Un giovanissimo fotoreporter turco da seguire: Furkan Temir

 

Furkan Temir è nato nel 1995 in una piccola città nella Turchia Orientale. Dopo aver trascorso gli anni della sua adolescenza a Sivas e Bursa, ha vinto una borsa di studio per il dipartimento di cinema all’Università di Sehir e si è tarsferito a Istanbul. A quel tempo aveva sviluppato interesse verso il fotogiornalismo e aveva viaggiato diverse volte nel suo paese e all’estero per i suoi progetti. Durante il suo primo anno all’università, le sue fotografie sono state pubblicate da media internazionali, quali The Guardian, CNN International, Stern e Paris Match.

All’età di 17 anni, aveva definitivametne deciso che questo era il alvoro che avrebbe voluto fare per il resto della sua vita, al confine con la Siria, dove si era recato a fotografare.A causa delle sue assenze, è stato allontanato dall’università e ha dovuto trasferirsi in un altro dipartimento di cinema.All’età di 19 anni è andato in Iraq per la prima volta e a 20 anni ha cominciato un progetto sulla città siriana di Kobane.

Il suo scopo principale è di utilizzare tecniche differenti, pittura, video, fotografia, installazioni per eseguire lavori incentrati sulle minoranze, in Medio Oriente e nella regione dove vive.

Questo è il suo sito.

Qui un approfondimento sul giovane fotoreporter, recentemente apparso su Lens, il blog di fotografia del NY Times.

Furkan Temir was born in a small town near Eastern Turkey in 1995. After spending his childhood years in Sivas and Bursa, he earned a scholarship for the cinema department in Sehir University and moved to Istanbul. By that time, he has developed an interest on photojournalism and has traveled many times in his country and to abroad for his projects. During his first year in University his photography was published in international media outlets such as The Guardian, CNN International, Stern and Paris Match.   By the time he turned seventeen, he definitely decided that this is the kind of work to do for the rest of his life, in the Syria border where he went for photography. Because of his absence, he was dismissed from the University and had to transfer to another cinema department. When he was nineteen he went to Iraq for the first time and at the twenties he started to make a project about Syria’s Kobane city. His main aim is using different techniques painting, video, photography, installation to do works focused on minorities, in Middle East and the region he lives.

This is his website. Here a recent article on this teenage photoreporter, recently published on Lens, the photography blog of NY Times.

Anna

La scelta della foto: Joseph Koudelka

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Come scelgono i grandi autori le fotografie?

Grazie a questo video ho capito come si sposta questo GRANDISSIMO autore e quale l’immagine che effettivamente viene scelta. Lo spiega bene l’autore. Ho trovato il video molto interessante.

Qui una sua intervista RARISSIMA IN ITALIANO

 

 

Qui una sua presentazione in inglese

Ciao Sara

Franco Pagetti, una bella lezione sul reportage. Da ascoltare e capire.

Franco Pagetti vive in Italia, è fotoreporter dal 1994. La maggior parte del suo lavoro riguarda situazioni di guerra, come i conflitti in Afghanistan, Kosovo, Timor Est, il Kashmir, la Palestina, Sierra Leone e Sudan meridionale.

Pagetti ha coperto il conflitto in Iraq a partire dal gennaio del 2003, tre mesi prima dell’inizio della guerra. In seguito è stato quasi sempre a Baghdad, principalmente su incarico del Time Magazine. Le sue immagini catturano gli orrori della guerra.
La sua carriera include incarichi in India, la Città del Vaticano, Cambogia, Laos, Indonesia, Arabia Saudita e la sua nativa Italia. Oltre alla rivista Time, ha lavorato su incarico per il Newsweek, il New York Times, il New Yorker e Stern. Il suo lavoro è stato pubblicato su Le Figaro, Paris Match, il Times di Londra, e The Independent.
Quando non è in missione, Pagetti vive tra Milano e la Toscana.

Il video è di Pmstudionews

Spero vi possa essere utile.

Ciao Sara!

Francesco Cito racconta il suo lavoro in un bel video.

Francesco Cito, è nato a Napoli il 5 maggio 1949. Interrotti gli studi si trasferisce a Londra nel 1972 per dedicarsi alla fotografia. Per sopravvivere nella capitale britannica degli anni 70,  si adatta ai più svariati mestieri, dal lavapiatti in un ristorante in King’s Road, al facchino dei Magazzini Harrod’s.

L’ inizio in campo fotografico, 1975, avviene con l’ assunzione da parte di un settimanale di musica pop-rock (Radio Guide mag.), per esso gira l’ Inghilterra, fotografando concerti e personaggi della musica leggera. In seguito, divenuto fotografo free-lance, inizia a collaborare con The Sunday Times mag, il quale gli dedica la prima copertina per il reportage “La Mattanza”. Successivamente collabora anche con L’Observer mag.

Video girato in occasione del festival di Seravezza dai collaboratori del festival.

Nel 1980, è uno dei primi fotoreporter a raggiungere clandestinamente l’Afghanistan occupato con l’invasione dell’Armata Rossa, e al seguito di vari gruppi di guerriglieri che combattevano i Sovietici, percorre 1200 KM a piedi. Sue le foto dei primi soldati della Stella Rossa caduti in imboscate.

Nel 1982 – 83, realizza a Napoli un reportage sulla camorra, pubblicato dalle maggiori testate giornalistiche, nazionali ed estere. Sempre a Napoli nel 1978 aveva realizzato per The Sunday Times mag.  un reportage sul contrabbando di sigarette dallo interno dell’organizzazione contrabbandiera.

Nel 1983 è inviato sul fronte Libanese dal settimanale Epoca, e segue il conflitto in atto fra le fazioni palestinesi, del leader pro siriano Abu Mussa, e del nazionalista fondatore di Al-Fatah, (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) Yasser Arafat e i suoi sostenitori. E’ l’unico foto-giornalista a documentare la caduta di Beddawi (campo profughi), ultima roccaforte di Arafat in Libano. Seguirà le vari fasi della guerra civile libanese, fino al 1989.

Nel 1984 si dedica alle condizioni del popolo palestinese all’interno dei territori occupati della West Bank  (Cisgiordania)  e la Striscia di Gaza. Seguirà tutte le fasi della prima “Intifada” 1987 – 1993 e la seconda 2000 – 2005. Resta ferito tre volte durante gli scontri. Nel 1994 realizza per il settimanale tedesco “Stern”  un reportage sui coloni israeliani oltranzisti. Nell’aprile 2002, è tra i pochi ad entrare nel campo profughi di Jenin, sotto coprifuoco e posta sotto assedio per 40 giorni dallo esercito Israeliano “Tzahal” come anche le altre città amministrate dal Governo dell’Autonomia Palestinese.

Nel 1989 è inviato in Afghanistan dal Venerdì di Repubblica e clandestinamente ancora a seguito dei “Mujahiddin” per raccontare la ritirata sovietica. Tornerà in quelle aree di nuovo nel 1998 inviato dal settimanale Panorama, con l’intento di incontrare Osama Bin Laden. Incontro mai avvenuto a causa l’inizio dei bombardamenti americani.

Nel 1990, è in Arabia Saudita nella prima “Gulf War” a seguito del primo contingente di Marines americani dopo l’invasione irachena del Kuwait. Seguirà tutto il processo dell’operazione  “Desert Storm” e la liberazione del Kuwait  27 – 28 febbraio 1991.

Negli anni 90 segue le varie fasi dei conflitti balcanici.

In Italia si occupa spesso di casi di mafia, ma anche di eventi come il Palio di Siena che gli varrà il primo premio al World Press Photo 1996 ed altri rilevanti aspetti della società contemporanea.

Dal 1997 l’ obiettivo è anche puntato sulla Sardegna fuori dagli itinerari turistici, tra il sociale e le tradizioni, lavoro già in parte racchiuso in in foto-libro.

Nel 2007 è invitato dal Governatorato di Sakhalin (Russia), l’isola ex colonia penale raccontata da Checov, per un lavoro fotografico, sul territorio, illustrando la vita e le attività produttive, a seguito della scoperta di ingenti giacimenti petroliferi. Lavoro divenuto una mostra e un foto libro editato in Russia.

Dal 2005 al 2011, sempre in Palestina realizza il suo lavoro nelle varie fasi della costruzione del “Muro d’Israele” e contemporaneamente si dedica nel’ illustrare lle condizioni  dei bambini palestinesi affetti da problemi di sordità. Entrambe le storie sono state esposte in mostre fotografiche, come altresì il lavoro ancora in fase di realizzazione, sul tema del “Coma”, le vite sospese.  Biografia dal sito di Seravezza Fotografia.

Ciao, Buona giornata! Sara

Mu.Sa. vi consiglia queste 5 bellissime mostre, non perdetele!

David LaChapelle. Dopo il diluvio

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30 Aprile 2015 – 13 settmebre 2015 Roma

Al Palazzo delle Esposizioni torna dopo oltre quindici anni il grande artista fotografo americano David LaChapelle con una delle più importanti e vaste retrospettive a lui dedicate. Saranno infatti esposte circa 150 opere di cui alcune totalmente inedite, altre presentate per la prima volta in un museo e molte di grande formato. Roma è stata una città fondamentale nella carriera artistica di LaChapelle. Nel 2006 infatti, durante un soggiorno nella Capitale, David LaChapelle ha occasione di visitare privatamente la Cappella Sistina; la sua sensibilità artistica è scossa dalla bellezza e dalla potenza dell’arte romana che danno il definitivo impulso alla necessità di imprimere una svolta alla sua produzione. Fino ad allora LaChapelle ha preferito che le sue foto viaggiassero sulle pagine di riviste di moda e di cataloghi senza testi. L’obiettivo non è mai stato fermarsi alla mera illustrazione, ma raggiungere un pubblico quanto più vasto possibile – è questo il suo modo di essere un artista pop – e portare la lettura dell’opera sul piano dello shock emotivo. LaChapelle ha spinto la sua estetica fino al limite, ma nel 2006 se n’è andato di scena. Ha voltato le spalle alla mondanità per ritirarsi a vivere in un’isola selvaggia, nel mezzo del Pacifico: “Avevo detto quello che volevo dire”. La mostra è concentrata perciò sui lavori realizzati dall’artista a partire dal 2006, anno di produzione della monumentale serie intitolata “The Deluge”, che segna un punto di svolta profonda nel lavoro di David LaChapelle. Con la realizzazione di “The Deluge”, ispirato al grande affresco michelangiolesco della Cappella Sistina, LaChapelle torna a concepire un lavoro con l’unico scopo di esporlo in una galleria d’arte o in un museo, opere non commissionate e non destinate alle pagine di una rivista di moda o a una campagna pubblicitaria. Dopo The Deluge, la produzione del fotografo americano si volge verso altre direzioni estetiche e concettuali. Il segnale più evidente del cambiamento è la scomparsa dai lavori seriali della presenza umana: i modelli viventi che in tutti i lavori precedenti (unica eccezione è The Electric Chair del 2001, personale interpretazione del celebre lavoro di Andy Warhol) hanno avuto una parte centrale nella composizione del set e nel messaggio incarnato dall’immagine, spariscono. Le serie Car Crash, Negative Currencies, Hearth Laughs in Flowers, Gas Stations, Land Scape, fino alla più recente Aristocracy, seguono questa nuova scelta formale: LaChapelle cancella clamorosamente la carne, elemento caratterizzante della sua arte. Per permettere al pubblico di conoscere le “origini” del lavoro di LaChapelle degli anni precedenti a The Deluge, verrà esposta anche una selezione di opere che comprende ritratti di celebrità del mondo della musica, della moda e del cinema, scene con tocchi surrealisti basati su temi religiosi, citazioni di grandi opere della storia dell’arte e del cinema; una produzione segnata dalla saturazione cromatica e dal movimento, con cui il fotografo americano ha raggiunto la propria riconoscibile cifra estetica e ha influenzato molti artisti delle generazioni successive. Le opere di David LaChapelle sono presenti in numerose importanti collezioni pubbliche e private internazionali, e esposte in vari musei, tra i quali il Musée D’Orsay, Paris; the Brooklyn Museum, New York; the Museum of Contemporary Art, Taipei; the Tel Aviv Museum of Art; the Los Angeles County Museum of Art (LACMA); The National Portrait Gallery, London; and the Fotographfiska Museet, Stockholm, Sweden. The National Portrait Gallery in Washington, DC. L’esposizione ospiterà anche una rassegna di filmati che attraverso i back stage dei suoi set fotografici, ci illustrano il complesso processo di realizzazione e produzione dei suoi lavori.

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Federico Patellani – Professione fotoreporter

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dal 23/04/2015 al 13/09/2015 Palazzo Madama celebra l’opera del fotografo Federico Patellani (Monza 1911 – Milano 1977).

Federico Patellani è stato il primo fotogiornalista italiano e uno dei più importanti fotografi italiani del XX secolo, la cui produzione – realizzata nella quasi totalità per i giornali – è oggi conservata presso il Museo di Fotografia Contemporanea di Milano-Cinisello Balsamo (per deposito di Regione Lombardia). Da questo ricchissimo materiale sono state selezionate circa 90 fotografie in bianco e nero, individuando le immagini che meglio rappresentano le tappe fondamentali della carriera di Patellani dalla fine della Seconda guerra mondiale alla metà degli anni Sessanta, quando il fotografo si dedicò soprattutto alla fotografia di viaggio.

Federico Patellani racconta un’Italia che cerca di dimenticare il passato recente e di ritrovare le proprie radici, di costruire un senso di appartenenza e una capacità di partecipare alla vita civile in un Paese che sta cambiando pelle, da contadino sta diventando industriale.

Il percorso espositivo è suddiviso in cinque sezioni che rappresentano le tematiche più importanti della sua produzione: la distruzione delle città italiane alla fine della Seconda guerra mondiale, la ricostruzione e la ripresa economica, il sud dell’Italia e la Sardegna, la nascita dei concorsi di bellezza e la ripresa del cinema italiano, i ritratti degli artisti e degli intellettuali.

Si avvicina alla fotografia dopo la laurea in Legge, durante il servizio militare in Africa nel 1935, quando documenta con una Leica le operazioni del Genio Militare italiano. Nel 1939 collabora con “il Tempo” di Alberto Mondadori, settimanale che si rifaceva all’esperienza di “Life” adattandola alla realtà italiana, che allora costituiva un luogo di incontro di letterati e intellettuali fra cui Carlo Emilio Gadda ed Eugenio Montale.

Sensibile e colto narratore, Patellani è stato testimone di tutti gli eventi che segnano la società italiana del dopoguerra: dal referendum monarchia-repubblica all’occupazione delle terre nell’Italia meridionale, dal lavoro nelle campagne e nelle fabbriche alla nascita dei concorsi di bellezza, dal mondo del cinema a quello dell’arte e della cultura, alle foto di moda. Nel 1946 parte per un viaggio nel sud – che ripeterà per diversi anni – con gli architetti Lina Bo e Giuseppe Pagani, verso le “gravissime rovine causate dalla disperazione tedesca e dalla lentezza alleata nella fase conclusiva della battaglia per la liberazione di Roma”, come scriverà nel 1977. Realizza importanti reportage in varie zone d’Italia, fra cui Puglia e Sardegna, sede del famoso lavoro sui minatori di Carbonia, realizzato nel 1950.

Oltre alla cronaca, con uguale curiosità si dedica al costume, celebri le sue fotografie sui neonati concorsi di bellezza, scorciatoia di emancipazione e di speranza per molte giovani donne che desideravano lasciarsi alle spalle le miserie della guerra. Cresciuto alla scuola del cinema (già nel 1941 aveva lavorato con Mario Soldati per il film Piccolo Mondo Antico), Patellani è amico di Carlo Ponti, Mario Soldati, Dino De Laurentiis, Alberto Lattuada e con loro stabilisce un sodalizio professionale che lo rende testimone privilegiato sul set di molti film girati in Italia. Ritrae così tutti i più importanti attori e registi, da Totò a Sofia Loren, da Ingrid Bergman a Gina Lollobrigida, da Silvana Mangano a Elsa Martinelli, da Anna Magnani a Giulietta Masina, da Fellini e Visconti a De Sica. Parallelamente frequenta artisti e letterati, salotti mondani e studi di pittori (Thomas Mann, Carlo Carrà, Giuseppe Ungaretti, Elio Vittorini, Ardengo Soffici, Filippo de Pisis). Le sue fotografie sono ancora oggi incredibilmente attuali perché prive di retorica; appare evidente come nel suo lavoro gli stia a cuore solo la possibilità di documentare la realtà in modo sincero.

Il suo lavoro conserva un incredibile sguardo attuale e testimonia, a posteriori, gli sforzi compiuti dagli italiani per la costruzione di un’identità comune, fatta di molti intrecci, di sfumature culturali e di costume.

La mostra, che include un catalogo in vendita presso la mostra, e’ a cura di Kitti Bolognesi e Giovanna Calvenzi.

La mostra, che gode del Patrocinio della Città di Torino ed è inserita nel calendario ufficiale di ExpoTo, nasce dalla collaborazione fra Palazzo Madama, Museo di Fotografia Contemporanea e Silvana Editoriale.

L’esposizione rientra nel programma Neorealismo. Cinema, Fotografia, Letteratura, Musica, Teatro. Lo splendore del vero nell’Italia del dopoguerra 1945-1968, un progetto del Museo Nazionale del Cinema di Torino.

Federico Patellani

23 aprile – 13 settembre 2015

Palazzo Madama – Corte Medievale

Piazza Castello – Torino

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FRANCO FONTANA FULL COLOR_Pescara

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Pescara, Museo d’arte moderna “Vittoria Colonna” 30 aprile – 6 settembre 2015

Anteprima stampa e Inaugurazione Mercoledì 29 aprile ore 16.30

Colori accesi, brillanti, talmente vibranti da apparire irreali. Composizioni ritmate da linee e piani sovrapposti, geometrie costruite sulla luce. Paesaggi iperreali, in cui non c’è spazio per l’uomo o al contrario surreali, sospesi e spesso impossibili. Figure umane svelate in negativo, sublimate in ombre lunghe, a suggerire contemporaneamente l’idea di presenza e di assenza. Corpi come paesaggi e pianure e colline dai contorni antropomorfi. Questi sono i tratti distintivi delle 130 foto esposte nella grande retrospettiva dedicata a Franco Fontana, che rimandano immediatamente ed in modo inequivocabile al suo inconfondibile linguaggio visivo. Franco Fontana è il grande maestro della fotografia a colori in Italia ed è oggi il fotografo italiano più conosciuto a livello internazionale. La sua lunga carriera è costellata di riconoscimenti, premi e onorificenze in tutto il mondo. Sono più di quattrocento le mostre in cui sono state esposte le sue fotografie e più di quaranta i volumi pubblicati.

Dopo il successo ottenuto a Venezia e a Roma l’esposizione Full Color giunge a Pescara, al Museo d’arte moderna “Vittoria Colonna”, dove sarà aperta al pubblico dal 30 aprile al 6 settembre 2015. Curata da Denis Curti e ideata da Civita Tre Venezie, la mostra è promossa dal Comune di Pescara e organizzata da Civita Cultura in collaborazione con Abruzzo Intraprendere. Il prestigioso catalogo è pubblicato da Marsilio Editori.

Il percorso espositivo è articolato in diverse sezioni tematiche, a partire dai paesaggi degli esordi, passando per le diverse ricerche dedicate ai paesaggi urbani, al mare, alle geometrie delle ombre, alla luce americana, fino ad una piccola sezione dal titolo Piscine.

Nato nel 1933 a Modena, città dove si riscontra già dall’inizio del Novecento una tradizione fotografica piuttosto radicata, Franco Fontana si avvicina alla fotografia nei primi anni Sessanta, secondo un percorso comune a molti della sua generazione, ossia dall’esperienza della fotografia amatoriale, ma in una città che è culturalmente molto attiva, animata da un gruppo di artisti di matrice concettuale, seppure ancora agli esordi, tra cui vi sono Franco Vaccari, Claudio Parmeggiani, Luigi Ghirri e Franco Guerzoni.

Il lavoro di Franco Fontana condivide con questa corrente il bisogno di rinnovamento e di messa in discussione dei codici di rappresentazione ereditati, in campo fotografico, dal Neorealismo, ma pone particolare attenzione e cura anche agli esiti visivi e alla componente estetica. Nel 1963 avviene il suo esordio internazionale, alla 3a Biennale Internazionale del Colore di Vienna.

Nelle fotografie di questo primo periodo si vedono in nuce alcuni di quelli che diverranno i suoi tratti distintivi. Soprattutto, c’è una scelta di campo decisamente controcorrente rispetto alla maggioranza dei suoi colleghi: è stato tra i primi in Italia a schierarsi con tanta convinzione e fermezza in favore del colore rendendolo protagonista, non come mezzo ma come messaggio, non come fatto accidentale, ma come attore. È attratto dalla superficie materica del tessuto urbano, da porzioni di muri, stratificazioni della storia, dettagli di vita scolpiti dalla luce. Come fosse un ritrattista, Fontana mette in posa il paesaggio.

Il suo occhio fotografico ne sceglie il lato migliore con la consapevolezza che la fotografia, con il suo tempo di posa, gli obiettivi e i diaframmi, vede il mondo diversamente dall’occhio umano. Nel 1970 Franco Fontana scatta un’immagine-simbolo del suo repertorio, a Baia delle Zagare, in Puglia. “Questa foto rappresenta il mio modo di intendere la fotografia”, afferma Fontana. “Io credo infatti che questa non debba documentare la realtà, ma interpretarla. La realtà ce l’abbiamo tutti intorno, ma è chi fa la foto che decide cosa vuole esprimere. La realtà è un po’ come un blocco di marmo. Ci puoi tirar fuori un posacenere o la Pietà di Michelangelo.”

Nel 1979 intraprende il primo di una lunga serie di viaggi negli Stati Uniti, dove applica il suo codice linguistico, ormai consolidato, a un nuovo ambiente urbano. Qualche anno dopo, nel 1984, inizia la serie Piscine e nel 2000 inizia quella dei Paesaggi Immaginari, in cui la prevalenza dell’invenzione sul reale arriva ai massimi livelli. In questo caso, il fotografo, che non disdegna la tecnologia digitale, riafferma la propria libertà interpretativa della realtà tramite l’immaginazione.

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LA MEMORIA DEGLI ALBERI – Kathryn Cook  – Roma

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Lo sguardo poetico e documentario di una fotografa americana sul genocidio armeno in una mostra che la Galleria del Cembalo apre al pubblico, dal 23 aprile al 27 giugno 2015. “Gli alberi di Gelso fanno la guardia, nonostante il passaggio del tempo ad Ağaçlı, formando una macchia verde nel polveroso terreno dell’Anatolia, nutriti dalla sorgente che scende a cascata dalla valle sovrastante. Rami estesi come in una dichiarazione, le foglie nutrono un universo, chiuse da un filo. La seta, tessuta da grossi vermi su queste foglie risiedono sul pavimento delle case del villaggio e annidati nei giardini. Qui, ogni albero assorbe la pioggia e il vento, il sole e la tristezza; spinge le sue radici nella profondità del suolo di Ağaçlı e sono testimoni. I segreti dei secoli sono ombre sotto i grossi rami. Ma non ci diranno in modo semplice cosa è successo qui, o lì. Restano immobili, quiescenti, tornando alla storia solo quando appellati.”

Kathryn Cook Come fotografare quello che non c’è più e che si è cercato di cancellare? Per sette anni, Kathryn Cook è stata impegnata in un paziente lavoro alla ricerca delle tracce del genocidio degli Armeni – il primo della storia del Ventesimo secolo – che ha causato la morte più di un milione di Armeni in Turchia. Con uno stile fotografico contemporaneo, dove la poesia accompagna la memoria, Kathryn Cook riesce a scoprire i fili di una storia frammentata, fatta di detto e non detto, attraverso le testimonianze degli Armeni e dei Turchi incontrati in Armenia, in Turchia, in Libano, in Siria, in Israele e in Francia. Kathryn Cook si sofferma qui sulle tracce di questa eredità che circoscrive in una narrazione delicata che mescola foto in bianco e nero a colori. Con questo lavoro eccezionale, l’autrice propone un nuovo modo di rappresentare la sofferenza e il male procedendo attraverso ripetizione e simboli. Il titolo La memoria degli alberi si riferisce al villaggio turco di Agacli (il posto degli alberi), nella Turchia dell’est, che Kathryn Cook ha fotografato a lungo e che costituisce, in un certo senso, la metafora del suo percorso artistico. Questo villaggio, che era armeno prima del 1915, è oggi abitato da una maggioranza curda che ha fatto rinascere la tradizione della tessitura della seta come veniva praticata un tempo dagli Armeni. Nata nel 1978 negli Stati Uniti, Kathryn Cook vive oggi a Londra. Le sue fotografie compaiono regolarmente sulla stampa (The New Yorker, The New York Times, Time, Stern, Le Monde 2, The Independent) ed hanno ricevuto numerosi riconoscimenti tra i quali Inge Morath Award (2008), il Aftermath Project Grant (2008), il Enzo Baldoni Award (2008), il Alexia Foundation Grant (2012). Per portare a termine il lavoro ha beneficiato del programma di Ateliers de L’Euroméditerranée (Marsiglia- Provenza 2013). Le sue fotografie rappresentano la topografia, la memoria, l’oblio e mostrano sottilmente come la percezione di un paesaggio muta quando si sa quello che lì è accaduto. Molto più di una semplice documentazione di fatti, queste trasmettono la carica emozionale della Storia.

Galleria del Cembalo Largo della Fontanella di Borghese, 19 – Roma Tel. 06 83796619 23 aprile / 27 giugno 2015 ORARIO mercoledì, giovedì e venerdì: 17.00 – 19.30 sabato: 10.30 – 13.00 e 16.00 – 19.30 lunedì, martedì e le mattine di mercoledì, giovedì e venerdì: apertura su appuntamento Ufficio stampa Galleria del Cembalo Davide Macchia | ufficiostampa@galleriadelcembalo.it tel. 06 83081425 | cel. 340 4906881 www.galleriadelcembalo.it

Gli ambasciatori del gusto

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Sei giovani e talentuosi fotografi dell’AFIP hanno ritratto 12 giovani chef italiani selezionati da Carlo Cracco in vista dell’apertura dell’Accademia Internazionale di Cucina.

La mostra sarà visitabile gratuitamente durante tutto l’EXPO, tutti i week end dal 9 maggio al 26 ottobre 2015 presso l’ex Convento dell’Annunciata di Abbiategrasso.

Dodici scatti fotografici per immortalare altrettanti chef di cui sentiremo parlare a lungo, in Italia e non solo. Dodici chef e dodici prodotti della filiera agroalimentare lombarda. Il tutto nasce da un’idea di Carlo Cracco, chef e presidente dell’Associazione Maestro Martino, che ha individuato dodici chef italiani, giovani virtuosi, cui ha abbinato altrettante eccellenze della filiera agroalimentare lombarda. Con gli scatti di sei fotografi selezionati da Giovanni Gastel ecco servita la mostra fotografica “Gli Ambasciatori del Gusto”. Inaugurata questa mattina, potrà essere visitata, gratuitamente, tutti i week-end a partire da sabato 9 maggio fino al 26 ottobre 2015

GLI CHEF

Chi sono gli chef selezionati? Si tratta di sei uomini e sei donne: Matteo Monfrinotti, Paolo Griffa, Sabrina Tuzi, Antonio Colombo, Fabiana Scarica, Luca Sacchi, Alba Esteve Ruiz, Dario Guidi, Oliver Piras, Sara Simionato, Lucia Tellone e Sara Perceruti. “Abbiamo selezionato gli chef sulla base di tre criteri – ha dichiarato Carlo Cracco. In primis sono tutti chef giovani, intorno a trent’anni di età che oggi lavorano in ristoranti di primo livello, alcuni di loro sono già stati premiati. Altro criterio è stata la formazione, avvenuta sì in Italia ma con significative esperienze all’estero. Da ultimo, ma non meno importante, il radicamento al territorio d’origine ma con una forte propensione all’innovazione e alle contaminazioni culturali. Gli chef ritratti nella mostra costituiranno di fatto gli Ambasciatori dell’Ambasciata del Gusto dove i cuochi di tutto il mondo avranno cittadinanza e ospitalità durante Expo.”

I FOTOGRAFI

La mostra “Gli Ambasciatori del Gusto” è a cura del Maestro Giovanni Gastel, presidente onorario AFIP International – Associazioni Fotografi Professionisti di cui fanno parte gli autori degli scatti: Gianluca Cisternino, Giulia Laddago, Nicola Ughi, Annalisa Mazzoli, Giovanni Bortolani e Daniele Coricciati. Le due Associazioni, AFIP e Maestro Martino, hanno scelto di lavorare insieme per questa mostra scommettendo che dall’incontro tra chef e fotografo avrebbe potuto svilupparsi un’alchimia positiva. Una scommessa che le due associazioni ritengono ampiamente vinta.

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Postato da Anna