Mostre per chiudere l’anno in bellezza

Ciao,

ecco le ultime mostre che vi proponiamo per il 2019. Da non perdere!

Ricordatevi di dare sempre un’occhiata alla nostra pagina con le mostre in corso.

Anna

Olivo Barbieri. Mountains and Parks

Olivo Barbieri, Alps Geographies and people, 2019

L’esposizione, curata da Alberto Fiz e coordinata dalla Struttura Attività espositive dell’Assessorato regionale, presenta oltre 50 lavori esposti in un percorso ventennale che comprende una serie di grandi immagini fotografiche inedite che hanno come soggetto le montagne della Valle d’Aosta, in particolare il Cervino e il Massiccio del Monte Bianco, realizzate per l’occasione. Per la prima volta, poi, viene presentata la produzione scultorea attraverso tre monumentali lavori plastici che occupano l’ala centrale del Centro Saint-Bénin.
Le opere in mostra ripercorrono la ricerca compiuta da Barbieri dal 2002 al 2019 sottolineando l’attenzione verso le tematiche connesse con il paesaggio e l’ambiente. Non manca, poi, un ciclo d’immagini dedicato alla storia dell’arte antica e moderna e la proiezione di un video del 2005 realizzato in Cina.
Mountains and Parks, il progetto ideato per il Centro Saint-Bénin, propone l’indagine di Barbieri sui parchi naturali, siano essi le Alpi (già nel 2012 la Valle d’Aosta era stata oggetto di una specifica indagine), le Dolomiti, Capri rivisitata con i colori della memoria o le cascate più importanti del pianeta che, come afferma l’artista, “sopravvivono intatte ad uso del turismo o come luoghi fisici museali dove ammirare come potrebbe essere una natura incontaminata”. Si tratta di una rassegna spettacolare e problematica, che affronta questioni fondamentali come l’esigenza di un rinnovato equilibrio naturale associato al turismo di massa che, se da un lato “consuma” i luoghi, dall’altra ne garantisce la sopravvivenza. Le immagini di Olivo Barbieri viste dall’alto, riprese con la tecnica della messa a fuoco selettiva che evidenzia solo alcuni elementi lasciando volontariamente sfocato il resto della scena, hanno inaugurato un nuovo modo di percepire il paesaggio che, grazie all’introduzione consapevole di alcuni “errori” fotografici, ci appare in modo inedito, più simile a un modellino in scala (non manca nemmeno l’uso della pittura digitale) che a un contesto reale. Sebbene nulla di ciò che vediamo appaia contraffatto, l’indagine di Barbieri decreta l’ambiguità della rappresentazione. Sono immagini che non nascono dalla volontà di ottenere effetti speciali (non c’è post-produzione), ma dalla curiosità di verificare il comportamento del mezzo fotografico in condizioni non-idonee. Insieme ai parchi dei ghiacci e dell’acqua, il suo sguardo si estende ai Landfills, le quattro grandi discariche abitate da migliaia di persone e animali del Sud Est asiatico in Thailandia, Indonesia e Malesia. Sono i parchi tematici in negativo, la coscienza sporca dell’Occidente dove si gioca l’equilibrio del pianeta. Il paesaggio si estende anche alla storia dell’arte dove la messa a fuoco selettiva modifica la percezione di opere ormai metabolizzate con un atteggiamento ironico e dissacrante. Nel Paradiso Terreste di Nicolas Poussin sembra di vedere il Creatore che si allontana appoggiato ad un drone di controllo, mentre il mito di Mark Rothko è connesso con i simboli del fast food americano, gli hamburger. Il dialogo con i maestri del passato coinvolge anche Paolo Uccello, Caravaggio e Canaletto. Quest’ultimo, attraverso l’uso della camera ottica, sembra anticipare gli esiti della fotografia contemporanea.
Per la prima volta è presentata in mostra la produzione plastica di Barbieri con tre grandi sculture in legno realizzate per l’occasione che fanno riferimento alla mappatura simbolica dei codici Hobo, i vagabondi americani e i Rom. Ne emerge una geografia errante che crea un paesaggio segreto, accessibile solo ai membri della tribù.
A completamento della rassegna, viene proiettato il video Seascape#Night, China Shenzhen 05 del 2005, parte di un progetto artistico in divenire. In questo caso tutto parte da Shenzhen, in Cina, una delle più importanti nuove aree economiche vicino ad Hong Kong dove un’intera generazione di cinesi sta per concedersi, per la prima volta da cinquant’anni, un divertimento di massa: fare il bagno in mare al chiaro di luna.

16 novembre 2019 – 19 aprile 2020 – Centro Saint-Bénin, Aosta

Tutti i dettagli qua

Letizia Battaglia. Storie di strada

Una grande retrospettiva con oltre 300 fotografie che riscostruiscono per tappe e temi la straordinaria vita professionale di Letizia Battaglia. 
Promossa da Comune di Milano|Cultura, Palazzo Reale e Civita Mostre e Musei, la mostra anticipa con la sua apertura il palinsesto “I talenti delle donne”, promosso e coordinato dall’Assessorato alla Cultura, che durante tutto il 2020 proporrà iniziative multidisciplinari – dalle arti visive alle varie forme di spettacolo dal vivo, dalle lettere ai media, dalla moda alle scienze– dedicate alle donne protagoniste nella cultura e nel pensiero creativo. 
Con circa 300 fotografie, molte delle quali inedite, “Storie di strada” attraversa l’intera vita professionale della fotografa siciliana, e si sviluppa lungo un articolato percorso narrativo costruito su diversi capitoli e tematiche. I ritratti di donne, di uomini o di animali, o di bimbi, sono solo alcuni capitoli che compongono la rassegna; a questi si aggiungono quelli sulle città come Palermo, e quindi sulla politica, sulla vita, sulla morte e sull’amore, e due filmati che approfondiscono la sua vicenda umana e artistica. Il percorso espositivo si focalizza sugli argomenti che hanno costruito la cifra espressiva più caratteristica dell’artista, che l’ha portata a fare una profonda e continua critica sociale, evitando i luoghi comuni e mettendo in discussione i presupposti visivi della cultura contemporanea. Quello che ne risulta è un vero ritratto, quello di un’intellettuale controcorrente, ma anche una fotografa poetica e politica, una donna che si interessa di ciò che la circonda e di quello che, lontano da lei, la incuriosisce. 
Non ha bisogno di presentazioni Letizia Battaglia (Palermo, 1935). Non solo in Italia, ma anche all’estero: nel 2017 il New York Times l’ha infatti citata come una delle undici donne straordinarie dell’anno. 
Letizia Battaglia ha raccontato da insider tutta Palermo, per non parlare del contributo dato al teatro, all’editoria e alla promozione della fotografia come disciplina. È riconosciuta come una delle figure più importanti della fotografia contemporanea non solo per i suoi scatti saldamente presenti nell’immaginario collettivo, ma anche per il valore civile ed etico da lei attribuito al fare fotografia. 
I soggetti di Letizia, scelti non affatto casualmente, hanno tracciato un percorso finalizzato a rafforzare le proprie ideologie e convinzioni in merito alla società, all’impegno politico, alle realtà emarginate, alla violenza provocata dalle guerre di potere, all’emancipazione della donna. 
Molti sono i documentari che hanno indagato la sua figura di donna e di artista, il più recente dei quali è stato presentato all’edizione 2019 del Sundance Film Festival. Il film Shooting The mafia, per la regia di Kim Longinotto, racconta Letizia Battaglia giornalista e artista, che con la sua macchina fotografica e la propria movimentata vita è testimone in prima persona di un periodo storico fondamentale per la Sicilia e per l’Italia tutta, quello culminato con le barbare uccisioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. 

05 Dicembre 2019 – 19 Gennaio 2020 – MILANO, PALAZZO REALE

Tutti i dettagli qua

SARA MUNARI – Don’t Let My Mother Know (Non ditelo a mia madre)

Mi chiamo Sara Munari, sono nata nel 1930 a Milano, in Italia. La mia famiglia è emigrata a New York l’anno successivo. Quasi per caso, a 18 anni, inizio a lavorare per l’Ente spaziale Americano, che allora si chiamava Naca (National Advisory Committee for Aeronautics) formata nel 1915 e nata per supervisionare e gestire gli studi scientifici legati al ‘volo’. Nel 1958 fondiamo la Nasa (National Aeronautics and Space Administration) l’agenzia governativa civile responsabile del programma spaziale degli Stati Uniti d’America e della ricerca aerospaziale. Nel 1959 creo un settore personale la RASA (Rational Aeronautics and Space Administration e acronimo del mio nome) che si occupa solo di avvenimenti considerati realmente accaduti perché scientificamente provati (da qui Rational) Io sono quello che viene definito ‘membro occulto’ quindi il mio nome non è mai potuto comparire per ragioni di sicurezza, così come il settore RASA. Dopo innumerevoli studi, tenuti nascosti fino ad oggi, posso dire di aver scoperto la vita su un altro Pianeta. Il nome che ho dato al pianeta è Musa 23. Gli abitanti sono umanoidi e io mi sono confrontata sempre e solo con uno di loro, l’ho chiamato x23. Sono stata su musa 23 in diverse occasioni. Ho 88 anni, ho piena facoltà di intendere e di volere. Qui ci sono i miei studi e le mie scoperte. Dopo quello che vi mostrerò non avrete più dubbi.
Finalmente posso raccontare tutto.

Riccardo Costantini Contemporary è lieto di presentare a Torino il nuovo progetto fotografico di Sara Munari che si sviluppa tra fotografie analogiche e video, dal titolo Don’t Let My Mother Know (Non ditelo a mia madre). Un titolo curioso per un lavoro che, nell’anno della luna, vuole omaggiare e narrare un’avventura fantastica (o realmente accaduta?) di un viaggio analogico in una galassia lontana e l’incontro alieno con “x23”. Una serie fotografie scattate per lo più in Islanda che riportano alla mente paesaggi di galassie lontane ed ostili all’uomo, un video in cui lei – fingendosi ormai un’anziana 88enne e desegretati gli archivi di Stato – finalmente può svelare la verità sui suoi incontri “alieni”. Un cofanetto in edizione limitata che racchiude un archivio con i documenti cartacei delle missioni spaziali, con di mappe e prove segrete, invecchiati come se da oltre 50 si trovassero segregati in un logo “Top Secret”. Un lavoro che sarà esposto nelle sale di Riccardo Costantini dal 22 novembre e al Foto Festival internazionale Photolux, a Lucca.
In realtà quell’alieno è suo padre, percepito sempre più distante e lontano a causa dell’Alzheimer, contratto a seguito di un intervento ospedaliero. Un viaggio che ci racconta con delicatezza e qualità estetica un rapporto impari, in cui il genitore si sottrae alla sua famiglia e ricordi, diventando concettualmente “alieno” a se stesso ed ai suoi affetti.
50 stampe eseguite in camera oscura da Sara Munari stessa, 23 documenti d’archivio per ogni cofanetto in limited edition contenente mappe, rappresentazioni dell’alieno, lettere scritte a macchina, materiale archeologico contenente dimostrazioni di contatti alieni precedenti…E un video di 12 minuti, per un totale di 73 elementi che andranno a trasformare in un viaggio stellare la visita alla rinomata galleria torinese.
A cura di Alessia Locatelli

21 novembre 2019 – 25 gennaio 2020 – Riccardo Costantini Contemporary – Torino

Altre info qua

BIEKE DEPOORTER 2015-2019

How close can a photographer get to the people they portray? What is their role with regards to their subject, and what responsibility do they assume? Bieke Depoorter’s artistic work is based on her relationships with people and her own position as a photographer. From November 22, 2019 to February 16, 2020, the NRW-Forum Düsseldorf is showing the most comprehensive solo exhibition to date of the Belgian Magnum photographer’s work in Germany. Comprising five series from 2015 to 2019, the exhibition presents the photographer, who was born in Belgium in 1986, as an artist at a turning point in her career.

Depoorter explores current social issues and questions her role as a photographer, as well as the limits of her medium, across five topical projects, some of which are ongoing. The points of departure are often chance encounters with people, some of whom she then accompanies for years, exploring how and whether one can capture a person through the means of photography, as well as how to achieve true collaboration. Her various journeys have taken her to Egypt, the USA, France, Norway, and Lebanon.

NOVEMBER 22 2019 – FEBRUARY 16 2020 – NRW Forum – Duesseldorf

All details here

Alex Prager  – Silver Lake Drive 

La Fondazione Sozzani presenta per la prima volta in Italia la mostra “Silver Lake Drive” in cui la fotografa e regista Alex Prager unisce dieci anni di lavoro. La mostra è curata da Nathalie Herschdorfer, direttore del Musée des Beaux-Arts Le Locle in Svizzera. L’opera di Prager è cinematografica e trae ispirazione da ciò che la circonda, dalle esperienze personali, dalla street photography, dalla cultura pop e dai film. Applica una serie di elementi stilistici che richiamano i film noir, i thriller, il melodramma e i polizieschi. Le donne sono spesso le protagoniste del suo lavoro, guidate dall’emotività. Attraverso l’uso di colori saturi e di un immaginario vagamente familiare, Prager è in grado di ricreare un proprio mondo originale in cui esplora temi oscuri in modo seducente e inquietante. Le sue radici nascono dalla tradizione fotografica di William Eggleston, Diane Arbus e Cindy Sherman, maestri nell’arte di “congelare” un indefinibile momento del quotidiano. Il lavoro di Prager consiste in imponenti scenografie e immagini di grande formato dai colori saturi. Le sue fotografie possono essere viste come narrazioni di un singolo fotogramma che catturano storie enigmatiche definite entro i limiti della cornice. I suoi lavori sono caratterizzati dall’assenza di una narrativa lineare.

15 settembre 2019 – 6 gennaio 2020 – Fondazione Sozzani – Milano

Tutti i dettagli qua

Rankin: From Portraiture to Fashion

Rankin – From portraiture to fashion

Unico nel suo genere – dopo tre anni dalla presentazione di Outside In durante la Fashion Week di Milano del 2016 –, lo show Rankin: From Portraiture to Fashion rappresenta uno dei progetti più ambiziosi e complessi mai concepiti in collaborazione con una galleria. Rankin: From Portraiture to Fashion vuole essere un vero e proprio tour nell’archivio del fotografo con l’obiettivo di dare visibilità non solo ai suoi lavori più iconici, ma anche alle opere più concettuali, presentando così la contemporaneità dell’artista a una nuova generazione di collezionisti. La proposta espositiva, rivelandosi compiutamente nell’arco di quattro mesi, prevede cambi di opere e di interi allestimenti al fine di celebrare alcuni degli eventi distintivi del calendario milanese come il Vogue Photo Festival, il Fashion Film Festival (entrambi a novembre) e la Milano Fashion Week di febbraio, creando così un’originale occasione di dialogo tra l’autore e le proposte culturali di una delle capitali del design e della moda in Europa.

«Non sono una persona che fugge di fronte alle sfide, quindi questa è per me una grande opportunità su innumerevoli fronti: mostrare alcuni tra i miei lavori migliori, partecipare a eventi interessanti e diventare davvero parte del tessuto culturale di questa città.» – RANKIN

18 ottobre 2019 – 24 febbraio 2020 – 29 Arts in Progress, Milano

Altre info qua

KATE CRAWFORD | TREVOR PAGLEN: TRAINING HUMANS

“Training Humans”, concepita da Kate Crawford, professoressa e studiosa nell’ambito dell’intelligenza artificiale, e Trevor Paglen, artista e ricercatore, è la prima grande mostra fotografica dedicata a immagini di training: repertori di fotografie utilizzate dagli scienziati per insegnare ai sistemi di intelligenza artificiale (IA) come “vedere” e classificare il mondo.

In questa mostra Crawford e Paglen esplorano l’evoluzione delle collezioni di immagini di training dagli anni Sessanta a oggi. Come afferma Trevor Paglen, “quando abbiamo iniziato a elaborare l’idea della mostra, oltre due anni fa, volevamo raccontare la storia delle immagini utilizzate per il ‘riconoscimento’ di esseri umani nel settore della computer vision e dei sistemi di intelligenza artificiale. Non ci interessavano né la versione inflazionata dell’IA applicata al marketing né le favole distopiche sui robot del futuro”. Kate Crawford aggiunge, “volevamo trattare direttamente le immagini che formano i sistemi di intelligenza artificiale e prenderle sul serio come parte di una cultura in rapida evoluzione. Questi materiali visivi rappresentano la nuova fotografia vernacolare che guida la visione artificiale. Per verificare il loro funzionamento, abbiamo analizzato centinaia di set di immagini di training per capire i processi interni di questi ‘motori del vedere’”.

Sabato 26 ottobre alle ore 14.30, nell’ambito della mostra, si è svolto “Training Humans Symposium”. L’evento ha coinvolto i professori Stephanie Dick (Università della Pennsylvania), Eden Medina (MIT), Jacob Gaboury (Università della California, Berkeley) e i curatori del progetto Kate Crawford e Trevor Paglen. Analizzando i concetti affrontati nella mostra in relazione con i loro studi innovativi, i relatori si sono confrontati con due interrogativi principali: quali sono i confini tra scienza, storia, politica, pregiudizio e ideologia nell’intelligenza artificiale? Chi ha il potere di costruire questi sistemi e di trarne beneficio?

“Training Humans” esplora due tematiche chiave: la rappresentazione, l’interpretazione e la codificazione degli esseri umani attraverso dataset di training e le modalità con cui i sistemi tecnologici raccolgono, etichettano e utilizzano questi materiali. Quando la classificazione di esseri umani attraverso l’intelligenza artificiale diventa più invasiva e complessa, i pregiudizi e le implicazioni politiche presenti al loro interno appaiono più evidenti. Nella computer vision e nei sistemi di IA i criteri di misurazione si trasformano facilmente, ma in modo nascosto, in strumenti di giudizio morale.

Un altro centro d’interesse per Crawford e Paglen sono i sistemi di classificazione basati sugli affetti e le emozioni e supportati dalle teorie molto criticate dello psicologo Paul Ekman, secondo il quale la varietà dei sentimenti umani può essere ridotta a sei stati emotivi universali. Queste tecnologie d’intelligenza artificiale misurano le espressioni facciali delle persone per valutare una molteplicità di fattori: la loro salute mentale, la loro affidabilità come possibili nuovi assunti o la loro tendenza a commettere atti criminali. Esaminando le immagini di questa raccolta e i criteri con cui le fotografie personali sono state classificate, ci si confronta con due interrogativi essenziali: quali sono i confini tra scienza, storia, politica, pregiudizio e ideologia nell’intelligenza artificiale? Chi ha il potere di costruire questi sistemi e di trarne benefici? Come sottolinea Crawford, ‘’un’asimmetria di potere è propria di questi strumenti. La nostra speranza è che “Training Humans” segni il punto di partenza per iniziare a ripensare questi sistemi e per comprendere in modo scientifico come ci vedono e ci classificano”.

La mostra sarà accompagnata da una pubblicazione illustrata della serie Quaderni, pubblicata da Fondazione Prada, che include una conversazione tra Kate Crawford e Trevor Paglen sui complessi temi affrontati nel loro progetto.

12 Set 2019 – 24 Feb 2020 – Fondazione Prada Osservatorio

Altre info qua

MATTEO DI GIOVANNI – I WISH THE WORLD WAS EVEN

I wish the world was even è un diario di viaggio.
 Matteo Di Giovanni procede in auto verso nord, tagliando l’Europa in verticale e attraverso l’inverno. Nel suo racconto non compaiono mai persone.
Ovviamente ne ha incontrate molte nei due mesi di viaggio, lungo la strada, e in verità non era nemmeno partito
 solo. Ma nei quattro anni che separano questa mostra 
e la pubblicazione del libro dal viaggio fisico che lo ha portato da Milano a Capo Nord e ritorno, ha messo mano al materiale più volte e le persone sono progressivamente scomparse.
Lui, un banco ottico, una 6×7: l’attrezzatura necessaria
a scattare in condizioni piuttosto estreme – per le temperature, sempre più basse, e le ore di luce, sempre più brevi. Nella cassetta sul sedile posteriore, il fornello e l’immancabile caffettiera, protagonista di ogni sosta.

Guardare il mondo con gli occhi di Matteo significa innanzitutto essere sempre immersi nel paesaggio, e vederlo scorrere ai lati della strada. Impariamo ad adottare una certa distanza dalle cose che si manifestano davanti a noi.
Né troppo lontano, né troppo vicino. Una sorta di distanza di sicurezza che tiene a considerare un quadro d’insieme piuttosto ampio mentre, allo stesso tempo, rivela un’irresistibile curiosità a guardare meglio e avvicinarsi. Si incontrano e si superano barriere e ostacoli che tornano con immancabile certezza.

Ripartire cercando una nuova direzione, reinventarsi un percorso: è chiaro che il viaggio è tutto interiore e il paesaggio un pretesto.

I wish the world was even è il risultato del viaggio in cui Matteo si è messo alla prova ed è tornato a fare il fotografo.

– Giulia Zorzi, dal testo che accompagna il libro

27 Novembre 2019 – 4 Gennaio 2020 – Micamera Milano

Tutti i dettagli qua

Giacomelli e Leopoldi: storie celate di fotografia aerea

La storia e il ritrovamento

Terminato il riordino dell’Archivio dello Studio Fotografico Leopoldi di Senigallia (330.000 immagini sulla città e le Marche) fra gli album e i negativi sono state trovate delle cartelle molto speciali: 220 immagini – tra stampe a contatto, fogli di provinatura e negativi – con soggetti chiaramente riconducibili all’opera di Mario Giacomelli.

Enormi campi arati, case e vigne lavorate: erano tutte vedute aeree della campagna marchigiana, diverse delle quali cancellate a penna, tracciate con prove di inquadratura oppure contenenti appunti.

Perché queste fotografie erano conservate fra il materiale prodotto da Edmo Leopoldi?

Quando dal fondo di una busta è uscito un appunto scritto a penna con la calligrafia inconfondibile di Mario la risposta è parsa più chiara.

Il messaggio diceva: “Edmo, se non andiamo oggi per i paesaggi ho l’impressione che non ci andiamo più. Dobbiamo farli ad ogni costo – almeno 30 rullini -”

Così, da questa piccola annotazione, è iniziata una ricerca che ha permesso la ricostruzione di una vicenda sconosciuta alla maggior parte di noi. Una storia che ha come oggetto il coinvolgimento attivo di Leopoldi alla produzione di una serie specifica di opere del maestro Giacomelli: i paesaggi aerei. Dalle ricerche è infatti emerso che Leopoldi, ottimo fotografo e appassionato di volo, sia stato l’esecutore delle fotografie aeree di Mario Giacomelli.

Il senso della mostra

“La rilevanza di questa ricerca” afferma la curatrice Simona Guerra “sta nel fatto che ci permette di arricchire gli elementi conoscitivi su certi percorsi mentali messi in atto da Giacomelli, di conoscere un’attività del fotografo Edmo Leopoldi di cui fino ad oggi non è stato mai scritto e soprattutto di capire la relazione creativa che si era instaurata fra i due autori nonché dell’iter progettuale che ha portato Giacomelli a raggiungere – nella pratica – i suoi obiettivi compositivi anche grazie al contributo di Edmo. Certamente si tratta di un rapporto costruito su una grande fiducia che Giacomelli nutriva nei confronti di Leopoldi, oltre che di amicizia e complicità”.

Le opere in mostra

Il cuore della mostra è dato da 143 provini e 10 fogli di provinatura scattati da Edmo Leopoldi su indicazione di Mario Giacomelli provenienti dall’Archivio Storico Leopoldi. Ci sono poi altre immagini e testi autografi scritti da Mario a Edmo che aiutano a comprendere la ricerca.

Non mancano poi alcune opere di Mario Giacomelli originali provenienti dall’Archivio Mario Giacomelli di Senigallia, ovviamente riferite ai provini esposti.

Dal 23 novembre al 5 gennaio – Spazio Piktart Senigallia

Altre info qua

CHILDRENErwitt – McCurry – Mitidieri

USA. Pittsburgh, Pennsylvania. 1950.

l gioco, il divertimento, lo studio, la salute, ma anche i diritti negati, lo sfruttamento, la povertà, la guerra. Mercoledì 20 novembre a Bologna, in occasione della Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, inaugura la mostra fotografica “Children”, in programma all’Auditorium Enzo Biagi della biblioteca Salaborsa (piazza del Nettuno 3) fino a domenica 6 gennaio. Promossa da Legacoop Bologna e da Legacoopsociali, e curata da Monica Fantini e Fabio Lazzari con fotografie a cura di Biba Giacchetti, la mostra presenta, per la prima volta insieme, gli scatti di Steve McCurry, Elliott Erwitt e Dario Mitidieri: 3 autori profondamente diversi dal punto di vista espressivo, ma accomunati dalla volontà di testimoniare in prima persona la partecipazione emotiva alle vicende dei bambini che hanno incontrato negli angoli più remoti del mondo, laddove il diritto primario all’esistenza e quelli irrinunciabili all’uguaglianza, alla giustizia, alla libertà e alla pace, vengono calpestati nel silenzio e nell’oblio.

Il gioco e la negazione del gioco sono il tema della mostra, in cui le fotografie di McCurry, Elliott e Mitidieri, in dialogo con la scenografia di Peter Bottazzi, ci conducono a riflettere sul primario diritto di spensieratezza dei bambini e sul nostro dovere come adulti di garantire loro un ‘tempo buono’ in cui possano crescere uguali – dicono i curatori –. Una mostra che guarda l’universale della popolazione per riposizionarla proprio all’altezza dei più piccoli: ossia al futuro”.

20 novembre 2019 – 6 gennaio 2020 – Auditorium Enzo Biagi – Biblioteca Salaborsa – Bologna

Tutti i dettagli qua

Dauðalogn – Andrea Roversi

Trentino Impact Hub ospita Andrea Roversi e il suo progetto Dauðalogn Dauðalogn è un viaggio attraverso un paese ricco di contrasti, ma anche il romanzo di formazione di un bambino, Andry, che diventa adulto in un dialogo aperto con una natura estrema.

After being hardly hit by the global economic crisis in 2008, Iceland has been the protagonist of a miraculous recovery. The island has chosen to take a step back (or forward?) returning to land and betting on a green and sustainable economy based on natural resources. Dauðalogn – which means ‘dead calm’ in icelandic – is a journey through a country of sharp contrasts, but also the bildungsroman of a child, Andry, becoming an adult in an open dialogue with an extreme nature.

Dal 4 dicembre 2019 al 14 gennaio 2020 – Impact Hub Trentino – Trento

Altre info qua

NATURA IN POSA – AAVV

CAPOLAVORI DAL KUNSTHISTORISCHES MUSEUM DI VIENNA
IN DIALOGO CON LA FOTOGRAFIA CONTEMPORANEA

Un percorso alla scoperta di un genere pittorico, la Natura morta, attraverso oltre 50 capolavori – presentati per la prima volta in Italia – provenienti dalla collezione del Kunsthistorisches Museum di Vienna. La mostra, curata da Francesca Del Torre con Gerlinde Gruber e Sabine Pénot, documenta come questo soggetto si sia sviluppato tra la fine del Cinquecento e lungo tutto il XVII secolo a livello europeo, invitandoci a guardare sotto una nuova luce uno dei generi più suggestivi della pittura europea.
Il termine Natura morta, nato in Francia nel Settecento e poi adottato anche in Italia, indica una categoria di opere d’arte che ha come soggetto scene di mercato e di cucina, mazzi di fiori, frutta, strumenti musicali, accessori per la caccia. La cultura “nordica” descrive queste composizioni come still leffen – still leben e still life in tedesco e in inglese – a significare pitture che ritraggono oggetti immobili al naturale.

Il termine nordeuropeo mette in rilievo la dimensione contemplativa di queste rappresentazioni che invitano lo spettatore alla meditazione sulla caducità delle cose umane. La ricchezza delle invenzioni, la varietà dei soggetti, la creatività dei diversi artisti e la preziosità di esecuzione caratterizzano tale genere di pittura che conquistò il rango di rappresentazione autonoma nei Paesi Bassi intorno al 1600.

Il percorso, al tempo stesso tematico e cronologico, muove i primi passi dalla seconda metà del Cinquecento, con un’accurata selezione di scene di mercato e rappresentazioni delle stagioni di Francesco Bassano e di Lodovico Pozzoserrato, ancorando solidamente il tema nel contesto geografico del Veneto. Il confronto con i mercati fiamminghi di Frederik van Valckenborch e Jan Baptist Saive il vecchio conduce il visitatore Oltralpe. È qui soprattutto, nel contesto geografico, culturale e politico dei Paesi Bassi, che tali creazioni si perfezionano e specializzano, declinandosi in alcune categorie, come le nature morte scientifiche con i mazzi di fiori, le vanitas o allegorie della caducità, le tavole apparecchiate, le nature morte religiose, le scene di caccia.

Artisti quali Jan Brueghel, Pieter Claesz, Willem Claesz Heda, Jan Weenix, Gerard Dou realizzano capolavori che incantano per fasto, creatività e perfezione di esecuzione. Un gruppo di nature morte italiane illustra, poi, attraverso le opere di Evaristo Baschenis, Gasparo Lopez dei Fiori, Elisabetta Marchioni la diffusione del genere nei vari centri artistici a sud delle Alpi.

Completa la mostra la sezione, a cura di Denis Curti, dedicata alla fotografia contemporanea che testimonia come il tema della natura morta sia presente negli scatti di alcuni degli artisti più importanti e celebrati a livello internazionale. La selezione di queste immagini parte dall’assunto che la fotografia è sempre il risultato di una messa in scena: ogni scatto è il punto di arrivo di un’azione consapevole che vuole declinare con forza la necessità di penetrare la realtà e di andare oltre le apparenze. Si passa quindi dalle Vanitas, capaci di trarre in inganno, di David LaChapelle ai crudi e ironici reportages di Martin Parr sul consumo di massa, dai magnifici e sensuali fiori di Robert Mapplethorpe ai Flowers di Nobuyoshi Araki, dalla serie dedicata alle zuppiere di Franco Vimercati all’idea di classicità pittorica di Hans Op De Beeck.

30-11-2019 – 31-05-2020 – CONVENTO DI SANTA CATERINA – TREVISO

Tutte le info qua

The Consequences | Stefania Prandi

Dal 14 novembre al 7 dicembre 2019, La Quadreria di ASP Città di Bologna ospiterà la mostra The consequences, con le foto del reportage della fotografa Stefania Prandi, a cura dell’Associazione Culturale Dry-Art.

L’inaugurazione avrà luogo giovedì 14 novembre alle ore 17.30, presso la Sala delle Mappe della Quadreria.
Interverranno
Anna Pramstrahler – Casa delle donne per non subire violenza
Giovanna Ferrari – Scrittrice, attivista, madre di Giulia Galiotto
Renza Volpini – Madre di Jessica Poli, attivista
Marisa Golinucci – Presidente Associazione Penelope Emilia-Romagna, madre di Cristina Golinucci
Stefania Prandi – Autrice della mostra
L’inaugurazione della mostra sarà preceduta dalla presentazione del libro
Susana Chávez, Primera tormenta. Ni una mujer menos, ni una muerta más, a cura di Chiara Cretella, Gwynplaine, con un saggio di Diana Fernández Romero e una prefazione di Silvia Saccoccia, Camerano, 2019

Stefania Prandi ha raccolto, nel corso di tre anni, immagini di volti, oggetti, luoghi che raccontano lo sguardo di chi sopravvive al femminicidio e non si arrende alla violenza di genere.
A vivere le conseguenze del femminicidio – termine con cui si intende l’uccisione oppure la scomparsa di una donna per motivi di genere, di odio, disprezzo, piacere o senso del possesso – sono madri, padri, sorelle, fratelli, figli. A loro restano i giorni del dopo, i ricordi immobili trattenuti dalle cornici, le spese legali, le umiliazioni nei tribunali, i processi mediatici, la vittimizzazione secondaria.
Sono sempre di più le famiglie delle vittime di femminicidio che intraprendono battaglie quotidiane: scrivono libri, organizzano incontri nelle scuole, lanciano petizioni, raccolgono fondi per iniziative di sensibilizzazione, fanno attivismo online. Lo scopo è fare capire alla società che ciò che si sono trovate a vivere non è dovuto né alla sfortuna né alla colpa, ma ha radici culturali e sociali precise.
Un lavoro mai tentato prima, quello di raccontare i giorni di chi resta, per testimoniare che l’assenza può tramutarsi in presenza attiva contro la violenza di genere. Stefania Prandi riesce ad entrare in questo dolore senza spettacolarizzazioni e estetizzazioni, per ricordarci di ricordarle.

Dal 14 novembre al 7 dicembre 2019 – La Quadreria. Palazzo Rossi Poggi Marsili – Bologna

Altre info qua

On Assignment, una vita selvaggia. Fotografie di Stefano Unterthiner

Sulawesi crested black macaque (Macaca nigra)

La mostra presenta, in un inedito progetto, le immagini dei reportage realizzati dal fotografo Stefano Unterthiner nel periodo dal 2006 al 2017 su commissione del National Geographic Magazine. Ben 77 le fotografie esposte, articolate in dieci reportage: pinguino, Crozet; cigno, Giappone; entello, India; fauna andina, Cile; sterne, Seychelles; varano Komodo, Indonesia; fauna alpina, Italia; macaco, Indonesia; grillaio, Italia; canguri, Australia. A questi si aggiunge una parte dal titolo Uno sguardo al futuro, che presenta l’anteprima fotografica del progetto Una famiglia nell’Artico, dedicato al soggiorno di un oltre un anno, dal 2019 al 2021, che il fotografo e la sua famiglia stanno effettuando alle Isole Svalbard, arcipelago del Mar Glaciale Artico, con l’intento di documentare e comunicare il fenomeno del cambiamento climatico.

Sarà inoltre presentato il documentario Una vita selvaggia, della durata di 26 minuti, che racconta il lavoro di campo di Stefano Unterthiner attraverso il materiale inedito girato nel corso di alcuni assignment realizzati dal fotografo e presentati in mostra.

L’esposizione si inserisce a pieno titolo nella linea culturale che il Forte di Bard dedica all’esplorazione e alla documentazione fotografica dell’ambiente naturale attraverso artisti di livello nazionale e internazionale.
dal 14 dicembre 2019 al 2 giugno 2020 – Forte di Bard – Aosta

Altre info qua

FUORI LE ZERO – AAVV

Una sola immagine, mai pubblicata. Appunto la numero zero. Autori diversi, formati differenti, colore, bianco e nero, analogico e digitale. 40 foto tutte in mostra e tutte in vendita diretta. Questi sono gli ingredienti dell’inedita collettiva FUORI LE ZERO che si inaugura il 29 novembre 2019, alle ore 17, presso lo storico Laboratorio Fotografico Corsetti di Via dei Piceni 5/7.

Nella consuetudine storica del Laboratorio, che da sempre lavora con i più grandi nomi della fotografia mentre continua a ricercare e supportare giovani promesse, si inquadra un dialogo complesso e articolato che mette in relazione icone della fotografia, professionisti e nuovi nomi.

La società dell’immagine ha ormai modificato lo sguardo e l’immaginario, estendendo la portata della vista oltre i margini del confine fra visibile e invisibile: è la nascita di un nuovo ordine visivo “postottico”, spesso disancorato dal dato percettivo naturale. A partire da questa situazione, FUORI LE ZERO mira a recuperare il significato della fotografia innanzitutto come pratica sociale, trasmissione dello sguardo ed evocazione emotiva, incessantemente diretta ad arricchire un vero e proprio ecosistema delle immagini, dove ogni segno trova il suo posto e rimanda a ulteriori aperture.

Le immagini di Vittorugo Contino, Mario Dondero, Franco Pinna, Gianfranco Salis, Sergio Strizzi, Vezio Sabatini e molti altri diventano punti focali, snodi di rotte potenziali che portano lo sguardo a vagare tra rispecchiamenti ed eredità, ribellioni e adorazioni, in un percorso che ricollega la grande tradizione visuale italiana al mondo contemporaneo e ai fotografi che navigano tra i flussi delle immagini.

A cura di Eugenio Corsetti e Fabio Benincasa

Dal 29 novembre al 13 dicembre – Laboratorio Fotografico Corsetti – Roma

Altre info qua

Mostre per marzo

Ciao,

eccoci di nuovo a consigliarvi nuove mostre da non perdere durante il mese di marzo.

Per avere l’elenco completo delle mostre in corso in ogni momento, date un’occhiata qua

Anna

Franco Fontana. Sintesi

Modena rende omaggio a Franco Fontana (1933), uno dei suoi artisti più importanti e tra i più conosciuti a livello internazionale. Dal 22 marzo al 25 agosto 2019, FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE, nelle tre sedi della Palazzina dei Giardini, del MATA – Ex Manifattura Tabacchi e della Sala Grande di Palazzo Santa Margherita, ospita la mostra, dal titolo Sintesi, che ripercorre oltre sessant’anni di carriera dell’artista modenese e traccia i suoi rapporti con alcuni dei più autorevoli autori della fotografia del Novecento. L’esposizione è suddivisa in due sezioni. La prima, curata da Diana Baldon, direttrice di FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE, allestita nella Sala Grande di Palazzo Santa Margherita e nella Palazzina dei Giardini, rappresenta la vera sintesi – come recita il titolo – del percorso artistico di Franco Fontana, attraverso trenta opere, la maggior parte delle quali inedite, realizzate tra il 1961 e il 2017, selezionate dal vasto archivio fotografico dell’artista. Questo nucleo si concentra su quei lavori che costituiscono la vera cifra espressiva di Fontana. Sono paesaggi urbani e naturali, che conducono il visitatore in un ideale viaggio che lega Modena a Cuba, alla Cina, agli Stati Uniti e al Kuwait. Fin dagli esordi, Fontana si è dedicato alla ricerca sull’immagine fotografica creativa attraverso audaci composizioni geometriche caratterizzate da prospettive e superfici astratte significandone e testimoniandone la forma. Queste riprendono soggetti vari, che spaziano dalla cultura di massa allo svago, dal viaggio alla velocità, quale allegoria della libertà dell’individuo, in cui la figura umana è quasi sempre assente o vista da lontano. Le sue fotografie sono state spesso associate alla pittura astratta modernista, per la quale il colore è un elemento centrale, mentre le linee geometriche delle forme dissimulano la rappresentazione della realtà. Questo suo innovativo approccio si è imposto, a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, come una carica innovatrice nel campo della fotografia creativa a colori. La seconda sezione, curata dallo stesso Franco Fontana, ospitata dal MATA – Ex Manifattura Tabacchi,propone una selezione di circa cento fotografie che Franco Fontana ha donato nel 1991 al Comune di Modena e Galleria Civica che costituisce un’importante costola del patrimonio collezionistico ora gestito da Fondazione Modena Arti Visive. Tale collezione delinea i rapporti intrecciati dall’artista con i grandi protagonisti della fotografia internazionale. A metà degli anni settanta, Fontana inizia infatti a scambiare stampe con altri fotografi internazionali, raccogliendo negli anni oltre 1600 opere di molti tra i nomi più significativi della fotografia italiana e internazionale, da Mario Giacomelli a Luigi Ghirri e Gianni Berengo Gardin, da Richard Avedon a Annie Leibovitz, da Arnold Newman a Josef Koudelka e Sebastião Salgado. Attraverso i ricordi in prima persona dell’artista, questa sezione testimonia la vastità e la genuinità delle relazioni di Fontana con colleghi di tutto il mondo, in molti casi divenute legami di amicizia profonda, e la stima di cui è circondato, attestata dalle affettuose dediche spesso presenti sulle fotografie. La mostra sarà accompagnata da un catalogo disponibile in mostra. La mostra Franco Fontana. Sintesi è realizzata in collaborazione con il festival Fotografia Europea di Reggio Emilia, che nell’edizione 2019 sarà dedicato al tema “LEGAMI. Intimità, relazioni, nuovi mondi”.

Dal 22 Marzo 2019 al 25 Agosto 2019 –  Sedi varie – Modena

Tutti i dettagli qua

LETIZIA BATTAGLIA. Fotografia come scelta di vita

Dal 21 marzo al 18 agosto 2019, la Casa dei Tre Oci di Venezia ospita una grande antologica di Letizia Battaglia (Palermo, 1935), una delle protagoniste più significative della fotografia italiana, che ne ripercorre l’intera carriera. La mostra, curata da Francesca Alfano Miglietti, organizzata da Civita Tre Venezie, in collaborazione con l’Archivio Letizia Battaglia, con la partecipazione della Fondazione di Venezia, presenta 200 immagini, molte delle quali inedite, che rivelano il contesto sociale e politico nel quale sono state scattate. Il percorso espositivo, ordinato tematicamente, si focalizza su quegli argomenti che hanno costruito la cifra espressiva più caratteristica di Letizia Battaglia, che l’ha portata a fare una profonda e continua critica sociale, evitando i luoghi comuni e mettendo in discussione i presupposti visivi della cultura contemporanea. I ritratti di donne, di uomini o di animali, o di bimbi, sono solo alcuni capitoli che compongono la rassegna; a questi si aggiungono quelli sulle città come Palermo, e quindi sulla politica, sulla vita, sulla morte, sull’amore. Quello che ne risulta è il vero ritratto di Letizia Battaglia, una intellettuale controcorrente, ma anche una fotografa poetica e politica, una donna che si è interessata di ciò che la circondava e di quello che, lontano da lei, la incuriosiva. Conosciuta soprattutto per aver documentato con le sue fotografie quello che la mafia ha rappresentato per la sua città, dagli omicidi ai lutti, dagli intrighi politici alla lotta che s’identificava con le figure di Falcone e Borsellino, nel corso della sua carriera Letizia Battaglia ha raccontato anche la vita dei poveri e le rivolte delle piazze, tenendo sempre la città come spazio privilegiato per l’osservazione della realtà, oltre che del suo paesaggio urbano. I soggetti di Letizia, scelti non affatto casualmente, hanno tracciato un percorso finalizzato a rafforzare le proprie ideologie e convinzioni in merito alla società, all’impegno politico, alle realtà emarginate, alla violenza provocata dalle guerre di potere, all’emancipazione della donna.

VENEZIA/TRE OCI –  21.03>18.08.2019

Altre info qua

Don McCullin

This exhibition showcases some of the most impactful photographs captured over the last 60 years. It includes many of his iconic war photographs – including images from Vietnam, Northern Ireland and more recently Syria. But it also focuses on the work he did at home in England, recording scenes of poverty and working class life in London’s East End and the industrial north, as well as meditative landscapes of his beloved Somerset, where he lives. Sir Don McCullin was born in 1935 and grew up in a deprived area of north London. He got his first break when a newspaper published his photograph of friends who were in a local gang. From the 1960s he forged a career as probably the UK’s foremost war photographer, primarily working for the Sunday Times Magazine. His unforgettable and sometimes harrowing images are accompanied in the show with his brutally honest commentaries. With over 250 photographs, all printed by McCullin himself in his own darkroom, this exhibition will be a unique opportunity to appreciate the scope and achievements of his entire career.

5 February – 6 May 2019 – Tate Britain London

All details here

Inge Morath

Casa dei Carraresi di Treviso accoglie, dopo il successo della mostra su Elliott Erwitt ed i suoi cani, la prima grande retrospettiva italiana di Inge Morath, la prima donna ad essere inserita nel cenacolo, all’epoca tutto maschile, della celebre agenzia fotografica Magnum Photos. Impropriamente nota alle cronache più per aver sostituito la mitica Marilyn Monroe nel cuore dello scrittore Arthur Miller, divenendone moglie e compagna di vita, è stata in realtà soprattutto una straordinaria fotografa ed una fine intellettuale. Il suo rapporto con la fotografia è stato un crescendo graduale: dopo aver lavorato come traduttrice e scrittrice in Austria, inizia a scattare nel 1952, e dall’anno successivo, grazie ad Ernst Haas inizia a lavorare per Magnum Photos a Parigi. Limitarsi a considerarla una fotografa di questa celebre agenzia è riduttivo. Le celebri fotografie realizzate durante i suoi viaggi, o gli intensi ritratti in grado di catturare le intimità più profonde dei suoi soggetti, si accompagnano ad una brillante attività intellettuale che si alimentava di amicizie con celebri scrittori, artisti, grafici e musicisti. Che si trattasse di raccontare paesaggi e Paesi, persone o situazioni, le sue foto erano sempre caratterizzate da una visione personale e da specifica sensibilità, in grado di arricchire la percezione del mondo che la circondava. Come Inge Morath era solita dire: “Ti fidi dei tuoi occhi e non puoi fare a meno di mettere a nudo la tua anima”. Ogni reportage di viaggio ed ogni incontro veniva da lei preparato con cura maniacale. La sua conoscenza di diverse lingue straniere le permetteva di analizzare in profondità ogni situazione e di entrare in contatto diretto e profondo con la gente. Per questa ampia retrospettiva a Casa dei Carraresi – una selezione di oltre 150 fotografie e decine di documenti riferiti al lavoro di Inge Morath – i curatori hanno dato vita ad un percorso che analizzerà tutte le principali fasi del lavoro della Morath, ma al contempo cercherà di far emergere l’umanità che incarna tutta la sua produzione. Una sensibilità segnata dell’esperienza tragica della seconda guerra mondiale, che con gli anni si rafforzerà e diventerà documentazione della resistenza dello spirito umano alle estreme difficoltà e consapevolezza del valore della vita. La mostra ripercorre tutti i principali reportage realizzati dalla fotografa austriaca: da quello dedicato alla città di Venezia a quello sul fiume Danubio; dalla Spagna alla Russia, dall’Iran alla Cina, alla Romania, agli Stati Uniti d’America passando per la nativa Austria. Contemporaneamente il percorso espositivo darà spazio ai suoi celebri ritratti di scrittori, pittori, poeti, tra cui lo stesso Arthur Miller, oltre ad Alberto Giacometti, Pablo Picasso e Alexander Calder: quest’ultimo suo vicino di casa a Roxbury, nel Connecticut, dove Inge Morath visse con il marito Premio Pulitzer per tutta la vita. Ci sarà poi spazio anche per il mondo del cinema. Nel 1960 Inge Morath viene infatti inviata dall’agenzia Magnum nel set della pellicola hollywoodiana “The Misfits”, un’enorme produzione cinematografica con alla regia John Houston, alla sceneggiatura Arthur Miller, ed attori del calibro di Clark Gable e Marilyn Monroe. All’epoca Miller e la Monroe erano sposati, ma la loro relazione era già in difficoltà. Proprio sul set del film, la Morath ebbe modo di conoscere lo scrittore, che sarebbe diventato poi suo marito. Come dichiara Marco Minuz: “E’ un progetto espositivo che vuole descrivere, nel dettaglio e per la prima volta in Italia, la straordinaria vita di questa fotografa; una donna dalle scelte coraggiose, emancipata, che ha saputo nella fotografia inserirci la sua sensibilità verso l’essere umano”. Questa prima retrospettiva italiana è prodotta da Suazes con Fotohof di Salisburgo, con la collaborazione di Fondazione Cassamarca, Inge Morath Foundation e Magnum Photos.

1 marzo – 9 giugno 2019 – Casa dei Carraresi, Treviso

Tutti i dettagli qua

Internat di Carolyn Drake

A partire dal 15 febbraio 2019 Officine Fotografiche ospita a Roma Internat, progetto della fotografa statunitense Carolyn Drake, curato da Laura De Marco, in collaborazione con SI FestSavignano Immagini Festivale con il patrocinio della città di Savignano sul Rubicone. Tra il 2014 e il 2016, Carolyn Drake realizza una serie di immagini all’interno di un orfanotrofio russo che ospita giovani con disabilità, tra cui molte giovani donne che diventano adulte nel completo isolamento. Frutto di un percorso individuale ed esistenziale che nasce anni prima degli scatti realizzati, Internat è la testimonianza di un’intensa collaborazione tra la Drake e le ospiti della struttura che, su suo invito, hanno prodotto proprie creazioni, a partire dalle opere di Taras Shevchenko, artista ucraina, etnografa, poetessa e prigioniera politica. La natura, gli oggetti della vita quotidiana e le mura dell’orfanotrofio sono mezzi per discutere questioni quali il controllo sociale, l’identità individuale e collettiva, la libertà di immaginazione e la normalizzazione del comportamento femminile. Cosa definisce l’identità di una persona all’interno della società? La sua famiglia e i rapporti che si instaurano con essa; il cerchio allargato delle persone che via via incontra; le esperienze che fa del mondo, e così via. Cosa succede quando tutto questo viene negato? Quando si cresce all’interno dei confini murati di una istituzione? Questa è la premessa di Internat di Carolyn Drake, un lavoro su cui ha iniziato a riflettere dodici anni fa, ma che è stato poi sviluppato tra il 2014 e il 2017. Internat è una pensione immersa nella foresta attorno alla città di Ternopil’, in Ucraina. Sembrerebbe, così descritto, un posto idilliaco, ma è invece un edificio circondato da alte mura in cui vengono recluse ragazze adolescenti ritenute non abili a condurre una vita regolare in società. Quando nel 2006 Drake si imbatte in questo luogo, è convinta che a quelle ragazze, una volta cresciute, verrà garantito il ritorno alla vita nel mondo reale; ma anni dopo, quando ritorna con l’idea di andare a scoprire come sono cambiate le loro vite una volta uscite, la sconcertante scoperta che le allora adolescenti sono ora donne adulte, ancora rinchiuse tra quelle mura, porta l’artista a porsi le domande all’inizio di queste righe. Come si sviluppa l’identità di una giovane donna in queste condizioni? In un microcosmo come quello di un istituto, che rapporti si instaurano tra chi fa le regole, la direzione, e chi le subisce? Può una realtà di questo tipo essere vista come esempio in miniatura di ciò che accade nel macrocosmo della società “libera”? Probabilmente, sì. Drake inizia a fotografare la vita delle ragazze e a coinvolgerle nel suo lavoro utilizzando l’ambiente, le relazioni tra di loro e l’arte stessa per aprire un dialogo onesto e diretto e, soprattutto, una possibilità di confronto. Scopre così che la fantasia, la natura, i rapporti interpersonali e la routine delle azioni quotidiane sono tra le cose che l’essere umano riesce sempre a trovare per imparare a definire e a definirsi, anche creandosi un mondo del tutto personale e autonomo. Internat si sviluppa come una vera e propria pratica di collaborazione alla produzione del lavoro artistico: Drake condivide la sua autorialità con i soggetti coinvolti, nel tentativo di creare un progetto che possa fare luce sulle molteplici sfaccettature di questo micro mondo. Includendo i suoi soggetti nel processo creativo, Drake ha la possibilità di andare oltre a una annosa questione (non solo pratica, ma anche etica) della fotografia documentaria classica: chi è che racconta le storie e a favore di chi lo fa? Ovvero, i soggetti, soprattutto di storie delicate come questa, hanno effettivamente voce in capitolo nel momento in cui la loro storia viene raccontata o non si fa altro che diffondere narrazioni a una unica via, quella dell’autore che le racconta? Coinvolgendo le ragazze dell’orfanotrofio, non solo Drake stabilisce un rapporto più profondo con loro, e dunque ha accesso a una intimità maggiore, ma dà anche loro la possibilità di costruire la propria narrazione e avere il controllo su quella che è la loro storia. Approccio rischioso, dal punto di vista dell’artista, ma decisamente potente e illuminante.

dal 18 febbraio all’ 8 marzo 2019 – Officine Fotografiche Roma

Tutti i dettagli qua

Ferdinando Scianna, Viaggio Racconto Memoria

“Non sono più sicuro, una volta lo ero, che si possa migliorare il mondo con una fotografia. Rimango convinto, però, del fatto che le cattive fotografie lo peggiorano” Ferdinando Scianna

Il 21 febbraio, negli spazi espositivi della Galleria d’arte moderna di Palermo, aprirà al pubblico la grande mostra antologica dedicata a Ferdinando Scianna, curata da Denis Curti, Paola Bergna e Alberto Bianda, art director della mostra, e organizzata da Civita. Con oltre 180 fotografie in bianco e nero stampate in diversi formati, la rassegna attraversa l’intera carriera del fotografo siciliano e si sviluppa lungo un articolato percorso narrativo, costruito su diversi capitoli e varie modalità di allestimento. Ferdinando Scianna è uno dei maestri della fotografia non solo italiana. Ha iniziato ad appassionarsi a questo linguaggio negli anni Sessanta, raccontando per immagini la cultura e le tradizioni della sua regione d’origine, la Sicilia. Il suo lungo percorso artistico si snoda attraverso varie tematiche – l’attualità, la guerra, il viaggio, la religiosità popolare – tutte legate da un unico filo conduttore: la costante ricerca di una forma nel caos della vita. In oltre 50 anni di racconti non mancano di certo le suggestioni: da Bagheria alle Ande boliviane, dalle feste religiose – esordio della sua carriera – all’esperienza nel mondo della moda, iniziata con Dolce & Gabbana e Marpessa. Poi i reportage (fa parte dell’agenzia foto giornalistica Magnum), i paesaggi, le sue ossessioni tematiche come gli specchi, gli animali, le cose e infine i ritratti dei suoi grandi amici, maestri del mondo dell’arte e della cultura come Leonardo Sciascia, Henri Cartier-Bresson, Jorge Louis Borges, solo per citarne alcuni. “Una grande mostra antologica come questa di Palermo, a settantacinque anni, è per un fotografo un complesso, affascinante e forse anche arbitrario viaggio nei cinquant’anni del proprio lavoro e nella memoria. Ecco già due parole chiave di questa mostra e del libro che l’accompagna: Memoria e Viaggio. La terza, fondamentale, è Racconto. Oltre 180 fotografie divise in tre grandi corpi, articolati in diciannove diversi temi. Questo tenta di essere questa mostra, un Racconto, un Viaggio nella Memoria. La storia di un fotografo in oltre mezzo secolo di fotografia”, dichiara Ferdinando Scianna. Avendo deciso di raccogliere in questa mostra la più ampia antologia dei suoi lavori fotografici, con la solita e spiccata autoironia, Ferdinando Scianna, in apertura del percorso espositivo, sceglie un testo di Giorgio Manganelli: “Una antologia è una legittima strage, una carneficina vista con favore dalle autorità civili e religiose. Una pulita operazione di sbranare i libri che vanno per il mondo sotto il nome dell’autore per ricavarne uno stufato, un timballo, uno spezzatino…” Ferdinando Scianna del suo lavoro scrive: come fotografo mi considero un reporter. Come reporter il mio riferimento fondamentale è quello del mio maestro per eccellenza, Henri Cartier-Bresson, per il quale il fotografo deve ambire ad essere un testimone invisibile, che mai interviene per modificare il mondo e gli istanti che della realtà legge e interpreta. Ho sempre fatto una distinzione netta tra le immagini trovate e quelle costruite. Ho sempre considerato di appartenere al versante dei fotografi che le immagini le trovano, quelle che raccontano e ti raccontano, come in uno specchio. Persino le fotografie di moda le ho sempre trovate nell’azzardo degli incontri con il mondo.

21 febbraio – 28 luglio 2019 – Palermo, Galleria d’arte Moderna

Tutte le info qua

Tina – Tina Modotti

La mostra Tina è un progetto ideato da Bonanni Del Rio Catalog in collaborazione con Reinhard Schultz della Galerie Bilderwelt di Berlino e inaugurerà il 7 marzo nello spazio BDC28, in borgo delle Colonne 28 a Parma. L’intento è quello di far conoscere Tina, donna emancipata e indipendente, ma soprattutto quello di celebrare la sua arte, rimasta a volte un po’ in ombra rispetto alla sua appassionante vicenda biografica. La scelta di celebrare Tina e la sua arte in occasione della festa della donna non è casuale, in quanto ancora oggi rappresenta un’icona di indipendenza ed emancipazione femminile. In tutto 80 scatti illustreranno la ricerca fotografica dagli inizi del suo breve percorso intorno agli anni ’20 del secolo scorso, in un Messico ricco di fermenti artistici e sociali, fino alle ultime foto scattate a Berlino nel 1930. Chiude la mostra l’omaggio all’artista di tre giovani fotografe parmigiane: Noemi Martorano, Alessia Leporati, e Chuli Paquin con una piccola selezione di loro opere, renderanno omaggio al talento di Tina Modotti. Il nuovo catalogo realizzato per la mostra contiene tutte le fotografie in esposizione e i contributi Tina Modotti: il mondo come geometria e lunga durata di Gloria Bianchino e I fuochi, le ombre, i silenzi di Pino Cacucci. L’esposizione proseguirà fino al 7 aprile con ingresso gratuito.

Dal 7 marzo al 7 aprile – Spazio BDC 41 – Parma

Altre info qua

Surrealist Lee Miller

Palazzo Pallavicini e ONO arte contemporanea sono lieti di presentare la mostra “Surrealist Lee Miller”, la prima personale italiana dedicata ad una delle fotografe più importanti del Novecento. Lanciata da CondéNast, sulla copertina di Vogue nel 1927, Lee Miller fin da subito diventa una delle modelle più apprezzate e richieste dalle riviste di moda. Molti i fotografi che la ritraggono – Edward Steichen, George Hoyningen-Huene o Arnold Genthe – e innumerevoli i servizi fotografici di cui è stata protagonista, fino a quando – all’incirca due anni più tardi – la Miller non decide di passare dall’altra parte dell’obiettivo. Donna caparbia e intraprendente, rimane colpita profondamente dalle immagini del fotografo più importante dell’epoca, Man Ray, che riesce ad incontrare diventandone modella e musa ispiratrice. Ma, cosa più importante, instaura con lui un duraturo sodalizio artistico e professionale che assieme li porterà a sviluppare la tecnica della solarizzazione. Amica di Picasso, di Ernst, Cocteau, Mirò e di tutta la cerchia dei surrealisti, Miller in questi anni apre a Parigi il suo primo studio diventando nota come ritrattista e fotografa di moda, anche se il nucleo più importante di opere in questo periodo è certamente rappresentato dalle immagini surrealiste, molte delle quali erroneamente attribuite a Man Ray. A questo corpus appartengono le celebri Nude bentforwardCondom e Tanja Ramm under a belljar, opere presenti in mostra, accanto ad altri celebri scatti che mostrano appieno come il percorso artistico di Lee Miller sia stato, non solo autonomo, ma tecnicamente maturo e concettualmente sofisticato. Dopo questa prima parentesi formativa, nel 1932 Miller decide di tornare a New York per aprire un nuovo studio fotografico che, nonostante il successo, chiude due anni più tardi quando per seguire il marito – il ricco uomo d’affari egiziano Aziz Eloui Bey – si trasferisce al Cairo. Intraprende lunghi viaggi nel deserto e fotografa villaggi e rovine, iniziando a confrontarsi con la fotografia di reportage, un genere che Lee Miller porta avanti anche negli anni successivi quando, insieme a Roland Penrose – l’artista surrealista che sarebbe diventato il suo secondo marito – viaggia sia nel sud che nell’est europeo. Poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel 1939, lascia l’Egitto per trasferirsi a Londra, ed ignorando gli ordini dall’ambasciata americanadi tornare in patria, inizia a lavorare come fotografa freelance per Vogue. Documenta gli incessanti bombardamenti su Londra ma il suo contributo più importante arriverà nel 1944 quando è corrispondente accreditata al seguito delle truppe americane e collaboratrice del fotografo David E. Scherman per le riviste “Life” e “Time”.

Fu lei l’unica fotografa donna a seguire gli alleati durante il D-Day, a documentare le attività al fronte a durante la liberazione. Le sue fotografie ci testimoniano in modo vivido e mai didascalico l’assedio di St. Malo, la Liberazione di Parigi, i combattimenti in Lussemburgo e in Alsazia e, inoltre, la liberazione dei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald. È proprio in questi giorni febbrili che viene fatta la scoperta degli appartamenti di Hitler a Monaco di Baviera ed è qui che scatta quella che probabilmente è la sua fotografia più celebre: l’autoritratto nella vasca da bagno del Führer. Dopo la guerra Lee Miller ha continuato a scattare per Vogue per altri due anni, occupandosi di moda e celebrità, ma lo stress post traumatico riportato in seguito alla permanenza al fronte contribuì al suo lento ritirarsi dalla scena artistica, anche se il suo apporto alle biografie scritte da Penrose su Picasso, Mirò, Man Ray e Tapies fu fondamentale, sia come apparato fotografico che aneddotico. La mostra (14 marzo – 9 giugno 2019), organizzata da Palazzo Pallavicini e curata da ONO arte contemporanea, si compone di 101 fotografie che ripercorrono l’intera carriera artistica della fotografa, attraverso quelli che sono i suoi scatti più famosi ed iconici. 

14 marzo – 9 giugno 2019 –  Bologna Palazzo Pallavicini

Tutti i dettagli qua

Robert Frank’s America

Danziger Gallery is pleased to announce an exhibition devoted to the American photographs of Robert Frank, his best known and arguably most important work. The exhibition will be comprised of 40 photographs – 15 from Frank’s seminal book “The Americans” (now celebrating the 60thanniversary of its American publication) and 25 unpublished works from Frank’s travels at the time. Born in Zurich in 1924, Frank began his career in photography in the mid-1940s before emigrating to America in 1947. As an immigrant, Frank was fascinated by America and after his first travels around the country he applied for a Guggenheim Fellowship to fund a longer and deeper journey around all parts of the country. In his proposal to the Guggenheim Foundation Frank wrote: “The photographing of America is a large order – read at all literally, the phrase would be an absurdity.” The “total production” of such a project, he added, would be “voluminous.” However surprisingly the proposal was accepted and Frank embarked on a two-year journey around America during which he took over 28,000 photographs. Eighty-three of the images were subsequently published in the book “The Americans” — widely recognized as one of the greatest photography books ever published. What Frank brought to the medium was an improvisational quality that saw the world in a different but more truthful way than the commonly perceived visual clichés of his time. While the often dark and idiosyncratic nature of his vision shocked many people, it led the way to much of what has followed in photography. Sarah Greenough, senior curator of photography at the National Gallery of Art in Washington noted: “Frank revealed a people who were plagued by racism, ill-served by their politicians, and rendered increasingly numb by the rising culture of consumerism. But it’s also important to point out that he found new areas of beauty in those simple, overlooked corners of American life – in diners, or on the street. He pioneered a whole new subject matter that we now define as icons: cars, jukeboxes, even the road itself. All of these things, coupled with his style – which is seemingly intuitive, immediate, and off-kilter – were radically new at the time.” As with every photo editing process, out of necessity many great photographs were left out of “The Americans”, but rather than being forgotten, Frank chose to print these images in the same 11 x 14 inch format as the ones included in the book. There were no plans to ever publish a second volume, but from the quality of the unpublished images we will be exhibiting, it is clear there would have been little drop-off in quality. About the prints: By the late 1970s, Frank had turned his primary attention away from photography to film making and in order to fund both his life and his Film work, in 1978 he sold his existing archive of vintage prints along with many hundreds of prints made to complete the transaction. The prints exhibited here all come from that purchase — the largest collection of this most important figure in the history of the medium. They are either vintage prints (printed at approximately the same time as they were taken) or printed no later than 1978 by Sid Kaplan who made most of Robert Franks prints for three decades.

February 9 – March 31, 2019 – Danziger Gallery – New York

All details here

Wildlife Photographer of the Year

La grande fotografia naturalistica in scena al Forte di Bard. Ancora una volta tocca al Forte di Bard l’onore di ospitare l’anteprima italiana della nuova edizione della mostra legata al prestigioso concorso fotografico Wildlife Photographer of the Year 2018. L’esposizione è in programma dal 2 febbraio al 2 giugno 2019. Il fotografo olandese Marsel van Oosten ha vinto l’ambito titolo Wildlife Photographer of the Year 2018 per il suo straordinario scatto, The Golden Couple, che raffigura due scimmie dal naso dorato nella foresta temperata delle montagne cinesi di Qinling, l’unico habitat per queste specie a rischio di estinzione. Il ritratto vincente coglie la bellezza e la fragilità della vita sulla terra oltre che uno scorcio di alcuni degli straordinari – ma facilmente riconoscibili – esseri con cui condividiamo il nostro pianeta. Il sedicenne Skye Meaker ha ricevuto il premio per Young Wildlife Photographer of the Year 2018 con il suo affascinante scatto di un leopardo che si sveglia dal sonno nella Mashatu Game Reserve, nel Botswana. Sette i fotografi italiani premiati in categorie quali ad esempio Fauna selvatica urbana, Ambiente terrestre, Animali nel loro ambiente e Ritratti di animali.

2 Febbraio 2019 – 2 Giugno 2019 – Forte di Bard Aosta

Link

Behind the Glass – Gianmarco Maraviglia

“Behind the Glass” è un lungo progetto di documentazione e di ricerca che esplora gli ambienti ricostruiti dall’uomo per gli animali nelle più grandi strutture europee. Un’indagine visiva e visionaria, a volte distopica e futuristica, sul rapporto di fruizione degli spazi creati ad immagine della realtà, attraverso lo studio attento della natura o dell’immaginario comune della realtà, per esseri viventi nati in ambiente controllato. “Behind the Glass” esplora il confine sottile tra verità e ricostruzione, dal punto di vista di chi potrà capirne la differenza, come in una metafora del reale e del contemporaneo, in cui la costruzione del verosimile diventa realtà de facto. Le immagini in mostra a Milano si riferiscono all’Acquario di Genova, il più grande d’Europa e una delle principali attrazioni turistiche. Gianmarco Maraviglia durante il suo lavoro, ha avuto eccezionalmente accesso a tutte le aree chiuse al pubblico per documentare la macchina operativa che permette il funzionamento della struttura.

dal 14 febbraio al 14 marzo 2019 – Officine Fotografiche Milano

Tutti i dettagli qua

Zanele Muholi “Nobody can love you more than you”

La Galleria del Cembalo, propone fino al 6 aprile 2019, una selezione di una ventina di opere fotografiche dell’attivista visiva sudafricana Zanele Muholi. Nata a Umlazi, Durban, Muholi vive a Johannesburg. Nelle parole dell’artista l’obbiettivo della sua ricerca è “riscrivere una storia visiva del Sudafrica dal punto di vista della comunità nera, lesbica e trans, affinché il mondo conosca la nostra resistenza ed esistenza in un periodo in cui i crimini generati dall’odio sono all’apice, in Sudafrica e non solo”. Attingendo al linguaggio del teatro l’artista interpreta vari personaggi e archetipi, utilizzando parrucche, costumi e oggetti di uso quotidiano, dalle mollette per stendere i panni, alle pagliette di metallo per pulire le pentole, alle cannucce per le bibite, alle grucce per appendere gli abiti. Contrastando la sua pelle, e a volte schiarendosi le labbra, accentua le proprie caratteristiche fisiche per riaffermare la sua identità. Guardando negli occhi della sua auto-rappresentazione, in tutto il suo riflettere di nero splendore, molti di noi potrebbero trovarsi a distogliere lo sguardo velocemente, per imbarazzo o per soggezione di fronte all’intensità del suo sguardo. Stare davanti a una qualsiasi delle sue fotografie richiede quindi, prima di tutto, un esercizio individuale di autovalutazione e di analisi profonda nei confronti di una persona che si è messa nuda di fronte alla lente dell’obiettivo e che ha messo a nudo le sue istanze. Quasi fosse una marea asincrona, dopo una prima suggestione, arriva quindi alla mente dell’osservatore un secondo livello di riflessione, più razionale, circa le motivazioni che sostengono questo sacrificio individuale così poco negoziabile, relativo al significato politico delle sue immagini. Per capirlo è necessario chiedersi cosa provi una minoranza nel vivere ogni giorno la propria condizione sia fisica e reale, sia percettiva e ambientale, sintetizzata da Zanele Muholi in: «You live as a black person for 365 days». La mostra è stata realizzata in collaborazione con Tosetti Value, il Family Office.

Dal 9 febbraio al 6 aprile 2019 – Galleria del Cembalo Roma

Per info qua

Sol de Mayo – El gaucho y la ganaderia – Gianluca Colonnese

Dal 23 febbraio al 16 marzo Villa Brivio ospita la mostra “Sol de Mayo – El gaucho y la ganaderia” di Gianluca Colonnese, promossa dalla Libera accademia di Pittura e curata da Raoul Iacometti, autore dell’anno 2015 FIAF. Inaugurazione 23 febbraio ore 17.

La mostra racconta il viaggio del fotografo tra la Pampa argentina, la città di Buenos Aires e San Pedro. Un viaggio tra sguardi, usanze e riti che riportano alla cultura gauchesca. Se si pensa all’Argentina, non si può di certo prescindere dalla figura del Gaucho, lo storico Cowboy della Pampa. Questo personaggio a tratti romantico ha origini antiche: si crede esista dal 1700 DC e, per come lo conosciamo oggi, sia una miscela di tradizioni spagnole, arabe ed aborigene; il suo stesso nome deriva dall’arabo e significa “Uomo a cavallo”. Tra le caratteristiche principali dei Gauchos emergono la loro fede nella religione Cattolica ed il loro amore per i cavalli e per la musica folkloristica Argentina. La notorietà della carne argentina la si deve soprattutto al loro duro lavoro ed al costante mantenimento delle antiche tradizioni di allevamento del bestiame. Colonnese ha cercato di cogliere l’essenza della tradizione gauchesca partendo dai pascoli sterminati che profumano di libertà, attraverso le aste del bestiame ed ancora passando dalle macellerie nel cuore di Buenos Aires, dove la carne arriva in piena notte. Racconta: << Sono stato accolto nelle loro case come una persona di famiglia. Mi chiamano Tano, come d’altronde fanno in maniera simpatica con chi ha origini italiane. Vivono a stretto contatto con la natura ed ancora tutto funziona in maniera “feudale”. Quando per esempio si parla del proprietario terriero, ci si toglie il cappello a modo di rispetto. Ho trovato quella semplicità, amore per la famiglia e per la propria terra, che mi ha fatto comprendere ancor di più quanto tutto quello che ho documentato fosse importante>>.

Dal 23 febbraio al 16 marzo –  Villa Brivio, Nova Milanese

Humanity without borders – Nuccio Zicari

S’intitola “Humanity without borders”, ossia “Umanità senza confini”, ed è la mostra fotografica realizzata da Nuccio Zicari allestita alla FAM Gallery di Agrigento, dal 16 febbraio e fino al 24 marzo. Inaugurazione sabato 16, ore 17.30.

Selezionati dall’autore, sono venticinque scatti nella nuda verità del bianco e nero raccolti tra il 2015 e il 2017 nell’hotspot di Porto Empedocle (AG), dove centinaia di volontari si sono impegnati ad accogliere, accudire, visitare, medicare, ascoltare i migranti in fuga da guerre, fame e povertà. 

Accompagnano l’esposizione, nel catalogo bilingue, i testi del fotoreporter Tony Gentile, del fotografo e raffinato ritrattista Franco Carlisi, del giornalista e scrittore Gaetano Savatteri e degli storici dell’arte Giuseppe Frazzetto e Dario La Mendola.  “Le fotografie di Zicari – spiega Franco Carlisi – sanno creare un intervallo di silenzio dentro di noi, un pensiero inquieto che ferma e sospende i nostri giudizi, incrina le nostre certezze e alimenta un moto di civile risentimento. Non vi è nulla – in queste immagini – dell’imponente architettura stilistica che caratterizza buona parte dei lavori dei reporter contemporanei. Le fotografie di Nuccio accettano la sfida della realtà. Lo spirito etico che guida la sfera creativa del fotografo punta a comunicare una toccante verità umana con nitida limpidezza, senza orpelli linguistici.”

Paolo Minacori, direttore della FAM Gallery, racconta il progetto espositivo: “Era indispensabile trovare un “diaframma” che consentisse la giusta profondità di campo: dare testimonianza degli avvenimenti e mettere bene a fuoco il lavoro di Zicari, la sua ricerca di un linguaggio personale e di una cifra stilistica che pur restituendo il dramma contemporaneo non si mostrasse mai scontata o evocativa.”

Trentatrè anni, medico di professione, fotografo per vocazione (con una laurea specifica a Milano), Zicari spiega così il fotoreportage di “Humanity without borders”: “Le mie foto non vogliono puntare l’attenzione sul problema o rintracciarne i responsabili; ma essere piuttosto un invito alla riflessione, a considerare il lato umano di questi uomini, donne, bambini, famiglie. Che piangono, cantano, ridono, sanguinano come noi, ma a differenza nostra, spesso non hanno la possibilità di scegliere. La vita è un dono identico per tutti e chiunque dovrebbe avere il diritto di scegliere come darle un senso”.

Dal 16 Febbraio 2019 al 24 Marzo 2019 – Fam Gallery – Agrigento

Other Identity

Giunta alla sua seconda edizione Other Identity desidera decifrare un fenomeno ormai diffuso che ha cambiato radicalmente il modo di “vivere” e “interpretare” la nostra immagine, costantemente esibita e pubblicizzata: il nostro modo di autoritrarci e di presentarci al mondo, la spettacolarizzazione di un privato che si trasforma in pubblico attraverso i social media, creando nuove forme di identità in continua trasformazione. “Other Identity” vuole essere una tappa di un progetto espositivo, che funga da cartina al tornasole capace di misurare di volta in volta lo stato di una nuova grammatica narrativa, di nuove forme di interpretazione della nostra immagine. A confrontarsi sul tema dell’identità e dell’autorappresentazione sono artisti italiani e stranieri uniti da una comune piattaforma emotiva e tematica, dalla quale poi sfociano ricerche personali ben distinte, e dal comune linguaggio fotografico. Una nostra peculiarità è quella di presentare artisti per la maggior parte inediti per la città per favorire e stimolare la conoscenza del loro lavoro e l’interesse del pubblico. La fotografia è qui il medium privilegiato in ogni sua forma, sia essa analogica o digitale, utilizzata attraverso reflex professionali o smartphone, usata sempre con consapevolezza e coerenza dall’artista che la piega alla propria ricerca personale, senza abusare di quelle post-produzioni spesso impiegate per mascherare un’inesistente qualità dell’immagine. Il comune denominatore dei nostri artisti è la loro “onestà intellettuale” nel senso di un consapevole, intelligente, lucido, semplice uso del mezzo espressivo, a tratti brutale nella sua desolante rappresentazione del reale, spesso filtrato da emotività malinconiche e sognanti, crudo iper-realismo, graffiante autobiografia, esibizionismo pubblicitario e complesse dinamiche di intimità familiari. Non è corretto parlare di “artisti selezionati”, ma di artisti che si sono scelti, avvicinati con quell’istinto “animale” che ci fa riconoscere i nostri simili anche in cattività, identificare una piattaforma emotiva comune da cui poi sfociano ricerche personali ben distinte legate però da questa tematica di fondo.

9 – 23 Marzo 2019 | GENOVA – Galleria ABC-ARTE, Galleria Guidi&Schoen-Arte Contemporanea, PRIMO PIANO di Palazzo Grillo, Sala Dogana-Palazzo Ducale

Altre info qua

Body Island Project – Photography, Performance & Multimedia

Segnaliamo che questo evento è in chiusura il 3 marzo.

Il 15 febbraio 2019 alle 19:00 Magazzini Fotografici presenta Body Island Project. Dopo il suo esordio nell’agosto 2018 a Capri nella suggestiva location di Villa Lysis, un tempo dimora del barone Fersen, il progetto arriva a Magazzini Fotografici con una mostra che sarà in allestimento dal 15 febbraio al 3 marzo ed una performance che unisce danza e video, replicata il 23 febbraio e il 2 marzo alle 19:30. Body Island Project è una performance itinerante, un’immersione poetica in un percorso spaziale ed emotivo nel quale il pubblico ha l’occasione di attraversare, percepire, osservare, conoscere alcune tracce dell’intimo rapporto tra corpo e isola. Fotografia, video e danza sono le voci narranti attraverso le quali il visitatore può cogliere questa relazione unica grazie ad una creazione artistica site-specific. Un quadro nel quadro, in un dialogo multimediale sulla bellezza, la luce, il tempo, la fragilità, l’anima e la carne, entrando e uscendo da verità e finzione, realtà e poesia. Il progetto Body Island è creato e realizzato da un team di 4 professionisti: l’idea, la regia e la coreografia sono a cura di Sara Lupoli; la direzione artistica è a cura di Roberta Fuorvia; la fotografia è di Valeria Laureano e i multimedia di Giuseppe Riccardi.

dal 15 febbraio al 3 marzo – Magazzini Fotografici – Napoli

Altre info qui

Mostre di fotografia da non perdere a Settembre

Ciao a tutti,

riprendiamo da dove ci eravamo lasciati prima delle vacanze, con nuove fantastiche mostre da non perdere a settembre.

Date sempre un’occhiata alla pagina dedicata, sempre aggiornata con tutte le mostre in corso.

Anna

Continua a leggere

Mostre per maggio

Ciao!

Ed eccoci anche per questo mese al nostro appuntamento fisso con le mostre. Il programma si preannuncia ricchissimo anche per maggio. Siateci! 😀

Sulla pagina dedicata, trovate il calendario aggiornato di tutte le mostre in corso!

Anna

Sara Munari – Be the bee body be boom (bidibibodibibu)

Mi sono ispirata sia alle favole del folklore dell’Est Europa, sia alle leggende urbane che soffiano su questi territori. Un incontro tra sacro e profano, suoni sordi che ‘dialogano’ tra di loro permettendomi di interpretare la voce degli spiriti dei luoghi. Ogni immagine è una piccola storia indipendente che tenta di esprimere rituali, bugie, malinconia e segreti. L’Est Europa offre uno scenario ai miei occhi impermeabile, un pianeta in cui è difficile camminare leggeri, il fascino spettrale da cui è avvolta, dove convivono tristezza, bellezza e stravaganza: un grottesco simulacro della condizione umana. A est, in molti dei paesi che ho visitato, non ho trovato atmosfere particolarmente familiari, in tutti questi luoghi ho percepito una forte collisione tra passato, spesso preponderante, e presente. Sono anni che viaggio a est, forse il mio sguardo è visionario e legato al mondo dei giovani, a quella che presuppongo possa essere la loro immaginazione.

dal 12 maggio al 3 giugno 2017 – Spazio Raw Milano

Tutti i dettagli qua

Paolo Pellegrin. Frontiers

PELLEGRIN_news_700x250pxl

L’esposizione Paolo Pellegrin. Frontiers visitabile dal 30 aprile al 26 novembre 2017 negli spazi del nuovo Museo il Ferdinando, documenta in anteprima mondiale attraverso gli intensi scatti di Paolo Pellegrin, il dramma dei viaggi della speranza delle migliaia di migranti che fuggono in cerca di un futuro migliore.
L’orrore delle traversate del Mar Mediterraneo, l’esperienza degli sbarchi e della permanenza nei centri di accoglienza. Si tratta di un’anteprima assoluta firmata da uno tra i più importanti fotoreporter al mondo. Membro di Magnum Photos dal 2001, Pellegrin lavora con le più affermate testate internazionali e ha ottenuto innumerevoli riconoscimenti, tra cui dieci World Press Photo e la Medaglia d’oro Robert Capa.

La mostra, realizzata in collaborazione con l’Agenzia Magnum Photos di Parigi integra ed attualizza i contenuti del nuovo Museo delle Frontiere evidenziando il tragico racconto del fenomeno migratorio in atto, ormai diventato tratto distintivo del nostro tempo. Un fenomeno che secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni non si arresterà prima del 2050. Le fotografie, in bianco e nero, di notevole impatto visivo ed emotivo, sono state scattate nel 2015. La maggior parte di esse documenta la situazione sull’isola greca di Lesbo dove, secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), sono sbarcati più di 500.000 degli 850.000 rifugiati giunti in Grecia nel corso del 2015.

Il tema dell’esposizione offre un punto di vista quanto mai attuale sul dramma dei migranti, oltre a un’esplicita riflessione sulle frontiere – visibili o invisibili, geografiche, politiche e sociali – che dividono le persone, in un’Europa che oggi è chiamata alla sfida dell’accoglienza.

Forte di Bard – Aosta dal 30 aprile al 26 novembre 2017

Tutti i dettagli qua

Antoine D’Agata

Torna a Milano Antoine D’Agata. A cura di Claudio Composti, la personale presenta alcuni dei suoi lavori più iconici degli ultimi 15 anni.

Una mostra in collaborazione con la Gallerie Filles du Calvaire di Parigi.

Altre info qua

Istanti di luoghi – Ferdinando Scianna

Scianna

Nella mia vita ho incrociato uomini, storie, luoghi, animali, bellezze, dolori, che mi hanno suscitato, come persona e come fotografo, emozioni, pensieri, reazioni formali che mi hanno imposto di fotografarli, di conservarne una traccia. Ho sempre pensato io faccio fotografie perché il mondo è lì, non che il mondo è lì perché io ne faccia fotografie. Anche questi luoghi non mi sembra di averli cercati, li ho incontrati vivendo, e poi ho scelto alcune delle tante fotografie che in questi incontri mi sono state regalate per comporne un libro nel quale riconoscermi.

Ferdinando Scianna

Forma Meravigli dal 21 aprile al 30 luglio

Tutti i dettagli qua

World Press Photo 2017

World Press Photo 2017, promossa da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale, è ideata da World Press Photo Foundation di Amsterdam e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con 10b Photography

La mostra del World Press Photo 2017 si terrà a Roma in prima mondiale insieme a Siviglia e Lisbona presso il Palazzo delle Esposizioni dal 28 aprile al 28 maggio 2017. Il Premio World Press Photo è uno dei più importanti riconoscimenti nell’ambito del fotogiornalismo.
Ogni anno, da più di 60 anni, una giuria indipendente, formata da esperti internazionali, è chiamata ad esprimersi su migliaia di domande di partecipazione inviate alla Fondazione World Press Photo di Amsterdam da fotogiornalisti provenienti da tutto il mondo.

Per l’edizione 2017 le immagini sottoposte alla giuria del concorso World Press Photo sono state 80,408, inviate da 5,034 fotografi di 125 nazionalità. La giuria, che ha suddiviso i lavori in otto categorie, ha premiato 45 fotografi provenienti da 25 paesi: Australia, Brasile, Canada, Cile, Cina, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, India, Iran, Italia, Pakistan, Filippine, Romania, Russia, Sud Africa, Spagna, Svezia, Siria, Nuova Zelanda, Turchia, UK, USA.

Palazzo delle Esposizioni – Roma dal 28 aprile al 28 maggio

Tutti i dettagli qua

Le mostre di Fotografia Europea 2017

Come ogni anno torna a Reggio Emilia il festival Fotografia Europea. Quest’anno il concept sviluppato è Mappe del tempo. Memoria, archivi, futuro.

Tra le varie mostre che si terranno in città dal 5 maggio al 9 luglio, ve ne segnaliamo alcune tra le più importanti. Date comunque un’occhiata al sito per il programma completo, perchè ce ne sono veramente molte interessanti.

PAUL STRAND E CESARE ZAVATTINI a Palazzo Magnani

strand_the-family-luzzara-italy-1953

UN PAESE. LA STORIA E L’EREDITÀ
a cura di Laura Gasparini e Alberto Ferraboschi

Un Paese è uno dei primi libri fotografici italiani e risente della cultura del neorealismo italiano e racconta, attraverso le immagini del fotografo statunitense e i testi di Cesare Zavattini, le vite e le storie degli umili di un paese italiano – Luzzara, nella pianura padana – scelto come specchio dello spirito di un popolo e del ritmo universale della vita legata alla terra.

La rassegna illustrerà, inoltre, attraverso gli scatti di Gianni Berengo Gardin, che insieme a Zavattini realizza Un Paese vent’anni dopo nel 1976, Luigi Ghirri, Stephen Shore, Olivo Barbieri fino alla ricerca artistica di Claudio Parmiggiani, come Un Paese sia stato fonte di ispirazione per diversi autori, fotografi, scrittori e artisti e come questi abbiano preso spunto dal volume, divenuto esemplare nella storia della fotografia e nella letteratura per il rapporto tra immagine e scrittura.

DALL’ARCHIVIO AL MONDO.
L’ATELIER DI GIANNI BERENGO GARDIN. – Chiostri di San Pietro

2bassa

A cura di Alessandra Mauro e Susanna Berengo Gardin, coordinamento scientifico Laura Gasparini. In collaborazione con Fondazione Forma per la Fotografia e Contrasto.

La mostra propone di indagare  l’archivio come luogo del pensiero e della creazione oltre che di custodia della memoria del proprio lavoro. Verranno esplorate le numerose connessioni tra il processo creativo e gli oggetti di lavoro del fotografo italiano, come le macchine fotografiche, le attrezzature, ma anche i provini a contatto, documenti, video, che illustrano l’atelier, l’archivio e l’opera di uno dei più importanti fotografi italiani.

UP TO NOW. FABRICA PHOTOGRAPHY.
a cura di Enrico Bossan – Chiostri di San PIetro

ReedYoungbassa

Fin dalla sua fondazione nel 1994, Fabrica ha accolto decine di fotografi che sono cresciuti e si sono messi alla prova in un ambiente internazionale unico nel suo genere.

Nel tempo è diventata una fucina capace di intercettare talenti e di dare loro un terreno fertile per sperimentare e formarsi, sviluppando linguaggi autonomi. Up To Now. Fabrica Photography raccoglie oltre cento opere fine art e si concentra sui lavori di tutti quei giovani che negli anni sono diventati autori riconosciuti a livello internazionale. Dagli Albino Portraits di Pieter Hugo ai Libyan Battle Trucks di James Mollison, passando per The Middle Distance di Olivia Arthur e A bad day di Laia Abril, fino ad arrivare alla Ponte City raccontata da Mikhael Subotzky e Patrick Waterhouse e al problema energetico affrontato da Lorenzo Vitturi in Oil will never end, questa raccolta è una testimonianza della varietà di approcci alla documentazione fotografica che attraversa realtà e continenti creando un unicum iconografico e narrativo.

In occasione di Fotografia Europea 2017, Fabrica proporrà inoltre un focus dedicato ai lavori di Drew Nikonowicz e di Ali Kaveh, attualmente borsisti a Fabrica.

Fabrica è il centro di ricerca sulla comunicazione di Benetton Group, fondato nel 1994. Offre a un gruppo molto eterogeneo di giovani creativi provenienti da tutto il mondo una borsa di studio annuale per sviluppare progetti di ricerca nelle aree di design, grafica, fotografia, interaction, video e musica.

70 at 70 in London

BOB194404CW000X1/ICP154

An exhibition at London’s Kings Cross showcases 70 iconic images from 70 years of Magnum Photos

An exhibition at London’s Kings Cross of 70 pictorial and historical photographic icons, celebrating the diversity of the Magnum Photos agency and how its photographers have born witness to major events of the last 70 years.

The exhibition charts a potted history of Magnum, including early photography by Magnum’s founding fathers, the introduction of colour photographers such as Harry Gruyaert and Bruno Barbey, through to the contemporary practice of photographers working in a more art medium, such as Alec Soth and Alessandra Sanguinetti.

Presented in the 90m long pedestrian tunnel with Allies & Morrison-designed LED-integrated light wall, in collaboration with King’s Cross.

May 15 – Jun 15 – King’s Cross Tunnel – London

Walker Evans

Walker_Evanspresse-900x713

Première grande rétrospective organisée en France de l’œuvre si influente de ce photographe américain. 300 vintages et autres documents retrace toute l’œuvre de l’artiste.

First major retrospective organised in France of the very influencial work of this american photographer. 300 vintages and other documents relating its entire work.

Cette retrospective a pour ambition de mettre en évidence la fascination du photographe pour la culture vernaculaire qu’il n’a cessé de traquer tout au long de sa carrière. À travers plus de 300 tirages vintages provenant des plus grandes collections internationales et une centaine de documents et d’objets, elle accorde également une large place aux collections de cartes postales, de plaques émaillées, d’images découpées, et d’éphéméra graphiques réunis par Walker Evans pendant toute sa vie.

26/04/2017 – 14/08/2017 – Centre Pompidou – Paris

Altre info qua

JACOPO BENASSI –  THE EYES CAN SEE WHAT THE MOUTH CAN NOT SAY

8

Jacopo Benassi sarà in mostra da Micamera a Milano con una serie di fotografie realizzate tra il 2011 e il 2015 presso il Btomic. La mostra sarà accompagnata da un libro edito da Peperoni Books.

Il Btomic era un locale iconico di 70 metri quadri a La Spezia, aperto nel 2011 e chiuso nel 2015 per problemi economici. Era gestito da un gruppo di amici, Gianluca Petriccione, Lorenzo D’Anteo, Roberto Buratta e Jacopo Benassi; tra i musicisti che si sono esibiti al Btomic, Teho Tehardo, Jozef van Wissem, Chris Imler, Julia Kent , Mary Ocher, Lydia Lunch, F.M Palumbo, Embryo, Lori Goldston, Hugo Race, Tav Falco, Carla Bozulich, Andrea Belfi, Lubomyr Melnyk, Ernesto Tommasini, Matt Eliot, Z’EV, Sir Richard Bishop, Six Organs Admittance, Emidio Clementi, Khan, Mangiacassette, Baby Dee, Eugene Chadbourne e molti altri…

THE EYES CAN SEE WHAT THE MOUTH CAN NOT SAY è il titolo di una mostra e di un libro. Le fotografie sono state scattate in occasione dei concerti ma nelle immagini i musicisti non compaiono mai. (In questo, è un lavoro decisamente diverso dall’omonima rivista pubblicata da Benassi negli anni in cui il Btomic era aperto) Si vedono solo persone che guardano. I latini dicevano contemplatio – il prefisso con indicava una connessione, il termine templum denotava un’area circoscritta.

Nelle immagini di Benassi vi è una forte connessione tra le persone e l’area è ben definita. Vi è una geografia composta da muri scrostati, immagini dentro le immagini, segni sul muro, dettagli dell’arredamento, strumenti, simboli. Le persone che abitano questa geografia guardano e ascoltano. Un ragazzo con una maglietta degli Sonic Youth ascolta in piedi, accanto a una donna con un semplicissimo vestito a fiori. Se la relazione tra luogo e identità è uno dei temi fondamentali della geografia mi chiedo: cos’hanno in comune? Mi piace il loro modo di stare vicini.
Questo lavoro descrive un paesaggio sonoro.
E’ opera di Jacopo Benassi, fotografo di paesaggio.

Tutti i dettagli qua

Mario Giacomelli. Terre scritte

“Cerco i segni nella terra, cerco la materia e i segni, come può fare un incisore” affermava il fotografo Mario Giacomelli, che per tutta la sua carriera ha raccontato il paesaggio percorrendo una strada personale e rivoluzionaria.

Una mostra, ospitata nel complesso monumentale di Astino, in provincia di Bergamo, rilegge l’esperienza del paesaggio nella sua opera, attraverso una quarantina di immagini, di cui molte inedite e provenienti dall’archivio Mario Giacomelli di Sassoferrato.

Giacomelli (1925-2000) parte dalla sua terra, le Marche, per indagare il rapporto tra memoria e natura, componendo le sue immagini su piccoli dettagli che si incastrano in uno stile grafico unico, come se il fotografo interpretasse la realtà con una matita invece che con una macchina fotografica. L’apice di questa visione è raggiunto nella serie Presa di coscienza sulla natura, in cui Giacomelli arriva all’astrazione totale del paesaggio: ”Attraverso le foto di terra io tento di uccidere la natura” scrive negli anni novanta, “cerco di togliere quella vita che le è stata data non so da chi ed è stata distrutta dal passaggio dell’uomo, per ridarle una vita nuova, per ricrearla secondo i miei criteri e la mia visione del mondo”.

La mostra Mario Giacomelli. Terre scritte, a cura di Corrado Benigni e Mauro Zanchi in collaborazione con l’archivio Mario Giacomelli di Sassoferrato, è stata realizzata dalla Fondazione MIA e sarà aperta dal 22 aprile al 31 luglio.

 

Like A Samba – Fotografie di: René Burri, David Alan Harvey and Francesco Zizola

Le spiagge di Rio de Janeiro viste dall’occhio di tre fotografi stranieri – uno svizzero, un americano, un italiano – che hanno vissuto in questo ritmo per mesi, anni, decenni. Una raccolta di fotografie che esprimono una sorta di nostalgia, come una canzone d’amore, o la famosa saudade. Per la prima volta, le opere di tre fotografi – René Burri, David Alan Harvey e Francesco Zizola – si riuniscono per Like A Samba: venti fotografie esposte presso la ILEX Gallery, co-curate da Deanna Richardson e Daniel Blochwitz, che vanno dal 1950 fino ad arrivare all’anno scorso e creano un racconto pieno di ritmo e di colori, proprio come il flusso e riflusso della vita di tutti i giorni in Brasile. Ma oltre la superficie color caramella delle spiagge e l’ottimismo del Tropical Modernismo, molte di queste foto alludono sottilmente alle realtà più dure e nascoste.

dal 7 aprile al 21 luglio 2017 presso ILEX Gallery @10b Photography Gallery

Altre info qua

Prelude to a Landscape – Group show

Almudena Lobera | Anthony Goicolea | Carla Cabanas | Gohar Dashti | Irene Grau | Isabel Brison | Jessica Backhaus | Manuel Vilariño | Marco Pires | Mónica de Miranda | Sara Ramo | Sérgio Carronha | Yto Barrada

In each one of us there is an appeal for everything that exists beyond our own existence which is nothing more than the result of “a process of selecting spaces to destroy or to keep in each period of time”1. The contemporary landscape, almost inclusively, is the result of alterations that comes with the human occupation and that, for different reasons, results from adapting the environment to its own establishment and development needs. In this way, landscape can be understood, rather than anything else, as a cultural construction. Its natural condition is directly related to the concept of nature created in different historical and social contexts. The idea of landscape is something that is constructed and rebuilt it is as a mental elaboration that begins with the moment when look at the territory. We can only think about the idea of landscape as a response to our beliefs, knowledge and desires and that define the world in every moment. In doing so, we follow the Kesslerian idea that “landscape is not a reality in itself because it cannot be separated from the gaze of the beholder”2. The concept of landscape from these believes transforms itself into a form of knowledge, a means to understand the environment in which we move, because “not only shows us how the world is, but is also a construction, a composition, a way of seeing it “3. Through this exhibition proposal, entitled “Prelude to a Landscape”, it is intended to reflect on the landscape and the territory, how it is interpreted, constructed and reconstructed from an artistic view. From the works of this group of artists, with different approaches to the concept of landscape and the construction of imaginary spaces, we try to clarify which are the main paths that disturb the artists and
which are the working research lines close to architecture, geography , anthropology, sociology, among others.

Galeria Carlos Carvalho – Lisbon – 06 April 2017 / 27 May 2017

Further info here

TERRA SENZ’OMBRA. IL DELTA DEL PO NEGLI ANNI CINQUANTA – PIETRO DONZELLI

Dal 25 marzo al 2 luglio 2017 a Palazzo Roverella a Rovigo una mostra fotografica riunisce oltre 100 scatti di Pietro Donzelli: stampe vintage e moderne che raccontano con l’intensità del bianco e nero il Delta del Po negli anni cinquanta.
Pietro Donzelli, milanese di nascita ma polesano d’adozione, arriva per la prima volta nel Polesine nell’aprile del ’45, innamorandosene da subito. Ci torna nel 1953 per realizzare la serie di fotografie Terra senz’ombra, capolavoro della fotografia neorealista e documento prezioso e memorabile della storia del territorio. Fotografa il Po di Levante, il Po di Volano, Adria, Goro, Rosolina, Mesola, Scardovari, l’isola di Ariano.

Ambienti meravigliosi e drammatici, abitati da gente che vive tra terra e acqua, costretta a misurarsi con la forza di una natura spesso ostile, di cui egli restituisce un ritratto di grande dignità. Donzelli riesce, come pochi altri, ad entrare nell’anima della gente e della terra, restituendone una visione precisa, senza sconti, distaccata e profondamente partecipe.

L’obiettivo di Donzelli si ferma su una festa di paese, il cinema all’aperto, le venditrici ambulanti, gli artigiani all’opera, il mondo dei pescatori e degli specchi d’acqua riflessi. Uomini, donne, vecchi e bambini colti nelle espressioni più spontanee, più vere. Una terra dura, che tuttavia lo conquista: “Senza volerlo – egli annota – l’avevo scelta come patria ideale, come protezione dalla minaccia di sentirmi per sempre un apolide”.

“Terra senz’ombra – come racconta la curatrice Roberta Valtorta – racchiude in sé la piattezza del paesaggio, il silenzio, la fatica e il senso della vita nell’ampiezza della pianura assolata. Esprime anche la luce di cui la fotografia ha bisogno per raccontare che in quei territori la pianura si fa dominante, schiacciante. Ma c’è anche qualcos’altro in questo titolo, cioè che il racconto sarà senza ombre, schietto, vero.”

Donzelli presenta con la fotografia le storie che Antonio Cibotto raccontava nei suoi libri e quelle che Rossellini, Visconti, Dall’Ara, Vancini trasferivano dal Delta al cinema.

Tutte le info qua

Night Games – Stefano Cerio

53 Lunaeur Roma

Cosa succede in un parco dei divertimenti quando si spengono le luci? Cosa succede di notte nei parchi per bambini? Una quiete desolata pervade lo spazio in cui, quando brilla il sole, i bambini giocano e gli adulti si rilassano.

Alcune risposte a questi interrogativi – sicuramente suggestive testimonianze – saranno proposte dalle fotografie di Stefano Cerio nella mostra Night Games, che aprirà al  ubblico il 5 maggio presso la Galleria del Cembalo a Roma.

Con la serie Night Games Stefano Cerio prosegue la sua ricerca, apparentemente oggettiva, sui luoghi, sulle macchine del consumo del divertimento di massa, avviata con lavori Aqua Park (2010) e sviluppatasi negli anni successivi con Night Ski (2012) e Chinese Fun (2015).

Al riguardo scrive Gabriel Bauret nel testo introduttivo del volume, edito da Hatje Cantz, che accompagna la mostra: “Oggettività non significa, però, che il fotografo si rinchiuda in un protocollo documentario. Stefano Cerio non realizza un inventario dei parchi divertimento e nemmeno cerca di declinare le fotografare al servizio di certe tematiche. Night Games riunisce luoghi e spazi differenti, come sono differenti i mondi a cui fanno riferimento gli scenari dei parchi: cinematografico, urbano, militare… Tutte le fasce di età sono in qualche modo coinvolte nella varietà dei parchi ai quali si interessa Cerio; compresa l’infanzia, perché Cerio fotografa anche nei giardini pubblici con giostre e scivoli, nel cuore di città come Parigi. La composizione dell’immagine è di grande sobrietà.”

Angela Madesini, contestualizzando il lavoro di Cerio (sempre dal volume di Hatje Cantz): “Alla fine degli anni Settanta Luigi Ghirri aveva dato vita a In scala (1977-78), scattando a Rimini presso l’Italia in Miniatura, un parco di divertimento. Ma l’effetto è completamente diverso rispetto a quello di Cerio. Se per Ghirri la tensione è nei confronti di una ricerca sullo spazio tra realtà e finzione, nel lavoro di Cerio il tentativo, riuscito, è quello di ritrarre delle situazioni, edifici, animali fantastici, personaggi, la Statua della Libertà caduta al suolo. La sua è una dimensione scenica che mi piace equiparare ai Dioramas di Hiroshi Sugimoto o a La nona ora (1999) di Maurizio Cattelan, in cui il papa è schiacciato da un meteorite. È una dimensione strettamente legata al nostro tempo, come per l’americano Gregory Crewdson. Tra i lavori dei due artisti ci sono delle vicinanze: le stesse atmosfere,  un simile afflato poetico.”

Galleria del Cembalo – Roma dal 5 maggio all’8 luglio

Tutti i dettagli qua

MY DAKOTA – Rebecca Norris Webb

10-Badlands

Il South Dakota, terra natale di Rebecca Norris Webb, è uno degli stati di frontiera delle Grandi Pianure americane. Un luogo scarsamente popolato, dove è più facile incontrare animali che persone. Dominati dai vasti spazi e dal silenzio, gli aspri e bellissimi paesaggi del South Dakota sono a volte preda di un vento brutale e di condizioni climatiche estreme.

Mentre fotografava per il suo progetto, Rebecca è stata travolta dalla notizia della morte improvvisa di suo fratello. «Per mesi una delle poche cose che hanno alleviato il mio cuore instabile era il paesaggio del South Dakota… ho cominciato a chiedermi: può la perdita avere una propria geografia?»

My Dakota, che intreccia testi e fotografie liriche, è un lavoro intimo sul West e un’elegia per un fratello perduto. Da questo lavoro, oltre la mostra è stato realizzato un volume, edito in Italia da Postcart Edizioni, selezionato tra i migliori libri del 2012 da photo-eye e pluri recensito dalla critica sui più importanti magazine e blog internazionali, quali il Time, Lens Blogs del The New York Times e The New Yorker.

Officine Fotografiche Milano – dal 27 aprile al 26 maggio 2017

Tutti i dettagli qua

 I must have been blind – Simone D’Angelo

Locandina-web-4

Si apre Sabato 13 Maggio alle ore 17 presso la Galleria de Le Murate Caffè Letterario  a Firenze la personale di Simone D’Angelo  I must have been blind. L’esposizione è la terza di un primo ciclo di tre mostre fotografiche personali a cura di Sandro Bini e Giulia Sgherri organizzate da Deaphoto in collaborazione con il Caffè Letterario.

Con I must have been blind Simone D’Angelo, come un novello Stalker (il protagonista dell’omonimo film di Andrej Tarkovskij), ci guida nella sua Zona, la Valle del Sacco, poco più a sud di Roma, da anni gravemente inquinata dallo sviluppo industriale. L’avventura, iniziata nel tentativo di raccontare le responsabilità politiche e civili che hanno reso possibile questo e altri disastri ecologici nel nostro Paese, diventa soprattutto un percorso di riappropriazione di un paesaggio familiare. Come il Saramago di Cecità, D’Angelo si interroga sulle fonti dell’indifferenza e dell’abbandono, ma come l’amante afflitto della canzone di Tim Buckley (da cui mutua sapientemente il titolo per questa raccolta), egli si domanda se sia possibile un eventuale recupero. Per questo motivo, questo progetto documentario, che filtra la realtà con uno sguardo fortemente coinvolto perché umanamente “innamorato”, è decisamente “politico”: non solo perché denuncia un problema ambientale, ma perché si fa autentico promotore di un futuro ecologicamente sostenibile. Queste fotografie dai colori cupi, in grado di farci commuovere con la loro tragica e desolante bellezza, ci mostrano una ferita, che è sia interna che esterna, e ci invitano a riaprire gli occhi e a immaginare, come per i personaggi di Tarkovksij, una possibile rinascita.

Tutti i dettagli qua

Alberto Fanelli | 3rd District stereoscopic street journey

01_tailor_and_ladyboys-PER-CATALOGO

Una mostra di street photography,  da Venezia e Stoccolma a Seul e Singapore.
Fotografie stereoscopiche a forte impatto visivo,  immagini che trascinano l’osservatore
in un’esperienza visiva vertiginosa,  affascinante per la sua novità.
Riprodurre sul piano la percezione tridimensionale della realtà: un traguardo inseguito dall’arte di ogni epoca.

L’autore riprende gli studi pionieristici di metà ottocento sulla stereoscopia spingendola ai limiti delle sue capacità espressive: osservando le opere siamo progressivamente trascinati in un’esperienza visiva vertiginosa, che disorienta e affascina per la sua novità. Oggetti e paesaggi un tempo familiari ci appaiono alterati da una insondabile metamorfosi, tanto più inspiegabile quanto più ci sforziamo di forzare la serratura che ne custodisce il segreto: se la distorsione della realtà è un meccanismo artistico che ci è familiare, siamo invece del tutto impreparati al suo opposto, la facoltà di mettere a fuoco il mondo al di là del confine naturale dei nostri sensi.

Spazio Raw – Milano dal 20 aprile al 9 maggio

Alte info qua

Amy Winehouse: A Family Portrait

16 March – 24 September 2017
“This is an exhibition bursting with warmth, life and affection.”
Time Out

Discover the woman behind the music and beyond the hype in this intimate and moving exhibition about a much loved sister.

Get to know the real Amy Winehouse through her personal belongings, from family photographs to fashion. Items on display reflect Amy’s love for her family, London and more.

Originally staged at the museum in 2013 and returning following an international tour, Amy Winehouse: Family Portrait was co-curated with Winehouse’s brother Alex and sister-in-law Riva.

The exhibition is accompanied by a new Amy-themed street art trail which leads to ‘Love Is A Losing Game’ by renowned street artist Pegasus in our Welcome Gallery.

All details here

Patti Smith – Higher learning & The NY scene

Patti Smith

Dall’8 aprile al 16 luglio 2017 il Palazzo del Governatore di Parma ospita Higher Learning, mostra di opere fotografiche di Patti Smith, con più di 120 immagini scattate in bianco e nero durante i viaggi dell’artista per il mondo. La mostra, organizzata da Università di Parma e Comune di Parma, è stata pensata appositamente in occasione del conferimento della laurea ad honorem che l’Ateneo assegnerà il 3 maggio a Patti Smith.

Higher Learning è un’evoluzione di Eighteen Stations, presentata a New York ed esposta recentemente a Stoccolma. Il progetto originale è stato realizzato in collaborazione con la Robert Miller Gallery di New York e il Kulturhuset Stadsteatern di Stoccolma. Quella di Parma è l’unica tappa italiana dell’esposizione.

Higher Learning, che arriva a più di dieci anni dall’ultima mostra fotografica di Patti Smith in Italia, ruota intorno al mondo del libro M Train (2015), nel quale partendo da un piccolo caffè del Greenwich Village l’artista traccia di fatto un’autobiografia: “una tabella di marcia per la mia vita”. Riflettendo sui temi e sulle sensibilità del libro, Higher Learning è una sorta di meditazione sull’atto della creazione artistica e sul passare del tempo, nella piena consapevolezza del potenziale di speranza e consolazione di arte e letteratura: un diario visivo che ritrae oggetti, statue, strumenti, lapidi, appartenuti a personaggi che hanno fatto la nostra cultura.

Smith utilizza una macchina fotografica vintage Land 250 Polaroid, prodotta alla fine degli anni ’60 con un telemetro Zeiss Ikon. Nell’epoca degli scatti digitali e della manipolazione delle immagini, le sue opere combattono per l’uso della fotografia nella sua forma più classica, come strumento per documentare e fissare per sempre un istante, un momento ritrovato.

All’interno della mostra sarà allestita anche la Patti Smith Library, con un centinaio di opere letterarie e cinematografiche che hanno ispirato e guidato il lavoro dell’artista nel corso della sua vita. I libri e i DVD saranno a disposizione del pubblico che potrà consultarli sul posto. Alcune opere saranno anche in vendita nel bookshop.

Tutti i dettagli qua

Ramya – Petra Savast

Ramya

Spazio Labo’ è lieta di presentare, per la prima volta in Italia nella sua versione completa, la mostra personale del lavoro più recente dell’artista olandese Petra Stavast: Ramya.
La mostra prende il nome dall’omonimo libro che Stavast ha pubblicato nel 2014 (Fw:Books/Roma Publications) e che ha rappresentato una delle più interessanti produzioni editoriali del mondo della fotografia di questi ultimi anni.

Ramya è il nome della proprietaria della casa in cui Petra si trasferisce, ad Amsterdam, nel 2001. Da allora e per un periodo lungo tredici anni, la fotografa ha documentato la vita di Ramya, nei suoi discreti cambiamenti, nella sua lentezza e anche nella sua intimità, trasformando la fotografia in mezzo di comunicazione tra le due donne, fra cui fin da subito instaura una relazione speciale. Il risultato è una serie di immagini sobrie e intime della casa e dei suoi abitanti, almeno sino al 2012, quando Ramya muore e Petra ha la possibilità di accedere al suo archivio privato e il progetto acquistata una nuova dimensione: si scopre non solo un passato di Ramya estremamente affascinante, ma anche una serie di scatti della donna rubati da un vicino di casa. Petra ricostruisce il periodo in cui Ramya entra nella comune di Rajneeshpuram, creata tra il 1981 e il 1985 dai seguaci di Bhagwan (Osho) e attiva nel deserto dell’Oregon, Stati Uniti. Di questa realtà utopica resta solo una strada asfaltata, che ritroviamo in una delle fotografie di Petra. Conclusa l’esperienza di Rajneeshpuram, Ramya rientra ad Amsterdam e comincia a frequentare un nuovo guru. Petra recupera e dà nuova forma e luce a reperti dell’epoca come una vhs delle sedute di autovisualizzazione e un elenco, scritto a mano, di desideri da esprimere durante gli esercizi spirituali.
Attraverso i materiali prodotti e raccolti dal 2001 al 2014 – fotografie, video, disegni e note autografe – Petra Stavast ha documentato con estrema cura e devozione la vita di Ramya, registrando e interpretando una biografia inusuale e rivelando una ricerca visuale di un’identità.

Tutti i dettagli qua

The Grain of the Present

GrainOfThePresent-72

The Grain of the Present, Pier 24 Photography’s ninth exhibition, examines the work of ten photographers at the core of the Pilara Foundation collection—Robert Adams, Diane Arbus, Lewis Baltz, Bernd and Hilla Becher, Lee Friedlander, Nicholas Nixon, Stephen Shore, Henry Wessel, and Garry Winogrand—whose works share a commitment to looking at everyday life as it is. Each of these figures defined a distinctive visual language that combines formal concerns with a documentary aesthetic, and all of them participated in one of two landmark exhibitions: New Documents (1967) at the Museum of Modern Art, New York, or New Topographics (1975) at the International Museum of Photography, George Eastman House, Rochester.

Looking back, inclusion in these exhibitions can be seen as both a marker of success and a foreshadowing of the profound impact this earlier generation would have on those that followed. Although these two exhibitions were significant, most of these photographers considered the photobook as the primary vehicle for their work. At a time when photography exhibitions were few and far between, the broad accessibility of these publications introduced and educated audiences about their work. As a result, many contemporary photographers became intimately familiar with that work, drawing inspiration from it and developing practices that also value the photobook as an important means of presenting their images.

The Grain of the Present features the work of these ten groundbreaking photographers alongside six contemporary practitioners of the medium—Eamonn Doyle, LaToya Ruby Frazier, Ed Panar, Alec Soth, Awoiska van der Molen, and Vanessa Winship. This generation embodies Wessel’s notion of being “actively receptive”: rather than searching for particular subjects, they are open to photographing anything around them. Yet the contemporary works seen here do not merely mimic the celebrated visual languages of the past, but instead draw on and extend them, creating new dialects that are uniquely their own.

All of the photographers in this exhibition fall within a lineage that has been and continues to be integral to defining the medium. What connects them is not simply style, subject, or books. It is their shared belief that the appearance of the physical world and the new meaning created by transforming that world into still photographs is more compelling than any preconceived ideas they may have about it. Each photographer draws inspiration from the ordinary moments of life, often seeing what others overlook—and showing us if you look closely, you can find beauty in the smallest aspects of your surroundings. As a result, the visual language of these photographers resonates beyond each photograph’s frame, informing the way viewers engage with, experience, and perceive the world.

April 1, 2017 – January 31, 2018 – Pier 24 Photography – San Francisco

Further info here

Mauro Galligani “Alla luce dei fatti”

Mauro Galligani, Alla luce dei fatti, CIFA di Bibbiena

La mostra è una retrospettiva del lavoro di Mauro Galligani. Con oltre mille servizi realizzati in ogni parte del mondo, Galligani è uno dei fotogiornalisti più importanti del nostro dopoguerra e ha collaborato con alcune delle più importanti testate al mondo. Nelle 16 celle e nel corridoio del CIFA, la mostra si sviluppa per grandi temi, che suddivisi per aree geografiche, percorrono alcuni degli eventi politici, sociali e di costume che hanno fatto la storia tra gli anni’ 70 e i giorni nostri.

Mauro Galligani ama definirsi un giornalista che usa l’immagine fotografica per esprimersi. “Pur essendoci fotografi straordinariamente bravi, i miei modelli di riferimento vengono dal giornalismo scritto. Ciò che voglio sottolineare è che non sono mai andato a fotografare le bellezze o i drammi del mondo per fare l’eroe o per vincere un premio fotografico. Ho sempre cercato di svolgere il mio lavoro cogliendo fotograficamente aspetti e particolari della realtà davanti a cui mi trovavo, per dare la possibilità al lettore di rendersi conto di ciò che stava accadendo.”

“La cosa che più ci colpisce di Galligani è l’attenzione che pone a ciò che gli sta attorno e la sua sensibilità nel capire le persone che gli stanno di fronte – afferma Claudio Pastrone, Direttore del CIFA – I suoi scatti, sempre magistralmente composti e mai artefatti, riescono a farci entrare nell’avvenimento e a trasmetterci l’informazione e l’emozione della presa diretta. Nei suoi servizi ogni immagine è significativa e serve a completare il racconto dell’evento fotografato”.

“Ho apprezzato, vedendo lavorare Galligani – scrive il giornalista Enrico Deaglio – cose che non sapevo. Che dietro una fotografia ci sono la pazienza di tornare anche dieci volte sullo stesso posto, la fiducia di chi viene fotografato e l’eleganza dei gesti del fotografo. L’ho visto stare fermo ad aspettare un avvenimento, sapendo che doveva succedere. Molte volte non succedeva, ma quando succedeva era  una foto”

“I grandi fotografi – scrive il giornalista Giampaolo Pansa – sono sempre grandi narratori. E hanno un vantaggio rispetto a noi che parliamo attraverso la scrittura: il loro occhio vede e spiega con una sintesi, un’efficacia e una forza di verità che nessun giornalista, per bravo che sia, possiede. Mauro Galligani è un grande narratore di storie”.

Centro Italiano della Fotografia d’Autore – Bibbiena – 8 aprile 2017 – 4 giugno 2017

Tutte le info qua

Violet ISLE – foto di Alex Webb e Rebecca Norris Webb

17917742_1526968884042564_2097791820809466056_o

Alex Webb è un fotografo internazionalmente conosciuto per i colori vivaci delle sue fotografie, specialmente del mondo caraibico e dell’America Latina. Rebecca Norris Webb ha esplorato attraverso la macchina fotografica la complessa relazione tra le persone e il mondo naturale. Questo progetto è il primo di numerosi lavori a quattro mani creati da Alex e Rebecca nel corso degli ultimi vent’anni.

Insieme nella vita e nel lavoro, la coppia rimane affascinata dal liricismo e dall’intensità della vita cubana più di venti anni fa. Tra il 1993 e il 2008 hanno compiuto undici viaggi fotografici a Cuba. Lavoravano individualmente: Alex catturando volti e sguardi delle persone che incontrava nelle strade, nei cortili, nei caffè; Rebecca costruendo un personale registro delle diverse specie animali che scopriva quotidianamente a Cuba: dai piccioni a piccoli giardini zoologici casalinghi.

Intessute insieme, le fotografie di Alex e Rebecca, pur mantenendo la loro specifica individualità, formano un commovente diario visivo, una duetto, un dialogo sulla bellezza e sulle contraddizioni di questo luogo. In modo sottile, le immagini di Alex e Rebecca Webb evocano il passato di Cuba e il suo isolamento politico, economico, ambientale e culturale.

Spazio Fotografia San Zenone – Reggio Emilia –  dal 5 maggio

Più culture

pi-culture_737x3201

Migranti nel Municipio II di Roma Diletta Bisetto, Luca Cascianelli, Francesca Landini, Daniela Manco, Alessandro Maroccia, Vincenzo Metodo, Carolina Munzi, David Pagliani, Melissa Pallini, Simona Scalas, Serena Vittorini e Martina Zanin sono i giovani fotografi dell’ISFCI, Istituto Superiore di Fotografia, autori delle 87 foto in mostra, scattate nell’ambito di un progetto didattico realizzato dal prof. Dario Coletti in collaborazione con Eliana Bambino, photo editor e curatrice della mostra, a conclusione del corso triennale di studi e del master.

I lavori raccontano, attraverso una densa narrazione visiva, le trasformazioni del II Municipio di Roma, protagonista di un processo di immigrazione e integrazione che lo rende specchio di una Roma che cambia: flussi migratori vecchi e nuovi, palazzine occupate, centri diurni e notturni per minori non accompagnati, e poi negozi aperti di notte, botteghe con competenze artigiane, luoghi di culto di fedi diverse e luoghi di passaggio e altri diventati ormai insediamenti stabili, per quanto precari. È un’umanità varia, quella del II Municipio. Un cuore pulsante di vita che proviene da tutto il mondo e che ha trovato in una fetta di Roma la sua casa, amata, odiata, plasmata nel tempo, vissuta sempre con un occhio all’altro capo del globo. Se Roma è lente di ingrandimento del mondo e della sua globalizzazione, le storie locali sono descrizione di un fenomeno più complesso. E la fotografia, nella sua immediatezza, diventa specchio del nostro sguardo quotidiano su quel mondo.

Goethe Institut Roma – fino al 27 maggio

Tutti i dettagli qua

Ottime mostre di fotografia da non perdere a marzo.

Eccoci qua.
Vi preannuncio già che a marzo ci sono tantissime fantastiche mostre da non perdere! Avete davvero l’imbarazzo della scelta. 😉
Date un’occhiata e sbizzarritevi!

L’elenco sempre aggiornato di tutte le mostre in corso, lo trovate qua
Ciao

Anna

Alex Majoli – SKĒNĒ

“We wear masks that accommodate these fixed societal roles, and in that way we exist trapped in our own play. The only way to understand our complex reality, then, is to acknowledge and question the meaning of the theatrical elements that have constructed this play – our core societal narrative.” – Luigi Pirandello

NEW YORK – Alex Majoli documents the thin line between reality and theatre in a series of photographs, which will be on view from February 16 – April 1, 2017 at Howard Greenberg Gallery. The photographs, made in Congo, Egypt, Greece, Germany, India, China, and Brazil between 2010 and 2016, explore the human condition and call into question darker elements of society. The title of the exhibition, SKĒNĒ, refers to a structure forming the backdrop of an ancient Greek theatre. Majoli is a 2016 Guggenheim Fellowship recipient, and the show is his first gallery exhibition in New York City.

Majoli’s experiences photographing people in many kinds of circumstances in numerous countries have led him to explore the idea of his subjects being actors in their own lives. His scenes depict the drama and pathos inherent in human struggles. A mother and father carry their ill son as they arrive as refugees on the Greek Island of Lesbos in 2015. Police are on guard against a crowd of Brazilian supporters of a cause in Sao Paulo, Brazil, in 2014. Mourners attend the funeral of a 13 year-old girl in Pointe Noire, Congo, in 2013. Majoli also captures reflective moments: an evangelist standing on the street in Congo or a farmer working in a rice field in India. A detail of a house in Baden-Württemberg, Germany, shows that it has been charred by a fire. As it turns out, the home was to be given as housing to refugees before unknown assailants set fire to it.

All details here

Harraga – Giulio Piscitelli

 1-1024x682

Con questo lavoro Giulio Piscitelli ha vinto la 13esima edizione del Premio Amilcare G.Ponchielli, istituito dal GRIN (Gruppo Redattori Iconografici Nazionale).

Forma Meravigli è un’iniziativa di Fondazione Forma per la Fotografia in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano e Contrasto.

Harraga è il termine con cui, in dialetto marocchino e algerino, si definisce il migrante che viaggia senza documenti, che “brucia le frontiere”.

Le fotografie in mostra a Forma Meravigli sono frutto di un lungo progetto, iniziato nel 2010, che si articola in tre momenti fondamentali che corrispondono alle diverse fasi del reportage: dalle rotte africane verso l’Europa, passando per l’Italia e la Francia, fino ad arrivare alla rotta balcanica.

Giulio Piscitelli ha vissuto e sperimentato in prima persone il viaggio dei migranti che tentano di raggiungere il suolo europeo, ha condiviso con loro lo sfinimento fisico e mentale. È salito lui stesso su uno di quei barconi, ormai tragicamente famosi, che portano i migranti dalla Tunisia alle coste italiane.

In mostra un racconto per fotografie crudo ed empatico che va dalla documentazione delle enclave spagnole di Melilla, ai viaggi verso Lampedusa e la tragica realtà di sfruttamento di Castel Volturno e Rosarno, dall’attraversamento del deserto dei profughi del Corno d’Africa, ai siriani, iracheni e afghani che approdano sulle isole greche nella speranza di raggiungere l’Europa.

Grazie alla vittoria del Premio Ponchielli, Giulio Piscitelli ha potuto completare il suo lavoro in Iraq fotografando, nel dicembre 2016, la guerra per la liberazione dall’Isis della città di Mosul; nelle sale di Forma Meravigli il pubblico potrà vedere per la prima volta una selezione di questi scatti inediti.

La mostra è accompagnata dal libro “Harraga. In viaggio bruciando le frontiere” edito da Contrasto.

Giulio Piscitelli (Napoli, 1981), dopo la laurea in Scienze della Comunicazione, si avvicina alla fotografia iniziando a collaborare con agenzie di news italiane e straniere. Dal 2010 lavora come freelance, realizzando reportage sull’attualità internazionale. I suoi lavori sono stati esposti al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, all’Angkor Photo Festival, al Visa pour l’Image, presso la War Photo Limited Gallery e la Hannemberg Gallery. A partire dal 2010 si è concentrato sulla crisi migratoria in Europa, producendo il lavoro da cui è tratto Harraga; contemporaneamente ha esteso il suo interesse fotogiornalistico alle crisi internazionali, documentando il colpo di stato in Egitto, la guerra in Siria, Iraq e Ucraina. I suoi lavori sono apparsi su quotidiani e riviste in Italia e all’estero, tra cui: Internazionale, New York Times, Espresso, Stern, Io donna, Newsweek, Vanity Fair, Time, La Stampa, Vrji. Attualmente Giulio Piscitelli vive a Napoli e il suo lavoro è rappresentato dall’agenzia Contrasto dal 2013.

Forma Meravigli – Milano -fino al 26 marzo 2017

Tutti i dettagli qua

Wolfgang Tillmans

wtastrocrustoa2012

15 February – 11 June 2017 – Tate Modern, London

From intimate still-lifes and portraits, to images that address vital political issues, explore the photographs of this groundbreaking artist

Since the early 1990s, Wolfgang Tillmans has earned recognition as one of the most exciting and innovative artists working today.

While he made his name as a photographer, he has achieved equal acclaim for his investigations of abstract photography, including works made without a camera, and prints that take on a three-dimensional, sculptural quality. Taking the year 2003 as the point of departure, this exhibition focuses on Tillmans’s work in the 14 years since his major exhibition at Tate Britain and showcases all its facets, including his ‘expanded practice’: digital slide projections, publications, and curatorial projects and recorded music.

In addition, Tillmans will take over Tate Modern’s south Tank for ten days with, amongst others, an installation featuring live events.

All details here

Berenice Abbott – Topografie

berenice-abbott_palisades-billboard-c_1935-gelatina-dargento-berenice-abbott-commerce-graphics_courtesy-howard-greenberg-gallery

17.02  –  31.05.2017  – Museo Man Nuoro

Il Museo MAN è lieto di annunciare l’imminente apertura della prima mostra antologica in Italia dedicata a Berenice Abbott (USA, 1917-1991), una delle più originali e controverse protagoniste della storia fotografica del Novecento.

Terza di un grande ciclo dedicato alla Street Photography, la mostra al MAN di Nuoro, a cura di Anne Morin, presenta, per la prima volta in Italia, una selezione di ottantadue stampe originali realizzate tra la metà degli anni Venti e i primi anni Sessanta. Suddiviso in tre macrosezioni – Ritratti, New York e Fotografie scientifiche – il percorso espositivo fornisce un quadro generale del grande talento e della variegata attività di Berenice Abbott.

Nata a Springfield, in Ohio, nel 1898, Berenice Abbott si trasferisce a New York nel 1918 per studiare scultura. Qui entra in contatto con Marcel Duchamp e con Man Ray, esponenti di punta del movimento dada. Con Man Ray, in particolare, stringe un rapporto di amicizia che la spingerà a seguirlo a Parigi e a lavorare come sua assistente tra il 1923 e il 1926.

Sono di questo periodo i primi ritratti fotografici dedicati ai maggiori protagonisti dell’avanguardia artistica e letteraria europea, da Jean Cocteau, a James Joice, da Max Ernst ad André Gide. Ritratti che – secondo molti interpreti – costituiscono il canale espressivo attraverso il quale Berenice Abbott – lesbica dichiarata, in un’epoca ancora lontana dall’accettare l’omosessualità femminile – racconta la propria dimensione sessuale.

Allontanatasi dallo studio si Man Ray per aprire il proprio laboratorio di fotografia –frequentato da un circolo di intellettuali e artiste lesbiche come Jane Heap, Sylvia Beach, Eugene Murat, Janet Flanner, Djuna Barnes, Betty Parson – già nel 1926 Abbott espone i propri ritratti nella galleria “Le Sacre du Printemps”. È in questo momento che entra in contatto con il fotografo francese Eugène Atget, conosciuto per le sue immagini delle strade di Parigi, volte a catturare la scomparsa della città storica e le mutazioni nel paesaggio urbano.

Per Abbott è un punto di svolta. La fotografa decide di abbandonare la ricerca portata avanti fino a quel momento e di fare propria la poetica del negletto Atget – del quale, alla morte, acquisterà gran parte dell’archivio, facendolo conoscere in Europa e negli Stati Uniti – dedicandosi, da quel momento in poi, al racconto della metropoli di New York.

Tutti gli anni Trenta, dopo il rientro negli Stati Uniti, sono infatti dedicati alla realizzazione di un unico grande progetto, volto a registrare le trasformazioni della città in seguito alla grande depressione del 1929. La sua attenzione si concentra sulle architetture, sull’espansione urbana e sui grattacieli che progressivamente si sostituiscono ai vecchi edifici, oltre che sui negozi e le insegne. Il risultato è un volume, tra i più celebri della storia della fotografia del XX secolo, intitolato “Changing New York” (1939), che raccoglie una serie straordinaria di fotografie caratterizzate da forti contrasti di luci e ombre e da angolature dinamiche, ad esaltare la potenza delle forme e il ritmo interno alle immagini.

Nel 1940 Berenice Abbott diventa picture editor per la rivista “Science Illustrated”. L’esperienza maturata nelle strade di New York la porterà a guardare con occhi diversi le immagini scientifiche, che diventano per lei uno spazio privilegiato di osservazione della realtà oltre il paesaggio urbano. In linea con le coeve ricerche artistiche sull’astrazione, Berenice Abbott realizza allora una serie di fotografie di laboratorio, concentrandosi sul dinamismo e sugli equilibri delle forme, con esiti straordinari.

La mostra al Museo MAN, realizzata grazie al contributo della Regione Sardegna e della Fondazione di Sardegna, racconta le tre principali fasi della produzione fotografica di Berenice Abbott attraverso una ricca selezione di scatti, tra i più celebri della sua produzione, e materiale documentario proveniente dal suo archivio.

Tutti i dettagli qua

Life – Magnum. Il fotogiornalismo che ha fatto la storia

magnum-ev-770x370

Dal 04 Marzo 2017 al 11 Giugno 2017 – Cremona – Museo del Violino

La mostra, per la prima volta in assoluto, intende analizzare il rapporto fra la celebre rivista americana Life e l’agenzia fotografica Magnum Photos, ed in particolare i reportage realizzati dai fotografi membri dell’agenzia che vennero pubblicati da Life, il fortunato settimanale creato nel 1936 Henry Luce, già editore di Time. Ad un anno dalla sua nascita Life tirava cinque milioni di copie conquistandosi un ruolo che solo la diffusione della televisione minò, portandola alla chiusura nel 1972.

Il nuovo medium, la tv, riusciva a proporre con più immediatezza ciò che era stato il patrimonio di Life: il racconto per immagini.
Life con i suoi contenuti editoriali, ma soprattutto grazie al suo contenuto iconografico, contribuì a creare una identità e una cultura nazionale americana, dagli anni della grande depressione alla guerra del Vietnam, identità che poi venne esportata a livello internazionale.

La dimensione del fenomeno delle grandi riviste illustrate richiese alla agenzie fotografiche nuovi modelli. Robert Capa, David Seymour, Henri Cartier-Bresson e George Rodger, tutti con una notevole esperienza “sul campo”, diedero vita a Magnum. Il progetto si basava sulla tutela del lavoro del fotografo. Attraverso la formula della cooperativa, i fotografi diventavano proprietari del loro lavoro, prendevano decisioni collettivamente, proponevano autonomamente alle testate i propri lavori e rimanevano proprietari dei negativi, garantendo così un pieno controllo sulla corretta diffusione delle proprie immagini.

Magnum mise assieme le migliori capacità ed esperienze del mondo della fotografia, ma senza sottostare alle richieste dei committenti.

La mostra si focalizza proprio sul rapporto fra queste due entità, per analizzare come importanti reportage riferiti ad eventi importanti del XX secolo, e realizzati da grandi maestri della fotografia membri di Magnum, vennero trasferiti all’interno delle pagine di Life.

Due figure importanti che rivestirono un ruolo importante in questo rapporto furono Robert Capa e John Godfrey Morris. Il primo, ideatore e co-fondatore della Magnum nel 1947 e Morris, uno dei più grandi photo editor del Ventesimo secolo, responsabile dell’ufficio londinese di LIFE durante la Seconda guerra mondiale e dopo il conflitto, redattore esecutivo della storica agenzia Magnum.

La mostra, curata da Marco Minuz, è pertanto un viaggio all’interno di nove reportage fotografici realizzati da grandi maestri che vennero editati dalla rivista americana ed ebbero grande diffusione, ma al contempo grande impatto sull’opinione pubblica.

La mostra prende avvio dal lavoro di Philippe Halsman, che su Life pubblicò centinaia di fotografie e decine di copertine. Ritratti come quelli di Marylin Monroe, Salvator Dalì o Mohamed Ali.

Seguono due reportage storici di Werner Bischof, il primo dedicato alla grande carestia del Bihar in India nel 1951 e il successivo alla Corea realizzato nel 1952. In entrambi, impegno e sensibilità sociale vengono trasmessi con un senso estetico notevole.

Un altro reportage entrato nella storia è quello di Dennis Stock su James Dean. Sono fotografie di grande intimità che svelano la personalità del divo del cinema, poco prima della sua tragica scomparsa.

Per promuovere “Misfits” (“Gli spostati”), celebre pellicola di John Huston, sceneggiata da Arthur Miller e protagonisti come Marylin Monroe, Clark Gable e Montgomery Clift, a Magnum venne data l’esclusiva di seguire le fasi realizzative. Per questo Magnum schiera sul set nove suoi membri: Eve Arnold, Cornell Capa, Henri Cartier-Bresson, Bruce Davidson, Elliot Erwitt, Ernst Haas, Erich Hartmann, Inge Morath e Dennis Stock. Le loro immagini ci portano dentro la macchina del grande cinema americano degli anni ’60.

Duro e drammatico il racconto che Bruno Barbey offre della guerra del Vietnam e di ciò che vi accadde oltre e all’interno del fronte. Queste immagini furono tra le ultime ad essere pubblicate su Life, poco prima della sua chiusura.
Accanto a un persocorso cronologico, la mostra propone una serie di emozionanti “stanze” monografiche. A cominciare dalle immagini che Henri Cartier-Bresson nel 1954 trasse dal suo lungo viaggio dentro l’URSS.

Poi Robert Capa, di cui vengono proposti i tre storici reportage, quello sulla guerra civile spagnola, le cui immagini sono icone della storia della fotografia, così come lo sono le successive immagini dello sbarco in Normandia, unica testimonianza diretta di quella epica impresa; e infine la Guerra di Indocina dove egli trovò la morte.

Accanto alle immagini, la mostra espone le edizioni originali di LIFE e spezzoni video che permetteranno di contestualizzare i reportage.

“LIFE – MAGNUM, attraverso la forza comunicativa delle immagini che riunisce – afferma il curatore Marco Minuz – conduce a riflettere sulla fotografia e sulle sue implicazioni, sul rapporto con la carta stampata, sulle trasformazioni tecnologiche avvenute nel mondo della comunicazione e sulla forza che questi reportage ebbero nella nostra coscienza civile”.

Elliot Erwitt

erwitt2

L’eccezionale carriera del fotografo Elliott Erwitt offre l’opportunità di ripercorrere buona parte del Novecento, grazie alle sue fotografie divenute vere e proprie icone: l’America degli anni Cinquanta, lo star system hollywoodiano degli anni Sessanta, le illustrazioni, la pubblicità e i film degli anni Settanta e Ottanta, sino ai più recenti progetti di fotografia di moda degli anni Duemila.

 Invitato da Robert Capa a far parte della Magnum Photos nel 1953, Erwitt è riconosciuto oggi come uno dei fotografi più importanti del Novecento: il suo sguardo da narratore ha saputo cogliere i lati più ironici e surreali della vita anche nelle circostanze più drammatiche.

 Per la mostra a Palazzo Ducale, inedita in Italia, Erwitt ha selezionato personalmente le immagini traendole da due suoi grandi progetti: Kolor, che attraversa tutta la sua produzione a colori, e The Art of André S. Solidor, in cui confluiscono immagini di esilarante e sottile presa in giro del mondo dell’arte contemporanea, con i suoi controsensi e assurdità.

11 febbraio – 16 luglio 2017 – Genova – Palazzo Ducale

Tutte le info qua

L’Italia di Magnum. Da Henri Cartier-Bresson a Paolo Pellegrin

martin-parr-magnum

CAMERA inaugura, il prossimo 3 marzo, la mostra L’Italia di Magnum. Da Henri Cartier-Bresson a Paolo Pellegrin, un omaggio a Magnum Photos, la più storica e autorevole agenzia fotografica del mondo – e partner istituzionale di Camera – in occasione del 70° anniversario dalla sua fondazione.

La mostra si compone di oltre duecento immagini che raccontano, con un linguaggio tra fotogiornalismo e arte, gli eventi, i personaggi e i luoghi dell’Italia dal dopoguerra a oggi, in un affascinante intreccio di fotografie iconiche e di altre meno note. Attraverso lo sguardo di venti fra i più grandi maestri della fotografia internazionale, la mostra si articola in un percorso cronologico, organizzato per decenni.

A cura di Walter Guadagnini con Arianna Visani

3 marzo – 21 maggio 2017

Tutti i dettaglia qua

Lisette Model

14 Febbraio 2017 – 24 Marzo 2017 – MC2gallery – Milano

Non solo artista ma anche insegnante e fonte d’ispirazione per una vasta generazione di giovani fotografi, tra i quali Diane Arbus. Tra le sue serie di ritratti, la sorprendente “Promenade des Anglais”, ambientata nella strada che percorre il lungomare di Nizza, fu realizzata nel 1934 e si impone per lo stile unico e diretto, attento alla posizione del corpo e ai gesti rivelatori di un preciso status sociale. Si tratta spesso di ritratti della classe locale agiata, ritratti che caratterizzeranno lo stile inconfondibile di Lisette:primi piani spassionati,esposizioni di vanità,insicurezza e solitudine,ottenuti allargando e tagliando i negativi in camera oscura. Dopo il periodo francese, fu la Grande Mela a ispirarla.Qui realizzerà alcune delle sue serie più famose,in primis “Reflections”. Gli scatti catturano la multi-dimensionalità della città, riflessa nelle vetrine dei negozi, spesso lungo la Fifth-Avenue.Lisette passa molto del suo tempo anche nei semplici caffè della Lower East Side dove elabora la serie che potremmo definire più libera, “Running Legs”,nella quale fornisce una straordinaria visione della città,catturandone il ritmo freneticamente “malato”. Lavora con neri profondi, senza mai rinunciare ai dettagli e sviluppando un realismo intransigente, mai compiacente. Si sofferma sulle rughe di una donna truccata sotto il suo cappellino, su delle mani deformate e piene di anelli o sulla fragilità di un corpo che si rivela sotto l’apparenza del vestito. Lisette Model si è guadagnata un ruolo di spicco nella cosiddetta Street Photo della scena newyorchese degli anni ’40. Ha inaugurato uno stile fotografico immediato e spontaneo, volto a immortalare una realtà in perenne mutamento, realizzando una galleria di ritratti grotteschi ma carichi di umanità. << I just picked up a camera without any kind of ambition to be good or bad. And especially without any ambition to make a living… My whole freedom working in photography comes because I say to myself, “Let’s see what is going on in this world. Let’s find out. How do these people look?”>> L.Model

Qua tutti i dettagli

FRANCESCO CITO E LA FOTOGRAFIA DI REPORTAGE

francesco-cito-milano-arte-expo

Inaugura giovedì 23 febbraio 2017 una intensa mostra fotografica dedicata alla Fotografia di Reportage che ha come autore – ospite d’onore Francesco Cito. Torna la fotografia d’autore nella Casa Museo Spazio Tadini con una personale di Francesco Cito. La mostra è una selezione di scatti tratti dai suoi principali reportage di guerra – Palestina, Afghanistan, Arabia Saudita -. “La volontà di questo percorso – spiega la curatrice, Federicapaola Capecchi – è quella di provare ad avvicinarci, fotografia per fotografia, a quanto Francesco Cito ci ha regalato durante un’intervista/incontro pubblico a Spazio Tadini, e cioè il senso della vicinanza e della necessità di entrare dentro la storia per raccontarla. Che per Francesco Cito è anche una vicinanza fisica effettiva: quando scatti con un 18 mm sei fisicamente dentro a quanto sta accadendo. Così la nervatura del percorso delle fotografie esposte si muove attraverso la sua caratteristica di entrare dentro la storia percorrendo le tappe della fatica, della pazienza, dell’osservazione e attraverso la sua capacità di ascoltare, vedere e capire. Con il suo rigore visivo, la sua capacità di andare diretto nella profondità e nell’essenza del fatto, la sua maestria narrativa e di racconto”.

La mostra di Francesco Cito si accompagna alla selezione di 8 fotografi di reportage individuati per stile, impronta e ricerca. Hermes Mereghetti, Simone Margelli, Andrea Brera, Luca Monelli, Gianluca Micheletti, Massimo Allegro, Virginia Bettoja, Stefania Villani presentano 8 scatti del reportage per cui sono stati selezionati completando il percorso della fotografia di reportage proposto nella Casa Museo: dalla tematica di guerra di Cito si passa al reportage sociale, antropologico, documentaristico e alla street photography.

Hermes Mereghetti espone Bollate, un intenso viaggio nel ritratto psicologico all’interno del Carcere di Bollate; Simone Margelli presenta Take Refuge, reportage all’interno dei centri di accoglienza raccontando uomini in cerca di speranza; Andrea Brera porta Scampia dentro Le Vele, reportage fotografico nel cuore di Scampia, nelle viscere delle “vele”, un luogo surreale, regno di un’entità vorace che pare avere sorbito tutto da ogni cosa, lasciando solo ossa e brandelli; Luca Monelli è presente con due lavori, 4:03 9:00 racconto del disastro causato dal terremoto a San Felice sul Panaro e Street Light dove il “terreno di caccia” sono le grandi città, situazioni, sfondi, luce particolare e la “preda” che vi finisce dentro. Gianluca Micheletti con Sandland Sharm El-Sheikh, il racconto di cos’è Sharm El-Sheikh al di fuori dei percorsi turistici, dove regnano un mondo e paesaggi post apocalittici fatti di rifiuti, disordine e carcasse che sembrano attendere una seconda vita; Massimo Allegro espone Kumbh Mela, reportage sulla festa religiosa che si tiene ogni anno fra gennaio e febbraio a Allahabad, sulle rive del Gange; Virginia Bettoja propone Estetica del Garage, una bella indagine sui luoghi non importanti, trascurati, di transito e non espressamente considerati interessanti o possibilmente belli; Stefania Villani presenta In cerca di identità, singoli ritratti alla ricerca del sé, anche quando si è di spalle.

Qua altre info

Nan Goldin: The Ballad of Sexual Dependency

moma_goldin_47_2006_cccr

Through April 16 – The Museum of Modern Art

Comprising almost 700 snapshot-like portraits sequenced against an evocative music soundtrack, Nan Goldin’s The Ballad of Sexual Dependency is a deeply personal narrative, formed out of the artist’s own experiences around Boston, New York, Berlin, and elsewhere in the late 1970s, 1980s, and beyond. Titled after a song in Bertolt Brecht and Kurt Weill’s The Threepenny Opera, Goldin’s Ballad is itself a kind of downtown opera; its protagonists—including the artist herself—are captured in intimate moments of love and loss. They experience ecstasy and pain through sex and drug use; they revel at dance clubs and bond with their children at home; and they suffer from domestic violence and the ravages of AIDS. “The Ballad of Sexual Dependency is the diary I let people read,” Goldin wrote. “The diary is my form of control over my life. It allows me to obsessively record every detail. It enables me to remember.” The Ballad developed through multiple improvised live performances, for which Goldin ran through the slides by hand and friends helped prepare the soundtrack—from Maria Callas to The Velvet Underground—for an audience not unlike the subjects of the pictures. The Ballad is presented in its original 35mm format, along with photographs from the Museum’s collection that also appear as images in the slide show. Introducing the installation is a selection of materials from the artist’s archive, including posters and flyers announcing early iterations of The Ballad. Live performances will periodically accompany The Ballad during the course of the Museum’s presentation; performance details will be announced during the course of the exhibition presentation.

All details here

Real American Places: Edward Weston and Leaves of Grass

weston_plantation_500

The Huntington Library – San Marino, CA – Oct 22, 2016 – Mar 20, 2017

A new exhibition opening this fall considers a rich dialogue between two iconic figures in American culture: the renowned photographer Edward Weston (1886–1958) and poet Walt Whitman (1819–1892). The 25 photographs included in the exhibition illuminate an understudied chapter of Weston’s career. In 1941, the Limited Editions Book Club approached Weston to collaborate on a deluxe edition of Whitman’s poetry collection, Leaves of Grass. The publisher’s ambitious plan was to capture “the real American faces and the real American places” that defined Whitman’s epic work. Weston eagerly accepted the assignment and set out with his wife, Charis Wilson, on a cross-country trip that yielded a group of images that mark the culmination of an extraordinarily creative period in his career. While Weston believed the photographs to be some of his best (he donated 90 pictures from the series to The Huntington in 1944, along with hundreds of other images), the resulting Limited Editions publication proved a failure on many fronts. As a result, the photographs from the Leaves of Grass project have been relegated to footnote status in Weston’s oeuvre. “Real American Places” seeks to give this unjustly overlooked body of work its due. In addition to selections from the series, the exhibition will include a number of original Whitman items from the Library’s holdings, allowing visitors to explore the creative response of one giant of American culture in conversation with another.

All details here

Herbert List: The Magical in Passing

capture

In an exhibition comprising 120 works, new light is shed on the elusive oeuvre of German photographer Herbert List, and aims to explain why it is so hard to categorize his work. Over the course of his career, List would work in almost every genre that photography has to offer: architecture, still life, street-photography, portraiture, documentation and cataloguing. Yet he also blurred the demarcation between those fields: architectural shots seem like composed still lifes or surreal compositions. Documentation of Greek sculptures or African artefacts borders on portraiture; and when capturing the classical beauty of the male physique, one does not quite know if we look at painstakingly composed arrangements or a private photo-diary, shot spontaneously from the hip.

12.02. – 23.04.2017 – Kunst- und Kulturzentrum – Monschau (D)

Tutti i dettagli qua

Più di 50 anni di magnifici fallimenti – Oliviero Toscani

capture
16 Feb / 28 Apr 2017 – Whitelight Art Gallery – Milano

Un’esposizione che mette in scena la potenza creativa e la carriera del fotografo, attraverso le sue immagini più note che hanno fatto discutere il mondo su temi come il razzismo, la pena di morte, l’AIDS e la guerra. Tra i lavori in mostra il famoso Bacio tra prete e suora del 1991, i Tre Cuori White/Black/Yellow del 1996, No-Anorexia del 2007 e decine di altri.

In mostra anche i lavori realizzati per il mondo della moda, che Oliviero Toscani ha contribuito a cambiare radicalmente, dalle celebri fotografie di Donna Jordan fino a quelle di Monica Bellucci, oltre ai ritratti di Mick Jagger, Lou Reed, Carmelo Bene, Federico Fellini e i più grandi protagonisti della cultura dagli anni ’70 in poi.

Un’altra opportunità arriva insieme all’esposizione: per un solo giorno e per un numero limitato di 40 persone, sarà possibile diventare i soggetti di una fotografia di Oliviero Toscani.
Il giorno 15 Febbraio dalle 14 alle 22 infatti, presso Whitelight Art Gallery, sarà possibile acquistare il proprio ritratto realizzato dall’artista. Verrà allestito negli spazi della galleria set fotografico, per uno speciale shooting firmato da Oliviero Toscani.
L’immagine, firmata ed autenticata , sarà consegnata sia in cartaceo, sia in digitale, e con essa verranno ceduti i diritti ad uso esclusivamente personale.

Questo set rientra nel progetto Razza Umana, che Oliviero Toscani da anni porta avanti realizzando ritratti nelle strade e nelle piazze del Mondo. «RAZZA UMANA è frutto di un soggetto collettivo – ha scritto il critico Achille Bonito Oliva – lo studio di Oliviero Toscani inviato speciale nella realtà della omologazione e della globalizzazione. Con la sua ottica frontale ci consegna una infinita galleria di ritratti che confermano il ruolo dell’arte e della fotografia: rappresentare un valore che è quello della coesistenza delle differenze».

Tutte le info qua

Wildlife Photographer of the Year

fdb_banner_wpy_2017

Da sabato 4 febbraio 2017, in mostra le immagini premiate alla 52esima edizione della mostra Wildlife Photographer of the Year promossa dal Natural History Museum di Londra. L’anteprima esclusiva per l’Italia è solo al Forte di Bard e resterà aperta al pubblico sino al 4 giugno.

Il pubblico potrà ammirare un’emozionante gallery che ripercorre gli scatti più spettacolari realizzati nel 2016: 100 immagini che testimoniano il lato più affascinante del mondo animale e vegetale, spaziando da sorprendenti ritrattirubati ai più sublimi paesaggi del nostro pianeta.

Vincitore assoluto, il fotografo americano Tim Laman con lo scatto “Vite intrecciate”: la fotografia immortala un orangotango del Borneo che si arrampica sul tronco di un albero, come una fuga simbolica dalla distruzione della foresta pluviale indonesiana, suo habitat naturale. Ha invece 16 anni l’autore del miglior scatto per la categoria giovani: dalla Gran Bretagna, Gideon Knight ha catturato la silhouette di un corvo e del sicomoro su cui riposa, poetiche figure nere che si stagliano contro il profondo blu e la luna di un magico cielo notturno.

Molti nomi italiani tra gli autori degli scatti esposti, tra i quali i finalisti Walter Bassi, con “Verme ipnotico” (categoria Invertebrati), Hugo Wassermann con “Ritiro alpino” (Ambiente Urbano), Fortunato Gatto con “Dopo la tempesta” (categoria Terra), Stefano Baglioni con “Piccola Stella” (categoria Piante e funghi) e Nicola Di Sario con “Luce degli occhi” (categoria Bianco e nero). Vincitori invece, rispettivamente per le categorie Rettili, anfibi e pesci, Piante e funghi e Sul territorio i tre reporter naturalistici Marco Colombo, con “Piccolo Tesoro”, Valter Binotto con “La composizione del vento” e Stefano Unterhiner con “Spirito delle montagne”.

Altre info qua

Brescia Photo Festival

Il 7 marzo inaugurerà la prima edizione del Brescia Photo Festival.

Il festival prevede due sedi principali, il Museo di Santa Giulia e il MA.CO, dove saranno radunate le principali esposizioni.
Un ruolo importante avrà anche il “FUORI FESTIVAL” con un ricco programma – presto online – di mostre nelle gallerie e in altri spazi privati della città, mentre al Cinema Eden sarà proietto un ciclo di film documentari con le biografie dei grandi fotografi.

“People”, il tema di questa prima edizione, permetterà un focus sulla rappresentazione della comunità umana in ogni sua forma e in un momento di particolare complessità come quello che stiamo vivendo. Dato il tema, grande spazio sarà dedicato al fotogiornalismo.

Ma a connotare l’edizione 2017 sarà anche la concomitanza con un anniversario di rilievo nella storia della fotografia. Il riferimento è ai 70 anni della agenzia internazionale di fotogiornalismo Magnum Photo, che vede al suo interno alcuni tra i più grandi fotografi del mondo.  Brescia Photo Festival sarà uno dei luoghi ufficiali per la celebrazione dell’anniversario in Italia, un evento internazionale di forte valenza culturale che coinvolgerà, oltre al Museo di Santa Giulia a Brescia, Camera – Centro Italiano della Fotografia di Torino e il Museo del Violino di Cremona.
I 70 anni di Magnum saranno ricordati con tre diverse mostre, oltre che con incontri, proiezioni ed eventi.

La durata di questi tre grandi eventi Magnum traguarderà le date del Festival. Resteranno infatti aperti, in Santa Giulia e presso la sede della Camera di Commercio, sino al 3 settembre.
Si tratta di tre mostre che a pieno titolo meritano l’appellativo di evento.

“Magnum First”, al Santa Giulia e sino al 3 settembre, ripropone, per la prima in Italia, le 83 stampe vintage in bianco e nero di Henri Cartier-Bresson, Marc Riboud, Inge Morath, Jean Marquis, Werner Bischof, Ernst Haas, Robert Capa e Erich Lessing accompagnate da alcuni scritti degli autori. Questa mostra è stata fortunosamente ritrovata nel 2006, ancora chiusa nelle sue casse, dopo essere stata dimenticata in una cantina di Innsbruck nel lontano 1956. Ora quell’autentico tesoro, restaurato, riemerge a Brescia per la gioia del pubblico.

“Magnum. La première fois” – stessa sede e medesime date – presenta i servizi che hanno reso celebri 20 grandissimi fotografi Magnum, con proiezioni e stampe originali. Curata da François Hébel, è stata presentata una sola volta al Festival di Arles nel 2012 dove ha ottenuto un grande successo.

Infine, presso la sede della Camera di Commercio di Brescia, sarà possibile ammirare per la prima volte le proiezioni di Brescia Photos, i tre reportage proprio su Brescia ed il suo territorio realizzati nel 2003 da tre celeberrimi reporter Magnum: Harry Gruyaert, Alex Majoli e Chris Steele-Perkins.

Tutti i dettagli qua

Trilogia del Silenzio
Capitolo I: Jason Shulman • Fast Forward

capture

28/01/2017 – 25/03/2017 – White Noise Gallery – Roma

Artista di fama internazionale, per la prima volta in Italia dopo diverse collaborazioni con artisti del calibro di Marc Quinn.

Shulman parte dal cinema, mezzo che più di tutti è in grado di simulare la vita. Ogni pellicola da 90 minuti è composta da circa 130mila frame, ciascuno di essi è un tassello del codice genetico della storia. Shulman li comprime in una sola immagine, attraverso lunghissime esposizioni fotografiche. Le scene quindi si sovrappongono le une alle altre, l’audio sparisce, il movimento viene condensato, la consequenzialità logica perde di significato in favore di un’impressione del tutto emotiva. La figura è a volte maggiormente riconoscibile, in altre si perde all’interno di macchie di colore effimere e senza nome. Esteticamente assimilabili ad una trasposizione fotografica delle opere di Gerhard Richter, si tratta di un processo di sintesi per addizione, in cui per comprendere il tutto bisogna rinunciare al dettaglio.

In mostra troverete la malinconia di Pasolini e le atmosfere di Dario Argento, l’America di Sergio Leone e l’Italia di Fellini, Visconti e Sorrentino.

• Trilogia del Silenzio

Ovunque ci sia materia esiste il suono, il silenzio è quindi un mero tentativo.
Esattamente come accade con il vuoto – altro fenomeno esistente solo in teoria – si trasforma nella rappresentazione più fedele del suo opposto.
Negare il suono è negare lo spazio che lo contiene, l’aria attraverso la quale si propaga, è rinunciare alla presenza umana.
E’ una bolla claustrofobica in cui niente accade, in nessun tempo.
Eppure, l’impossibilità fisica di creare l’assenza genera da sempre una fascinazione irrisolta.

Robert Rauschenberg lo ha reso visibile nei White paintings, opere monocromatiche nelle quali il bianco deflagra sulla superficie. La costruzione modulare di cui si serviva rendeva ciascuna tela il capitolo di una narrazione muta e densa, sconvolgendo il concetto stesso di cosa potesse dirsi vuoto o pieno, puro o contaminato, portando la massima astrazione filosofica nelle tre dimensioni spaziali.

Fortemente influenzato dalla ricerca del pittore statunitense, il compositore John Cage ha reso il silenzio – corrispettivo sonoro del bianco – il suo principale territorio di indagine.
Trova il suo apice in 4’33’’, brano controverso al limite dell’atto performativo, privo di suoni ad eccezione dei rumori di fondo dell’uditorio variabili di volta in volta, come una manifestazione impercettibile e ostinata della vita.

Seguendo il medesimo solco, la Trilogia del Silenzio racconta l’umanità attraverso la sua assenza.
Tre artisti, tre mostre, tre linguaggi differenti in cui gli individui sono descritti solo grazie alle tracce reali o distopiche che hanno scelto di lasciare: ombre, architetture, interni, diventano l’espressione più cruda, reale e poetica di loro stessi.
Opere immerse in una forza gravitazionale che è solo interiore, in cui suono, tempo e spazio vengono destrutturati per essere ricordati o smentiti, talvolta riscritti.
Come fosse un videotape lungo una stagione, il progetto verrà scandito dai comandi Fast Forward, Stand-By e Rewind, estremamente significativi dei lavori proposti, ed uniche condizioni in cui il suono esiste ma non può essere percepito.

Tutti i dettagli qua

USA28  – MICHELE ABRIOLA

 

[…] Si tratta di un reportage umanistico. Un intero percorso attraverso gli Stati Uniti d’America di oggi. […] Pellicola. In bianco e nero e a colori. Una macchina e un obbiettivo 28 mm, un grandangolo medio, non esasperato, per restituire a noi l’intero contesto spazio-temporale privo di deformazioni, affinché si sappia realmente, affinché si conosca la verità degli accadimenti. Anche Robert Frank, il primo ad aver dato profondo e ampio respiro editoriale alla fotografia di strada con il suo infinito viaggio per l’America, era mosso dagli stessi intenti. Povertà di strumenti e ricchezza culturale insieme. Ricchezza storica e ricchezza nostra, sostanziata dalla conoscenza di quei luoghi lontani. È una specie di viaggio dantesco attraverso la declinazione di tutte le umanità presenti. E assenti. Perché nelle fotografie di Robert Frank, così come in quelle di Michele Abriola, si percepisce sempre e comunque la presenza di uomini, bambini, donne, anche quando sono fisicamente assenti. La fotografia di Michele Abriola ci stupisce e ci inquieta anche per un altro motivo: l’uso del colore, da una parte, e quello del bianco e nero, dall’altra. Anche chi non ha mai scattato una foto capisce la differenza. Eppure, è come se l’autore si prendesse gioco di questa specie di “sapere comune”. Perché le foto in bianco e nero sembrano aprirsi sul colore, o meglio: attraverso i volti, gli atteggiamenti e le espressioni degli esseri colti nella foto, la nostra immaginazione è spinta a vedere del colore. […] il bianco e nero è la negazione del colore, non il colore edulcorato. Bene, in queste fotografie è come se il bianco e nero immaginasse il colore, come se il colore si umiliasse degradandosi a bianco e nero. Immaginazione, umiliazione, degrado non sarebbero, qui, caratteristiche negative, ma rappresentazioni fedeli della situazione dell’essere umano.
Michele Abriola è simile a un esploratore che sia finito tra esseri mai visti, alieni o mostri. Eppure il suo è uno sguardo d’amore, dell’amante che canta la bellezza dell’amato. L’esploratore si è innamorato dei suoi alieni, dei suoi mostri. (Mònstrum, dal latino: prodigio, cosa straordinaria, contro natura). Erano gli anni di Cartier-Bresson. Chiamiamolo pure “Maestro” (gli invidiosi accetterranno). Dunque, un notissimo fotografo, amico del Maestro, gli sottopose il suo ultimo lavoro. Bresson disse: “E le persone?”. Quelle immagini erano prive della gente e conseguentemente della vitalità umana. Non c’erano persone. Soltanto muri, strade, macchine, palazzi. Erano fotografie vuote. Per Henry Cartier-Bresson l’uomo era l’elemento dominante e significante di ogni immagine. Annullarne la presenza comportava l’annichilimento del senso fotografico. Se Michele Abriola avesse mostrato il suo reportage all’illuminato fotografo francese avrebbe senza alcun dubbio riscosso la sua approvazione. E il Maestro sarebbe stato felice, consapevole di aver insegnato davvero bene. […]

Orvieto – Palazzo Coelli dal 10 al 28 marzo

Rafael Y. Herman – The Night Illuminates The Night

Dal 25 gennaio al 26 marzo 2017 il MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma ospita la mostra personale di Rafael Y. Herman dal titolo The Night Illuminates The Night, curata da Giorgia Calò e Stefano Rabolli Pansera, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, e patrocinata da: Ambasciata d’Israele in Italia–Ufficio Culturale, IIFCA–Fondazione Italia-Israele per la Cultura e le Arti, AMATA–Amici del Tel Aviv Museum of Art e Cité Internationale des Arts de Paris.

La mostra, nella sede di MACRO Testaccio, si presenta come una grande installazione ambientale in cui dallo spazio buio emergono le opere che si rivelano come epifanie. Nella dialettica fra tenebre e luce, infatti, si sviluppa la poetica di Rafael Y. Herman il cui sguardo rivela un nuovo approccio alla realtà che nasce e si struttura nell’oscurità.

The Night Illuminates The Night si concentra sul lavoro cominciato nel 2010 e completato nel 2016. In questo periodo l’artista ha stabilito un dialogo con i grandi maestri della tradizione occidentale che hanno rappresentato nel corso dei secoli la Terra Santa, pur nonavendola mai visitata, ma ispirandosi alle fonti bibliche e letterarie. Rafael Y. Hermanripercorre questa tradizione con il proprio metodo: lo scatto notturno senza ausili elettronici e manipolazioni digitali, che svela ciò che non si vede a occhio nudo. Come i grandi maestri del passato, anche Herman si è voluto porre nella condizione di non poter vedere il paesaggio, pur trattandosi dei luoghi dove è nato e cresciuto, operando nell’oscurità della notte. In questa condizione di voluta cecità l’artista accede alla realtà in un modo nuovo, mediante lo scatto fotografico notturno e mediante lo sviluppo della pellicola nell’oscurità del laboratorio.

Rafael Y. Herman produce così una realtà “ricreata”, decontaminata da qualunque preconcetto soggettivo, offrendo allo spettatore paesaggi che esistono solo nelle opere stesse. L’artista sviluppa la propria ricerca notturna attraverso la scoperta di tre diversi ambienti: la Foresta della Galilea, i campi dei Monti della Giudea e il Mar Mediterraneo. Le sue immagini ci invitano a riflettere sull’invisibile o, come l’artista usa definirlo, il “non visto”;  sulla differenza che si dischiude fra ciò che è reale e ciò che invece è solo percepito. Il risultato è straordinario nella cromia innaturale, e nelle forme evanescenti che sembrano emergere da un luogo e un tempo altro dove i colori non sono reali, il tempo sembra essere dilatato e le immagini appaiono oscure. O forse abbaglianti.

Altre info qua

Pirelli in 100 immagini. La bellezza, l’innovazione, la produzione

04_LaStampa_275x168mm.indd

Dal 18 gennaio 2017 al primo maggio 2017, la Biblioteca Archimede di Settimo Torinese ospita la mostra “Pirelli in cento immagini. La bellezza, l’innovazione, la produzione”. L’esposizione – curata dalla Fondazione Pirelli – è promossa e organizzata dal Comune di Settimo Torinese con il contributo di Pirelli e della Fondazione ECM (Esperienze di Cultura Metropolitana) e ha ricevuto il patrocinio della Regione Piemonte, oltre che della Città Metropolitana di Torino.

Il  percorso allestitivo racconta anche attraverso i materiali dell’Archivio Storico conservati in Fondazione Pirelli, gli oltre 140 anni di storia dell’azienda attraverso i molti aspetti del suo mondo: dalle persone che vi lavorano alla fabbrica e alla tecnologia, dalla ricerca alla nascita dei prodotti, dal rapporto con l’arte alle forme più innovative di comunicazione, dal mondo delle corse al celebre Calendario. Fino alla presentazione al pubblico della prima delle immagini scattate all’interno del Polo industriale Pirelli di Settimo Torinese dal grande fotografo tedesco Peter Lindbergh, autore del Calendario Pirelli 2017, destinate alla realizzazione di un nuovo progetto.

La mostra si sviluppa attraverso 6 sezioni. “Una P lunga oltre 140 anni” percorre la storia aziendale con le immagini delle sue fabbriche e dei suoi prodotti: dal primo stabilimento alla periferia di Milano alle prime esposizioni internazionali, dai cataloghi illustrati alle copertine della rivista “Pirelli”; “La fabbrica degli artisti” presenta alcune delle innumerevoli occasioni in cui pittori e fotografi affermati hanno usato la propria arte per raccontare il mondo delle fabbriche e della produzione; “Si va che è un incanto” documenta le sfide che quotidianamente, fin dal 1907, Pirelli affronta nel mondo delle corse; “Una Musa tra le ruote”  ricostruisce il rapporto tra Pirelli e il mondo dell’arte, che risale fin agli inizi della sua storia, dalle prime campagne pubblicitarie d’artista alle illustrazioni; “Elogio della Bellezza” è un racconto delle icone femminili che accompagna il visitatore all’ultima sezione dedicata al mondo del Calendario Pirelli, dal 1964 a oggi affidato ai più grandi nomi del mondo della fotografia. Ultimo tra questi il grande maestro tedesco Peter Lindbergh, che proprio a Settimo, nell’ambito del progetto che ha portato alla creazione del Calendario Pirelli 2017, ha scattato una serie di scatti all’interno della fabbrica così suggestivi e potenti da essere stati destinati alla realizzazione di un progetto autonomo sul mondo della fabbrica di cui la mostra “Pirelli in cento immagini. La bellezza, l’innovazione, la produzione” presenta al pubblico la prima immagine in anteprima.

La mostra “Pirelli in cento immagini. La bellezza, l’innovazione, la produzione” testimonia ancora una volta il ruolo attribuito da Settimo Torinese alla cultura come motore di sviluppo, di coesione sociale, di integrazione, oltre a ribadire il legame esistente tra i luoghi della cultura e i luoghi del lavoro. Per Pirelli, in particolare, l’esposizione segue le iniziative già organizzate o sostenute sul territorio di Settimo dall’azienda e dalla Fondazione Pirelli.

Tutte le info qua

ARTICO. ULTIMA FRONTIERA

3a9297ca78720986dccc8a65ce802a33_xl

15.01.2017>02.04.2017  – VENEZIA / TRE OCI

La difesa di uno degli ultimi ambienti naturali non ancora sfruttati dall’uomo, il pericolo imminente del riscaldamento globale, la sensibilizzazione verso i temi della sostenibilità ambientale e del cambiamento climatico, la dialettica tra natura e civiltà.
Sono questi gli argomenti attorno cui ruota la mostra Artico. Ultima frontiera in programma dal 15 gennaio al 2 aprile 2017 alla Casa dei Tre Oci di Venezia.
L’esposizione, curata da Denis Curti, presenta 120 immagini, rigorosamente in bianco e nero, di tre maestri della fotografia di reportage, quali Paolo Solari Bozzi (Roma, 1957), Ragnar Axelsson (Kopavogur, Islanda, 1958) e Carsten Egevang (Taastrup, Danimarca, 1969).
La rassegna è un’indagine approfondita, attraverso tre angolazioni diverse, di un’ampia regione del pianeta che comprende la Groenlandia, la Siberia, l’Alaska, l’Islanda, e della vita della popolazione Inuit, di soli 150.000 individui, costretti a gestire, nella loro esistenza quotidiana, la difficoltà di un ambiente ostile.
“In queste immagini – afferma Denis Curti, direttore artistico dei Tre Oci – l’imminenza del riscaldamento globale si fa urgenza, mentre si apre un confronto doloroso in cui l’uomo e le sue opere vengono inghiottiti dall’immensa potenza della natura. Bellezza e avversità sono i concetti su cui la Casa dei Tre Oci fonda questo progetto, con una mostra che intende riportare l’attenzione sui paesaggi naturali e le tematiche ambientali dei nostri giorni”.
La lotta con le difficoltà dell’ambiente, il passaggio, lento ma inesorabile, dallo stile di vita di una cultura millenaria a quella della civilizzazione contemporanea, cui si aggiunge il drammatico scenario del cambiamento climatico, figlio del surriscaldamento ambientale, sono i punti su cui s’incentrano le esplorazioni dei tre fotografi.
Per questo appuntamento alla Casa dei Tre Oci, Paolo Solari Bozzi presenta il progetto inedito, frutto del suo viaggio, tra febbraio e aprile di quest’anno, sulla costa orientale della Groenlandia, nel quale ha visitato numerosi villaggi, riportando la quotidianità di una popolazione che ha scelto di vivere in un ambiente difficile.
Il reportage di Paolo Solari Bozzi sarà pubblicato nel volume, in edizione inglese e italiana, Greenland Into White (Electa Mondadori).

Proprio le popolazioni Inuit sono al centro della ricerca di Ragnar Axelsson che, fin dai primi anni ottanta, ha viaggiato nelle ultime propaggini del mondo abitato per documentare e condividere le vite dei cacciatori nell’estremo nord del Canada e della Groenlandia, degli agricoltori e dei pescatori della regione dell’Atlantico del nord e degli indigeni della Scandinavia del nord e della Siberia.
Ragnar Axelsson racconta di villaggi ormai scomparsi, di intere comunità ridotte a due soli anziani che resistono in una grande casa scaldando una sola stanza; racconta di mestieri che nessuno fa più e di uomini che lottano per la sopravvivenza quotidiana. Ma dalle stampe di Axelsson emerge soprattutto l’umanità che ha incontrato sulle lunghe piste delle regioni artiche.
Dal canto suo, Carsten Egevang, partendo da una formazione accademica in biologia, che lo ha portato dal 2002 al 2008 a vivere in Groenlandia e a studiare la fauna ovipara della regione artica, ha saputo documentare con la sua macchina fotografica la natura selvaggia e la tradizionale vita delle popolazioni Inuit.
Accanto alle potenti immagini di una natura infranta e al contempo affascinante, tre documentari arricchiscono la narrazione delle regioni del Nord: SILA and the Gatekeepers of the Arctic, realizzato dalla regista e fotografa svizzera Corina Gamma; Chasing Ice, diretto dal giovane film-maker americano, Jeff Orlowski; The Last Ice Hunters, un documentario dei registi della Repubblica Ceca Jure Breceljnik & Rožle Bregar.

Sono previsti eventi e attività collaterali. S’inizia domenica 15 gennaio, dalle 10 alle 17, con il workshop che vedrà protagonisti Paolo Solari Bozzi, Ragnar Axelsson, Carsten Egevang e Denis Curti, direttore artistico dei Tre Oci e curatore della mostra.
Al termine del workshop e della visita all’esposizione, si svolgerà la lettura portfolio dei partecipanti (è prevista una quota d’iscrizione; la prenotazione è obbligatoria, mandando un’email a info@treoci.org).
Nel corso dell’esposizione, inoltre, la Casa dei Tre Oci avvierà un ricco progetto di didattica in collaborazione con Pleiadi, realtà che si occupa di educational da diversi anni.

Chiuderà la rassegna un’asta delle fotografie in mostra.

Tutte le info qua

Sulla strada – Giorgio Cottini

gc

“Firenze, Milano, Barcellona, Livorno, Londra, Lisbona, Napoli, Arcore, Desio …In ognuno di questi luoghi ho lasciato un frammento di cuore ed in cambio ho trattenuto emozioni e brandelli della loro anima. Barcellona mi ha donato il venditore di poesie lungo la Rambla; Lisbona la coppia di innamorati durante la pausa pranzo alla Feira de Ladra; Londra la poesia del Regent’s canal; Napul’è … mille colori; Firenze le mie radici, la mia storia, il mio partire sapendo di poter tornare; Milano, Desio, Arcore il mio quotidiano, fatto di architetture moderne e frenesia emotiva. Qualcuno cantava “queste sono le mie canzoni”.Io dico molto più modestamente: “queste sono le mie fotografie, i “fermo immagine” di momenti fissati indelebilmente non solo in macchina e carta ma nell’anima appunto”.

Così Giorgio Cottini presenta la sua mostra.  La Street photography di Giorgio è un mondo incredibile e sconfinato in cui è facile perdersi. I suoi scatti racchiudono la voglia e la necessità di raccontare una storia, anche attraverso un singolo scatto. L’obiettivo davanti al volto è l’immagine che meglio lo ritrae. La sua anima acchiappa il cuore, passa rapida attraverso braccio ed occhio e…click. Fermo immagine. Blocca quello scatto aspettato magari per giorni ad un angolo di strada perché….. “prima o poi qui accadrà qualcosa, me lo sento” O solo perché vagando per strada con i tuoi pensieri, lo sguardo coglie la storia e desidera fermare per sempre quell’istantanea di vita. Un frammento di esistenza.

I suoi scatti, narrano di un uomo resiliente, un uomo che sa cogliere la purezza di bimbi che giocano per strada, volti di donna fra milioni di persone, riflessi che si duplicano all’infinito nella vetrina di un Bar o della Libreria più famosa di Milano.

Molte immagini ricordano i fotografi degli anni 50. Quasi Felliniane alcune. I suoi scatti sono spontanei ma non lasciati al caso. Si perché per lui la spontaneità dev’essere a doppio senso, non a senso unico. Questo significa che ci dev’essere prima di tutto la spontaneità del soggetto ripreso, che non può essere fotografato in posa e, per essere precisi, non deve nemmeno sapere di essere fotografato. Un soggetto che si muove libero in un ambiente aperto, che non sa dell’esistenza di un fotografo pronto a immortalarlo mentre compie una qualsiasi attività quotidiana, che può essere un lavoro o un semplice gesto spontaneo e non costruito. Ma non può prescindere dalla spontaneità e dalla sensibilità del fotografo capace di cogliere anche solo un gesto di donna che si accarezza la base del collo, stanca sul tram, o il passo scelto di una impeccabile donna in carriera avvolta nel trench che attraversa lo spazio dell’obiettivo su tacco 12 avendo sullo sfondo graffiti metropolitani. Le sue foto trasmettono la poesia sfumata ed ovattata del bianco e nero, ma anche la geometria pulita, grintosa, caotica e convulsiva del metropolitano vivere.

Le immagini sono capaci di raccontare uno stato d’animo o un particolare momento che le parole difficilmente potrebbero esprimere in maniera migliore, ed è proprio qui la bravura di Giorgio Cottini. La sua street photography dunque non è fotografie improvvisata ma, frutto di anni di studio, di passione, di scatti e scatti, di umiltà e strada ripercorsa passo dopo passo dove altri prima di lui han posato le scarpe. La sua fotografia è fatta di colpo d’occhio, cuore, cervello, anima e ……. “ho visto la storia” .

Gli scatti di Giorgio Cottini ci fanno ricordare i grandi maestri: due nomi su tutti Robert Doiesnau e Henri Cartier Bresson. Molto umilmente lui ammette di essere rimasto folgorato dal loro modo di concepire la fotografia. La sua ultima fonte d’ispirazione però, anche per ragioni campanilistiche, è un altro nome importante della fotografia italiana meno conosciuto: Piergiorgio Branzi, fiorentino, giornalista RAI degli anni ’70, grande fotografo di un’Italia che non c’è più … un poeta con la macchina fotografica.

La realtà , di Cottini, quella che cerca di raccontare nei suoi scatti è sì più frenetica di quella narrata dai grandi maestri, quella che neanche la tecnologia digitale riesce sempre ad immortalare, ma mantiene intrinseca, la poesia delle storie immaginate  oltre il fermo immagine.

Imperdibile dunque la mostra…..Sulla Strada di Girogio Cottini. Villa Brivio – Nova Milanese. Aperta fino al 11 marzo 2017 sarà possibile visitarla in orari di apertura del Centro di Cultura Villa Brivio. Da martedì a sabato dalle ore 9.00 alle ore 18.00.

 

Mostre di fotografia consigliate per gennaio…accorrete! :)

Ciao a tutti,

spero che abbiate passato un sereno Natale e non vi siate impigriti troppo con le gambe sotto il tavolo, perchè a gennaio ci sono ancora un sacco di mostre da vedere!  😉

Buon inizio d’anno!

Anna

Blow your mind – Boogie

BOOGIE IS READY TO BLOW YOUR MIND!

In “It’s all good” ha documentato alcuni dei più famosi sobborghi della zona di Brooklyn a New York, tra cui Bushwick, Bedford, Stuyvesant, e Queensbridge. Boogie coglie l’intimità della vita di strada, raccontandola attraverso una presa diretta della realtà dei sobborghi newyorchesi, zone in cui sono radicate la violenza, il crimine e la povertà. Con l’intensità delle sue immagini in bianco e nero, Boogie costringe lo spettatore a entrare in contatto con una realtà oscura come quella che racconta. E’ un pugno nello stomaco, un faccia a faccia con la violenza e con la povertà, ma in qualche caso anche con la speranza e con un futuro che fatica a emergere tra le brutture e le difficoltà del quotidiano.
Il fotografo serbo di street culture Boogie, ha dato ultimamente alle stampe A Wah Do Dem, la sua sesta monografia, la prima a colori: ha scelto la Giamaica, e la capitale Kingston, per raccontare attraverso i suoi scatti la follia e l’umanità di una città difficile, dove la violenza e il crimine sono all’ordine del giorno nella vita dei suoi abitanti, lontano anni luce dalle spiagge bianche e dalle serate passate dai turisti cullati dalla musica reggae. E’ una ricerca intorno al lato oscuro dell’esistenza umana, iniziato negli anni ’90, quando Boogie cominciò a documentare con le sue fotografie le rivolte e gli scontri durante la guerra civile che ha distrutto la Serbia.
A Wah Do Dem (che suona più o meno “Cosa c’è che non va”) è un viaggio difficile, ma non meno affascinante, in un universo caotico, dove sembra più facile giocare con una pistola che con un pallone. “Stavo aspettando in un vicolo, in fondo alla strada, in uno dei quartieri più loschi di Kingston. Era buio pesto, e sentivo come se fossi lì ad aspettare da un’eternità. Ad un certo punto, è apparso dal buio un ragazzo che indossava una maschera raccapricciante da film dell’orrore e aveva con sé un M-16”, scrive Boogie nella sua introduzione. “Anche se ero stato portato lì da un amico di un amico, ero molto nervoso, non si sa mai quando le cose possono finire male. Dopo una breve presentazione, ho iniziato a scattare foto al ragazzo, rullino dopo rullino, non riuscivo a smettere. Era l’ultima notte del mio primo viaggio a Kingston, in Giamaica, e in quel momento ho capito che sarei dovuto tornare molto presto”.
Violenza e criminalità emergono prepotentemente dalle pagine opportunamente non patinate, attraverso una pistola in primo piano puntata contro chissà cosa, l’interno cencioso e lurido di una baracca, un manifesto mortuario strappato con la foto di un giovane, il filo spinato o la squallida simulazione di un atto sessuale sul cofano di una macchina. Ma anche dagli occhi tristi di due bimbi costretti a inventarsi un gioco con 4 tappi di bottiglia e un cartone di succo di frutta e da un caso agonizzante sul bordo della strada. Coltelli e armi, tante armi, rubano la scena agli uomini. Boogie porta chi guarda dentro la scena, nella scena: è al fianco dei poliziotti che perlustrano le strade, di fronte a quei giovani contro un muro che non hanno più voglia di credere, nei vicoli deserti che sono terra di nessuno. Nessun romanticismo, ma cruda realtà che il fotografo riesce a immortalare anche conquistando la fiducia di chi vive ai margini.

Dal 1 dicembre 2016 al 1 aprile 2017 – Napoli – Magazzini Fotografici

Tutte le info qua

Robert Doisneau – Icones

fdb_banner_doisneau

Dal 17 dicembre 2016 al 1° maggio 2017 il  Forte di Bard dedica una mostra ad uno dei più grandi fotografi del Novecento: Robert Doisneau.

Robert Doisneau. Icônes, a cura dell’Atelier Robert Doisneau di Parigi e dell’Associazione Forte di Bard, presenta una nuova selezione di fotografie realizzate dal grande artista francese nel corso della sua straordinaria carriera. Fil rouge del percorso la iconicità delle immagini, quelle che maggiormente hanno saputo conquistare l’immaginario collettivo e il grande pubblico, a partire dal celebre bacio del 1950, Le baiser de l’Hôtel de ville.

Doisneau viene definito per i suoi ritratti e la sua straordinaria capacità di raccontare la realtà nella sua quotidianità, un esponente della “fotografia umanista”. E’ lui, meglio di ogni altro, ad aver immortalato i miti e le icone della Parigi del ‘900, cogliendone appieno il loro fascino. Attraversando la Ville Lumière dalle rive della Senna alle periferie, regala un monumentale affresco di Parigi e dei parigini, immortalando gli aspetti più curiosi e le contraddizioni della società francese. I soggetti che lo hanno reso celebre sono i bambini e gli innamorati. In mostra anche i ritratti di personalità quali Picasso, Giacometti, Prévert.
Insieme ad Henry Cartier-Bresson è  considerato uno dei padri fondatori del fotogiornalismo di strada. Al centro della sua fotografia c’è l’uomo con le sue emozioni, spesso colte nei momenti surreali che si presentano nella vita di tutti i giorni.

Altre info qua

Copacabana Palace –  Peter Bauza

copacabana palace

Le persone che vivono qui lo hanno ribattezzato con il nome di un meraviglioso resort di lusso adagiato su una delle spiagge più famose di Rio de Janeiro: Copacabana Palace. Eppure, in questo posto, nulla rimanda alla benché minima idea di ricchezza. Manca tutto per definirlo anche soltanto vivibile. Eppure, questo posto è l’emblema di tutto quello che si può incontrare in Brasile, dai suoi lati radiosi a quelli più bui.

Questa è la storia di una serie di persone che cerca di rimanere in equilibrio sul sottile confine fra sopravvivere e precipitare. E’ la storia delle loro sofferenze tanto quanto le loro gioie, della loro forza così come la loro debolezza. Dei sorrisi, dei pianti, dei fallimenti, dei successi. E’ la storia di chi, ogni giorno, cerca di sopravvivere e superare una situazione ostile. Loro rappresentano l’icona degli innumerevoli problemi sociali che attraversano il nuovo Brasile (quello bello e vanitoso delle Olimpiadi, dei Mondiali di calcio, dei giochi Panamericani). Sono la polvere da nascondere sotto il tappeto, un problema che va tenuto abbastanza lontano da poterlo, semplicemente, ignorare.

Questa è la storia di Jambalaya (dal nome di un famoso show televisivo), un quartiere di “sem tetos” che oltre 10 anni fa occuparono una serie di condomini costruiti per la nascente classe media nell’area di Campo Grande, a circa 60 km dalla capitale carioca dalla società OAS. Come spesso succede in questo paese, una serie di difficoltà sopraggiunte (non ultima la corruzione) impedirono di completare l’opera edilizia. Niente di più facile, dunque, che queste cattedrali nel deserto diventassero facile preda di senza tetto, delinquenti, trafficanti. A qualcuno la casa fu assegnata nell’ambito di un programma di assistenza sociale, ma non potè mai prenderne possesso a causa delle gang occupanti. Oggi sono quasi trecento le famiglie che risiedono nelle varie palazzine. Inesistenza delle infrastrutture di base, violenza, droga, prostituzione: non manca nulla a Copacabana Palace. Così come non manca la leggerezza tipica dei brasiliani, il loro feroce attaccamento alla vita, la ricerca della felicità, la convinzione che tutto, sempre, possa cambiare in meglio.

Mentre il Brasile sperpera miliardi in infrastrutture che attraggano attenzione internazionale, prestigio e turisti, milioni di persone restano per strada, o – come se la cosa costituisse un sollievo – nelle favelas. Le tanto sbandierate politiche anti povertà si sono rivelate, nella migliore delle ipotesi, inefficaci; più spesso rivolte a beneficio di altri soggetti. Ma questa è la storia che il mondo non deve sapere.

Officine Fotografiche – Milano
Dal 15 dicembre 2016 al 17 febbraio 2017

Tutte le info qua

Fuori era estate  – Luigi Cecconi

listener

testo di Paola Paleari
curato da Annalisa D’Angelo

Nel mondo reale, nella società postmoderna, evoluta, liberale, che ha abbattuto tante barriere in favore dell’autonomia di scelta e di espressione individuale, esistono delle aree controverse, delle zone d’ombra in cui la chiarezza del pensiero logico, sano, colto e civile non è ancora in grado di fare piena luce. Sono zone dolorose da attraversare, perché il rischio di ritrovarsi soli e uscirne confusi è molto alto. Sono argomenti insidiosi da avvicinare, in quanto, una volta lasciato alle spalle il vociare di chi si accalca sentenziando all’ingresso, vi regna un gran silenzio.

Le conseguenze psicologiche dell’interruzione di gravidanza sono una di queste aree politicamente e moralmente controverse. Ogniqualvolta un individuo è soggetto a un’esperienza traumatica senza che gli sia data l’opportunità di processarla liberamente, le ripercussioni sul piano emotivo sono inevitabili. L’aborto è senza dubbio un’esperienza traumatica, ma è anche un diritto, conquistato con fatica. E ogni diritto, una volta riconosciuto collettivamente come tale, comporta dei doveri e delle responsabilità – non solo da parte del soggetto interessato, ma dell’intera comunità. Ci vuole certamente coraggio per assumersi una qualsivoglia responsabilità.

Anche nel mondo privilegiato e protetto dell’arte esistono dei terreni scivolosi in cui l’artista diffida ad addentrarsi, ma per la ragione opposta, ossia perché sono stati tanto battuti e coltivati da risultare ormai quasi consunti.
Prendiamo, per esempio, il campo dei sogni. Fonte di ispirazione umana fin dai tempi delle antiche civiltà, luogo di verità e predizione, il sogno è stato un grande protagonista del Ventesimo secolo, simbolo e strumento di rivoluzioni sociali e movimenti artistici. Nel corso dei decenni, termini quali surrealismo, inconscio e psicoanalisi hanno esondato gli argini della conoscenza specializzata per diffondersi e venire condivisi nella pratica comune. La ricerca di un orizzonte nuovo e sfaccettato e la sovversione della banalità che l’universo onirico aveva contribuito a formulare sono state riassorbite nel pensiero ordinario e il sogno è diventato uno stereotipo. Ci vuole coraggio anche per intraprendere un dialogo attraverso uno stereotipo.

Che coraggio, è la prima cosa che ho pensato quando Luigi mi ha mostrato il suo lavoro, un anno fa. Si presentava ancora in una fase semi-embrionale, non era definito e raffinato come lo vediamo oggi in galleria, ma i presupposti per far tremare i polsi erano già tutti presenti. Un progetto sugli effetti emotivi dell’interruzione di gravidanza, raccontati tramite una trasposizione fotografica delle immagini oniriche descritte da donne che hanno vissuto l’esperienza in prima persona. Un progetto sull’aborto, o meglio sugli aspetti dell’aborto da cui ci sentiamo esenti, ossia il post-chirurgico, il dopo immateriale. Un progetto sul sogno, con il suo carico di cliché a copertura della sua meno romantica, ma ancora attuale, valenza sociale e collettiva. Non solo! Un progetto fotografico sui sogni causati dall’aborto. Nemmeno l´ancora dell’astrazione a parziale salvaguardia delle implicazioni di un obiettivo tanto rischioso. Ma questo progetto mi chiamava, mi aspettava da troppo tempo, Luigi mi ha confidato.

Che coraggio, già, per decidere di dare ascolto a un tale pensiero e voce a un tale argomento. Ma una volta intrapresa questa scelta, quale altra soluzione avrebbe potuto attuare Luigi, se non la fotografia? Semplicemente, e molto onestamente, è questo ciò che Luigi sa fare. Raccontare per immagini. Tradurre in fotografie descrittive, rappresentative, e allo stesso tempo simboliche, ciò che ha con molta pazienza raccolto e ascoltato. E poi agire sulla sostanza, nel senso più fisico del termine. Lavorare sulla materia, sul foglio, sulla struttura. Applicare tecniche passate, sperimentare soluzioni nuove, ideare, realizzare, scartare, ricominciare, ancora e ancora.
Un cammino lungo e faticoso, di cui ho seguito gli alti e i bassi, le soddisfazioni e la frustrazioni. Non sono convinta che a inizio percorso Luigi fosse pienamente consapevole delle incombenze di cui avrebbe dovuto farsi carico, ma gli sono grata per aver avuto il coraggio di non mollare a metà strada.

Il sogno è fenomeno stranissimo ed un mistero inspiegabile, ma ancor più inspiegabile è il mistero e l’aspetto che la mente nostra conferisce a certi oggetti, a certi aspetti della vita (1). E´ una dichiarazione un po´ datata ma credo contenga molto dello spirito di ‘Fuori era estate’.
Un lavoro che affronta i concetti su cui fondiamo le nostre certezze alla luce di una conoscenza vissuta, invece che al riparo astratto di costruzioni morali, etiche, estetiche, o più generalmente teoriche. Le stampe pazientemente ottenute tramite processi tradizionali, così come i supporti in cui le parole delle donne emergono dal fondo dell’indifferenza, ci invitano a dissolvere lo stato d’ignoranza attorno a cui articoliamo le convinzioni su cosa sia la vita e sul suo significato. E allo stesso tempo, con molta delicatezza, ci mantengono liberi di spaziare, di immaginare, di poter godere, nonostante tutto, del dato visivo.

Percorrendo le esperienze raccontate, tanto private quanto universali, ci ritroviamo infine a prendere consapevolezza che tutti noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni (2). Davvero questo può farci paura? Suona come una frase da scatola di cioccolatini, e invece è una verità asciutta, una responsabilità chiara e inequivocabile. Che richiede – ancora una volta, ma non solo a Luigi questa volta – coraggio e umiltà.

(1) Massimo Carrà, “Metafisica”, Mazzotta, 1968
(2) William Shakespeare, “La tempesta”, atto IV, scena I

17.12 – 14.01.2017 – Fonderia 20.9 –  Verona

Tutte le info qua

Nobuyoshi Araki – Araki Amore

La Galleria Carla Sozzani presenta a Milano una mostra di Nobuyoshi Araki uno dei più grandi e controversi fotografi giapponesi contemporanei. Una selezione di più di ottanta opere, in gran parte inedite e realizzate negli ultimi due anni, dall’emblematico titolo “Araki Amore”, a cura di Filippo Maggia.

 Nobuyoshi Araki è un artista generoso, infaticabile esploratore delle umane passioni e fine ritrattista, capace di mettersi in profonda relazione con il soggetto. In mostra i temi classici della sua fotografia – i nudi, il ritratto, le composizioni floreali, la caotica eppure ordinata città metropolitana – riletti e rielaborati col recupero dei negativi realizzati nei decenni passati.

 La figura femminile appare nei suoi lavori più recenti meno ostentata e come evocata: nelle figure di danza della ballerina Kaori e nell’utilizzo di bambole e pupazzi che da sempre popolano il mondo onirico del fotografo, come fossero ricordi, o memorie o appunti lasciati sul diario sentimentale di una vita spesa a celebrare la bellezza e la caducità di ciò che è destinato a sfiorire.

Galleria Sozzani Milano dal 18 novembre 2016 al 12 febbraio 2017

Tutti i dettagli qua

Joakim Eskildsen – Roma Journeys

143_roma_hand

Ten years after Joakim Eskildsen completed his work on The Roma Journeys and after touring more than 30 venues, Gallery Taik Persons has the pleasure to present the project for the first time at its Berlin gallery.

Between 2000 and 2006 Joakim Eskildsen and writer Cia Rinne undertook journeys in seven different countries with a view to gaining an insight into the life of the Roma and the conditions they face. They visited Roma communities in Hungary, Greece, Romania, France, Russia, and Finland as well as possibly related groups in India, spending considerable lengths of time among the people whom they wanted to learn about and, where  possible, they lived with them for a while, allowing them to build close connections to the families.

The project culminated in the award-winning book The Roma Journeys, to which Günter Grass contributed the foreword, comprising a series of almost 250 photographs by Eskildsen accompanied by Rinne’s essays introducing the visited Roma as well as a sound collage from each journey. It gives a rare insight to the life, history, and situation of the largest European minority.

In his photographic body of work, Eskildsen does not depict the Roma from a voyeuristic point of view but rather from the inside, allowing the viewer to be a close observer of their intimate moments and everyday lives. “We have been frequently asked what had triggered our interest in the Roma, but we were unable to provide a definitive, let alone exhaustive answer. What is certain is that, once we had started, it seemed impossible not to continue with the project. The more we found out about the Roma and got to know them, the more our interest in and liking for them grew,” Rinne and Eskildsen state.

The exhibition at Gallery Taik Persons presents the project in a different way from the touring exhibition: It gives an intimate insight not only into the photographs and the Roma communities but also in the way the book came about. Besides a number of early drafts of the book, showing the traces of several journeys, the exhibition features sets of nine photographs from each Roma community accompanied by two separate wall installations, one of which depicts the most emblematic work from the series in an impressive large-scale reproduction.

Throughout their history, the Roma have been subjected to persecution, expulsion, slavery, prohibitions on the use of the Romany language and other creative attempts to assimilate, misuse or extinguish their peoples. In Europe, attitudes towards them remain at least suspicious, and many still face direct discrimination. The Roma Journeys is not only a project of political force but also a greatly poetic and intimate insight into a rarely seen world.

Gallery Taik Persons – Berlino – fino al 14 gennaio 2017

Tutti i dettagli qua

The Psychic Lens: Surrealism And The camera

Atlas Gallery, London, presents a new exhibition exploring photographers who responded to Surrealism over the past five decades. The Psychic Lens: Surrealism and the Camera features famous vintage images such as Man Ray, Andre Kertesz and Florence Henri, alongside works from rarely exhibited figures such as Franz Roh, Raoul Hausmann and Vaclav Zykmund.

Surrealism was an avant-garde movement with its roots in 1920s, influencing artists and writers to experiment with ways of exploring and releasing the subconscious imagination. Andre Breton is credited with giving the movement momentum in Paris in 1924: time saw the influence of Surrealism spread across the globe, as shown in the inclusion of Toshiko Okanoue’s collages from the 1950s.

The exhibition explores the two broad types of Surrealism, the first consisting of dream-like imagery, seen in the works of Roger Parry and Cesar Domela, and the second automatism, a process in which conscious thought is removed from the artistic expression to unleash the unconscious, as show in some of Man Ray’s work. Central ideas and themes in Surrealism, such as solarisation, still life and nudes informed the discourses of photography for many years.

Also featured in the exhibition are photographers who documented the figures associated with Surrealism, including Herbet List’s portrait of Jean Cocteua, and Steven Schapiro’s depict of Rene Magritte.

Atlas Gallery – London  from 24 November to 28 January

Further info here

Robert Mapplethorpe

mapplethorpe-730x490

2 novembre 2016 – 11 febbraio 2017 – Galleria Franco Noero – Torino

Robert Mapplethorpe è considerato uno dei più importanti e influenti fotografi del ventesimo secolo. La mostra ripercorre le varie fasi della sua carriera, cominciata negli anni settanta e terminata con la sua morte, nel 1989. Esposti ci sono i ritratti che ha scattato a personaggi come Patti Smith e Andy Warhol, le nature morte e i primi piani sui fiori, fino ai nudi maschili e femminili che mostrano come Mapplethorpe fosse stato influenzato dalla visione dell’arte classica del corpo umano e dalla bellezza delle sue forme.

Altre info qua

Muybridge Recall Acireale

Capture.JPG

Dopo il successo della “prima” alla Galleria Gruppo Credito Valtellinese di Milano, la grande mostra italiana su Eadweard Muybridge (1830 – 1904), il fotografo che “inventò” il movimento, influenzando con le sue immagini Degas e gli artisti del suo tempo e anticipando la nascita del cinema, giunge alla Galleria Credito Siciliano ad Acireale, dal 2 dicembre 2016 al 19 febbraio 2017. A Milano la mostra ha conquistato un amplissimo spazio sui media, appassionando il mondo della fotografia. Infatti non era mai stata realizzata finora un’esposizione di tale portata su Muybridge, uno dei protagonisti della storia della fotografia. Il successo è dato anche dall’originale taglio performativo che i curatori Leo Guerra e Cristina Quadrio Curzio hanno voluto imprimere all’esposizione, di cui molte persone appassionate di questo ambito (ma anche di storia della tecnica e del costume) potranno godere grazie alla riproduzione completa presso la Galleria Credito Siciliano.

Muybridge, inglese emigrato negli States, ebbe il primo approccio professionale con la fotografia documentando la potente bellezza del Parco Nazionale di Yosemite. Poi la curiosità di un uomo d’affari lo spinse a verificare l’ipotesi se, nel galoppo, tutte e quattro le zampe del cavallo risultassero contemporaneamente alzate rispetto al suolo, come le aveva dipinte, per esempio, l’artista francese Théodore Géricault nel dipinto Il Derby a Epsom (1821).

Utilizzando 24 fotocamere collegate ad altrettanti fili lungo il percorso, Muybridge ottenne una sequenza di immagini che documentavano con assoluta precisione il movimento dei cavalli, confermando che per alcuni istanti effettivamente nel galoppo l’intero loro corpo risulta sollevato dal suolo, ma indicando anche che l’estensione delle zampe risultava del tutto diversa da quella immaginata dagli artisti. Paul Valéry riconobbe come “le fotografie di Muybridge rivelano chiaramente gli errori in cui sono incorsi tutti gli scultori e i pittori quando hanno voluto rappresentare le diverse andature del cavallo”.

Queste immagini divennero celebri: molti artisti, e tra loro Degas, capirono l’importanza della fotografia come fonte di documentazione oltre la capacità visiva. Divenne comune trasporre dalle foto non solo il movimento invisibile all’occhio umano ma anche altri aspetti della realtà, giungendo a dipingere direttamente sull’immagine fotografica. Dopo i cavalli, gli uccelli in volo e il movimento degli animali dello Zoo di Philadelphia, il soggetto diventò l’uomo. Divennero presto celebri i suoi nudi in movimento, fotografati su uno sfondo con una griglia disegnata, mentre correvano, salivano le scale o portavano secchi d’acqua. Con la collaborazione dell’Università di Pennsylvania,  Muybridge mise a punto lo Zoopraxiscopio, uno strumento simile allo Zoetropio, che consentiva di proiettare le immagini, rendendole così contemporaneamente visibili ad un piccolo pubblico. Come al cinema.

Tutte le info qua

Seven japanese rooms. Fotografia contemporanea dal Giappone

1180x350_b-1

L’esposizione, visitabile fino al 5 marzo 2017, presenta le opere di Tomoko Kikuchi, Toshiya Murakoshi, Koji Onaka, Chino Otsuka, Lieko Shiga, Risaku Suzuki, e Chikako Yamashiro, sette tra gli artisti più rappresentativi del panorama giapponese oggi più che mai eterogeneo per metodi espressivi, tematiche e media utilizzati.

Con questa nuova esposizione Fondazione Carispezia prosegue il percorso dedicato alla fotografia contemporanea, inaugurato nel 2015 con la prima mostra personale in Italia del fotografo armeno-siriano Hrair Sarkissian e pensato per valorizzare questo particolare aspetto del linguaggio artistico contemporaneo, anche quale strumento per la comprensione di alcune di quelle contraddizioni e complessità che caratterizzano oggi molteplici aspetti della società e della cultura contemporanee.

Come sottolinea il curatore nel testo introduttivo al catalogo edito da Skira, che accompagna l’esposizione “Seven Japanese Rooms” e raccoglie, oltre alle opere e agli artisti presenti, i lavori di altri sette fotografi della scena artistica giapponese contemporanea: “Osservata dall’esterno, la scena contemporanea giapponese appare nella sua complessità ricca, assai variegata, finanche seducente. La stessa impossibilità di definire una o più tendenze assume immediata valenza positiva, tali e tanti sono i campi d’indagine, tutti affrontati con pari intensità e quella originalità di cui molte volte difetta la fotografia occidentale. E’ questa un’altra peculiarità che rende unico il palcoscenico nipponico delle immagini: capace di distaccarsi dall’ingombrante eredità dei maestri facendo proprie istanze che nascono dai cambiamenti in atto nella società contemporanea, tradotte in opere nitide, a volte anche formalmente classiche eppure graffianti, crude, essenziali. Ci troviamo di fronte a una generazione di artisti che, per quanto proceda in ordine sparso e ancora a credito di adeguato sostegno, è ben consapevole dei propri mezzi e parimente abile a intercettare trasversalmente sensibilità condivisibili da tutti, in primis proprio dalla critica e dal pubblico occidentale che sembra da anni ormai come sedato da estetismi ridondanti”.

La ricerca di questi fotografi è caratterizzata da approcci differenti, ma accomunata dalla vicinanza a temi strettamente legati alla realtà, dove l’esperienza diretta – intesa come coinvolgimento dell’artista nel vissuto quotidiano – rappresenta l’elemento fondante e comune a opere fra loro tanto diverse.

Koji Onaka e Risaku Suzuki giocano, all’interno di questa selezione, il delicato ruolo di collegamento con la generazione di artisti precedente, nella quale spiccano i nomi di Yasumasa Morimura e Hiroshi Sugimoto. Koji Onaka cattura il paesaggio giapponese in immagini a colori raccolte nel corso dei suoi numerosi viaggi attraverso il Paese. Risaku Suzuki riflette, invece, sulla percezione dello sguardo verso soggetti semplici – la neve o i fiori di ciliegio, come nelle opere della serie Sakura presenti in mostra – che puntualmente ritornano nel suo lavoro incentrato sulla consapevolezza che nulla è eterno, ma che, allo stesso tempo, tutto può essere messo in relazione con una nuova vita.

Tomoko Kikuchi, Chino Otsuka e Lieko Shiga appartengono a quella schiera di artiste volitive e indipendenti capaci, nell’ultimo decennio, di intraprendere strade anche difficili pur di affermare la propria ricerca. Tomoko Kikuchi si è trasferita in Cina per indagare temi “scomodi” e tenuti celati all’opinione pubblica, come quello dei transgender. Chino Otsuka, che risiede da anni in Inghilterra, approfondisce nelle proprie opere il rapporto tra storia personale e memoria: nel suo lavoro più recente Memoryscapes, presente in mostra, l’artista ha ri-fotografato alcuni dettagli di vecchie fotografie ingrandendo l’immagine che frammentata e sfuocata, inizia a raccontare la propria storia. Ancora diversa è l’avventura intrapresa da Lieko Shiga che si è trasferita nello sperduto villaggio di Kitagama – nel nord-est del Giappone sull’Oceano Pacifico – dove ha lavorato per quattro anni come fotografa ufficiale della città, documentando le festività, le cerimonie e ogni attività del villaggio ma anche raccogliendo le narrazioni orali sulla storia dell’insediamento.

Chikako Yamashiro indaga la cultura e le tradizioni del luogo in cui è nata e vive, Okinawa, in un puzzle dove realtà e sogno s’intersecano e sovrappongono, come accade nel video Your voice came out through my throat – esposto a La Spezia – che muove dal racconto dell’esperienza della Battaglia di Okinawa narrato all’artista da alcuni anziani della sua città. La regione natale è il tema esplorato – seppure in maniera completamente differente – anche da Toshiya Murakoshi che dal 2006 lavora principalmente nella sua città di provenienza, Fukushima, realizzando fotografie in bianco e nero, serene e potenti, di paesaggi che sembrano ripercorrere i suoi ricordi. Le immagini della campagna attorno a Fukushima, apparentemente identica a tante altre zone presenti in Giappone, sono, però, inevitabilmente accompagnate dal legame sottinteso al sisma e al disastro nucleare: la fotografia diviene un modo per pensare ed elaborare il disastro e le immagini, silenziose ed evocative, le custodi della memoria.

Dal 17 dicembre 2016 al 5 marzo 2017 – Fondazione Carispezia – La Spezia

Tutti i dettagli qua

Lucienne Bloch: dentro la vita di Frida Kahlo

ONO Arte Contemporanea presenta “Lucienne Bloch: dentro la vita di Frida Kahlo”, una mostra fotografica che racconta non solo l’amicizia tra le due donne, ma anche e soprattutto la vita di Frida Kahlo, da un punto di vista intimo e privilegiato. “Io ti odio”. Sono state queste le prime parole che Frida Kahlo rivolge a Lucienne Bloch durante il party al MOMA di New York nel 1931, organizzato in onore di Rivera che in quel periodo avrebbe dovuto affrescare sette pannelli per la sua personale nel museo newyorkese. Lucienne e Rivera erano stati fianco a fianco tutta la sera, avevano parlato per lo più della tecnica dell’affresco, che Lucienne amava e che aveva studiato nel suo viaggio in Italia ma anche nelle scuole d’arte che aveva frequentato. La sintonia era palese, ma quello che Frida ancora non sapeva era che Lucienne, a differenza delle altre donne che gravitavano intorno a quell’”ingombrante” marito, sarebbe diventata una delle sue amiche più fedeli e fidate, colei che le sarebbe stata a fianco quando avrebbe abortito, quando avrebbe perso la madre e quando avrebbe scoperto il tradimento di Diego con la sorella Cristina. E subito dopo quel primo incontro newyorkese con Rivera, ne diventa assistente: ne condivide ideali politici ma anche estetici. Entrambi sono alla ricerca di un’arte per il popolo, che sia comprensibile e quindi fruibile da tutti. Lucienne segue Diego durante l’esecuzione di tutti i suoi murales negli Stati Uniti, come quello del Rockfeller Center di New York, che poco prima che venisse distrutto per il contenuto politico, riesce a fotografare sfuggendo alle guardie che Frida si era premurata di distrarre, regalandoci le uniche immagini tutt’oggi esistenti di quei lavori. Lucienne Bloch, da sempre aveva nutrito una grande passione per l’arte, che il padre, il noto compositore Ernst, aveva da sempre appoggiato e incoraggiato. Dopo averla iscritta alle migliori scuole, le aveva inoltre regalato le sue due prime macchine fotografiche (una Brownie Box Camera prima e una Leica dopo), le stesse con le quali inizia ad immortalare una sempre più complice Frida.

L’amore, la politica e l’arte. Le foto di Lucienne raccontano tutto questo, in modo candido e ravvicinato: Frida sorridente alla mattina, Frida che bacia Diego, Frida che scherza di fronte all’obiettivo. Sono molti i punti che le legano: entrambe artiste, entrambe libere da ogni tipo di briglia sociale, entrambe forti e determinate. Lucienne Bloch, attraverso queste immagini, ci offre l’opportunità di cogliere la vera essenza della Kahlo, quella che solo un rapporto così intimo era in grado di far emergere. Le loro strade si divideranno solo nel 1938, quando Lucienne e Dimitroff (assistente di Rivera che la Bloch sposerà) si trasferiscono in Michigan e Frida torna in Messico, ma la carica di questo rapporto continuerà ad influenzare non solo la vita, ma soprattutto i lavori di queste due grandi artiste.

La mostra (15 dicembre 2016 – 26 febbraio 2017) è composta di 45 fotografie in diversi formati. Tutte le fotografie sono vintage print, stampate e firmate da Lucienne Bloch.

Tutte le info qua

.

Mostre per settembre

 

Se durante l’estate avete “staccato la spina” con la fotografia, eccovi delle mostre da cui ricominciare a settembre.

Ciao

Anna

RENE BURRI, UTOPIA + FERDINANDO SCIANNA, IL GHETTO DI VENEZIA 500 ANNI DOPO

VENEZIA, CASA DEI TRE OCI

DAL 26 AGOSTO 2016 ALL’8 GENNAIO 2017

Due progetti espositivi autonomi presentano, da un lato, 100 immagini di René Burri dedicate all’architettura e ai suoi protagonisti, dall’altro, 50 scatti inediti di Ferdinando Scianna in occasione dei 500 anni dalla fondazione del Ghetto ebraico a Venezia

Dopo il successo della mostra Helmut Newton. Fotografie, la Casa dei Tre Oci di Venezia riprende il proprio programma espositivo con due proposte dedicate ad altrettanti maestri della storia della fotografia: René Burri e Ferdinando Scianna.

Dal 26 agosto 2016 all’8 gennaio 2017, le sale dello spazio veneziano sull’isola della Giudecca si apriranno alle rassegne “René Burri. Utopia”, curata da Michael Koetzle, e “Ferdinando Scianna. Il Ghetto di Venezia 500 anni dopo”, curata da Denis Curti. La mostra dedicata a Ferdinando Scianna è frutto del lavoro fotografico realizzato su incarico di Fondazione di Venezia e realizzato appositamente per i Tre Oci in occasione del Cinquecentenario della fondazione del Ghetto ebraico a Venezia.

I due diversi progetti si snoderanno autonomamente seguendo un percorso coerente e lineare, che si svilupperà a partire dalle 100 opere di René Burri, distribuite tra pianterreno e piano nobile, e si concluderà al secondo piano, con le oltre 50 fotografie inedite di Ferdinando Scianna.

Entrambi membri della prestigiosa agenzia fotografica Magnum, Burri (che ne diverrà presidente nel 1982) e Scianna appartengono, pur nella loro diversità, a quella categoria di autori che attraverso il mezzo fotografico esprime personali visioni, sia che si traducano nella passione di Burri di documentare grandi cambiamenti politici e sociali, sia che rispondano al tentativo, nel caso di Scianna, di carpire, all’interno del flusso caotico dell’esistenza, “istanti di senso e di forma”.

Utopia di René Burri (Zurigo, 1933-2014) riunisce, per la prima volta, oltre 100 immagini del grande artista svizzero dedicate all’architettura, con scatti di famosi edifici e ritratti di architetti.

La fotografia di Burri nasce dal bisogno di raccontare i grandi processi di trasformazione e i cambiamenti storici, politici e culturali del Novecento con una forte attenzione verso alcuni personaggi (indimenticabili i suoi ritratti di Che Guevara e Pablo Picasso) che ne hanno fatto parte.

Utopia – che si tiene in contemporanea con la Biennale di Architettura 2016 – s’inserisce all’interno di questa prospettiva, in quanto Burri concepisce l’architettura come una vera e propria operazione politica e sociale che veicola e impone una visione sul mondo, e che lo spinge a viaggiare tra Europa, Medio-Oriente, Asia e America latina sulle tracce dei grandi architetti del XX secolo, da Le Corbusier a Oscar Niemeyer, da Mario Botta a Renzo Piano, da Tadao Ando a Richard Meier.

Accanto ai loro ritratti e alle loro costruzioni, in Utopia si ritrovano anche le immagini di eventi storici particolarmente densi di contrasti e di speranze, come la caduta del muro di Berlino o le proteste di piazza Tienanmen a Pechino nella primavera del 1989.

L’ultimo piano della Casa dei Tre Oci è dedicato all’opera di uno dei più importanti fotografi italiani, Ferdinando Scianna (Bagheria, 4 luglio 1943). In occasione dei 500 anni della nascita del Ghetto ebraico di Venezia (formatosi il 29 marzo 1516), la Fondazione di Venezia ha deciso di avviare una ricognizione fotografica con l’obiettivo di raccontare la dimensione contemporanea del Ghetto. Il progetto espositivo è realizzato da Civita Tre Venezie.

Scianna ha realizzato un reportage fotografico in pieno stile Street Photography, raccogliendo immagini inerenti la vita quotidiana del Ghetto, senza tralasciare ritratti, architetture, interni di case e luoghi di preghiera. Chiese, ristoranti, campi, gondole sono i soggetti che animano il panorama visivo del progetto. Da segnalare, in questa narrazione, la compresenza di una dimensione simbolica, storica, rituale, intrinsecamente connessa a luoghi e gesti, e una semplicità nella descrizione di un tempo presente e ordinario.

“Ferdinando Scianna – osserva il curatore Denis Curti – ha saputo costruire un racconto delicato […]. Ha dato forma a una memoria collettiva elevando e distinguendo singole storie: se ne avverte la bellezza e la solennità. […] Il dolore mai urlato dell’Olocausto. Le pietre d’inciampo e i segni di una vicenda destinata a restare indelebile. […] Dentro queste fotografie ci si orienta. I punti cardinali si fanno abbraccio e segnano le linee di una confidenza visiva capace di entrare nei confini dell’intimità dei molti ritratti che compongono il complesso mosaico di questa esperienza: è il linguaggio degli affetti, è la grammatica dei corpi”.

Altre info qua

MAGNUM SUL SET . I GRANDI FOTOGRAFI E IL CINEMA

Lu.C.C.A. – Lucca Center of Contemporary Art
2 luglio – 13 novembre 2016
a cura di Maurizio Vanni

La realtà della finzione

In tempi dove non è più la finzione a intromettersi nella realtà, ma la verità digitale a invadere i territori della fiction, la mostra degli scatti che alcuni grandi fotografi hanno dedicato al cinema ci fa riflettere sul rapporto tra realtà e finzione, tra verità e illusione, e tra quotidianità e sogno. Quello dei fotografi Magnum è un lavoro che non ha niente a che vedere con la fotografia di scena – immagini prevedibili realizzate sul set a fini promozionali –, ma è una vera e propria perlustrazione creativa realizzata senza vincoli, con onestà intellettuale e libertà espressiva, per raccontare il dietro le quinte non tanto del set cinematografico, ma dei personaggi che, di lì a poco, avrebbero fatto la storia del grande schermo. Il cinema potrebbe essere considerato lo specchio del mondo, ma anche il suo sogno e la sua invenzione: nessun’altra espressione artistica è stata mai così legata alla realtà proprio perché basata sul concetto della finzione. Sul grande schermo, il più delle volte, realtà e finzione sono talmente vicine da confondersi: più la macchina da presa viene neutralizzata, più la realtà sembra porsi in modo naturale e più si è di fronte a una fiction consapevole.

La narrazione visiva della mostra evidenzia un rapporto di complicità tra attori e fotografi, un feeling che, da una parte libera i personaggi dal dover stare in pose convenzionali; dall’altra stimola i fotografi a cercare tutti i particolari che rendono unico e irripetibile ogni momento, quindi più vero della stessa realtà. Ironia, fragilità, consapevolezza espressiva, impertinenza, emozione, vulnerabilità e devozione per la propria professione: ne risulta una galleria di ritratti, di composizioni non convenzionali, di momenti visivi talmente implausibili da proiettare il visitatore in una dimensione alternativa, più intima e riservata, anche laddove c’è la consapevolezza di essere di fronte a un obbiettivo.

Ogni scatto si manifesta come un luogo esperienziale nel quale si perde di vista la barriera tra conoscenza e inganno, tra persona e professionista, tra finito e infinito con una serie di immagini che si insinuano prepotentemente nella mente di chi guarda, stimolandolo a immaginare la scena o in certi casi a concluderla. L’immaginazione corrisponde a un lavoro inesauribile che l’artista produce sul dato fenomenico: senza realtà non potrebbe esserci fiction, ma senza finzione, probabilmente, non potrebbe esserci vera realtà.

Qua tutte le info

100 attimi – fotografia di strada

Dal 2 al 13 settembre Casa dei Carraresi ospita la mostra collettiva “100 ATTIMI. Fotografia di strada”, rassegna dedicata alla Street Photography Contemporanea Italiana.
La mostra è organizzata da Umberto Verdoliva, fotografo e fondatore del collettivo SPONTANEA ed esporranno i loro lavori i principali collettivi italiani: gruppo Mignon, collettivo Spontanea, collettivo InQuadra, collettivo Eyegobananas e alcuni autori locali.
La rassegna includerà anche lo STREET FOLIO, una giornata dedicata alla lettura di lavori e progetti fotografici dei membri del collettivo SPONTANEA e di alcuni rappresentanti dei collettivi invitati.
L’evento è stato realizzato grazie al contributo di: TOYOTA – LEXUS BIANCO, Ar-fer arte ferro, FOTOGRAFIA DIGITALE.

Umberto Verdoliva nato a Castellammare di Stabia (Na), vive a Treviso dal 2006, si dedica da oltre 10 anni alla fotografia di strada e alla sua propaganda. Ha ricevuto numerosi premi e pubblicazioni nelle principali riviste di settore. Ha esposto i propri lavori in diverse mostre. Ha inoltre pubblicato nel 2016 il suo primo volume dal titolo “An ordinary day”, curato e pubblicato dal gruppo Mignon di Padova.

Qua un’interessante intervista ad Umberto Verdolilva, curatore della mostra e fotografo di strada.

Qua altre info sulla mostra

LEONARD FREED – IO AMO L’ITALIA

 

L’Assessorato dell’istruzione e cultura della Regione autonoma Valle d’Aosta comunica che l’Assessore Emily Rini inaugura venerdì 20 maggio 2016, alle ore 18, al Centro Saint-Bénin di Aosta, la mostra Leonard Freed. Io amo l’Italia che presenta una ricca selezione di immagini scattate dal fotografo americano in diverse località italiane, dalla metà del Novecento agli inizi del nuovo secolo. La rassegna di Aosta, proposta dall’Assessorato Istruzione e Cultura della Regione autonoma Valle d’Aosta, è curata da Enrica Viganò in collaborazione con il Leonard Freed Archive e presenta al pubblico cento fotografie, tra vintage e modern print, che compongono una sorta di diario degli oltre quarantacinque soggiorni compiuti dal fotografo statunitense in Italia, terra con la quale intrattenne un rapporto che lui stesso definì “una storia d’amore”. L’Assessorato regionale, confermando il suo impegno nel sostenere la proposta culturale del territorio con un evento di richiamo, prosegue così nell’offerta di approfondimenti sulla cultura fotografica, dopo le esposizioni sui grandi nomi della fotografia del Novecento, tra cui le mostre dedicate ad André Villers (2008), Mario De Biasi (2012), Elliott Erwitt (2012), Pepi Merisio (2013) e Gian Paolo Barbieri (2014).

Centro Saint-Bénin – Aosta
20 Maggio 2016 – 20 Settembre 2016

 

HELMUT NEWTON. A Gun For Hire, Selection

Carpi, Musei di Palazzo dei Pio
Sabato 10 Settembre 2016 – Domenica 11 Dicembre 2016

Esposto per la prima volta in Italia, a Carpi, un corpus di oltre 50 fotografie dalla celebre mostra “A gun for hire”, che raccoglie le immagini scattate da Helmut Newton per le campagne promozionali del marchio Blumarine, tra le eccellenze del distretto tessile della città emiliana.

Dal 10 settembre all’11 dicembre 2016 la città di Carpi (Modena) omaggia uno tra i più grandi fotografi di moda di tutti i tempi, con un’esposizione che presenta scatti mai esposti prima in Italia.
Sono oltre cinquanta le immagini della mostra HELMUT NEWTON. A gun for hire, selection / Le fotografie per Blumarine 1993 – 1999, un evento che ricostruisce, nella cornice dei Musei di Palazzo dei Pio, la stagione che ha visto il maestro tedesco lavorare per una delle aziende simbolo del comparto tessile di Carpi, prossima a compiere il suo quarantesimo anniversario (nel 2017), ideando campagne di comunicazione che hanno coinvolto icone di femminilità come Carré Otis, Nadja Auermann, Carla Bruni, Monica Bellucci ed Eva Herzigova.

L’esposizione, a cura di Luca Panaro, è ideata e prodotta dal Comune di Carpi – Musei di Palazzo dei Pio in collaborazione con la Helmut Newton Foundation di Berlino, da cui arrivano quasi tutti i materiali inediti esposti, e Blumarine, grazie al contributo di Fondazione Cassa Risparmio Carpi e Banca Popolare dell’Emilia Romagna, CMB e Unipol Assicurazioni.

Con il titolo di A gun for hire si considera la grande retrospettiva itinerante, realizzata la prima volta a Montecarlo nel 2005, che illustra in modo puntuale il lavoro di Helmut Newton per il mondo della moda, tra campagne per le griffe più importanti del momento e servizi per le riviste più significative, a partire dagli Anni Sessanta e fino alla data della morte, avvenuta nel 2004. L’esposizione carpigiana si concentra in modo specifico su una parentesi ben definita della lunga e appassionante vicenda creativa del fotografo: quella che lo ha visto portare a compimento le campagne per sette diverse collezioni di Blumarine, partendo dalla Primavera – Estate 1993 per arrivare all’Autunno – Inverno 1998/1999.

Un progetto, per quegli anni, epocale. È la prima volta, infatti, che un marchio italiano legato all’idea tradizionale di impresa famigliare, idealmente rivolto quindi all’eleganza della donna borghese, sceglie di presentarsi in modo tanto innovativo, rivoluzionando il proprio modo di comunicare in favore di un’idea di femminilità più eccentrica, giocosamente provocante. Le campagne elaborate da Newton escono così dagli schemi abituali, rifiutando lo studio delle pose e la costruzione dello storyboard, vivendo dell’istintività e dell’immediatezza dell’ispirazione. Le modelle – tra i volti più noti e amati degli ultimi anni: da Carré Otis a Carla Bruni da Monica Bellucci a Eva Herzigova – interpretano una sensualità divertita, mai volgare, elegantemente allusiva, espressa attraverso un immaginario che filtra l’esplosiva e colorata carica energica del Pop a divertissement nonsense.

Tra i caratteri unici di questo grande esperimento di comunicazione sta l’ingresso, fisico, dell’autore stesso all’interno dell’immagine, che Newton aveva già sperimentato in alcune sue opere: ad accentuare il carattere controcorrente delle campagne, esprimendo al massimo la libertà dalle gabbie del concept, ecco Newton entrare in campo – come ombra fugace, oppure con un solo piede – e rimanere impresso sulla pellicola, dando in certi casi all’osservatore l’illusione di essere dietro la macchina fotografica.

La mostra, allestita nelle logge al piano nobile di Palazzo dei Pio, si compone di 34 fotografie di grande formato che documentano le campagne dell’artista per Blumarine e di altri dodici scatti, sempre parte del progetto A Gun for Hire e inediti per l’Italia, dedicati invece a lavori effettuati da Newton, nel medesimo periodo, per brand come Versace, Yves Saint Laurent e Thierry Mugler: un confronto serrato, dunque, che contestualizza i progetti pensati per l’impresa carpigiana all’interno dell’esperienza professionale dell’artista e dei canoni di comunicazione dell’alta moda in quel preciso momento storico.

A completare l’esposizione altri sette scatti dalle campagne Blumarine, mai esposti prima, dalla collezione privata di Anna Molinari, fondatrice con il marito Gianpaolo Tarabini dell’azienda; i book delle stagioni realizzati con le campagne fotografiche di Newton e due album inediti con le fotografie e le annotazioni dell’autore. Infine, nella Sala dei Mori, vengono presentate testimonianze video che presentano attraverso interviste e documentari la figura di Helmut Newton e il suo credo artistico.

Tutte le info qua

Lying in Between. Grecia 2016.

Dal 15 settembre 2016 all’8 gennaio 2017 Fondazione Fotografia presenta al Foro Boario di Modena la mostra Lying in Between. Grecia 2016.

Il percorso, a cura del direttore Filippo Maggia, espone le opere prodotte in occasione di una missione fotografica in Grecia svoltasi su iniziativa di Fondazione Fotografia nei mesi di maggio e giugno 2016. Alla missione hanno preso parte sette fotografi italiani caratterizzati da sensibilità e cifre stilistiche diverse: Antonio Biasucci, Antonio Fortugno, Angelo Iannone, Filippo Luini, Francesco Mammarella, Simone Mizzotti e Francesco Radino. Ad affiancare le loro opere e a completare l’allestimento della mostra ci sarà inoltre un video a tre canali, realizzato e prodotto da Fondazione Fotografia.

Negli ultimi anni la crisi economica greca è stata spesso al centro delle cronache di attualità e di molti dibattiti internazionali. Culla della civiltà occidentale, il Paese ellenico si trova a fare i conti non soltanto con le difficoltà endogene che da anni la affliggono, ma anche con la nuova drammatica emergenza rappresentata dalle migliaia di profughi che, in fuga dal Medio Oriente, quotidianamente sbarcano sulle isole più vicine alla costa turca, in alcuni casi addirittura superando per numero la popolazione in esse residente. Questi luoghi, mete turistiche per eccellenza, sono oggi emblema dell’ampio divario esistente fra il mondo occidentale, attento a preservare le proprie certezze, e un mondo altro da noi, ma a noi molto vicino, quello mediorientale, lacerato da guerre civili e di religione.

I sette fotografi impegnati nella missione hanno potuto calarsi completamente nel contesto, dapprima documentando la loro esperienza in tempo reale, attraverso una cronaca fotografica quotidiana, condivisa attraverso i canali web e social di Fondazione Fotografia; successivamente, al rientro in Italia, ciascuno ha rielaborato il materiale raccolto da una prospettiva personale e secondo la propria cifra stilistica, compiendo un’analisi più lenta e ponderata che ha dato luogo alle opere finali esposte in mostra. Contestualmente alla produzione di queste ricerche artistiche, Fondazione Fotografia ha impegnato due diversi team di professionisti nella creazione di un video a tre canali incentrato sulla situazione attuale delle isole greche: Andrea Cossu, Daniele Ferrero, Mara Mariani e il direttore Filippo Maggia hanno compiuto un viaggio attraverso quei luoghi, dando voce a abitanti, volontari, migranti e raccontando la Grecia contemporanea in tutte le sue sfumature.

La mostra Lying in Between. Grecia 2016 èpromossa da Fondazione Fotografia Modena e Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna. Rientra inoltre nel programma del festivalfilosofia 2016, che si terrà a Modena, Carpi e Sassuolo dal 16 al 18 settembre 2016. La accompagna un catalogo di Skira Editore.

Tutte le info qua

Anna