In un periodo in cui le persone rimangono scandalizzate dalla mancanza di rispetto verso l’altro e dalla propensione degli individui di pensare a se stessi come fossero l’unico soggetto da tutelare, voglio presentarvi una fotografa che ha fatto della sua vita una lotta attiva e quotidiana contro la violenza e le discriminazioni. Mi piace farlo ora perché penso che, in fondo, la mancanza di rispetto abbia le stesse radici dell’arroganza che impedisce in ogni parte del mondo e a tutte le persone di poter vivere liberamente, senza pericoli, la propria vita qualunque essa sia.
La fotografa in questione è Zanele Mhuoli: lei ama definirsi “attivista visiva”, in conseguenza della scelta di dedicare la propria fotografia alla rappresentazione della comunità LGBT in Sudafrica.
Il lavoro della Muholi diventa negli anni un documento, un “elenco” dettagliato di persone ed eventi che caratterizzano e compongono la comunità alla quale la stessa autrice appartiene; un “elenco per immagini” col quale cerca di mettere in contatto il soggetto rappresentato e chi l’osserva, al fine di abbattere quelle barriere di preconcetti che impediscono a una fetta specifica della società di vivere integrata.
L’inizio del cammino della Mhuoli nel mondo delle arti visive avviene nel 2004 presso la Johannesburg Art Gallery, dove realizza la sua prima personale. Nelle immagini vengono rappresentate persone che hanno subito stupri ed aggressioni, senza che vengano mostrati i loro volti. Ciò perché, pur essendo tutelata legalmente l’omosessualità in Sudafrica, per molte persone è ancora difficile mostrarsi pubblicamente per il timore di subire discriminazioni e violenze.
Dopo la prima esposizione, si susseguono una serie di progetti e mostre, il cui tema e ambito di ricerca rimane sempre la condizione della donna nera e lesbica in Sudafrica, che la fotografa cerca di rappresentare attraverso le individualità delle persone, restituendo dignità alla loro esistenza e sostenendo, attraverso i loro ritratti, il diritto ad una vita normale.
La Mhuoli vuole ricostruire, in fondo, la propria storia; cerca di ritrovare le proprie origini e di dare una risposta alle domande che si fece scoprendosi lesbica; cerca di dare voce ad un mondo ai margini cosicché, coloro i quali ne fanno (e ne faranno parte), possano perdere quel senso di isolamento di cui essa stessa aveva sentito il rumore.
I suoi ritratti sono quindi sfrontati, le protagoniste guardano verso lo spettatore, restituendo un senso di fierezza e consapevolezza e, così facendo, raccontano un mondo fino a quel momento nascosto, che grazie al lavoro della Mhuoli lo è un po’ meno.

Di seguito due link: al primo trovate un’intervista pubblicata nel 2019 da Artribune in occasione dell’esposizione delle immagini alla Biennale di Venezia; al secondo un intervento registrato presso la Penny W. Stamps School of Art & Design University of Michigan. Il video della durata di un’ora (è un po’ lungo, ma interessante) include un documentario che racconta la realizzazione del suo lavoro “Faces and Phases”, ma non solo.
Annalisa Melas