection of photographs taken during Meyerowitz’s travels across Europe in 1966, including images of France, Spain and Greece.

Born in 1938 in New York City, Meyerowitz studied painting and medical drawing at Ohio State University before working as an art director at an advertising agency. Having seen Robert Frank at work, Meyerowitz was inspired and left advertising in 1962 to pursue photography. By 1968, a solo exhibition of his photographs was mounted at the Museum of Modern Art, New York. Meyerowitz has been the recipient of the National Endowment of the Arts and the National Endowment for the Humanities awards, and has published over sixteen books.

“Joel Meyerowitz: Towards Colour 1962-1978” will be presented in association with Leica, one of the world’s most famous camera makers. As a famous Leica user, Meyerowitz joined the Leica Hall of Fame in January 2017.

23rd May – 24th June – Beetles + Huxley – London

All details here

Manu Brabo – Libia. Illusione di libertà

Il 16 maggio 2017 Mudima Lab inaugura la seconda mostra nell’ambito del progetto GUERRE, dal titolo Libia. Illusione di libertà, attraverso gli scatti del fotoreporter Manu Brabo.

L’autore, attraverso i suoi reportage in Libia dal 2011 a oggi, ci restituisce un Paese che va al di là dei conflitti presenti, una terra sconvolta dalla guerra civile, un Paese che dopo la morte di Gheddafi, avvenuta il 20 ottobre del 2011, ha perso ogni direzione.

Scorrendo le foto dell’autore dalla battaglia di Sirte del 2011 alla guerra all’Isis degli ultimi anni, nello specifico nella parte di lavoro che Manu Brabo chiama Dougma – War against IS in Sirte (autunno 2016), si evince facilmente come il conflitto in Libia non si sia mai concluso né risolto e né tantomeno vedrà una soluzione a breve; troppi gli interessi dall’esterno che spingono da una parte e dall’altra nel tentativo di ristabilire rapporti economici che, nella maggior parte dei casi, favoriscono esclusivamente pochi Paesi, per lo più occidentali.
Manu Brabo si spinge sempre in prima linea nei conflitti che documenta, e alcuni degli scatti in mostra presso Mudima Lab testimoniano proprio i combattimenti fra le forze lealiste di Gheddafi e i ribelli, la distruzione, la desolazione lasciata da anni di vuoto di potere dopo la morte del colonnello e il conseguente arrivo dello Stato Islamico in alcune zone della Libia.

Nell’aprile del 2011 l’autore viene catturato dalle forze lealiste dell’esercito di Gheddafi e tenuto prigioniero per quarantacinque giorni, la metà di questi in solitudine. Verrà poi rilasciato e tornerà in Spagna. A distanza di due mesi dalla sua liberazione, nell’agosto del 2011, Manu Brabo ripartirà per la Libia andando in cerca proprio dei luoghi dove era stato detenuto, e visitando anche le altre prigioni libiche, nella volontà da un lato, di superare un trauma personale che lo ha colpito profondamente e che ha cambiato il suo approccio nei confronti della sua professione, dall’altro nella convinzione di voler testimoniare come effettivamente il “trattamento” dei prigionieri da parte di una o dell’altra fazione non sia poi così diverso. Tornato in Libia, i suoi carcerieri, come in un terribile gioco delle parti, erano diventati i prigionieri, e l’autore racconta le torture subite anche da questi uomini. La guerra, come sempre accade, trascina l’uomo verso il basso e gli “consente” di far emergere il suo lato oscuro.

“Questo progetto è un tentativo personale di creare una narrazione della condizione di tutti quelli che, ironicamente, hanno perso la loro libertà a causa di una guerra scoppiata proprio per ‘portare questa libertà’.
La storia è principalmente motivata da due esperienze strettamente correlate fra loro. Una riguarda la mia cattura da parte delle truppe lealiste di Gheddafi e la mia conseguente prigionia. L’altra è la conferma, non troppo tempo dopo essere stato rilasciato, del brutale trattamento che i ribelli stavano usando con i prigionieri lealisti al regime di Gheddafi.
Di conseguenza, oltre a cercare di descrivere la situazione dei prigionieri, il tentativo con questo lavoro è quello di raccontare la rabbia, la furia, gli abusi e le torture… ma, soprattutto, l’auto-annientamento dovuto dalla mutilazione del più grande dei nostri desideri come esseri umani, la libertà.
Quindi, offrendo la mia personale esperienza, posso raccontare la situazione dei prigionieri e renderla più vicina, più comprensibile… così come le immagini dei prigionieri possono fare luce sulla mia esperienza.”

Manu Brabo – War Prisoner (Libya)

Gli scatti di War Prisoner, presentati in mostra, documentano la condizione dei prigionieri nelle carceri libiche, raccontando la vita di chi si trova rinchiuso in cella. Manu Brabo decide di intervenire con la scrittura sulle foto stampate, riportando le testimonianze delle persone con le quali è riuscito a entrare in contatto, unite a pensieri e considerazioni personali, esprimendo così anche a parole il dolore e la sofferenza causata da guerre infinite, spesso nella vana ricerca di una finta libertà.

Mudima Lab Milano – dal 17 maggio al 1 luglio

Tutti i dettagli qua

Diane Arbus: In the Park

Arbus

“… I remember one summer I worked a lot in Washington Square Park. It must have been about 1966. The park was divided. It has these walks, sort of like a sunburst, and there were these territories staked out. There were young hippie junkies down one row. There were lesbians down another, really tough amazingly hard-core lesbians. And in the middle were winos. They were like the first echelon and the girls who came from the Bronx to become hippies would have to sleep with the winos to get to sit on the other part with the junkie hippies. It was really remarkable. And I found it very scary… There were days I just couldn’t work there and then there were days I could…. I got to know a few of them. I hung around a lot… I was very keen to get close to them, so I had to ask to photograph them.” – DA

May 2 – June 24, 2017 Lévy Gorvy – New York

All details here

La notte immensa – Alisa Resnik

Giovedì 8 giugno, all’interno della Milano Photo Week, Officine Fotografiche Milano inaugura ‘La notte immensa’ mostra fotografica di Alisa Resnik a cura di Laura Serani.

ICI LA NUIT EST IMMENSE proclama, a grandi lettere rosse, una delle 42 heures du loup dipinte da Sardis. Intrigante affermazione, che suona come una promessa o una minaccia e che mi richiama le immagini di Alisa Resnik, vacillanti tra sogno e incubo. Immagini che appartengono ad un enigmatico racconto di un’unica interminabile notte, una notte che non conosce la luce dell’alba, si dilata su città deserte, da Berlino a San Pietroburgo, scivola dentro le case, nei bar dove la solitudine cerca riparo e occupa tutto lo spazio. Alisa Resnik fotografa la vita e il suo riflesso, la fragilità, la grazia, la malinconia, la solitudine. Di un universo che respira inquietudini e angosce, restituisce un’immagine da cui trapela soprattutto la sua empatia profonda per le persone e i luoghi.

I personaggi che s’incontrano nel suo viaggio notturno, appaiono ora persi, ora «abitati»; visitatori inattesi, maestri di strane cerimonie, domatori di chissà quali demoni, sembrano nascondere misteri e giocare ruoli a noi ignoti. Nelle immagini di Alisa Resnik lo spettacolo si improvvisa, senza copione, la realtà appare trasformata da una sorta di occhio magico. Come dei fondali di teatro , i corridoi deserti, le fabbriche in disuso, le case all’apparenza disabitata dove luci fioche forse dimenticate interrompono il buio, gli alberi tristemente scintillanti sotto la neve o sotto le ghirlande, ritmano la galleria dei ritratti e la marcia dei sonnambuli.

Le sue immagini, come visioni, non raccontano, trasmettono sensazioni. E ispirano un forte sentimento di nostalgia che avvolge non solo le immagini più direttamente legate al mondo dell’infanzia pervase da un’atmosfera fiabesca o dalla magia di un vecchio circo. Una nostalgia mista a melanconia, come una nebbia leggera, trasforma ovunque in realtà poetiche le persone, i paesaggi, le cose e persino gli animali più provati. Nel mondo di Alisa Resnik, costruito nel corso del tempo, risuona l’eco dei suoi viaggi, degli incontri e della sua vita tra l’Est e l’Ovest, tra il prima e il dopo la caduta del muro di Berlino, che ha vissuto da adolescente.

La scoperta della pittura classica in Italia, l’esperienza dei primi workshop e della Reflexions masterclass, saranno le basi dell’elaborazione spontanea di un linguaggio originale e giusto, espressione d’ incertezze e tormenti profondi. Lo spettro cromatico d’Alisa Resnik è fatto dei colori dell’oscurità, di rossi e verdi profondi che assorbono le rare luci e ricordano i toni tragici della pittura caravakggesca. La sua scrittura fotografica magnetica, traduce un approccio spesso fusionale e un effetto specchio con le persone ritratte. L’insieme assomiglia ad un ritratto di famiglia, di un clan un po’ maledetto forse…, ma dove i legami esistono e resistono contro il buio, la solitudine, il freddo e le paure di andare più lontano.

dall’8 giugno al 26 giugno 2017 – Officine Fotografiche MIlano

Tutti i dettagli qua

Trump – di Christopher Morris

L’esposizione presenta una selezione di foto scattate da Christopher Morris ai sostenitori di Trump in occasione delle ultime elezioni presidenziali americane. Si tratta di immagini perfettamente composte e dal carattere fortemente cinematografico, in grado di spingersi oltre alla pura descrizione della realtà e di offrire all’osservatore una sorta di commentario politico e sociale. Fotografie dense di simbolismi e significati, che, aprendosi a diversi livelli d’ interpretazione, mettono in luce la teatralità della retorica politica e le contraddizioni e i fanatismi degli elettori.
Morris è un profondo conoscitore della società americana avendo dedicato anni allo studio della rappresentazione del proprio Paese e della sua classe politica, grazie soprattutto all’impegno come fotografo per Time magazine alla Casa Bianca, dal 2000 al 2009.
In mostra sarà presente anche una sequenza particolarmente incisiva di ritratti in bianco e nero di Donald Trump, in cui la mimica facciale del presidente assume un aspetto caricaturale e a tratti inquietante, e una selezione di video in slow motion ai principali candidati presidenziali.
Servendosi di una camera mai utilizzata prima per la documentazione di eventi politici, la Phantom Miro, in grado di riprendere ad una velocità di 720 frames al secondo, Morris ha ideato una nuova forma di narrazione fotogiornalistica. Quando il filmato viene riprodotto ad una velocità di 24 frames al secondo, la realtà appare infatti rallentata in modo spettrale, come se fosse un’animazione sospesa.
Morris elogia la lentezza, creando un’esperienza visiva in cui ogni piccolo dettaglio acquista importanza.
I suoi video potrebbero essere visti in loop per ore e si troverebbe sempre qualche nuovo motivo di riflessione. L’atmosfera è epica, solenne, quasi religiosa; è come se ci trovassimo di fronte a un’epifania dei gesti politici: la camera rivela l’essenza delle pose e dei movimenti misurati del corpo di cui i candidati si servono per persuadere il proprio pubblico. Il suono estraniante e lo slow motion costringono lo spettatore ad una fruizione diversa, hanno un effetto ipnotico, paragonabile a quello delle opere di Bill Viola.
Come ha sottolineato Alessia Glaviano: «Se il video fosse a velocità reale sarebbe semplicemente una cronaca e la situazione sarebbe leggibile per quello che è; rallentandolo, i singoli movimenti si decontestualizzano, si sganciano dalla narrazione di fondo (la campagna ecc.) e si mostrano per quello che sono, nella loro idiozia. Ogni gesto assume una qualità teatrale, e come nel teatro qualsiasi movimento diventa ipersignificante. Il suono, così come il ritmo rallentato, danno ai video una dimensione epica. Sono ipnotici, non puoi smettere di guardarli, senza alcuna aspettativa sulla “trama”: non ti aspetti un inizio, uno svolgimento e una fine ma vieni totalmente assorbito dal tempo dilatato della rappresentazione, vedi i gesti ma non senti i discorsi; in questo modo i gesti assumono più potere ma meno significato, non si sa a cosa farli corrispondere, il dito puntato di Trump diventa Trump stesso, così come la mani aperte di Hillary».

4 Maggio – 11 Giugno 2017 – Linke.lab, Milano

Tutti i dettagli qua

Sea(e)scapes. Visioni di mare

Contrasto

Una mostra collettiva dei più importanti artisti rappresentati dalla galleria, sul tema del mare: opere fotografiche di Bill Armstrong, Gianni Berengo Gardin, Piergiorgio Branzi, Lorenzo Cicconi Massi, Mario Giacomelli, Irene Kung, Sebastião Salgado, Ferdinando Scianna, Massimo Siragusa.

Le 35 opere in mostra compongono un percorso variegato che si sofferma sulle diverse interpretazioni del tema da parte degli artisti scelti.

Accanto agli scatti di Bill Armstrong, teorie di colore dove il mare è una suggestione da ricercare, la mostra propone i forti contrasti del bianco e nero di Mario Giacomelli e del suo conterraneo Lorenzo Cicconi Massi; le visioni oniriche del mare di Capri di Irene Kung, nelle quali il paesaggio reale è idealizzato in una forma sospesa, senza tempo; la durezza del mare, con una selezione del famoso reportage sulla mattanza del tonno in Sicilia di Sebastião Salgado; così come la leggerezza ironica delle visioni di Gianni Berengo Gardin e le spiagge “metafisiche” di Piergiorgio Branzi. Completano la mostra un insolito Ferdinando Scianna a colori e le vedute, quasi acquarelli, di Massimo Siragusa.

Dal 22 maggio all’8 settembre 2017 – Contrasto Galleria Milano

Tutte le info qua

 Steve McCurry. Mountain Men

Banner750x250SMC2017_0

Un inedito progetto espositivo firmato da uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea internazionale. Steve McCurry. Mountain Men è il titolo della coproduzione Forte di Bard, Steve McCurry Studio, Sudest57 che affronta i temi della vita nelle zone montane e della complessa interazione tra uomo e terre di montagna.
La mostra sarà aperta al pubblico dal 28 maggio al 26 novembre 2017. Una selezione di paesaggi, ritratti e scene di vita quotidiana mette in evidenza il continuo e necessario processo di adattamento delle popolazioni al territorio montano che influenza ogni aspetto dello stile di vita delle persone: dalle attività produttive al tempo libero, dalle tipologie di insediamento, di coltivazione e di allevamento ai sistemi e mezzi di trasporto.
Il percorso presenta 77 immagini raccolte da McCurry nel corso dei suoi innumerevoli viaggi: dall’Afghanistan all’India, dal Brasile all’Etiopia, dalle Filippine al Marocco. La mostra propone in anteprima assoluta anche il risultato di una campagna fotografica condotta in tre periodi di scouting e shooting tra il 2015 e il 2016 in Valle d’Aosta. Dieci scatti destinati a entrare nell’archivio del più richiesto fotografo al mondo; un racconto visivo ed emotivo ricco di suggestione.

Forte di Bard (AO) – dal 28 maggio al 26 novembre 2017

Tutti i dettagli qua

La forza delle immagini

La Fondazione MAST presenta una nuova mostra tratta dalla propria collezione di fotografia industriale. Sessantasette autori dagli anni venti a oggi mostrano con oltre cento opere – alcune costituite da decine di scatti – il dirompente potere espressivo del linguaggio fotografico nei suoi molteplici significati.

L’esposizione è un tripudio di immagini, un’epopea illustrata, una danza di visioni del mondo del lavoro, una pletora di impressioni dell’industria pesante e di quella meccanica, della digitalizzazione, della società usa e getta.

Lo sguardo di numerosi fotografi ci guida nel regno della produzione e del consumo, rivelando la sorprendente ricchezza dell’universo iconografico del lavoro, della fabbrica e della società. L’esposizione mette a fuoco gli ambienti che caratterizzano il sistema industriale e tecnologico, tocca questioni chiave di natura economica, sociale e politica, ma più che i fatti puri e semplici le immagini cercano di raffigurare nessi e riferimenti articolati, profondi, presentando all’osservatore realtà complesse, che determinano un coinvolgimento emotivo e sensoriale.

I territori visivi cui questa mostra dà vita sono attraversati dall’idea della pluridimensionalità: molti livelli diversi, sentieri, linee temporali, atmosfere che corrono parallele o si incrociano – come l’uomo sul carro trainato da un asino ritratto di fronte a uno stabilimento industriale nella foto di Pepi Merisio o l’accostamento di un piccolo campanile alle torri gemelle del World Trade Center nell’immagine di André Kertész, immagini simbolo dell’intero progetto espositivo.

Fotografie di: BERENICE ABBOTT – MAX ALPERT – TAKASHI ARAI – RICHARD AVEDON – LEWIS BALTZ – GABRIELE BASILICO – BERND E HILLA BECHER – MARGARET BOURKE-WHITE – BILL BRANDT- JOACHIM BROHM – GORDON COSTER – STÉPHANE COUTURIER – THOMAS DEMAND – SIMONE DEMANDT – CÉSAR DOMELA – PIETRO DONZELLI – ARNO FISCHER – FLOTO + WARNER – MASAHISA FUKASE – GEISSLER / SANN – LUIGI  GHIRRI – JIM GOLDBERG – BRIAN GRIFFIN – FERENC HAÁR – HEINRICH HEIDERSBERGER – LEWIS W. HINE – RUDOLF HOLTAPPEL – I.N.P. – INTERNATIONAL – NEWS PHOTOS – COLIN JONES – PETER KEETMAN – ANDRÉ KERTÉSZ – TAKASHI KIJIMA  – HIROKO KOMATSU – GERMAINE KRULL – DOROTHEA LANGE –  FRANZ LAZI – CATHERINE LEUTENEGGER – O. WINSTON LINK – RÉMY MARKOWITSCH – EDGAR MARTINS – REINHARD MATZ – PEPI  MERISIO – NINO MIGLIORI – RICHARD MISRACH – JAMES MUDD – NASA PHOTOGRAPHS – WALTER NIEDERMAYR – KIYOSHI NIIYAMA – FEDERICO PATELLANI – MARION POST WOLLCOTT – TATA RONKHOLZ – SEBASTIÃO SALGADO – VICTOR SHAKHOVSKy – CHARLES SHEELER – GRAHAM SMITH – W. EUGENE SMITH – JULES SPINATSCH – HENRIK SPOHLER – ANTON STANKOWSKI – EDWARD STEICHEN – OTTO STEINERT – THOMAS STRUTH – JÁNOS SZÁSZ – YUTAKA TAKANASHI – SHOMEI TOMATSU – JAKOB TUGGENER

MAST Bologna dal 3 amggio al 21 settembre.

Tutti i dettagli qua

Tina Mazzini Zuccoli – ReVisioni di un archivio

03

Fondazione Fotografia Modena partecipa all’edizione 2017 del festival Fotografia Europea di Reggio Emilia sul tema “Mappe del tempo. Memoria, archivi, futuro” con una mostra che ha origine dall’archivio privato di Tina Mazzini Zuccoli (Imola 1928 – Modena 2006), una maestra elementare degli anni Sessanta dalla personalità fuori dal comune.

Accompagnata dal marito Enzo, tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, la Zuccoli affiancò al suo ruolo di insegnante quello di esploratrice curiosa, compiendo numerosi viaggi nell’Artico e negli Stati Uniti, in particolare nella base spaziale americana di Cape Canaveral, dove fu invitata ad assistere al lancio dell’Apollo 11.

La mostra, a cura di Silvia Vercelli e Andrea Simi, presenta una selezione di immagini e documenti provenienti dall’archivio fotografico “Tina Zuccoli”, di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e conservato presso Fondazione Fotografia, proponendone una rivisitazione fotografica contemporanea, arricchita dalle immagini di Andrea Simi e dalle video-testimonianze di persone legate all’autrice.

4 maggio – 4 giugno 2017 – Fondazione Fotografia Modena

Tutte le info qua

FACE(S) to FACE – Ivano Mercanzin

mailcard_big

[..] In punta di piedi, in una dimensione quasi ipnotica, ritraggo i miei personaggi, appropriandomi con discrezione di un pezzetto della loro vita.

Con queste parole alcuni mesi fa Mercanzin ha esordito in occasione dell’incontro singolare, eppure fertile, con i Dottori Giuseppe e Costantino Vignato dell’omonima Fondazione che hanno visto nelle sue fotografie quello stile narrativo che con la filosofia Vignato ha molto in comune.
Tanto è che il 29 maggio prossimo, in occasione dell’opening della mostra fotografica FACE(S) to FACE, dedicata ai suoi ritratti di una New York underground, in cui molti dei quotidiani spostamenti avvengono in uno dei non-luoghi della modernità per eccellenza, come la metropolitana, si potrà assistere a un’inedita chiacchierata su quanto possano avere in comune
Fotografia e Ortodonzia.
Effettivamente non giunge immediato il collegamento tra queste due professioni, tuttavia il rispettivo racconto delle filosofie che guidano lo sguardo del Fotografo che sceglie come catturarequell’hinc et nunc che lo convince maggiormente, e l’Odontoiatra che osserva un volto, lavora sul
sorriso e al contempo si relaziona con le emozioni del paziente, ha portato a parlare lo stesso linguaggio e affrontare gli stessi temi, ora dal medesimo punto di vista, ora da ottiche opposte.
Un sorriso rubato, ricostruito, o solamente cercato svela un mondo spesso non facile da afferrare in tutta la sua complessità e che apre la strada a un viaggio – inteso come modificazione di sé – che può far riflettere e guardare da punti di vista non sempre esplorati.
Ecco dunque la Fondazione Vignato aprire le porte della sua sede in Contrà Torretti 52 a Vicenza a un vero e proprio face to face, un interscambio tra professionisti dell’osservare e del fare – Fotografo e Odontoiatri – che parlerà di relazioni, maschere e solitudine, ma anche di tecnica e
artifizio, etica e estetica per il puro piacere di raccontarsi e sentirsi vivi, in un mondo in cui sempre più il confine pubblico-privato, così come socialmente inteso slitta e subisce ora contrazioni, ora grandi dilatazioni che fanno sorridere e riflettere. A partire proprio dalle fotografie di Mercanzin, che quelle foto le ha scattate nel suo viaggio newyorkese quando da Manhattan al Queens, andata e ritorno in metrò, si è mescolato alla scia di
pendolari giornalieri che si recano e tornano dal lavoro, si proverà a delineare un ideale percorso che tra i bianchi e i neri degli scatti esposti racconterà molto dell’artista, ma anche di cosa significa oggi essere Odontoiatra, prima di tutto Medico che cura la persona.

Altre info qua

Gianni Berengo Gardin – In festa.

Gubbio-Festa-dei-Ceri-1976-©-Gianni-Berengo-Gardin_Courtesy-Fondazione-Forma-per-la-Fotografia-700x876

La mostra è realizzata per i Dialoghi da un maestro della fotografia contemporanea per continuare il percorso sul tema della cultura, e in particolare della cultura popolare, in Italia. Attraverso sessanta fotografie in bianco e nero, realizzate fra 1957 e il 2009, Gianni Berengo Gardin ci mostra la società italiana, i riti, i mutamenti, documentando attentamente non solo il paesaggio socioculturale del nostro paese, ma specialmente i piccoli e grandi cambiamenti. Un piccolo meraviglioso atlante fotografico delle feste popolari, che racconta di costumi e tradizioni antiche e meticce di tutte le regioni, con uno sguardo dal taglio etnografico, ma allo stesso tempo di intenerita curiosità. Una sorta di metodo del “doppio sguardo” alla De Martino, un’andata e ritorno verso “l’altro”. Così un affascinante mondo popolato di bambini, di zingari, di anziane o giovani signore vestite per la festa, di danzatori di ogni età, diviene il racconto di un’Italia “in festa”, dove ognuno celebra la propria cultura e la propria storia con riti vecchi e nuovi. Sempre sapientemente catturati nel loro attimo essenziale da un antropologo che ha deciso di fare il fotografo.

A cura di Giulia Cogoli

26 maggio – 2 luglio – Sale affrescate Palazzo Comunale – Pistoia

Tutti i dettagli qua

FAMILY TREE | Donatella Izzo

205e0f98-61c5-47cd-b7bc-a4a05c36d639

ORIGINE intesa come mutamento, come nuovo stimolo visivo, come base di partenza ma anche come inevitabile epilogo. ORIGINE è infatti osservazione dell’essere umano nell’analisi che egli compie su se stesso, tra capacità creative indiscutibili e inevitabili quanto connaturate dinamiche distruttive. Nella più generale ricerca di un equilibrio difficilmente accessibile, l’intera stagione si concentra sul Tempo – quello dell’uomo e quello del mondo – e sulle regole che lo governano, ponendo l’accento sul rapporto antinomico tra vita e morte, uomo e natura, storia ed eternità.

Concepito sulle rivelazioni di una anti-identità estetica e sulla personale eredità genetico-emotiva dell’individuo, Family Tree dell’artista Donatella Izzo, è il secondo intervento espositivo del progetto ORIGINE che LABottega propone per la stagione 2017.

Un’indagine introspettiva sul ritratto e sull’autoritratto concettuale e narrativo, come esplicitazione del rapporto tra esteriorità e interiorità, tra apparenza ed effettiva crisi di contenuti nella società contemporanea. Un diverso ideale di bellezza, indagato attraverso una personale rielaborazione della tematica del ritratto: al cospetto di una realtà forzatamente basata sull’apparire, l’artista procede alla definizione di una nuova estetica dominante, di un’anti-identità, nella quale l’imperfezione diviene qualità, il difetto vita. Immagini reali, crude e taglienti, lacerate, assenti o disilluse, restituite al loro valore familiare, letterario, narrativo, visivo: un diario personale di ricordi per immagini e un’indagine psicologica al contempo, genealogia completa e futuribile del proprio animo. Attraverso la contaminazione stilistica di identità inesistenti comunque plausibili, la Izzo genera dunque una nuova comunità di individui dotati di carattere e relazioni, affetti e insicurezze, soggetti reali come simboli del proprio io – in quanto singolo; e campioni delle aspirazioni altrui – in quanto comunità.

dal 20 Maggio al 9 Luglio 2017 – LABottega – Marina di Pietrasanta

Altre info qua

World Press Photo 2017

Da ventitré anni la Galleria Carla Sozzani presenta a Milano il World Press Photo, uno dei più significativi premi di fotogiornalismo del mondo, quest’anno alla sua 60° edizione.

Il World Press Photo premia il fotografo che nel corso dell’ultimo anno, con creatività visiva e competenza, sia riuscito a catturare o a rappresentare un avvenimento o un argomento di forte rilevanza giornalistica.

Vincitore della Foto dell’anno 2016 e della categoria Spot News, è stato nominato Burhan Ozbilici, fotografo turco dell’Associated Press da 28 anni che, con An Assassination in Turkey,  ha ritratto Mevlüt Mert Altıntaş l’attentatore dell’ambasciatore russo in Turchia, Andrei Karlov, dopo l’omicidio del 19 dicembre 2016, in una galleria d’arte ad Ankara.

 Tra i fotografi italiani, quattro i premiati: Giovanni Capriotti con Boys Will Be Boys, primo classificato nella sezione Sport-storie; Francesco Comello con Isle of Salvation terzo posto nella sezione Vita Quotidiana-storie; Antonio Gibotta, dell’agenzia Controluce con Enfarinat, terzo classificato nella categoria Ritratti-storie e Alessio Romenzi con We are not Taking any Prisoners terzo nella categoria Notizie Generali-storie.

La giuria internazionale di quest’anno, presieduta da Stuart Franklin, fotografo di Magnum Photos, ha esaminato 80.408 immagini scattate nell’anno precedente da 5.034 fotografi provenienti da 125 Stati.

I premi sono suddivisi in otto categorie, ciascuna distinta in “scatti singoli” e “storie”: Attualità,
Vita Quotidiana, Notizie Generali, Progetti a Lungo Termine, Natura, Ritratti, Sport e Spot News,
e destinati a 45 fotografi di 25 nazioni: Australia, Brasile, Canada, Cile, Cina, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, India, Iran, Italia, Pakistan, Filippine, Romania, Russia, Sudafrica, Spagna, Svezia, Siria, Nuova Zelanda, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti.

La World Press Photo Foundation è un’organizzazione indipendente, senza scopo di lucro, con sede ad Amsterdam nei Paesi Bassi. Questo premio fu fondato nel 1955 dal sindacato dei fotoreporter olandesi, che ebbero l’idea di creare un concorso internazionale per estendere i confini del loro concorso locale, “Camera Zilveren”. Speravano in questo modo di trarre beneficio dal confronto con il lavoro dei colleghi internazionali. Così, fin dall’inizio, la WPP Foundation sostiene il giornalismo visivo attraverso mostre e programmi di ricerca e di formazione, per ispirare e educare i fotografi e il loro pubblico con nuove intuizioni e prospettive.

Una segreteria senza diritto di voto tutela l’equità del processo di selezione ed esposizione, con l’unico vincolo che tutte le immagini premiate vengano esposte senza censura.

Ogni anno la World Press Photo Foundation riunisce le fotografie vincenti in una mostra itinerante in 45 paesi, tra cui Cina, Danimarca, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Emirati Arabi, ed è vista da più di 4 milioni di persone.

dal 7 maggio all’11 giugno 2017 – Galleria Sozzani Milano

Altre info qua

INTERNO-ESTERNO L’esterno è sempre un interno

Cirenei

Inaugura martedì 30 maggio 2017 alla Galleria Anna Maria Consadori la mostra “Interno-Esterno. L’esterno è sempre un interno”
inserita all’interno di Milano PhotoFestival, la rassegna di fotografia giunta alla dodicesima edizione.

In linea con l’indirizzo artistico della galleria, orientata alla promozione dell’arte e del design del XX secolo, l’esposizione cita l’espressione di Le Corbusier “Le dehors est toujours un dedans” (1923) e raccoglie fotografie di interni ed esterni architettonici realizzate da:  Valentina Angeloni, Matteo Cirenei, Giancarlo Consonni, Daniele De Lonti, Tancredi Mangano, Marco Menghi, Antonio Salvador.

Accanto ai fotografi emergenti, la galleria propone un focus sulla fotografia d’epoca, con scatti di: Eric Mendelsohn, Theo Van Doesburg, Ezra Stoller, Mario Crimella, William H. Short.
Anche in questo caso interni ed esterni architettonici saranno gli assoluti protagonisti degli scatti in mostra.

“Interno-Esterno. L’esterno è sempre un interno” sarà aperta alla Galleria Anna Maria Consadori fino al 20 giugno.

Altre info qua