La fotografa belga Martine Frank, sposatasi nel 1970 in seconde nozze con il fotografo francese Henri Cartier Bresson definito “l’occhio del secolo”, di trenta anni più vecchio di lei, ha rischiato di essere ricordata solo per la fama del marito, se non avesse messo grinta e energia per acquisire e imporre al pubblico una cifra stilistica e contenutistica del tutto personale. E’ significativo ricordare che la sua prima mostra personale organizzata nel 1970 a Londra dall’’Institute of Contemporary Arts, fu da lei annullata senza alcuna esitazione, quando si rese conto che gli inviti, oltre al suo nome, recavano anche quello del marito che sarebbe stato presente all’inaugurazione attirando numerosi visitatori.
FRANCE. Provence. Town of Le Brusc. Pool designed by Alain CAPEILLERES.
Nata ad Anversa nel 1938 da una madre inglese appassionata di arte e da un padre banchiere collezionista dilettante, ben presto si trasferì con i genitori a Londra; in seguito si recò a Madrid e a Parigi dove studiò materie artistiche. Nel 1963, durante un avventuroso viaggio in estremo Oriente, scoprì la passione per la fotografia grazie ad una fotocamera Leica prestata dal cugino. Tornata a Parigi iniziò a lavorare come fotografa freelance per riviste famose come Vogue, Life e Sports Illustrated, assumendo ben presto un incarico ufficiale presso il Théâtre du Soleil di cui immortalò spettacoli e back stages per quarantotto anni. Nel 1983 divenne membro effettivo dell’agenzia fotografica Magnum, incarico prestigioso e molto raro conferito ad una donna e nel 2005 fu insignita del titolo di cavaliere della Légion d’Honneur francese.
Timida, riservata e poco interessata alla vita mondana, le immagini documentarie e i suoi magnifici ritratti si rivolgevano con interesse al mondo degli umili, dei vecchi e delle donne: “ … la fotografia si adatta alla mia curiosità per le persone e le situazioni umane…”, affermava Martine in una intervista rilasciata al New York Time.
Cartier Bresson fotografato da Martine-Franck
Martine Franck
Dal punto di vista letterario, Mark Twain e Conan Doyle, conosciuti attraverso le letture che sua madre le faceva da bambina, rimarranno i suoi punti di riferimento, come il grande Hitchcock per il cinema; in campo fotografico durante numerose interviste citava spesso Julia Margaret Cameron, Dorothea Lange e Margaret Bourke-White. In sintonia con il Marito Henri Cartier Bresson, la Franck sintetizza così la sua passione per la fotografia: “. ..Ciò che soprattutto amo nella fotografia, è precisamente il momento che non si può anticipare, bisogna stare costantemente in allerta, pronti a captare ciò che è inatteso…”. Le sue immagini rigorosamente in bianconero sono potenti e suggeriscono l’emozione della fotografa e dei soggetti ritratti durante lo scatto: gli anziani ripresi nei luoghi protetti oppure i bambini spesso immortalati mentre giocano per strada anche in situazioni precarie o disagiate sprigionano tenerezza, comprensione e partecipazione alle loro difficoltà da parte di Martine che non si sottrae dall’entrare nel mondo della sofferenza e dell’emarginazione, sempre con passo lieve ed elegante. Un suo importante lavoro riguarda le immagini che immortalano i monaci tibetani Tulku da cui traspare la loro vita gioiosa fatta di ascesi e trascendenza, da trasmettere con generosità agli altri.
Hospice d’Ivry sur Seine, France Foto di Martine Frank
Dopo la morte dell’illustre marito, insieme alla figlia Mélanie, nel 2003 creò la Fondazione Henri Cartier Bresson per conservare e promuovere il prezioso materiale fotografico da lui lasciato in eredità.
IRELAND. Donegal. Tory Island. 1995. Foto di Martine Frank
Michel Foucault nella sua abitazione, Paris. Foto di Martine Frank
Colpita da leucemia, dopo due anni di strenua lotta contro la malattia affrontata con coraggio e determinazione, morì a Parigi nel 2012 all’età di 74 anni.
Bibliografia: Martine Franck, D’un jour, l’autre, Éditons du Seuil, Paris 1998
Il padre, Giorgio Agosti, magistrato e in seguito dirigente d’azienda, svolse la sua attività politica all’interno del Partito d’Azione piemontese di cui fu tra i fondatori nel 1942. Antifascista fin dai tempi dell’Università, aderì clandestinamente a Giustizia e Libertà, partecipando alla lotta partigiana. Il fratello Aldo, intellettuale di spessore, professore di Storia contemporanea all’Università di Torino, ha prodotto numerosi studi relativi alla storia dei movimenti socialisti e comunisti. In questa famiglia ricca di ideali e valori profondamente democratici, Paola Agosti nacque a Torino nel 1947; a ventuno anni, nel 1968, si trasferì a Roma iniziando con passione la sua attività di fotografa che la spinse a viaggiare in Italia, Europa, America del Sud, Africa, paesi che raccontò attraverso dettagliati reportages rigorosamente in bianconero. Particolarmente interessata a problematiche riguardanti il mondo femminile, alle donne ha dedicato importanti libri fotografici, quali “Riprendiamoci la vita” del 1977 e “La donna e la macchina” del 1983, con splendide immagini rivolte alle operaie nelle fabbriche del nord Italia. Nel 1984 pubblicò nel libro “Firmato donna”, con sessanta incisivi ritratti di scrittrici e poetesse italiane.
Fotografie di Paola Agosti
Particolarmente importante dal punto di vista sociale l’opera “Come eravamo, il movimento delle donne nelle immagini di Paola Agosti, 1974 – 1982”: con intensa partecipazione la fotografa documenta le battaglie condotte dalle donne per la loro emancipazione, anni di lotte, di manifestazioni e cortei per urlare al mondo la necessità di liberarsi dalle pastoie a loro imposte da secoli. Essere vive al di là della triade, religione, patria e famiglia!
Il suo modo semplice ed estremamente efficace di raccontare per immagini, colpisce per i toni asciutti e sobri che non indulgono a facili sentimentalismi anche quando si tratta di immortalare il mondo degli umili, come le figure femminili che popolano il libro “L’anello forte” di Nuto Revelli. Si tratta per lo più di donne piemontesi anziane ritratte nei campi o nelle loro cucine, con i capelli non curati, i volti solcati da reticolati di rughe profonde, riprese nella fatica del loro vivere quotidiano: pilastri della società contadina, condannate però ad essere dimenticate, relegate nel loro umile e ristretto mondo. “… Anelli forti e insieme deboli le donne ritratte da Paola Agosti e raccontate da Nuto Revelli… Tenaci custodi della memoria, capaci di far fruttare campi stentati e l’allevamento delle bestie in tempo di guerra e , ancora di salvare le trame incerte della comunità durante le periodiche emigrazioni che producevano tante fabbriche di vedove “ . (Antonella Tarpino, introduzione al libro di Paola Agosti “ Il destino era già lì “, Cuneo 2015 ).
Paola Agosti con uno dei suoi cani, fotografia dal sito Maledetti fotografi.
Ricordiamo infine l’amore della fotografa per gli animali, soprattutto i cani, suoi fedeli compagni di vita Nel libro “Caro cane” edito nel 1997 da La Tartaruga edizioni, magnifiche fotografie delle più varie razze canine immortalate in pose spontanee, vengono affiancate a riflessioni personali e ironiche dettate da un animo partecipe e attento a cogliere particolari sottili del rapporto degli animali con il genere umano: “In fin dei conti la maggior parte dei padroni arriva ben presto ad obbedire al proprio cane… Io non so se ci sia il Paradiso, ma mi piace credere che per quanto siano i nostri santi umani e degni di essere esaltati, sarebbe difficile trovare tra loro un santo più completo di un buon cane” ( P.A.)
Articolo di Giovanna Sparapani
Paola Agosti, Caro cane, La Tartaruga edizioni, Milano 1997
Paola Agosti, Il destino era già lì, Araba Fenice, Cuneo 2015
Come siamo cambiati? Come è cambiato il nostro modo di protestare e stare in piazza dagli anni ’70 ad oggi? Attraverso una galleria di immagini, selezionate dal vasto archivio del fotografo milanese Dino Fracchia ripercorriamo i grandi movimenti che hanno caratterizzato le proteste degli ultimi cinquant’anni d’Italia alla ricerca del filo rosso che unisce più di una generazione sotto le bandiere della protesta, alla ricerca di un mondo migliore. Più di cento fotografie, quasi cinquant’anni di piazza dagli anni’70 ai giorni della pandemia. Anni ’70: Operaie e operai; Il movimento; Le femministe; I festival giovanili. Anni ’80: Studenti, punk, autonomi e il movimento antinucleare. Anni ’90: I centri sociali. Genova 2001: il G8 e il Genoa Social forum. Anni 2000: Non una di meno; Fridays for future. 2020-2021: La pandemia da coronavirus, torneremo più in piazza? Con i contributi scritti di: Vittorio Agnoletto, Carlotta Cossutta, Sandrone Dazieri, Erri De Luca, Federico Dragogna, Patrizio Fariselli, Vicky Franzinetti, Manuela Fugenzi, Sergio Marchese, Giorgio Oldrini, Xina Veronese. Da Amazon
Copyright: Dino Fracchia
Dino Fracchia – Dino Fracchia, fotogiornalista di Milano (Italia). Attivo da molti anni nel campo del reportage sociale, economico, scientifico e geografico. Collaboratore dei maggiori giornali nazionali ed internazionali
Fracchia è uno dei più riconosciuti fotografi che, negli ultimi 50 anni, si è occupato dei movimenti sociali. Qui potete sfogliare il suo archivio online
Copyright: Dino Fracchia
Ciao Sara
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Un cellulare che squilla. Tra il rumore dei caricatori che si svuotano, una voce calma risponde “Si, sono Chris.. Ok ok, penso vada bene. Richiamami fra mezz’ora circa.”
Inizia cosi’ “Hondros”, il documentario che racconta la storia di Chris Hondros, staff photographer di guerra di Getty Images, una delle più grandi agenzie fotogiornalistiche al mondo.
La giornalista lo incalza: “Un mio amico mi ha detto che, fra tutte le persone che fanno giornalismo, i fotografi di guerra sono i più pazzi.”
Ride, Chris. “Vedi” risponde “Il problema con la fotografia di guerra è che non c’è assolutamente nessun modo di farla da lontano. Devi essere vicino, non puoi farla dal tuo hotel, dall’altra parte della strada, dall’altra parte del ponte. Devi essere lì”.
In questi pochi secondi è raccolta l’essenza della vita e del lavoro di Chris Hondros.
Nato a New York nel maggio del 1970, da immigrati greci e tedeschi, passa la maggior parte della sua gioventù nel North Carolina.
Capisce subito che la sua strada è il giornalismo, e nella fattispecie, il fotogiornalismo.
Inizia a lavorare per giornali locali, e con l’amico Greg Campbell, fonda un’agenzia giornalistica.
Sentendosi strette le notizie e l’informazione locale, e volendo cercare un po’ di azione, all’inizio della guerra dei Balcani, decidono di prendere tutto quello che hanno e, insieme a pochi altri colleghi, si tuffano in un mondo che segnerà per sempre le loro vite, quello della fotografia di guerra.
Kosovo, Angola, Sierra Leone, 11 settembre, Afghanistan, Kashmir, The West Bank, Iraq, Liberia.
“Nomina uno dei conflitti che e’ avvenuto negli ultimi due decenni e sicuramente troverai qualche lavoro di Chris”, dice un suo collega.
2 volte finalista al Pulitzer, 1 honorable mention al World Press Photo, 1 Robert Capa Gold Medal, sono solo alcuni dei riconoscimenti che si porta a casa.
Ma sono le sue foto a parlare, facendo il giro del mondo, pubblicate sui più importanti quotidiani e riviste.
La celebre foto della bambina di Tal Afar, Iraq, (superstite, dopo che la famiglia e’ stata sterminata per errore ad un checkpoint americano), serve a riaccendere le luci su un conflitto considerato ormai chiuso dai media mainstream.
“Tornavo in Iraq appena potevo, per documentare quello che succedeva.” dice. “Quella notte, a Tal Afar, ero assieme ad una pattuglia americana. Quando l´auto è stata colpita, ho continuato a scattare, anche se non credevo ai miei occhi. Il comandate del plotone mi aveva chiesto di aspettare a pubblicare le foto, perché’ sapeva avrebbero creato una reazione negli USA. Io l’ho rassicurato, poi appena tornati alla base, ho scaricato le foto, e inviate subito in redazione, prima che potessero bloccarmi. Il mattino dopo erano già sui quotidiani di tutto il mondo.”
Le sue foto, insieme a quelle di altri pochi colleghi, nella furiosa guerra civile in Liberia, fanno intervenire i caschi blu dell’ONU, e porre fine al conflitto.
“Chris credeva fermamente in ciò che voleva che fosse la sua fotografia”, afferma Pancho Bernasconi, Vice Presidente di News per Getty Images. “Potevo catapultarlo in qualsiasi situazione e non dovevo spiegargli perché era lì… credeva nel potere di far accendere una luce in un luogo che altrimenti sarebbe rimasto buio.”
Nel 2011, allo scoppio del conflitto libico, rinuncia a partire per la Libia, perché ritiene la situazione troppo instabile, e perché in procinto di sposarsi.
In seguito al rapimento, e successiva liberazione, di alcuni colleghi (tra cui anche la celebre fotogiornalista Lynsey Addario), decide di partire.
Il 20 aprile 2011, mentre stava documentando l’assedio di Misurata e gli scontri tra le forze governative ed i ribelli, rimane ucciso da un colpo di mortaio, insieme al collega Tim Hetherington.
(FILE) American photojournalist Chris Hondros walks during the seige of Monrovia, Liberia 03 August 2003. Chris Hondros a multi award winning photographer for Getty Images, was killed on 20 April 2011 while covering fighting in the city of Misrata, Libya when a rocket-propelled grenade (RPG) struck a house he was in.
Durante un’intervista, dice: “Credo nella fotografia. Credo nel ruolo che i giornalisti, ed in particolare i fotografi, hanno in tutto il nostro sistema di conflitti internazionali e nel modo in cui risolviamo le differenze. Abbiamo un ruolo da svolgere e voglio essere coinvolto in questo”.
Escono postumi “Hondros”, documentario che trovate su Netflix e in DVD, e “Testament”, libro con le sue foto e che racconta della sua vita.
Articolo di Alessandro Annunziata
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IL SOGNO DI LARA di Ylenia Bonacina Lara ha 14 anni e da grande sogna di diventare una campionessa mondiale di nuoto sincronizzato. Per raggiungere questo suo grande obiettivo si allena quotidianamente nelle piscine di Seregno. Fatica, sacrificio e grandi soddisfazioni solo le parole che meglio descrivono il vortice dell’agonismo in cui è Lara. Dieci anni fa io ero Lara. Come lei sognavo di diventare una campionessa. A questo sport riconosco oggi il merito di avermi regalato grandi soddisfazioni e preziosi insegnamenti pur comprendendo quanti sacrifici mi sia costato. Questo progetto, non ancora terminato, si propone di raccontare la vita quotidiana di una ragazza disposta a rinunciare a tutto pur di raggiungere il suo più grande sogno.
Il mio nome è Ylenia Bonacina, sono nata nel gennaio del 1995 e attualmente vivo e lavoro in provincia di Monza e Brianza. Sono una giovane fotografa che ha appena terminato gli studi presso l’Istituto Italiano di Fotografia di Milano. Prima di intraprendere questo percorso specializzante ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano laureandomi in Comunicazione e didattica dell’Arte.
Negli ultimi due anni come studentessa del corso professionale biennale dell’Istituto Italiano di Fotografia ho affinato le mie capacità fotografiche in diversi ambiti riscontrando una preferenza per il mondo del fotogiornalismo, della fotografia documentaria e del ritratto.
Mi piace viaggiare e vorrei aver la possibilità di scoprire e ammirare ogni angolo del pianeta in compagnia della mia macchina fotografica.
“La scrivente Società in qualità di Concessionaria […] della Superstrada a pedaggio Pedemontana Veneta…
NOTIFICA
Il Decreto Motivato nr. 36 del 04.07.2014, emesso dal Commissario Delegato per l’emergenza determinatasi nel settore del Traffico e della Mobilità nel territorio […], con il quale è stata autorizzata l’occupazione d’urgenza, […] con determinazione dell’indennità […] di espropriazione relativa agli immobili di Vs. proprietà”.
Dietro il freddo di queste parole e la Superstrada di 94 km che attraversa le province di Vicenza e Treviso, ci sono persone, emozioni, gioie, dolori e ricordi.
Storie che S.P.V. sta seppellendo sotto il cemento e l’asfalto: una di queste ha come protagoniste due sorelle di Montecchio Maggiore. Esse hanno dovuto subire l’esproprio di diversi ettari coltivati, ma soprattutto hanno dovuto lottare per salvare “Spino” dall’abbattimento, l’albero a cui l’amato padre era legato.
SATELLITE, UN QUARTIERE CHE OSCILLA di Claudia Verga “Due sentimenti eterni in perenne lotta: la ricerca dell’ordine e il fascino del caos. Dentro questa lotta abita l’uomo, lì ci siamo noi, tutti. Ordine e disordine. Cerchiamo regole, forme, canoni, ma non cogliamo mai il reale funzionamento del mondo. La vera forma di tutto ciò che è fuori di noi, come di tutto ciò che è dentro di noi, è per gli uomini un eterno mistero. L’incapacità di risolvere questo mistero ci terrorizza, ci costringe a oscillare tra la ricerca di un’armonia impossibile e l’abbandono al caos. Ma è quando ci accorgiamo del divario che c’è tra noi e il mondo, tra noi e noi, tra noi e Dio, allora scopriamo che possiamo ancora provare stupore e che possiamo gettare uno sguardo intorno a noi come se fossimo davvero capaci di vedere per la prima volta” [“Il rosso ed il blu”, S.Piccioni]
Nel quartiere Satellite di Pioltello, alle porte di Milano, in un chilometro quadrato vivono 10.000 abitanti di circa settanta nazionalità differenti, molti in difficoltà economica e sociale. Diverse anime, come diversi sono i musicisti a cui sono dedicate le vie del quartiere. Trovare un’armonia sociale, di suoni e profumi, è una sfida che ogni giorno impegna gli abitanti stessi, in perenne e precario equilibrio tra il potenziale di vita di un quartiere multietnico e il temibile caos sempre pronto a ingoiare vie, case, abitanti. É una sfida raccolta anche dalle associazioni, dai servizi del territorio e dagli operatori sociali impegnati in progetti di sviluppo di comunità. Il Comune di Pioltello è stato scelto tra i contesti finanziati dal Bando Periferie (Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie, DPCM del 25 maggio 2016). La Libera Compagnia di Arti&Mestieri Sociali è capofila dell’azione di Coesione Sociale, finanziata dal bando, che ha sede dall’aprile 2018 in uno spazio in quartiere denominato Bottega del Fare e Desiderare. Insieme al centro di aggregazione giovanile, presente sul territorio dal 2010, è un punto di riferimento per i ragazzi che vogliono rendersi protagonisti del loro futuro e del loro quartiere, ma è anche aperta agli adulti che desiderano prendersi cura della propria comunità, attivando risorse comuni per rispondere ai bisogni. La Bottega esiste per far emergere i desideri e valorizzare le competenze delle persone, attraverso il fare insieme. La narrazione fotografica di questa realtà, raccolta tra gennaio e luglio 2020, ha l’intento di creare un dialogo tra gli spazi urbani e chi quegli spazi li vive quotidianamente. Crediamo che il racconto che si snoda attraverso i volti dei suoi abitanti possa stringere un legame sociale e spaziale con il quartiere, nutrire in loro senso di appartenenza e vicinanza. Una narrazione che ambisce a favorire in chi osserva questo quartiere, laboratorio di integrazione, la possibilità di provare ancora stupore, come se fossimo davvero capaci di vedere per la prima volta.
Biografia
Sono nata in provincia di Milano nel 1979. Fotografo come sogno, in bianco e nero. Osservo in silenzio, sentendo profondamente ciò che vedo. Ho l’ossessione del tempo, pieno e vuoto, presenza e assenza. Credo che lo sguardo sia guida fondamentale della nostra storia, personale e collettiva. Attraverso la fotografia cerco di tenere traccia di un percorso a cui tornare e, a volte, da cui allontanarmi. Ho frequentato diversi workshop fotografici per poi perfezionarmi presso l’Istituto Italiano di Fotografia di Milano e Musa Fotografia in un master di Fotogiornalismo con Pierpaolo Mittica. Dal 2017 partecipo all’organizzazione del Festival della Fotografia Etica di Lodi e da qualche anno ho iniziato ad approfondire l’utilizzo della fotografia nelle relazioni educative, sperimentazione con camera minutera e stampa in cianotipia. In collaborazione con Libera Compagnia di Arti e Mestieri Sociali di San Donato Milanese, sto attualmente lavorando ad un progetto a lungo termine sul quartiere popolare Satellite di Pioltello, alle porte di Milano. Una prima parte del progetto è stata esposta al circuito Off del Festival di Fotografia Etica di Lodi a ottobre 2020. https://www.instagram.com/cla.verga/ https://www.festivaldellafotografiaetica.it/2020-mostreoff-ita/ https://storiediquartieres.wixsite.com/bottega/blog/categories/sguardi-ritrattidi-quartiere
GIORGIO di Pierangelo Orizio
La mia e’ una breve storia su Giorgio Viola, di Carzago, in provincia di Brescia. Un ragazzo quarantenne con un deficit motorio e verbale : nonostante gli ostacoli fisici cerca di non farsi condizionare dalla vita e dagli eventi, per sviluppare al meglio tutte le sue opportunità o almeno ci prova . Si ,perche’ la sua tetraparesi spastica parziale distonica nasconde le sue vere capacita’ sotto forma di difficolta’ di linguaggio e deambulazione .
Prima di giudicare il suo aspetto ho cercato di conoscerlo. E’ laureato in informatica , lavora in un’azienda del suo paese come impiegato in ufficio . Quando e’ libero scrive sul suo blog e social; e’ intento a preparare un sito dedicato alla passione della bicicletta : “Pedala con Giorgino”.
Sciatore , ciclista, pratica pilates e yoga , riceve trattamenti di Tuina e Riflessologia, tutto questo per un buon mantenimento psicomotorio . Lo sport lo prepara ad avere un corpo piu’ sciolto. I suoi Miti sono : Alex Zanardi , Marco Pantani , Alberto Tomba.
Ho chiesto a Giorgio se era interessato ad essere il soggetto del mio reportage. Subito ha accettato e mi ha invitato a seguire la sua giornata tipo. La mia storia vuole evidenziare la motivazione che mette nelle sue attivita’ per affrontare la vita …work in Progress.
La Passione per la fotografia ha radici profonde e fin da da giovanissimo mi ha spinto a raccontare la natura. Oggi mi considero un Fotografo Freelance Poliedrico.
I miei scatti spaziano in molti ambiti: natura, paesaggio, street , ritratto, glamour compresi progetti personali e lavori in studio. Il mio motto e’ Carpe Diem
Ho iniziato in Pellicola (1999) passando poi al digitale (2004) utilizzando tutti i formati da apsc a full frame e dal (2016) sono passato a mirrorless in formato 4/3. Nei miei studi, nei corsi e workshop frequentati ho sempre cercato di approfondire e personalizzare al meglio tutto quello che mi insegnavano.
Ma una domanda continuo a farmela prima di ogni scatto: Cosa mi racconta questa scena ? Cosa puo’ raccontare a chi la osserva ? Non sempre la risposta determina il CLICK perfetto, ma è valsa la pena provarci.
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