Compito a casa. Le tue fotografie commentate da F. Crea.

Buongiorno a tutti, ecco l’appuntamento coi “Compiti a casa” di Filippo Crea.

Per partecipare alle letture dovreste inviare le vostre fotografie a pensierofotografico@libero.it con l’indicazione di nome e cognome dell’autore, e città di residenza, e il titolo del tema trattato, entro il  giorno 10 di ogni mese.

Ogni persona non potrà inviare più di 4 fotografie (in caso non si rispettasse questa regola, l’autore non verrà considerato).

Le fotografie dovranno rispettare questi parametri: formato JPG – profilo colore SRGB – risoluzione 72 – dimensione max 1920 pixel per il lato più lungo – peso max 2 MB. Le fotografie che non avranno queste caratteristiche o peseranno troppo, non verranno considerate.

Questa vuole essere un’opportunità per i fotografi che hanno voglia di condividere e capire le proprie immagini, non una vetrina per pochi eletti.

Ci scusiamo se non riusciremo a pubblicare tutte le immagini, nel caso ti dovesse succedere di non venire pubblicato, ritenta coi temi successivi.

I temi di questo mese:

l) LA MUSICA – per piacere, niente gruppuscoli musicali andini in centro città, niente bande musicali alla festa del Santo Patrono, niente violinisti con la ciotola per la raccolta delle monetine. OK per tutti?   

2) LA NOTTE – niente fotografie della Chiesa Matrice del Paese, o del Monumento ai Caduti nella piazza principale.

3) LE OMBRE – Sono un’opportunità creativa superiore. Cercatele con impegno programmato e con una inossidabile volontà di catturare prede di grande suggestione.

4) L’ATTESA – Considerate quante <attese> sono in attesa di un autore. Saranno almeno 9.999, e saranno tutte portatrici di narrazioni super.

5) L’UOMO ED IL MANIFESTO – andando in giro guardatevi intorno. Individuate un manifesto ruffiano, o mercantile, o politico, o di varia attualità, ed aspettate che davanti ad esso si materializzi una persona (o più) che dia vita ad un insieme che sia divertente, disturbante, armonico.

6) NUOVO TEMA “ALLO SPECCHIO”

In aggiunta ai primi cinque primi temi sempre attivi ecco il sesto, titolato “ALLO SPECCHIO”. Avverto che non è un esercizio facile ma che non è impossibile individuare almeno 9.999 opportunità creative, semplici o sofisticate. Accendete il motore!

COMPITO A CASA n° 1

Ho appena visionato un tavolo di fotografie pervenute alla rubrica. E confesso una certa delusione per quel che ho visto. La mia delusione, preciso, nasce dal rilievo che sono molto poche le immagini partorite da una programmata ricerca. Si infilano le mani nei cassetti di casa, o nel PC e … “Toh, questa qui mi sembra possa andar bene per la notte, questa qui potrei mandarla per le ombre”. Oggi, complice la facilità di presa propiziata da fotocamere dotate da automatismi imposti da un mercato massificato, non si medita più su quel che si vuole ottenere, si va fuori casa, e si <spara> a quel che capita. Senza ombra alcuna di programmazione, di ricerca, di approfondimento. In romanesco si dice “quel che coio, coio>, vale a dire <quel che becco, becco>. E consiglio vivamente allora a chi, fra costoro, voglia proporsi come fotoamatore evoluto, di metter via la fotocamera, di accontentarsi del foto/telefonino da usare alla festa del rione, o per il compleanno di zia Erminia. Evitare, quindi, di mortificare la Signora Fotografia. Ad ogni Mostra da me organizzata ho sempre messo al muro, bene in vista due massime: la prima è di Ansel Adams e recita “Ogni fotografia ha sempre due autori: il fotografo e l’osservatore”. Intendevo, con questo espediente, chiarire che la fotografia firmata da Ugo Fantozzi, poteva ottenere il plauso di Ciro Esposito o il giudizio negativo di Peppino Pautasso. Possibilissimo, signori. Ognuno di noi è difatti portatore di una cultura e di una sensibilità propria. Anni fa all’Università di Cracovia, in Polonia, ho chiesto a tre Giurie di esprimersi su tre diversi portfoli. Solo un 25% delle fotografie ottenne l’unanimità; il 75% residuo mise in feroce competizione le tre differenti Giurie.

Passiamo ora ad altro argomento. La buona fotografia vive fortemente dell’impegno a cercare il nuovo, il diverso. E qui ricorro all’aiuto di un Premio Nobel della Letteratura, il portoghese José Saramago, autore del libro “Viaggio in Portogallo”, del quale scrive “…è la storia di un viaggio nel quale si fondono quel che l’autore vede e quel che si è già visto. E’ come dire <io propongo cose che io ho visto e non cose diffusamente stra/viste> E’ il confine tra la <banalite> e il creativo.

A seguire ecco ancora di Saramago quel che un attento fotoamatore dovrebbe metabolizzare religiosamente. Saramago scrive “Il viaggio non finisce mai. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto <non c’è altro da vedere>, sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro, vedere di nuovo quel che si era visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. 

Desidero ora, seppur brevemente, ricordare qui il sorriso e la gentilezza che ha sempre connotato GIULIANA Traverso, Fotografa e Signora della Scena Internazionale, e da sempre mia amica e complice di moltissimi foto/eventi.

Giuliana ci ha lasciati il 14 aprile, eredi di una ricca formazione umana.

Filippo Crea e Giuliana Traverso

*** Luigi Gusmeroli di Inverigo per “l’attesa”

No amico, quest’immagine non ha alcunché da spartire con il tema trattato. Quest’uomo emarginato dal sociale non attende niente e nessuno. Si è solo arreso penosamente al suo sfinimento. La sua è una delle 9.999 foto che riprendono persone cancellate dalla società civile, ed a cui si dovrebbe un giusto rispetto. O no?

*** Massimiliano Pretto di Trieste per “l’uomo e il manifesto”

No, Massimiliano, o io mi sono spiegato male io, o lei ha provato a barare. Il tema non vuole solo un manifesto. Vuole anche, e soprattutto, che ci sia una presenza umana in rapporto armonica, o stridente, o divertente con l’affiche, e che qui non c’è. A fotografare un manifesto qualsiasi ci riuscirebbe anche la signora Pina Fantozzi.

*** Mara Lombardi di Gussago per “l’uomo e il manifesto”

Qui la relazione tra figura umana e manifesto c’è, e c’è anche due volte. E’ fra la donna che di corsa spinge la carrozzina, è con il giovane che corre con la bandiera, è con il calciatore che spinge in avanti il pallone. Tema tre volte rispettato.

*** Mara Lombardi di Gussago per “La musica”

Un’opera di suggestiva atmosfera. Ok per le molte presenze riflesse o appena accennate all’interno del fotogramma, e che sembrano evocare i ritmi musicali proposti. Ok infine per l’alone luminoso che incornicia suggestivamente i capelli dell’artista. Ed ok per l’armonia dell’insieme tutto.  Complimenti.

*** Martina Palermo di Vigevano per “Le ombre”

A Martina, va il mio primo premio. Scrive Martina “non sapevo come svolgere questo tema che però mi affascinava, e mi sono intestardita, e ho cercato e cercato fino a trovare questa soluzione che mi pare piuttosto buona” – Sì Martina, la tua proposta, per chi non ama il banale e l’omologazione, non è buona, ma è buonissima. Avanti tutta!

*** Federica Miglietta di Napoli per “l’attesa”  

Un acquarello dal cromatismo delicato con la bambina che chiaramente è in attesa di qualcuno o di qualcosa che si intuisce essere alla sua destra. Federica, le suggerisco una cosina facile: ruoti di 1° a destra la sua fotografia e vedrà quanto ci si guadagnerà con una raddrizzatina per quanto contenuta.

(foto)

*** Matteo Cavallini di Crema per “le ombre”

Questa prova è la sola delle sue sei foto che sia potabile.

Le ombre sono una miniera di foto/opportunità ma è fondamentale che abbiano evidenti positività, o narrative o di armonia grafica. Non si dispiaccia, “nisciuno è nato ‘mparato”. Ed eccomi a questa sua prova che supera gli esami; è equilibrata, e la parte alta del fotogramma delicatamente merlettata è in armonico equilibrio, per peso e per volume, con la parte in basso.

*** Angela Ravaioli di Genova per “l’attesa”

Angela, la sua foto è un esempio puntuale di cosa non meritasse uno scatto. Lei non si è accorta che la <sua> attesa era, nella misura dell’80% totalmente nascosta dal cartello pubblicitario della Hitachi? io per anni ho scritto della esigenza irrinunciabile di munirsi di un cestino. Ed ho scritto a lungo di quanto sia educativo <uccidere> con cattiveria molte, moltissime delle nostre fotografie.

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Simone Magli di Pistoia per “le ombre”

Simone, questa sua prova è certamente ok. Ma …, c’è un ma. Eccolo: la sua è una foto documentaria: in strada c’è un’ombra, ma c’è anche il cavallo che l’ha partorita. Quest’ombra, in assenza del cavallo sarebbe stata protagonista unica ed assoluta del fotogramma. Ed invece qui condivide lo spazio scenico con la scultura. Accanto al suo documento ecco una mia rivisitazione con meno documento e, però, con più creatività.

              

Andrea Tonezzer di Trento per “Le ombre”

Questa sua fotografia è magari saporita da vedersi, ma lei mi lasci il sospetto

che l’ombra dell’uomo non sia… un’ombra, ma una figura <reale> in secco controluce. L’esposimetro ha letto la parete chiara in fondo, e si è regolato di conseguenza.

Simone Sangalli di Cernusco s/n per “xxxxxxx”

Mi spiace, Simone, lei ci ha mandato 4 foto, incollate ed inseparabili l’una dalle altre, fino a formarne una sola. Ed io faccio fatica ad esprimermi su una unica fotografia risultante dalla fusione di quattro singole. Ritorni a trovarci.

Mariano Alterio di Milano per “l’uomo ed il manifesto”

Per questo esercizio si richiede imperativamente che la figura umana reale e quella cartacea siano in significativa relazione. E qui difatti il grappolo di belle figliole in carne ed ossa fa simpaticamente il verso ai giovani del manifesto. E c’è di più: la metà di sinistra del fotogramma è nera, la meta di destra è bianca, e la composizione ne risulta felicemente esaltata.

Andrea Tonezzer di Trento per “L’uomo e il manifesto”

Caro Andrea, questa fotografia lei avrebbe dovuto distruggerla prima dell’arrivo dei Carabinieri. Vede, nessun fotografo di qualsivoglia livello, affinerà il proprio foto/linguaggio fino a che non avrà deciso di essere ferocemente cattivo con le proprie foto. Nell’attrezzatura di ogni fotografo deve esserci sempre un grosso cestino. Andrea, non si è proprio accorto che le due figure femminili nella sua foto sono drammaticamente incollate l’una sull’altra?

Andrea Tonezzer di Trento per “L’uomo e il manifesto”

Una godibile soluzione connotata da un’immediata relazione tra le figure di sfondo e l’uomo del reale. Questa figura io l’avrei collocata alla sinistra del ftg, come in entrata nella scena, o forse anche a destra in uscita. Il racconto avrebbe molto guadagnato in spontaneità. O no?

Francesca Garau di Olbia per “La notte”

Una fortunata opportunità ha propiziato la ripresa di questa notte di quieta suggestione: una fiaccolata religiosa ha aggrumato a destra nel fotogramma un gruppo di fedeli, e bene infine ha fatto l’autrice a collocare nel margine sinistro un uomo che da qui guida lo sguardo dell’osservatore verso l’insieme.

Carmine Prestipino di Furci Siculo per “le ombre”

Caro amico, a guardarsi in giro di ombre se ne trovano a quintalate. Quelle però che giustifichino una medaglietta debbono segnalarsi per rigore grafico, per narrazione, e per pulizia. Questa sua è solo come una macchia provocata da un dito sporco d’inchiostro. Torni a trovarci con proposte più meditate.

Nicla Cannito d Manfredonia per “Le ombre”

Nicla e non Nicola – Genere femminile che in fotografia esprime sovente una sensibilità superiore a quella degli uomini. Quest’opera è connotata da un puntuale equilibrio di pesi e volumi assolutamente di marca super. Su di un fondale cromaticamente pulito e riposante si disegna, per quanto minuta, una presenza umana decisamente accattivante.

Nicla Cannito di Manfredonia per “Le ombre”

Quest’immagine mi lascia dubbioso. Lo sguardo vaga disorientato nel fotogramma alla non facile ricerca del <punto nodale>, del punto cioè che dovrebbe trattenere lo sguardo. E non lo trova. Ed è per questo che ho modificato la sua foto alla ricerca di un più valido equilibrio d’insieme. Sono stati sufficienti due colpetti di rasoio per trasformare una foto mediocre in una buona foto.

Maria Grazia Conti di Anzio per “La musica”

Una presa di buona ma non eccezionale fattura, che sa poco di ricerca pre/meditata. Soluzioni come questa se ne trovano a quintalate senza affaticarsi granché. Ok comunque per l’atmosfera raccolta del luogo, e dei musicisti, e degli ascoltatori. Maria Grazia, chi vuol fare della buona fotografia deve far girare al massimo il motore della creatività, e cercare, cercare, cercare. Ed infine, lei ha spedito le sue tre prove con altrettante mail. Ne bastava solo una per tutte.

Antonio Zancheddu di Genova per “L’uomo e il manifesto”

No Zancheddu, siamo completamente fuori tema. La figura umana che muove i suoi passi in primo piano con quale dei <due> manifesti dovrebbe relazionarsi? Con Edipo NO, e con Michelangelo NO. Per anni ho raccomandato la formula 3 su 36” – Era la stagione dell’analogico ed intendevo dire che da un film da 36 pose bisognava salvarne solo 3 – Non era una misura imposta d’imperio; era solo per affermare che <ghigliottinare> era ed è, uno strumento di apprendimento fondamentale. Più tardi, sparite o quasi le pellicole e nata la fotografia numerica, aggiornai la formula in “1 su 10” che era più o meno la stessa cosa.

Emanuele Dini di ……?…

di via Ettore Rolli, 15” – Prima o poi capirò in quale città si trova.

Vedo la sua titolata “solo contro tutti” e mi chiedo “perché ce l’ha mandata”, e perché mai ci si ostini a inventarsi dei titoli improbabili per le proprie fotografie. Mosso da una pressante curiosità ho cercato in Rete le sue fotografie. C’è di tutto, come in un bazar turco. Lei non ha ancora deciso quale è o quali sono i suoi generi preferiti. Mi ascolti, decida cosa vuole dalla Fotografia! E non pensi che esser pubblicato dappertutto valga come diploma di maturità.

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Antonio Zancheddu di Genova per “L’attesa”

Una composizione di sicuro equilibrio compositivo che si direbbe realizzata con una fotocamera full frame ben salda su di un cavalletto. E invece nasce da una compatta mirrorless di formato 4:3 – OK infine per il funzionale e potabile mosso del convoglio in uscita dalla sinistra del ftg, che affina il racconto.

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Ermanno Campalani di Sesto S/G per “Le ombre”

Caro amico, non metta un titolo alle fotografie. Non servono, e talora disturbano. In una sua fotografia lei considera ombre quelle che sono nient’altro che riflessi notturni in acqua. Questa sua <ombra> è certamente ok: le ombre che fanno il verso alla ringhiera danno vita ad un gradevole gioco grafico. Io, estimatore della ghigliottina, avrei però fatto sparire quel rettangolo bianco in alto che è cosa superflua. Qui la sua, e qui quella <sforbiciata>. Scelga e decidano anche i lettori quale è la più potabile.

Grazie! Cari amici tutti, è difficile che qualcuno possa saltare a piè pari le regole del gioco.  

Filippo Crea

“Rimani sul semplice, stupido (fotografo)”

SARA MUNARI - (7)

KISS è un acronimo usato in progettazione, che sta per Keep It Simple, Stupid, ossia “rimani sul semplice, stupido”.

Vi dico una cosina.

Per “prendere foto semplici” non intendo che sia semplice scattarle o vederle. Anzi, spesso è l’opposto.

Per prendere foto semplici non intendo nemmeno che ritraggano un punto nero su fondo bianco.

La semplicità è togliere il superfluo. Distillare una scena per portarla alla sua essenza. Selezionare dalla complessità del mondo che ritraiamo, il fulcro di quella frazione di secondo.

Chiedetevi sempre perché state scattando, rimanete concentrati su quello che volevate dire, non date per scontate “faccende” che dalle vostre immagini non potrebbero mai essere dedotte, se non ampiamente spiegate da voi.

Non pensate a cosa potreste aggiungere per spiegarvi meglio, concentratevi piuttosto su ciò che potete rimuovere o sottrarre. Rimuovete dalle composizioni che scegliete tutto ciò che ostacolerebbe la lettura della foto, fondi sporchi, colori che distraggono, scritte fuorvianti…

Rimuovete scatti, evitate gli scatti a raffica (necessari solo in pochi casi e per generi fotografici specifici).

  Togliete dall’attrezzatura che vi portate dietro, alleggeritevi, mollate a casa gli zaini da sherpa. Levate le immagini che esprimono concetti simili nello stesso portfolio.

Chiedetevi quali sono le immagini che realmente rappresentano al meglio il concetto che vorresti comunicare. Stai certo che circa il 90% delle foto scattate è totalmente inutile.

 Alleggerite la postproduzione.Questo rimane sempre il mio motto:Una foto di merda ritoccata bene, rimane una foto di merda.

In caso di dubbio, sottrarre, sempre. Questo il mio consiglio.

Mi vengono mostrati progetti o singole fotografie alle quali vengono attribuiti significati che nemmeno lontanamente sono contenuti su quella superficie bidimensionale.

Tante “pippe mentali”. Nelle vostre fotografie, se non accompagnate da testi o didascalie, è contenuto esclusivamente quello che vedete e se le didascalie devono spiegare tutto, senza lasciare spazio ad un po’ di immaginazione, le persone si stancheranno di leggere o peggio si ricorderanno dei chiarimenti e dimenticheranno le immagini.

Siate semplici, siate comprensibili e non date per scontato niente.

Ciao, baci

Sara

 

 

Genesis – Salgado. A me sto libro fa davvero venire la pelle d’oca! Guardate che fotografie…

Sebastião Salgado (Aimorés, 8 febbraio 1944) è un fotografo brasiliano, che attualmente vive a Parigi.

Dopo una formazione universitaria di economista e statistico decide, in seguito ad una missione in Africa, di diventare fotografo. Nel 1973 realizza un reportage sulla siccità del Sahel, seguito da uno sulle condizioni di vita dei lavoratori immigrati in Europa. Nel 1974 entra nell’agenzia Sygma e documenta la rivoluzione in Portogallo e la guerra coloniale in Angola e in Mozambico. Nel 1975 entra a far parte dell’agenzia Gamma ed in seguito, nel 1979, della celebre cooperativa di fotografi Magnum Photos. Nel 1994 lascia la Magnum per creare, insieme a Lelia Wanick Salgado, Amazonas Images, una struttura autonoma completamente dedicata al suo lavoro. Salgado si occupa soprattutto di reportage di impianto umanitario e sociale, consacrando mesi, se non addirittura anni, a sviluppare e approfondire tematiche di ampio respiro.

A titolo di esempio, possiamo citare i lunghi viaggi che, per sei anni, lo portano in America Latina per documentarsi sulla vita delle campagne. Questo lavoro ha dato vita al libro Other Americas.

Durante i sei anni successivi Salgado concepisce e realizza un progetto sul lavoro nei settori di base della produzione. Il risultato è La mano dell’uomo, una pubblicazione monumentale di 400 pagine, uscita nel 1993, tradotta in sette lingue e accompagnata da una mostra presentata finora in oltre sessanta musei e luoghi espositivi di tutto il mondo.

Dal 1993 al 1999 Salgado lavora sul tema delle migrazioni umane. I suoi reportages sono pubblicati, con regolarità, da molte riviste internazionali. Oggi, questo lavoro è presentato nei volumi In Cammino e Ritratti di bambini in cammino, due opere che accompagnano la mostra omonima edite in Italia da Contrasto.

Nel 2013 Salgado ha dato il suo sostegno alla campagna di Survival International per salvare gli Awá del Brasile, la tribù più minacciata del mondo. Nell’agosto 2013 O Globo ha pubblicato un lungo articolo sulla tribù, corredato dalle sue fotografie.

StileimageCon studi di economia alle spalle, Salgado approda tardi nel mondo della fotografia, occupandovi subito una posizione di primo rango. Le sue opere si ispirano a quelle dei maestri europei, filtrate però dall’eredità culturale sudamericana. Esse attirano l’attenzione su tematiche scottanti, come i diritti dei lavoratori, la povertà e gli effetti distruttivi dell’economia di mercato nei Paesi in via di sviluppo. Una delle sue raccolte più famose è ambientata nella miniera d’oro della Serra Pelada, in Brasile, e dove migliaia di persone, giunte da tutto il mondo a causa della presenza di filamenti auriferi nel terreno, sono ritratte mentre si arrampicano fuori da un’enorme cava su primitive scale a pioli, costretti, da nessuno se non dalla propria dipendenza nei confronti dell’oro, a caricare sacchi di fango che potrebbero contenere tracce del metallo.

Salgado scattava nel modo tradizionale, usando pellicola fotografica in bianco e nero e una fotocamera da 35 mm: strumenti portatili e poco ingombranti. È nota la sua preferenza per le macchine Leica, in virtù della qualità dei loro obiettivi. Particolarmente attento alla resa dei toni della stampa finale, Salgado applica uno sbiancante con un pennello per ridurre le ombre troppo intense.

Nel corso della realizzazione del progetto Africa, Salgado ha avuto la necessità di stampare alcune scene in grande formato. Ma la Leica non gli consentiva di andare oltre una certa misura, per cui ha iniziato ad utilizzare una Pentax 645 in formato 220.

All’inizio della realizzazione del progetto Genesis, inoltre, egli ha calcolato che avrebbe dovuto girare il mondo con 600 rullini di formato 220, con un peso di 30 chili circa di pellicola. Ma con le misure di sicurezza instaurate negli aeroporti di tutto il mondo, in conseguenza dell’attentato dell’11 settembre, le pellicole avrebbero dovuto attraversare più volte i rilevatori a raggi X, con perdita di qualità dell’immagine e quindi del vantaggio qualitativo che avrebbe dovuto derivare dall’uso del medio formato. Allora il grande fotografo ha deciso di utilizzare una Canon 1Ds Mark III, da 21 megapixel, riducendo il peso previsto del materiale sensibile, da 30 kg delle pellicole, ad 1,5 kg di schede digitali.

Per acquistare Genesis 

Bellissima presentazione di Salgado del suo lavoro…da vedere!

ciao Sara