Joel Meyerowitz, davvero un grande

Ciao,

sabato sono stata a Reggio Emilia in occasione di Fotografia Europea.

La fortuna ha voluto che proprio sabato alle 12 fosse previsto un talk di Joel Meyerowitz. Appena arrivati a Reggio ci dirigiamo quindi a Palazzo Da Mosto per goderci la sua mostra, prima di sentirlo parlare.

La prima cosa che ho pensato, vedendo quella mostra, è che le foto in esibizione potevano appartenere ad almeno 5 fotografi diversi. Si parte dalle foto di street a colori che tutti conosciamo, per poi passare allo stesso genere ma in bianco e nero, per poi passare alla fase dei paesaggi urbani e non, poi i ritratti ed infine lo still-life.

Durante il talk, Joel racconta come ha iniziato a fotografare all’inizio degli anni 60, ispirato da Robert Frank, gettandosi per le strade e diventando il pioniere della street photography a colori. A differenza di Frank, Joel scatta con diapositive a colori, sfidando l’establishment della fotografia, che fino a quel momento aveva considerato come forma espressiva valida, unicamente la fotografia in bianco e nero.

Taking My Time

Meyerowitz giustifica la scelta della diapositiva con il fatto dell’immediatezza e della sua ansia di vedere il risultato dei suoi scatti, visto che la diapositiva si poteva proiettare pressochè immediatamente.

In quel periodo sulle stesse strade di New York si aggiravano fotografi del calibro di Garry Winogrand, Tony Ray-Jones, Lee Friedlander, Tod Papageorge e Diane Arbus. Proprio l’incontro con Garry Winogrand lo porta però quasi subito a considerare di scattare con una 35 mm pellicola in bianco e nero, perchè la tangibilità delle stampe, il poterle tenere in mano e toccarle, lo affascina tantissimo.

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Intorno al 1972 però, ben prima dello sdoganamento della fotografia a colori da parte di John  Szarkowski, con la mostra dell’allora sconosciuto Willliam Eggleston, ritorna definitivamente al colore, giustificando la sua scelta col fatto che a suo parere il colore descriveva meglio le situazioni da lui immortalate, mentre il bianco e nero a sua detta faceva perdere delle informazioni. Ad un certo punto addirittura si mette a scattare la stessa fotografia sia in bianco e nero che a colori, portandosi dietro due fotocamere caricate con pellicole diverse, e ad affiancarle in una sorta di dittico proprio per dimostrare questa sua teoria.

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Più o meno nello stesso periodo, Meyerowitz concretizza anche un altro profondo cambiamento nel suo modo di fotografare, facendo per così dire un passo indietro rispetto ai soggetti e ampliando l’inquadratura, svuotando il centro del frame e includendo ampie porzioni di paesaggio, fino ad arrivare ad avere all’interno dell’inquadratura unicamente paesaggi, urbani e non, verso la fine degli anni 70, arrivando a sfiorare il movimento dei new topographics.

In questo momento, Meyerowitz dà molta importantza alla composizione e soprattutto alla luce. Questo cambiamento coincide anche con il cambiamento del mezzo fotografico; passa infatti dalla 35mm al banco ottico, cominciando a stampare le immagini in formati molto più ampi. Di questo periodo ad esempio ricordiamo il famosissimo lavoro Cape Light.

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All’inizio degli anni 80, si trova a lavorare nel suo studio di Cape Cod e decide di scattare una serie di ritratti, rendendosi conto  ad un certo punto dell’altissima percentuale di soggetti con i capelli rossi presenti nell’area, rispetto ad ogni altro posto degli Stati Uniti. Questo perchè nella zona si sono concentrati moltissimi immigrati Irlandesi, che hanno portato con sè proprio questa caratteristica. Così nasce Redheads. Per oltre 10 anni, Joel ha scattato ritratti ambientati nel nord est degli Stati Uniti a persone dai capelli rossi, intrigato dalla peculiare caratteristica genetica comune.

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All’inizio degli anni 2000, Meyerowitz stava lavorando ad un progetto chiamato Looking South, in cui dal suo studio avrebbe fotografato verso downtown, a sud dell’isola di Manhattan. Deve però forzatamente interrompere il lavoro quando poi nel 2001, lo skyline di South Manhattan cambia completamente a causa dell’attentato alle Torri Gemelle. Nei giorni successivi, Joel si aggira intorno a Ground Zero, cercando di scattare delle fotografie, ma la polizia che circonda la zona, lo caccia in malo modo. A quel punto lui decide che vuole assolutamente essere IL fotografo di Ground Zero e dopo aver superato alcuni ostacoli burocratici, riesce ad entrare nella zona dell’attentato e a documentare il disastro, producendo Aftermath.

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A partire dal 2015 si produce poi un altro cambiamento in Meyerowitz. Visitando lo studio di Morandi a Bologna, rimane folgorato dai 270 oggetti che il pittore aveva rappresentato nei suoi dipinti e decide di fotografarli tutti nella loro ambientazione originaria.

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Un bel cambiamento per chi era partito dalla street photography!

Per concludere, vi dico che Meyerowitz è un personaggio davvero molto affascinante, è un fantastico oratore ed è riuscito a tenermi attaccata alla sedia per oltre un’ora e mezza sotto il sole cocente  – molti hanno gettato la spugna dopo un quarto d’ora 😉 –  oltre ad avermi commosso quando ha dichiarato che giunto alla sua età (80 anni!) ha cominciato a dire addio alle cose del mondo.

Anna

 

9 pensieri su “Joel Meyerowitz, davvero un grande

  1. Mostre molto interessanti a Reggio Emilia , esposizioni molto curate.
    Vale la pena pagare il biglietto.

    • Ciao Gianni,
      se devo essere onesta, quest’anno le mostre di FE non mi hanno esaltato. Ci sono stati sicurametne anni migliori.
      Grazie
      Anna

  2. Estupenda recensión sobre el trabajo de Joel.Un gran hombre y gran fotografo!.Complimenti!!

  3. Grazie per la descrizione e per avermi portato con tè nel mondo di un grande osservatore. Bell’ articolo, mi sono sentita catapultata nella piazza, lì, ad ascoltarlo.
    Francesca

    • Grazie a te Francesca.
      Felice di essere riuscita a trasmettervi la grandezza di Meyerowitz e… risparmiarvi l’insolazione 😉
      Anna

  4. Anch’io ero presente all’incontro con Joel, mi ha colpito il suo entusiasmo e mi ha commosso nel finale quando ha detto come la fotografia lo aiuti a “essere vivo” alla sua età !
    E la sua capacità di cambiare modo di fotografare nel tempo (evoluzione?) ma andando ogni volta in profondità può esse lezione per tanti di noi!
    Hai fatto un bel racconto, brava e grazie 🙂
    robert

  5. un grande Joel Meyerowitz… grazie per aver condiviso le tue impressioni!
    Per chi fosse interessato, c’è un bel video di un’ora in cui Joel parla della sua vita, al centro San Fedele di Milano:

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