Mostre di fotografia da non perdere a ottobre!

Ciao a tutti,

anche questo mese vi segnaliamo diverse mostre interessantissime. E non dimenticate di verificare le mostre segnalate negli scorsi mesi che sono ancora visitabili!

Se volete che la vostra mostra venga segnalata, scrivete a pensierofotografico@libero.it il mese precedente all’inizio della mostra!

Buona visione!

Anna

Pino Musi_08:08 Operating Theatre

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_08:08 Operating Theatre, a cura di Antonello Scotti, ospitata da Magazzini Fotografici dal 17 settembre al 20 novembre 2022, porta in mostra una selezione delle prese fotografiche effettuate da Pino Musi in tre sale operatorie del Sud Italia, esattamente cinque minuti dopo il termine dell’intervento chirurgico e l’uscita del paziente e del chirurgo, e dieci minuti prima del riordino della sala, da parte degli infermieri, per l’intervento successivo.

Le sale operatorie di _08:08 Operating Theatre diventano il campo di battaglia che Pino Musi, artista visivo di fama internazionale e docente, sceglie per un “corpo a corpo” simultaneo fra sé stesso e gli elementi presenti nello scenario perlustrato, a pochi istanti dal termine di delicate operazioni chirurgiche.

Immagini in bianco e nero che occultano, evitando sottolineature a effetto, la riconoscibilità evidente degli elementi di facile spettacolarità, creando, invece, un percorso che orienta il fruitore a indagare l’interno della macchina scenica, ad analizzarne le tracce residue.

È «un teatro senza attori, malati, medici e tecnici, presentato nella sua nudità, senza palpiti, ma con gli umori del post-factum resi attraverso i reperti, le scorie, i residui dell’azione, i relitti di un combattimento, di uno stato di emergenza che il bianco e nero disinnesca» suggerisce Pino Musi, «perché è il corpo il protagonista assoluto quanto paradossale di queste immagini, un corpo che è sul confine tra organico e inorganico, un corpo senza organi, come lo dichiara, con crudeltà senza redenzione, Antonin Artaud, in un testo, la Lettera a Pierre Loeb, che è diventato un manifesto dell’arte postumana. “Perché la grande menzogna – scrive Artaud – è stata quella di ridurre l’uomo a un organismo – ingestione, assimilazione, incubazione, espulsione – creando un ordine di funzioni latenti che sfuggono al controllo della volontà deliberatrice, la volontà che decide di sé ad ogni istante”».

Come spiega Antonello Scotti, curatore della mostra: «L’immagine è un recinto visivo dove il corpo è solo evocato, ma mai presentato-rappresentato. Recinto dove il tempo e lo spazio è recitato in forma pantomimica. Residui, fantasmi che aleggiano nel perimetro della camera, dove in un susseguirsi caotico, mettono in scena, in forma di strazio di un momento, chissà quanto lungo, un tempo di dolore, anestetizzato giusto la durata per risarcire con gesto, forse risolutore, lo squarcio inflitto per strappare il male, o per innestare protesi. Non ci sono segni indicanti una conclusione, felice o infelice, dell’operazione scientifica-sciamanica-divina; è solo intuibile uno spazio sospeso, dove sembra che tutto sia un simulacro vivo di un fatto ancora in atto».

Ad ospitare la mostra _08:08 Operating Theatre è Magazzini Fotografici, APS nata da un’idea della fotografa Yvonne De Rosa, che ha come finalità la divulgazione dell’arte della fotografia e la creazione di un dialogo a più voci che sia occasione di arricchimento culturale.

L’evento è realizzato in collaborazione con la Galleria Tiziana Di Caro.

Come sottolinea Yvonne De Rosa: «Sono felice di dare vita ad una nuova collaborazione con Tiziana Di Caro e la sua galleria, luogo di rilevanza culturale ed artistica, che va ad arricchire la sempre più fitta rete di cooperazione e partecipazione che Magazzini Fotografici si prefigge di tessere sul territorio. Questa collaborazione è nata anche grazie a Pino Musi, che segue le attività proposte dalla nostra APS, contribuendo con talks, presentazioni e questa volta con una importante mostra delle sue opere». 

17 settembre | 20 novembre 2022 – Magazzini Fotografici – Napoli

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Ron Galella, Paparazzo Superstar

© Ron Galella, Ltd., 2022. Sophia Loren, 22 dicembre 1965, Americana Hotel, New York. Festa per la prima de Il Dottor Zivago
A Conegliano Palazzo Sarcinelli ospiterà, dal 7 ottobre 2022 al 29 gennaio 2023, un’importante mostra con oltre 180 fotografie di Ron Galella, il più famoso paparazzo della storia della fotografia, scomparso il 30 aprile scorso all’età di 91 anni. Si tratta della prima retrospettiva al mondo sul grande fotografo statunitense di origini italiane.La mostra, organizzata e prodotta da SIME BOOKS in collaborazione con la Città di Conegliano, è a cura di Alberto Damian, agente e gallerista di Galella per l’Italia. Parlando di Ron Galella, Andy Warhol ebbe a dire: “Una buona foto deve ritrarre un personaggio famoso che sta facendo qualcosa di non famoso. Ecco perché il mio fotografo preferito è Ron Galella”.Galella è nato a New York nel quartiere Bronx nel 1931 da padre italiano originario di Muro Lucano in Basilicata e madre italo-americana.Dal 1965 in poi, Ron Galella ha inseguito, stanato e fotografato i grandi personaggi del suo tempo, riuscendo a coglierli nella loro straordinaria quotidianità, agendo quasi sempre di sorpresa, a loro insaputa e spesso contro la loro volontà. Immagini rubate e scattate a raffica, frutto di appostamenti, depistaggi, camuffamenti, inseguimenti, lunghe attese, nello sprezzo di ogni rischio, fisico o legale.Jackie Kennedy negli anni ’70 gli intentò due cause, che all’epoca fecero parlare i giornali e ricevettero l’attenzione dei telegiornali americani. Le guardie del corpo di Richard Burton lo picchiarono e gli fecero passare una notte in galera a Cuernavaca, Messico. Marlon Brando con un pugno gli spaccò una mascella e cinque denti, ma poi gli pagò anche un salatissimo risarcimento attraverso i suoi avvocati. Galella è stato soprannominato “Paparazzo Extraordinaire” da Newsweek e “Il Padrino dei paparazzi americani” da Time Vanity Fair. Le sue foto sono conservate nei più importanti musei al mondo, dal MOMA di New York all’Andy Warhol Museum di Pittsburgh, dalla Tate Modern di Londra all’Helmut Newton Foundation di Berlino. E sono state acquistate da importantissime collezioni private in tutti e cinque i continenti. Non c’è un grande personaggio del jet-set internazionale di quel periodo che Galella non abbia fotografato. Il suo archivio di oltre 3 milioni di scatti è pieno di scatole di fotografie – per la maggior parte in bianco e nero – di attori, musicisti, artisti e celebrità di ogni tipo. Per citarne solo alcuni: Jacqueline Kennedy Onassis, Lady Diana, Aristotele Onassis, Truman Capote, Steve McQueen, Robert Redford, Paul Newman, Elizabeth Taylor, Richard Burton, Al Pacino, Robert De Niro, Greta Garbo, Liza Minelli, Madonna, Elton John, John Lennon, Mick Jagger, Diana Ross, Elvis Presley, David Bowie. E poi gli italiani: Sophia Loren, Claudia Cardinale, Federico Fellini, Anna Magnani, Luciano Pavarotti, Gianni Agnelli, Gianni e Donatella Versace.L’elenco dei personaggi immortalati da Galella potrebbe continuare per pagine: nell’archivio custodito nella sua villa in New Jersey c’è una ricchissima documentazione sull’evoluzione del costume degli anni ‘60, ’70, ’80 e ’90 (i suoi “golden years”, anni d’oro)  che è ritenuta unica al mondo.Ed è proprio il meglio di questo monumentale archivio che giunge a Palazzo Sarcinelli nella grande mostra “Ron Galella, Paparazzo Superstar”, organizzata da SIME BOOKS, la casa editrice coneglianese che nel 2021, in collaborazione con lo stesso Galella, ha pubblicato la preziosa monografia “100 Iconic Photographs – A Retrospective by Ron Galella”, l’ultimo libro dell’artista. La mostra sarà un percorso nella memoria di un’epoca, con icone universali del cinema, dell’arte, della musica, della cultura pop e del costume, e si snoderà attraverso sale tematiche, accogliendo anche un estratto di “Smash His Camera” di Leon Gast, il documentario sulla lunga carriera di Galella premiato al Sundance Film Festival del 2010.Il clou dell’esposizione sarà la sala interamente dedicata a Jackie Kennedy Onassis, che Galella definiva “la mia ossessione” e alla quale aveva dedicato due interi libri. In questa sala verrà esposta una copia della famosissima “Windblown Jackie”, scelta da Time qualche anno or sono come “una delle 100 fotografie più influenti della storia della fotografia” e definita “la mia Monna Lisa” dallo stesso Galella. La data d’inizio della mostra è stata scelta proprio perché “Windblown Jackie” è stata scattata il 7 ottobre del 1971.Sarà una mostra imperdibile che, ai tempi dei selfie e di Instagram, ci porterà indietro ad un tempo che non esiste più, nel quale le star entravano nelle nostre case soprattutto attraverso le pagine dei settimanali di costume e scandalistici, le copertine dei dischi, i poster e le locandine dei film. Questo succedeva anche grazie ai paparazzi e, in particolare, a Ron, che con le sue fotografie ci ha permesso di vedere le stelle più da vicino.
7 ottobre 2022 – 29 gennaio 2023 – Conegliano (TV), Palazzo Sarcinelli

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MOSTRA DEGLI ALUNNI DEL CORSO DI STORYTELLING – MUSA FOTOGRAFIA

Venerdì 21 Ottobre 2022 e solo per questa sera!

Ore 18,30 – Via Mentana, 6 Monza – Seguirà aperitivo in compagnia

Esposizione degli alunni del corso di Visual Storytelling Contemporaneo 2021/22

La mostra collettiva presenterà i progetti dei partecipanti al corso di Visual Storytelling. I corsisti, seguiti da Sara Munari, hanno costruito un lavoro finito, con una narrazione personale e unica.

NINO MIGLIORI. L’arte di ritrarre gli artisti. Ritratti di artisti di un maestro della fotografia italiana

“Nino Migliori. L’arte di ritrarre gli artisti” è la special guest della edizione ’22 di “Colornophotolife”, l’annuale festival di fotografia accolto dalla Reggia che fu di Maria Luigia d’Austria, a Colorno nel parmense.
La monografica di Migliori (dal 15 ottobre al 10 aprile) conferma la vocazione della Reggia a connotarsi come sede di grandi eventi fotografici, sulla scia delle mostra qui riservate a Michael Kenna, Ferdinando Scianna e Carla Cerati. Di Nino Migliori si possono ammirare 86 opere inedite, quasi tutte ritratti di artisti da lui frequentati, realizzate tra gli anni cinquanta ed oggi, che consentono di ripercorrere, attraverso le diverse tecniche adottate, le ricerche e le esplorazioni del mezzo fotografico condotte nel corso di oltre settant’anni di attività. L’esposizione, a cura di Sandro Parmiggiani, con la direzione di Antonella Balestrazzi, è accompagnata da un catalogo bilingue (italiano/inglese).
Cinque le sezioni: i ritratti in bianco e nero, avviati negli anni ‘50, quando Migliori è a Venezia e frequenta la casa di Peggy Guggenheim, e sviluppati fino agli anni recenti; le immagini a colori nelle quali spesso opera una dislocazione dei piani e talvolta ritaglia le immagini e le ricolloca nello spazio; le sequenze di immagini tratte dal mezzo televisivo e concepite come fotogrammi in divenire; le grandi “trasfigurazioni” (100 x 100 cm) a colori in cui Migliori interviene “pittoricamente” sull’immagine; i ritratti recenti in bianco e nero “a lume di fiammifero”, che applicano alcune sue ricognizioni condotte su sculture “a lume di candela”. Molti sono i protagonisti della scena artistica che i visitatori della mostra riconosceranno attraverso i loro ritratti: tra gli altri, Enrico Baj, Vasco Bendini, Agenore Fabbri, Gianfranco Pardi, Guido Strazza, Sergio Vacchi, Luciano De Vita, Salvatore Fiume, Virgilio Guidi, Piero Manai, Man Ray, Luciano Minguzzi, Zoran Music, Luigi Ontani, Robert Rauschenberg, Ferdinando Scianna, Tancredi Parmeggiani, Ernesto Treccani, Emilio Vedova, Lamberto Vitali, Andy Warhol, Wolfango, Italo Zannier; Antonio Gades, Bruno Saetti, Lucio Saffaro, Alberto Sughi, Emilio Tadini; Eugenio Montale, Gian Maria Volonté, Giovanni Romagnoli e Franco Gentilini; Karel Appel, Enzo Mari, Fausto Melotti, Tonino Guerra, Pompilio Mandelli, Marisa Merz, Bruno Munari, Fabrizio Plessi, Arnaldo Pomodoro, Lucio Del Pezzo; Mario Botta, Ugo Nespolo, Elisabetta Sgarbi.
“Davanti alle fotografie di Nino Migliori occorre ricordare –evidenzia il Curatore, Sandro Parmiggiani – che con lui nulla deve essere dato per scontato: la macchina fotografica, la pellicola (e ora il supporto digitale), le carte su cui vengono stampate le immagini non sono asservite a una funzione prestabilita, ma essa può sempre essere ridefinita ed esplorata in nuove direzioni. Migliori è stato, fin dal 1948, uno strenuo indagatore delle possibilità offerte dal mezzo, dai procedimenti tecnici e dai materiali della fotografia; oltre a essere autore di splendide fotografie neorealiste – molti ricordano l’icona de Il Tuffatore, 1951 –, lui si è cimentato con le bruciature sulla pellicola e sulla celluloide, con esperienze su carta e su vetro, con le fotografie di muri e di manifesti, con la ricerca della “faccia nascosta” delle polaroid, con le recenti esperienze con caleidoscopi di diverse dimensioni (due dei ritratti in mostra sono realizzati con questa tecnica): inesauste ricerche e verifiche alimentate dalle visioni e dagli esperimenti che questa sorta di artista-fotografo-sciamano ha condotto nel suo viaggio dentro la fotografia. Sarebbe dunque limitativa la definizione di “fotografo”, non avendo mai Migliori concepito il mezzo fotografico come mero strumento di conformità agli statuti e ai canoni della fotografia – “una immagine che fissa il reale, in un momento del suo divenire” –, ma qualcosa che poteva permettergli di avvicinarsi a certe visioni che da sempre lo hanno intrigato. Basta pensare alle esperienze condotte a partire dal 2006, quando decise di fotografare lo Zooforo, l’impressionante bestiario medievale scolpito da Benedetto Antelami sul Battistero del Duomo di Parma, immaginando di restituirne la visione notturna che ne potevano avere gli abitanti della città, e i suoi visitatori, passando accanto alla torre ottagonale e scoprendone, alla luce delle torce, le forme fantastiche che si snodavano lungo il suo perimetro, ricreando nella notte, con opportune coperture, un buio profondo e avvicinando e muovendo lentamente una candela alle formelle, fino a scoprirne il volto segreto. Da quell’esperienza sono nati cicli in cui Migliori ha fotografato nell’assenza di luce monumenti e sculture, e ha eseguito ritratti di persone nel buio assoluto, con i loro volti illuminati dalla luce di un fiammifero, come documentano alcune fotografie della mostra di Colorno.

15 Ottobre 2022 – 10 Aprile 2023 – Reggia di Colorno (Pr)

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WORLD PRESS PHOTO 2022

For tens of thousands of years, Aboriginal people – the oldest continuous culture on earth – have been strategically burning the country to manage the landscape and to prevent out of control fires. At the end of the wet season, there’s a period of time where this prescribed burning takes place. I visited West Arnhem Land in April/May 2021 and witnessed prescribed aerial and ground burning.

C’è una prima volta per tutto, e quest’anno al Festival della Fotografia Etica di Lodi fa il suo arrivo il World Press Photo, con l’esposizione dei vincitori del 2022.

Il grande concorso internazionale di fotogiornalismo e fotografia documentaria più famoso al mondo che si svolge da oltre 50 anni e indetto dalla World Press Photo Foundation di Amsterdam, vede Lodi protagonista con una tappa del suo tour che conta oltre 100 città nel mondo. Quasi 150 immagini che arrivano dai 5 continenti per raccontare storie incredibili.

I lavori premiati sono stati scelti tra i 64.823 candidati, tra fotografie e open format, realizzati da 4.066 fotografi provenienti da 130 paesi del mondo: si tratta di lavori firmati per le maggiori testate internazionali, come National Geographic, BBC, CNN, Times, Le Monde, El Pais che si contendono il titolo nelle diverse categorie del concorso di fotogiornalismo.

Tutto è iniziato nel 1955, quando un gruppo di fotografi olandesi organizzò il primo concorso internazionale “World Press Photo”. Da allora, l’iniziativa ha acquistato slancio fino a diventare il concorso fotografico più prestigioso al mondo e la mostra di fotogiornalismo più visitata.

Dal 24 settembre al 23 ottobre Lodi tornerà a raccontare il nostro mondo nella XIII^ edizione del Festival della Fotografia Etica. Un mondo in continuo e veloce cambiamento di cui la fotografia congela il momento e ci aiuta a capire.

A Lodi, ad aprirci finestre su situazioni e storie a noi spesso sconosciute, saranno quasi 100 fotografi da ogni parte del pianeta con oltre 20 mostre per coinvolgere il pubblico attraverso progetti inediti, esposti in spazi all’aperto e nelle prestigiose location della città.

24 settembre – 23 ottobre 2022 – Lodi

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ROBERT CAPA. L’Opera 1932 – 1954

ITALY. Near Troina. August 4-5, 1943. Sicilian peasant telling an American officer which way the Germans had gone.

“Robert Capa. L’Opera 1932-1954”, al Roverella, dall’8 ottobre 2022 al 29 gennaio 2023, a cura di Gabriel Bauret, è il nuovo appuntamento con la fotografia internazionale proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, ancora una volta affiancata dal Comune di Rovigo e dall’Accademia dei Concordi.

La mostra, che segue per qualità ed originalità quella recente di Robert Doisneau, consta di ben 366 fotografie selezionate dagli archivi dell’agenzia Magnum Photos e ripercorre le tappe principali della sua carriera, dando il giusto spazio ad alcune delle opere più iconiche che hanno incarnato la storia della fotografia del Novecento. Tuttavia essa non è pensata solo come una retrospettiva dell’opera di Robert Capa, ma mira piuttosto a rivelare attraverso le immagini proposte le sfaccettature, le minime pieghe di un personaggio passionale e in definitiva sfuggente, insaziabile e forse mai pienamente soddisfatto, che non esita a rischiare la vita per i suoi reportage. Capa infatti ha sempre manifestato un temperamento da giocatore, ma un giocatore libero. Nel mostrare, cerca anche di capire, gira intorno al suo soggetto, tanto in senso letterale quanto figurato. La mostra riunisce in occasioni diverse più punti di vista dello stesso evento, come a riprodurre un movimento di campo-controcampo, e restituisce un respiro cinematografico spesso percepibile in molte sequenze.
«Per me, Capa indossava l’abito di luce di un grande torero, ma non uccideva; da bravo giocatore, combatteva generosamente per se stesso e per gli altri in un turbine. La sorte ha voluto che fosse colpito all’apice della sua gloria”, ebbe a scrivere di lui Henry Cartier-Bresson.

L’esposizione non si limiterà alle rappresentazioni della guerra che hanno forgiato la leggenda di Capa. Nei reportage del fotografo, come in tutta la sua opera, esistono quelli che Raymond Depardon chiama “tempi deboli”, contrapposti ai tempi forti che caratterizzano le azioni; i tempi deboli ci riportano all’uomo André Friedmann, alla sua sensibilità verso le vittime e i diseredati, a quello che in fin dei conti è stato il suo percorso personale dall’Ungheria in poi. Immagini che lasciano trapelare la complicità e l’empatia dell’artista rispetto ai soggetti ritratti, soldati, ma anche civili, sui terreni di scontro, in cui ha maggiormente operato e si è distinto. Così, sulla scia delle sue vicende umane, ricorre a più riprese il tema delle migrazioni delle popolazioni (in Spagna e in Cina, in particolare). E tra un’immagine e l’altra, si profila anche l’identità di Capa.

La mostra si articolerà in 9 sezioni tematiche:

Fotografie degli esordi, 1932 – 1935
La speranza di una società più giusta, 1936
Spagna: l’impegno civile, 1936 – 1939
La Cina sotto il fuoco del Giappone, 1938
A fianco dei soldati americani, 1943 – 1945
Verso una pace ritrovata, 1944 – 1954
Viaggi a est, 1947 – 1948
Israele terra promessa, 1948 – 1950
Ritorno in Asia: una guerra che non è la sua, 1954

Il pubblico potrà anche ammirare le pubblicazioni dei reportage di Robert Capa sulla stampa francese e americana dell’epoca e gli estratti di suoi testi sulla fotografia, che tra gli altri toccano argomenti come la sfocatura, la distanza, il mestiere, l’impegno politico, la guerra.
Inoltre, saranno disponibili gli estratti di un film di Patrick Jeudy su Robert Capa in cui John G. Morris commenta con emozione documenti che mostrano Capa in azione sul campo e infine la registrazione sonora di un’intervista di Capa a Radio Canada.

08 Ottobre 2022 – 29 Gennaio 2023 – Rovigo, Palazzo Roverella

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ITALIA IN-ATTESA. 12 racconti fotografici

Silvia Camporesi – Spiaggia libera, Cesenatico

Tra cronaca di un recente passato e attualità, “Italia in-attesa. 12 racconti fotografici”, dal 15 ottobre all’8 gennaio a Palazzo da Mosto a Reggio Emilia, narra di un’Italia sospesa, interdetta, trasformata da un’occasione eccezionale e – auspicabilmente – irripetibile, il primo lockdown causato dal Covid: un tempo diverso dove anche lo spazio, l’architettura e l’ambiente diventano “altro” quando l’uomo non li abita. Un racconto che si sviluppa attraverso le visioni e la sensibilità di altrettanti grandi fotografi: Olivo Barbieri, Antonio Biasiucci, Silvia Camporesi, Mario Cresci, Paola De Pietri, Ilaria Ferretti, Guido Guidi, Andrea Jemolo, Francesco Jodice, Allegra Martin, Walter Niedermayr e George Tatge.
La mostra, a cura di Margherita Guccione e Carlo Birrozzi, è promossa da Ministero della Cultura, Direzione Generale Creatività Contemporanea, Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione e Fondazione Palazzo Magnani, in collaborazione con Fondazione Maxxi.
In uno scenario unico, silenzioso, quasi irreale, i racconti fotografici narrano storie di un mondo stra-ordinario, sono sequenze di visioni inattese e innaturali che mescolano luoghi del patrimonio culturale italiano e dello spazio intimo e mentale delle autrici e degli autori: paesaggi e piazze, orizzonti e spazi pubblici, opere d’arte e oggetti quotidiani. Lontane dagli stereotipi del Belpaese, queste immagini parlano di paesaggi spaesati che sposano la bellezza sublime con la percezione di una crisi profonda, dove alla natura rigogliosa che riempie progressivamente gli spazi urbani corrisponde il vuoto e l’assenza di vita umana. Sono racconti parziali, soggettivi, che ci introducono a nuovi punti di vista, modificando le consuete poetiche di narrazione dello spazio fisico.
Le artiste e gli artisti coinvolti sono riconosciuti interpreti della fotografia, di generazioni e attitudini diverse, che hanno sviluppato con la loro ricerca una vocazione all’ascolto dei luoghi e del patrimonio collettivo. Per questo motivo il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, tramite la Direzione generale Creatività Contemporanea, ha pensato di chiamarli a riflettere con un progetto incentrato sull’eccezionale condizione dell’Italia nei mesi di marzo-maggio 2020, allo scopo di realizzare, spaziando tra differenti linguaggi e modalità di espressione, un racconto corale e polifonico.
Olivo Barbieri, per questa sua indagine-racconto, sceglie la Camera degli Sposi, macchina visiva d’eccellenza per la sperimentazione innovativa della prospettiva, per condurre la sua riflessione sui meccanismi della percezione e sul sistema della rappresentazione. Guido Guidi, al contrario, si rivolge al paesaggio minimo della quotidianità: conferendo pari valore al monumentale e all‘ordinario, Guidi restituisce al nostro sguardo particolari trascurabili della realtà caricandoli di rinnovato senso e levità.
Una medesima attenzione al paesaggio d’affezione è testimoniata dalle fotografie di Silvia Camporesi, che sceglie di ritrarre i luoghi della sua infanzia: liberati dallo scorrere della vita quotidiana, questi sembrano svelare ora la propria essenza. In un’atmosfera metafisica e straniante sono immersi anche i centri storici umbri ritratti da George Tatge, in cui il silenzio e il senso di vuoto sembrano riflettere lo stato d’animo dell’autore. Sul tema dell’assenza si concentra anche il lavoro di Allegra Martin: luoghi emblematici della cultura milanese, privati improvvisamente dell’azione e dello sguardo del pubblico che abitualmente conferisce loro vita, diventano metafora di una sospensione non solo temporale, ma anche di senso.
A questi progetti fanno da contraltare lavori che non guardano allo spazio esterno, ma a quello interno, spostando la riflessione su un piano astratto e concettuale.
È il caso di Francesco Jodice, che trasferisce il viaggio fisico su un discorso mentale e virtuale, compiendo un reportage attraverso quattro architetture simbolo della cultura italiana storica e contemporanea mediante immagini satellitari, e di Mario Cresci, che rivolge lo sguardo ora al micro-mondo costituito dalla sua casa di Bergamo, ora a quello esterno, rappresentato da una città deserta: il tempo del lockdown forzato offre spazio per giochi della mente, alla ricerca di nuove analogie tra gli oggetti e inconsuete esplorazioni. Le immagini visionarie di Antonio Biasiucci, poi, trasferiscono la riflessione su un piano totalmente simbolico: i ceppi di alberi, ripresi in modo da richiamare forme antropomorfe, sono soggetti archetipici che rimandano alla circolarità del tempo.
La condizione astratta del paesaggio è al centro anche del lavoro di Paola De Pietri: i paesaggi onirici di Rimini e Venezia si echeggiano da due differenti latitudini dell’Adriatico. Le immagini surreali dei paesaggi montani tanto cari a Walter Niedermayr, solitamente popolati e logorati dal turismo di massa, appaiono qui quasi spettrali nell’assenza di presenza umana.
I siti simbolo della città eterna insolitamente deserti, ripresi da Andrea Jemolo, si confrontano con alcuni centri storici danneggiati dal terremoto che ha colpito il Centro Italia del 2016, ritratti da Ilaria Ferretti: luoghi in cui le tracce della vita e del tempo sono ormai affidate solo al movimento delle ombre e alla rassicurante persistenza della natura.

La mostra costituisce così, grazie alla varietà delle interpretazioni, un’analisi visiva dell’impatto antropico sul paesaggio, sulle relazioni tra cultura e natura, architettura e ambiente in alcuni luoghi (sia iconici che non) italiani. L’area del Colosseo rimane la stessa con o senza persone che la vivono? Città turistiche come Rimini e Venezia, che sensazioni restituiscono quando sono completamente deserte? A quasi due anni di distanza, come possiamo “rileggere” quelle immagini? Dovevamo, si diceva, utilizzare quell’esperienza straordinaria e terribile per imparare qualcosa: è stato così?
Queste domande saranno al centro di dialoghi tra fotografi, architetti, urbanisti e paesaggisti lungo un calendario di incontri aperti al pubblico durante il periodo espositivo.

15 Ottobre 2022 – 08 Gennaio 2023 – Reggio Emilia, Palazzo da Mosto

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Robert Doisneau

Robert Doisneau, Le baiser de l’Hôtel de Ville, Paris 1950 © Robert Doisneau

Dall’11 ottobre 2022 CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia propone la grande antologica dedicata al maestro francese Robert Doisneau, uno dei più importanti fotografi del Novecento, attraverso oltre 130 immagini provenienti della collezione dell’Atelier Robert Doisneau.

A partire da una delle fotografie più conosciute al mondo – lo scatto del bacio di una giovane coppia indifferente alla folla dei passanti e al traffico della place de l’Hôtel de Ville di Parigi – la mostra esplora l’opera di un celebre fotografo come Doisneau che, insieme a Henri Cartier-Bresson, è considerato uno dei padri fondatori della fotografia umanista francese e del fotogiornalismo di strada. Con il suo obbiettivo, espressione di uno sguardo empatico e ironico, Doisneau ha catturato la vita quotidiana degli uomini, delle donne, dei bambini di Parigi e la sua banlieue, con tutte le emozioni dei gesti e delle situazioni in cui sono impegnati. Le immagini in mostra ne testimoniano lo stile in grado di mescolare curiosità e fantasia, ma anche una libertà d’espressione che fa proprie le logiche del surrealismo reinterpretandole in chiave ironica.

La mostra, curata da Gabriel Bauret, è promossa da CAMERA, Silvana Editoriale e Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.

11 ottobre 2022 – 14 febbraio 2023 – Camera – Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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Civilization: vivere, sopravvivere, Buon Vivere

Larry Sultan, Sharon Wild, from the series The Valley, 2001 © Larry Sultan, courtesy Estate of Larry Sultan 

Civilization: vivere, sopravvivereBuon Vivere è un grande progetto artistico e culturale internazionale che riunisce circa trecento immagini di oltre centotrenta fotografi provenienti da cinque continenti sui temi del presente e del futuro del mondo contemporaneo, sempre più caratterizzato dai fenomeni della interconnessione e della globalizzazione.

Obiettivo fondamentale di Civilization è quello di riflettere e far riflettere sulle conseguenze del modo di vivere della società contemporanea, presentando immagini sempre originali e spettacolari del modo in cui produciamo e consumiamo, lavoriamo e giochiamo, viaggiamo e abitiamo, pensiamo e creiamo, collaboriamo e ci scontriamo, delle grandi conquiste tecnologiche, degli interventi dell’uomo sull’ambiente, dei grandi fenomeni di aggregazione e dei movimenti fisici ed immateriali che caratterizzano il mondo in cui viviamo.

La mostra è articolata in otto sezioni dedicate ad altrettanti temi, che permettono di affrontare una panoramica esaustiva e trasversale sulla contemporaneità e che nella formulazione proposta a Forlì si arricchisce di un focus inedito, che rende unica l’esposizione e ne completa l’analisi con un affondo che vede protagonisti i migliori nomi della fotografia contemporanea nazionale.  

Accanto a esponenti cardine della fotografia internazionale come Edward Burtynsky, Candida Höfer, Richard Mosse, Alec Soth, Larry Sultan, Thomas Struth, Penelope Umbrico e altri, merita infatti di essere sottolineata la notevole presenza di autori italiani – come Olivo Barbieri, Michele Borzoni, Gabriele Galimberti, Walter Niedermayr, Carlo Valsecchi, Massimo Vitali, Luca Zanier, Francesco Zizola – segno della progressiva crescita di reputazione della nostra fotografia.

A cura di William A. Ewing e Holly Roussell con Justine Chapalay, in collaborazione con Walter Guadagnini, Monica Fantini e Fabio Lazzari per l’edizione italiana.

Dal 17 settembre all’8 gennaio 2023 – Musei di San Domenico – Forlì

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Kristine Potter – Manifest

La delicatezza con cui Potter fotografa la figura umana immersa nel paesaggio ci consente di riflettere su quanto la natura selvaggia abbia permeato la percezione del maschile nel west americano.–  Ron Jude

icamera presenta Manifest di Kristine Potter. Le immagini, scattate tra il 2012 e il 2015 lungo il versante occidentale del Colorado, vengono esposte sulle pareti della galleria, in una selezione di stampe in bianco e nero raffinate e tecnicamente perfette. Le immagini ci portano nei panorami sociali dello sconfinato West americano, destrutturando, riformulando e ricodificando i significati e le associazioni convenzionali. I cliché della mascolinità si dissolvono in un riflesso idilliaco. Gli audaci archetipi maschili dell’ovest selvaggio accolgono vulnerabilità e incertezza.

Potter rivolge l’attenzione a come i soggetti siano allo stesso tempo incarnazione e negazione degli archetipi e dei cliché culturali, e a come la fotografia li abbia rafforzati e distorti nell’immaginario comune. Nei ritratti gli individui sono plasmati dal peso della storia e della cultura. Altre volte è lo stesso paesaggio a diventare protagonista – non semplice sfondo o palcoscenico, ma vero e proprio archetipo di sé stesso, numinoso e autonomo. 

Manifest è parte della mostra ‘But Still, It Turns’, curata da Paul Graham, esposta all’ICP di New York nel 2021 e ai Rencontres d’Arles nel 2022 (il catalogo della mostra è stato pubblicato da MACK nel 2021).

Manifest è anche la splendida prima monografia di Kristine Potter, pubblicata da TBW Books nel 2018 e oggi fuori catalogo. Un limitatissimo numero di copie sarà disponibile da Micamera in occasione della mostra.

La mostra di Micamera è stata prodotta da Rencontres d’Arles.

8 – 29 ottobre 2022 – MICamera – Milano

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RI-SCATTI. PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE

IPM C. Beccaria, 2021
IPM C. Beccaria, 2021

Anche per il 2022 torna RI-SCATTI, il progetto ideato e organizzato dal PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano e da RISCATTI Onlus, l’associazione di volontariato che dal 2014 crea eventi ed iniziative di riscatto sociale attraverso la fotografia, e promosso dal Comune di Milano con il sostegno di Tod’s.
 
L’ottava edizione è realizzata in collaborazione con Politecnico di Milano e con il Provveditorato Regionale Lombardia del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, e si propone di raccontare le complessità, le difficoltà, ma anche le opportunità, della vita negli istituti di reclusione, al di là delle semplificazioni e delle stigmatizzazioni, fornendo ai partecipanti uno strumento formativo e generando anche un confronto costruttivo e una sinergia concreta tra l’amministrazione cittadina, quella penitenziaria e le istituzioni culturali milanesi. I protagonisti di questa edizione che stanno frequentando il corso di fotografia e che stanno scattando le foto in carcere – avendo, come assoluta novità, a loro disposizione in determinati orari della giornata delle macchine fornite dall’associazione – sono gli stessi detenuti e gli agenti penitenziari dei quattro istituti milanesi: Casa di Reclusione di Opera, Casa di Reclusione di Bollate, Casa Circondariale F. Di Cataldo, IPM C. Beccaria. I lavori saranno poi selezionati ed esposti in una mostra al PAC di Milano che come ogni anno sarà ad ingresso gratuito. Tutte le foto saranno in vendita e l’intero ricavato andrà a supportare e a finanziare progetti e attività volti al miglioramento della qualità della vita nelle carceri. Tali interventi saranno gestiti e coordinati dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano che, insieme al Dipartimento di Design, da molti anni svolge ricerche di tipo partecipativo negli spazi detentivi.

Dal 07 Ottobre 2022 al 06 Novembre 2022 – PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea – MILANO

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LISETTA CARMI. SUONARE FORTE

Lisetta Carmi, Il porto, Lo scarico dei fosfati, Genova, 1964 © Lisetta Carmi - Martini & Ronchetti
Lisetta Carmi, Il porto, Lo scarico dei fosfati, Genova, 1964 © Lisetta Carmi – Martini & Ronchetti

Alle Gallerie d’Italia di Torino è in programma dal 22 settembre 2022 al 22 gennaio 2023 la grande mostra monografica dedicata a Lisetta Carmi, una delle personalità più interessanti del panorama fotografico italiano, recentemente scomparsa all’età di 98 anni. La mostra “Lisetta Carmi. Suonare Forte” è realizzata con la curatela di Giovanni Battista Martini, curatore dell’archivio della fotografa, con un prezioso contributo video creato per l’occasione da Alice Rohrwacher.

Con il progetto “La Grande Fotografia Italiana” affidato a Roberto Koch, editore, curatore, fotografo e organizzatore di eventi culturali intorno alla fotografia, le Gallerie d’Italia – Torino si propongono di dare spazio ai maestri della fotografia italiana attraverso una serie di mostre dedicate: “Lisetta Carmi. Suonare Forte” inaugura il primo di questi appuntamenti volti a celebrare la grande fotografia italiana del Novecento. Il titolo della mostra dedicata a Lisetta Carmi evoca la sua formazione di pianista ma anche il coraggio di cambiare direzione, di intraprendere percorsi diversi, per seguire la sua ostinata volontà di dare voce agli ultimi.

In mostra saranno presenti oltre 150 foto scattate tra gli anni Sessanta e Settanta, incluse alcune tra le opere più salienti del suo lavoro: dallo straordinario reportage sul mondo dei travestiti, unico nel suo genere e diventato negli anni Settanta un libro di culto, con la sua declinazione del tutto inedita a colori, alla documentazione del parto, oltre ai lavori fotografici dedicati al mondo del lavoro in Italia e all’estero e ai ritratti di Ezra Pound.

Per evidenziarne l’approccio progettuale, la mostra è divisa in otto sezioni. In due di queste, in cui la musica gioca un ruolo fondamentale, le moderne tecnologie di diffusione sonora direzionale permettono l’ascolto di brani musicali di Luigi Nono e Luigi Dallapiccola. Nel percorso espositivo, inoltre, sarà la stessa fotografa a raccontare alcuni suoi lavori attraverso dei brevi video.

Ad accompagnare la mostra anche un public program che approfondisce, amplifica e sviluppa i temi trattati dall’esposizione temporanea. Gli incontri #INSIDE, il mercoledì, alle ore 18.30, con accesso gratuito al pubblico, vedranno la partecipazione di esperti e professionisti impegnati in una serie di eventi, per condividere riflessioni e spunti in occasione delle giornate di apertura serale del museo.

Dal 22 Settembre 2022 al 22 Gennaio 2023 – Gallerie d’Italia di Torino

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WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR. 57A EDIZIONE

© 2022 Jonny Armstrong Photography
© 2022 Jonny Armstrong Photography

Anche quest’anno arriva a Milano Il Wildlife Photographer of the Year, la mostra di fotografie naturalistiche più prestigiosa al mondo, ospitata negli spazi di Palazzo Francesco Turati in via Meravigli 7 (zona Cordusio) dal 30 settembre al 31 dicembre 2022.  Decima edizione nel capoluogo lombardo, organizzata dall’Associazione culturale Radicediunopercento, con il patrocinio del Comune di Milano.

Amatissima dal pubblico, l’esposizione presenta le 100 immagini premiate alla 57ª edizione del concorso di fotografia indetto dal Natural History Museum di Londra che ha visto in competizione quasi 50.000 scatti provenienti da 96 paesi, realizzati da fotografi professionisti e dilettanti.

Le foto finaliste e vincitrici sono state selezionate alla fine dello scorso anno da una giuria internazionale di esperti, in base a creatività, valore artistico e complessità tecnica, e ritraggono animali e specie in estinzione, habitat sconosciuti, comportamenti curiosi e paesaggi da tutto il pianeta; la natura meravigliosa e fragile, oggi più che mai da difendere e preservare.

Vincitore del prestigioso titolo Wildlife Photographer of the Year 2021 è il biologo francese e fotografo subacqueo Laurent Ballesta con Creation. Lo scatto ritrae un branco di cernie che nuotano in una nuvola lattiginosa nel momento della deposizione delle uova a Fakarava, Polinesia francese: momento unico, che si verifica solo una volta all’anno, durante la luna piena di luglio, e sempre più raro dato che la specie è in via di estinzione minacciata dalla pesca intensiva. La laguna polinesiana è uno dei pochi posti in cui questi pesci riescono a vivere ancora liberi, perché è una riserva e, per fotografarli, Ballesta ha fatto appostamenti per 5 anni insieme a tutto il suo team.

Il giovane indiano Vidyun R. Hebbar è il vincitore del Young Wildlife Photographer of the Year 2021 con la foto Dome home che raffigura un ragno all’interno di una fessura in un muro.

Tra i vincitori di categoria troviamo l’aostano Stefano Unterthiner, con lo scatto Head to head (Comportamento dei mammiferi). Altri quattro fotografi italiani hanno ricevuto una menzione speciale: i giovani Mattia Terreo, con Little grebe art (Under 10 anni), e Giacomo Redaelli, con Ibex at ease (15-17 anni)), oltre a Georg Kantioler, con Spot of bother (Urban Wildlife) e Bruno D’Amicis, con Endangered trinkets (Fotogiornalismo).

Marco Colombo, noto naturalista e fotografo pluripremiato al Wildlife, sarà a disposizione per visite guidate alla mostra a Palazzo Francesco Turati, ogni venerdì (tre turni a partire dalle 18:30 su prenotazione – acquistabili anche on demand). Inoltre, tre giovedì saranno dedicati a speciali visite guidate tematiche con esperti fotografi naturalisti: il 10 novembre (h 19:30 e 20:30) Luca Eberle racconterà i Predatori e il 17 novembre, gli Uccelli, l’8 e il 22 dicembre (h 19:30) Francesco Tomasinelli approfondirà il Mimetismo.

Il Wildlife Photographer of the Year a Milano è una mostra ma anche un grande evento dedicato alla natura. L’Associazione culturale Radicediunopercento come sempre propone serate gratuite di approfondimento e presentazione di libri con rinomati fotografi di natura e divulgatori scientifici che si terranno di sabato alla Casa della Cultura, h 21 via Borgogna 3, Milano (zona San Babila). Saranno ospiti il 22 ottobre Bruno D’Amicis, che ha ricevuto una menzione speciale nella sezione Premio storia fotogiornalistica al Wildlife 57 (foto in mostra), con l’incontro Polimitas, le chiocciole più belle del Mondo, il 19 novembre Ugo Mellone, fotografo naturalista già premiato al Wildlife, con Il deserto del Sahara: biodiversità al limite, il 3 dicembre i noti fotografi Francesco Tomasinelli e Marco Colombo che insieme a Chiara Borelli di Focus Wild parleranno di Evoluzione e animali incredibili, e il 17 dicembre Alex Mustard, celeberrimo fotografo subacqueo inglese che parlerà di Fauna selvatica subacquea.

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MARA PEPE, Astrazioni ravvicinate

La galleria Studio Masiero è lieta di ospitare nell’ambito del Photofestival 2022, la personale Astrazioni ravvicinate di Mara Pepe, artista conosciuta per le sue minimaliste e totemiche sculture di plexiglass, al cui interno si nascondevano minimi elementi segnati dall’informe. Mara Pepe torna a riflettere sulla materia delle cose attraverso una fotografia che s’avvicina alla realtà fino a trasformarla in qualcosa di astratto e enigmatico. Come un’anomala street photographer, percorre la città attenta a ciò che abitualmente non vediamo: segni, linee e macchie sui muri, ombre di auto e di edifici che oscurano il selciato, bordi di marciapiedi… fino a renderli simili a forme a sé stanti, a realtà parallele cariche di una propria vita misteriosa.  Come impronte del tempo capaci di accogliere le genealogie e i linguaggi vitali e oscuri che emergono osservando da vicino la realtà urbana, le fotografie di Mara Pepe giocano sull’ambiguità delle ombre, sui riflessi di luce che si proiettano sul suolo o sulle pareti. Le sue fotografie non trascurano inquadrature limpide, geometriche e strutturate; ma al contempo – in alcune serie – fanno predominare strati materici intrisi di oscurità, fino a far apparire un nero quasi assoluto.  Il nero come il colore di una memoria che non racconta mai la propria storia, ma presenta il suo mistero anche nella nostra quotidianità.  Ogni sua opera, quasi volesse creare un concerto per immagini fatto di risonanze e corrispondenze, è composta da un insieme coerente di fotografie di varie dimensioni accostate fra loro.  Le sue immagini astratte e materiche, disorientanti e affascinanti, riprendono gli elementi essenziali che hanno caratterizzato il suo percorso artistico basato sulla pittura e la scultura, tanto che, in alcuni casi, le abbina a quadri astratti e materici creando un dialogo tra superfici diverse, oppure le trasforma in piccole fotografie-sculture.

29 settembre – 28 ottobre 2022 – Studio Masiero, Milano

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Mostre di fotografia da non perdere a giugno.

Ciao!

Di seguito trovate mostre interessantissime da non perdere nel mese di giugno!

Anna

VIVERE IN ALTO. IN MONTAGNA CON I FOTOGRAFI MAGNUM

Philip Jones Griffiths, Edge of the Gobi Desert, Mongolia, 1964 © Philip Jones Griffiths / Magnum Photos

“Grandi cose si compiono quando gli uomini e le montagne si incontrano”, scriveva William Blake. Lo vedremo anche in Val di Sole, che per l’occasione si trasformerà nella Valle della Fotografia. A creare un legame diretto tra il progetto espositivo di Castel Caldes e lo spettacolare teatro delle Dolomiti, saranno gli scatti del fotografo Paolo Pellegrin, ospite di questi luoghi incantati grazie a un programma di residenze artistiche. Le immagini catturate dal reporter Magnum tra l’Adamello, l’Ortles Cevedale e il gruppo del Brenta saranno esposte all’aperto in una mostra diffusa ed ecosostenibile da scoprire in mezzo a boschi, pascoli, malghe e ruscelli, lungo il nuovo Sentiero della Fotografia.

Castello di Caldes (Trento) dal 17 giugno al 9 ottobre

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ELLIOTT ERWITT. 100 FOTOGRAFIE

© Elliott Erwitt | Elliott Erwitt, USA, Wilmington, North Carolina, 1950

Dal 27 maggio al 16 ottobre 2022, il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano ospita una retrospettiva dedicata a Elliott Erwitt (Parigi, 1928), uno dei più importanti fotografi del Novecento.
L’esposizione, curata da Biba Giacchetti, organizzata dal Museo Diocesano in collaborazione con SudEst57, col patrocinio del Comune di Milano, sponsor Credit Agricole e media partner IGP Decaux, presenta cento dei suoi scatti più famosi, da quelli più iconici in bianco e nero a quelli, meno conosciuti, a colori che Erwitt aveva deciso di utilizzare per i suoi lavori editoriali, istituzionali e pubblicitari, dalla politica al sociale, dall’architettura al cinema e alla moda.
 
“Anche quest’anno – dichiara Nadia Righi, direttrice del Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano – il Museo Diocesano propone per il periodo estivo una mostra di fotografia, aprendosi alla città anche in orario serale e offrendo nel gradevole spazio del chiostro diverse attività culturali”.
“Le sale del museo – prosegue Nadia Righi – accolgono una importante retrospettiva dedicata a Elliott Erwitt, uno dei più straordinari fotografi, ancora vivente, del quale presentiamo le immagini più iconiche affiancate ad altre meno note, sia in bianco e nero che a colori. Tanti sono i temi toccati da Erwitt nel corso della sua lunga carriera: i ritratti di importanti personaggi del mondo della politica o dello spettacolo, i grandi fatti della storia, i bambini, i reportage di viaggio, ma anche la propria famiglia. Egli guarda sempre alla realtà, da quella più nota a quella più intima e personale, con uno sguardo curioso, talvolta con una sottile e delicata ironia che rende i suoi scatti sempre affascinanti e capaci di portare nuove riflessioni”.
 
“Elliott ed io – afferma Biba Giacchetti – salutiamo con entusiasmo questa retrospettiva che il Museo Diocesano ha voluto dedicargli. Elliott è molto legato a Milano, città dove trascorse l’infanzia fino alla partenza per gli Stati Uniti a causa delle leggi razziali. La selezione delle immagini in mostra, molte delle quali mai esposte a Milano, è stata curata da me in stretta collaborazione con Elliott, come ogni progetto che lo riguarda”.
“Sono certa – conclude Biba Giacchetti – che questa selezione delle sue icone più note affiancate ad immagini inedite a Milano, potrà generare una nuova curiosità, che si aggiungerà all’amore che da sempre accompagna gli scatti di questo grande fotografo”.
Il percorso espositivo ripercorre l’intera carriera dell’autore americano offre uno spaccato della storia e del costume del Novecento, attraverso la sua tipica ironia, pervasa da una vena surreale e romantica, che lo ha identificato come il fotografo della commedia umana.
L’obiettivo di Erwitt ha spesso anche colto momenti e situazioni che si sono iscritte nell’immaginario collettivo come vere e proprie icone; è il caso dello scatto con Nixon e Kruscev a Mosca nel 1959, talmente efficace che lo staff del presidente degli Stati Uniti se ne appropriò per farne un’arma nella sua campagna elettorale, dell’immagine tragica e struggente di Jackie Kennedy in lacrime dietro il velo nero durante il funerale del marito, del celebre incontro di pugilato tra Muhammad Ali e Joe Frazier del 1971, o ancora di un giovane Arnold Schwarzenegger in veste di culturista durante una performance al Whitney Museum di New York.
Grande ritrattista, Erwitt ha immortalato numerose personalità che hanno caratterizzato la storia del XX secolo, dai padri della rivoluzione cubana, Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara, in una rara espressione sorridente, ai presidenti americani che ha fotografato dagli anni cinquanta fino a oggi con una particolare predilezione per J.F. Kennedy che stimava e che fissò sulla pellicola in una posa ufficiale e in una insolita, mentre fuma indisturbato durante la convention democratica nel 1960.
In questa galleria di personaggi, un angolo particolare è riservato a Marilyn Monroe, forse la stella del cinema più fotografata di tutti i tempi, colta sia in momenti privati e intimi, sia nei momenti di pausa sui set dei film; di lei, Erwitt ammirava, più che la bellezza, la capacità di flirtare con l’obiettivo, che rendeva remota la possibilità di sbagliare lo scatto.
Uno dei temi ricorrenti nella carriera di Erwitt è quello dei bambini che ama – ha avuto sei figli e un numero esponenziale di nipoti – e con i quali ha sempre avuto un rapporto speciale. Alle immagini tranquillizzanti, in cui i piccoli sono colti nella loro allegria, la bambina di Puerto Rico o i ragazzini irlandesi, entrambi fotografati per una campagna di promozione turistica dei due paesi.
A questi scatti si affiancano quelli dedicati agli animali, in particolare ai cani, presi in pose il più delle volte buffe o che richiamano un atteggiamento antropomorfo d’imitazione dell’uomo.
Al Museo Diocesano di Milano non mancano le immagini che rivelano lo spirito romantico di Erwitt e che mostrano coppie d’innamorati che si scambiano momenti di tenerezza all’interno delle auto o si abbracciano in place du Trocadéro davanti alla Tour Eiffel in un giorno di pioggia, mentre la silhouette di un uomo salta una pozzanghera.
Grande viaggiatore, Erwitt ha documentato le società e le vicende della gente comune dei paesi che visitava come fotoreporter, dalla Francia alla Spagna, dall’Italia alla Polonia, dal Giappone alla Russia, agli Stati Uniti e gli scorci di vita delle metropoli americane.
Accompagna la mostra un volume SudEst con testi di Elliott Erwitt e Biba Giacchetti. 

Dal 27 Maggio 2022 al 16 Ottobre 2022 – Museo Diocesano Carlo Maria Martini – Milano

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IMP Festival – International Month of Photojournalism

©Darcy Padilla

Anche quest’anno Padova ospita la nuova edizione del Festival internazionale di fotogiornalismo (Imp), il primo evento in Italia dedicato esclusivamente a questo genere fotografico. Dal 3 al 26 giugno saranno esposti i progetti di circa quaranta autori, italiani e stranieri, in diversi luoghi della città.

Basandosi sulle critiche della World press photo foundation, che gestisce il più importante premio di fotogiornalismo al mondo e che ha sottolineato come le fotografe siano generalmente meno rappresentate rispetto ai loro colleghi maschi, insieme alla tendenza a privilegiare comunque le opere di autori occidentali, il festival si è impegnato a dare maggiore spazio alle donne (circa il 70 per cento delle mostre) e a progetti provenienti da tutti e cinque i continenti.

Una delle mostre principali è Of suffering and time di Darcy Padilla, che approfondisce il suo lungo racconto cominciato negli anni novanta nell’Ambassador hotel di San Francisco, soprannominato “The aids hotel” perché ospitava i malati che non avevano né casa né famiglia e che gli ospedali, sovraffollati, rifiutavano di tenere perché non c’era niente da fare per curarli se non somministrare morfina. Da questa esperienza è nato anche The Julie project, opera fondamentale nel reportage a lungo termine, in cui la fotografa statunitense ha seguito la vita di Julie Baird (una delle ospiti dell’hotel) dal 1993 fino alla sua morte, avvenuta nel 2010.

Gideon Mendel ci porta invece tra Australia, Grecia, Canada e Stati Uniti, dove dal 2020 ha documentato gli incendi che hanno devastato ettari di foreste e messo a rischio intere comunità. In Burning world il fotografo sudafricano preferisce arrivare quando le fiamme sono ormai spente e osservare l’impatto della crisi ambientale sulla vita delle persone.

Grozny: nine cities è un approfondimento realizzato da tre fotografe russe – Maria Morina, Oksana Yushko, Olga Kravets – sulla complessità della Cecenia contemporanea, dalla fine del conflitto con la Russia nel 2009. A Grozny le ferite e l’odio seminato dalla guerra sono mascherati dai centri di bellezza, dai suv e dai bar alla moda, ma il dissenso non è permesso e i carri armati russi sfilano ancora insieme ai sostenitori idolatranti del presidente Ramzan Kadyrov.

3 – 26 GIUGNO 2022 – Padova – sedi varie

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SEBASTIÃO SALGADO. ALTRE AMERICHE

© Sebastião Salgado/Contrasto | Sebastião Salgado, Guatemala, 1978

Sarà inaugurata il 20 maggio 2022 alle 19.30 la mostra di Sebastião Salgado nelle sale del Castello Aragonese di Otranto. Curata da Lélia Wanick Salgado, promossa dal Comune di Otranto e organizzata da Contrasto, resterà visitabile fino al 2 novembre 2022. 

Una mostra finora inedita in Italia, Altre Americhe è il primo grande progetto fotografico realizzato da Sebastião Salgado, quando dopo anni di vita in Europa, decise di tornare a conoscere e riconoscere la sua terra, il Brasile e l’American Latina. Munito di una macchina fotografica, nei numerosi viaggi compiuti tra il 1977 e il 1984, ha percorso un intero continente cercando di cogliere, nel suo bianco e nero pastoso e teatrale, l’essenza di una terra e la ragione di una lunga tradizione culturale. Il risultato è un corpus di immagini di grande forza che evoca il valore di un continente, la sua economia, la sua religiosità e la persistenza delle culture contadine e indiane. 

Come ha affermato Salgado stesso, “quando ho cominciato questo lavoro, nel 1977, […] il mio unico desiderio era ritornare a casa mia, in quella amata America Latina […]. Armato di tutto un arsenale di chimere, decisi di tuffarmi nel cuore di quell’universo irreale, di queste Americhe latine così misteriose, sofferenti, eroiche e piene di nobiltà. Questo lavoro durò sette anni, o piuttosto sette secoli, per me, perché tornavo indietro nel tempo”.

“Siamo veramente felici di ospitare una mostra di Sebastião Salgado, considerato uno dei più grandi fotografi contemporanei a livello mondiale – sostiene Pierpaolo Cariddi, sindaco di Otranto.
Un attento osservatore di quella che egli definisce la ‘famiglia umana’. Per anni in giro per il mondo narrando, attraverso i suoi scatti, storie di popoli e di un pianeta spesse volte martoriato. 
Le sue foto in bianco e nero mostrano il suo progetto di vita e documentano i cambiamenti ambientali, economici e politici degli ultimi decenni.
I visitatori sapranno certamente apprezzare gli scatti del fotografo brasiliano che ha fatto del suo lavoro una missione. Nonostante gli ultimi due anni ci hanno messo a dura prova, abbiamo comunque sempre garantito mostre di qualità nel Castello Aragonese – prosegue il sindaco Cariddi, contenitore culturale ormai divenuto cuore pulsante della nostra città, centro culturale che ospita ogni anno eventi, iniziative, installazioni di livello internazionale”.

In esposizione a Otranto, per la prima volta 65 opere di tre diversi formati. L’intensità delle fotografie in bianco e nero, la loro potenza plastica, hanno confermato per il mondo intero la nascita di un grande fotografo e un narratore del nostro tempo: Sebastião Salgado.

Come ha detto Alan Riding, del New York Times, Le fotografie di Salgado catturano di volta in volta la luce e l’oscurità del cielo e dell’esistenza, la tenerezza e il sentimento che coesistono con la durezza e la crudeltà. Salgado è andato a cercare un angolo dimenticato delle Americhe, erigendolo a prisma attraverso il quale può essere osservato il continente nel suo complesso. […] Salgado è il creatore di un archivio, il custode di un mondo, di cui celebra l’isolamento. Così facendo, mira a suscitare emozioni problematiche e contraddittorie. E anche in questo caso, ci riesce in pieno”.

Dal 20 Maggio 2022 al 02 Novembre 2022 – Castello Aragonese – Otranto (LE)

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LA FLEUR – Erminio Annunzi

La Fleur (il fiore): trovo veramente calzante la versione femminile che la lingua francese propone rispetto al termine maschile della lingua italiana, perché ci introduce efficacemente e delicatamente nel mondo femminile, splendidamente rappresentato da questo gioiello della natura. Bellezza, eleganza, femminilità, sensualità, fragranza, sono solo alcuni aggettivi rappresentativi dell’universo donna, interpretati e letti attraverso l’elemento, primario ed antico, con cui la natura perpetua le specie vegetali e la vita sul nostro piccolo mondo.

La chiave che esalta con sublime efficacia la forma e le delicate volute delle corolle e dei petali, è data dalla scelta di isolare e decontestualizzare il fiore, posandolo su un fondo monocromatico come sospeso nel tempo; un isolamento visivo che permette di cogliere l’essenza singolare del suo incarnare eleganza e bellezza.

Siamo abituati  a creare parallelismi tra il fiore e la femminilità, e questo lega in modo solido la descrizione della donna  in un panorama di idealizzata bellezza, fortemente pervaso anche di sensualità e sessualità.

Nulla di esplicito, solo un delicato richiamo a quella componente corporale derivata dalla presa di coscienza che il fiore è un “corpus” gentile, dedicato alla riproduzione ed alla perpetuazione della specie, un organo sessuale ammantato di profumi, di dolci effluvi e di meravigliosa bellezza.

Da questo tripudio d’esaltazione dell’incanto floreale, si rivelano le scelte stilistiche di Erminio Annunzi; la scelta di creare una sorta di composizione multipla del fiore ripreso (da notare che sono tutti fiori fotografati in natura), crea una nuova bellezza visiva che si amplifica nel ridotto spazio del frame fotografico, in una volontà di moltiplicarsi sempre di più fino all’infinito.

In ultimo, ma non ultimo, il ricorso all’essenzialità di un bianco e nero semplice ed elegante, fa il paio con l’intima sostanza, l’estrema semplicità e l’esaltante simbologia che il fiore richiama ai nostri occhi, alla nostra mente e al nostro cuore.

Dal 16 giugno – Musa Fotografia – Monza

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GIANNI BERENGO GARDIN. L’OCCHIO COME MESTIERE

Gianni Berengo Gardin, Siena, 1983 © Gianni Berengo Gardin I Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

L’uomo e il suo spazio sociale nella natura concreta e analogica del maestro della fotografia di reportage e indagine sociale. Il racconto si snoda lungo un percorso di oltre 150 fotografie, tra le più celebri, le meno conosciute, fino a quelle inedite: un patrimonio visivo unico, dal dopoguerra a oggi, caratterizzato dalla coerenza nelle scelte linguistiche e da un approccio “artigianale” alla pratica fotografica.

Dalla Venezia delle prime immagini alla Milano dell’industria, degli intellettuali, delle lotte operaie; dai luoghi del lavoro (i reportage realizzati per Alfa Romeo, Fiat, Pirelli, e soprattutto Olivetti) a quelli della vita quotidiana; dagli ospedali psichiatrici (con Morire di classe del 1968), all’universo degli zingari; dai tanti piccoli borghi rurali alle grandi città; dall’Aquila colpita dal terremoto al MAXXI in costruzione fotografato nel 2009.

Attraverso un percorso fluido e non cronologico, la mostra offre una riflessione sui caratteri peculiari della ricerca di Berengo Gardin: la centralità dell’uomo e della sua collocazione nello spazio sociale; la natura concretamente ma anche poeticamente analogica della sua “vera” fotografia (non tagliata, non manipolata); la potenza e la specificità del suo modo di costruire la sequenza narrativa, che non lascia spazio a semplici descrizioni dello spazio ma costruisce naturalmente storie.

Dal 04 Maggio 2022 al 18 Settembre 2022 – MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo – Roma

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PHOTOLUX 2022 – YOU CAN CALL IT LOVE

Simone Cerio, Religo
© Simone Cerio | Simone Cerio, Religo

Dal 21 maggio al 12 giugno 2022, Lucca ospita You can call it Love, la nuova edizione di Photolux Festival – Biennale Internazionale di Fotografia di Lucca, uno degli appuntamenti più interessanti e attesi del panorama europeo, interamente dedicati alla fotografia. 

Il tema del Festival, scelto dal comitato di direzione artistica composto da Rica Cerbarano, Francesco Colombelli, Chiara Ruberti ed Enrico Stefanelli, è l’amore.

Un ricco programma di oltre 20 esposizioni
, ospitate in alcuni dei luoghi più prestigiosi nel centro della città toscana, e una serie d’iniziative collaterali come conferenze, workshop, letture portfolio, incontri con i protagonisti della fotografia internazionale. 

Tra gli appuntamenti più attesi, due anteprime italiane: la monografica di Seiichi Furuya (Giappone) con il progetto Face to Face, capitolo conclusivo delle Mémoires, un percorso portato avanti dall’autore da oltre trent’anni con l’intento di custodire, elaborare, celebrare la memoria della compagna Christine e dei sette anni d’amore vissuti insieme, e l’installazione di Erik Kessels (Paesi Bassi)per il sedicesimo capitolo del suo In Almost Every Pictures, dedicato alla creatività erotica messa in scena nel salotto di casa dai due coniugi Noud e Ruby. 

Tra gli altri progetti, PIMO Dictionary il vocabolario domestico creato dall’artista cinese Pixy Liao (Cina) insieme al compagno Moro, Love that dare not speak its name di Marta Bogdańska (Polonia), sulla figura di Selma Lagerlöf, primo capitolo di un ambizioso lavoro sulle biografie queer di importanti personaggi della letteratura, della cultura e dell’arte, a una grande mostra collettiva sul ritratto di famiglia e Religo, il lavoro di Simone Cerio (Italia) che racconta della comunità LGBTQ+ all’interno di quella cattolica.

“La selezione di autori presentati nell’edizione 2022 di Photolux – affermano i componenti della direzione artistica del festival – porta in luce la molteplicità di approcci possibili, alcuni inediti e contemporanei, altri più classici e tradizionali, al tema dell’amore, che si traducono nel racconto di storie e incontri unici e diversi tra loro, dove ognuno di noi può ritrovare un po’ di se stesso”.
“Costruendo la proposta espositiva di You can call it Love abbiamo pensato alla fotografia non più come specchio né come finestra – citando la distinzione storica di Szarkowski –, ma come una macchina a raggi X, capace di vedere attraverso di noi e dare voce ad alcune sensazioni, desideri, emozioni che neanche sappiamo di avere”.

“Il greco antico – proseguono i componenti della direzione artistica del festival – utilizzava diversi termini per definire le possibili declinazioni dell’amore; la maggior parte delle lingue moderne non è così precisa. Il lessico a nostra disposizione sembra, per pudore o per inadeguatezza, non riuscire a delineare nella sua completezza il caleidoscopio di sentimenti che la vita ci offre ogni giorno, comprimendo così le molteplici sfumature di quello che, per comodità, siamo abituati a chiamare Amore. La fotografia ci restituisce una rappresentazione stratificata e poliforme dell’Amore, ed è proprio nella molteplicità del linguaggio fotografico che si riversano le infinite possibilità del “discorso amoroso” di cui parlava Barthes: un discorso frammentario, perché complesso, ma necessario e, nella sua inafferrabilità, onnipresente nella vita di ognuno di noi”.

Dal 21 Maggio 2022 al 12 Giugno 2022 – Lucca – Sedi varie

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ENRICO GENOVESI. NOMADELFIA. UN’OASI DI FRATERNITÀ

Sabato 14 maggio dalle ore 19.00 – presso la sede in Via Costanzo Cloro 58, Roma – inaugura la mostra fotografica “Nomadelfia. Un’oasi di fraternità”. Sarà presente l’autore, il fotografo Enrico Genovesi.

Dai termini greci nomos e adelphia, che significa: “Dove la fraternità è legge”, Nomadelfia è un popolo comunitario, più che una comunità, ed è situato vicino alla città di Grosseto in Toscana (Italia). Un piccolo popolo con una sua Costituzione che si basa sul Vangelo. Fondata nel 1948 nell’ex campo di concentramento di Fossoli da don Zeno Saltini, il suo scopo: dare un papà e una mamma ai bambini abbandonati. Attualmente conta circa 300 persone, 50 famiglie suddivise in 11 gruppi, di cui quasi la metà bambini e ragazzi, parte pulsante della comunità.

Nomadelfia ha una sua storia, una sua cultura, una sua legge, un suo linguaggio, un suo costume di vita, una sua tradizione. È una popolazione con tutte le componenti: uomini, donne, sacerdoti, famiglie, figli. Per lo Stato è un’associazione civile organizzata sotto forma di cooperativa di lavoro, per la Chiesa è una parrocchia e un’associazione privata tra fedeli. Tutti  i beni sono in comune, non circolano soldi, non ci sono negozi ma soltanto magazzini. I generi alimentari vengono distribuiti ai “Gruppi Familiari” in proporzione al numero delle persone e secondo le necessità dei singoli. Nello spirito dei consigli evangelici la popolazione di Nomadelfia conduce una vita caratterizzata da “sobrietà” cioè secondo le vere esigenze umane.

Dal 14 Maggio 2022 al 09 Giugno 2022 – WSP Photography – Roma

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ROBERT DOISNEAU

© Atelier Robert Doisneau | Robert Doisneau, L’information scolaire, Paris 1956 

Mostra dedicata al grande maestro della fotografia Robert Doisneau.

Sono esposti oltre 130 scatti in bianco e nero, provenienti dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau a Montrouge, attraverso i quali Doisneau, considerato uno dei padri fondatori della fotografia umanista francese e del fotogiornalismo di strada, ha catturato la vita quotidiana e le emozioni degli uomini e delle donne che popolavano Parigi e la sua banlieue, nel periodo dall’inizio degli anni Trenta alla fine degli anni Cinquanta, il più prolifico per l’artista.

Dal 28 Maggio 2022 al 04 Settembre 2022 – Museo dell’Ara Pacis – Roma

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SHOOTING IN SARAJEVO

© Luigi Ottani

A trent’anni di distanza dall’inizio dell’assedio più lungo della storia recente, il fotografo Luigi Ottani e l’attrice, autrice e documentarista Roberta Biagiarelli portano a Villa Greppi la mostra allestita lo scorso aprile lungo il tristemente celebre “Viale dei cecchini” di Sarajevo. Si tratta di “Shooting in Sarajevo”, un’esposizione nata dal progetto che dalla primavera del 2015 ha visto Ottani e Biagiarelli tornare negli stessi luoghi da cui i cecchini tenevano sotto assedio Sarajevo e i suoi abitanti, scattando da lì le fotografie oggi in mostra. Gli appartamenti di Grbavica, l’Holiday Inn, la caserma Maresciallo Tito, le postazioni di montagna sono divenuti il punto di vista ideale per perdersi nella mente di chi, da quegli stessi luoghi, inquadrava per uccidere. Sono stati giorni di attese, di passaggi di uomini, donne e bambini, aspettando che il soggetto, ignaro, arrivasse al centro del mirino per fermare il momento. Un progetto editoriale divenuto mostra e che, per gli autori, vuole essere un gesto di affetto per Sarajevo, per le vittime, per i sopravvissuti e per tutti coloro che ancora oggi si trovano in ostaggio in aree di conflitto.

dal 2 al 19 Giugno 2022 – Antico Granaio di Villa Greppi, Monticello Brianza 8LC9

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GUIDO HARARI. REMAIN IN LIGHT. 50 ANNI DI FOTOGRAFIE E INCONTRI

© Guido Harari Photography

Da sempre Epson è partner dei progetti di Guido Harari e questa collaborazione si riconferma oggi con un’importante mostra antologica, “Remain In Light. 50 anni di fotografie e incontri”, che ripercorre l’intera carriera dell’eclettico fotografo, da sempre legato al mondo della musica, della cultura e della società anche come autore di libri, curatore di mostre, gallerista ed editore.

Oltre 250 fotografie di Harari, che verranno esposte in diverse sedi italiane a partire dalla Mole Vanvitelliana di Ancona dal 2 giugno al 9 ottobre 2022, raccontano i grandi protagonisti della musica e le maggiori personalità del nostro tempo, da David Bowie a Bob Dylan, Josè Saramago, Bob Marley, Lou Reed, Giorgio Armani, Fabrizio De André, Vasco Rossi, Ennio Morricone, Dario Fo e Franca Rame, Rita Levi Montalcini, Sebastiao Salgado, Greta Thunberg, Marcello Mastroianni, Tom Waits. 
Sono ritratti indimenticabili, quelli realizzati da Guido Harari, che raccontano la dimensione intima dei suoi incontri con grande intensità ed emozione, immagini che prendono vita attraverso la tecnologia di stampa, gli inchiostri e la carta fotografica Epson Luster, capace di restituire ogni sfumatura del colore o profondità del bianco e nero.

Dal 02 Giugno 2022 al 09 Ottobre 2022 – Mole Vanvitelliana – Ancona

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WORLD PRESS PHOTO 2022

World Press Photo of the Year. Amber Bracken for the New York Times, Kamloops Residential School
 

Dal 7 maggio al 3 luglio 2022, il Forte di Bard ospita la nuova edizione di World Press Photo, il più prestigioso premio al mondo di fotogiornalismo. World Press Photo 2022 si conferma l’appuntamento che restituisce al mondo intero la enorme capacità documentale e narrativa delle immagini, rivelandone il fondamentale ruolo di testimonianza storica del nostro tempo. Il premio, giunto alla 67esima edizione, è stato ideato nel 1955 dalla World Press Photo Foundation, organizzazione indipendente senza scopo di lucro con sede ad Amsterdam, ha visto quest’anno la partecipazione di 4066 fotografi di 130 Paesi, per un totale di 64.823 immagini candidate. La valutazione ha coinvolto giurie regionali e una giuria globale di 31 componenti altamente qualificati. 
 
A differenza degli anni precedenti, quando era organizzato in categorie tematiche, il concorso è suddiviso in sei aree geografiche, divise a loro volta in quattro categorie in base al formato dell’immagine. Le macro aree sono Africa, Asia, Europa, Nord e Centro America, Sud America, Sud-est asiatico e Oceania. Ogni area prevede quattro categorie: Singles, Stories, Long-Term Projects e Open Format. Tra i 24 vincitori in ciascuna delle quattro categorie la giuria ha selezionato i quattro vincitori globali: World Press Photo of the Year, World Press Photo Story of the YearWorld Press Photo Long-Term Project Award e World Press Photo Open Format Award.
I 24 vincitori provengono da 23 Paesi: Argentina, Australia, Bangladesh, Brasile, Canada, Colombia, Ecuador, Egitto, Francia, Germania, Grecia, India, Indonesia, Giappone, Madagascar, Messico, Nigeria, Paesi Bassi, Norvegia, Palestina, Russia, Sudan e Thailandia.
 
Ad aggiudicarsi il titolo di World Press Photo of the Year è stato lo scatto Kamloops Residential School della fotografa canadese Amber Bracken. L’immagine immortala una successione di abiti rossi appesi a delle croci lungo la strada. Una sorta di memoriale a cielo aperto per ricordare i 215 bambini morti presso la Kamloops Indian Residential School in Canada, dove venivano forzatamente inviati i figli delle famiglie di nativi locali, i cui resti sono stati ritrovati in una fossa comune. Ha commentato Rena Effendi, presidente della giuria: «È un’immagine che si imprime nella memoria. Che suscita un’immediata reazione. Posso quasi percepire la quiete in questa fotografia. Una sorta di resa dei conti nella storia della colonizzazione. Non solo in Canada ma in tutto il mondo». E’ la prima volta nei 67 anni del Premio che vince una fotografia che non ritrae persone.
 
Il riconoscimento per la Storia dell’anno è andato al progetto Saving Forests with Fire dell’australiano Matthew Abbott. La serie documenta la pratica degli incendi boschivi controllati che da migliaia di anni gli Nawarddeken del West Arnhem Land, in Australia, utilizzano per gestire le loro terre. 

È Amazonian Dystopia del fotografo brasiliano Lalo de Almeida lo scatto vincitore del Long-term Project Award. La serie documenta lo sfruttamento della Foresta amazzonica, che ha avuto grande impulso sotto il governo di Bolsonaro. Un patrimonio di biodiversità compromesso dalla deforestazione, dalle attività estrattive e dalla costruzione di infrastrutture. Tutte attività che mettono gravemente in pericolo non solo la natura ma anche le popolazioni che qui vivono.
 
L’Open Format Award è andato a Blood is a Seed della fotografa ecuadoriana Isadora Romero. La serie è un viaggio nel villaggio di Une nel dipartimento di Cundinamarca, in Colombia. Qui, il nonno e la bisnonna dell’autrice erano “guardiani dei semi” e coltivavano diverse varietà di patate, di cui ne rimangono solo due. Attraverso una storia personale, dunque, Isadora Romero affronta questioni legate alla perdita di biodiversità, alla migrazione forzata, alla colonizzazione e al venir meno di tradizioni antiche.
 
Nell’allestimento al Forte di Bard sarà presente anche il The Winner Wall, un maxicombo di 3×5 metri di grandezza che presenterà le migliori foto vincitrici del premio Foto dell’Anno dal 1955, anno della prima mostra, ad oggi. 

 Dal 07 Maggio 2022 al 03 Luglio 2022 – Forte di Bard – Aosta

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FOCUS SU MARIO GIACOMELLI

Mario Giacomelli, Io non ho mani che mi accarezzino il volto, 1961-1963 | © Archivio Mario Giacomelli – Simone Giacomelli

Un itinerario alla scoperta della fotografia poetica, malinconica e profonda di Mario Giacomelli, a partire dal 28 aprile negli spazi di Magazzini Fotografi. 
Focus su Mario Giacomelli è un approfondimento dedicato ad uno dei più importati artisti nel XX secolo, condotto attraverso un percorso tra fotografia, video-proiezioni e photobooks dedicati all’autore. 
 
In mostra cinque delle più iconiche e rappresentative fotografie dell’artista, in stampa vintage, la più pura essenza della ricerca fotografica condotta da Mario Giacomelli, che ha vissuto negli anni molteplici mutazioni ed evoluzioni, lasciando un contributo fondamentale nel mondo dell’arte contemporanea. 
 
Per meglio comprendere la poetica dell’artista, il percorso si arricchirà con video proiezioni e docu-film e un allestimento delle principali produzioni editoriali del fotografo, con il proposito di accompagnare lo spettatore alla scoperta del complesso e surreale mondo fotografico di Mario Giacomelli. 
 
L’evento è reso possibile grazie alla preziosa collaborazione con la Libreria Marini e in particolare con Adele Marini, co-direttrice dell’Archivio insieme a sua sorella Giovanna. 
 
Mario Giacomelli, nato a Senigallia nel 1925, è stato uno dei fotografi italiani più importanti in ambito internazionale. 
Alcune delle sue immagini sono diventate simbolo riconosciuto della ricerca fotografica italiana nel mondo.​ Noto in particolare per i suoi scatti in bianco e nero dai forti ed intensi contrasti, il segno che contraddistingue la fotografia di Giacomelli si indentifica nella sua capacità di adoperare l’antitesi tra questi due colori per mutare la forma e la consistenza dell’immagine.

La fotografia reale e surreale dell’autore si distingue inoltre per la totale assenza di soggetti preferenziali: Giacomelli coltivò per tutta la sua carriera una forte curiosità passando da un tema all’altro, ma con un occhio sempre attento alle persone ed ai paesaggi.
 
«La fotografia mi ha aiutato a scoprire le cose a interpretarle e rivelarle. Racconto la conoscenza del mondo, in una architettura interiore dove le vibrazioni sono un continuo fluire di attimi, di avventure liberanti come espressione totale dove sento tutta la completezza della mia esistenza».

Dal 28 Aprile 2022 al 17 Luglio 2022 – Magazzini Fotografici – Napoli

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GIULIO DI STURCO. GANGA MA (MADRE GANGE)

GIULIO DI STURCO. GANGA MA (MADRE GANGE)

Se Ganga vive, vive anche l’India. Se Ganga muore, muore anche l’India
Vandana Shiva, scrittrice e ambientalista indiana 

Dall’11 aprile al 19 settembre 2022, MIA Fair presenta nello spazio dedicato alla fotografia d’arte dell’Università Bocconi a Milano, la personale di Giulio Di Sturco Ganga Ma
 (Madre Gange), in partnership con la Podbielski Contemporary gallery.
La mostra, nuovo appuntamento del progetto di collaborazione tra MIA Fair e BAG-Bocconi Art Gallery iniziato nel 2016, è il risultato di una ricerca fotografica durata dieci anni sul fiume Gange, nel quale Giulio Di Sturco ha documentato gli effetti dell’inquinamento, dell’industrializzazione e dei cambiamenti climatici.
“Ho pensato a un progetto espositivo per l’Università Bocconi – afferma Fabio Castelli, ideatore e direttore di MIA Fair – che coniughi a uno standard altissimo di qualità, una profonda riflessione su un tema fondamentale: gli effetti dell’inquinamento sulla sopravvivenza del pianeta”.
Il progetto di Di Sturco accompagna il Gange per 2.500 miglia, dalla fonte nell’Himalaya in India al delta nella Baia di Bengal in Bangladesh, raccontando come si trovi sospeso tra la crisi umanitaria e il disastro ecologico.
 
Il Gange è un esempio emblematico della contraddizione irrisolta tra uomo e ambiente, poiché è un fiume intimamente connesso con ogni aspetto – fisico e spirituale – della vita indiana. Tutt’oggi costituisce una fonte di sussistenza per milioni di persone che vivono lungo le sue rive, fornendo cibo a oltre un terzo della popolazione indiana. Il suo ecosistema include una vasta eterogeneità di specie animali e vegetali, che stanno però scomparendo a causa dei rifiuti tossici smaltiti ogni giorno nelle sue acque.
Le fotografie di Ganga Ma spaziano dalla banalità del quotidiano a una condizione quasi surreale. Quasi a evidenziare l’infermità causata dall’uomo al corpo del fiume, Di Sturco ha adottato una strategia estetica singolare, presentando immagini che a una prima occhiata appaiono piacevoli e poetiche, ma che poi rivelano la loro vera natura.

Dal 11 Aprile 2022 al 19 Settembre 2022 – Università Bocconi – Milano

STILL APPIA. FOTOGRAFIE DI GIULIO IELARDI E SCENARI DEL CAMBIAMENTO

STILL APPIA. FOTOGRAFIE DI GIULIO IELARDI E SCENARI DEL CAMBIAMENTO

Nella splendida cornice del Parco Archeologico dell’Appia Antica, presso il Complesso di Capo di Bove, dal 9 aprile al 9 ottobre 2022, è ospitata la mostra fotografica “Still Appia. Fotografie di Giulio Ielardi e scenari del cambiamento” che intende andare oltre il reportage fotografico e narrativo rendendo omaggio alla via Appia vista come itinerario culturale e grande palinsesto storico-sociale di oltre 2000 anni.

Oltre cinquanta scatti di Giulio Ielardi, fotografo romano, raccontano il suo viaggio fatto a piedi nel 2021, in solitaria lungo la via Appia da Roma a Brindisi: ventinove giorni in tutto, di zaino in spalla tra strade, ruderi e borghi alla ri-scoperta di una delle strade più antiche di Roma.
Gli scatti superano la dimensione reportistica e la ricerca iconografica del fotografo e diventano il pretesto per un aggiornamento sugli sviluppi della valorizzazione di questa arteria dell’antichità, prima grande direttrice di unificazione culturale della penisola italiana.

L’importanza acquisita negli ultimi anni dal recupero dei percorsi a piedi è testimoniata dall’interesse da parte del Ministero della Cultura (MIC) nel dare vita al progetto Appia Regina Viarum.
L’obiettivo del progetto è la realizzazione del cammino dell’Appia Antica da Roma a Brindisi, prevedendo una serie di interventi di sistemazione del tracciato e dei monumenti in tutte e quattro le Regioni – Lazio, Campania, Basilicata e Puglia – attraversate dall’Appia stessa.
Anche il Parco Archeologico dell’Appia Antica è impegnato con un proprio specifico programma di sistemazione di un tratto della via che va dalla Campagna Romana fino ai Castelli. Ma il ruolo del Parco va ben oltre i suoi limiti territoriali, estendendosi per decreto istitutivo al coordinamento della valorizzazione di tutta la Regina Viarum fino a Brindisi. La mostra Still Appia vuole raccontare le azioni e le visioni di questo ambizioso programma.

La mostra è organizzata dal Parco Archeologico dell’Appia Antica e vede il patrocinio dei Consigli Regionali del Lazio, della Basilicata e della Puglia, oltre il patrocinio del Comune di Mesagne, del Parco naturale dell’Appia Antica, del Parco naturale dei Castelli Romani, di Italia Nostra e de La Compagnia dei Cammini. 
Partner Culturale: FIAF – Federazione italiana associazioni fotografiche.

Dal 09 Aprile 2022 al 09 Ottobre 2022 – Parco Archeologico dell’Appia Antica – Complesso di Capo di Bove

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Mostre di fotografia da non perdere a Maggio

Come sempre, il mese di maggio offre un ricchissimo programma di mostre. Di seguito ne trovate una selezione.

Buona visione

Anna

Le mostre di Fotografia Europea – Un’invincibile estate

Dal 29 aprile al 12 giugno 2022 torna l’atteso appuntamento con Fotografia Europea a Reggio Emilia, Festival di fotografia di caratura internazionale promosso e prodotto da Fondazione Palazzo Magnani insieme al Comune di Reggio Emilia e con il contributo della Regione Emilia-Romagna.

Torna con una fortissima spinta propulsiva, data dal titolo: Un’invincibile estate, frase celebre di Albert Camus che racchiude potentemente l’immagine di come le nostre forze interiori, pur nel cuore dell’Inverno, tendano inevitabilmente a sprigionarsi infine nel trionfo e nel continuo rinnovarsi della vita. Una metafora quanto mai attuale visto il recente passato e il presente che ci stanno accompagnando.

Questa suggestione ha accompagnato la direzione artistica del Festival, composta da Tim Clark e Walter Guadagnini, che ha selezionato i lavori dei protagonisti di quest’anno combinando sguardi internazionali e sensibilità differenti, mai banali, che non mancheranno di cogliere, anche di sorpresa, i visitatori.

Alla base del Festival, come sempre, ci saranno storie e racconti molto spesso intimialtre volte più aperti e sfacciati ma in entrambi i casi con l’obiettivo di stimolare punti di vista nuovi e una riflessione sulla complessità del mondo e dei fili che intrecciano i suoi abitanti ai quattro angoli del pianeta. Molteplici sguardi sulla contemporaneità attraverso il medium della fotografia, per interrogarsi sul ruolo delle immagini e della cultura visiva in questo particolare momento storico.

Come sempre le sale dei monumentali Chiostri di San Pietro saranno il fulcro del festival, ospitando ben dieci esposizioni.

Al primo piano, in ordine di percorso, troviamo Nicola Lo Calzo con il progetto intitolato Binidittu, riflessione sulla condizione delle persone migranti nel Mediterraneo attraverso la figura di San Benedetto il Moro, il primo santo nero della storia moderna considerato un’allegoria dei nostri tempi: luogo d’incontro tra il Mare Nostrum e il mondo, tra la memoria e l’oblio, tra il razzismo banalizzato e l’humanitas condivisa. Nella sala successiva, Hoda Afshar, attraverso gli scatti del complesso progetto Speak The Wind svela gli straordinari paesaggi dell’Iran, la sua gente e i loro rituali, fotografando il vento e gli intrecci di tradizioni e credenze che porta con sé, per formare una registrazione visibile dell’invisibile attraverso l’occhio dell’immaginazione. La fotografa americana Carmen Winant, invece, nella serie di immagini di Fire on World tesse più narrazioni attraverso centinaia di diapositive ritrovate, di protesta, di nascita e di piccoli mondi, che si allineano ordinatamente e messe insieme formano un quadro più ampio di disordine sociale e dissenso. Il giapponese Seiichi Furuya con la mostra First trip to Bologna 1978 /Last trip to Venice 1985 racconta il primo e l’ultimo viaggio fatti insieme a sua moglie Christine Gössler, attraverso ritratti intimi e fermo immagini, che gli hanno permesso di ricostruire la memoria di quei momenti, fino al suicidio di Christine. Ken Grant, fotografo inglese, propone la mostra Benny Profane, un progetto a lungo termine su un distretto portuale nei dintorni di Liverpool, che diventa nei suoi scatti un’immersione in uno spazio e in coloro che da esso dipendono, un resoconto di parentela e sfida in una terra difficile. Il giovane Guanyu Xu con le fotografie di Temporarily Censored Home trasforma lo spazio domestico e conservatore della sua infanzia, in scena di rivelazione, protesta e bonifica queer, mediante un mosaico di immagini raccolte da riviste di moda e cinema occidentalinonché ritratti di sé stesso con altri uomini, per mettere in scena una performance profondamente intima e politica. La fotografa Chloé Jafé con I give you my life racconta la storia, spesso sconosciuta, delle donne della Yakuza – la mafia giapponese tra le più leggendarie al mondo – mogli, figlie, amanti, che orbitano intorno alle attività criminali dei gangster maschi e che a loro hanno dedicato la loro esistenza. Jonas Bendiksen, invece, diffonde il caos nella comunità del fotogiornalismo con The Book of Veles, progetto che accorpa le fake news generate nella piccola e sconosciuta cittadina macedone di Veles per dimostrare – attraverso un misto di reportage classico, modelli di avatar 3D e sistemi di generazione di testo con intelligenza artificiale – che la disinformazione visiva confonde anche i professionisti dei media addestrati. Infine il francese Alexis Cordesse con Talashi, (parola che in lingua araba significa frammentazione, scomparsa) spiega cos’è la guerra civile siriana attraverso le fotografie personali scattate da coloro che vivono in esilio: un atto di rievocazione collettiva tra intimità e Storia.

La mostra storica di questa edizione sarà ospitata nelle sale affrescate del piano terra dei Chiostri di San Pietro e sarà dedicata a Mary Ellen Mark, fotografa documentarista che dal 1964 fino alla sua morte nel 2015, realizza saggi fotografici intensamente vividi e rivoluzionari che esplorano la realtà delle persone, soprattutto donne, in una varietà di situazioni complesse e spesso difficili, dolorose, a volte quasi impossibili.

Mary Ellen Mark: The Lives of Women, a cura di Anne Morin, abbraccia l’umanità di queste donne e la condivide con un pubblico più ampio, fornendo ai suoi soggetti una voce significativa, spesso estremamente potente.

Nella sede di Palazzo da Mosto sarà esposta la mostra dedicata al Paese Ospite, la Russia, con la curatela di Dimitri Ozerkov, Direttore del Dipartimento di arte contemporanea del Museo Ermitage di San Pietroburgo, che presenta Sentieri nel Ghiaccio, una selezione di artisti Alexander Gronsky, Anaïs Chabeur, Olya Ivanova, Evgeny Khenkin, Anselm Kiefer, John Pepper e Dimitry Sirotrin i cui progetti sono intimamente legati al tema di Fotografia Europea 2022. Al piano terra, trovano posto gli scatti della nuova produzione di Fotografia Europea, affidata a Jitka Hanzlovà. Scopo di questo progetto è raccontare come le forze di resilienza degli adolescenti siano oggi particolarmente sollecitate dai risvolti sociali che la situazione sanitaria impone loro da due anni a questa parte.

I progetti dei vincitori della Open Call di questa edizione saranno visibili nel nuovo spazio di Fotografia Europea: la Galleria Santa Maria, nel cuore del centro storico. Simona Ghizzoni racconta nel progetto Isola come sia riuscita a recuperare una relazione con la natura e con le persone, approfittando dell’emergenza Covid per lasciare Roma e tornare a rifugiarsi nell’Appennino Emiliano. La spagnola Gloria Oyarzabal, fotografa e cineasta, fissa il focus della sua indagine sul concetto di Museo in particolare in un’ottica colonialista con il progetto Usus fructus abusus. Infine Maxime Richè, parigino, da tempo si misura con la capacità di adattamento dell’uomo rispetto alle conseguenze degli sconvolgimenti ambientali. In Paradise, il focus è l’incendio che in sole quattro ore ha incenerito l’omonima città californiana e le persone che nonostante ciò, tornano per ricostruirsi una vita, proprio dove la vita è stata così brutalmente cancellata.

Ad abbracciare il festival, numerose altre mostre partner che gravitano intorno ad esso, organizzate dalle più importanti istituzioni culturali cittadine e ospitate presso i propri spazi.

Nel trentennale della scomparsa di Luigi Ghirri, a Palazzo dei Musei, la mostra In scala diversa. Luigi Ghirri, Italia in miniatura e nuove prospettive, a cura di Ilaria Campioli, Joan Fontcuberta e Matteo Guidi, partendo dalla serie In scala realizzata da Luigi Ghirri in più riprese, dalla fine degli anni Settanta alla prima metà degli Ottanta, nel parco divertimenti Italia in Miniatura di Rimini, approfondisce i temi del doppio, della finzione e dell’idea stessa di realtà, creando un dialogo con la raccolta – disegni, cartoline, documenti e immagini provenienti dall’archivio del parco  – accumulatasi dalla metà degli anni Sessanta a seguito dei numerosi viaggi del fondatore Ivo Rambaldi lungo tutta la penisola, allo scopo di raccogliere quanta più documentazione visiva possibile per la costruzione dei plastici.

Sempre a Palazzo dei Musei torna “Incontri! Arte e persone”, progetto di Reggio Emilia Città senza Barriere – STRADE dedicato all’incontro tra fragilità e creatività. L’artista Alessandra Calò, che predilige la pratica del lavoro off camera, e sette persone con fragilità realizzano, attingendo alla ricca collezione dei Musei, un vero e proprio erbario, tramite l’utilizzo di antiche tecniche di stampa fotografica a contatto. La mostra Herbarium. I fiori sono rimasti rosa, insieme agli esperimenti di stampa e al fare laboratoriale, saranno ospitati in un nuovo spazio museale che si apre al dialogo con la città.

Chiostri di San Domenico ospitano la nona edizione di Giovane Fotografia Italiana, progetto del Comune di Reggio Emilia che valorizza i talenti della fotografia italiana contemporanea under 35. La mostra, significativamente intitolata Possibilea cura di Ilaria Campioli e Daniele De Luigi, presenta le ricerche di Marcello Coslovi, Chiara Ernandes, Claudia Fuggetti, Caterina Morigi, Giulia Parlato, Riccardo Svelto, Giulia Vanelli, artisti selezionati da una giuria internazionale, composta dai curatori e da Chiara Fabro – Festival Panoràmic di Barcellona, Shoair Mavlian – Photoworks di Brighton e Krzysztof Candrowicz – Fotofestiwal di Łódź. Novità di questa edizione è l’istituzione del Premio Luigi Ghirri, nel trentennale della scomparsa dell’autore, in collaborazione con l’Archivio Eredi Luigi Ghirri.

Lo Spazio Gerra presenta il progetto In Her Rooms di Maria Clara Macrì in cui l’autrice esplora il rapporto tra empatia, intimità e rappresentazione contemporanea delle donne. Nel suo lavoro, la fotografa riesce a cogliere la natura complessa e intensa della femminilità odierna, liberata dagli stereotipi e dalla sessualizzazione e oggettivazione di cui è vittima ed esprimendo visivamente l’essenza di un nuovo sentire internazionale e globale, dovuto anche alla forte trasmigrazione al femminile.

La Biblioteca Panizzi con la mostra Vasco Ascolini: un’autobiografia per immagini a cura di Massimo Mussini, racconta la vita artistica e lavorativa del fotografo reggiano attraverso 40 anni di scatti in un percorso coraggioso, fatto di incontri importanti e di grande determinazione. L’intento è quello di far conoscere al pubblico la donazione che il fotografo ha fatto alla città ricreando una sorta di diario di viaggio in cui Ascolini segnala i momenti di passaggio con i quali ha progressivamente arricchito il suo linguaggio espressivo.

La Collezione Maramotti dedica la sua mostra al fotografo Carlo Valsecchi che nelle quarantaquattro fotografie di grande formato che costituiscono Bellum – tutte presenti nel volume che accompagna la mostra, e di cui una ventina in esposizione – racconta il conflitto ancestrale tra uomo e natura e tra uomo e uomo. Attraverso un lavoro durato circa tre anni, Valsecchi percorre le montagne, espressione naturale estrema e insieme luogo dell’ultima guerra, sublimando nei suoi scatti una realtà cruda in forma spesso astratta, intimamente estetica e assoluta.

La Fondazione I Teatri espone gli scatti di Arianna Arcara in cui Teatro e fotografia entrano ancora in relazione nel nuovo progetto dal titolo La Visita / Triptych che Fondazione I Teatri, con Reggio Parma Festival e in collaborazione con Collezione Maramotti e Max Mara hanno affidato all’artista invitandola a una interpretazione del lavoro della Compagnia di teatro-danza belga Peeping Tom al Festival Aperto 2021. Ritratti, allestimenti e sequenze sono i tre focus su cui Arcara ha lavorato per questa mostra, riprendendo la performance site specific “La Visita” presso la Collezione Maramotti e la spettacolare trilogia “Triptych” andata in scena al Teatro Municipale Valli.

Dal 29 Aprile al 12 giugno – Reggio Emilia – sedi varie

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Le mostre di Riaperture

Nel 2022 Riaperture, per la sesta edizione del suo Festival di Fotografia, vuole parlare di viaggio, in tutte le sue forme, mezzi e declinazioni possibili: che sia reale, immaginario, nello spazio, nel tempo e anche di fantasia.

Proveniamo da un lungo periodo nel quale spostarsi fisicamente da un luogo ad un altro ci è stato a tratti sconsigliato, a tratti limitato alla sola necessità e a tratti interdetto per la nostra sicurezza. In questo graduale e, ci auguriamo, irreversibile percorso verso il famigerato recupero della normalità, vorremmo tornare pienamente a vivere il viaggio come esercizio di meraviglia davanti alla Natura, in una città o a contatto con un popolo, senza dimenticarci dell’esperienza introspettiva che la distanza ci ha imposto.

Le mostre saranno ospitate nei luoghi di Ferrara riaperti per l’occasione e saranno tutte visibili con il biglietto unico di ingresso, acquistabile in prevendita anche online sul nostro sito.

Nei luoghi riaperti per l’occasione saranno esposte:

Sara Melotti – Quest For Beauty

Rocco Rorandelli – Bitter Leaves

Guia Besana – Carry On

Alessandro Bergamini – Humanity

Giovanni Chiaromonte – Westwards

Alba Zari – The Y

Valerio Muscella e Michele Lapini – Non più, non ancora

Alessandro Inches – ravers’ interiors

Fulvia Bernacca – Sereno

Alison Luntz – In Spirit

dal 13 al 29 maggio 2022 – Ferrara

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Invisible – Roberto Polillo

Dal Marocco alla Cambogia, dal Giappone all’India, tra Venezia, New York e Dubai, 21 fotografie di grande formato per 13 paesi raccontano la ricerca artistica e il linguaggio di Roberto Polillo, un progetto speciale all’interno di MIA FAIR 2022.

Paesaggi e architetturecolori e percezioni, una esplorazione del mondo attraverso una fotocamera in movimento, alla ricerca di quello che gli occhi non vedono: l’invisibile. Tra sperimentazione tecnica e indagine della resa dell’immagine, nasce una fotografia che aspira a cogliere l’anima dei luoghi e rivelare una realtà ridotta ai suoi elementi essenziali, spaziali, cromatici, percettivi, ritmici a tratti pittorici, evocativi; una realtà altra e diversa da quella registrata soltanto dagli occhi.

Insieme alla mostra arricchisce il percorso culturale di MIA FAIR anche un talk intitolato Esplorando l’invisibilevenerdì 29 aprile alle ore 18.00, per una riflessione e un confronto che possa nascere da un’alternanza di visioni e di discipline. Un dialogo tra Denis Curti e Alberto Diaspro, direttore del Dipartimento di Nanofisica dell’Istituto Italiano di Tecnologia e autore di Quello che gli occhi non vedono con Mauro Pagani, polistrumentista, compositore e produttore discografico, parte della PFM Premiata Forneria Marconi e autore di importanti collaborazioni con numerosi musicisti italiani, a partire da Fabrizio De André, e Francesca Taroni, direttore di “Living e ” Abitare”.

Invisibile raccoglie oltre quindici anni di indagine fotografica che Roberto Polillo ha portato avanti grazie a una grande passione, che nei primi anni della sua carriera gli ha permesso di ritrarre alcuni dei più importanti nomi del Jazz, all’amore per il viaggio che lo ha spinto in oltre 25 paesi nel mondo e alla volontà di trovare un linguaggio che possa diventare veicolo per una nuova espressione della realtà. 

In queste stanze, portate al grado zero del nero, Roberto Polillo sembra muoversi come uno sciamano contemporaneo capace di esprimere il bisogno vitale dell’umanità di ricomporre il rapporto con quell’universo che essa stessa è stata capace di costruirsi. La sua esplorazione del mondo è l’espressione di un preciso desiderio, quello di raccogliere empatia per poi restituirla. Denis Curti

28 aprile – 1 maggio 2022 – MIA FAIR – Milano

Herbarium. I fiori sono rimasti rosa

Dopo il successo ottenuto lo scorso anno con la mostra Wunderkammer. Le Stanze delle Meraviglie, che ha visto come protagonisti il fotografo di moda Luca Manfredi e sei ragazzi e ragazze con fragilità, torna a Palazzo dei Musei di Reggio Emilia dal 29 aprile, nell’ambito del festival di Fotografia Europea (29 aprile – 12 giugno 2022), il progetto che pone l’attenzione sul tema dell’incontro tra arte, fotografia e fragilità. Partendo dalle importanti collezioni botaniche custodite ai Musei Civici, l’artista Alessandra Calò accompagnerà sette persone con fragilità nella realizzazione di un vero e proprio erbario installativo tramite l’utilizzo di antiche tecniche di stampa fotografica a contatto; il risultato finale verrà esposto nella mostra dedicata “Herbarium. I fiori sono rimasti rosa”.

Il progetto costituisce la terza tappa di “Incontri! Arte e persone”, l’iniziativa  di Reggio Emilia Città senza Barriere, promossa dal Comune di Reggio Emilia, dedicata all’incontro tra fragilità e creatività. I protagonisti, l’artista Alessandra Calò e sette persone con fragilità – Valentina Bertolini, Paolo Borghi, Valentina De Luca, Cinzia Immovilli, Flavia Vezzani e Caterina Perezzani -, sono stati affiancati dallo staff dei Musei Civici e da un’atelierista di STRADE, il nuovo ambito socio-occupazionale e del tempo libero a favore delle persone adulte con disabilità del Distretto di Reggio Emilia, un progetto gestito dal Consorzio Oscar Romero.  

Herbarium. I fiori sono rimasti rosa rappresenta una mostra inaspettata e inedita che unisce arte, creatività, fragilità e un’attenta riflessione sull’ambiente – dichiara l’assessora alla Cultura e alle Pari Opportunità Annalisa Rabitti –sostenendo così un’idea di cultura in cui tutti e tutte possiamo essere protagonisti e agire per il nostro territorio. L’incontro tra la creatività dell’artista Alessandra Calò, la fantasia di sei persone con fragilità e le preziose collezioni botaniche custodite ai Musei Civici, oltre ad aver offerto nuove opportunità di inclusione sociale ed esperienza artistica, hanno generato un importante e bellissimo mix che vedrà il suo risultato nell’esposizione dell’erbario installativo in occasione del festival di Fotografia Europea.”

Incuriosita dalla ricca collezione di erbari conservata presso Palazzo dei Musei, che per la loro fragilità e valore storico non sono esposti al pubblico, ma custoditi in eleganti  contenitori che ne lasciano trapelare tutta la preziosità, l’artista guiderà i partecipanti nella realizzazione di un vero e proprio erbario, tramite l’utilizzo di antiche tecniche di stampa fotografica a contatto. Nella sua pratica, infatti, Alessandra Calò  attualizza antichi procedimenti di stampa realizzando la maggior parte del suo lavoro off camera; un fare alchemico che riporta a tempi passati. Nati ad uso e consumo dell’uomo, oggi questi antichi erbari permettono di approfondire temi legati all’ambiente e “viaggiare” nel tempo creando delle connessioni tra passato e presente. Il nuovo erbario, ispirato al grande quaderno di Antonio Cremona Casoli e all’erudita raccolta di Filippo Re, sarà frutto anche di un’indagine sul territorio.

L’intero processo, gli esperimenti di stampa e il fare laboratoriale, saranno ospitati in un nuovo ambiente di Palazzo dei Musei, in precedenza laboratorio archeologico. Lo spazio, accessibile da via Secchi, si presenta come una vera e propria vetrina, un affaccio sulla città, un ponte in dialogo tra il luogo della memoria e lo spazio della vita collettiva. Il materiale raccolto e realizzato liberamente sarà esposto nella forma di un erbario installativo in occasione del Festival di Fotografia Europea, coinvolgendo anche l’inedito cortile interno retrostante il laboratorio grazie al gruppo de I Senzamai, operosi custodi del Parco San Lazzaro, e Art Factory.

WORLD PRESS PHOTO EXHIBITION 2022

© Amber Bracken

Sono stati annunciati ad Amsterdam i vincitori del World Press Photo Contest 2022, il più importante concorso di fotogiornalismo al mondo: quest’anno, i lavori premiati sono stati scelti tra i 64.823 candidati, tra fotografie e open format, realizzati da 4.066 fotografi provenienti da 130 paesi. La giuria, presieduta da Rena Effendi, ha incoronato vincitore lo scatto realizzato nella Scuola Residenziale di Kamloops dalla fotografa canadese Amber Bracken per il New York Times, aggiudicandosi, dunque, il World Press Photo of the year
Abiti rossi appesi a delle croci lungo una strada: commemorano i bambini morti alla Kamloops Indian Residential School, un’istituzione creata per i piccoli indigeni. In quel luogo, sono state scoperte circa 215 tombe. La presidente della giuria globale Rena Effendi: «È un tipo di immagine che si insinua nella memoria, ispira una sorta di reazione sensoriale. Potevo quasi sentire la quiete in questa fotografia, un momento tranquillo di resa dei conti globale per la storia della colonizzazione, non solo in Canada ma in tutto il mondo».

La GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino
 ospiterà, in anteprima italiana, questa e le altre foto vincitrici dal prossimo 29 aprile fino al 18 settembre: la 66ª edizione della World Press Photo Exhibition è organizzata per il sesto anno consecutivo a Torino (le due ultime edizioni nella Sala del Senato di Palazzo Madama) grazie all’impegno di Cime, partner della World Press Photo Foundation di Amsterdam e della Fondazione Torino Musei. Le foto vincitrici saranno esposte nella sala mostre.

Gli altri vincitori
Il premio “World Press Photo Story of the Year” è andato a “Salvare le foreste con il fuoco” di Matthew Abbott, Australia, un lavoro realizzato per National Geographic/Panos Pictures. Al centro del racconto, un rito degli indigeni australiani che bruciano strategicamente la terra in una pratica nota come «combustione a freddo»: i fuochi si muovono lentamente, bruciano solo il sottobosco e rimuovono l’accumulo di residui vegetali che possono alimentare incendi più grandi. Il popolo Nawarddeken di West Arnhem Land, in Australia, attua questa pratica da decine di migliaia di anni e vede il fuoco come uno strumento per gestire la propria terra natale di 1,39 milioni di ettari. I ranger di Warddeken combinano le conoscenze tradizionali con le tecnologie contemporanee per prevenire gli incendi, diminuendo così la CO2 per il riscaldamento climatico.

Vincitore del premio “World Press Photo long-term project award“, invece, “Distopia amazzonica” di Lalo de Almeida, Brasile, per Folha de São Paulo/Panos Pictures. Mostra come la foresta pluviale amazzonica sia gravemente minacciata dalla deforestazione, dall’estrazione mineraria, dallo sviluppo infrastrutturale e dallo sfruttamento di altre risorse naturali. Pesano anche politiche “poco green” del presidente Jair Bolsonaro. 

“Il sangue è un seme” di Isadora Romero, Ecuador ha vinto la sezione video, “World Press Photo open format award”.  Attraverso storie personali, questo lavoro mette in discussione la scomparsa dei semi, la migrazione forzata, la colonizzazione e la conseguente perdita di conoscenze ancestrali. Il video è composto da fotografie digitali e cinematografiche, alcune delle quali sono state scattate su pellicola 35mm scaduta e successivamente disegnate dal padre di Romero. In un viaggio nel loro villaggio ancestrale di Une, Cundinamarca, in Colombia, Romero esplora ricordi dimenticati della terra e dei raccolti e viene a conoscenza del fatto che suo nonno e la sua bisnonna fossero “custodi dei semi” e che coltivavano diverse varietà di patate, di cui solo due si possono ancora trovare.

Dal 28 aprile al 12 giugno 2022 – Palazzo delle Esposizioni ROMA

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Dal 29 Aprile 2022 al 18 Settembre 2022 – GAM Torino

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DAVID LACHAPELLE. I BELIEVE IN MIRACLES

La grande mostra personale “David LaChapelle. I Believe in Miracles” è il risultato di un percorso di ricerca artistica che dura da una vita e che racconta un David LaChapelle inedito e, per certi versi, inaspettato.

Con un progetto inedito il Mudec ospita un percorso espositivo che mette al centro uno sguardo critico sull’animo umano indagato nelle sue pieghe fatte di dolori, solitudini, gioie, passioni e ideali.

L’uomo e il rapporto con sé stesso, l’uomo nell’ambiente circostante e nella società umana, l’uomo nella Natura.

In mostra oltre 90 opere – tra grandi formati, scatti site-specific, nuove produzioni e una video installazione – che si dipanano in un racconto fluido e ricchissimo di suggestioni, attraverso la personalissima visione dell’artista di una fotografia ‘gestuale’, che è strappo sul presente e ‘alert’ per il futuro a venire.

22 aprile – 11 settembre 2022 – MUDEC – Milano

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LUIGI GHIRRI. (NON) LUOGHI

La Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, nella rinascimentale sede di Palazzo Bisaccioni, celebra Luigi Ghirri, maestro della fotografia contemporanea, in occasione del trentennale dalla morte, attraverso una mostra che vuole proporsi come un racconto emozionale, un percorso che disveli al visitatore il modo in cui Ghirri entra in rapporto con le cose, celebrando l’artista e ponendo l’attenzione sulla sua intima necessità di fotografare.

La mostra “Luigi Ghirri (non) luoghi”, a cura di Massimo Minini, si compone di quaranta fotografie provenienti da collezioni private. Obiettivo del progetto espositivo, ideato da Roberta Angalone, è ricordare l’artista analizzandone la ricerca fotografica dal punto di vista delle motivazioni e dei sentimenti attraverso un percorso che ne tocca i punti di interesse e le questioni.
 
Reggiano di origine, grazie all’assidua frequentazione del gruppo degli artisti concettuali modenesi, Ghirri si avvicina alla fotografia intorno agli anni ’70, i primi scatti sono realizzati durante le vacanze estive o i fine settimana e tanto basta perché si renda conto che la macchina fotografica sarebbe stato il medium perfetto, un incredibile linguaggio visivo capace di saziare il “desiderio d’infinito che è in ognuno di noi”.
 
La mostra si apre con una prima sezione introduttiva, dedicata alla vita e al racconto del suo avvicinamento all’obiettivo fotografico. Nato nel gennaio del 1943, vede il mondo mutare in pochi anni: dal clima del dopo guerra a quello del boom economico e al conseguente fermento culturale degli anni ’60. Si forma così, inevitabilmente, la sua personalità sensibile ai cambiamenti e desiderosa di conoscenza; la fotografia diviene il mezzo per guardare a fondo le cose, conoscerne l’origine e il divenire.
 
Il percorso prosegue con le sezioni dedicate ai luoghi, ai volti del tempo, ai non luoghi, all’arte e in fine ad Aldo Rossi, con il quale condivide l’interesse per la periferia, spazio che, a parere di entrambi, racchiude in sé forza evocativa di storia e memoria. Ghirri è attratto dall’ambiente che abita l’uomo, quello in cui egli si muove, non ai mutamenti del paesaggio, ma ai cambiamenti del vivere.
 
Quello dell’artista è un universo a tratti malinconico, incantato, sospeso e romantico, che trova senso nelle piccole cose, nello stupore e nella meraviglia che scaturisce dal guardare le cose senza il velo dell’abitudine.
 
Con i suoi scatti dimostra come la fotografia sia generatrice di mondi possibili, mai artificiosi e irreali, ma che sempre raccontano la percezione di un’altra verità, frutto del perfetto “equilibrio tra rilevazione e rivelazione”. Durante tutta la sua carriera Ghirri fotografa un’enorme quantità di soggetti differenti, decidendo di non identificarsi in un genere o stile poiché reputa questa una scelta rischiosa, una limitazione della libertà di espressione. La sua è una fotografia che si oppone a qualsiasi specie di “censura” linguistica; anche le sue indagini rimangono volutamente aperte, non tendono ad una risposta unica e definitiva ma si prestano a infinite combinazioni e interpretazioni, coerentemente con la sua idea di fotografia.

Dal 09 Aprile 2022 al 31 Luglio 2022 – Jesi (AN) – Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi

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Fabio Boni: Respiro. Un attimo prima che tutto cambi

l primo lavoro di Fabio Boni, datato 1993, si intitola Volti: ritratti in bianco e nero su sfondo bianco, nel tentativo di scorgere, nei segni che il tempo ha lasciato sulle fisionomie, dettagli delle storie personali dei soggetti fotografati.
La carriera del fotografo prende il via dal ritratto: per diverso tempo, l’interesse di Fabio Boni si concentra strettamente sulla persona; lo spazio per il paesaggio non è contemplato.

Con il passare degli anni, i suoi progetti diventano i muri di una vecchia casa di famiglia sui quali l’edera comincia a creare una trama: la natura si insinua nelle fotografie, prima concedendosi lo spazio di una virgola tra i diversi ritratti, piano piano assumendo un ruolo sempre più centrale, fino a diventare importante terreno simbolico.

Nei due lavori che verranno esposti sulle pareti della galleria di Micamera e che danno il titolo alla mostra, uno del 2018 e uno del 2020, l’indagine naturale e sul territorio arriva a intrecciarsi con le dinamiche personali e sociali che costituiscono i luoghi, ritraendo il paesaggio come fondamentale depositario della memoria collettiva.

Respiro, il giardino di Maura, fotografato dal 2018 al 2020, è un luogo in cambiamento, che segue naturalmente il ciclo delle stagioni, ma al contempo si modella sulle storie di vita delle persone che lo frequentano e lo abitano. ‘Gli alberi sono una presenza, una forza, una necessità, sono ricordi di storie e di persone, fanno parte della memoria di chi li ha piantati e li custodisce’.

In Un attimo prima che tutto cambi, due generazioni ai poli apposti sulla linea della vita, si mescolano sullo sfondo di una collina appena fuori dal centro urbano. Si parla qui di una comunità che si occupa di conservare, tutelare, garantire gli ultimi anni – o attimi – di vita delle sue persone più anziane, e lo fa affiancando, anche solo simbolicamente, quelle persone anziane ai bambini, rendendo entrambe le generazioni importanti custodi per la realizzazione del futuro.

La collina, il territorio, la “natura che accoglie”, è la depositaria della memoria collettiva che costituisce la comunità stessa, ed è incaricata di raccogliere questa memoria e trasformarla in conoscenza per i più giovani, affinché si realizzi il futuro.

23 aprile – 21 maggio, 2022 – MICAMERA – Milano

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SABINE WEISS. LA POESIA DELL’ISTANTE

«Quando [Sabine Weiss] fotografa i bambini, diventa bambina lei stessa. Non esistono assolutamente barriere tra lei, loro e la sua macchina fotografica.»

Hugh Weiss, artista e marito di Sabine Weiss   

La Casa dei Tre Oci di Venezia presenta, dall’11 marzo al 23 ottobre 2022, la più ampia retrospettiva mai realizzata finora, la prima in Italia, dedicata alla fotografa franco-svizzera Sabine Weiss, scomparsa all’età di 97 anni nella sua casa di Parigi lo scorso 28 dicembre 2021, tra le maggiori rappresentanti della fotografia umanista francese insieme a Robert Doisneau, Willy Ronis, Edouard Boubat, Brassaï e Izis.

L’esposizione è il primo e più importante tributo alla sua carriera, con oltre 200 fotografie. Curata da Virginie Chardin, la retrospettiva è promossa dalla Fondazione di Venezia, realizzata da Marsilio Arte in collaborazione con Berggruen Institute, prodotta dallo studio Sabine Weiss di Parigi e da Laure Delloye-Augustins, con il sostegno di Jeu de Paume e del Festival internazionale Les Rencontres de la photographie d’Arles.

Unica fotografa donna del dopoguerra ad aver esercitato questa professione così a lungo e in tutti i campi della fotografia – dai reportage ai ritratti di artisti, dalla moda agli scatti di strada con particolare attenzione ai volti dei bambini, fino ai numerosi viaggi per il mondo – Sabine Weiss, che ha potuto partecipare attivamente alla costruzione di questo percorso espositivo, aveva aperto i suoi archivi personali, conservati a Parigi, per raccontare, per la prima volta in maniera ampia e strutturata, la sua straordinaria storia e il suo lavoro.

Gli scatti esposti ai Tre Oci, tra i quali diversi inediti – come la serie dedicata ai manicomi, realizzata durante l’inverno 1951-1952 in Francia nel dipartimento dello Cher, e rimasta parzialmente inedita fino ad oggi – ripercorrono insieme a diverse pubblicazioni e riviste dell’epoca l’intera carriera di Weiss, dagli esordi nel 1935 agli anni ’80. Fin dall’inizio, Sabine Weiss, come testimoniano in mostra le foto dei bambini e dei passanti, dirige il suo obiettivo sui corpi e sui gesti, immortalando emozioni e sentimenti, in linea con la fotografia umanista francese. È un approccio dal quale non si discosterà mai, come si evince dalle sue parole: «Per essere potente, una fotografia deve parlarci di un aspetto della condizione umana, farci sentire l’emozione che il fotografo ha provato di fronte al suo soggetto».

Nata Weber a Saint-Gingolph, in Svizzera, il 23 luglio 1924, Sabine, che prenderà il cognome del marito, il pittore americano Hugh Weiss (Philadelphia, 1925 – Parigi, 2007), si avvicina alla fotografia in giovane età. Compie l’apprendistato presso i Boissonnas, una dinastia di fotografi che lavorano a Ginevra dalla fine del XIX secolo. Nel 1946 lascia Ginevra per Parigi e diviene l’assistente di Willy Maywald, fotografo tedesco specializzato in moda e ritratti. Quando sposa Hugh, nel 1950, intraprende la carriera di fotografa indipendente. Insieme, si trasferiscono in un piccolo studio parigino, dove abiteranno poi tutta la vita, e frequentano la scena artistica del dopoguerra.

Uno dei nuclei principali della rassegna “Sabine Weiss. La poesia dell’istante” racconta proprio gli anni ’50 del Novecento, momento del riconoscimento internazionale della fotografa. Nel 1952, infatti, la sua carriera ha una svolta decisiva quando entra nell’agenzia Rapho, su raccomandazione di Robert Doisneau. Dal 1953 in poi le sue fotografie sono pubblicate da grandi giornali internazionali come “Picture Post”, “Paris Match”, “Vogue”, “Le Ore”, “The New York Times”, “Life”, “Newsweek”. Nello stesso anno Weiss partecipa alla mostra “Post War European Photography” al Museum of Modern Art di New York (MOMA) e nel 1954 l’Art Institute di Chicago le dedica un’importante personale. Nel 1955 tre dei suoi scatti sono scelti da Edward Steichen per la storica antologica “The Family of Man”, al MOMA di New York.

Dal 1952 al 1961 Sabine Weiss collabora, accanto a fotografi come William Klein, Henry Clarke e Guy Bourdin, con Vogue, realizzando alcuni memorabili servizi di moda, di cui in mostra sono esposti vivaci scatti a colori insieme a una quindicina di numeri originali della celebre rivista.

Una sezione del percorso è poi dedicata ai suoi ritratti di pittori, scultori, attori e musicisti. Per cinque anni, Hugh Weiss è il mentore dell’artista Niki de Saint Phalle, mentre Sabine è vicina ad Annette Giacometti, la moglie del grande scultore Alberto. In mostra non mancano i loro ritratti accanto a quelli di altre personalità come Robert Rauschenberg, Françoise Sagan, Romy Schneider, Ella Fitzgerald, Simone Signoret e Brigitte Bardot.

L’America, raggiunta nel 1955 sul transatlantico Liberté in compagnia del marito Hugh, la impressiona fortemente, e i scuoi scatti realizzati a New York nelle sue strade brulicanti di dettagli, dal Bronx ad Harlem, da Chinatown alla Ninth Avenue, sono pubblicati dal New York Times in un ampio servizi dal titolo “I newyorkesi (e la Washington) di una parigina”. Sono immagini che raccontano l’America con un punto di vista francese, dall’umorismo spiccato, molte delle quali vengono esposte solo oggi, per la prima volta in Italia, in occasione della retrospettiva ai Tre Oci.

Il percorso riserva ampio spazio anche ai lavori realizzati a partire dagli anni ‘80, all’età di sessant’anni, durante i suoi viaggi in Portogallo, India, Birmania, Bulgaria ed Egitto. Come osserva la curatrice Virginie Chardin, «in essi si registra una straordinaria vivacità intellettuale con note sentimentali, incentrate sulla solitudine, sulla fede e sui momenti di riflessione dell’esistenza».

Oltre alle fotografie, in mostra verranno presentati anche alcuni estratti da film documentari a lei dedicati (“La Chambre Noire” del 1965; “Sabine Weiss” nel 2005; “Il mio lavoro come fotografa” del 2014) nei quali la fotografa ha raccontato, in diversi periodi della sua vita, il suo percorso artistico, le sue esperienze di viaggio e la difficoltà di essere una fotografa donna. La forza della sua curiosità per il mondo e la sua gioia di vedere e documentare fanno di Sabine Weiss un simbolo di coraggio e di libertà per tutte le donne fotografe.

Il catalogo, pubblicato da Marsilio Arte, propone molte immagini inedite, i testi di Virginie Chardin, curatrice della rassegna, e di Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci.

Dal 11 Marzo 2022 al 23 Ottobre 2022 – Venezia – Casa dei Tre Oci

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WHO IS CHANGED AND WHO IS DEADAhndraya Parlato

Nell’ambito di Art City Bologna 2022 in occasione di ARTEFIERA, Spazio Labo’ presenta la prima mostra personale in Italia dell’artista statunitense Ahndraya Parlato (Kailua, Hawaii). La mostra, produzione originale di Spazio Labo’ a cura di Laura De Marco, nasce dalla seconda monografia di Parlato, il libro Who is Changed and Who is Dead pubblicato a luglio 2021 dall’editore britannico Mack Books.

In Who is Changed and Who is Dead Parlato parte da due eventi fondamentali e fondanti della sua vita privata, il suicidio della madre e la nascita delle sue figlie, per costruire un progetto che esplora le contraddittorie e complesse sfaccettature della maternità – della gestione delle paure e delle ansie legate al mettere al mondo altre persone, ma non solo –, del rapporto madre-figlia, e di uno dei temi fondamentali della vita di ogni essere umano: la fine della vita stessa.

Who is Changed and Who is Dead è un libro estremamente ricco e articolato che intreccia gli strumenti narrativi della fotografia e della scrittura creando una narrazione unica e un corpo di lavoro sfaccettato e profondo attraverso un magistrale utilizzo di generi e linguaggi. Intrecciati a una serie di racconti scritti da Parlato stessa – idealmente divisi in due parti, una indirizzata alle figlie e una alla madre – troviamo still life, paesaggi, sculture, disegni, ritratti, fotogrammi realizzati usando le ceneri della madre e riferimenti alla tradizione fotografica ottocentesca delle “madri nascoste”. Troviamo i corpi delle figlie dell’autrice, fotografati con intimità materna e allo stesso tempo distacco contemplativo. All’interno di questa complessità Parlato cerca di fare chiarezza su questioni fondamentali come la mortalità, il genere, la genitorialità. In fondo, la vita stessa. Le paure contemporanee, si chiede Parlato, sono diverse da quelle provate dalle madri nel corso della storia? Quanto è labile il confine dei ruoli tra una madre a una figlia? Esistono ansie specifiche legate all’avere figli di sesso femminile? Quanto la maternità stessa, come il genere, è una costruzione?

La mostra personale a Spazio Labo’ è un’occasione di incontro con l’artista americana che in occasione di Art City incontrerà il pubblico in una serie di eventi gratuiti, tra i quali un talk e una visita guidata, e interagirà con una classe di studenti e studentesse all’interno di un workshop di due giorni con numero limitato di posti disponibili.

In occasione della mostra sarà possibile consultare e acquistare il libro autografato Who is Changed and Who is Dead di Ahndraya Parlato (Mack Books, 2021).

Dal 5 maggio  fino al 16 luglio 2022 – Spazio Labò – Bologna

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Emanuele Scorcelletti – Elegia Fantastica 

Elegia Fantastica. Le Marche tra ricordo e visione: cento fotografie raccontano, attraverso una mostra a Palazzo Pianetti di Jesi dal 30 aprile 2022 e un libro, il profondo legame che Emanuele Scorcelletti ha sempre mantenuto con l’Italia e in modo particolare con le Marche.

Un progetto, a cura di Cyril Drouhet, direttore della fotografia di “Le Figaro Magazine”, che segna il passaggio a un nuovo linguaggio artistico per Scorcelletti, autore fino a oggi conosciuto per le sue immagini dedicate ai più importanti personaggi del cinema mondiale e premiato nel 2003 dal World Press Photo Contest.

Marchigiano di origine ma vissuto sin da bambino tra Lussemburgo e Francia, Emanuele Scorcelletti ritorna alle emozioni e ai sentimenti che permeano e scaturiscono dai territori originari della sua infanzia, dalle sue radici.

Lo sguardo di Emanuele Scorcelletti, noto per aver catturato il lato umano delle star del cinema e della moda, in questo nuovo lavoro si è evoluto. Come in un viaggio evanescente, in una nostalgica atemporalità, forme spettrali e leggere si evolvono in città cristallizzate dagli anni, in luoghi sacri preservati da una fede millenaria, in un mondo rurale risparmiato dalla frenesia del modernismo. Immagini in movimento che svelano un lavoro onirico come un’ode all’Italia eterna, come una poesia sussurrata alle ferite della vita in cui galleggia un certo profumo di innocenza. Cyril Drouhet

Formato dagli insegnamenti dei grandi maestri Henri Cartier-Bresson e Mario Giacomelli, che lo hanno portato alla ricerca di rigore e perfezione geometrica, Scorcelletti giunge a una nuova espressione fotografica che, libera dagli schemi, lascia spazio alla poesia, attraverso luci, ombre, natura e paesaggio, per comporre immagini quasi astratte che, senza nessun tipo di intervento successivo, mantengono intatta l’emozione dell’istante.

Una narrazione lirica di un viaggio introspettivo nei luoghi del passato, ripercorsi per mesi tra boschi, spiagge, piccoli paesi e ritrovati emotivamente nelle case, insieme alle persone che li abitano: il ritratto di una terra attraverso lo sguardo personale del fotografo e della sua memoria. Luoghi come ricordi sono raccolti in un componimento poetico, una elegia, che affianca due sezioni: Ricordi Visioni. Pittorica ed evocativa la prima, sognante, quasi sublimata la seconda. 

Emanuele Scorcelletti presenta il suo abecedario emotivo, fatto di paesaggi e storie e persone reali che si dispiegano, con sinuosa  armonia, su paesaggi e storie e persone, questa volta sognanti. Ordine dentro il caos. Andirivieni di sentimenti contrastanti. Capovolgimenti e narrazioni. Parole rovesciate a riempire un serbatoio di memorie e astrazioni. Denis Curti

Il progetto Elegia Fantastica, che contribuisce alla valorizzazione del paesaggio culturale e del territorio marchigiano, è sostenuto da Comune di Jesi, da Regione Marche e da Fedrigoni. Prende avvio da Palazzo Pianetti, sede dei Musei Civici di Jesi, e prevede diverse tappe europee grazie al supporto di Leica. Una seconda esposizione, dedicata al lavoro di Emanuele Scorcelletti all’interno del mondo del cinema, è in programma ad Ascoli Piceno nella Galleria Osvaldo Licini.

30 aprile – 4 settembre 2022 – Jesi, Palazzo Pianetti

Dasein – Diego Dominici

La galleria Febo e Dafne, come associato TAG e come espositore alla fiera The Phair, aderisce all’iniziativa TORINO PHOTO DAYS con la mostra personale di Diego Dominici Dasein. La mostra di fotografia inaugura il 5 maggio 2022 alle 17.00 e prosegue fino al 4 giugno. La galleria sarà aperta, oltre che nei consueti orari (dal martedì al sabato, dalle 15 alle 19), eccezionalmente per i due eventi del 24 maggio, dalle ore 18.00 alle 21.00 per le visite guidate con l’artista; e del 27 maggio, alle ore 21.00 per un talk sull’uso della fotografia tra arte e reportage. TORINO PHOTO DAYS mette in rete, dal 24 al 29 maggio, tutte le proposte degli enti cittadini che vi aderiscono, sia pubblici che privati, in un’ampia proposta corale dedicata all’universo fotografico.
 
Dasein è la mostra che, senza specifico intento retrospettivo, si interroga sul percorso di ricerca fotografica di Diego Dominici. L’analisi avviene attraverso la presentazione di una selezione di opere tra le più rappresentative del lavoro svolto dall’artista negli ultimi 18 anni. L’esposizione diviene quindi il percorso nell’estetica dell’autore, cogliendone le profonde narrazioni che si rivelano ad una più attenta osservazione dei suoi scatti. Passando dalla bidimensionalità delle stampe fotografiche, le immagini svelano il groviglio dell’interiorità e della psiche umana.
In galleria Dominici indagherà la sua visione insieme ai visitatori, analizzando le immagini con loro e li aiuterà a penetrare le motivazioni più intime della sua ricerca artistica. Lasciando comunque all’osservatore l’autonomia di percepirne anche solo l’estetica formale, cercherà la possibilità di uno scambio costruttivo.
 
Diego Dominici è un artista che indaga lo spettro dell’animo umano, sia negli aspetti più comuni e quotidiani che in quelli più intimi e inquieti. La mostra offre uno sguardo profondo ed ermetico dell’interiorità e suggerisce emozioni e sentimenti veicolati da una personale interpretazione artistica.

Dal 5 maggio al 4 giugno 2022 – Galleria Febo e Dafne – Torino

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Sul Corpo

In occasione di The Phair 2022 la Galleria del Cembalo presenterà fotografie di  Paolo Gioli, Paolo Pellegrin, Karmen Corak e Cristina Vatielli 4 fotografi di fama internazionale a confronto con immagini sul tema del Corpo  

Con il progetto espositivo Sul Corpo la Galleria del Cembalo porterà a The Phair 2022 i lavori di due celebri fotografi conosciuti in tutto il mondo, quali Paolo Gioli (recentemente scomparso) e Paolo Pellegrin, e di due artiste molto apprezzate per la sensibilità del loro sguardo, Karmen Corak e Cristina Vatielli,. Una selezione di quattro fotografi – tutti seguiti da anni dalla Galleria del Cembalo – che hanno esplorato in modi diversi e personalissimi il tema del corpo. Due uomini e due donne, con approcci e tecniche differenti, in un’unica intensa suggestione fatta di immagini ed emozioni.

The Phair – un neologismo sintesi di Photography e Fair – anche per la terza edizione celebra il linguaggio della fotografia e le sue molteplici forme. Nata da un’idea di Roberto Casiraghi e Paola Rampini, la fiera internazionale è a inviti ed è rivolta ad alcune delle più prestigiose gallerie d’arte contemporanea – 50 in tutto tra le italiane e le straniere – che sono chiamate a presentare dei progetti artistici legati al tema dell’immagine e opere create con materiale fotografico o video.

La selezione di immagini Sul Corpo della Galleria del Cembalo arricchirà la proposta fieristica di Torino Esposizioni, grazie al linguaggio sensibile e potente dei quattro fotografi scelti. Di Paolo Gioli – non solo fotografo ma artista multiforme e fuori dagli schemi, apprezzato e seguito da illustri personaggi del panorama internazionale culturale – saranno inserite alcune polaroid di grande formato appartenenti alle serie delle “Vessazioni” e dei   “Luminescenti”, tutte opere particolarmente originali e sperimentali. Le prime (anche indicate con il termine Abuses) rappresentano visi o torsi umani, con segni di sofferenza: sono fotografie con interventi di pittura, e non solo, parte di una ricerca in cui Gioli diceva di voler “vedere che rapporto ci può essere tra una materia tecnologica sofisticata, contemporanea [come il polaroid] e le materie antiche come può essere la preparazione all’olio”. Le seconde riprendono antiche sculture romane presenti nei depositi delle collezioni dei Musei Capitolini di Roma e sono realizzate con materiale fosforescente, adottando lunghissimi tempi di esposizione. Un tema ricorrente nell’opera di Gioli è, infatti, la riflessione sulla storia dell’arte, dall’arte antica a quella moderna. Il lavoro del noto artista, scomparso il 28 gennaio 2022, quanto mai originale per la varietà e l’unicità dello stile e della realizzazione tecnica delle opere, è stato proposto e promosso dalla Galleria del Cembalo in numerose occasioni, tra le quali nel 2015 con la mostra personale Opere Alchemiche e nel 2019 con Dialoghi. Il lavoro di Paolo Gioli è stato anche presentato dalla galleria in occasione di fiere, come Artissima nel 2017, Photo London nel 2018 e con uno stand totalmente dedicato a lui a Paris Photo 2019.

Un altro importante apporto al progetto espositivo della Galleria del Cembalo a The Phair 2022 saranno alcuni scatti di nudi femminili ritratti in Congo, opere del noto fotografo Paolo Pellegrin, dal 2005 membro dell’agenzia Magnum Photos. Della produzione del fotografo nella sua lunga attività di fotoreporter si potrà vedere molto, nel periodo della fiera, poiché è prevista una grande mostra sul suo lavoro alle Gallerie d’Italia in Piazza San Carlo, organizzata dal gruppo Banca Intesa San Paolo.

Il contributo di Karmen Corak sarà un polittico dal titolo “Unveiled”, un lavoro sul ritratto femminile, con parti del corpo che vengono scoperte dalle mani delle donne, con un gioco di panneggi che rimandano a figurazioni dell’arte classica, ma anche a un senso di pudore.

In questo lavoro di Corak il corpo umano sembra perdere la caratteristica peculiare di autorappresentazione: si allontana dalle implicazioni sessuali, per diventare uno strumento di indagine, un linguaggio.

Infine, il tema della fertilità e immersione nella Natura sarà proposto da Cristina Vatielli con il progetto “Terra Mater” in una serie di immagini realizzate con un drone dall’alto, in cui il corpo femminile appare allo stesso tempo vulnerabile e cullato dagli elementi naturali, attraverso autoritratti di nudi e seminudi immersi nella natura, in luoghi che rimandano a paesaggi primordiali e incontaminati.

Dal 27 al 29 maggio 2022 – Torino Esposizioni, Padiglione 3

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#RASOTERRA – SILVIA BOTTINO

Da una riflessione sulla fotografia di paesaggio suggerita dall’uso delle nuove tecnologie a servizio della telefonia mobile nasce il progetto fotografico #RASOTERRA di Silvia Bottino, a cura di Alessia Locatelli in mostra dal 28 aprile al 29 maggio 2022, presso l’Acquario Civico di Milano.

La mostra è promossa dal Comune Milano Cultura e dall’Acquario – Civica Stazione Idrobiologica.

Il percorso propone circa 30 opere tra stampe fotografiche realizzate tra il 2013 ed il 2022, due lightbox ed un video. La tecnica è quella della ripresa con il cellulare, strumento ormai indispensabile nella nostra quotidianità, che grazie anche alla qualità della risoluzione delle fotocamere permette oggi, senza l’ingombro dell’obiettivo della macchina fotografica, di scattare davvero a raso terra, di catturare cioè la trama, la matericità di quello che si trova in primo piano, in dialogo con l’immagine sullo sfondo. Un divertissement che concettualmente ribalta la visione della prospettiva classica, per generare un percorso espositivo capace di suggestionare il visitatore, tra paesaggi marini, scorci di Milano e soggetti – sia colori che bianco e nero – che risultano divertenti, fuori dall’ordinario e trascinati nel loro impatto visivo.

In mostra l’acqua in tutte le sue forme, sia mare, lago, montagne innevate, riflessi o materia: fatta di grani, sassi, griglie e tombini. Inoltre, considerato che la location si trova nel cuore pulsante del Parco Sempione, in mostra ci saranno alcuni scatti dedicati alla città di Milano, ritratta attraverso i suoi luoghi più rappresentativi…Ma sempre #rasoterra. L’acqua ripresa da un punto di vista differente, nelle sue molte forme e strutture.

La ricerca di Silvia Bottino è rivolta al desiderio di ritornare agli elementi basilari della fotografia, la luce ed il tempo, attraverso degli scatti ottenuti appoggiando letteralmente il cellulare al suolo e ri-leggendo così gli ambienti con uno sguardo capace di farci partire da nuovi punti di osservazione, da una personale traiettoria in cui luce, acqua e materia sono i protagonisti.

Il progetto della fotografa è un work in progress che grazie anche alla maneggevolezza della tecnica di ripresa, le offre la possibilità di fotografare ovunque la sua sensibilità la porti ad individuare lo scatto ricercato.

28 aprile – 29 maggio 2022 – Milano, Acquario Civico

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Giovanni Verga

Mostra fotografica con le opere di Giovanni Verga, scrittore e fotografo.

dal 1° al 29 maggio 2022 a Noventa Vicentina (VI)

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Rimaniamo in contatto con la fotografia d’autore

Ciao a tutti!

Spero stiate tutti bene.

Come avrete notato, da un paio di mesi, non vi propongo più l’appuntamento fisse con le mostre di fotografia. La maggior parte degli spazi espositivi ha infatti chiuso per il lockdown, e i festival di fotografia che normalmente ci vedono partecipare in massa in questa stagione, sono stati cancellati o rimandati. Se anche a voi, come a me, l’epidemia e la quarantena hanno tolto ogni voglia di praticare la fotografia “attiva”, come si può continuare a goderne “passivamente”?

Per coloro che lo desiderano, ci sono ancora dei modi per godere di ottima fotografia. Io personalmente mi dedico ai libri. Mi riguardo tutti i libri che compongono la mia biblioteca e a cui in momenti “normali” non ho magari dedicato la giusta attenzione. Ma questa è la mia passione.

Se non fosse anche la vostra, trovate di seguito alcune proposte, sperando di poter tornare presto a frequentare festival e mostre, come eravamo abituati.

Anna

Alcuni spazi espositivi hanno da poco riaperto i battenti e prorogato le mostre che avevano inaugurato prima del lockdown, attrezzandosi con misure di sicurezza e prenotazioni online. Mi raccomando, consultate sempre i siti per conoscere le modalità di riapertura e le relative misure di sicurezza!

E’ il caso ad esempio di Camera – Centro Italiano per la Fotografia di Torino, dove potrete ammirare Memoria e Passione. Da Capa a Ghirri. Capolavori dalla Collezione Bertero fino al 30 agosto.

Oppure da Forma Meravigli a Milano, che ha riaperto il 20 maggio, con la mostra COME IN UNO SPECCHIO. Fotografie con testi d’autore, di Gianni Berengo Gardin, prorogata fino al 2 agosto.

Anche Palazzo Pallavicini a Bologna ha riaperto, con la mostra Robert Doisneau, fino al 20 luglio

Altra sede espositiva di prestigio che è visitabile è il Palazzo delle Esposizioni di Roma, dove, fino al 2 giugno si potrà visitare la mostra di Gabriele Basilico-Metropoli e a seguire verrà inaugurata la mostra del World Press Photo 2020.

A Pistoia, presso Palazzo Buontalenti / Antico Palazzo dei Vescovi, potrete godervi una mostra di Salgado, EXODUS. IN CAMMINO SULLE STRADE DELLE MIGRAZIONI, fino al 26 luglio

A Senigallia, invece, presso il Palazzo del Duca | Palazzetto Baviera, potreto ammirare una mostra del famosissimo fotografo locale Mario Giacomelli e di numerosi altri fotografi suoi contemporanei, che idealmente dialogano con lui, Sguardi di Novecento. Giacomelli e il suo tempo, fino al 27 settembre

WeGil, l’hub culturale della Regione Lazio nel cuore del quartiere Trastevere di Roma, il 18 maggio riapre le porte al pubblico e, per l’occasione, proroga fino al 12 luglio la mostra ELLIOTT ERWITT ICONS

Un’altra mostra che è possibile visitare di nuovo fisicamente è La Guerra Totale. Il Secondo Conflitto Mondiale nelle più belle e iconiche fotografie degli Archivi di Stato americani”, in esposizione a la Casa di Vetro di Milano. 

Oppure ci sono esibizioni digitali e online. (Alcune le abbiamo segnalate nei giorni scorsi.)

Come per esempio IL MONDO CHE VERRÀ, 50 fotografi internazionali, 50 visioni del futuro imminente e un pensiero che lo accompagna e lo anticipa, insieme a 50 autoritratti, gli scatti degli artisti al lavoro. Un’antologia di visioni personali per rappresentare con audacia, utopia e attesa il “dopo”, ovvero come cambierà ancora il mondo dopo l’esperienza della pandemia e da cosa e come si ricomincerà a vivere. Il tutto in una mostra fotografica sì, ma rigorosamente digitale. Promossa da Il Sole 24 Ore in collaborazione con Mudec Photo.

E poi tutte le varie dirette quotidianamente proposte sui social quali Facebook e Instagram. E naturalmente le interviste ai fotografi che vi proponiamo qua come Diario della Quarantena.

Se siete a conoscenza di altre mostre di fotografia che volete segnalare, fatelo pure nei commenti di questo post.

A presto.

Chi vincerà il World Press Photo?

Come già lo scorso anno, vi proponiamo le immagini finaliste a quello che probabilmente è il più importante premio nell’ambito del fotogiornalismo. Quest’anno mi sembra che le foto finaliste non abbiano cercato la spettacolarizzazione della notizie o della storia e non ci sia quest’attenzione maniacale all’estetica, come notato negli ultimi anni.

Voi che ne pensate? Quale sarà la foto vincitrice? Per chi fate il tifo voi? La proclamazione del vincitore avverrà l’11 aprile ad Amsterdam.

Fateci sapere!

Anna

© Mohammed Badra, European Pressphoto Agency
Victims of an Alleged Gas Attack Receive Treatment in Eastern Ghouta
Persone vengono curate in seguito a un sospetto attacco con il gas, ad al-Shifunieh, in Siria, il 25 febbraio 2018.
Fino al febbraio 2018, il popolo di Ghouta orientale, una regione a est della capitale Damasco e una delle ultime enclavi ribelli nel conflitto siriano, era stato assediato dalle forze governative per cinque anni. Durante l’offensiva finale, Ghouta orientale è stata oggetto di lanci di razzi, bombardamenti aerei e di almeno un presunto attacco con gas, nel villaggio di al-Shifunieh, il 25 febbraio 2018. Le cifre sono difficili da verificare, ma secondo Medici senza frontiere (MSF) ci sono stati 4.829 feriti e 1.005 morti tra il 18 febbraio e il 3 marzo 2018, e 13 tra ospedali e cliniche sono stati danneggiati o distrutti in soli tre giorni. World Press Photo
© Marco Gualazzini, Contrasto Almajiri Boy
Un ragazzo orfano passa davanti a un muro con disegnati razzi lanciagranate, a Bol, nel Ciad. Nel bacino del Ciad è in corso una crisi umanitaria causata da una complessa combinazione di conflitti politici e fattori ambientali. Il Lago Ciad – uno dei più grandi laghi dell’Africa – sta vivendo un’intensa desertificazione. A causa della mancanza di pianificazione dell’irrigazione, della siccità, della deforestazione e della cattiva gestione delle risorse, la dimensione del lago è diminuita del 90 per cento negli ultimi 60 anni. I tradizionali mezzi di sostentamento come la pesca si sono indeboliti e la scarsità d’acqua sta causando conflitti tra agricoltori e allevatori di bestiame. A beneficiarne è il gruppo jihadista Boko Haram, attivo nell’area, che sfrutta le difficoltà e la fame diffusa, e utilizza le città locali come terreno di reclutamento. World Press Photo
© Catalina Martin-Chico, Panos Being Pregnant After FARC Child-Bearing Ban
Un’ex guerrigliera delle FARC incinta per la sesta volta, dopo che altre cinque gravidanze erano state interrotte durante i suoi anni di militanza.
Dalla firma di un accordo di pace tra il governo colombiano e il movimento ribelle delle FARC nel 2016, c’è stato un boom di nascite tra le ex guerrigliere. La gravidanza, infatti, era ritenuta incompatibile con la vita di guerriglia. World Press Photo
© Chris McGrath, Getty Images The Disappearance of Jamal Kashoggi
Un uomo cerca di trattenere giornalisti e fotografi il 15 ottobre, mentre gli investigatori sauditi arrivano al consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul, in Turchia, dove il 2 ottobre il giornalista e dissidente saudita Jamal Khashoggi era stato ucciso da un gruppo di agenti sauditi, probabilmente su ordine del regime World Press Photo
© John Moore, Getty Images Crying Girl on the Border
Una bambina honduregna piange mentre sua madre viene perquisita da un agente alla frontiera tra Messico e Stati Uniti, il 12 giugno.
Nei mesi scorsi aveva fatto molto discutere la politica di “tolleranza zero” verso gli immigrati irregolari adottata dall’amministrazione Trump. A partire da aprile centinaia di bambini erano stati separati forzatamente dalle loro famiglie, per via di una modifica al regolamento sull’immigrazione che eliminava un trattamento di eccezione riservato fino ad allora agli adulti che entravano illegalmente negli Stati Uniti accompagnando dei minori. Il 20 giugno Trump ha infine firmato un ordine esecutivo per mettere fine alla divisione delle famiglie di immigrati irregolari. World Press Photo
© Brent Stirton, Getty Images Akashinga – the Brave Ones
Una donna membro di un’unità anti-bracconaggio tutta al femminile, chiamata Akashinga, che vuole dire “Le coraggiose”, durante un addestramento nel parco naturale Phundundu Wildlife Park, nello Zimbabwe. World Press Photo

Due italiani finalisti al World Press Photo: diamo un’occhiata ai loro lavori

Il concorso, alla 62esima edizione, ha sempre premiato fotografie singole (con la categoria principale World Press Photo of the Year)
ma anche fotografie che fanno parte di una storia più ampia, da raccontare in più sequenze. E in un’epoca in cui lo storytelling è sempre più presente ecco che al WPP quest anno si vede per la prima volta l’ingresso di un nuovo importante premio: il World Press Photo Story of the Year.

All’edizione 2019 di World Press Photo hanno partecipato 4.738 fotografi da 129 Paesi. I finalisti sono 43 fotografi provenienti da 25 paesi: Australia, Belgio, Brasile, Canada, Repubblica Ceca, Egitto, Francia, Germania, Ungheria, Iran, Italia, Messico, Paesi Bassi, Norvegia, Filippine, Portogallo, Russia, Sud Africa, Spagna, Svezia, Siria, Turchia, Regno Unito, Stati Uniti e Venezuela.

E proprio nelle due categorie più importanti, si sono distinti due fotografi italiani: Marco Gualazzini e Lorenzo Tugnoli.

Di seguito i loro lavori e una breve biografia.

Anna

Marco Gualazzini è finalista in entrambe le categorie con il lavoro The Lake Chad Crisis, di cui vi mostriamo alcune delle immagini che compongono il lavoro

Una crisi umanitaria è in corso nel bacino del Ciad, causata da una complessa combinazione di conflitti politici e fattori ambientali. Il Lago Chad – uno dei più grandi laghi dell’Africa e un’ancora di salvezza a 40 milioni di persone – sta vivendo una massiccia desertificazione.

A causa dell’irrigazione non pianificata, della siccità estesa, della deforestazione e della cattiva gestione delle risorse, la dimensione del lago è diminuita del 90 percento negli ultimi 60 anni. I mezzi di sostentamento tradizionali come la pesca sono inariditi e la scarsità d’acqua sta causando conflitti tra agricoltori e allevatori di bestiame.

Il gruppo jihadista Boko Haram, che è attivo nell’area, beneficia delle difficoltà e della fame diffusa e contribuisce a questo. Il gruppo utilizza i villaggi locali come terreno di reclutamento e il conflitto protratto ha sradicato 2,5 milioni di persone, esacerbando l’insicurezza alimentare.

Biografia

Nato a Parma nel 1976, Marco Gualazzini ha iniziato la sua carriera come fotografo nel 2004, con il quotidiano locale della sua città, La Gazzetta di Parma.

I suoi lavori più recenti includono la fotografia di reportage sulla microfinanza in India, sulla libertà d’espressione in Myanmar, sulla discriminazione dei cristiani in Pakistan e soprattutto su zone di crisi in Africa.

Ha ideato e ha partecipato alla realizzazione di un documentario per la RAI sul sistema delle caste in India, che è stato selezionato a Documentary IDFA- L’International Film Festival di Amsterdam e premiato per la “miglior fotografia” al Aljazeera International Documentary Film Festival nel 2014.

I sui lavori sono stati pubblicati con amplio spazio, su riviste nazionali e internazionali, tra cui Internazionale, Io Donna, D di Repubblica, L’Espresso, CNN, M (Le Monde), Der Spiegel, The Sunday Times Magazine, Wired, Newsweek Japan, Paris Match, The New York Times, Courrier International and Vanity Fair tra gli altri.

Marco collabora con L’Espresso e con il New York Times dal 2012. E’ rappresentato dall’agenzia Contrasto.

Questo è il suo sito personale, per dare un’occhiata a tutto il suo lavoro.

Il lavoro di Lorenzo Tugnoli si chiama invece Yemen Crisis. Di seguito alcune immagini

Dopo quasi quattro anni di conflitto nello Yemen, almeno 8,4 milioni di persone rischiano la fame e 22 milioni di persone – il 75% della popolazione – hanno bisogno di assistenza umanitaria. Questo secondo le Nazioni Unite. Nel 2014, i ribelli musulmani di Houthi Shia hanno conquistato le aree settentrionali del paese, costringendo il presidente, Abdrabbuh Mansour Hadi, all’esilio. Il conflitto si diffuse e si intensificò quando l’Arabia Saudita, in coalizione con altri otto stati arabi prevalentemente sunniti, iniziò attacchi aerei contro gli Houthi. Nel 2018, la guerra aveva portato a ciò che l’Onu definì il peggior disastro umanitario creato dall’uomo.

L’Arabia Saudita ha detto che l’Iran – uno stato a maggioranza sciita e il loro potere regionale rivale – stava sostenendo gli Houthi con armi e rifornimenti, un’accusa che l’Iran ha negato. La coalizione guidata dai sauditi ha attuato un blocco sullo Yemen, imponendo restrizioni all’importazione di cibo, medicinali e carburante. Le carenze risultanti hanno esacerbato la crisi umanitaria.

In molti casi, le condizioni di quasi carestia sono state causate non tanto dall’indisponibilità del cibo, ma dal momento che sono diventate inaccessibili, fuori dalla portata della maggior parte degli yemeniti a causa delle restrizioni all’importazione, dell’aumento dei costi di trasporto a causa della scarsità di combustibile, di una valuta in calo e di altri interruzioni di fornitura causate dall’uomo.

Biografia

Lorenzo Tugnoli (1979) è un fotografo che vive a Beirut.


Il suo lavoro è apparso su varie testate internazionali fra cui The New York Times, The Wall Street Journal, Le Monde, Newsweek, Time Magazine, Wired, The New Republic, The Atlantic, Der Spiegel, LFI – Leica Fotografie International.

Collabora stabilmente con il Washington Post. 

Nel 2014 ha pubblicato The Little Book of Kabul, un libro che ritrae Kabul attraverso la vita di alcuni artisti che vivono la città, in collaborazione con la scrittrice Francesca Recchia. E’ rappresentato dall’agenzia Contrasto.

Questo è il suo sito personale, se volete farvi un’idea di tutto il suo lavoro

Il paradossale mondo di Lars Tunbjörk

Il paradossale mondo di Lars Tunbjörk

Lars Tunbjörk nasce nel 1956 a Borås in Svezia, comincia la sue esperenzia di fotografo a 15 anni, lavorando come fotoreporter per quotidiani locali e successivamente nazionali. Da subito il suo modo di osservare la realtà di tutti i giorni lo spinge a soffermarsi su dettagli e stranezze spesso non percepite dall’occhio di molti; la sua visione particolare lo spinge a decidere di indagare queste particolarità, sviluppando uno stile sempre più personale e originale.

I suoi lavori sono spesso caratterizzati dal rapporto dell’uomo con l’ambiente e dall’influnza che quest’ultimo ha sulle persone e sulla loro vita.

Per con un documentario in bianco e nero sulla vita quotidiana svedese, gli viene assegnato il premio “Swedish Pictureof the Year”.

Il Dagens Nyheter titolava: “Lars Tunbjörk ha mostrato la Svezia attraverso la sua stessa malinconia”

Spesso nei suoi lavori possimo ritrovare una graffiante ironia che porta l’osservatore a porsi sempre una serie di interrogativi.

Nel 2005 vince il primo premio al World Press Photo, nelle sezione storie di Arte e Spettacolo, con la sua collezione di immagini dietro le quinte della Paris Fashion Week.

Lars Tunbjörk espone le sue opere in tutto il mondo. Nel 2009 ha partecipato al Photo Phnom Penh Festivalin Cambogia, durante il quale alcune delle sue fotografie sono state esposte per rappresentare la Svezia. L’ultima mostra ha avuto luogo a Tolosa nel 2013, dove Lars Tunbjörk ha presentato I Love Boras, Office e Vinter.

Le sue immagini sono inoltre raccolte presso molti musei; il MoMA di New York, il Centre Pompidou, la Maison Européenne de la Photographie di Parigi e il Moderna Museet di Stoccolma.

L’ultimo lavoro di Lars, prima della sua morte avvenuta nel 2015, è Going Mobile (2014), dove documenta le popolazioni degli Stati Uniti che hanno scelto di vivere in case mobili.

Lars Tunbjörk è rappresentato dall’Agenzia  VU’.