Mostre di fotografia da non perdere a febbraio

Ciao, di seguito le mostre segnalate per il mese di febbraio.

Buona visione!

Anna

JOAN FONTCUBERTA. CULTURA DI POLVERE

Joan Fontcuberta. Cultura di polvere - Trauma #3191, 2022
© ICCD Roma | Joan Fontcuberta. Cultura di polvere – Trauma #3191, 2022

Joan Fontcuberta. Cultura di polvere inaugura la stagione espositiva al Museo Fortuny di Venezia, ospitando dal 24 gennaio al 10 marzo 2024 le dodici light box realizzate da Joan Fontcuberta: esito del dialogo dell’artista catalano con le straordinarie collezioni storiche dell’ICCD di Roma, Istituto nato a fine Ottocento come Gabinetto Fotografico per documentare il patrimonio culturale con fini di tutela e catalogazione.

Una mostra che, riproposta a Venezia, a Palazzo Fortuny, rievoca non solo la comune nazionalità tra l’artista e il “padrone di casa” ma, soprattutto, il profondo legame di questo luogo con la fotografia, dalle sperimentazioni di Mariano Fortuny y Madrazo al suo ricchissimo archivio qui custodito, poi centro d’avanguardia della fotografia negli anni Settanta e Ottanta.  

Tra le manifestazioni più importanti legate al Museo Fortuny non si può non ricordare Venezia ’79. La Fotografia, nata dalla collaborazione tra International Center of Photography di New York, UNESCO e comune di Venezia. Un evento mediatico senza eguali, unico in Europa per genere e dimensioni, con venticinque mostre in città, seminari, conferenze, laboratori e workshop, che aveva come centro dell’attività formativa Palazzo Fortuny. A questo appuntamento epocale prende parte anche Joan Fontcuberta che, appena ventiquattrenne, è tra i protagonisti della mostra Fotografia europea contemporanea ai Magazzini del Sale, curata da Sue Davis, Jean-Claude Lemagny, Alan Porter e Daniela Palazzoli.
L’esposizione al Museo Fortuny riporta così l’eco di un sentimento che si aggiunge al lavoro dell’artista come uno strato di storia e di memoria.

Joan Fontcuberta. Cultura di polvere è nato nell’ambito del programma ICCD Artisti in residenza a cura di Francesca Fabiani, in cui Fontcuberta ha scelto di operare su alcune lastre fotografiche deteriorate provenienti dal Fondo Chigi, punto di partenza per una serie di sperimentazioni visive e linguistiche. Rampollo di una delle casate nobiliari più ricche e potenti della storia, il principe Francesco Chigi Albani della Rovere (1881-1953), naturalista e fotografo amatoriale, nel corso delle sue sperimentazioni approda spesso a soluzioni sorprendenti che ben dialogano con l’intelligenza provocatoria e ironica di Fontcuberta. Un incontro di personalità che dalla polvere d’archivio – evocata dal titolo che rimanda alla celebre opera di Marcel Duchamp e Man Ray del 1920 Élevage de poussière – ha prodotto nuove opere in una prospettiva contemporanea.
Attraverso un procedimento di tipo surrealista che consiste nel prelievo/appropriazione di elementi già dati – in questo caso un frammento della lastra – Fontcuberta ha compiuto il suo atto creativo, restituendo immagini quasi astratte eppure reali; paesaggi poco plausibili, assolutamente non manipolati, che appaiono nel display delle light box. I materiali su cui ha lavorato l’artista, se da un lato perdono memoria, dall’altro acquisiscono nuova fisionomia attraverso i tanti segni che il passare del tempo vi ha lasciato: graffi, lacune e, talvolta, batteri e funghi proliferati grazie all’ambiente chimicamente accogliente dell’emulsione di gelatina ai sali d’argento. Nuovi paesaggi che si sommano al soggetto originario della fotografia, visibile in controluce.

Come spiega l’autore: Questo lavoro analizza l’agonia materiale della fotografia. La fotografia è un dispositivo di memoria legato alla materia. Il suo deterioramento materiale genera una fotografia paradossalmente “amnesica”, senza più memoria.

La mostra è promossa dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma in collaborazione con Fondazione Musei Civici di Venezia.
Il progetto è vincitore del PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Le opere in mostra sono entrate a far parte delle collezioni di fotografia contemporanea dell’ICCD e sono presentate nell’omonimo libro d’artista Joan Fontcuberta. Cultura di polvere, edito da Danilo Montanari Editore con testi di Francesca Fabiani, David Campany e Joan Fontcuberta e con la grafica di TomoTomo.

Dal 24 Gennaio 2024 al 10 Marzo 2024 – Museo Fortuny Venezia

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MARTIN PARR. SHORT & SWEET

Martin Parr, Spain, Benidorm. From 'Common Sense' 1997
© Martin Parr / Magnum Photos | Martin Parr, Spain, Benidorm. From ‘Common Sense’ 1997

Continua la collaborazione con Magnum Photos e la fotografia di reportage e documentaria attraverso la mostra Short & Sweet di Martin Parr, che presenta oltre 200 scatti tra cui oltre 60 tra medi e piccoli formati scelti e selezionati dall’autore e presentati insieme a un’intervista inedita a cura della storica e critica della fotografia Roberta Valtorta, a ripercorrere la carriera di uno dei più famosi fotografi contemporanei. 

Attraverso un percorso dentro i progetti più noti, l’inedito stile documentario del fotografo inglese diventa cartina tornasole per osservare la società contemporanea e le sue pieghe più contraddittorie, senza filtri e fuori dalla retorica. A partire dai primi lavori in bianco e nero si arriva ai temi cari a Parr – dalle ‘vite da spiaggia’ al turismo. In mostra anche una selezione dell’installazione Common Sense, con oltre 200 fotografie in formato A3, tra le 350 esposte nella mostra omonima del 1999 che esplorano la realtà plastificata e pacchiana del mondo occidentale.

Dal 10 Febbraio 2024 al 30 Giugno 2024 – Mudec – Museo delle Culture – Milano

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ROBERT CAPA E GERDA TARO: LA FOTOGRAFIA, L’AMORE, LA GUERRA

Fred Stein, Gerda Taro and Robert Capa, Cafe de Dome, Paris 1936. Courtesy International Center of Photography
© Estate Fred Stein | Fred Stein, Gerda Taro and Robert Capa, Cafe de Dome, Paris 1936. Courtesy International Center of Photography

CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia presenta la mostra Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra nelle sale del Centro espositivo di via delle Rosine a Torino dal 14 febbraio al 2 giugno 2024.
Un’altra grande mostra – dopo le personali dedicate a Dorothea Lange e André Kertész – che racconta con circa 120 fotografie uno dei momenti cruciali della storia della fotografia del XX secoloil rapporto professionale e affettivo fra Robert Capa e Gerda Taro, tragicamente interrottosi con la morte della fotografa in Spagna nel 1937.

Fuggita dalla Germania nazista lei, emigrato dall’Ungheria lui, Gerta Pohorylle e Endre – poi francesizzato André – Friedmann (questi i loro veri nomi) si incontrano a Parigi nel 1934, e l’anno successivo si innamorano, stringendo un sodalizio artistico e sentimentale che li porta a frequentare i cafè del Quartiere Latino ma anche ad impegnarsi nella fotografia e nella lotta politica. In una Parigi in grande fermento ma invasa da intellettuali e artisti da tutta Europa, trovare committenze è però sempre più difficile. Per cercare di allettare gli editori, è Gerta a inventarsi il personaggio di Robert Capa, un ricco e famoso fotografo americano arrivato da poco nel continente, alter ego con il quale André si identificherà per il resto della sua vita. Anche lei cambia nome e assume quello di Gerda Taro.

L’intensa stagione di fotografia, guerra e amore di questi due straordinari personaggi è narrata nella mostra di CAMERA – curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi – attraverso le fotografie di Gerda Taro e quelle di Robert Capa, nonché dalla riproduzione di alcuni provini della celebre “valigia messicana”, contenente 4.500 negativi scattati in Spagna dai due protagonisti della mostra e dal loro amico e sodale David Seymour, detto “Chim”. La valigia, di cui si sono perse le tracce nel 1939 – quando Capa l’ha affidata a un amico per evitare che i materiali venissero requisiti e distrutti dalle truppe tedesche – è stata ritrovata solamente nel 2007 a Mexico City, permettendo di attribuire correttamente una serie di immagini di cui fino ad allora non era chiaro l’autore o l’autrice.

La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da Dario Cimorelli Editore con testi dei curatori.

Dal 14 Febbraio 2024 al 02 Giugno 2024 – CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia -Torino

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Brassaï. L’occhio di Parigi

“Questo fotografo, pittore, scultore e scrittore sapeva vedere tutto e, grazie alla sola virtù della sua attenzione, dava alla realtà una qualità e un’aderenza che rendevano il mondo allo stesso tempo più strano e meno estraneo.” Roger Grenier

Dal 23 febbraio al 2 giugno Palazzo Reale presenta la mostra “Brassaï. L’occhio di Parigi”, promossa da Comune di Milano – Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Silvana Editoriale, realizzata in collaborazione con l’Estate Brassaï Succession.

La retrospettiva è curata da Philippe Ribeyrolles, studioso e nipote del fotografo che detiene un’inestimabile collezione di stampe di Brassaï e un’estesa documentazione relativa al suo lavoro di artista.

La mostra presenterà più di 200 stampe d’epoca, oltre a sculture, documenti e oggetti appartenuti al fotografo, per un approfondito e inedito sguardo sull’opera di Brassaï, con particolare attenzione alle celebri immagini dedicate alla capitale francese e alla sua vita.

Le sue fotografie dedicate alla vita della Ville Lumière – dai quartieri operai ai grandi monumenti simbolo, dalla moda ai ritratti degli amici artisti, fino ai graffiti e alla vita notturna – sono oggi immagini iconiche che nell’immaginario collettivo identificano immediatamente il volto di Parigi.

Ungherese di nascita – il suo vero nome è Gyula Halász, sostituito dallo pseudonimo Brassaï in onore di Brassó, la sua città natale -, ma parigino d’adozione, Brassaï è stato uno dei protagonisti della fotografia del XX secolo, definito dall’amico Henry Miller “l’occhio vivo” della fotografia.

In stretta relazione con artisti quali Picasso, Dalí e Matisse, e vicino al movimento surrealista, a partire dal 1924 fu partecipe del grande fermento culturale che investì Parigi in quegli anni.

Brassaï è stato tra i primi fotografi, in grado di catturare l’atmosfera notturna della Parigi dell’epoca e il suo popolo: lavoratori, prostitute, clochard, artisti, girovaghi solitari.

Nelle sue passeggiate, il fotografo non si limitava alla rappresentazione del paesaggio o alle vedute architettoniche, ma si avventurava anche in spazi interni più intimi e confinati, dove la società si incontrava e si divertiva.

È del 1933 il suo volume Paris de Nuit (Parigi di notte), un’opera fondamentale nella storia della fotografia francese.

Le sue fotografie furono anche pubblicate sulla rivista surrealista “Minotaure”, di cui Brassaï divenne collaboratore e attraverso la quale conobbe scrittori e poeti surrealisti come Breton, Éluard, Desnos, Benjamin Péret e Man Ray.

“Esporre oggi Brassaï significa – afferma Philippe Ribeyrolles, curatore della mostra – rivisitare quest’opera meravigliosa in ogni senso, fare il punto sulla diversità dei soggetti affrontati, mescolando approcci artistici e documentaristici; significa immergersi nell’atmosfera di Montparnasse, dove tra le due guerre si incontravano numerosi artisti e scrittori, molti dei quali provenienti dall’Europa dell’Est, come il suo connazionale André Kertész. Quest’ultimo esercitò una notevole influenza sui fotografi che lo circondavano, tra cui lo stesso Brassaï e Robert Doisneau.”

Brassaï appartiene a quella “scuola” francese di fotografia che fu definita “umanista”, per la grande attenzione che l’artista riservò ai protagonisti di gran parte dei suoi scatti.  In realtà, l’arte di Brassaï andò ben oltre la “fotografia di soggetto”: la sua esplorazione dei muri di Parigi e dei loro innumerevoli graffiti, ad esempio, testimonia il suo legame con le arti marginali e l’art brut di Jean Dubuffet.

Nel corso della sua carriera il suo originale lavoro viene notato da Edward Steichen, che lo invita a esporre al Museum of Modern Art (MoMA) di New York nel 1956: la mostra “Language of the Wall. Parisian Graffiti Photographed by Brassaï” riscuote un enorme successo.

I legami di Brassaï con l’America si concretizzano anche in una assidua collaborazione con la rivista “Harper’s Bazaar”, di cui Aleksej Brodovič fu il rivoluzionario direttore artistico dal 1934 al 1958. Per “Harper’s Bazaar” il fotografo ritrae molti protagonisti della vita artistica e letteraria francese, con i quali era solito socializzare. I soggetti ritratti in quest’occasione saranno pubblicati nel volume Les artistes de ma vie, del 1982, due anni prima della sua morte.

Brassaï scompare il 7 luglio 1984, subito dopo aver terminato la redazione di un libro su Proust al quale aveva dedicato diversi anni della sua vita.

È sepolto nel cimitero di Montparnasse, nel cuore della Parigi che ha celebrato per mezzo secolo.

23 febbraio – 2 giugno 2024 – Milano, Palazzo Reale

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Ugo Mulas / I graffiti di Saul Steinberg a Milano

Saul Steinberg, Palazzina Mayer, Milano, 1962. Fotografie Ugo Mulas © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano/Napoli

Nel 1961 Saul Steinberg realizza una straordinaria decorazione a graffito dell’atrio della Palazzina Mayer a Milano, su commissione dello Studio BBPR che ne seguiva la ristrutturazione. Un lavoro importante, che seguiva altre analoghe imprese compiute dal grande disegnatore e illustratore negli Stati Uniti nel corso del decennio precedente.
A lavoro compiuto, Steinberg chiede a un giovane Ugo Mulas  di testimoniare l’opera, nella sua interezza e nei particolari. Per aiutare il fotografo nel suo lavoro, l’artista redige anche un breve testo che spiega l’iconografia e il senso del suo lavoro, una riflessione sul labirinto a partire dalla Galleria Vittorio Emanuele di Milano, città nella quale Steinberg aveva vissuto prima della guerra. Nel 1997 la palazzina sarà nuovamente ristrutturata, e i graffiti distrutti: oggi, di quello splendido intervento rimangono solo le fotografie di Ugo Mulas, capaci di restituire insieme il documento dell’opera e la sua interpretazione.

La mostra Ugo Mulas / I graffiti di Saul Steinberg a Milano, a cura di Archivio Ugo Mulas e Walter Guadagnini, sarà nella Project Room di CAMERA a partire dal 14 febbraio al 14 aprile 2024 e racconta quella vicenda, riproponendo in scala l’intera decorazione a partire dalle fotografie di Mulas. Una selezione di una trentina di fotografie – alcune vintage altre stampate per questa occasione – permettono di entrare in profondità nel lavoro di questi due grandi rappresentanti dell’arte del XX secolo, di apprezzare la fantasia iconografica steinberghiana e la lucidità poetica dell’occhio di Mulas.

14 febbraio – 14 aprile 2024 – CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia -Torino

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Michele Pellegrino. Fotografie 1967-2023

Michele Pellegrino, Aiguille Noire de Peuterey, 1996 © Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo

La mostra Michele Pellegrino. Fotografie 1967-2023 – organizzata da CAMERA e Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo con la curatela di Barbara Bergaglio e un testo di Mario Calabresi – si compone di oltre 50 immagini del fotografo Michele Pellegrino (Chiusa Pesio, CN, 1924), una sintetica antologica dell’intero suo percorso creativo, tra montagne, ritualità, volti e momenti del mondo contadino, che narrano la passione di Pellegrino per la sua terra e per la fotografia. Insieme a queste, uno studio del paesaggio botanico e una selezione digitale dell’archivio completano l’esposizione. La mostra si basa infatti sulla catalogazione e sulla digitalizzazione effettuate da CAMERA sull’archivio del fotografo, acquisito dalla Fondazione CRC nell’ambito del progetto Donare.

14 febbraio – 14 aprile 2024 – CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia -Torino

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GIOVANE FOTOGRAFIA ITALIANA | PREMIO LUIGI GHIRRI – GIULIA MANGIONE. THE FALL

© Giulia Mangione
© Giulia Mangione

Giulia Mangione è la vincitrice di Giovane Fotografia Italiana | Premio Luigi Ghirri 2023. Con il progetto The Fall presenta la sua ricerca fotografica dedicata all’esplorazione dei miti e credenze attorno al tema dell’Apocalisse e alla fine del mondo.
Da La Palma nelle isole Canarie agli Stati Uniti, fino all’isola greca di Patmos, dove è stato scritto il libro dell’Apocalisse, l’indagine della fotografa analizza come la società si prepara ad affrontare eventi potenzialmente catastrofici e come l’appartenenza a una comunità possa far sentire le persone più sicure e protette.

Giovane Fotografia Italiana | Premio Luigi Ghirri è un progetto promosso dal Comune di Reggio Emilia, di cui la nostra istituzione è partner dal 2022, dedicato alla scoperta e valorizzazione di talenti emergenti della fotografia in Italia.     

Dal 17 Gennaio 2024 al 18 Febbraio 2024 – Triennale Milano

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HUN – Julia Meinertsen

Nell’ambito di Art City 2024 in occasione di ARTEFIERA, Spazio Labo’ presenta HUN, progetto fotografico a lungo termine dell’artista danese Julia Mejnertsen realizzato dal 2013 al 2023 che rientra nell’attività di promozione dei talenti emergenti che contraddistingue da sempre l’operato di Spazio Labo’. 

HUN è un’investigazione visiva delle relazioni familiari e delle nostre convinzioni a partire dal quanto mai controverso e problematico tema della caccia. Si tratta della prima pubblicazione internazionale di Mejnertsen.

HUN significa “lei” in danese: Mejnertsen imbastisce una narrazione complessa a partire da un processo di avvicinamento alla storia di sua madre, una cacciatrice professionista in Africa. La ricerca di Mejnertsen nasce come reazione a un commento della madre all’interno di un documentario sulla caccia grossa trasmesso dalla televisione pubblica danese: “La caccia è diventata la mia passione, non riesco ad averne abbastanza. Cacciare il tuo primo animale non è proprio come partorire la prima volta, ma ci si avvicina molto… ”.

Con HUN Julia Mejnertsen ci invita a rivisitare le nostre convinzioni e i nostri pregiudizi, raccontando una storia complessa e stratificata su come le società bianche occidentali hanno strutturato e plasmato la comprensione culturale del mondo naturale e animale.

I diversi capitoli del libro, in fase di pubblicazione per la casa editrice madrilena Dalpine, e la varietà di materiali utilizzati da Mejnertsen (fotografie, disegni, lettere, video, oggetti e testi) rivelano sfaccettature psicologiche di una relazione madre-figlia molto particolare e invitano chi legge a condividere i dubbi dell’autrice e le sue esitazioni rispetto al suo specifico universo di valori e pregiudizi.

Nel 2023 il dummy di HUN ha vinto il Fiebre Dummy Award e ha ricevuto una Menzione Speciale dalla Giuria del LUMA Rencontres Dummy Book Award di Arles, oltre ad essere stato finalista nei principali premi per i dummy dei libri fotografici dell’anno.
HUN sarà pubblicato dalla casa editrice madrilena Dalpine a febbraio 2024.

Dal 25 gennaio all’11 aprile 2024 – Spazio Labò Bologna

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Wildlife Photographer of the Year n. 59

 Sono stati annunciati i vincitori dell’edizione numero 59 del Wildlife Photographer of the Year, la mostra-concorso promossa dal Natural History Museum di Londra. Selezionate tra 49.957 proposte provenienti da 95 Paesi, le immagini premiate saranno esposte in anteprima per l’Italia al Forte di Bard, dal 3 febbraio al 2 giugno 2024. L’esposizione racconta la vita animale e le emergenze ambientali di tutto il mondo.

A vincere il titolo di fotografo naturalista dell’anno è stato il biologo e fotografo marino francese Laurent Ballesta, già vincitore nel 2021, grazie a una foto di un granchio a ferro di cavallo con tre piccole carangidi dorate. La mostra al Forte di Bard presenterà i 100 scatti premiati all’interno di light panels che le rendono ancora più belle ed emozionanti.

Tra i vincitori anche gli italiani Alessandro Falco (menzione speciale nella sezione Photojournalism), Barbara Dall’Angelo (menzione speciale nella sezione Zone umide), Bruno D’Amicis (menzione speciale nella categoria Arte naturale), Ekaterina Bee (vincitrice nella categoria 11-14 anni), Pietro Formis (menzione speciale nella sezione Ritratti animali).

Dal 3 febbraio al 2 giugno – Forte di Bard (AO)

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GIULIA MARCHI. BILDUNGSROMAN

Giulia Marchi, Amabili Resti. Battesimo di Cristo, Masolino da Panicale_Castiglione Olona (1410-1480), 2023. Stampa Giclée su carta cotone Canson Infinity Rag photographique (310gr).
Giulia Marchi, Amabili Resti. Battesimo di Cristo, Masolino da Panicale_Castiglione Olona (1410-1480), 2023. Stampa Giclée su carta cotone Canson Infinity Rag photographique (310gr).

LABS Contemporary Art è lieta di presentare Bildungsroman, la seconda personale di Giulia Marchi in galleria, inedita ricerca fotografica che indaga il concetto di formazione attingendo dal percorso formativo intellettuale dell’artista che spazia dalla letteratura, alla pittura e alla cinematografia: in rigoroso ordine alfabetico, Antonello da Messina, Annunciata di Palermo (1475); Aby Warburg, Bilderatlas Mnemosyne (1929); Derek Jarman, Wittgenstein (1993); El Greco, Bartolomeo Apostolo(1614); Gilles Deleuze, L’immagine-tempo (1985); Henry David Thoreau, Walden ovvero Vita nei boschi(1854); James Joyce, Ritratto dell’artista da giovane (1916); Jean-Luc Nancy, Tre saggi sull’immagine(2002); Johann Wolfgang von Goethe, La vocazione teatrale di Wilhelm Meister (1785); Joris-Karl Huysmans, Controcorrente (1884); Lalla Romano, Una giovinezza inventata (1979); Lewis Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie (1865); Masolino da Panicale, Battesimo di Cristo (1435); Peter Jackson, Amabili Resti (2009); Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita (1954); Pier Vittorio Tondelli, Altri libertini(1980); Pontormo, Visitazione (1530); Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge (1910); Thomas Mann, La montagna incantata (1924); Virginia Woolf, Orlando (1928); Voltaire, Candido, o l’ottimismo (1760). Tutti Bildungsromane*.
 
La mostra aprirà al pubblico sabato 13 gennaio 2024 ed è accompagnata da un testo di Fabiola Triolo.

Dal 13 Gennaio 2024 al 02 Marzo 2024 –  Labs Contemporary Art – Bologna

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MARTHA ROCHER: RITRATTI D’ARTISTA

Martha Rocher, Jean Tinguely e Yves Klein, Parigi 1959
© Martha Rocher | Martha Rocher, Jean Tinguely e Yves Klein, Parigi 1959

Nell’ambito del PRIN 2020 La fotografia femminista italiana, il MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea è lieto di presentare la mostra Martha Rocher: ritratti d’artista, a cura di Elisa Genovesi e Raffaella Perna, che inaugurerà il 16 gennaio e sarà visitabile fino al 18 febbraio 2024.
 
Si tratta della prima esposizione personale dedicata a Martha Rocher (Vienna, 1920 – Milano 1990), fotografa di origine austriaca che ha documentato il fervore del panorama artistico e culturale di Parigi, Milano e Venezia fra la fine degli anni Cinquanta e la prima metà dei Sessanta. La mostra propone oltre cento fotografie in bianco e nero relative a questa fase della sua carriera: all’epoca Martha Rocher frequenta realtà vivacissime, al centro della scena dell’arte sperimentale, come la galleria di Iris Clert a Parigi o il Cavallino di Venezia. Rocher gode infatti della stima di alcuni tra gli artisti più innovativi del secondo Novecento, tra cui Yves Klein, Jean Tinguely, Hundertwasser ed Emilio Vedova. La fotografa li ritrae al lavoro o nei loro atelier, e realizza alcuni scatti emblematici come, ad esempio, quelli di Yves Klein, nel suo studio, vestito da judoka o in posa davanti alle sue Antropometrie. Tra gli artisti e le artiste ritratti da Rocher troviamo inoltre alcuni tra i maggiori esponenti della prima avanguardia: Sonia Delaunay, Meret Oppenheim, Alberto Giacometti, André Breton, Oskar Kokoschka, Kees van Dongen. La mostra propone inoltre una selezione di cataloghi e materiali a stampa che documentano la circolazione pubblica di queste immagini. Completano l’esposizione alcune fotografie di carattere privato, appartenenti all’archivio della fotografa, insieme a vedute urbane di Parigi, altro soggetto ricorrente nella produzione di Rocher.
 
La mostra intende riscoprire e valorizzare il lavoro di una fotografa rimasta ai margini della storiografia, al fine di gettare luce sul ruolo delle donne nella cultura fotografica italiana. L’alta qualità dei ritratti esposti al MLAC dimostra infatti come l’attività fotografica di Rocher nasca, al pari di quella di autori della sua generazione come Mario Dondero o Ugo Mulas, dalla familiarità con gli artisti e da un’approfondita conoscenza dell’arte d’avanguardia. Il cono d’ombra caduto sull’opera di Rocher ci porta a riflettere sulle difficoltà incontrate dalle fotografe per affermarsi come professioniste entro un contesto socio-culturale sessista e sulla necessità di ridefinire e allargare il canone della storia della fotografia. Studiare l’opera di fotografe dimenticate o trascurate dagli studi, attive in Italia sino al 1980, è uno tra gli obiettivi del PRIN 2020 – La fotografia femminista italiana, progetto di ricerca condotto dall’Università di Bologna (Principal Investigator e Responsabile Unità di Ricerca, Prof.ssa Federica Muzzarelli), dall’Università di Parma (Responsabile Unità di Ricerca, Prof.ssa Cristina Casero); e da Sapienza Università di Roma (Responsabile Unità di Ricerca, Prof.ssa Raffaella Perna), in collaborazione con l’Università Roma Tre (Prof.ssa Lara Conte).

16 Gennaio – 18 Febbraio 2024 – MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea – Roma

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MARCO GRASSO. MIMESIS. RITRATTI ANIMALI

Opera di Marco Grasso
Opera di Marco Grasso

Il Museo di Storia Naturale di Milano presenta la mostra Mimesis. Ritratti animali, promossa dal Comune di Milano – Cultura e dal Museo di Storia Naturale. ll patrocinio di WWF Italia conferisce a questo progetto espositivo una particolare missione nei confronti delle nuove generazioni in merito al tema della sostenibilità ambientale.
 
La mostra raccoglie un nucleo di dipinti recenti dell’artista Marco Grasso (classe 2000) dal carattere fortemente naturalistico, tipico della wildlife art. Si tratta in particolare di ritratti in acrilico su tela di animali colti in atteggiamenti o situazioni che fanno emergere le loro peculiarità fisiche e caratteriali. Tra i soggetti rappresentati si trovano alcune specie piuttosto conosciute, come la zebra, il leone, il lupo e la civetta, ma anche altre più rare e minacciate, come la tigre siberiana, il panda gigante e il leopardo delle nevi. I soggetti vengono isolati e colti in tutta la loro magnificenza e unicità attraverso lo strumento pittorico, analizzati nei minimi dettagli con uno sguardo fotografico.
 
Accanto alle opere iperrealistiche, verranno esposti anche alcuni ritratti realizzati in quattro monocromi (blu, verde, terra e rosso), che alludono a elementi ricorrenti in natura e uniscono simbolicamente tutte le opere in mostra come parte dello stesso habitat naturale. Gli animali ritratti escono dunque dalla visione di uno scatto fotografico nella dimensione astratta e concettuale della pittura contemporanea, dove ciò che si vede non è mai solo quello che si vede e si entra così in un percorso naturalistico immersivo che porta il visitatore a conoscerei segreti e i valori del mondo naturale mostrato attraverso le opere pittoriche e lo sguardo analitico di Marco Grasso.
 
Così la curatrice Elena Di Raddo racconta della particolare produzione artistica di Grasso: «I suoi dipinti descrivono nei minimi dettagli la “pelle” – per usare il termine in senso ampio ad indicare l’esterno, la superficie dei corpi – di animali selvaggi. Pellicce, piume, squame, carapaci sono indagati con il suo pennello in modo estremamente dettagliato, con una precisione tale da rendere quasi tattile la superficie dipinta.
Il naturalismo di Marco Grasso non è però da intendersi nel senso ottocentesco del termine, ma si tratta di una pittura che ha quale obiettivo la descrizione delle caratteristiche di corpi degli animali, fino a raggiungerne anche gli aspetti del loro carattere. Allo stesso tempo l’arte di Marco Grasso ha anche lo scopo di valorizzare la natura animale in tutti i suoi aspetti locali e globali. Per lui, come per tutti gli artisti dell’Artists for Conservation (AFC), descrivere gli animali, isolati dal loro contesto, con una precisione che suscita ammirazione per la complessità, varietà e bellezza della natura in tutte le sue forme, significa anche essere consapevoli del valore della natura e della necessità che venga preservata».

Dal 23 Gennaio 2024 al 24 Febbraio 2024 – Museo di Storia Naturale – Milano

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BACKSTAGE. MIMMO CATTARINICH E LA MAGIA DEL FOTOGRAFO DI SCENA

Mimmo Cattarinich, Maria Callas e Pier Paolo Pasolini sul set di "Medea", 1969. Courtesy Associazione Culturale Mimmo Cattarinich
Mimmo Cattarinich, Maria Callas e Pier Paolo Pasolini sul set di “Medea”, 1969. Courtesy Associazione Culturale Mimmo Cattarinich

I volti di grandi attori e registi della storia del cinema internazionale come Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Bernardo Bertolucci, Anthony Quinn, Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Capucine, Catherine Deneuve, Roberto Benigni, Claudia CardinaleMaria Callas ma anche protagonisti contemporanei come Giuseppe Tornatore, Pedro Almodovar, Antonio Banderas, Javier Bardem, Isabelle Huppert, Rupert Everett, Rutger HauerCarlo Verdone, Monica Bellucci, Natalie Portman e Penelope Cruz sono soltanto alcuni dei protagonisti delle fotografie di Mimmo Cattarinich, al quale il Museo Villa Bassi Rathgeb di Abano Terme dedica dal 9 febbraio al 16 giugno 2024 la mostra BACKSTAGE. Mimmo Cattarinich e la magia del fotografo di scena a cura di Dominique Lora100 fotografie provenienti dall’immenso archivio dell’Associazione culturale Mimmo Cattarinich di Roma, capaci di raccontare la storia del cinema italiano e internazionale dagli anni Sessanta ai giorni nostri
 
Cinema e fotografia, linguaggi visivi nati quasi simultaneamente, da sempre condividono e scambiano tecniche narrative e ispirazioni estetiche, generando quella complessa rete di rapporti che stimola sperimentazione e creatività, una dicotomia narrativa nata da un dialogo naturale in cui immaginario, ispirazione e sovversione sono atti di reciprocità e di scambio. La fotografia documenta il cinema e ne rivela il gesto celato, l’emozione rubata, ritraendo in immagini istanti di vita dietro le quinte: è un linguaggio complementare capace di mettere a nudo i soggetti, svelandone i misteri e raccontandone la vulnerabilità. 
 
Guardare il cinema attraverso l’obiettivo del fotografo di scena è un’esperienza complessa, interdisciplinare e organizzata attorno a tre grandi soggetti che, smascherando la finzione cinematografica, rivelano tutta l’essenza umanistica di questa ricerca: la rappresentazione del reale dietro le quinte, il ritratto dell’attore all’interno e oltre la scena e il rapporto tra cinema e arte
Ad accomunare i soggetti ritratti da Mimmo Cattarinich è la tensione alla diversità: alterazioni corporee, atteggiamenti di sfida o di esibizione, caratteristiche che contribuiscono a renderli veri, trasparenti e vulnerabili. Il fotografo traspone su pellicola sogni ed emozioni dei singoli individui, rivelandone la realtà presente e le aspirazioni.

Dal 09 Febbraio 2024 al 16 Giugno 2024 – Museo Villa Bassi Rathgeb – Abano Terme (PD)

ALESSANDRA CALÒ. SECRET GARDEN

Alessandra Calò, Nora
Alessandra Calò, Nora

Nell’ambito di ART CITY Bologna 2024 in occasione di ARTEFIERA, Maison laviniaturra presenta la mostra “Secret Garden” di Alessandra Calò, con la curatela di Serena Ribaudo. Questo evento segna un ulteriore capitolo nella stagione espositiva della Maison laviniaturra, celebre atelier-salotto di moda fondato dalla talentuosa fashion designer Lavinia Turra. La Maison prosegue così la mission di promuovere le artiste donne attraverso una serie di mostre che fondono abilmente l’arte visiva e l’alta moda.

A partire dal 27 gennaio 2024, i visitatori avranno l’opportunità di immergersi in un universo unico, dove le creazioni sartoriali di Lavinia Turra si fondono armoniosamente con le opere suggestive di Alessandra Calò. La mostra rappresenta un’esperienza sinestetica, un connubio di mondi apparentemente distanti, ma capaci di dialogare in un ambiente che celebra la creatività in tutte le sue sfaccettature.

Secret Garden” di Alessandra Calò si presenta come una “grande opera d’arte” che va oltre i confini temporali e culturali, trasformando il concetto di identità in un messaggio universale. È un invito a esplorare, a guardare oltre le apparenze, a immergersi nel giardino segreto della mente umana e a connettersi con la memoria collettiva che ci unisce tutti, indipendentemente dalle diversità individuali. Alessandra Calò affronta così il concetto di identità e la preziosa connessione con la memoria collettiva.

Come scrive la curatrice Serena Ribaudo: “The Secret Garden, il fascinoso progetto di Alessandra Calò, mi ha riportato alla mente in maniera fulminante alcuni dei versi più celebri del grande pittore e poeta Dante Gabriel Rossetti tratti dal componimento Sudden light: ‘I have been here before, but when or how I cannot tell’. D’altra parte, con Dante Gabriel Rossetti, la Calò condivide molto da vicino lo sguardo di dolcezza, l’incanto, lo spettacolo del femminile. In Secret Garden vediamo sfilare dinanzi ai nostri occhi un firmamento di donne, stelle fuggevoli nell’ evanescenza, nell’incertezza dei loro tratti fisiognomici, del loro vissuto, della loro identità. Altrimenti dimenticate e abbandonate all’ abisso di un greve oblio, vengono invece ri-novellate, ri-magnetizzate; mirabilmente vengono loro donate una nuova fiamma, una nuova storia, un nuovo cuore segreto. All’interno del loro “diorama” in cui la Calò evoca, grazie all’uso sapiente di elementi di natura, un giardino segreto, queste figure femminili sono trasformate in una sorta di nuovo misterioso Mito nel cui palpito, nei cui misteriosi moti, tutte {e perché no? tutti} ci riconosciamo e ci immergiamo sognanti: ‘I have been here before, but when or how I cannot tell’”.

La mostra vuol essere un viaggio nell’interno della mente umana, un giardino segreto che si svela a coloro che sono capaci di andare oltre l’apparenza. Il cuore del progetto è costituito da una raccolta di antiche lastre negative, raffiguranti ritratti femminili, abbinate a piccoli giardini collocati all’interno di un dispositivo. Ma questo è solo l’inizio: ogni donna ritratta nel progetto viene dotata di un nome e di una storia, un’avventura ispirata liberamente ai racconti di grandi scrittrici contemporanee coinvolte nel processo creativo dell’artista. Ciò che emerge è un intreccio unico di storie e identità, una variegata raccolta di donne provenienti da diverse sfere della vita, dalla letteratura alla musica, dalla poesia all’impegno politico e sociale. Queste donne, con background eterogenei e forme d’espressione artistiche differenti, diventano le protagoniste di racconti che si sviluppano come diari personali, rendendo ogni storia straordinariamente attuale e significativa.

I ritratti delle donne, raffigurati sulle antiche lastre negative, giungono a noi senza ulteriori dettagli biografici e ci immergono in un viaggio che attraversa due binari paralleli: il tempo reale e l’immaginazione. Questo doppio binario permette al pubblico di sperimentare una nuova modalità di lettura delle opere, lontana dalla necessità di una chiara e fedele interpretazione ancorata all’immagine. La magia sta nell’ascoltare le voci di queste donne, nascoste dietro i ritratti statici, e nell’esplorare l’intimità delle loro esistenze attraverso frammenti di storie che si intrecciano in un percorso collettivo.

Con questa mostra, Alessandra Calò crea un ponte tra passato e presente, tra realtà e immaginazione, offrendo al pubblico l’opportunità di intraprendere un viaggio unico attraverso le storie intime di donne che, seppur appartenenti a un’epoca passata, parlano ancora con forza e attualità.

Dal 27 Gennaio 2024 al 22 Febbraio 2024 – Maison Laviniaturra – Bologna

Mostre di fotografia da non perdere a ottobre!

Ciao a tutti,

anche questo mese vi segnaliamo diverse mostre interessantissime. E non dimenticate di verificare le mostre segnalate negli scorsi mesi che sono ancora visitabili!

Se volete che la vostra mostra venga segnalata, scrivete a pensierofotografico@libero.it il mese precedente all’inizio della mostra!

Buona visione!

Anna

Pino Musi_08:08 Operating Theatre

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_08:08 Operating Theatre, a cura di Antonello Scotti, ospitata da Magazzini Fotografici dal 17 settembre al 20 novembre 2022, porta in mostra una selezione delle prese fotografiche effettuate da Pino Musi in tre sale operatorie del Sud Italia, esattamente cinque minuti dopo il termine dell’intervento chirurgico e l’uscita del paziente e del chirurgo, e dieci minuti prima del riordino della sala, da parte degli infermieri, per l’intervento successivo.

Le sale operatorie di _08:08 Operating Theatre diventano il campo di battaglia che Pino Musi, artista visivo di fama internazionale e docente, sceglie per un “corpo a corpo” simultaneo fra sé stesso e gli elementi presenti nello scenario perlustrato, a pochi istanti dal termine di delicate operazioni chirurgiche.

Immagini in bianco e nero che occultano, evitando sottolineature a effetto, la riconoscibilità evidente degli elementi di facile spettacolarità, creando, invece, un percorso che orienta il fruitore a indagare l’interno della macchina scenica, ad analizzarne le tracce residue.

È «un teatro senza attori, malati, medici e tecnici, presentato nella sua nudità, senza palpiti, ma con gli umori del post-factum resi attraverso i reperti, le scorie, i residui dell’azione, i relitti di un combattimento, di uno stato di emergenza che il bianco e nero disinnesca» suggerisce Pino Musi, «perché è il corpo il protagonista assoluto quanto paradossale di queste immagini, un corpo che è sul confine tra organico e inorganico, un corpo senza organi, come lo dichiara, con crudeltà senza redenzione, Antonin Artaud, in un testo, la Lettera a Pierre Loeb, che è diventato un manifesto dell’arte postumana. “Perché la grande menzogna – scrive Artaud – è stata quella di ridurre l’uomo a un organismo – ingestione, assimilazione, incubazione, espulsione – creando un ordine di funzioni latenti che sfuggono al controllo della volontà deliberatrice, la volontà che decide di sé ad ogni istante”».

Come spiega Antonello Scotti, curatore della mostra: «L’immagine è un recinto visivo dove il corpo è solo evocato, ma mai presentato-rappresentato. Recinto dove il tempo e lo spazio è recitato in forma pantomimica. Residui, fantasmi che aleggiano nel perimetro della camera, dove in un susseguirsi caotico, mettono in scena, in forma di strazio di un momento, chissà quanto lungo, un tempo di dolore, anestetizzato giusto la durata per risarcire con gesto, forse risolutore, lo squarcio inflitto per strappare il male, o per innestare protesi. Non ci sono segni indicanti una conclusione, felice o infelice, dell’operazione scientifica-sciamanica-divina; è solo intuibile uno spazio sospeso, dove sembra che tutto sia un simulacro vivo di un fatto ancora in atto».

Ad ospitare la mostra _08:08 Operating Theatre è Magazzini Fotografici, APS nata da un’idea della fotografa Yvonne De Rosa, che ha come finalità la divulgazione dell’arte della fotografia e la creazione di un dialogo a più voci che sia occasione di arricchimento culturale.

L’evento è realizzato in collaborazione con la Galleria Tiziana Di Caro.

Come sottolinea Yvonne De Rosa: «Sono felice di dare vita ad una nuova collaborazione con Tiziana Di Caro e la sua galleria, luogo di rilevanza culturale ed artistica, che va ad arricchire la sempre più fitta rete di cooperazione e partecipazione che Magazzini Fotografici si prefigge di tessere sul territorio. Questa collaborazione è nata anche grazie a Pino Musi, che segue le attività proposte dalla nostra APS, contribuendo con talks, presentazioni e questa volta con una importante mostra delle sue opere». 

17 settembre | 20 novembre 2022 – Magazzini Fotografici – Napoli

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Ron Galella, Paparazzo Superstar

© Ron Galella, Ltd., 2022. Sophia Loren, 22 dicembre 1965, Americana Hotel, New York. Festa per la prima de Il Dottor Zivago
A Conegliano Palazzo Sarcinelli ospiterà, dal 7 ottobre 2022 al 29 gennaio 2023, un’importante mostra con oltre 180 fotografie di Ron Galella, il più famoso paparazzo della storia della fotografia, scomparso il 30 aprile scorso all’età di 91 anni. Si tratta della prima retrospettiva al mondo sul grande fotografo statunitense di origini italiane.La mostra, organizzata e prodotta da SIME BOOKS in collaborazione con la Città di Conegliano, è a cura di Alberto Damian, agente e gallerista di Galella per l’Italia. Parlando di Ron Galella, Andy Warhol ebbe a dire: “Una buona foto deve ritrarre un personaggio famoso che sta facendo qualcosa di non famoso. Ecco perché il mio fotografo preferito è Ron Galella”.Galella è nato a New York nel quartiere Bronx nel 1931 da padre italiano originario di Muro Lucano in Basilicata e madre italo-americana.Dal 1965 in poi, Ron Galella ha inseguito, stanato e fotografato i grandi personaggi del suo tempo, riuscendo a coglierli nella loro straordinaria quotidianità, agendo quasi sempre di sorpresa, a loro insaputa e spesso contro la loro volontà. Immagini rubate e scattate a raffica, frutto di appostamenti, depistaggi, camuffamenti, inseguimenti, lunghe attese, nello sprezzo di ogni rischio, fisico o legale.Jackie Kennedy negli anni ’70 gli intentò due cause, che all’epoca fecero parlare i giornali e ricevettero l’attenzione dei telegiornali americani. Le guardie del corpo di Richard Burton lo picchiarono e gli fecero passare una notte in galera a Cuernavaca, Messico. Marlon Brando con un pugno gli spaccò una mascella e cinque denti, ma poi gli pagò anche un salatissimo risarcimento attraverso i suoi avvocati. Galella è stato soprannominato “Paparazzo Extraordinaire” da Newsweek e “Il Padrino dei paparazzi americani” da Time Vanity Fair. Le sue foto sono conservate nei più importanti musei al mondo, dal MOMA di New York all’Andy Warhol Museum di Pittsburgh, dalla Tate Modern di Londra all’Helmut Newton Foundation di Berlino. E sono state acquistate da importantissime collezioni private in tutti e cinque i continenti. Non c’è un grande personaggio del jet-set internazionale di quel periodo che Galella non abbia fotografato. Il suo archivio di oltre 3 milioni di scatti è pieno di scatole di fotografie – per la maggior parte in bianco e nero – di attori, musicisti, artisti e celebrità di ogni tipo. Per citarne solo alcuni: Jacqueline Kennedy Onassis, Lady Diana, Aristotele Onassis, Truman Capote, Steve McQueen, Robert Redford, Paul Newman, Elizabeth Taylor, Richard Burton, Al Pacino, Robert De Niro, Greta Garbo, Liza Minelli, Madonna, Elton John, John Lennon, Mick Jagger, Diana Ross, Elvis Presley, David Bowie. E poi gli italiani: Sophia Loren, Claudia Cardinale, Federico Fellini, Anna Magnani, Luciano Pavarotti, Gianni Agnelli, Gianni e Donatella Versace.L’elenco dei personaggi immortalati da Galella potrebbe continuare per pagine: nell’archivio custodito nella sua villa in New Jersey c’è una ricchissima documentazione sull’evoluzione del costume degli anni ‘60, ’70, ’80 e ’90 (i suoi “golden years”, anni d’oro)  che è ritenuta unica al mondo.Ed è proprio il meglio di questo monumentale archivio che giunge a Palazzo Sarcinelli nella grande mostra “Ron Galella, Paparazzo Superstar”, organizzata da SIME BOOKS, la casa editrice coneglianese che nel 2021, in collaborazione con lo stesso Galella, ha pubblicato la preziosa monografia “100 Iconic Photographs – A Retrospective by Ron Galella”, l’ultimo libro dell’artista. La mostra sarà un percorso nella memoria di un’epoca, con icone universali del cinema, dell’arte, della musica, della cultura pop e del costume, e si snoderà attraverso sale tematiche, accogliendo anche un estratto di “Smash His Camera” di Leon Gast, il documentario sulla lunga carriera di Galella premiato al Sundance Film Festival del 2010.Il clou dell’esposizione sarà la sala interamente dedicata a Jackie Kennedy Onassis, che Galella definiva “la mia ossessione” e alla quale aveva dedicato due interi libri. In questa sala verrà esposta una copia della famosissima “Windblown Jackie”, scelta da Time qualche anno or sono come “una delle 100 fotografie più influenti della storia della fotografia” e definita “la mia Monna Lisa” dallo stesso Galella. La data d’inizio della mostra è stata scelta proprio perché “Windblown Jackie” è stata scattata il 7 ottobre del 1971.Sarà una mostra imperdibile che, ai tempi dei selfie e di Instagram, ci porterà indietro ad un tempo che non esiste più, nel quale le star entravano nelle nostre case soprattutto attraverso le pagine dei settimanali di costume e scandalistici, le copertine dei dischi, i poster e le locandine dei film. Questo succedeva anche grazie ai paparazzi e, in particolare, a Ron, che con le sue fotografie ci ha permesso di vedere le stelle più da vicino.
7 ottobre 2022 – 29 gennaio 2023 – Conegliano (TV), Palazzo Sarcinelli

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MOSTRA DEGLI ALUNNI DEL CORSO DI STORYTELLING – MUSA FOTOGRAFIA

Venerdì 21 Ottobre 2022 e solo per questa sera!

Ore 18,30 – Via Mentana, 6 Monza – Seguirà aperitivo in compagnia

Esposizione degli alunni del corso di Visual Storytelling Contemporaneo 2021/22

La mostra collettiva presenterà i progetti dei partecipanti al corso di Visual Storytelling. I corsisti, seguiti da Sara Munari, hanno costruito un lavoro finito, con una narrazione personale e unica.

NINO MIGLIORI. L’arte di ritrarre gli artisti. Ritratti di artisti di un maestro della fotografia italiana

“Nino Migliori. L’arte di ritrarre gli artisti” è la special guest della edizione ’22 di “Colornophotolife”, l’annuale festival di fotografia accolto dalla Reggia che fu di Maria Luigia d’Austria, a Colorno nel parmense.
La monografica di Migliori (dal 15 ottobre al 10 aprile) conferma la vocazione della Reggia a connotarsi come sede di grandi eventi fotografici, sulla scia delle mostra qui riservate a Michael Kenna, Ferdinando Scianna e Carla Cerati. Di Nino Migliori si possono ammirare 86 opere inedite, quasi tutte ritratti di artisti da lui frequentati, realizzate tra gli anni cinquanta ed oggi, che consentono di ripercorrere, attraverso le diverse tecniche adottate, le ricerche e le esplorazioni del mezzo fotografico condotte nel corso di oltre settant’anni di attività. L’esposizione, a cura di Sandro Parmiggiani, con la direzione di Antonella Balestrazzi, è accompagnata da un catalogo bilingue (italiano/inglese).
Cinque le sezioni: i ritratti in bianco e nero, avviati negli anni ‘50, quando Migliori è a Venezia e frequenta la casa di Peggy Guggenheim, e sviluppati fino agli anni recenti; le immagini a colori nelle quali spesso opera una dislocazione dei piani e talvolta ritaglia le immagini e le ricolloca nello spazio; le sequenze di immagini tratte dal mezzo televisivo e concepite come fotogrammi in divenire; le grandi “trasfigurazioni” (100 x 100 cm) a colori in cui Migliori interviene “pittoricamente” sull’immagine; i ritratti recenti in bianco e nero “a lume di fiammifero”, che applicano alcune sue ricognizioni condotte su sculture “a lume di candela”. Molti sono i protagonisti della scena artistica che i visitatori della mostra riconosceranno attraverso i loro ritratti: tra gli altri, Enrico Baj, Vasco Bendini, Agenore Fabbri, Gianfranco Pardi, Guido Strazza, Sergio Vacchi, Luciano De Vita, Salvatore Fiume, Virgilio Guidi, Piero Manai, Man Ray, Luciano Minguzzi, Zoran Music, Luigi Ontani, Robert Rauschenberg, Ferdinando Scianna, Tancredi Parmeggiani, Ernesto Treccani, Emilio Vedova, Lamberto Vitali, Andy Warhol, Wolfango, Italo Zannier; Antonio Gades, Bruno Saetti, Lucio Saffaro, Alberto Sughi, Emilio Tadini; Eugenio Montale, Gian Maria Volonté, Giovanni Romagnoli e Franco Gentilini; Karel Appel, Enzo Mari, Fausto Melotti, Tonino Guerra, Pompilio Mandelli, Marisa Merz, Bruno Munari, Fabrizio Plessi, Arnaldo Pomodoro, Lucio Del Pezzo; Mario Botta, Ugo Nespolo, Elisabetta Sgarbi.
“Davanti alle fotografie di Nino Migliori occorre ricordare –evidenzia il Curatore, Sandro Parmiggiani – che con lui nulla deve essere dato per scontato: la macchina fotografica, la pellicola (e ora il supporto digitale), le carte su cui vengono stampate le immagini non sono asservite a una funzione prestabilita, ma essa può sempre essere ridefinita ed esplorata in nuove direzioni. Migliori è stato, fin dal 1948, uno strenuo indagatore delle possibilità offerte dal mezzo, dai procedimenti tecnici e dai materiali della fotografia; oltre a essere autore di splendide fotografie neorealiste – molti ricordano l’icona de Il Tuffatore, 1951 –, lui si è cimentato con le bruciature sulla pellicola e sulla celluloide, con esperienze su carta e su vetro, con le fotografie di muri e di manifesti, con la ricerca della “faccia nascosta” delle polaroid, con le recenti esperienze con caleidoscopi di diverse dimensioni (due dei ritratti in mostra sono realizzati con questa tecnica): inesauste ricerche e verifiche alimentate dalle visioni e dagli esperimenti che questa sorta di artista-fotografo-sciamano ha condotto nel suo viaggio dentro la fotografia. Sarebbe dunque limitativa la definizione di “fotografo”, non avendo mai Migliori concepito il mezzo fotografico come mero strumento di conformità agli statuti e ai canoni della fotografia – “una immagine che fissa il reale, in un momento del suo divenire” –, ma qualcosa che poteva permettergli di avvicinarsi a certe visioni che da sempre lo hanno intrigato. Basta pensare alle esperienze condotte a partire dal 2006, quando decise di fotografare lo Zooforo, l’impressionante bestiario medievale scolpito da Benedetto Antelami sul Battistero del Duomo di Parma, immaginando di restituirne la visione notturna che ne potevano avere gli abitanti della città, e i suoi visitatori, passando accanto alla torre ottagonale e scoprendone, alla luce delle torce, le forme fantastiche che si snodavano lungo il suo perimetro, ricreando nella notte, con opportune coperture, un buio profondo e avvicinando e muovendo lentamente una candela alle formelle, fino a scoprirne il volto segreto. Da quell’esperienza sono nati cicli in cui Migliori ha fotografato nell’assenza di luce monumenti e sculture, e ha eseguito ritratti di persone nel buio assoluto, con i loro volti illuminati dalla luce di un fiammifero, come documentano alcune fotografie della mostra di Colorno.

15 Ottobre 2022 – 10 Aprile 2023 – Reggia di Colorno (Pr)

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WORLD PRESS PHOTO 2022

For tens of thousands of years, Aboriginal people – the oldest continuous culture on earth – have been strategically burning the country to manage the landscape and to prevent out of control fires. At the end of the wet season, there’s a period of time where this prescribed burning takes place. I visited West Arnhem Land in April/May 2021 and witnessed prescribed aerial and ground burning.

C’è una prima volta per tutto, e quest’anno al Festival della Fotografia Etica di Lodi fa il suo arrivo il World Press Photo, con l’esposizione dei vincitori del 2022.

Il grande concorso internazionale di fotogiornalismo e fotografia documentaria più famoso al mondo che si svolge da oltre 50 anni e indetto dalla World Press Photo Foundation di Amsterdam, vede Lodi protagonista con una tappa del suo tour che conta oltre 100 città nel mondo. Quasi 150 immagini che arrivano dai 5 continenti per raccontare storie incredibili.

I lavori premiati sono stati scelti tra i 64.823 candidati, tra fotografie e open format, realizzati da 4.066 fotografi provenienti da 130 paesi del mondo: si tratta di lavori firmati per le maggiori testate internazionali, come National Geographic, BBC, CNN, Times, Le Monde, El Pais che si contendono il titolo nelle diverse categorie del concorso di fotogiornalismo.

Tutto è iniziato nel 1955, quando un gruppo di fotografi olandesi organizzò il primo concorso internazionale “World Press Photo”. Da allora, l’iniziativa ha acquistato slancio fino a diventare il concorso fotografico più prestigioso al mondo e la mostra di fotogiornalismo più visitata.

Dal 24 settembre al 23 ottobre Lodi tornerà a raccontare il nostro mondo nella XIII^ edizione del Festival della Fotografia Etica. Un mondo in continuo e veloce cambiamento di cui la fotografia congela il momento e ci aiuta a capire.

A Lodi, ad aprirci finestre su situazioni e storie a noi spesso sconosciute, saranno quasi 100 fotografi da ogni parte del pianeta con oltre 20 mostre per coinvolgere il pubblico attraverso progetti inediti, esposti in spazi all’aperto e nelle prestigiose location della città.

24 settembre – 23 ottobre 2022 – Lodi

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ROBERT CAPA. L’Opera 1932 – 1954

ITALY. Near Troina. August 4-5, 1943. Sicilian peasant telling an American officer which way the Germans had gone.

“Robert Capa. L’Opera 1932-1954”, al Roverella, dall’8 ottobre 2022 al 29 gennaio 2023, a cura di Gabriel Bauret, è il nuovo appuntamento con la fotografia internazionale proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, ancora una volta affiancata dal Comune di Rovigo e dall’Accademia dei Concordi.

La mostra, che segue per qualità ed originalità quella recente di Robert Doisneau, consta di ben 366 fotografie selezionate dagli archivi dell’agenzia Magnum Photos e ripercorre le tappe principali della sua carriera, dando il giusto spazio ad alcune delle opere più iconiche che hanno incarnato la storia della fotografia del Novecento. Tuttavia essa non è pensata solo come una retrospettiva dell’opera di Robert Capa, ma mira piuttosto a rivelare attraverso le immagini proposte le sfaccettature, le minime pieghe di un personaggio passionale e in definitiva sfuggente, insaziabile e forse mai pienamente soddisfatto, che non esita a rischiare la vita per i suoi reportage. Capa infatti ha sempre manifestato un temperamento da giocatore, ma un giocatore libero. Nel mostrare, cerca anche di capire, gira intorno al suo soggetto, tanto in senso letterale quanto figurato. La mostra riunisce in occasioni diverse più punti di vista dello stesso evento, come a riprodurre un movimento di campo-controcampo, e restituisce un respiro cinematografico spesso percepibile in molte sequenze.
«Per me, Capa indossava l’abito di luce di un grande torero, ma non uccideva; da bravo giocatore, combatteva generosamente per se stesso e per gli altri in un turbine. La sorte ha voluto che fosse colpito all’apice della sua gloria”, ebbe a scrivere di lui Henry Cartier-Bresson.

L’esposizione non si limiterà alle rappresentazioni della guerra che hanno forgiato la leggenda di Capa. Nei reportage del fotografo, come in tutta la sua opera, esistono quelli che Raymond Depardon chiama “tempi deboli”, contrapposti ai tempi forti che caratterizzano le azioni; i tempi deboli ci riportano all’uomo André Friedmann, alla sua sensibilità verso le vittime e i diseredati, a quello che in fin dei conti è stato il suo percorso personale dall’Ungheria in poi. Immagini che lasciano trapelare la complicità e l’empatia dell’artista rispetto ai soggetti ritratti, soldati, ma anche civili, sui terreni di scontro, in cui ha maggiormente operato e si è distinto. Così, sulla scia delle sue vicende umane, ricorre a più riprese il tema delle migrazioni delle popolazioni (in Spagna e in Cina, in particolare). E tra un’immagine e l’altra, si profila anche l’identità di Capa.

La mostra si articolerà in 9 sezioni tematiche:

Fotografie degli esordi, 1932 – 1935
La speranza di una società più giusta, 1936
Spagna: l’impegno civile, 1936 – 1939
La Cina sotto il fuoco del Giappone, 1938
A fianco dei soldati americani, 1943 – 1945
Verso una pace ritrovata, 1944 – 1954
Viaggi a est, 1947 – 1948
Israele terra promessa, 1948 – 1950
Ritorno in Asia: una guerra che non è la sua, 1954

Il pubblico potrà anche ammirare le pubblicazioni dei reportage di Robert Capa sulla stampa francese e americana dell’epoca e gli estratti di suoi testi sulla fotografia, che tra gli altri toccano argomenti come la sfocatura, la distanza, il mestiere, l’impegno politico, la guerra.
Inoltre, saranno disponibili gli estratti di un film di Patrick Jeudy su Robert Capa in cui John G. Morris commenta con emozione documenti che mostrano Capa in azione sul campo e infine la registrazione sonora di un’intervista di Capa a Radio Canada.

08 Ottobre 2022 – 29 Gennaio 2023 – Rovigo, Palazzo Roverella

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ITALIA IN-ATTESA. 12 racconti fotografici

Silvia Camporesi – Spiaggia libera, Cesenatico

Tra cronaca di un recente passato e attualità, “Italia in-attesa. 12 racconti fotografici”, dal 15 ottobre all’8 gennaio a Palazzo da Mosto a Reggio Emilia, narra di un’Italia sospesa, interdetta, trasformata da un’occasione eccezionale e – auspicabilmente – irripetibile, il primo lockdown causato dal Covid: un tempo diverso dove anche lo spazio, l’architettura e l’ambiente diventano “altro” quando l’uomo non li abita. Un racconto che si sviluppa attraverso le visioni e la sensibilità di altrettanti grandi fotografi: Olivo Barbieri, Antonio Biasiucci, Silvia Camporesi, Mario Cresci, Paola De Pietri, Ilaria Ferretti, Guido Guidi, Andrea Jemolo, Francesco Jodice, Allegra Martin, Walter Niedermayr e George Tatge.
La mostra, a cura di Margherita Guccione e Carlo Birrozzi, è promossa da Ministero della Cultura, Direzione Generale Creatività Contemporanea, Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione e Fondazione Palazzo Magnani, in collaborazione con Fondazione Maxxi.
In uno scenario unico, silenzioso, quasi irreale, i racconti fotografici narrano storie di un mondo stra-ordinario, sono sequenze di visioni inattese e innaturali che mescolano luoghi del patrimonio culturale italiano e dello spazio intimo e mentale delle autrici e degli autori: paesaggi e piazze, orizzonti e spazi pubblici, opere d’arte e oggetti quotidiani. Lontane dagli stereotipi del Belpaese, queste immagini parlano di paesaggi spaesati che sposano la bellezza sublime con la percezione di una crisi profonda, dove alla natura rigogliosa che riempie progressivamente gli spazi urbani corrisponde il vuoto e l’assenza di vita umana. Sono racconti parziali, soggettivi, che ci introducono a nuovi punti di vista, modificando le consuete poetiche di narrazione dello spazio fisico.
Le artiste e gli artisti coinvolti sono riconosciuti interpreti della fotografia, di generazioni e attitudini diverse, che hanno sviluppato con la loro ricerca una vocazione all’ascolto dei luoghi e del patrimonio collettivo. Per questo motivo il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, tramite la Direzione generale Creatività Contemporanea, ha pensato di chiamarli a riflettere con un progetto incentrato sull’eccezionale condizione dell’Italia nei mesi di marzo-maggio 2020, allo scopo di realizzare, spaziando tra differenti linguaggi e modalità di espressione, un racconto corale e polifonico.
Olivo Barbieri, per questa sua indagine-racconto, sceglie la Camera degli Sposi, macchina visiva d’eccellenza per la sperimentazione innovativa della prospettiva, per condurre la sua riflessione sui meccanismi della percezione e sul sistema della rappresentazione. Guido Guidi, al contrario, si rivolge al paesaggio minimo della quotidianità: conferendo pari valore al monumentale e all‘ordinario, Guidi restituisce al nostro sguardo particolari trascurabili della realtà caricandoli di rinnovato senso e levità.
Una medesima attenzione al paesaggio d’affezione è testimoniata dalle fotografie di Silvia Camporesi, che sceglie di ritrarre i luoghi della sua infanzia: liberati dallo scorrere della vita quotidiana, questi sembrano svelare ora la propria essenza. In un’atmosfera metafisica e straniante sono immersi anche i centri storici umbri ritratti da George Tatge, in cui il silenzio e il senso di vuoto sembrano riflettere lo stato d’animo dell’autore. Sul tema dell’assenza si concentra anche il lavoro di Allegra Martin: luoghi emblematici della cultura milanese, privati improvvisamente dell’azione e dello sguardo del pubblico che abitualmente conferisce loro vita, diventano metafora di una sospensione non solo temporale, ma anche di senso.
A questi progetti fanno da contraltare lavori che non guardano allo spazio esterno, ma a quello interno, spostando la riflessione su un piano astratto e concettuale.
È il caso di Francesco Jodice, che trasferisce il viaggio fisico su un discorso mentale e virtuale, compiendo un reportage attraverso quattro architetture simbolo della cultura italiana storica e contemporanea mediante immagini satellitari, e di Mario Cresci, che rivolge lo sguardo ora al micro-mondo costituito dalla sua casa di Bergamo, ora a quello esterno, rappresentato da una città deserta: il tempo del lockdown forzato offre spazio per giochi della mente, alla ricerca di nuove analogie tra gli oggetti e inconsuete esplorazioni. Le immagini visionarie di Antonio Biasiucci, poi, trasferiscono la riflessione su un piano totalmente simbolico: i ceppi di alberi, ripresi in modo da richiamare forme antropomorfe, sono soggetti archetipici che rimandano alla circolarità del tempo.
La condizione astratta del paesaggio è al centro anche del lavoro di Paola De Pietri: i paesaggi onirici di Rimini e Venezia si echeggiano da due differenti latitudini dell’Adriatico. Le immagini surreali dei paesaggi montani tanto cari a Walter Niedermayr, solitamente popolati e logorati dal turismo di massa, appaiono qui quasi spettrali nell’assenza di presenza umana.
I siti simbolo della città eterna insolitamente deserti, ripresi da Andrea Jemolo, si confrontano con alcuni centri storici danneggiati dal terremoto che ha colpito il Centro Italia del 2016, ritratti da Ilaria Ferretti: luoghi in cui le tracce della vita e del tempo sono ormai affidate solo al movimento delle ombre e alla rassicurante persistenza della natura.

La mostra costituisce così, grazie alla varietà delle interpretazioni, un’analisi visiva dell’impatto antropico sul paesaggio, sulle relazioni tra cultura e natura, architettura e ambiente in alcuni luoghi (sia iconici che non) italiani. L’area del Colosseo rimane la stessa con o senza persone che la vivono? Città turistiche come Rimini e Venezia, che sensazioni restituiscono quando sono completamente deserte? A quasi due anni di distanza, come possiamo “rileggere” quelle immagini? Dovevamo, si diceva, utilizzare quell’esperienza straordinaria e terribile per imparare qualcosa: è stato così?
Queste domande saranno al centro di dialoghi tra fotografi, architetti, urbanisti e paesaggisti lungo un calendario di incontri aperti al pubblico durante il periodo espositivo.

15 Ottobre 2022 – 08 Gennaio 2023 – Reggio Emilia, Palazzo da Mosto

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Robert Doisneau

Robert Doisneau, Le baiser de l’Hôtel de Ville, Paris 1950 © Robert Doisneau

Dall’11 ottobre 2022 CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia propone la grande antologica dedicata al maestro francese Robert Doisneau, uno dei più importanti fotografi del Novecento, attraverso oltre 130 immagini provenienti della collezione dell’Atelier Robert Doisneau.

A partire da una delle fotografie più conosciute al mondo – lo scatto del bacio di una giovane coppia indifferente alla folla dei passanti e al traffico della place de l’Hôtel de Ville di Parigi – la mostra esplora l’opera di un celebre fotografo come Doisneau che, insieme a Henri Cartier-Bresson, è considerato uno dei padri fondatori della fotografia umanista francese e del fotogiornalismo di strada. Con il suo obbiettivo, espressione di uno sguardo empatico e ironico, Doisneau ha catturato la vita quotidiana degli uomini, delle donne, dei bambini di Parigi e la sua banlieue, con tutte le emozioni dei gesti e delle situazioni in cui sono impegnati. Le immagini in mostra ne testimoniano lo stile in grado di mescolare curiosità e fantasia, ma anche una libertà d’espressione che fa proprie le logiche del surrealismo reinterpretandole in chiave ironica.

La mostra, curata da Gabriel Bauret, è promossa da CAMERA, Silvana Editoriale e Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.

11 ottobre 2022 – 14 febbraio 2023 – Camera – Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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Civilization: vivere, sopravvivere, Buon Vivere

Larry Sultan, Sharon Wild, from the series The Valley, 2001 © Larry Sultan, courtesy Estate of Larry Sultan 

Civilization: vivere, sopravvivereBuon Vivere è un grande progetto artistico e culturale internazionale che riunisce circa trecento immagini di oltre centotrenta fotografi provenienti da cinque continenti sui temi del presente e del futuro del mondo contemporaneo, sempre più caratterizzato dai fenomeni della interconnessione e della globalizzazione.

Obiettivo fondamentale di Civilization è quello di riflettere e far riflettere sulle conseguenze del modo di vivere della società contemporanea, presentando immagini sempre originali e spettacolari del modo in cui produciamo e consumiamo, lavoriamo e giochiamo, viaggiamo e abitiamo, pensiamo e creiamo, collaboriamo e ci scontriamo, delle grandi conquiste tecnologiche, degli interventi dell’uomo sull’ambiente, dei grandi fenomeni di aggregazione e dei movimenti fisici ed immateriali che caratterizzano il mondo in cui viviamo.

La mostra è articolata in otto sezioni dedicate ad altrettanti temi, che permettono di affrontare una panoramica esaustiva e trasversale sulla contemporaneità e che nella formulazione proposta a Forlì si arricchisce di un focus inedito, che rende unica l’esposizione e ne completa l’analisi con un affondo che vede protagonisti i migliori nomi della fotografia contemporanea nazionale.  

Accanto a esponenti cardine della fotografia internazionale come Edward Burtynsky, Candida Höfer, Richard Mosse, Alec Soth, Larry Sultan, Thomas Struth, Penelope Umbrico e altri, merita infatti di essere sottolineata la notevole presenza di autori italiani – come Olivo Barbieri, Michele Borzoni, Gabriele Galimberti, Walter Niedermayr, Carlo Valsecchi, Massimo Vitali, Luca Zanier, Francesco Zizola – segno della progressiva crescita di reputazione della nostra fotografia.

A cura di William A. Ewing e Holly Roussell con Justine Chapalay, in collaborazione con Walter Guadagnini, Monica Fantini e Fabio Lazzari per l’edizione italiana.

Dal 17 settembre all’8 gennaio 2023 – Musei di San Domenico – Forlì

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Kristine Potter – Manifest

La delicatezza con cui Potter fotografa la figura umana immersa nel paesaggio ci consente di riflettere su quanto la natura selvaggia abbia permeato la percezione del maschile nel west americano.–  Ron Jude

icamera presenta Manifest di Kristine Potter. Le immagini, scattate tra il 2012 e il 2015 lungo il versante occidentale del Colorado, vengono esposte sulle pareti della galleria, in una selezione di stampe in bianco e nero raffinate e tecnicamente perfette. Le immagini ci portano nei panorami sociali dello sconfinato West americano, destrutturando, riformulando e ricodificando i significati e le associazioni convenzionali. I cliché della mascolinità si dissolvono in un riflesso idilliaco. Gli audaci archetipi maschili dell’ovest selvaggio accolgono vulnerabilità e incertezza.

Potter rivolge l’attenzione a come i soggetti siano allo stesso tempo incarnazione e negazione degli archetipi e dei cliché culturali, e a come la fotografia li abbia rafforzati e distorti nell’immaginario comune. Nei ritratti gli individui sono plasmati dal peso della storia e della cultura. Altre volte è lo stesso paesaggio a diventare protagonista – non semplice sfondo o palcoscenico, ma vero e proprio archetipo di sé stesso, numinoso e autonomo. 

Manifest è parte della mostra ‘But Still, It Turns’, curata da Paul Graham, esposta all’ICP di New York nel 2021 e ai Rencontres d’Arles nel 2022 (il catalogo della mostra è stato pubblicato da MACK nel 2021).

Manifest è anche la splendida prima monografia di Kristine Potter, pubblicata da TBW Books nel 2018 e oggi fuori catalogo. Un limitatissimo numero di copie sarà disponibile da Micamera in occasione della mostra.

La mostra di Micamera è stata prodotta da Rencontres d’Arles.

8 – 29 ottobre 2022 – MICamera – Milano

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RI-SCATTI. PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE

IPM C. Beccaria, 2021
IPM C. Beccaria, 2021

Anche per il 2022 torna RI-SCATTI, il progetto ideato e organizzato dal PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano e da RISCATTI Onlus, l’associazione di volontariato che dal 2014 crea eventi ed iniziative di riscatto sociale attraverso la fotografia, e promosso dal Comune di Milano con il sostegno di Tod’s.
 
L’ottava edizione è realizzata in collaborazione con Politecnico di Milano e con il Provveditorato Regionale Lombardia del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, e si propone di raccontare le complessità, le difficoltà, ma anche le opportunità, della vita negli istituti di reclusione, al di là delle semplificazioni e delle stigmatizzazioni, fornendo ai partecipanti uno strumento formativo e generando anche un confronto costruttivo e una sinergia concreta tra l’amministrazione cittadina, quella penitenziaria e le istituzioni culturali milanesi. I protagonisti di questa edizione che stanno frequentando il corso di fotografia e che stanno scattando le foto in carcere – avendo, come assoluta novità, a loro disposizione in determinati orari della giornata delle macchine fornite dall’associazione – sono gli stessi detenuti e gli agenti penitenziari dei quattro istituti milanesi: Casa di Reclusione di Opera, Casa di Reclusione di Bollate, Casa Circondariale F. Di Cataldo, IPM C. Beccaria. I lavori saranno poi selezionati ed esposti in una mostra al PAC di Milano che come ogni anno sarà ad ingresso gratuito. Tutte le foto saranno in vendita e l’intero ricavato andrà a supportare e a finanziare progetti e attività volti al miglioramento della qualità della vita nelle carceri. Tali interventi saranno gestiti e coordinati dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano che, insieme al Dipartimento di Design, da molti anni svolge ricerche di tipo partecipativo negli spazi detentivi.

Dal 07 Ottobre 2022 al 06 Novembre 2022 – PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea – MILANO

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LISETTA CARMI. SUONARE FORTE

Lisetta Carmi, Il porto, Lo scarico dei fosfati, Genova, 1964 © Lisetta Carmi - Martini & Ronchetti
Lisetta Carmi, Il porto, Lo scarico dei fosfati, Genova, 1964 © Lisetta Carmi – Martini & Ronchetti

Alle Gallerie d’Italia di Torino è in programma dal 22 settembre 2022 al 22 gennaio 2023 la grande mostra monografica dedicata a Lisetta Carmi, una delle personalità più interessanti del panorama fotografico italiano, recentemente scomparsa all’età di 98 anni. La mostra “Lisetta Carmi. Suonare Forte” è realizzata con la curatela di Giovanni Battista Martini, curatore dell’archivio della fotografa, con un prezioso contributo video creato per l’occasione da Alice Rohrwacher.

Con il progetto “La Grande Fotografia Italiana” affidato a Roberto Koch, editore, curatore, fotografo e organizzatore di eventi culturali intorno alla fotografia, le Gallerie d’Italia – Torino si propongono di dare spazio ai maestri della fotografia italiana attraverso una serie di mostre dedicate: “Lisetta Carmi. Suonare Forte” inaugura il primo di questi appuntamenti volti a celebrare la grande fotografia italiana del Novecento. Il titolo della mostra dedicata a Lisetta Carmi evoca la sua formazione di pianista ma anche il coraggio di cambiare direzione, di intraprendere percorsi diversi, per seguire la sua ostinata volontà di dare voce agli ultimi.

In mostra saranno presenti oltre 150 foto scattate tra gli anni Sessanta e Settanta, incluse alcune tra le opere più salienti del suo lavoro: dallo straordinario reportage sul mondo dei travestiti, unico nel suo genere e diventato negli anni Settanta un libro di culto, con la sua declinazione del tutto inedita a colori, alla documentazione del parto, oltre ai lavori fotografici dedicati al mondo del lavoro in Italia e all’estero e ai ritratti di Ezra Pound.

Per evidenziarne l’approccio progettuale, la mostra è divisa in otto sezioni. In due di queste, in cui la musica gioca un ruolo fondamentale, le moderne tecnologie di diffusione sonora direzionale permettono l’ascolto di brani musicali di Luigi Nono e Luigi Dallapiccola. Nel percorso espositivo, inoltre, sarà la stessa fotografa a raccontare alcuni suoi lavori attraverso dei brevi video.

Ad accompagnare la mostra anche un public program che approfondisce, amplifica e sviluppa i temi trattati dall’esposizione temporanea. Gli incontri #INSIDE, il mercoledì, alle ore 18.30, con accesso gratuito al pubblico, vedranno la partecipazione di esperti e professionisti impegnati in una serie di eventi, per condividere riflessioni e spunti in occasione delle giornate di apertura serale del museo.

Dal 22 Settembre 2022 al 22 Gennaio 2023 – Gallerie d’Italia di Torino

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WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR. 57A EDIZIONE

© 2022 Jonny Armstrong Photography
© 2022 Jonny Armstrong Photography

Anche quest’anno arriva a Milano Il Wildlife Photographer of the Year, la mostra di fotografie naturalistiche più prestigiosa al mondo, ospitata negli spazi di Palazzo Francesco Turati in via Meravigli 7 (zona Cordusio) dal 30 settembre al 31 dicembre 2022.  Decima edizione nel capoluogo lombardo, organizzata dall’Associazione culturale Radicediunopercento, con il patrocinio del Comune di Milano.

Amatissima dal pubblico, l’esposizione presenta le 100 immagini premiate alla 57ª edizione del concorso di fotografia indetto dal Natural History Museum di Londra che ha visto in competizione quasi 50.000 scatti provenienti da 96 paesi, realizzati da fotografi professionisti e dilettanti.

Le foto finaliste e vincitrici sono state selezionate alla fine dello scorso anno da una giuria internazionale di esperti, in base a creatività, valore artistico e complessità tecnica, e ritraggono animali e specie in estinzione, habitat sconosciuti, comportamenti curiosi e paesaggi da tutto il pianeta; la natura meravigliosa e fragile, oggi più che mai da difendere e preservare.

Vincitore del prestigioso titolo Wildlife Photographer of the Year 2021 è il biologo francese e fotografo subacqueo Laurent Ballesta con Creation. Lo scatto ritrae un branco di cernie che nuotano in una nuvola lattiginosa nel momento della deposizione delle uova a Fakarava, Polinesia francese: momento unico, che si verifica solo una volta all’anno, durante la luna piena di luglio, e sempre più raro dato che la specie è in via di estinzione minacciata dalla pesca intensiva. La laguna polinesiana è uno dei pochi posti in cui questi pesci riescono a vivere ancora liberi, perché è una riserva e, per fotografarli, Ballesta ha fatto appostamenti per 5 anni insieme a tutto il suo team.

Il giovane indiano Vidyun R. Hebbar è il vincitore del Young Wildlife Photographer of the Year 2021 con la foto Dome home che raffigura un ragno all’interno di una fessura in un muro.

Tra i vincitori di categoria troviamo l’aostano Stefano Unterthiner, con lo scatto Head to head (Comportamento dei mammiferi). Altri quattro fotografi italiani hanno ricevuto una menzione speciale: i giovani Mattia Terreo, con Little grebe art (Under 10 anni), e Giacomo Redaelli, con Ibex at ease (15-17 anni)), oltre a Georg Kantioler, con Spot of bother (Urban Wildlife) e Bruno D’Amicis, con Endangered trinkets (Fotogiornalismo).

Marco Colombo, noto naturalista e fotografo pluripremiato al Wildlife, sarà a disposizione per visite guidate alla mostra a Palazzo Francesco Turati, ogni venerdì (tre turni a partire dalle 18:30 su prenotazione – acquistabili anche on demand). Inoltre, tre giovedì saranno dedicati a speciali visite guidate tematiche con esperti fotografi naturalisti: il 10 novembre (h 19:30 e 20:30) Luca Eberle racconterà i Predatori e il 17 novembre, gli Uccelli, l’8 e il 22 dicembre (h 19:30) Francesco Tomasinelli approfondirà il Mimetismo.

Il Wildlife Photographer of the Year a Milano è una mostra ma anche un grande evento dedicato alla natura. L’Associazione culturale Radicediunopercento come sempre propone serate gratuite di approfondimento e presentazione di libri con rinomati fotografi di natura e divulgatori scientifici che si terranno di sabato alla Casa della Cultura, h 21 via Borgogna 3, Milano (zona San Babila). Saranno ospiti il 22 ottobre Bruno D’Amicis, che ha ricevuto una menzione speciale nella sezione Premio storia fotogiornalistica al Wildlife 57 (foto in mostra), con l’incontro Polimitas, le chiocciole più belle del Mondo, il 19 novembre Ugo Mellone, fotografo naturalista già premiato al Wildlife, con Il deserto del Sahara: biodiversità al limite, il 3 dicembre i noti fotografi Francesco Tomasinelli e Marco Colombo che insieme a Chiara Borelli di Focus Wild parleranno di Evoluzione e animali incredibili, e il 17 dicembre Alex Mustard, celeberrimo fotografo subacqueo inglese che parlerà di Fauna selvatica subacquea.

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MARA PEPE, Astrazioni ravvicinate

La galleria Studio Masiero è lieta di ospitare nell’ambito del Photofestival 2022, la personale Astrazioni ravvicinate di Mara Pepe, artista conosciuta per le sue minimaliste e totemiche sculture di plexiglass, al cui interno si nascondevano minimi elementi segnati dall’informe. Mara Pepe torna a riflettere sulla materia delle cose attraverso una fotografia che s’avvicina alla realtà fino a trasformarla in qualcosa di astratto e enigmatico. Come un’anomala street photographer, percorre la città attenta a ciò che abitualmente non vediamo: segni, linee e macchie sui muri, ombre di auto e di edifici che oscurano il selciato, bordi di marciapiedi… fino a renderli simili a forme a sé stanti, a realtà parallele cariche di una propria vita misteriosa.  Come impronte del tempo capaci di accogliere le genealogie e i linguaggi vitali e oscuri che emergono osservando da vicino la realtà urbana, le fotografie di Mara Pepe giocano sull’ambiguità delle ombre, sui riflessi di luce che si proiettano sul suolo o sulle pareti. Le sue fotografie non trascurano inquadrature limpide, geometriche e strutturate; ma al contempo – in alcune serie – fanno predominare strati materici intrisi di oscurità, fino a far apparire un nero quasi assoluto.  Il nero come il colore di una memoria che non racconta mai la propria storia, ma presenta il suo mistero anche nella nostra quotidianità.  Ogni sua opera, quasi volesse creare un concerto per immagini fatto di risonanze e corrispondenze, è composta da un insieme coerente di fotografie di varie dimensioni accostate fra loro.  Le sue immagini astratte e materiche, disorientanti e affascinanti, riprendono gli elementi essenziali che hanno caratterizzato il suo percorso artistico basato sulla pittura e la scultura, tanto che, in alcuni casi, le abbina a quadri astratti e materici creando un dialogo tra superfici diverse, oppure le trasforma in piccole fotografie-sculture.

29 settembre – 28 ottobre 2022 – Studio Masiero, Milano

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Tutte le mostre di fotografia da non perdere a Marzo

Ciao,

rieccoci con il nostro appuntamento fisso con le mostre di fotografia.

Di seguito la nostra selezione. Se desiderate, segnalateci pure qualche mostra che magari ci è sfuggita.

Anna

CAPOLAVORI DELLA FOTOGRAFIA MODERNA 1900-1940: LA COLLEZIONE THOMAS WALTHER DEL MUSEUM OF MODERN ART, NEW YORK

CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia presenta, per la prima volta in Italia, la mostra “Capolavori della fotografia moderna 1900-1940. La collezione Thomas Walther del Museum of Modern Art, New York”: a Torino dal 3 marzo al 26 giugno 2022 una straordinaria selezione di oltre 230 opere fotografiche della prima metà del XX secolo, capolavori assoluti della storia della fotografia realizzati dai grandi maestri dell’obiettivo, le cui immagini appaiono innovative ancora oggi. Come i contemporanei Matisse, Picasso e Duchamp hanno saputo rivoluzionare linguaggi delle arti plastiche, così gli autori in mostra, una nutrita selezione di fotografi famosi e altri nomi meno noti, hanno ridefinito i canoni della fotografia facendole assumere un ruolo assolutamente centrale nello sviluppo delle avanguardie di inizio secolo. 

Un fermento creativo che prende avvio in Europa per arrivare infine negli Stati Uniti, che accolgono in misura sempre maggiore gli intellettuali in fuga dalla guerra, arrivando a diventare negli anni Quaranta il principale centro di produzione artistica mondiale.
Accanto ad immagini iconiche di fotografi americani come Alfred Stieglitz, Edward Steichen, Paul Strand, Walker Evans o Edward Weston e europei come Karl Blossfeldt, Brassaï, Henri Cartier-Bresson, André Kertész e August Sander, la collezione Walther valorizza il ruolo centrale delle donne nella prima fotografia moderna, con opere di Berenice Abbott, Marianne Breslauer, Claude Cahun, Lore Feininger, Florence Henri, Irene Hoffmann, Lotte Jocobi, Lee Miller, Tina Modotti, Germaine Krull, Lucia Moholy, Leni Riefenstahl e molte altre.

Oltre ai capolavori della fotografia del Bauhaus (László Moholy-Nagy, Iwao Yamawaki), del costruttivismo (El Lissitzky, Aleksandr Rodčenko, Gustav Klutsis), del surrealismo (Man Ray, Maurice Tabard, Raoul Ubac) troviamo anche le sperimentazioni futuriste di Anton Giulio Bragaglia e le composizioni astratte di Luigi Veronesi, due fra gli italiani presenti in mostra insieme a Wanda Wulz e Tina Modotti.

A riprova della ricchezza di poetiche e pensieri, all’interno della collezione Thomas Walther del Museum of Modern Art, New York si trovano fotografie realizzate grazie alle nuove possibilità offerte dagli sviluppi tecnici di questi anni, ma anche una molteplicità di sperimentazioni linguistiche realizzate attraverso diverse tecniche: collages, doppie esposizioni, immagini cameraless e fotomontaggi che raccontano una nuova libertà di intendere e usare la fotografia. 

È la particolarità di questi decenni a spingere il collezionista Thomas Walther a raccogliere, tra il 1977 e il 1997, le migliori opere fotografiche prodotte in questo periodo riunendole in una collezione unica al mondo, acquisita dal MoMA nel 2001 e nel 2017.

La mostra nasce da una preziosa collaborazione fra il Jeu de Paume di Parigi, il MASI di Lugano e CAMERA, dove è possibile vedere per l’ultima volta in Europa questi grandi capolavori della fotografia prima che tornino negli Stati Uniti. L’importanza storica, il valore artistico e la rarità dei materiali esposti rendono quindi questa mostra un appuntamento imperdibile.
Accompagna l’esposizione il catalogo edito da Silvana Editoriale in associazione con the Museum of Modern Art, New York, che include un saggio critico di Sarah Hermanson Meister, brevi introduzioni alle sezioni della mostra e riproduzioni di opere presentate. 

Mostra organizzata dal Museum of Modern Art, New York.
A cura di Sarah Hermanson Meister, curatrice del Dipartimento di Fotografia, The Museum of Modern Art, New York e Quentin Bajac, direttore del Jeu de Paume, Parigi con Jane Pierce, assistente alla ricerca, Carl Jacobs Foundation, The Museum of Modern Art, New York.
Coordinamento e sviluppo del progetto a CAMERA: Monica Poggi e Carlo Spinelli

Dal 03 Marzo 2022 al 26 Giugno 2022 – CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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ROBERT DOISNEAU

© Robert DOISNEAU/GAMMA RAPHO | Robert Doisneau, Vent rue Royale, Paris, 1950

Al Centro Saint-Bénin di Aosta, per iniziativa dell’Assessorato Beni Culturali della Regione Autonoma Valle d’Aosta, dal 5 marzo al 22 maggio 2022 sarà possibile visitare l’esposizione Robert Doisneau, una grande retrospettiva sul celebre fotografo francese.

“Le selezionatissime immagini che il curatore Gabriel Bauret ha scelto per questa mostra – rivela la Dirigente delle Attività espositive Daria Jorioz – provengono dall’Atelier Doisneau di Montrouge, nel sud della capitale francese. Sono immagini empatiche che avvicinano l’osservatore, lo rendono partecipe e non solo spettatore. Robert Doisneau incarna l’immagine del fotografo umanista immerso nella vita della sua città: ne coglie il respiro, le emozioni, le trasformazioni sociali, ne narra la bellezza, le contraddizioni, le storie minime che ne compongono la storia collettiva. Il fotografo francese cresce insieme alla sua città, la osserva prendendo appunti visivi, la racconta cominciando dalla strada, si specchia nei giochi dei bambini che inventano il loro mondo, narra la condizione a volte ruvida degli adulti. Lo fa sempre con delicatezza e garbo, talvolta con malinconia, spesso con un’ironia sottilmente dissimulata oppure giocosamente evidente.”

Tra le opere in mostra non poteva mancare Le Baiser de l’Hôtel de Ville, Paris, 1950, immagine celebre e iconica, ritenuta tra le più riprodotte al mondo. In questo suo celebre scatto Doisneau ha saputo catturare un momento magico e un’emozione che sono universali.

A Montrouge, Doisneau ha sviluppato e archiviato le sue immagini per oltre cinquant’anni, ed è lì che si è spento nel 1994, lasciando un’eredità di quasi 450.000 negativi. Dallo stesso atelier, oggi le sue due figlie contribuiscono alla diffusione e alla divulgazione della sua opera, accogliendo le continue richieste di musei, festival e case editrici.

Nato nel 1912 a Gentilly, una città nella periferia sud di Parigi, le prime tappe del percorso di Robert Doisneau sono segnate da una formazione nel campo della litografia, attività che abbandonerà rapidamente in favore di un apprendistato presso lo studio di André Vigneau, un fotografo che gli fornisce una finestra sul mondo dell’arte. Seguirà, per quattro anni, un’intensa collaborazione con il reparto pubblicitario della Renault.

Una volta libero da questo impegno, Robert Doisneau approda al tanto ambito status di fotografo indipendente, ma il suo slancio viene spezzato dalla guerra, che tuttavia non gli impedirà di continuare a fotografare. Subito dopo la Liberazione della capitale, di cui è testimone, comincia un periodo molto intenso di commissioni per la pubblicità (e in particolare per l’industria automobilistica), la stampa (tra cui le riviste “Le Point” e in seguito “Vogue”) e l’editoria.

In parallelo, porta avanti i suoi progetti personali, che saranno oggetto di numerose pubblicazioni, a cominciare dall’opera La Banlieue de Paris, uscita nel 1949 e creata in collaborazione con lo scrittore Blaise Cendrars.

La sua traiettoria si incrocia anche con quelle di Jacques Prévert e Robert Giraud, la cui esperienza e amicizia nutrono la sua fotografia, nonché con quella dell’attore e violoncellista Maurice Baquet, con il quale mette in scena un gran numero di immagini. Dal 1946 le sue fotografie vengono distribuite dall’agenzia Rapho. Qui conosce in particolare Sabine Weiss, Willy Ronis e, successivamente, Édouard Boubat, che insieme a lui formeranno una corrente estetica spesso definita “umanista”.

Nel 1983 gli viene assegnato il “Grand Prix national de la photographie”, a consacrazione di un’opera estremamente ricca e densa. Tale consacrazione passa attraverso le numerosissime esposizioni, in Francia come all’estero, le incalcolabili opere che rivisitano la sua fotografia dalle prospettive più varie e i documentari a lui dedicati. E ad Aosta il pubblico italiano avrà il piacere di avvicinarsi al grande fotografo attraverso ben 128 delle sue più belle immagini.

5 marzo – 22 maggio 2022 – Aosta, Centro Saint-Bénin

THE MAST COLLECTION – Un alfabeto visivo dell’industria, del lavoro e della tecnologia

© Sebastiao Salgado

È la prima grande esposizione di opere della Collezione della Fondazione: oltre 500 immagini tra fotografie, album, video di 200 grandi fotografi italiani e internazionali e artisti anonimi.

La Collezione della Fondazione MAST, unico centro di riferimento al mondo di fotografia dell’industria e del lavoro, conta più di 6000 immagini e video di celebri artisti e maestri dell’obiettivo, oltre ad una vasta selezione di album fotografici di autori sconosciuti.

Nei primi anni 2000 la Fondazione MAST ha creato questo spazio appositamente dedicato alla fotografia dell’industria e del lavoro con l’acquisizione di immagini da case d’asta, collezioni private, gallerie d’arte, fotografi ed artisti. Il patrimonio della Fondazione, che già conteneva un fondo che raccoglieva filmati, negativi su vetro e su pellicola, fotografie, album, cataloghi che negli stabilimenti di Coesia venivano prodotti fin dai primi del ‘900, si è così arricchito ed andato al di là dei parametri di materiale promozionale e documentaristico delle imprese del Gruppo industriale. La raccolta abbraccia opere del XIX secolo e dell’inizio del XX secolo con un processo di selezione valoriale e un accurato approccio metodologico a cura di Urs Stahel.

The MAST Collection – A Visual Alphabet of lndustry, Work and Technology”, curata da Urs Stahel, è la prima esposizione di opere selezionate dalla collezione della Fondazione: oltre 500 immagini tra fotografie, album, video di 200 grandi fotografi italiani e internazionali e artisti anonimi, che occupano tutte le aree espositive del MAST. Immagini iconiche di autori famosi da tutto il mondo, fotografi meno noti o sconosciuti, artisti finalisti del MAST Photography Grant on lndustry and Work, che testimoniano visivamente la storia del mondo industriale e del lavoro.

Tra gli artisti in mostra: Paola Agosti, Richard Avedon, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Margaret Bourke-White, Henri Cartier-Bresson, Thomas Demand, Robert Doisneau, Walker Evans, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Mimmo Jodice, André Kertesz, Josef Koudelka, Dorotohea Lange, Erich Lessing, Herbert List, David Lynch, Don McCullin, Nino Migliori, Tina Modotti, Ugo Mulas, Vik Muniz, Walter Niedermayr, Helga Paris, Thomas Ruff, Sebastiao Salgado, August Sanders, W. Eugene Smith, Edward Steichen, Thomas Struth, Carlo Valsecchi, Edward Weston.

La mostra, proprio per la sua complessità, è strutturata in 53 capitoli dedicata ad altrettanti concetti illustrati nelle opere rappresentate. La forma espositiva è quella di un alfabeto che si snoda sulle pareti dei tre spazi espositivi (PhotoGallery, Foyer e Livello O) e che permette di mettere in rilievo un sistema concettuale che dalla A di Abandoned e Architecture arriva fino alla W di Waste, Water, Wealth.

“L’alfabeto nasce per mettere insieme incroci tra lo sguardo lontano e quello vicino, testi e momenti dello scatto, portando I’attenzione all’interno delle opere – spiega il curatore, Urs Stahel -. Lo stesso accade con le immagini e i fotografi coinvolti.

Questi 53 capitoli rappresentano altrettante isole tematiche nelle quali convivono vecchi e giovani, ricchi e poveri, sani e malati, aree industriali o villaggi operai. Costituiscono il punto di incontro delle percezioni, degli atteggiamenti e dei progetti più disparati. La fotografia documentaria incontra l’arte concettuale, gli antichi processi di sviluppo e di stampa su diverse tipologie di carta fotografica, come le stampe all’albumina, si confrontano con le ultime novità in fatto di stampe digitali e inkjet; le immagini dominate dal bianco e nero più profondo si affiancano a rappresentazioni visive dai colori vivaci. I paesaggi cupi caratteristici dell’industria pesante contrastano con gli scintillanti impianti high-tech, il duro lavoro manuale e la maestria artigianale trovano il loro contrappunto negli universi digitali, nell’elaborazione automatizzata dei dati. Alle manifestazioni di protesta contro il mercato e il crac finanziario si affiancano le testimonianze visive del fenomeno migratorio e del lavoro d’ufficio”.

Sul piano della scansione cronologica solo il XIX secolo è stato affrontato separatamente in una sezione dedicata alle fasi iniziali dell’industrializzazione e della storia della fotografia. Il filo conduttore è spesso costellato dai numerosi ritratti di lavoratori, dirigenti, disoccupati, persone in cerca di lavoro e migranti. “Il parallelismo tra industria, mezzo fotografico e modernità – prosegue Urs Stahel – produce a tratti un effetto che può disorientare. La fotografia è figlia dell’industrializzazione e al tempo stesso ne rappresenta il documento visivo più incisivo, fondendo in sé memoria e commento”.

La mostra documenta inoltre il progresso tecnologico e lo sforzo analogico sia del settore industriale sia della fotografia, rappresentato oggi dai dispositivi digitali ultra leggeri, in perenne connessione, capaci di documentare, stampare e condividere il mondo in immagini digitali e stampe 3D. Dall’industria, dalla fotografia e dalla modernità si passa all’alta tecnologia, alle reti generative delle immagini e alla post-post­ modernità, ovvero a una sorta di contemporaneità 4.0. Dalla semplice copia della realtà alle immagini generate dall’intelligenza artificiale.

La mostra “The MAST Collection – A Visual Alphabet of lndustry, Work and Technology” condensa gli ultimi 200 anni di storia ricchi, folli, intensi, esplosivi in più di 500 opere che raccontano della nostra quotidianità.

Dal 10 febbraio al 22 maggio 2022 – MAST Bologna

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Henri-Cartier Bresson – Cina 1948-49 | 1958

La mostra è stata realizzata grazie alla collaborazione della Fondazione Henri Cartier-Bresson e riunisce un eccezionale corpus di fotografie e documenti di archivio del fotoreporter francese: oltre 100 stampe originali insieme a pubblicazioni di riviste d’epoca, documenti e lettere provenienti dalla collezione della Fondazione HCB.

Un excursus senza precedenti che racconta due momenti-chiave nella storia della Cina: la caduta del Kuomintang e l’istituzione del regime comunista (1948-1949) e il “Grande balzo in avanti” di Mao Zedong (1958).
Un momento importante nella storia del fotogiornalismo mondiale, vissuto attraverso il personale approccio del maestro Cartier-Bresson, il quale per primo evidenzia – attraverso l’occhio del suo obiettivo – temi importanti del cambiamento nella storia contemporanea cinese, riuscendo a presentare al mondo occidentale anche aspetti tenuti nascosti dalla propaganda di regime come lo sfruttamento delle risorse umane e l’onnipresenza delle milizie.

Il 25 novembre 1948 la rivista “Life” commissiona a Henri Cartier-Bresson un reportage sugli “ultimi giorni di Pechino” prima dell’arrivo delle truppe di Mao. Il soggiorno, previsto di due settimane, durerà dieci mesi, principalmente nella zona di Shanghai.
Cartier-Bresson documenterà la caduta di Nanchino, retta dal Kuomintang, e si troverà poi costretto a rimanere per quattro mesi a Shanghai, controllata dal Partito Comunista, per lasciare infine il Paese pochi giorni prima della proclamazione della Repubblica Popolare Cinese (1° ottobre 1949).

Uno stile unico in grado di cogliere l’immediatezza e la veridicità dell’«Istante decisivo». In questa prospettiva l’uso del bianco e nero nelle sue fotografie gli permette di evidenziare la forma e la sostanza della realtà. Ogni suo scatto è così in grado di cogliere la contemporaneità delle cose e della vita.

18 febbraio 2022 – 3 luglio 2022 – MUDEC Milano

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Cortona On The Move AlUla

AlUla ospita Cortona On The Move Alula, prima edizione della manifestazione dedicata alla fotografia (9 febbraio-31 marzo 2022) in cui saranno esposte opere di 19 artisti provenienti da tutto il mondo, compresi fotografi dell’Arabia Saudita.

Cortona On The Move Alula, parte di AlUla Arts Festival nasce dalla collaborazione tra The Royal Commission for AlUla e Cortona On The Move – festival internazionale di fotografia con lo scopo di creare un’esperienza unica, site-responsive, nel villaggio AlJadidah di AlUla.

La prima edizione di Cortona On The Move Alula si intitola “Past Forward – Time, Life and Longing” dove le opere dei principali fotografi locali, regionali e internazionali saranno esposte nei cortili e lungo i muri, creando un emozionante viaggio di narrazione visiva.

Past Forward – Time, Life and Longing è co-curata da Arianna Rinaldo, curatrice e direttore artistico di Cortona On The Move dal 2012 al 2021, e dall’artista visiva e curatrice saudita Kholood AlBakr. Al centro del programma di mostre fotografiche è la dimensione del tempo che contraddistingue sia AlUla sia Cortona, luoghi in cui si respira l’eredità culturale della loro storia: AlUla nei meravigliosi deserti nel nord-ovest dell’Arabia Saudita e Cortona nel cuore storico dell’Italia.

Le mostre in programma:

Latif Al-Ani (Iraq) – A Tribute

Mohammed Al-Faraj (Arabia Saudita) – Guardians of the Oasis

Moath Al-Ofi (Arabia Saudita) – Thad (The Collection) 2019

Adel Al-Quraishi (Arabia Saudita) – Vast Land, Vast Faces

Ali Al-Shehabi (Bahrein) – Men of the Pearl

Alejandro Chaskielberg (Argentina) – Otsuchi Future Memories

Deanna Dikeman (USA) – Leaving and Waving

Osama Esid (Siria) – Ghost Camera

Stephanie Gengotti (Italia) – Circus Love

Tanya Habjouqa (Giordania) – Tomorrow There Will Be Apricots

Omar Imam (Siria) – Live, Love, Refugee

Amina Kadous (Egitto) – A Crack in the Memory of my Memory

M’hammed Kilito (Marocco) – Hooked to Paradise

Simon Norfolk (Nigeria) – Shroud

Catherine Panebianco (Canada) – No Memory Is Ever Alone

Aleksi Poutanen (Finlandia) – Fellow Creatures

Phillip Toledano (Regno Unito) – Maybe

Paolo Woods (Olanda) & Gabriele Galimberti (Italia) – Locked in Beauty

9 febbraio -31 marzo 2022 Cortona (AR)

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Le mostre della Biennale della Fotografia Femminile

BFF, la Biennale della Fotografia femminile, si svolgerà a Mantova dal 3 al 27 marzo 2022. Siamo già alla seconda edizione, la prima, nel 2020 è stata sacrificata alle piattaforme online per via del Covid. La manifestazione coincide con l’apertura di altri festival che animeranno il centro urbano: BFF s’inserisce in quest’insenatura culturale, sventolando il vessillo della parità di genere. Il tema è “Legacy” “eredità”, parola che, in inglese, si tinge di un ventaglio ampio di significati indicando il bagaglio di creazioni che riserviamo alle generazioni future,oltre alle condizioni di vita con le quali nasciamoe affrontiamo la realtà; il “lascito” comprende l’eredità ambientale.

Con la selezione delle fotografe si cerca di rappresentare uno spaccato internazionale. Daniella Zalcman è una fotografa vietnamita-americana, fondatrice di Women Photograph, archivio mondiale di fotografie. Signs of Your Identity è sulla memoria dei nativi americani che si sono ritrovati inseriti in maniera traumatica in una cultura non loro. Solmaz Daryani fotografa iraniana, si interroga sul cambiamento climatico in The Eyes of Earth (The Death of Lake Urmia): il fenomeno di prosciugamento del lago influisce sull’economia locale. Myriam Meloni è italiana di base a Barcellona, Fragile, sui giovani dipendenti dal crack a Buenos Aires è riconosciuto patrimonio culturale della Repubblica Argentina. Con Insane Security si sofferma sulla polizia argentina, sugli abusi di potere e sulla corruzione. Delphine Diallo è franco-senegalese; antropologia, mitologia, arti marziali sono alcune delle ramificazioni toccate dalle sue fotografie, con Highness crea una serie di nuovi archetipi, scatti intimi che esplorano l’iconografia legata alle divinità e le tradizioni ritrattistiche. Infine Lumina Colletive, formato da 8 fotografe australiane, guarda alla storia del continente e alla cultura aborigena, poi l’italiana Flavia Rossi e molte altre protagoniste provenienti da tutto il mondo.

3 – 27 Marzo 2022 Mantova

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MonFest 2022 Fotografia

Claudio Sabatino, Pompei 2016_Veduta del Foro

Prosegue il viaggio alla scoperta dei grandi artisti che parteciperanno alla prima edizione di MonFest 2022, la biennale internazionale di fotografia che si terrà a Casale Monferrato dal 25 marzo al 12 giugno prossimi.

Organizzato dal Comune di Casale Monferrato e curato dal direttore artistico Mariateresa Cerretelli, il MonFest vedrà al centro del progetto numerose mostre allestite nei luoghi più caratteristici e suggestivi della città.

Nei mesi scorsi si sono approfondite biografie ed esposizioni di Gabriele Basilico, Valentina Vannicola, Francesco Negri, Silvio Canini, Raoul Iacometti, Ilenio Celoria e Silvia Camporesi (quest’ultima vincitrice del concorso Storie di donne indetto dal club locale di Soroptimist), mentre adesso scopriremo le mostre di Lisetta Carmi, Vittore Fossati, Claudio Sabatino e Maurizio Galimberti.

Viaggio in Israele e Palestina. Fotografie 1962-1967, sarà l’attesa esposizione curata da Daria Carmi e Giovanni Battista Martini e dedicata a Lisetta Carmi, l’artista genovese che, dopo un inizio da musicista, avvia nel 1960 la carriera di fotografa, portandola negli anni a realizzare una serie di reportage dedicati alla sua città, Genova, ma anche a Sardegna, Sicilia, Parigi, America Latina e Israele, solo per citarne alcuni. Oltre a realizzare una serie di ritratti di artisti e personalità del mondo della cultura.

«Lisetta Carmi – ha sottolineato Daria Carmi – è una grande artista, il cui lavoro vive oggi un momento di riscoperta e attenzione. È il giusto riconoscimento alla sua ricerca e produzione fotografica in molti anni di attività, dove cifra estetica e valore documentale si sommano restituendo un lavoro prezioso e significante. Gli scatti sono circa trenta, di cui oltre due terzi inediti. Si tratta di una grande occasione per scoprire oggi e riconoscere come “parlante” e attuale quanto catturato da Lisetta Carmi oltre cinquanta anni fa».

«Tra i numerosi scatti realizzati in Israele durante i due soggiorni del 1962 e del 1967 – ha invece spiegato Giovanni Battista Martini –, ho scelto di evidenziare le immagini che sottolineassero il diverso sguardo con cui Lisetta Carmi ha osservato il paese. Nel primo grande reportage Carmi ha colto la complessa realtà di cui era costituito il nuovo Stato di Israele. Nel secondo e ultimo reportage, realizzato pochi giorni dopo la fine della Guerra dei Sei Giorni, Carmi richiama, attraverso il suo obiettivo, la nostra attenzione sui danni provocati dalla guerra nei villaggi e sulle condizioni di vita nei campi-profughi palestinesi».

Il Tanaro a Masio sarà la mostra di Vittore Fossati che raccoglie, come ricorda la curatrice Giovanna Calvenzi gli «appunti visivi» dell’artista alessandrino: «Come descrive lo stesso Fossati con il consueto understatement – ricorda ancora Calvenzi –: “Andando al paese dove lavoro, ogni tanto compio una piccola deviazione per raggiungere la sponda del fiume Tanaro in una località che si chiama Masio. Faccio un po’ di foto, velocemente, inquadrando con molta libertà nel display della fotocamera tascabile. Cosa c’è da vedere? Alberi, i colori del cielo e dell’acqua e un disegno di rami sempre diversi.
 Cosa c’è da fare? Oltre a qualche foto, soprattutto prendere una boccata d’aria fresca. È tutto”».

Nato nel 1954 ad Alessandria, dove abita, Vittore Fossati si occupa di fotografia dal 1977. Entrato in contatto con Luigi Ghirri, partecipa a molti dei progetti collettivi da lui promossi. Dagli anni Ottanta del secolo scorso svolge ricerche fotografiche commissionate da istituzioni ed enti pubblici.

Fotografare il Tempo, Pompei e dintorni di Claudio Sabatino è un’esposizione curata da Renata Ferri che descrive la mostra così: «Pompei, epica apocalisse, città sepolta e dimenticata per oltre 1700 anni, metafora del tempo imponderabile e della vulnerabilità umana, è l’oggetto della lunga ricerca fotografica di Claudio Sabatino. L’indagine, che conferma tutto il suo percorso artistico e professionale, ci conduce attraverso le stratificazioni della Storia per riflettere sulla relazione mutevole che il paesaggio intrattiene con il passato e il presente. Le rovine, magnifiche testimoni della catastrofe, e l’insediamento odierno, testimone della selvaggia espansione edilizia, danno vita a una relazione paradossale che ridefinisce in senso sociale il nostro patrimonio e la sua tutela. Con poetica precisione Sabatino racconta tanto l’archeologia quanto la città intorno, restituendo un affresco in cui lo splendore dei reperti millenari è costretto al dialogo assurdo con una desolante modernità. E forse, proprio da questa frattura, può emergere la struggente bellezza di un viaggio lungo tremila anni, ancora capace di emozionare».

Sabatino è nato a Castellammare di Stabia nel 1967, di formazione architetto, si dedica alla fotografia occupandosi principalmente della rappresentazione del paesaggio urbano. Durante gli studi viene selezionato per l’edizione di Napoli Fotocittà- Dintorni dello sguardo. Nel 1998 vince il premio Savignano Immagine a Forlì e nel 1999 il premio Marangoni a Firenze. Nel 2006 gli viene conferita una Menzione Speciale al Premio Internazionale Bari Photocamera, Bari.

Di Maurizio Galimberti, infine, il progetto Tributo a Leonardo, una reinterpretazione de L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci: «Un capolavoro che – ha spiegato la curatrice Mariateresa Cerretelli – per la potenza e per la bellezza dell’opera immensa ha ispirato esponenti di prima grandezza del mondo dell’arte, da Andy Warhol a Peter Greenaway, da Anish Kapoor fino ai Masbedo. Il Cenacolo vinciano reinterpretato dalla visione profonda e creativa di Maurizio Galimberti ed esposto nel Duomo di Casale Monferrato per il MonFest 2022, è il frutto di un progetto realizzato da un’idea comune dell’artista insieme al collezionista e amico Paolo Ludovici e ha richiesto un processo delicatissimo, mettendo in sinergia Polaroid / Fuji Instax e digitale. Ed è così che la sacralità e l’intensità sublime del Cenacolo vengono restituiti nella loro pienezza e quel ritmo, scandito dallo stile caratteristico dell’autore, forma un’armonia  musicale, portatrice di grande spiritualità».

Nato a Como nel 1956, Galiberti si trasferisce a Milano dove oggi vive e lavora. Si accosta al mondo della fotografia analogica esordendo con l’utilizzo di una fotocamera a obiettivo rotante Widelux per poi nel 1983 focalizzare il suo impegno, in maniera radicale e definitiva, sulla Polaroid. Continua la sua ricerca con Polaroid e reinventa la tecnica del “Mosaico Fotografico” che inizialmente adatta ai ritratti. Il “Mosaico” diviene ben presto la tecnica per ritrarre non solo volti, ma anche paesaggi, architetture e città. Negli anni lavora per i più importanti brand nazionali e internazionali.

dal 25 marzo al 12 giugno 2022 – Casale Monferrato

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RITRATTE Direttrici di Musei italiani

Gli scatti fotografici del celebre Gerald Bruneau in una mostra per raccontare le donne che guidano primarie istituzioni culturali del nostro paese.

Apre il 3 marzo 2022 nelle Sale degli Arazzi a Palazzo Reale di Milano la mostra fotografica “Ritratte – Direttrici di musei italiani”, visitabile gratuitamente fino a domenica 3 aprile 2022. 

Il progetto artistico con gli scatti d’autore del fotografo Gerald Bruneau si colloca nell’impegno della Fondazione Bracco per valorizzare le competenze femminili nei diversi campi del sapere e contribuire al superamento dei pregiudizi, così da incoraggiare una sempre più nutrita presenza di donne in posizioni apicali.

La mostra illumina vita e conquiste professionali di 22 donne alla guida di primarie istituzioni culturali del nostro Paese, una sorta di Gran Tour che tocca 14 importanti città italiane da Nord a Sud: da Trieste a Palermo, da Napoli a Venezia per citarne solo alcune. Il soggetto principale di “Ritratte” è la leadership al femminile. I musei, “luoghi sacri alle Muse”, sono spazi dedicati alla conservazione e alla valorizzazione del nostro patrimonio artistico, custodi del nostro passato e laboratori di pensiero per costruire il futuro. Inoltre, sono anche imprese con bilanci e piani finanziari, che contribuiscono in modo cruciale alla nostra economia. Dirigere tali istituzioni comporta competenze multidisciplinari, un connubio di profonda conoscenza della storia dell’arte e di capacità gestionali e creative.

Tra le protagoniste della mostra figurano i ritratti di Francesca Cappelletti, Direttrice della Galleria Borghese di Roma; Emanuela Daffra, Direttrice Regionale Musei della Lombardia; Flaminia Gennari Santori, Direttrice delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini di Roma; Anna Maria Montaldo, già Direttrice Area Polo Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Milano; Alfonsina Russo, Direttrice del Parco Archeologico del Colosseo; Virginia Villa, Direttrice Generale Fondazione Museo del Violino Antonio Stradivari di Cremona; Rossella Vodret, Storica dell’arte, già Soprintendente speciale per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Roma; Annalisa Zanni, Direttrice del Museo Poldi Pezzoli di Milano.

Fondazione Bracco da tempo è impegnata per contribuire alla costruzione di una società paritetica, in cui il merito sia il criterio per carriera e visibilità. Nel 2016 è nato a questo scopo il progetto “100 donne contro gli stereotipi” (100esperte.it) ideato dall’Osservatorio di Pavia e dall’Associazione Gi.U.Li.A., sviluppato con Fondazione Bracco, grazie alla Rappresentanza in Italia della Commissione Europea. La banca dati online raccoglie profili eccellenti di esperte, selezionate con criteri scientifici, in vari settori del sapere, strategici per lo sviluppo del Paese, allo scopo di aumentarne la visibilità sui media: l’ambito STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics – dal 2016), le esperte di Economia e Finanza (dal 2017), Politica Internazionale (dal 2019), Storia e della Filosofia (dal 2021). Basti pensare che secondo il Global Monitoring Project 2020 in Italia nei media tradizionali le donne interpellate come esperte sono solo il 12%, contro il 24% dell’Europa. Accanto alla banca dati online, Fondazione Bracco ha deciso di sviluppare una narrazione complementare. Nel 2019, sempre grazie alla collaborazione con Gerald Bruneau, è stata realizzata la mostra fotografica “Una vita da scienziata” con i ritratti di alcune delle più grandi scienziate italiane, da allora esposta in numerose sedi italiane e internazionali, tra cui Milano, Roma, Todi, Washington, Philadelphia, Chicago, Los Angeles, New York, Città del Messico e il prossimo 8 marzo a Praga.

In ottica di continuità e dialogo, l’esposizione “Ritratte”, dedicata al settore dei beni culturali, con il Patrocinio del Ministero della Cultura, aggiunge un importante tassello all’intervento di lotta agli stereotipi di genere e di promozione delle competenze, unico discrimine per qualsiasi sviluppo personale e collettivo.

“Siamo davvero riconoscenti a Diana Bracco e alla Fondazione per l’impegno instancabile a sostegno della leadership femminile in tutti i settori del sapere e del lavoro – ha dichiarato l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi –. Un impegno che oggi viene declinato attraverso il tema del ritratto fotografico in una bellissima mostra d’arte che potrà essere ammirata liberamente da tutti i visitatori di Palazzo Reale. La mia riconoscenza va anche alle molte donne che a Milano sono impegnate in ambito museale e che, grazie alla loro competenza e alla loro passione, preservano, promuovono e arricchiscono il patrimonio artistico del nostro Paese”.

“Oggi alla guida di importanti istituzioni culturali del nostro Paese ci sono professioniste straordinarie che hanno raggiunto posizioni apicali grazie a competenze multidisciplinari, che uniscono una profonda conoscenza della storia dell’arte con capacità gestionali e creative” sottolinea Diana Bracco, Presidente di Fondazione Bracco. “Valorizzare le loro storie grazie agli scatti di Gerald Bruneau ci è sembrato importante per ispirare percorsi analoghi da parte delle più giovani. Con il progetto #100esperte della nostra Fondazione, vogliamo infatti incoraggiare la presenza femminile in tutti i campi: dalla scienza all’economia, dalla storia alla filosofia, dall’arte alle istituzioni.”

“Il mio intento è stato quello di mettere in risalto, insieme all’incommensurabile vastità e bellezza del patrimonio artistico italiano, la bellezza di queste donne che si impegnano quotidianamente per rimettere i musei al centro di una proposta culturale elaborata in rete insieme ai soggetti più rappresentativi delle realtà in cui sono immerse, invitano alla partecipazione, stimolano confronto e pensiero critico” afferma il fotografo Gerald Bruneau. “Donne che vogliono rendere i musei nuovi luoghi di incontro e di riflessione, di conoscenza e di comunicazione, valorizzando i capolavori storici e accogliendo nuove esperienze artistiche. E che, per questo, sperimentano nuove e creative modalità di proposta culturale. Se abbiamo la speranza che la bellezza possa salvare il mondo, tocca anche a noi, insieme a loro, salvare la bellezza.”

promossa e prodotta da Palazzo Reale, Comune di Milano Cultura e Fondazione Bracco con il patrocinio del Ministero della Cultura

Dal 3 marzo 2022 – al 3 aprile 2022 – Palazzo Reale Milano

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WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR. 57ESIMA EDIZIONE

© Laurent Ballesta, Wildlife Photographer of the Year

Dal 5 febbraio al 5 giugno 2022 si terrà al Forte di Bard, in Valle d’Aosta, l’anteprima italiana della 57esima edizione di Wildlife Photographer of the Year, il più importante riconoscimento dedicato alla fotografia naturalistica promosso dal Natural History Museum di Londra. In mostra le cento migliori immagini selezionate tra gli oltre 50.000 scatti provenienti da fotografi di 95 Paesi del mondo, valutati da una giuria internazionale di stimati esperti e fotografi naturalisti. Le immagini immortalano natura e animali non solo nella loro bellezza e diversità, ma anche nella loro fragilità e sottolineano l’importanza di difendere e salvaguardare il Pianeta.
 
L’immagine vincitrice assoluta della nuova edizione è Creation scattata dal biologo francese e fotografo subacqueo Laurent Ballesta. Lo scatto ritrae un branco di cernie che nuotano in una nuvola lattiginosa nel momento della deposizione delle uova a Fakarava, Polinesia francese: un momento unico, che si verifica solo una volta all’anno, durante la luna piena di luglio, e sempre più raro dato che la specie è in via di estinzione minacciata dalla pesca intensiva. La laguna polinesiana è uno dei pochi posti in cui questi pesci riescono a vivere ancora liberi, perché è una riserva e per fotografarli, Ballesta si è appostato ogni anno per cinque anni insieme a tutto il suo team per raggiungere il risultato.
 
La Presidente della giuria, scrittrice ed editore, Rosamund Roz Kidman Cox Obe afferma: «L’immagine funziona su così tanti livelli: è sorprendente, energica, intrigante ed ha una bellezza ultraterrena. Cattura anche un momento magico – una creazione di vita davvero esplosiva – lasciando la coda dell’esodo delle uova sospesa per un istante, come un simbolico punto interrogativo».
Doug Gurr, direttore del Museo di storia naturale, commenta: «Il vincitore del Grand Title di quest’anno rivela un mondo sottomarino nascosto, un fugace momento di un affascinante comportamento animale a cui pochissimi hanno assistito. In quello che potrebbe essere un anno cruciale per il Pianeta, Creation di Laurent Ballesta è un avvincente promemoria di ciò che potremmo perdere se non affrontiamo l’impatto dell’umanità sul nostro Pianeta».
 
L’altro ambito premio del concorso, il Young Wildlife Photographer of the Year 2021, è andato all’immagine Dome Home di Vidyun R Hebbar, un bambino di dieci anni di Bengaluru, in India, che ha scattato una foto spettacolare di un ragno sospeso all’interno di una fessura in un muro. «È un modo così fantasioso di fotografare un ragno. L’immagine è perfettamente inquadrata, la messa a fuoco è azzeccata. Si possono vedere le zanne del ragno e la trama folle della trappola, i fili come una delicata rete di nervi collegati alle zampe dell’animale. Ma la parte più originale è rappresentata dall’aggiunta di uno sfondo creativo: i colori vivaci di un risciò motorizzato», afferma Rosamund Roz Kidman Cox Obe.
Natalie Cooper, ricercatrice del Museo di Storia Naturale e membro della giuria, commenta: «La giuria ha apprezzato questa foto sin dall’inizio del processo di valutazione. È un ottimo promemoria per guardare più da vicino i piccoli animali con cui viviamo ogni giorno e per portare la tua macchina fotografica con te ovunque. Non sai mai da dove potrebbe venire l’immagine premiata».
 
I due vincitori del Grand Title sono stati selezionati tra 19 vincitori di categoria che celebrano la bellezza accattivante del nostro mondo naturale con habitat ricchi di sfumature, affascinanti comportamenti animali e specie straordinarie. La competizione di quest’anno ha visto l’aggiunta di tre nuove categorie, tra cui Oceans – The Bigger Picture e Wetlands – The Bigger Picture per mettere in luce questi ecosistemi così cruciali per il Pianeta. In un intenso processo, ogni voce è stata giudicata anonimamente da una giuria di esperti per la sua originalità, narrativa, eccellenza tecnica e pratica etica.
Cinque i fotografi italiani premiati: il valdostano Stefano Unterthiner ha vinto la sezione Behaviour: Mammals; menzioni speciali sono state conquistate da Mattia Terreo (categoria Under 10 anni), Giacomo Redaelli (categoria 15-17 anni), Georg Kantioler (Urban Wildlife) e da Bruno D’Amicis (Fotogiornalismo).

Dal 05 Febbraio 2022 al 05 Giugno 2022 – Forte di Bard Aosta

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IO, LEI, L’ALTRA. RITRATTI E AUTORITRATTI FOTOGRAFICI DI DONNE ARTISTE

“Cindy Sherman
Courtesy Collezione Ettore Molinario”

Dal 19 marzo al 26 giugno 2022 il Magazzino delle Idee di Trieste presenta la mostra Io, lei, l’altra – Ritratti e autoritratti fotografici di donne artistea cura di Guido Comis in collaborazione con Simona Cossu e Alessandra Paulitti. Prodotta e organizzata da ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia – l’esposizione ripercorre, attraverso novanta opere, la fotografia degli ultimi cento anni e permette di valutare la nuova concezione della donna e il suo ruolo attraverso una successione di straordinarie immagini da Wanda Wulz a Cindy Sherman, da Florence Henri a Nan Goldin.

Il ritratto e l’autoritratto fotografico sono una testimonianza straordinaria del difficile processo di affermazione di sé e della conquista di una nuova identità sociale da parte delle artiste donne nel Novecento e nei primi anni del nuovo secolo. I ritratti e gli autoritratti sono luoghi di confronto, ma anche di conflitto fra espressioni diverse dell’identità. A forme convenzionali di rappresentazione si contrappongono nuovi modi di esprimere la propria personalità; i ruoli consolidati della rappresentazione della donna, le pose ripetitive mutuate dai ritratti tradizionali cedono spazio a modalità di espressione inedite.

Da modella al servizio di un artista la donna si trasforma in figura attiva e creativa. Ai ritratti eseguiti da uomini – come Man Ray, Edward Weston, Henry Cartier-Bresson, Robert Mapplethorpe, solo per citare alcuni dei fotografi presentati in mostra – si accostano ritratti e autoritratti di donne artiste e fotografe, tra cui Wanda Wulz, Inge Morath, Vivian Maier, Nan Goldin, Cindy Sherman, Marina Abramović.

La mostra è suddivisa in sezioni, ognuna delle quali rende conto di una diversa forma di rappresentazione dei ruoli che le donne interpretano nelle fotografie. La sezione “Artiste e modelle” è dedicata alle donne che sono state creatrici e allo stesso tempo hanno prestato i loro volti e i loro corpi per opere altrui, come è il caso di Meret Oppenheim, Tina Modotti, Dora Maar.

La sezione intitolata “Il corpo in frammenti” raccoglie gli autoritratti che restituiscono immagini di corpi parziali, riflessi in specchi fratturati, con l’epidermide percorsa da linee che ne interrompono l’integrità, come se in ciò si rispecchiasse la difficoltà di rappresentarsi. I ritratti degli anni Settanta che hanno per protagoniste Valie Export, Jo Spence e Renate Bertlmann mimano ironicamente l’immagine tradizionale della donna come madre, donna di casa o oggetto sessuale. “Una, nessuna e centomila” raccoglie gli autoritratti delle artiste che, da Claude Cahun a Cindy Sherman, hanno utilizzato il proprio corpo per interpretare attraverso mascheramenti identità o stereotipi diversi. Un’altra sezione affronta il tema degli stereotipi nella rappresentazione dalle identità culturali e sessuali, un’altra ancora a quelli nella definizione dei canoni di bellezza mentre alcune fotografie sono dedicate ad artiste accanto a proprie creazioni come nel caso del celeberrimo ritratto di Louise Bourgeois eseguito da Robert Mapplethorpe.

La mostra è accompagnata dal catalogo Io, lei l’altra – Ritratti e autoritratti fotografici di donne artiste edito da Skira con immagini di tutte le opere esposte e testi di approfondimento di Guido Comis, Anne Morin, Giampiero Mughini, Anna D’Elia, Laura Leonelli e Alessandra Paulitti.

Dal 18 Marzo 2022 al 26 Giugno 2022 – Magazzino delle Idee Trieste

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The blue green land – Marco Barbieri

L’agenzIa del turismo di Varese definisce il proprio territorio “The blue green land”, dove è possibile “cogliere la bellezza blue-green del territorio caratterizzato da laghi a ridosso di valli, colline, squisiti borghi a loro volta affondati nel verde e nella storia”.

Ma i dintorni del lago di Varese sembrano piuttosto una cartolina sgualcita degli anni ’90.

Imponenti costruzioni ormai in disuso, lascito del ricco passato industriale, si alternano a nuove iniziative immobiliari, a piccole attività familiari e ad ampi spazi vuoti.

Un piccolo specchio d’acqua viscosa, nel quale non è permesso fare il bagno, è il centro di un paesaggio culturale intriso dai rituali della piccola borghesia lombarda.

La messa della domenica e la festa degli alpini, la spesa del sabato mattina e la passeggiata nel parco, l’auto parcheggiata davanti a casa, il matrimonio con vista lago, il giornale sul tavolo del bar, il giro in bicicletta.

La provincia di Varese è il luogo comune di famiglia.

È un padre generoso dedito al lavoro e una madre che si commuove ogni volta che te ne vai e che quando torni ti chiede soltanto “cosa ti preparo da mangiare?”.

Mostra curata da Laura Davì

Dal 5 marzo 2022 – Premiato Biscottificio – Varese

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ALBERTO DI LENARDO. LO SGUARDO INEDITO DI UN GRANDE FOTOGRAFO

© Alberto di Lenardo | Alberto di Lenardo, Gita a Capri, Maggio 1965

Dal 12 febbraio all’8 maggio 2022, il WeGil di Roma, hub culturale della Regione Lazio nel quartiere Trastevere, ospita “Alberto di Lenardo. Lo sguardo inedito di un grande fotografo italiano, la mostra dedicata a un autore del secondo Novecento rimasto letteralmente nascosto in soffitta e il cui lavoro verrà proposto per la prima volta al pubblico in questa esposizione inedita ed emozionante.

Il progetto è curato da Carlotta di Lenardo, nipote del fotografo, che ne ha svelato il talento dopo la sua morte, avvenuta nel 2018, dando vita al volume “An Attic Full of Trains”, della casa editrice londinese MACK, in cui è raccolta una selezione dello sterminato archivio di immagini ereditato dal nonno. La mostra esposta al WeGil è promossa dalla Regione Lazio ed è realizzata da LAZIOcrea in collaborazione con Creation s.r.l.. Uno scorcio del passato del nostro paese attraverso lo sguardo di un autore rimasto sconosciuto fino alla sua morte. Con questa retrospettiva, il WeGil torna a ospitare la grande fotografia ma lo fa, questa volta, puntando l’obiettivo sul patrimonio artistico nascosto del nostro paese.

“Alberto di Lenardo. Lo sguardo inedito di un grande fotografo italiano” raccoglie 154 immagini che raccontano uno spaccato di vita personale del fotografo: spiagge, montagne, bar, viaggi in auto catturati nei loro colori più vividi e che portano con sé il segno e la bellezza del tempo. Negli scatti di Alberto di Lenardo si ritrova la poesia dei sentimenti che non possono essere espressi a parole ma che, attraverso la pellicola, vengono fissati in un ricordo, condividendo quelle stesse emozioni che il fotografo provò nel mostrare le proprie memorie alla nipote.

Carlotta di Lenardo racconta come, appena sedicenne, durante un pranzo di famiglia, il nonno volle parlarle della sua grande passione per la fotografia e condividere con lei il suo archivio di oltre 10.000 scatti“Mio nonno ha sempre amato fotografare e ha continuato a farlo per tutta la vita. Era il suo modo di comunicare i suoi sentimenti e gli permetteva di rivelare emozioni che la sua generazione faticava ad esprimere a parole. Le sue immagini riflettono accuratamente la sua serenità interiore, uno stato d’animo che ha sempre cercato di trasmetterci, e allo stesso tempo manifestano la sua costante ricerca di uno scatto rubato e mai banale. Preferiva infatti che i suoi soggetti fossero quasi sempre ignari della macchina fotografica, così da essere spontanei e reali, un puro riflesso del momento. Queste immagini e il modo in cui lui si emozionava mentre le condivideva con me, disegnandole nella sua incredibile e dettagliata memoria, mi hanno fatto innamorare della fotografia e hanno condizionato la mia intera vita lavorativa in questo campo. La fotografia era qualcosa di nostro, qualcosa che lui ed io condividevamo e custodivamo gelosamente”.

Il progetto espositivo porta al pubblico un ritratto intimo e colorato del lavoro fotografico di Alberto Di Lenardo, svolto in oltre sessant’anni di attività. La mostra costituisce un’opportunità davvero unica di consegnare un nome nuovo alla storia della fotografia. In un’epoca che vede il moltiplicarsi di esposizioni dedicate ai grandi maestri o agli interpreti dell’arte visiva a loro ispirati, lo sguardo di Alberto di Lenardo emerge per un suo personalissimo stile che vede l’uso costante di cornici e finestrature che fermano nel tempo momenti di vita vissuta.

La mostra si divide in tre sezioni: nella prima, il lavoro di selezione operato da Carlotta di Lenardo rivela un’estetica e una lettura del mondo comuni tra lei e il nonno: una narrazione intima tra lo sguardo del fotografo e quello della nipote. La seconda sezione, più raccolta, comprende scatti in qualche modo autobiografici, con alcune immagini in bianco e nero, scattate dal fotografo a partire dall’età di 18 anni, un autoritratto e tre ritratti fatti dalla curatrice durante un pranzo di famiglia nel 2013. Immagini che ripercorrono la storia personale dell’autore e che aiutano a comprendere tre aspetti fondamentali della personalità dell’artista di Lenardo: austera, solare e sempre autoironica. La terza sezione è composta da 9 pareti tematiche che ripropongono situazioni ricorrenti su cui il fotografo amava puntare l’obiettivo e che si ripresentano quindi costantemente in tutto il suo archivio: parchi di divertimento, ritratti di persone che prendono il sole o guardano l’orizzonte, strade e vedute da macchine e aerei, terminando infine con alcune delle diapositive su cui era solito scrivere la parola “FINE”, per indicare appunto, la fine di un viaggio.

Dal 13 Febbraio 2022 al 08 Maggio 2022 – WeGil – Roma

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Sul Sentiero del Bene – Stefano Lotumolo

Si inaugura martedì 8 marzo presso lo spazio The Warehouse, in Via Settala 41 a Milano, la mostra fotografica Sul Sentiero del Bene di Stefano Lotumolo.

La mostra, a cura di Ludovica Cristofaro, ha il patrocinio dell’associazione onlus Epsilon in collaborazione con Radici Globali. Partner del progetto, l’agenzia di comunicazione Theoria, che ha aderito all’iniziativa mettendo a disposizione gratuitamente lo spazio che ospiterà la mostra.

Il progetto fotografico Sul Sentiero del Bene è composto da 72 scatti catturati tra Asia e Africa, che Stefano definisce i più significativi della sua rivoluzione interiore. Nelle sue immagini, Stefano vuole immortalare l’armonia e la bellezza delle popolazioni nella loro quotidianità nonostante situazioni di vita difficili.

Se le foto dedicate all’Asia svelano soprattutto la spiritualità di quei popoli, quelle della Tanzania mostrano la realtà particolarmente cruda di interi nuclei familiari costretti a bere dalle pozzanghere di acqua contaminata.

“Attraverso la fotografia, cerco di trasmettere l’amore e il rispetto che nutro per la vita, dando voce a chi non ne ha e mostrando l’essere umano per come lo vedono i miei occhi e lo percepisce il mio cuore”spiega Stefano Lotumolo.

Una mostra che è sintesi perfetta tra cultura e solidarietà. Le opere in mostra e il relativo merchandising saranno infatti in vendita e il ricavato – insieme alle donazioni libere – sarà destinato alla raccolta fondi per la costruzione di 3 pozzi nei villaggi Maasai di Mkuru, Madape e Engikaret, nel nord della Tanzania.

Epsilon e Radici Globali uniranno le forze per la realizzazione di questo progetto, che vuole essere il primo passo di un impegno a lungo termine per sostenere il popolo Maasai nell’approvvigionamento idrico delle proprie terre e nella riforestazione.

Sul Sentiero Del Bene sarà aperta al pubblico dall’8 al 27 marzo dal lunedì al venerdì dalle 15.30 alle 20.00 e sabato e domenica dalle 11.00 alle 20.00.

Dall’8 al 27 marzo – The Warehouse Milano

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RENATO CORSINI “AMBULANTE” – STORIE DI FOTOGRAFIA IN GIRO PER IL MONDO

© Renato Corsini | Renato Corsini, Vestirsi e traverstirsi

“Renato Corsini gira il mondo con un telo sulle spalle, una Leica, uno spazzolino da denti, un dentifricio e un impermeabile. Il telo gli serve per creare un set mobile e leggero da montare e smontare nelle situazioni più difficili. L’impermeabile gli serve se piove per riparare la macchina fotografica…”. Inizia così il testo di Massimo Minini tratto dal libro Renato Corsini “ambulante” – storie di fotografia in giro per il mondo, MF edizioni, le cui fotografie saranno esposte alla Fondazione Mudima a partire dal 15 febbraio 2022. Renato Corsini è un fotoreporter che decide di allestire nei mercati, nei luoghi di ritrovo dei paesi un’improvvisata sala di posa all’aperto. Monta il telone alle spalle del soggetto, pone una sedia davanti al telone e di fronte la sua macchina fotografica su cavalletto. Il set è fatto. Vi poseranno decine di visitatori, famiglie, giovani, coppie, singoli individui, mostrando i loro volti, ma soprattutto le loro fogge, offrendo un affascinante regesto di tipi umani.
Nessuna pretesa di artisticità, ma preziosi documenti usciti dall’archivio privato del “fotografo ambulante” che va a cercare la vita negli angoli più remoti del pianeta; un fram- mento di società che si mostra, si rappresenta consegnando ai posteri l’immagine di sé. Attento osservatore dei costumi della sua epoca, legato alla tradizione della fotografia lieve e ironica, Corsini smaschera il gioco della rappresentazione e svela uno scenario sociale in cui il gesto del fotografare e del farsi fotografare è sempre più una componente integrante e costante dell’orizzonte visivo. Dischiude sguardi e solleva interrogativi sulla fenomeno- logia di una pratica che si è imposta a livello di massa negli anni Sessanta del Novecento con la diffusione delle macchine fotografiche automatiche e che subisce oggi una nuova accelerazione con la svolta del digitale e i nuovi media.
La mostra, costituita da oltre un centinaio di scatti, mette in luce il ruolo centrale assun- to dalla fotografia come testimone della realtà sociale e dei suoi mutamenti. Corsini ne annota le trame del vivere, restituendo pagine vivide e suggestive. Codifica linguaggi ed espressioni in lessici autentici e originali. Empatico e mai banale, lirica e pura è la sua prosa.

Dal 15 Febbraio 2022 al 18 Marzo 2022 – Fondazione Mudima – Milano

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FRANCESCO MALAVOLTA. VOLTI AL FUTURO. VENTI RITRATTI DI RIFUGIATI CHE SI RACCONTANO IN BIBLIOTECA

Francesco Malavolta. Volti al futuro. Venti ritratti di rifugiati che si raccontano in biblioteca, Biblioteca Europea, Roma

Una suggestiva galleria di volti e storie che dialogano con la biblioteca e coinvolgono i suoi frequentatori.
La Biblioteca Europa ospita l’emozianante mostra fotografica che il Centro Astalli, per i suoi 40 anni di attività, ha fatto realizzare da Francesco Malavolta, il fotoreporter impegnato da oltre vent’anni lungo le principali rotte migratorie, terrestri e marittime, nel mondo.
Scatti fotografici con cui il fotografo ha voluto raccontare passato, presente e futuro dei rifugiati e delle rifugiate di Astalli.
Un invito a condividere l’intensità dei volti e delle storie che accompagnano i ritratti: brevi racconti di chi è fuggito da persecuzioni e violenze, rischiando la vita, alla ricerca di un futuro diverso.

Dal 20 Gennaio 2022 al 12 Marzo 2022- Biblioteca Europea ROMA

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Mostre da non perdere a giugno

Ciao,

riprendiamo il nostro appuntamento mensile con le mostre. Troverete mostre che ci vengono segnalate dagli amici che ci seguono e quello che riusciamo a scovare noi in rete. Continuano naturalmente anche molte delle mostre che vi abbiamo segnalato per maggio.

Anna

M A T T A T O I  – Pino Dal Gal e Mario Giacomelli

questa mostra, curata da Simona Guerra, ci troviamo dentro a moderni mattatoi con immagini scattate da due diversi autori: Mario Giacomelli, che nel 1961 a Senigallia ha realizzato la sua serie Mattatoio, e Pino Dal Gal che nel 1976 in nord Italia ha realizzato Chicken story.

La parte finale, più cruenta, di queste vite destinate alla catena di montaggio alimentare vengono raccontate senza veli e senza mai vestire i panni degli obiettori di coscienza. Salta però agli occhi, sin dalle prime immagini, che chi le sta uccidendo non considera più quelle creature fotografate come animali bensì come semplice carne da macello. Bestie che oggi non sono più allevate ma prodotte, come si legge in più di un sito di grandi aziende del settore.

Le parole hanno un peso.

Due lavori complessi, molto diversi tra loro per stile e approccio, che come afferma Pino Dal Gal si fanno “metafora di una faccia della realtà del vivere” risultando più che mai attuali e in grado di richiamare alla nostra mente molte situazioni politiche, sociali, ambientali in cui il più forte sovrasta il debole e indifeso per logiche sempre riconducibili ai propri interessi.

Il Mattatoio di Giacomelli è un lavoro poco conosciuto e pubblicato; in mostra viene esposto integralmente ed è questa l’occasione per approfondire la conoscenza del “primo” Giacomelli. Nel 1961 infatti egli ha da pochi anni realizzato serie quali Lourdes e Zingari (1957) o Puglia (1958) e dunque tutti lavori in cui il reale non è stato ancora trasfigurato come accadrà in serie successive.

Di Dal Gal rimaniamo scioccati, oltre che per la crudezza delle scene, anche per quel suo uso apparentemente incontrollato, psichedelico, del colore.

Una mostra attuale nei contenuti, oltre che nelle immagini, a causa del forte legame che si sta sempre più evidenziando tra il dilagare degli allevamenti intensivi e la diffusione di virus letali; spesso focolai assodati per virus come l’influenza aviaria e suina.

dal 27 giugno al 27 luglio 2021 – Spazio Piktart – Senigallia

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Lia Pasqualino – Il tempo dell’attesa

Ritratti di artisti, scrittori, registi, musicisti, fotografe e fotografi, attrici e attori, il set di un film, un momento di un viaggio, il gesto di un ragazzo per le strade di Palermo o uno sguardo assorto all’ospedale psichiatrico. Occasioni di vita e compagni di viaggio insieme in una mostra che raccoglie quasi 100 fotografie, il racconto di più di trent’anni di attività di Lia Pasqualino.

All’interno del programma di Campania Teatro Festival, diretto da Ruggero Cappuccio, una esposizione che mette in luce l’originalità dello sguardo della fotografa palermitana che, attraverso la poesia delle sue immagini, mostra il silenzio, il mistero e l’umanità di sguardi, occhi e mani tra le terre di Sicilia, le quinte di un teatro e un set cinematografico.

Il progetto, a cura di Giovanna Calvenzi, ripercorre le fasi di una ricerca continua e la definizione di un linguaggio fotografico intenso quanto riservato.

Il catalogo, edito da Postcart, raccoglie testi di di Roberto Andò, Giovanna Calvenzi, Salvatore Silvano Nigro, Lia Pasqualino e Ferdinando Scianna.

Non ho nessuna predisposizione a fare teoria sul lavoro che faccio. Fotografo artisti, scrittori, registi, fotografi, fotografe, attori, attrici perché fanno parte del mondo in cui vivo, sono gli amici con i quali condivido viaggi, film, cene, o altre occasioni di vita. A posteriori posso dire che ho sempre cercato di fotografare persone che non si lasciano afferrare del tutto, e che cercano di proteggere una parte di sé. Fotografarli è un modo per dare evidenza a questo qualcosa, lasciando una traccia del loro mistero.  Lia Pasqualino

Inequivocabile è la presenza, e la qualità, dello sguardo di Lia, stilisticamente di limpida semplicità, mai prevaricante, discreto, ma ironico anche, affettuoso, che arriva alla pietas, come nel caso dei malati dell’ospedale psichiatrico, che guardano in macchina, ci guardano, come per scrutare dentro di noi se sappiamo riconoscere in loro noi stessi. Ferdinando Scianna

Napoli, Museo di Capodimonte – 13 giugno – 11 luglio 2021

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Jason Fulford: Picture Summer on Kodak Film

Micamera si trasforma per accogliere la mostra dell’autore americano Jason Fulford con una selezione di opere tratte dalla sua ultima monografia, Picture Summer on Kodak Film (MACK, 2020).

Sulle pareti della libreria-galleria è ricreata l’atmosfera ambigua e profonda di un luogo che non esiste e composto da fotografie realizzate in molti paesi e nell’arco di diversi anni. Non è la prima volta: anche Hotel Oracle, uscito in forma di libro nel 2013 (The Soon Institute), era un albergo inesistente, appartenente più al mito che alla realtà.

Fulford procede raccogliendo immagini (nel 2010 diventò famoso con un libro dal significativo titolo The Mushroom Collector, il raccoglitore di funghi) che poi ricompone in sequenze tanto avvincenti quanto enigmatiche. D’altra parte, l’amore per l’enigma (e, in questo caso, per i dipinti ferraresi di De Chirico) è dichiarato fin dalla (quarta di) copertina, dove la scritta Et quid amabo nisi quod aenigma est? viene riprodotta con gli stessi caratteri del primo autoritratto del pittore (in una perfetta, fulfordiana matrioska di significati, quel dipinto è a sua volta una citazione di un celebre ritratto fotografico di Nietzsche).

O ancora, una stampa presente in mostra ritrae uno dei celebri ‘Omaggi al quadrato’ di Joseph Albers (per il quale il colore è ‘una fantastica via d’accesso alla percezione’) appesa sul muro della casa messicana di Luis Barragán, archistar che usa e governa i colori e la luce per plasmare forme e superfici. Una girandola di significati, amplificati poi dalla constatazione che quel quadro non è un originale.

E’ questa una storia dietro un’immagine. Per Fulford, però, non è importante conoscerla perché in ogni caso siamo noi che, guardando una fotografia, la riempiremo dei nostri significati e della nostra esperienza. Perché se la fotografia ferma l’istante, fissandolo sulla carta, il suo significato resta sempre relativo.

Le immagini sono accompagnate, sul libro e in mostra, da una poesia di Gillian Frise e sua sorella Heather.

4 giugno – 4 luglio, 2021 – MIcamera – Milano

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Lucas Foglia – Human nature

dettaglio dell’installazione a Rogoredo (fotografia di Filippo Romano)

La natura è fonte di benessere e di rischio. Mentre trascorriamo sempre più tempo in casa davanti a uno schermo, i neuroscienziati hanno dimostrato che il tempo all’aperto è vitale per la nostra salute sia fisica sia psicologica. Allo stesso tempo subiamo le conseguenze di tempeste, siccità, ondate di calore e gelo causate dal cambiamento climatico.
Human Nature racconta in immagini il nostro rapporto con la natura rispetto al cambiamento climatico. Ogni storia è ambientata in un ecosistema diverso: città, foresta, fattoria, deserto, ghiacciaio, oceano e colata lavica. Le fotografie analizzano il nostro bisogno di luoghi “selvaggi” – anche quando questi luoghi sono costruiti dall’uomo.
– Lucas Foglia

Lucas Foglia è protagonista di una grande mostra a cielo aperto nel quartiere milanese di Rogoredo / Santa Giulia: oltre quaranta fotografie disposte in un’installazione complessiva di quasi duecento metri sorprendono i cittadini con un racconto che riveste l’isolato occupato dal cantiere e presenta l’uomo che in diversi contesti e in vari modi cerca la natura, la studia o se ne prende cura.

Un giro del mondo per immagini che parla di natura, clima, paesaggio e sostenibilità, invitando a riflettere sulle grandi sfide del pianeta e sull’urgenza di agire.
Le immagini appartengono al lavoro dal titolo Human Nature – pubblicato in forma di libro da Nazraeli Press nel 2017. Una mostra a cielo aperto, da vedere e da leggere attraverso le didascalie che contestualizzano le immagini e una selezione di importanti citazioni: testi di Antonio Cederna, Francesco Bacone, Papa Francesco, Michael Pollan e Amitav Gosh offrono al pubblico significativi stimoli sul tema della sostenibilità. Infine, una bibliografia e un cofanetto realizzato dall’autore in collaborazione con Micamera propongono ulteriori approfondimenti.

E’ la prima tappa di FOM – Fotografia Open Milano, un progetto ArtsFor in partnership con Lendlease, con il patrocinio del Comune di Milano, Assessorato alla Cultura e Assessorato a Urbanistica, Verde e Agricoltura, con la
collaborazione di Fondazione Forma. Media partner Sky Arte.

Rogoredo / Santa Giulia – MIlano – da maggio a dicembre 2021

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Richard Mosse – Displaced

Sovvertire le convenzioni. Vedere oltre i limiti della rappresentazione ordinaria. Osservare l’invisibile.
La Fondazione MAST ospita la prima mostra antologica dell’artista Richard Mosse, curata da Urs Stahel: un percorso unico in termini di impatto visivo, capace di rovesciare il modo in cui rappresentiamo e percepiamo la realtà.

Fin dal principio della sua ricerca, l’artista lavora sul tema della visibilità, sul modo in cui siamo abituati a vedere, pensare e intendere la realtà.
Le situazioni critiche e i luoghi di conflitto sono fotografati e filmati con l’utilizzo di tecnologie di derivazione militare, che stravolgono totalmente la rappresentazione fotografica, creando immagini che colpiscono per estetica, ma che al contempo suscitano una riflessione etica. Quando attraverso la bellezza, che l’artista definisce “lo strumento più affilato per far provare qualcosa alle persone”, si riesce a raccontare la sofferenza e la tragedia, “sorge un problema etico nella mente di chi guarda”, che si ritrova confuso, impressionato, disorientato. L’invisibile diventa visibile, in tutta la sua natura conflittuale.

Nella mostra, le fotografie di grande formato e i video generano un’esperienza immersiva di rara intensità, sorprendente per la forza degli stimoli visivi e sonori. Emerge la straordinaria attualità del lavoro di Mosse, che sovvertendo le convenzioni fotografiche, grazie alla tecnologia, ci fa osservare l’invisibile: i conflitti, le migrazioni, il cambiamento climatico.

La mostra si sviluppa su tre spazi della Fondazione MAST: Gallery, Foyer e Livello 0.

La Gallery ospita alcuni dei primi lavori (Early Works) scattati in luoghi segnati da conflitti – Medio Oriente, Europa Orientale, confine tra Messico e Stati Uniti, e Infra, la serie che ha reso celebre l’artista, con immagini prodotte durante le brutali guerre nella Repubblica Democratica del Congo attraverso l’uso di Kodak Aerochrome, pellicola a infrarossi fuori produzione, ma usata per la ricognizione militare.

Nel Foyer è in mostra la serie Heat Maps e le più recenti serie Ultra e Tristes TropiquesHeat Maps presenta le immagini realizzate lungo le rotte migratorie da Medio Oriente e Africa verso l’Europa, con una termocamera per usi militari in grado di individuare differenze di temperatura fino a trenta chilometri di distanza. I 16 video dell’installazione Moria (Grid) (12′), girati con termografia ad infrarosso, rivelano i  particolari della vita nel campo profughi sull’isola greca di Lesbo. 
Le fotografie della serie Ultra offrono una prospettiva inaspettata sulla bellezza della natura della foresta amazzonica, grazie ad una tecnica di illuminazione a fluorescenza UV. Tristes Tropiques racconta l’impatto della deforestazione nell’area brasiliana tramite immagini scattate da droni su una pellicola multispettrale, una sofisticata tecnologia fotografica satellitare.

Al Livello 0 trovano spazio la videoinstallazione The Enclave (40′), girata con pellicola infrared Aerochrome, la videoproiezione Incoming (52′), ripresa con termocamera militare – entrambe frutto della collaborazione fra l’artista, il direttore della fotografia Trevor Tweeten e il compositore Ben Frost – e il video Quick (13′), approfondimento sul percorso artistico di Mosse.

dal 7 maggio al 19 settembre 2021 – MAST Bologna

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Rome LOVE – Simona Filippini

Magazzini Fotografici riaprirà le sue porte dopo questo lungo periodo di pausa ed ospiterà nei suoi spazi, a partire dal 2 giugno 2021, la mostra Rome LOVE di Simona Filippini, curata da Chiara Capodici.

Il progetto Rome LOVE, nato nel 1993, è un racconto delicato e profondo scritto dalla fotografa con le istantanee della sua polaroid in oltre 26 anni e che vede protagonista la sua città natale. Nelle fotografie dell’autrice possiamo ammirare un’insolita Roma, una capitale sospesa, silenziosa, fotografata nelle calme giornate d’estate, periodo in cui la metropoli riposa e respira dopo lunghi mesi di frenetica attività.

Nel progetto Rome LOVE la antiche rovine della città e l’importanza della sua gloriosa storia sono affiancate alla moderna e multietnica capitale europea, descritta attraverso la varietà dei suoi volti, la complessità dei suoi edifici, delle strade e della sua rigogliosa natura.

Dopo aver lavorato per alcuni anni a Parigi, assistente di Paolo Roversi poi free lance, Simona Filippini inizia il progetto al suo rientro a Roma, e con uno sguardo attento e curioso percorre, riscopre e descrive uno spazio urbano che da allora, 26 anni fa, non ha più smesso di fotografare. Nello sviluppo di questo progetto a lungo termine cambia negli anni molti modelli di Polaroid, ma rimane sempre fedele al suo peculiare film e alla sua distintiva impronta stilistica.

Come spiega la curatrice del progetto Chiara Capodici: “Lavorare con la polaroid significa provare ad afferrare lo scorrere di un fiume, fermarlo per vederlo subito emergere, a volte quasi come pura astrazione, in una visione ampia che respira avvicinando l’antico, il monumentale, il contemporaneo e i dettagli che fanno la vita quotidiana, il familiare e quanto ancora sembra sconosciuto. […] Il dialogo fra le immagini che Simona realizza con le sue polaroid ha bisogno di esprimersi attraverso relazioni interne, in dittici e trittici che creano fra di loro corrispondenze e rispondenze, rimandi con immagini singole che si relazionano a un insieme più ampio. Attraverso il piccolo formato che a volte si ingrandisce e rende esplicita l’atmosfera pittorica, a tratti quasi astratta di cui si nutre il suo immaginario visivo. Le sue composizioni sono addensamenti narrativi che permettono, a lei moderna esploratrice urbana, di orientarsi, e tracciare nuove mappe e geografie emozionali.”

L’emblematico titolo della mostra “Rome LOVE” descrive il rapporto di reciproca intesa che l’autrice instaura con una Roma al tramonto, vissuta e attraversata nelle ore tarde del giorno. I dettagli fotografati, tra cui gli angoli in ombra della città e le tante insegne luminose, caratterizzano e identificano Roma nella sua unicità e descrivono una narrazione personale ed intima, riflesso della storia e del vissuto dell’autrice.

Dal 2 al 27 giugno 2021 – Magazzini Fotografici – Napoli

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PHOTOLUX LUCCA

Photolux riparte!
A causa della diffusione della pandemia, gli organizzatori sono stati dapprima costretti a rimandare le mostre previste lo scorso gennaio e a ripensare il programma, che si diffonderà eccezionalmente per tutto il 2021.
Ad aprirlo, saranno due mostre allestite a Villa Bottini, dal 28 maggio al 22 agosto 2021, e prodotte dall’Archivio Fotografico Lucchese “A. Fazzi”, che si pongono come momento di riflessione sull’anno appena trascorso, caratterizzato dalla diffusione del Coronavirus.
 
La prima è la collettiva L’inizio del futuro, curata da Giulia Ticozzi e Arcipelago-19, con una installazione audiovisiva di Cesura, che ripercorre le diverse fasi della pandemia, così come sono state e sono vissute in Italia, attraverso il racconto di fotografi freelance, la cui testimonianza si è rivelata fondamentale per una visione allargata del momento, sempre diversa grazie all’esperienza, alla vocazione, al linguaggio e al luogo di appartenenza di ciascun autore.
Alcuni fotografi hanno affrontato storie di malattia, di cura, di lutto, raccogliendo le suggestioni delle città vuote, delle valli di montagna colpite duramente dal virus, delle tensioni crescenti all’interno della società ma anche di solidarietà e mutuo soccorso.  
Altri hanno raccontato le vicende delle persone costrette in casa. Molti hanno riscoperto i volti dei propri famigliari, dei vicini e di chi, pur non essendo quasi mai al centro della notizia, è stato capace di portare alla luce aspetti fondamentali dell’essere umano, come il corpo, le relazioni interpersonali, l’intimo rapporto con se stesso.
 
La seconda mostra, dal titolo Racconti della Pandemia, curata da Enrico Stefanelli e Chiara Ruberti, presenta una selezione dei materiali acquisiti in questo anno nel fondo Covid-19 e relativi all’emergenza sanitaria nel territorio lucchese, grazie a immagini e filmati di autori, non necessariamente professionisti, che vivono e lavorano a Lucca e nella sua provincia.
 
A luglio Photolux sarà presente ai Rencontres di Arles (Francia) con l’esposizione di Alberto Giuliani, NASA Hi-SEAS ospitata dalla Fondazione Manuel Rivera-Ortiz e inserita nel programma ufficiale della rassegna (4 luglio – 26 settembre 2021). Una collaborazione ormai consolidata, che permette a Photolux di portare il lavoro degli autori italiani in uno dei più prestigiosi luoghi della fotografia a livello internazionale.
 
Photolux 2021 proseguirà quindi a settembre con la mostra dei vincitori del World Press Photo 2021 e altre due rassegne: Bitter Leaves, il reportage di Rocco Rorandelli (1973), membro del collettivo TerraProject, realizzato tra l’India, la Cina, l’Indonesia, gli Stati Uniti, l’Italia e molti altri paesi, per riferire l’impatto dell’industria del tabacco sulla salute delle persone, l’economia e l’ambiente, e Foul and Awesome Display, una produzione di Fotografia Europea (Reggio Emilia) a cura di Francesco Colombelli, che propone una selezione di libri fotografici che analizza come lo sviluppo delle armi da combattimento sia andato di pari passo con quello delle tecnologie più moderne.

Dal 28 Maggio 2021 al 22 Agosto 2021 – Villa Bottini – Lucca

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Nicola Lo Calzo. Binidittu

Giovedì 27 maggio, apre al pubblico la nuova mostra in Project Room Nicola Lo Calzo. Binidittu, progetto inedito dell’artista Nicola Lo Calzo (Torino, 1979) che, attraverso il racconto della storia e dell’eredità culturale di San Benedetto il Moro, prende in esame i rapporti fra la storia del colonialismo e l’identità culturale contemporanea.

Nato da schiavi africani agli inizi del Cinquecento nei dintorni di Messina, e poi vissuto come frate minore in Sicilia fino alla sua morte (1589), San Benedetto, detto Binidittu, non solo è stato eletto a protettore sia degli afro-discendenti in America Latina sia dei Palermitani, ma è diventato anche icona di riscatto ed emancipazione a livello mondiale. La mostra, curata da Giangavino Pazzola, si articola in un percorso espositivo suddiviso in quattro capitoli e, attraverso una trentina di immagini di medio e grande formato, ripercorre le tappe principali della biografia di Binidittu: dall’affrancamento dalla schiavitù alla sua morte, dall’utopia post razzista alla beatificazione. Le fotografie di Lo Calzo vengono accompagnate da un’installazione che include materiali e documentazione di archivio relativa al processo di costruzione del progetto.

Project Room, Camera Centro Italiano per la Fotografia – Torino | 27 maggio – 18 luglio 2021

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RICHARD DE TSCHARNER. IL CANTO DELLA TERRA. UN POEMA FOTOGRAFICO

Dal 12 giugno al 22 agosto 2021, a Todi (PG) nelle tre sedi della Sala delle Pietre e del Museo Pinacoteca in Palazzo del Popolo, e del Torcularium nel Complesso delle Lucrezie, si terrà la mostra di Richard de Tscharner (Berna, 1947), uno dei più apprezzati esponenti della fotografia di paesaggio.
 
L’esposizione, dal titolo Il Canto della Terra. Un Poema fotografico, curata da William A. Ewing, organizzata da PHOTODI, associazione culturale presieduta da Mario Santoro, in collaborazione con il Museo Pinacoteca di Todi, col patrocinio del Comune di Todi – che ha collaborato mettendo a disposizione i suo spazi espositivi più prestigiosi -, presenta 59 fotografie che esplorano l’universo creativo del fotografo svizzero.
 
Ispirato da grandi autori quali Ansel Adams e Edward Weston, in più di vent’anni di lavoro, Richard de Tscharner ha viaggiato per oltre 22 paesi, dall’India all’Algeria, dall’Islanda al Perù, dall’Italia agli Stati Uniti, dal Vietnam all’Etiopia, ad altri ancora, spesso in luoghi inaccessibili o di difficile raggiungimento, riportando immagini di paesaggi, rigorosamente su pellicola bianco e nero, il vero colore della fotografia, secondo Robert Frank.
 
Il suo approccio fotografico è squisitamente filosofico e meditativo. Richard de Tscharner ha particolare interesse per gli effetti che le trasformazioni geologiche hanno avuto sull’ecosistema, ovvero per la traccia lasciata dalle forze geologiche, come il fenomeno dell’erosione sulle rocce o quello del vento sulla sabbia dei deserti, che nel tempo hanno dato al nostro pianeta superfici così diverse e magiche.
 
“Il paesaggio – afferma il curatore, William A. Ewing – continua a rivestire un ruolo primario nella pratica fotografica contemporanea, nutrito dal fascino duraturo che proviamo per la superficie del globo su cui viviamo. Negli ultimi vent’anni, Richard de Tscharner ha viaggiato per il mondo, a volte nella sua nativa Svizzera, in Italia e in Francia, – e talvolta in terre remote, al fine di catturare un vivido senso della grandezza e della complessità della ‘pelle’ del nostro pianeta”. “La sua – prosegue William A. Ewing – è una visione a lungo termine della terra e delle forze geologiche che l’hanno trasformata, non nel corso di millenni, ma di eoni. Tuttavia, non ha deciso di catturare ciò che è semplicemente bello o piacevole alla vista, ma immagini che mostrano le cicatrici e le «ferite» subite dalla terra. Il metodo di de Tscharner è lento, deliberatamente: si prende il suo tempo per fare ogni fotografia. Con questo approccio, l’artista soddisfa la sfida che si è posto, riassunta in modo eloquente dal fotografo che ammira di più, Ansel Adams: Una grande fotografia è una piena espressione di ciò che si sente di ciò che viene fotografato nel senso più profondo, ed è, quindi, una vera espressione di ciò che si sente della vita nella sua interezza”.
 
Appassionato di musica classica, in particolare di Gustav Mahler, de Tscharner ha voluto costruire il percorso espositivo a Todi come un poema sinfonico, composto da tre movimenti, tanti quanti le sedi della mostra.
Nella Sala delle Pietre, s’incontreranno alcune immagini di paesaggi in formato panoramico, oltre a quelle dei particolari dei disegni che la natura ha creato sulla superficie delle rocce, dell’acqua e del legno.
All’interno del Museo Pinacoteca, prezioso scrigno di arte antica, de Tscharner propone una serie di fotografie di rovine di antiche popolazioni, per ricordare il carattere effimero della nostra civiltà, in contrapposizione con quello ultra millenario della Terra.
La sezione al Torcularium, invece, si focalizza sulla presenza umana in aree remote del mondo, dove gli esseri umani hanno conservato un rapporto più stretto con la terra rispetto alla maggior parte degli odierni abitanti delle metropoli.
 
E le parole di Caroline Lang, Presidente di Sotheby’s Svizzera e Vice Presidente di Sotheby’s Europa, ci offrono un ulteriore elemento per avvicinarci al lavoro di de Tscharner: “Da quando lo conosco, Richard è stato un ricercatore di bellezza e armonia. Li trova nello stesso modo sia nella natura che nell’umanità, viaggiando attraverso il tempo e i luoghi. Così come William Blake ci ha esortato a «vedere un mondo in un granello di sabbia e un paradiso in un fiore selvatico …. per tenere l’infinito nel palmo della nostra mano e l’eternità in un’ora», così Richard lo fa attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica, catturando uno scorcio di eternità in un qualsiasi momento.
 
Accompagna la mostra una pubblicazione digitale, consultabile sul sito www.richarddetscharner.ch

Dal 12 giugno al 22 agosto – TODI

MASSIMO SIRAGUSA. POSTI DI LAVORO

Con la mostra “Massimo Siragusa. Posti di lavoro”, dal 10 giugno al 23 luglio 2021, la Other Size Gallery di Milano apre una riflessione sul tema, quanto mai attuale, del valore sociale dei luoghi di lavoro intesi come spazi di relazione, creatività, formazione, e non solo di produttività.

La narrazione dell’esposizione si sviluppa a partire dall’ambiguità del titolo: se la locuzione “posto di lavoro” indica infatti un’occupazione stabile, designa anche, in modo più letterale, il luogo fisico dove tale occupazione si svolge. Sulla sottile soglia tra questi due significati si poggia la selezione delle dodici fotografie esposte, generando un effetto di straniamento: i luoghi di lavoro non sono solo “contenitori”, ma spazi in cui le dimensioni estetica e architettonica – che appaiono apollinee nell’obiettivo del fotografo catanese – svolgono un ruolo fondamentale nella costruzione della società e dell’identità individuale.

Dal laboratorio del Teatro alla Scala agli spazi del Circolo Volta a Milano, dalle sale della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma ai padiglioni della Fiera di Rimini, dalla mensa del Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito di Torino agli hangar industriali di Fincantieri, sono questi alcuni dei luoghi di lavoro che Massimo Siragusa sceglie di immortalare. Nel percorso espositivo, sempre seguendo la logica del doppio e dello straniamento, le dodici opere sono presentate in sei dittici combinati per analogia o contrapposizione guardando alle geometrie e agli elementi architettonici, alle luci e ai colori, ma anche alle loro destinazioni d’uso, in una giostra di sollecitazioni visive.  

Scattate tra il 2005 e il 2017, il nucleo di opere in mostra nasce da una ricognizione effettuata nell’archivio del fotografo con sguardo contemporaneo, che non ha potuto prescindere dalle riflessioni sul tema del lavoro che l’emergenza Covid-19 ha generato in questi mesi: i luoghi fotografati da Siragusa, pur essendo adibiti ad accogliere il brulichio del lavoro di decine di persone, sono caratterizzati dall’assenza della figura umana. A prevalere è l’indagine della bellezza e della geometria degli edifici, secondo lo stile del fotografo di architettura e di paesaggio vincitore di quattro World Press Photo. Eppure, il lavoro è evocato in potenza, l’impressione dell’azione di chi vive quotidianamente quei luoghi è palpabile.
L’assenza della figura umana, di chi tutti i giorni si reca sul proprio posto di lavoro all’interno di quei luoghi, nelle immagini di Massimo Siragusa è una scelta di stile, negli occhi di chi le guarda oggi, evoca irrimediabilmente un immaginario legato all’attualità pandemica.

Dal 10 Giugno 2021 al 23 Luglio 2021 – Milano Other Size Gallery

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RIPHOTO#2

Da mercoledì 2 giugno a domenica 20 giugno nella città di Rivarolo Canavese (Torino) tornerà con la sua seconda edizione l’evento RIPHOTO, frutto della ormai consolidata collaborazione tra l’Assessorato alla Cultura del Comune e l’associazione culturale Areacreativa42 presieduta da Karin Reisovà.
 
RIPHOTO, iniziativa concepita inizialmente come rassegna di fotografia articolata su più sedi nel territorio cittadino, di cui la principale era la storica Villa Vallero, indosserà quest’anno, anche in ragione delle disposizioni anti-Covid, i panni del festival all’aperto, comprendente mostre e attività e finalizzato, nelle intenzioni degli organizzatori, a realizzare un “momento di incontro tra territorio e cultura artistica” contribuendo a promuovere, attraverso una proposta di contenuti di alto livello, la vitalità culturale del Canavese.
 
Il festival, particolarmente aperto nei confronti dei giovani artisti, presenterà in dieci aree significative della città di Rivarolo una selezione di lavori a tema libero, capaci di rappresentare sia l’individualità dei singoli autori partecipanti, sia una panoramica del linguaggio fotografico nelle sue declinazioni contemporanee, in continuità con la prima edizione e con la volontà di dare spazio anche ad artisti che interpretano il mezzo fotografico in modo atipico e sperimentale.  
 
Curato da una squadra di giovani collaboratori, soci attivi di Areacreativa42, RIPHOTO#2 si prefigge l’obiettivo di valorizzare la fotografia come linguaggio espressivo che, più di altri, sta contribuendo a plasmare la società del nuovo millennio. 
L’edizione 2021 di RIPHOTO, in ottemperanza alle disposizioni anti-Covid, si svolgerà all’aperto, con tour guidati della città, nei weekend di apertura, a gruppi di dodici persone (modificabili in base a eventuali nuove normative in materia Covid-19), in partenza dalla sede dell’ufficio turistico (piazza Litisetto), individuato come punto di riferimento per le prenotazioni e informazioni sullo svolgimento del festival (aperto sabato e domenica dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18).
 
fotografi partecipanti a RIPHOTO#2, che verrà inaugurato mercoledì 2 giugno alle ore 17 con i saluti dell’Amministrazione Comunale, saranno: Luca Abbadati, Francesco Andreoli, Luce Berta, Giacomo Carmagnola, Tomaso Clavarino, Klim Kutsevskyy, il duo LaterArte (composto da Mauro Serra e Lucia del Pasqua), Sandra Lazzarini, Francesco Saverio Tani e Alma Vassallo.
 
Accanto all’attività espositiva e in linea con l’edizione 2020, il festival sarà completato e arricchito da eventi collaterali come workshopRIPHOTO KIDS ( laboratori per bambini e ragazzi organizzati in collaborazione con Pro Loco), e RIPHOTO OFF, la sezione dell’evento pensata per accogliere le proposte indipendenti degli esercizi commerciali della città, impegnati a mettere a disposizione le loro vetrine per piccole esposizioni fotografiche dedicate ad amatori e professionisti.
 
RIPHOTO#2 è organizzato dall’associazione culturale Areacreativa42 con il contributo del Comune di Rivarolo Canavese e di Ascom, la collaborazione degli Assessorati alla cultura e al commercio della Città di Rivarolo Canavese, dell’Ufficio Turistico, e con il patrocinio di Regione Piemonte e Città Metropolitana di Torino.
 
L’associazione Areacreativa42, ideatrice della rassegna, viene fondata nel 2008 a Casa Toesca con l’obiettivo di valorizzare l’arte storica e contemporanea attraverso mostre, eventi, workshop, percorsi educativi e residenze d’artista, e con particolare attenzione per le nuove generazioni. In quest’ottica ha svolto un ruolo di primo piano l’Art Prize CBM, nato nel 2010 per volontà di Karin Reisovà, fondatrice e presidente di Areacreativa42, e riservato a pittori, scultori, fotografi, performer e video artisti.

Dal 02 Giugno 2021 al 20 Giugno 2021 RIVAROLO CANAVESE | TORINO

WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR N. 56

Arriva al Forte di Bard la 56esima edizione del Wildlife Photographer of the Year, il più importante riconoscimento dedicato alla fotografia naturalistica promosso dal Natural History Museum. Dal 28 maggio al 31 agosto 2021 sono esposte le migliori immagini selezionate tra i 49.000 scatti provenienti da fotografi di tutto il mondo, valutati da una giuria internazionale di stimati esperti e fotografi naturalisti.

Vincitore del prestigioso titolo Wildlife Photographer of the Year 2020 è il fotografo russo Sergey Gorshkov con “The Embrace” (FOTO). L’immagine ritrae una tigre siberiana, specie in via d’estinzione, che abbraccia un antico abete della Manciuria per marcare il territorio. Il fotografo ha impiegato oltre undici mesi per riuscire ad immortalare questo scatto ottenuto grazie a fotocamere con sensore di movimento.

La giovane fotografa finlandese Liina Heikkinen, è la vincitrice del premio Young Wildlife Photographer of the Year 2020 con lo scatto “The Fox That Got the Goose”. L’immagine, scattata in una delle isole di Helsinki, raffigura una giovane volpe rossa (Vulpes vulpes) che difende ferocemente i resti di un’oca dai suoi cinque fratelli rivali.

Tra i vincitori anche due italiani: il fotografo Luciano Gaudenzio, con lo scatto “Etna’s River of Fire”, nella categoria Earth’s Environments, e il giovane fotografo Alberto Fantoni, vincitore, con le sue immagini, del Rising Star Portfolio Award.
Hanno invece ricevuto la menzione speciale, in quanto parte delle cento immagini finaliste del concorso fotografico, altri cinque fotografi italiani: Domenico Tripodi (Categoria Under Water), Alessandro Gruzza (Categoria Earth’s Environments), Andrea Pozzi (Categoria Plants and Fungi), Andrea Zampatti e Lorenzo Shoubridge (Categoria Animals in their Environment).

Dal 28 Maggio 2021 al 31 Agosto 2021 – Forte di Bard (Aosta)

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C’ERA UNA SVOLTA. L’ITALIA ATTRAVERSO 75 ANNI DI IMMAGINI ANSA

C’è la storia di un Paese intero e in continua mutazione, con i suoi pregi, i suoi difetti e le sue contraddizioni, nelle immagini che raccontano i 75 anni di attività di Ansa, la principale agenzia di stampa italiana. L’edizione 2020 del volume PhotoAnsa che celebra questo importante anniversario, si trasforma per il secondo anno in un progetto espositivo. L’anteprima italiana è al Forte di Bard, in Valle d’Aosta, negli spazi dell’Opera Mortai, a partire dal 28 maggio sino al 31 agosto. Il titolo della mostra C’era una svolta. Come siamo cambiati e come è cambiata l’Italia attraverso 75 anni di immagini dell’ANSA sottolinea, nel rincorrersi di fatti ed eventi, l’evoluzione dell’Italia e delle mutazioni che lo hanno reso uno dei Paesi più ricchi e sviluppati del mondo.

Tra i milioni di scatti che compongono l’immenso archivio di ANSA, memoria storica della nazione, sono stati selezionati quelli più significativi che testimoniano le tappe di questi cambiamenti nella vita di ogni giorno: dalla politica alla religione, dal lavoro al costume. E poi i viaggi e le vacanze, lo spettacolo e la televisione, i giovani di ieri e di oggi sino ad arrivare agli strumenti che hanno rivoluzionato le nostre vite, come l’avvento del cellulare e il boom dei selfie, nuovo modo di raccontare sé stessi e la realtà che ci circonda. Tredici sezioni in tutto, affiancate da uno sguardo alla pandemia che nel corso del 2020 ha stravolto la vita in ogni parte del mondo, con il suo carico di sofferenza e dolore che ha costretto ognuno a rivedere il proprio modo di vivere e di programmare la propria esistenza.

Dal 28 Maggio 2021 al 31 Agosto 2021 – Forte di Bard (Aosta)

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Mostre: segnalazioni per marzo

Ciao,

anche a marzo vi segnaliamo diverse mostre interessanti. Date comunque alla nostra pagina per tutte le mostre in corso.

Anna

Ara Güler

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Una monografia dedicata al più importante rappresentante della fotografia creativa in Turchia, scomparso alla fine del 2018: Ara Güler.

Lucido osservatore della storia e società turca, Güler ha lasciato in eredità un archivio di oltre due milioni di foto, di cui una selezione di circa 80 immagini è in mostra, una grande retrospettiva dedicata in particolare alla città di Istanbul, una sezione è riservata ai ritratti di personaggi famosi tra i quali, Federico Fellini, Pablo Picasso, Salvator Dalì, Sophia Loren.

Nominato uno dei sette fotografi migliori al mondo dal British Journal of Photography Yearbook e insignito del prestigioso titolo di “Master of Leica”, il maestro turco Ara Güler approda a Roma con una mostra monografica dedicata ai suoi scatti in bianco e nero. La tappa romana arriva al Museo di Roma in Trastevere, dopo le esposizioni alla Galleria Saatchi a Londra, alla Galleria Polka a Parigi, al Tempio di Tofukuji a Kyoto, nell’ambito del vertice del G-20, e alla Alexander Hamilton Custom House a New York in concomitanza con l’Assemblea Generale dell’ONU, prima di continuare il suo percorso a Mogadiscio.

La mostra è composta in gran parte dalle fotografie di Istanbul scattate da Ara Güler a partire dagli anni ’50, periodo fondamentale in cui fu reclutato da Henri Cartier-Bresson per l’Agenzia Magnum e divenne corrispondente per il Vicino Oriente prima per Time Life nel 1956, e poi per Paris Match e Stern nel 1958. Le 45 vedute in bianco e nero della città presenti in mostra costituiranno una preziosa testimonianza di un’umanità ormai quasi cancellata dalla memoria e si affiancheranno ad una sezione, composta da 37 immagini in tutto, dedicata ai ritratti di personaggi importanti del mondo dell’arte, della letteratura, della scienza e della politica: da Federico Fellini a Sophia Loren, da Bernardo Bertolucci ad Antonio Tabucchi, da Papa Paolo VI a Winston Churchill.

Ara Güler era “un marchio globale” per la sua professione a tutti gli effetti – dichiara il Presidente Recep Tayyip Erdoğan – La sua maestria è comprovata dal fatto che tutti i personaggi più importanti degli ultimi 65 anni, che hanno lasciato un segno indelebile nella nostra memoria collettiva con le loro lotte politiche, la loro leadership come uomini di Stato, le loro idee, la loro arte e la loro sensibilità, furono immortalati dal suo obiettivo. È un motivo di grande orgoglio per l’intera nazione vedere le sue fotografie, scattate nel corso di una lunga carriera, che inizia nel 1950 e dura fino al suo ultimo respiro, esposte ancora oggi nelle sezioni più prestigiose di mostre, collezioni e raccolte in ogni angolo del mondo.

Il viaggio artistico di Ara Güler, che mise Istanbul, dove fu nato e cresciuto, al centro della sua vita e della sua arte, racchiude in sé una sintesi della nostra storia recente. Lo ricorderemo sempre con profondo rispetto come una delle più edificanti testimonianze della figura del “vero artista” nel nostro Paese, con il suo linguaggio originale, avvincente e prolifico, libero da ogni forma di bigottismo.

30/01 – 03/05/2020 – Museo di Roma in Trastevere

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JACQUES HENRI LARTIGUE. L’INVENZIONE DELLA FELICITA’. FOTOGRAFIE

Dal 29 febbraio al 12 giugno 2020 la Casa dei Tre Oci di Venezia ospita la più ampia retrospettiva mai organizzata in Italia, dedicata al fotografo francese Jacques Henri Lartigue (1894-1986). 

L’invenzione della felicità, curata da Marion Perceval e Charles-Antoine Revol, rispettivamente direttrice e project manager della Donation Jacques Henri Lartigue, e da Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci, è organizzata da Civita Tre Venezie e promossa da Fondazione di Venezia, in stretta collaborazione con la Donation Jacques Henri Lartigue di Parigi, con il patrocinio del Ministero della Cultura francese. 

La rassegna presenta 120 immagini, di cui 55 inedite, tutte provenienti dagli album fotografici personali di Lartigue, dei quali saranno esposte alcune pagine in fac-simile.

A queste si aggiungono alcuni materiali d’archivio che ripercorrono l’intera sua carriera, dagli esordi dei primi del ‘900 fino agli anni ’80 e ricostruiscono la storia di questo fotografo e la sua riscoperta. 

Il 1963 è in tale contesto un anno cruciale: John Szarkowski, da poco nominato direttore del dipartimento di fotografia del MoMa – il Museum of Modern Art di New York, espone i suoi lavori al Museo newyorkese, permettendogli di raggiungere il successo quando Lartigue è vicino ormai ai settant’anni.

Il percorso de L’invenzione della felicità si articola intorno a questi grandi momenti di riscoperta dell’opera di Lartigue, a cominciare dalla rassegna del museo newyorkese, durante la quale sono presentati i suoi primi scatti precedenti la Prima Guerra Mondiale, e che fanno di lui l’enfant prodige della fotografia. Ispirato dai giornali e dalle riviste illustrate di quest’epoca, Lartigue s’interessa alla ricca borghesia parigina che si ritrovava ai Grandi premi automobilistici, alle corse ippiche di Auteuil, oltre che agli uomini e alle donne eleganti che le frequentavano.

“La ‘parte di mondo’ di Lartigue – scrive Denis Curti nel suo testo in catalogo – è quella di una Parigi ricca e borghese del nouveau siècle, e anche quando l’Europa verrà attraversata dagli orrori delle due guerre mondiali, Lartigue continuerà a preservare la purezza del suo microcosmo fotografico, continuando a fissare sulla pellicola solo ciò che vuole ricordare, conservare. Fermare il tempo, salvare l’attimo dal suo inevitabile passaggio. La fotografia diventa per Lartigue il mezzo per riesumare la vita, per rivivere i momenti felici, ancora e ancora”.

A seguito del successo ottenuto con la mostra al MoMa, verso la fine degli anni ‘60, Lartigue incontra Richard Avedon e Hiro, due tra i più influenti fotografi di moda di allora, che si appassionano immediatamente alla sua arte.

Avedon, in particolare, gli propone presto di realizzare un lavoro che prenda la forma di un “giornale fotografico”, mostrando un po’ di più degli archivi di Lartigue. Aiutato da Bea Feitler, l’allora direttrice artistica di Harper’s Bazaar, pubblicano nel 1970 il Diary of a Century che lo consacra definitivamente tra i grandi della fotografia del XX secolo.

Tuttavia, Lartigue non è più da tempo il fotografo amatoriale di inizio secolo. Dagli anni ‘40 pubblica le sue fotografie su riviste, combinando i suoi incontri mondani e le inquadrature ricercate.

Dopo l’approfondimento del periodo della sua riscoperta, le ultime sezioni si concentrano sugli anni ‘70 e ‘80, segnati dalle collaborazioni con il mondo del cinema, dove lavora come fotografo di scena per numerosi film, e della moda. L’occhio di Lartigue, tuttavia, non riuscì mai ad allontanarsi dalla vita di tutti i giorni, immortalando sempre molti dettagli curiosi e carichi d’ironia.

Un interessante focus è inoltre riservato alle memorie che Lartigue scrisse negli anni ‘60 e ‘70, quando inizia a ricomporre i suoi album nei quali aveva raccolto tutti i suoi scatti.

Accompagna la rassegna un catalogo bilingue Marsilio Editori.

29.02 > 12.06.2020 – VENEZIA / TRE OCI

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SEBASTIANO SALGADO. EXODUS. IN CAMMINO SULLE STRADE DELLE MIGRAZIONI

È passata quasi una generazione da quando queste fotografie sono state esposte per la prima volta. Eppure, per molti aspetti il mondo che ritraggono è cambiato poco, visto che la povertà, i disastri naturali, la violenza e la guerra costringono ancora milioni di persone ogni anno ad abbandonare le loro case. In alcuni casi, vanno a finire in campi profughi che presto si espandono fino a diventare piccole città; in altri, sono pronti a investire tutti i risparmi, e perfino la vita, per inseguire il sogno di una mitica Terra Promessa. I migranti e i profughi di oggi sono senza dubbio il prodotto di nuove crisi, ma la disperazione e i barlumi di speranza che vediamo sui loro volti non sono poi molto diversi da quelli documentati in queste immagini.

Quasi tutto ciò che accade sulla Terra è in qualche modo collegato. Siamo tutti colpiti dal crescente divario tra ricchi e poveri, dalla crescita demografica, dalla meccanizzazione dell’agricoltura, dalla distruzione dell’ambiente, dal fanatismo sfruttato a fini politici. Le persone strappate dalle loro case sono solo le vittime più visibili di un processo globale.

Le fotografie che qui presentiamo catturano i momenti tragici, drammatici ed eroici di singoli individui. Eppure, tutte insieme, ci raccontano anche la storia del nostro tempo. Non offrono risposte, ma al contrario pongono una domanda: nel nostro cammino verso il futuro non stiamo forse lasciando indietro gran parte del genere umano?

Lélia Wanick Salgado

Dal 08 Febbraio 2020 al 14 Giugno 2020 – Pistoia – Palazzo Buontalenti / Antico Palazzo dei Vescovi

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GANGA MA. GIULIO DI STURCO

La fotografia torna protagonista alla Fondazione Stelline, che apre la propria stagione espositiva 2020 con la mostra di Ganga Ma. Giulio Di Sturco(Roccasecca – FR , 1979), a cura di Eimear Martin, dal 6 febbraio al 22 marzo 2020.

Ganga Ma è il frutto di una ricerca fotografica decennale sul fiume Gange che documenta gli effetti devastanti dell’inquinamento, della industrializzazione e dei cambiamenti climatici. Il progetto segue il fiume per oltre 2.500 miglia, dalla sua sorgente nel ghiacciaio del Gangotri, situato nella catena dell’Himalaya, fino alla foce nel Golfo del Bengala, in Bangladesh. Il risultato è una riflessione filosofica per immagini che presagisce un futuro non troppo lontano, consentendoci di percepire l’incombenza di un mondo tossico e post-apocalittico.

Ganga Ma è iniziato come progetto documentario a lungo termine, concepito come testimonianza dello svolgimento di un disastro ecologico in corso. Tuttavia, nel processo creativo Giulio Di Sturco ha modellato un vero e proprio linguaggio visivo, capace di mostrarsi sensibile ai cambiamenti già avvenuti sul Gange e di indagare il paesaggio in cerca di segni di ciò che ci aspetta. Il Gange è un esempio emblematico della contraddizione irrisolta tra uomo e ambiente, poiché è un fiume intimamente connesso con ogni aspetto – fisico e spirituale – della vita indiana.
Giulio Di Sturco ci invita a entrare nell’opera e dopo l’iniziale stordimento dell’immagine seducente e poetica, che rivela la maestosità della natura dalla prospettiva del fiume e delle sue rive, a vedere la sua tossicità, l’effetto devastante della industrializzazione ma anche dei cambiamenti climatici e dell’urbanizzazione.

La mostra è accompagnata dalla omonima monografia (Gost Books, 2019), con un bellissimo saggio introduttivo di Vandana Shiva, scrittrice e ambientalista indiana, tra i principali leader dell’International Forum on Globalization, e della curatrice.

Dal 06 Febbraio 2020 al 22 Marzo 2020 Milano Palazzo delle Stelline

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Cesare Colombo. Fotografie/Photographs  1952-2012

Il Comune di Milano e il Civico Archivio Fotografico rendono omaggio con una grande mostra a Cesare Colombo, uno dei principali fotografi e studiosi della fotografia del Novecento. Curatore di importanti mostre e animatore di dibattiti, sin dal Dopoguerra ha contribuito a far crescere in modo significativo la cultura fotografica in Italia. La rassegna dal titolo Cesare Colombo. Fotografie/Photographs  1952-2012 è curata da Silvia Paoli, con Sabina e Silvia Colombo, oggi responsabili dell’Archivio di Colombo e si tiene dal 21 febbraio al 14 giugno 2020 alla Sala Viscontea del Castello Sforzesco.

Quasi quarant’anni, una vita, dedicati da un fotografo a vedere Milano, grande città italiana e nello stesso tempo simbolo di una qualsiasi grande città del mondo.  

Scriveva così Corrado Stajano nel 1990 sul catalogo Alinari che accompagnava la prima grande mostra milanese di Cesare Colombo, allestita all’Arengario.Dopo tre decenni una nuova rassegna riprende e completa l’eredità lasciata per restituire un nuovo affresco dell’attività fotografica dedicata da Colombo alla sua città, nella quale le foto più conosciute si uniscono a immagini inedite e a vere e proprie riscoperte d’archivio.

A partire dal corpus di fotografie recentemente entrate a far parte delle collezioni del Civico Archivio Fotografico del Castello Sforzesco, la mostra restituisce la sua visione coinvolgente e appassionata della metropoli lombarda. Il percorso comprende oltre 100 fotografie esemplificative dell’intera carriera di Colombo, divise in sei sezioni, dove la città viene descritta nei suoi molteplici aspetti culturali, politici e sociali e offre un vivido racconto biografico lungo sessant’anni (1952-2012) di sviluppo urbano, trasformazioni del lavoro e mutamenti del tessuto sociale. Il mondo delle fabbriche e le manifestazioni sindacali, le rivolte studentesche e le periferie, ma anche uno sguardo attento su una città in continuo cambiamento, che produce e crea: le fiere e i negozi,  la moda e il design, l’arte e lo spettacolo. Punti di vista di una città ‘abitata’ di uno dei suoi più attivi interpreti.

L’allestimento e la grafica di Italo Lupi,  aiuteranno il visitatore a ricostruire la figura di Cesare Colombo nella sua complessità. In mostra un tavolo biografico, lungo venticinque metri, ricostruirà la vita di Cesare Colombo dalla sua formazione giovanile, ai primi lavori, ai progetti di comunicazione pubblicitaria, alla sua vita familiare, alle sue molte collaborazioni con l’editoria, all’impegno politico e ai suoi impegni culturali.

Un affresco coloratissimo che fa da contraltare al rigore delle fotografie in bianco e nero, affiancato da un altro lungo tavolo più sobrio di colori e grafica, con brani di suoi scritti e citazioni di differenti testi critici e letterari.

Il catalogo a cura di Silvia Paoli, edito da Silvana (Italiano-Inglese) contiene il saggio critico del curatore (Oltre i bordi dell’inquadratura. Cesare Colombo 1935-2016, fotografo, storico, critico), una sezione dedicata all’allestimento con una nota di Italo Lupi e ricchi apparati bio-bibliografici a cura di Sofia Brugo.Tutte le fotografie sono riprodotte nel volume divise secondo le sezioni della mostra:  Album Metropolitano, Stagioni di lotta, Offerte di lavoro, Ingresso Libero, La città della moda e del design, Arte in scena.

L’esposizione e il catalogo sono l’esito di un lungo lavoro di ricerca il cui intento è di contribuire alla conoscenza di questo importante autore della fotografia italiana, aprendo anche nuovi orizzonti di studio.

dal 21 febbraio al 14 giugno 2020 – Sala Viscontea del Castello Sforzesco – Milano

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Le mostre di Closer – Dentro il Reportage

La quarta edizione del festival di fotografia sociale Closer – Dentro il Reportage torna a Bologna da venerdì 13 a domenica 15 marzo 2020 tra mostre, incontri, workshop e letture portfolio.

Negli spazi di QR Photogallery (via Sant’Isaia 90) e nel vivaio urbano Senape (Via Santa Croce 10/ABC), Closer apre spazi di visibilità per fotografi e temi –selezionati tra le numerose proposte della open call provenienti da diverse parti del mondo–  e promuove occasioni di confronto e formazione, tra internazionalità e territorio. Con Closer il mezzo fotografico si fa portavoce di istanze rilevanti e attuali, che arrivano dai diversi angoli del mondo nella città di Bologna a suscitare riflessioni condivise per una società inclusiva.

Venerdì 13 marzo alle ore 18.30 negli spazi di QR Photogallery, fondata dall’associazione TerzoTropico nell’affascinante quadriportico dell’ex-ospedale psichiatrico Roncati (Via Sant’Isaia 90, Bologna), Closer – Dentro il Reportage inaugura la mostra collettiva dei fotografi selezionati tramite open call.

La quarta edizione del festival parte da lontano, dalla città di Lahore (Pakistan), protagonista di For the Love of Lahore, del fotografo Aun Raza: registrazione diretta sebbene metaforica di una città in via di disintegrazione ambientale e sociale, il reportage vuol essere al tempo stesso un antidoto ai poteri nefasti nelle cui mani Lahore è caduta. I panorami della città entrano quindi in risonanza e creano dittici mentali con i ritratti di musicisti, poeti, scrittori, artisti, artigiani, attivisti, che rappresentano il tessuto e l’anima della Lahore che cerca di resistere, di mantenere apertura, curiosità, amore per il dialogo.

Dalla città del Pakistan ci si sposta a Quito, la capitale dell’Ecuador costruita nel mezzo delle Ande, dove Chiara Negrello ha realizzato il progetto fotografico Recicladoras, che riflette sui temi della condizione femminile e dell’ecologia mostrando il lavoro –spossante, denigrato, rischioso– di donne che, dalle 6 del pomeriggio alle 3 del mattino, raccolgono più immondizia possibile prima che passi il camion per la raccolta dei rifiuti, per guadagnare pochi dollari al mese vendendo a privati il materiale salvato dagli scarti.

Ancora America Latina per Vita e morte – rapsodia messicana in cui Giuseppe Cardoni narra per immagini i rituali nel Dia de Los Muertos: dal 31 ottobre al 2 novembre i cimiteri diventano un’esplosione di vita, il lutto è esibito con suoni, costumi, musiche, danze, colori ma anche con maschere e presenze inquietanti, per esorcizzare la paura, rendere familiare e amica la morte. Una persistenza contemporanea delle culture pre-colombiane, nonostante il tentativo di soffocamento da parte delle dominazioni spagnole e della Chiesa.

Con Anima Nera di Claudio Rizzini Closer torna in Italia e testimonia l’avanzare del neofascismo, di quel «cuore di tenebra che è tornato a battere dal passato», come lo definisce il fotoreporter bresciano che documenta gli eventi di piazza, le periferie, i raduni segreti in cui il cameratismo, le dimostrazioni di forza, la xenofobia e lo slancio patriottico riempiono spazi vuoti e solitudini.

Di segno opposto è Nomadelfia descritta in immagini da Enrico Genovesi: un piccolo popolo comunitario, in un villaggio nei dintorni di Grosseto, con una sua Costituzione che si basa sul Vangelo. Una comunità fondata nel 1948 nell’ex campo di concentramento di Fossoli da don Zeno Saltini con lo scopo di «dare un papà e una mamma ai bambini abbandonati» come racconta il fotografo toscano, che dal 1984 si dedica prevalentemente a reportage a sfondo sociale su storie italiane.

Le mostre, che saranno visitabili fino al 4 aprile dal lunedì al sabato dalle ore 9 alle 19, al termine di Closer saranno esposte al festival di fotografia indipendente Stop di Parma.

Contestualmente all’inaugurazione della mostra collettiva dei 5 reportage vincitori, il 13 marzo ci sarà l’apertura della mostra dedicata alle foto singole –anch ‘esse selezionate tramite open call– dei fotografi Nicola Zolin, Ignazio Sfragara, Emanuela Caiazza, Daniele Stefanizzi, Vincenzo Di Pilato.

Sabato 14 marzo alle ore 20.30 da Senape Vivaio Urbano (via Santa Croce 10/ABC, Bologna) sarà infine inaugurata la mostra The Wretched and the Earth di Gabriele Cecconi: un intenso reportage sulla drammatica condizione della popolazione musulmana Rohingya a Cox’s Bazar, nel sud del Bangladesh.

Dal 13 marzo al 4 aprile – QR Photogallery e Senape – Bologna

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LA GUERRA TOTALE

In occasione del 75° della fine della Seconda Guerra Mondiale, avvenuta ufficialmente il 1° maggio in Italia, l’8 maggio in Europa e il 2 settembre nel Pacifico, l’esposizione fotografica racconta la storia del più devastante conflitto che l’uomo abbia mai conosciuto attraverso le fotografie più suggestive e famose degli Archivi di Stato americani – National Archives and Records Administration, Library of Congress, US Navy, US Marines Corp, US Army, etc.  Composta di circa 60 immagini, la mostra ripercorre infatti tutti i principali eventi del Secondo Conflitto Mondiale sui fronti europei, nord africani e del Pacifico: l’invasione della Francia e i bombardamenti sulla Gran Bretagna, l’attacco a sorpresa di Pearl Harbor e l’invasione della Russia, la guerra in Nord Africa e la riconquista isola per isola dell’Oceano Pacifico, i campi di sterminio e la riduzione in schiavitù di milioni di Europei per sostituire i Tedeschi al fronte nelle fabbriche, i movimenti di liberazione e le punizioni ai collaborazionisti, la guerra in Italia e il D-Day, la sconfitta dei Tedeschi e le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, la resa del Giappone e la caccia ai gerarchi nazisti.

L’esposizione fa parte del progetto History & Photography, che ha per obiettivo raccontare la Storia con la Fotografia (e la Storia della Fotografia) valorizzando e rendendo fruibili al grande pubblico e ai più giovani gli archivi storico fotografici italiani e internazionali pubblici e privati. Alle scuole e ora anche ai privati sono proposte visite guidate, foto-proiezioni e l’innovativa possibilità di utilizzare in classe le immagini della mostra (anche una volta terminata) tramite un link riservato e una password a tempo – una soluzione inedita per rendere concreto il concetto di scuola digitale e connessa

​15 febbraio – 27 giugno 2020 – La Casa di Vetro – Milano

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Peterson – Lavine – Come as you are,  Kurt Cobain and the Grunge Revolution

Oltre 80 foto, tra cui alcune inedite, per ripercorrere la storia della scena musicale grunge e quella del suo eroe indiscusso, Kurt Cobain, simbolo della controcultura americana degli anni ’90, tra la fine della guerra fredda e l’illusione della New Economy.
Dal 7 marzo al 14 giugno 2020, a Firenze, Palazzo Medici Riccardi ospita la mostra fotografica “Peterson – Lavine. Come as you are: Kurt Cobain and the Grunge Revolution”. A cura di ONO arte contemporanea, l’esposizione è organizzata e promossa da OEO Firenze Art e Le Nozze di Figaro, in collaborazione con Città Metropolitana di Firenze, Comune di Firenze e  Mus.e.
“A ventisei anni dalla morte di Kurt Cobain, il mito dei Nirvana non tende a svanire  e continua ad avere una forza comunicativa ed espressiva che riesce a far breccia nelle più giovani generazioni facendo palpitare il cuore a chi ha vissuto negli anni ’90 la loro saga”.

Due le sezioni: da un lato le immagini di Charles Peterson, fotografo ufficiale della Sub Pop Records, sulla nascita dei Nirvana, i concerti e la scena grunge di Seattle. Dall’altro gli scatti di Michael Lavine, celebre fotografo pubblicitario, tratti da servizi posati e immagini per riviste. Un accostamento inedito che immerge il pubblico nella fascinazione di quei giorni straordinari, dove i fan erano parte integrante di una rivoluzione musicale, e non solo.

Michael Lavine immortala i Nirvana in studio in quattro diversi momenti, dai mesi della loro prima formazione, fino agli anni del successo mondiale, quando accanto al leader della band c’era la moglie Courtney Love: scatti che sono diventati simbolo di un’era. La sua amicizia con Cobain gli permette di creare una vera registrazione visiva del gruppo, che accompagna in studio in tutti i diversi momenti della propria parabola, fino a pochi giorni dalla scomparsa del suo leader.
L’apporto di Charles Peterson risulta invece fondamentale non solo per la storia dei Nirvana ma anche per la nascita del grunge. Utilizzando uno stile personale crea un proprio marchio di fabbrica, inconfondibile: i suoi flash, molto potenti per poter squarciare il buio dei club, al tempo stesso sono in grado di isolare i soggetti in modo classico e iconico; il suo è un Cobain ritratto in immagini intime, che pienamente mostrano come il peso del successo avesse provato l’artista.

E ancora, immagini di Pearl Jam, Soundgarden, Mudhoney… L’esposizione apre a tutta la scena musicale di Seattle di fine millennio, immortalando un periodo fondamentale e recente della storia americana: la crisi dell’edonismo reaganiano, le nuove periferie (e le sue controculture) e l’incipiente New Economy che proprio a Seattle genererà i suoi colossi.

“Come as you are” è una mostra sound e vision, nelle cui immagini evocative più generazioni si potranno riconoscere, rivivendo illusioni, speranze e quello stile che agli sgoccioli del secondo millennio le hanno viste identificarsi in una colonna sonora e nei suoi eroi.

Dal 7 marzo al 14 giugno – Palazzo Medici Riccardi Firenze

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Masculinities – Liberation through Photography

Through the medium of film and photography, this major exhibition considers how masculinity has been coded, performed, and socially constructed from the 1960s to the present day.

Examining depictions of masculinity from behind the lens, the Barbican brings together the work of over 50 international artists, photographers and filmmakers including Laurie Anderson, Sunil Gupta, Rotimi Fani-Kayode, Isaac Julien and Catherine Opie.

In the wake of #MeToo the image of masculinity has come into sharper focus, with ideas of toxic and fragile masculinity permeating today’s society. This exhibition charts the often complex and sometimes contradictory representations of masculinities, and how they have developed and evolved over time. Touching on themes including power, patriarchy, queer identity, female perceptions of men, hypermasculine stereotypes, tenderness and the family, the exhibition shows how central photography and film have been to the way masculinities are imagined and understood in contemporary culture.

20 Feb — 17 May 2020 – Barbican Art Gallery – London

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WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR

La 55esima edizione della mostra Wildlife Photographer of the Year debutterà in anteprima per l’Italia ancora una volta al Forte di Bard dal 1° febbraio al 2 giugno 2020.

Un emozionante percorso espositivo che ripercorre gli scatti più spettacolari realizzati nel 2019: 100 immagini che testimoniano il lato più affascinante del mondo animale e vegetale, spaziando da sorprendenti ritratti rubati ai più sublimi paesaggi del nostro pianeta.

Vincitore del prestigioso titolo Wildlife Photographer of the Year 2019 è il fotografo cinese Yongqing Bao con lo scatto “The Moment”. L’immagine ritrae lo scontro tra una volpe e una marmotta, uscita dalla sua tana dopo il letargo, sull’altopiano del Qinghai, in Tibet. La foto cattura il dramma e l’intensità della natura: il potere del predatore che mostra i suoi denti, il terrore della sua preda, l’intensità della vita e della morte scritte sui loro volti.

Il quattordicenne Cruz Erdmann, Nuova Zelanda, invece, ha ricevuto il premio per lo Young Wildlife Photographer of the Year 2019con il suo scatto “Night glow”, fatto durante una immersione notturna al largo di Sulawesi, in Indonesia. L’immagine raffigura un calamaro durante un corteggiamento. Tra i vincitori anche due italiani: il giovane Riccardo Marchegiani con “Early riser”, categoria 15-17 anni, e l’altoatesino Manuel Plaickner con “Pondworld”, per la categoria Behaviour: Amphibians and Reptiles.
Protagonista dello scatto di Riccardo Marchegiani una femmina di babbuino Gelada con il suo cucciolo all’alba su un altopiano nel Parco Nazionale del Simien in Etiopia, dove era andato con suo padre e un suo amico. La foto di Manuel Plaickner, invece, immortala delle rane comuni in uno stagno durante il periodo dell’accoppiamento. Il fotografo ha seguito ogni primavera, per oltre un decennio, la migrazione di massa delle rane in Alto Adige.

Altri tre fotografi italiani hanno ricevuto la menzione highly commended in quanto parte delle cento immagini finaliste del concorso fotografico: Stefano Unterthiner (categoria ‘Animals in their Environment’), Lorenzo Shoubridge (categoria ‘Behaviour: Invertebrates’) e Roberto Zanette (categoria ‘Earth’s Environments’).

Dal 01 Febbraio 2020 al 02 Giugno 2020 – Forte di Bard – Aosta

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UNIFORM INTO THE WORK/OUT OF THE WORK 

UNIFORM INTO THE WORK/OUT OF THE WORK è il nuovo progetto espositivo della Fondazione MAST curato da Urs Stahel e dedicato alle uniformi da lavoro, che attraverso oltre 600 scatti di grandi fotografi internazionali mostra le molteplici tipologie di abbigliamento indossate dai lavoratori in contesti storici, sociali e professionali diversi. Nate per distinguere chi le indossa, le uniformi da un lato mostrano l’appartenenza a una categoria, a un ordinamento o a un corpo, senza distinzioni di classe e di censo, dall’altro possono evidenziare una separazione dalla collettività. Le parole italiane “uniforme” e “divisa” evocano, allo stesso tempo, inclusione ed esclusione.

UNIFORM INTO THE WORK/OUT OF THE WORK comprende una mostra collettiva sulle divise da lavoro nelle immagini di 44 fotografi e un’esposizione monografica di Walead Beshty, che raccoglie centinaia di ritratti di addetti ai lavori del mondo dell’arte incontrati dall’artista nel corso della sua carriera, per i quali l’abbigliamento professionale, estremamente differenziato e individualistico, rispetta una sorta di tacito codice dell’anti-uniforme.

Artisti in mostra:

PAOLA AGOSTI, SONJA BRAAS, SERGEY BRATKOV, MANUEL ÁLVAREZ BRAVO, ULRICH BURCHERT, SONG CHAO, CLEGG & GUTTMANN, HANS DANUSER, BARBARA DAVATZ, RINEKE DIJKSTRA, ALFRED EISENSTAEDT, WALKER EVANS, ARNO FISCHER, ROLAND FISCHER, ANDRÉ GELPKE, WERONIKA GESICKA, BRAD HERNDON, LIU HEUNG SHING, GRACIELA ITURBIDE, TOBIAS KASPAR, HERLINDE KOELBL, HIROJI KUBOTA, L.G. ROSE COMMERCIAL PHOTOGRAPHER, ERICH LESSING, DANNY LYON, DOUG MENUEZ, MARIANNE MUELLER, NASA PHOTOGRAPHS, HELGA PARIS, PAOLO PELLEGRIN, IRVING PENN, ANDRI POL, MARION POST WOLCOTT, TIMM RAUTERT, HERBERT RITTS, JUDITH JOY ROSS, SEBASTIÃO SALGADO, AUGUST SANDER, OLIVER SIEBER, HITOSHI TSUKIJI, ALBRECHT TÜBKE, FLORIAN VAN ROEKEL, STEPHEN WADDELL

Dal 25 gennaio al 3 marzo – Mast Gallery Foyer – Bologna

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GIANNI BERENGO GARDINCOME IN UNO SPECCHIO

Inaugura l’11 febbraio alle 18.30 a Forma Meravigli, Milano, la mostra di Gianni Berengo Gardin “Come in uno specchio. Fotografie con testi d’autore”, un progetto espositivo prodotto da Contrasto in collaborazione con Fondazione Forma per la Fotografia. Un omaggio a Gianni Berengo Gardin che viene proposto nella sua città d’adozione, Milano, nell’anno del suo novantesimo compleanno.

Accompagna l’esposizione il volume “Vera fotografia” edito da Contrasto – Official Fan Page.

12 febbraio – 5 aprile 2020 – FORMA MERAVIGLI – Milano

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PhotoAnsa 2019

Si trasforma in progetto espositivo il volume fotografico PhotoAnsa che raccoglie le immagini più significative dell’anno dei grandi fatti di attualità in Italia e nel mondo, realizzate dai fotografi della principale agenzia stampa del nostro Paese.

Oltre cento le immagini in mostra al Forte di Bard dall’8 febbraio al 7 giugno 2020 suddivise in dodici sezioni tematiche che toccano moltissimi temi: le tragedie dei migranti, le campagne di sensibilizzazione dei giovani di tutto il mondo in piazza con la giovane attivista Greta Thunberg contro il cambiamento climatico, la città di Genova un anno dopo il disastro del ponte Morandi, il rogo della cattedrale di Notre-Dame a Parigi, l’odissea delle famiglie al confine messicano davanti al grande muro di Trump, il nuovo Parlamento europeo, Parigi sotto assedio per le proteste dei gilet gialli.
In mostra trovano spazio anche le grandi imprese sportive dell’anno che si è appena concluso: la travolgente nazionale femminile di calcio, la nuotatrice dei record Federica Pellegrini e il boom degli eSports.

Il progetto – inedito ed in anteprima assoluta per l’Italia – è frutto di una collaborazione tra Agenzia Ansa e Forte di Bard.

8 Febbraio 2020 – 7 Giugno 2020 – Forte di Bard – Aosta

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+D1 – Ritratti corali – Marina Alessi

Un ritratto (fotografico) è fatto di tante ‘p’: posa, psicologia, pazienza, professione e professionalità, protagonisti, punctum… È il risultato dell’attimo in cui si consuma una performance che contiene una discreta varietà di emozioni e di sfaccettature prismatiche, riflesso della personalità degli attori: davanti e dietro l’obiettivo. C’è anche chi lo paragona a un passo di danza, quando i soggetti sono due, presupponendo l’abbraccio, l’armonia, il trasporto e la complicità. Per Roland Barthes è un campo chiuso di forze. Il noto critico e semiologo francese ne parla in uno dei suoi saggi più noti, La camera chiara. Nota sulla fotografia (1980). “Quattro immaginari vi s’incontrano, vi si affrontano, vi si deformano. Davanti all’obbiettivo, io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte”. Parole che sono la sintesi eloquente di come la fotografia debba essere sempre considerata la traccia visibile della soggettività di uno sguardo. Per Marina Alessi quello sguardo traduce innegabilmente una scelta professionale che risale alla fine degli anni Ottanta, in cui si è delineato sempre più chiaramente l’orientamento di ricerca nell’ambito autoriale. Ideale proseguimento della performance fotografica della Black Room, realizzata al MACRO Asilo di Roma nel novembre 2019, con Legàmi e il precedente Legàmi al femminile, il progetto +D1 – Ritratti corali entra nello spazio della Galleria Gallerati con una nuova serie di ritratti fotografici che va a implementare un repertorio che contempla donne, uomini, coppie, famiglie (con o senza bambini e animali domestici), generazioni a confronto. La fotografa ha ritratto Daniele Di Gennaro con Luca Briasco della casa editrice Minimun Fax, Mario Tronco con tre musicisti dell’Orchestra di piazza Vittorio, Chicco Testa con Marco Tardelli e, tra i numerosi altri, Emiliano Ponzi con Stefano Cipolla e Sonia (Zhou Fenxia) con la sua famiglia. Volti e corpi che attraverso il body language – si sfiorano, si abbracciano, si baciano – si fanno portavoce di storie personali che sconfinano nelle dinamiche psicologiche e sociali, restituendo al contempo il riflesso di un’idea (o di un ideale) che in parte è anche la traduzione di un dato reale. Ansie, trepidazioni, insicurezze, ma anche felicità, amore, condivisione, unione… in questi ritratti leggiamo stati d’animo, emozioni più o meno sfuggenti come raggi proiettati oltre una distanza di grandezze omogenee. È presente, naturalmente, anche la complicità nell’interazione della fotografa con il suo occhio intransigente e rigoroso, ma in fondo anche un po’ indulgente. “Ho sempre fotografato persone. Alla fine dei miei studi, per l’esame finale allo IED avevo fatto dei ritratti di una coppia di amici”, afferma Marina Alessi. “Mi piace la complicità che si crea con le persone che ritraggo e questa maniera di entrare in punta di piedi nel sentimento, nel legame. Soprattutto quando si tratta di ritratti di gruppo – famiglie con figli – ragiono molto in libertà. Non c’è la finzione della messa in posa. Anche per questo i miei ritratti rimangono classici, non di maniera: ritratti di cuore”. Cercare il punto d’incontro vuol dire mettersi in gioco, sia per i soggetti che per l’autrice. L’imprevisto è altrettanto importante, perché il momento – l’incontro – non è mai lo stesso. Può anche capitare che le persone recitino un ruolo, interpreti di un’idea di sé. In questi casi, pur nella consapevolezza delle strategie che sono in atto, la fotografa asseconda la volontà altrui. Inizia a fotografare e via via prova a lasciarsi andare in una direzione che chiama “dimensione di rotondità, di equilibrio geometrico e anche affettivo”. Quello di Alessi non è il tradizionale affanno nel cogliere illusoriamente ‘l’anima’ del soggetto che è di fronte a lei e al suo apparecchio fotografico, piuttosto a intercettare il suo sguardo è il momento che, come un’alchimia, sintetizza l’essenza dell’incontro tra gli esseri umani. Decisiva è la scelta di utilizzare un fondale neutro dove la presenza (o l’assenza) della gestualità pone gli attori su un unico piano. “L’incontro è un luogo neutro per tutti. Usciamo dalla messinscena e dal mostrare”. Diversamente dalla costruzione del ritratto di famiglia di cui parla anche Annie Ernaux nel romanzo Gli anni (2008), in cui la descrizione della foto che “inscrive la ‘famigliola’ all’interno di una stabilità di cui lei (quella ‘lei’ è la scrittrice stessa, immersa nel flusso di ricordi) ha predisposto la prova rassicurante a uso e consumo dei nonni che ne hanno ricevuto una copia”, il fondale a cui ricorre Marina Alessi, oltre a evitare distrazioni, riconduce l’immagine all’interno di confini atemporali in cui la sospensione è enfatizzata dall’utilizzo del linguaggio del bianco e nero. Eppure, alla dilatazione temporale prodotta dall’oggetto-ritratto fotografico corrisponde la necessità di tempi di lavoro piuttosto veloci, soprattutto quando l’azione è performante e la tensione del momento incalzante. Un procedimento che la fotografa ha affinato nel tempo, attraverso l’esperienza quasi decennale dei ritratti fotografici degli scrittori e dei personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo realizzati per Vanity Fair al Festivaletteratura di Mantova con la fotocamera Polaroid Giant Camera 50×60 e con la Linhof Technika con le lastrine 4×5. Marina Alessi porta fuori la sua ‘scatola vuota’ (ovvero lo studio), munita della fotocamera, del cavalletto, del fondale e del bank (o soft box) che garantisce una diffusione omogenea della luce e restituisce maggiore dettaglio al soggetto, pur conservando la qualità luminosa di morbidezza. È lì, in quella zona neutra, che avviene l’incontro. In fondo, come diceva Irving Penn, “fotografare una persona è avere una storia d’amore, per quanto breve”. (Manuela De Leonardis)

12 marzo – 9 aprile 2020 – Galleria Gallerati – Roma

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SEGNI E SOGNI D’ALPEPassione, orgoglio e resilienza – Marco Mazzoleni

“Segni e Sogni d’alpe. Passione, orgoglio e resilienza” è la mostra fotografica, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Bergamo che, da venerdì 21 febbraio fino a domenica 17 maggio 2020 ad ingresso libero, racconterà la montagna e la ricchezza del patrimonio gastronomico orobico attraverso l’obiettivo di Marco Mazzoleni nella splendida cornice della Sala delle Capriate di Palazzo della Ragione in Città Alta di Bergamo.   

In occasione del riconoscimento di Bergamo a Città Creativa per la Gastronomia – Unesco”, la rete creata nel 2004 dall’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura con lo scopo di promuovere la cooperazione tra le località che hanno identificato la creatività come elemento strategico per lo sviluppo urbano sostenibile, la mostra “Segni e Sogni d’alpe. Passione, orgoglio e resilienza” si focalizza sull’attenzione e sulla cura della realtà orobica di conservare e tramandare le tradizioni alle nuove generazioni in modo spontaneo e in maniera rispettosa verso l’ambiente attraverso una selezione straordinaria di 70 foto che parla di paesaggio, cultura gastronomica, tipicità ed eccellenze del nostro territorio (Orobie bergamasche, lecchesi e valtellinesi) e dialoga con il tema del disegno storicizzato del paesaggio. I territori ricchi di storia uniscono l’elevata biodiversità a una produzione agraria di qualità maturata da antiche tradizioni e da un equilibrio tra intervento dell’uomo e natura che conferisce ai luoghi una bellezza fatta di piccoli segni che cambiano al cambiare delle stagioni.

Cercare, trovare e interpretare questi segni aiuta a comprendere la storia, l’eleganza e la fragilità di un territorio che pur mantenendo un occhio al passato è rivolto al futuro per definire nuovi orizzonti e produrre innovazione e opportunità.

Il progetto vede il coinvolgimento di tre autori d’eccezione che hanno contribuito con i loro contenuti a sostenere la ricerca fotografica di Marco Mazzoleni: Roberto Mantovani (giornalista e storico dell’alpinismo), Prof. Renato Ferlinghetti (Professore di Geografia dell’Università degli studi di Bergamo) e Francesco Quarna (speaker di Radio Deejay, appassionato di alpinismo).

La mostra verrà presentata alla stampa giovedì 20 febbraio 2020 alle ore 11 presso la Sala della Capriate di Palazzo della Ragione di Città Alta di Bergamo.

21 febbraio – 17 maggio 2020 – PALAZZO DELLA RAGIONE – SALA DELLE CAPRIATE BERGAMO

Mostre di fotografia da non perdere a novembre

Ciao a tutti,

anche questo mese l’appuntamento con le mostre è quanto mai ricco.

E non dimenticate di dare un’occhiata alla nostra pagina dedicata, sempre aggiornata.

Anna

MIMMO JODICE | OPEN CITY/OPEN WORK

‘Il mio mestiere non è fotografare. Il mio mestiere è vedere.’ Mimmo Jodice

Vistamarestudio è lieta di presentare Mimmo Jodice: Open City/ Open Work, a cura di Douglas Fogle, la prima personale dell’artista in galleria a Milano.

La mostra traccia un collegamento fra i primi esperimenti di Mimmo Jodice con la fotografia negli anni ’60 e le prime incursioni nella sua Napoli.

‘Mimmo Jodice crea ciò che comunemente viene chiamata fotografia. Ma lo si può davvero considerare un fotografo? Forse sarebbe meglio definirlo un visionario che utilizza la macchina fotografica nella sua esplorazione del mondo. Jodice ha trascorso buona parte degli ultimi sessant’anni utilizzando la macchina fotografica per guardare il mondo da molteplici e diverse prospettive. I suoi primissimi esperimenti risalgono agli anni Sessanta e rivelano un’attrazione rivoluzionaria per l’aspetto materico della fotografia – le proprietà quasi alchemiche della carta fotografica, le soluzioni reagenti, l’ingranditore e tutta l’attrezzatura della camera oscura. Infatti, le sue prime immagini non sono altro che sperimentazioni, volte a creare quello che, nel 1962, Umberto Eco definì “Opera aperta”, piuttosto che convenzionali riproduzioni documentaristiche del mondo.

Questa loro apertura, sia formale sia contenutistica, permette molteplici interpretazioni e lascia spazio a una poetica sperimentale d’avanguardia e, al tempo stesso, inaspettatamente umana. Mimmo Jodice: Open City/Open Work traccia un collegamento fra i primi esperimenti con la fotografia – i paesaggi architettonici strappati e ricomposti – e il primo tentativo di Jodice di “guardare” Napoli, la sua città natale, nella serie Teatralità quotidiana a Napoli, dell’inizio degli anni Settanta. Queste fotografie si avvicinano all’antropologia – immagini di feste popolari, manicomi, fabbriche, ecc.- per poi virare e aprirsi verso una poetica fatta di architetture e delle persone che vi abitano. Forma e contenuto si legano e si intrecciano nello sguardo di Jodice sulla città come organismo vivente e vitale, dagli angoli e i materiali più svariati: poesia visiva della vita di ogni giorno.’
Douglas Fogle

9 SETTEMBRE – 9 NOVEMBRE 2019 – Vistamarestudio – Milano

Le mostre di Photolux

L’edizione 2019 del famoso festival internazionale di fotografia, quest’anno a tema Mondi e che ogni due anni si tiene a Lucca, si preannuncia più ricca che mai.

Tra le innumerevoli mostre distribuite nelle varie location della città, ve ne segnaliamo alcune, ma date un occhiata all’intero programma, perchè ne vale davvero la pena.

2:56 am |To The Moon And Back

VP AGNEW AND LYNDON JOHNSON FOLLOWING LIFTOFF

Abbas | The Iranian Revolution 1979

IRAN: TEHRAN January 25, 1979. After a demonstration at the Amjadiyeh Stadium in support of te Constitution and of Shapour BAKHTIAR, who was appointed Prime Minister by the Shah before the left the country, a woman, believed to be a supporter of the Shah is mobbed by a revolutionary crowd. See also ABA1979006W00011/05AR

Magnum Revolution

CZECHOSLOVAKIA. Prague. August 1968. Warsaw Pact troops invasion.

Davide Monteleone – The April Theses

Sassnitz, Germany – November 2016. From here Lenin embarked on a ferry to reach Sweden. The ferry to Trolleborg, iLENIN#4. *** GENERAL CAPTION: In March 1917 Vladimir Ilych Ulyanov (LENIN) was leaving exiled and in poverty in Zurich. Within eight months he assumed the leadership on 16000000 people occupying one sixth of inhabited surface of the world. On April 9th 1917, with the support of German authorities, at that time in war with Russia, he travelled back to his own country on a train across Germany, Sweden and Finland to reach Finland Station in St. Petersburg on April 17th where he started the first step to Soviet Power. 100 year later I recreated and reacted on a real non-invented trip Lenin’s epic journey, on the base of archival documents and historical books including “To Finland Station” by Edmund Wilson and “The sealed train” by Michael Pearson. ***ALL THE PICTURES OF THIS PROJECT REFERS TO HISTORICAL EVENTS HAPPENED 100 YEARS AGO BUT I TOOK THE LIBERTY TO INTERVENE ON SOME OF THE PICTURES DIGITALLY AND ANALOGICALLY TO BETTER REPRESENT THE HISTORICAL FACT AND MY PERSONAL PHOTOGRAPHIC VISION.

Joan Fontcuberta | Gossan: Mars Mission

Dal 16 novembre all’8 dicembre – Lucca – Sedi varie

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VIVIAN MAIER. A COLORI

Senza dubbio, Vivian Maier può essere
considerata una delle prime poetesse della
contemporanea fotografia a colori. Joel Meyerowitz

A partire dal 24 ottobre 2019 arriva a Forma Meravigli, Milano, la mostra Vivian Maier. A colori a cura di Alessandra Mauro, realizzata in collaborazione con la Howard Greenberg Gallery di New York. Resterà aperta fino al 19 gennaio 2020. Forma Meravigli è una iniziativa di Fondazione Forma per la Fotografia in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano e Contrasto.

Per la prima volta in mostra un’inedita selezione di scatti a colori della ormai celeberrima “tata fotografa”, molti dei quali mai esposti al pubblico, che raccontano il quotidiano americano tra gli anni Cinquanta e la metà dei Settanta. L’ironia, il calore umano, il paesaggio urbano, i ritratti, i bambini: Maier ha il dono di essere l’obiettivo invisibile per le strade di Chicago e New York, componendo un racconto che ha il carattere di una rivelazione.

Accompagna l’esposizione un libro pubblicato da Contrasto.

24 ottobre 2019 – 19 gennaio 2020 – Forma Meravigli – Milano

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Life’s a Beach” Martin Parr

Domenica 27 ottobre 2019 alle 12 sarà inaugurata presso il Civico Museo Revoltella l’imperdibile mostra Life’s a Beach di Martin Parr, promossa dal Comune di Trieste in collaborazione con il festival Trieste Photo Days 2019 e Magnum Photos. Martin Parr in persona sarà presente all’inaugurazione, subito dopo l’incontro con il pubblico che terrà alle 11 presso l’Auditorium del Museo.

Sul suolo del Regno Unito è impossibile trovarsi a più di 120 chilometri di distanza dal mare. Con un tale sviluppo costiero, non sorprende il fatto che in Gran Bretagna le foto in spiaggia rappresentino una tradizione ben radicata. Sulle spiagge britanniche le persone si rilassano, si sentono sé stesse e fanno sfoggio di tutti quei segnali del comportamento vagamente eccentrico che viene associato agli abitanti di quel paese. Se negli Stati Uniti vi è una tradizione consolidata di street photography, nel Regno Unito c’è… la spiaggia.
Da diversi decenni le fotografie di Martin Parr documentano tutti gli aspetti di questa tradizione, con primi piani di bagnanti intenti a prendere la tintarella, ma anche immagini che raccontano i tuffi in mare o l’immancabile picnic.
La carriera internazionale di Parr è stata lanciata dal suo noto libro del 1986, The Last Resort (titolo che suona più o meno come “l’ultima spiaggia”), che ritraeva la decadenza delle spiagge di New Brighton, località turistica vicino a Liverpool. Tuttavia, meno noto è il fatto che la sua ossessione si sia estesa al resto del mondo. In questa nuova collezione troviamo fotografie scattate anche in paesi lontani quali Cina, Argentina e Tailandia. Pubblicato nel 2012 in occasione di una mostra presentata per la prima volta al Lyon Photo Festival, questo libro dimostra l’impegno di Parr nei confronti del suo soggetto preferito, in cui le assurdità e bizzarrie dei comportamenti nazional-popolari si fondono perfettamente. Ci diletteremo nel vedere come i vari paesi dell’America Latina presentino un senso della moda da spiaggia completamente differente, dai costumi succinti del Brasile alle riserve naturali del Messico, fino al momento dell’infuso chiamato “mate” che si beve in Uruguay.
Non poteva mancare l’aspetto commerciale, dal momento che la spiaggia è da sempre uno dei luoghi dove si può trovare in vendita praticamente qualsiasi cosa, dai servizi di un “pulitore di orecchie” a Goa, India, al pesce grigliato in Cile, ma anche gli spaghetti precotti in Cina. In questo libro Parr dà il meglio di sé, confermando i cliché, sorprendendoci con immagini che catturano istanti di assurdità, ma sempre traendo godimento dai rituali e dalle tradizioni che si associano alla vita da spiaggia in giro per il mondo.

Dal 27 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020 – Museo Revoltella – Trieste

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#DRAFT #RUSSIA – Dmitry MARKOV

La VisionQuesT 4rosso è lieta di iniziare la stagione 2019-2020 presentando per la prima volta in Italia #DRAFT #RUSSIA di Dmitry MARKOV a cura di Nicolas Havette.

Markov nasce nel 1982 a Pušhkin, una piccola città nella giurisdizione di San Pietroburgo, è fotografo, assistente sociale, giornalista, e ha lavorato come volontario e tutore nella regione di Pskov in un collegio per bambini mentalmente disabili e nel villaggio per bambini Fedkovo.

La fotografia arriva tardi nella sua vita ma da allora è diventata un partner, una compagna quotidiana, un punto di riferimento in tutta la sua vita fatta di alti e bassi.

Le oltre trenta immagini in mostra sono la continua documentazione di Markov della vita quotidiana nella provincia russa attraverso la quale egli intreccia una narrazione di vulnerabilità umana, dipendenza, candore e pathos. Dmitry lancia il suo flusso costante di immagini usando, come specchio, le popolazioni sottorappresentate in Russia.

Markov usa consapevolmente la fotografia sicuramente non solo come testimonianza, ma anche per se stesso. Con un’onestà a volte disarmante, condivide con noi le sue contraddizioni e le sue debolezze. Osserva il mondo, cercando di trovare il proprio posto e con la forza delle sue immagini riesce a farci conoscere la sua vita. Le persone che fotografa diventano immediatamente parte della sua storia, della sua famiglia.

Osserva come osserva se stesso, senza condiscendenza e senza giudizio morale. Documenta la sua vita come figlio del suo tempo e condivide su Instagram tutte le immagini scattate con lo smartphone. Solo un uomo solo può, con le sue affascinanti immagini quotidiane creare un autoritratto così a lungo termine, cercando se stesso attraverso la presenza degli altri L’apertura e la mancanza di moralismo su un argomento cosi complicato – la vita delle persone che, per vari motivi, si sono trovate dall’altra parte, quelle che di solito vengono chiamate marginali -, è ammirevole. Questo progetto proviene da lì, dal passato collettivo della Russia con le sue gioie e i suoi problemi comuni.

8 ottobre 2019 – 30 novembre 2019 – VisionQuesT 4rosso – Genova

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Tommaso Bonaventura. 100 marchi – Berlino 2019

Mercoledì 30 ottobre apre al pubblico nella Project Room di CAMERA la mostra “Tommaso Bonaventura. 100 marchi – Berlino 2019”, un progetto artistico del fotografo Tommaso Bonaventura, sviluppato in collaborazione con la curatrice Elisa Del Prete, in occasione dei 30 anni dalla caduta del muro di Berlino (9 novembre 1989).

La mostra propone il racconto del Begrüssungsgeld, il denaro di benvenuto che dal 1970 al dicembre 1989 i cittadini della DDR ricevevano quando entravano nella Germania Ovest per la prima volta. Questa vicenda offre un pretesto per interrogarsi su un grande cambiamento epocale a partire da un punto di osservazione che privilegia le storie private e familiari, restituendole attraverso un duplice racconto: fotografico e video.

La mostra è frutto di una collaborazione tra diverse istituzioni e si articola in più sedi: a Torino, a CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia e al Museo del Risparmio, a Trento, nella sede Le Gallerie della Fondazione Museo storico del Trentino e a San Vito al Tagliamento nella chiesa di San Lorenzo grazie alla collaborazione con il CRAF – Centro Ricerca e Archiviazione della Fotografia.

Il catalogo è stato realizzato grazie al sostegno dell’Archivio Storico Istituto Luce.

30 ottobre – 6 gennaio 2020 | Project Room – CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, Torino

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Anna Brenna – Secondo Capitolo

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“Secondo capitolo è un progetto che sto seguendo da qualche anno e che mi ha consentito di conoscere persone meravigliose. Persone provenienti da altre nazioni, che hanno scelto più o meno consapevolmente, di vivere in Italia.

Ho scelto di cominciare a raccontare le storie di queste persone circa due anni fa, momento in cui l’emergenza migranti sembrava aver raggiunto il culmine. Le notizie delle migliaia di morti nel Mediterraneo entravano con la forza di una sofferenza pervasiva nel mio quotidiano “quieto vivere”, un vero pugno nello stomaco. Ovunque anche molto lontano dai punti di ingresso dei migranti nel nostro Paese, venivano creati dei campi di accoglienza ed improvvisate soluzioni per ospitare questa gente in fuga. In fuga dalle guerre, da conflitti etnici, persecuzioni o mancato riconoscimento di diritti essenziali, in cerca di un futuro.

 Mi piace pensare al futuro in termini di miglioramento, di civiltà e di opportunità. Da qui la decisione di rappresentare storie positive, a testimonianza di una possibilità concretamente realizzata, e la scelta di mostrare queste persone nei loro luoghi di lavoro o nello svolgimento delle attività di cui si occupano.

Akolé, Arsène, Edda, Edo, Florentin, Gentiana, Imad, Kossi, Léon, Momo, Paul, Sun An Chi e Vicky sono originari di diverse parti del mondo, ma stanno scrivendo il secondo capitolo della loro vita in Italia. Qualcuno ci è arrivato per scelta, qualcun altro per pura casualità, qualcuno da clandestino, qualcun altro con sistemi meno rischiosi. Ma tutti loro hanno deciso di restare, ritagliandosi un proprio spazio e ognuno a modo suo sta contribuendo a far crescere e rendere migliore il nostro paese, scrivendo il secondo capitolo della propria vita in Italia.

 La forza positiva di queste immagini vuole sovrapporsi al pregiudizio e alla pigra consuetudine, cieca davanti al valore silenzioso delle persone di buona volontà.” Anna Brenna

Dal 14 novembre all’8 dicembre 2019 – Museo Plessi – Brennero

Peter Hujar – Speed of Life

The life and art of Peter Hujar (1934–1987) were rooted in downtown New York. Private by nature, combative in manner, well-read, and widely connected, Hujar inhabited a world of avant-garde dance, music, art, and drag performance. His mature career paralleled the public unfolding of gay life between the Stonewall uprising in 1969 and the AIDS crisis of the 1980s.

In his loft studio in the East Village, Hujar focused on those who followed their creative instincts and shunned mainstream success. He made, in his words, “uncomplicated, direct photographs of complicated and difficult subjects,” immortalizing moments, individuals, and subcultures passing at the speed of life.

From 15 October 2019 until 19 January 2020 – Jeu de Paume, Paris
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TRA CIELO E TERRA. Il paesaggio lombardo attraverso gli occhi dei santi

Grazie alle 2.921 fotografie raccolte nel corso del progetto di fotografia partecipata Tra cielo e terra, promosso dal Museo di Fotografia Contemporanea, la mostra presenta un variegato spaccato del paesaggio contemporaneo, da scorci urbani a panorami da cartolina. Lo sguardo, immutato forse anche da secoli, è quello dei santi che dimorano nelle edicole votive, mentre lo scenario che si presenta loro di fronte è mutevole: alcuni di essi hanno ancora oggi come orizzonte campagne estese, fiumi e colline, altri si trovano invece a sorvegliare rotonde, parcheggi o cantieri.

Avviato nella primavera 2019, il progetto Tra cielo e terra – dell’artista Claudio Beorchia (Vercelli, 1979), ideato e curato da Matteo Balduzzi – ha invitato tutti gli abitanti della Lombardia a osservare e fotografare il paesaggio dal punto di vista dei santi che sui quei territori vigilano da tempo. Grazie all’attivazione di 9 poli culturali che hanno consentito di raggiungere in maniera capillare l’intero territorio regionale, oltre 200 persone hanno risposto caricando sulla piattaforma ideata e gestita da Fondazione Rete Civica di Milano (tracieloeterra.opendcn.org) le fotografie delle rispettive città o dei luoghi che hanno visitato tra fine maggio e i primi di settembre.

Oggi quasi 3 mila coppie di immagini – i santi e le viste che hanno di fronte – assumono la forma di una mostra e di un libro che saranno presentati con una serata di festa al Museo di Fotografia Contemporanea proprio il giorno di Ognissanti, venerdì 1 novembre dalle 16.30.

Si ringraziano per la collaborazione: Accademia di Belle Arti “G. Carrara” di Bergamo; Casa Museo Cerveno (BS); Ecomuseo della Postumia (MN); Ecomuseo della Prima Collina (PV); Ecomuseo di Valle Trompia (BS); EUMM – Ecomuseo Urbano Metropolitano Milano Nord; MUMI – Ecomuseo Milano Sud; Museo Diocesano di Arte Sacra di Lodi; Museo Ma*GA di Gallarate (VA); il Consorzio Brianteo Villa Greppi.

Il progetto, sostenuto da Fondazione Cariplo, è stato realizzato in collaborazione con AESS – Archivio di Etnografia e Storia Sociale e Fondazione Ente dello Spettacolo.

2 novembre 2019 – 1 marzo 2020 Museo di Fotografia Contemporanea – Cinisello Balsamo (MI)

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ALESSANDRA CALO’ – SECRET GARDEN

studiofaganel presenta Secret Garden di Alessandra Calò, un progetto che mette in relazione la fotografia e la letteratura. 

Secret Garden è un’installazione di una serie di scatole nere in cui, all’interno sono collocate antiche lastre negative, raffiguranti ritratti femminili, e piccoli giardini.

Alcune scrittrici contemporanee sono state invitate dall’artista a confrontarsi con una lastra fotografica, con l’immagine di una donna sconosciuta, anonima, e a inventare un racconto che ne immaginasse e tracciasse l’identità. 

L’unica indicazione data dall’artista era di sviluppare una narrazione in prima persona, nella forma di un diario che, pertanto, risulta unico ed estremamente attuale per la diversa provenienza, formazione, espressione artistica delle autrici. 

L’immagine, di ognuna di queste donne, delineata nella lastra negativa, trasparente, è arricchita dalle ombre del piccolo giardino retrostante che definisce e fa percepire la reale tridimensionalità della scatola. 

Secret Garden è la metafora di un paesaggio interiore, un giardino segreto, che si nasconde a prima vista ma che può essere scoperto da chi è capace di andare oltre l’apparenza. 

Il progetto viaggia su un doppio binario temporale, poiché le protagoniste sono donne che arrivano dal passato, ri-immaginate nel presente. Ma attraverso queste esistenze frammentarie intende stimolare una riflessione anche su un percorso futuro, da intraprendere o meglio rimarcare, e che coinvolge tutte le donne, verso una maggiore indipendenza ed emancipazione.

A Gorizia presso la galleria studiofaganel sarà esposto per la prima volta un giardino segreto che vede la collaborazione di Alessandra Calò con l’attrice e autrice di teatro Marta Cuscunà. Il giardino di Marta e Alessandra si ispira alla storia di un personaggio realmente vissuto, una donna della resistenza partigiana isontina di nome Ribella Fontanot. 

Secret Garden è diventato anche un libro in edizione limitata, pubblicato da Danilo Montanari, con un testo di introduzione di Erik Kessels, che sarà disponibile presso la galleria. 

11 ottobre – 29 novembre 2019 – Galleria Studiofaganel – Gorizia

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WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR 2019

Il Wildlife Photographer of the Year, la mostra di fotografie naturalistiche più prestigiosa al mondo, va in scena anche quest’anno a Milano nei suggestivi spazi della Fondazione Luciana Matalon in Foro Buonaparte 67, dal 4 ottobre al 22 dicembre 2019.

Organizzato dall’Associazione culturale Radicediunopercento di Roberto Di Leo, l’evento è sempre attesissimo e presenta le 100 immagini premiate alla 54a edizione del concorso di fotografia indetto dal Natural History Museum di Londra.

Arrivati da 95 paesi, in competizione 45.000 scatti realizzati da fotografi professionisti e non, che sono stati selezionati, alla fine dello scorso anno, da una giuria internazionale di esperti, in base a creatività, valore artistico e complessità tecnica.

Da ammirare le foto finaliste e vincitrici delle 17 categorie del premio che ritraggono animali rari nel loro habitat, comportamenti insoliti e immagini di sorprendente introspezione psicologica, un incredibile esperienza visiva, composizioni e colori che trafiggono gli occhi da un remoto angolo del deserto, dagli abissi del mare o dall’intricato verde della giungla.

4 OTTOBRE / 22 DICEMBRE – Fondazione Luciana Matalon – Milano

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Dialoghi – Joan Fontcuberta e Paolo Gioli

La Galleria del Cembalo propone dal 25 ottobre 2019 al 18 gennaio 2020 la mostra Dialoghi – Joan Fontcuberta e Paolo Gioli nella quale, per la prima volta, le opere dei due artisti vengono poste in relazione fra loro.

Paolo Gioli (Sarzano, Rovigo, 1942) e Joan Fontcuberta (Barcellona, 1955) sono artisti che da sempre condividono un approccio sperimentale all’indagine della natura e della storia dell’immagine fotografica. Adottando procedure e tecniche diverse, entrambi mettono in discussione la concezione convenzionale della fotografia, approccio che li porta alla realizzazione di opere dai contenuti concettuali profondi e dall’innovativa qualità estetica. In questa mostra, di cui è anche curatore, Joan Fontcuberta desidera rendere omaggio a Paolo Gioli, stabilendo legami tra i rispettivi processi creativi al fine di consentire al visitatore la lettura di uno stimolante dialogo.
Il percorso espositivo, sviluppato in tre ampie sale, è concepito in modo da consentire il confronto ravvicinato tra produzioni analoghe per assonanza concettuale, metodo, e in alcuni casi, per coincidenza del soggetto.
La prima sala si apre con l’omaggio a due opere emblematiche della Storia dell’Arte che vengono riproposte dal fotografo catalano nella forma di mosaico digitale ‘Googlegram’: View from a Window di Nicéphore Nièpce (1816) e L’origine du monde di Gustave Courbet (1866). Accanto ad esse, sempre in omaggio a Nièpce, vengono presentate alcune polaroid di Gioli trasferite su carta da disegno della “finestra” di Les Gras, mentre in relazione all’opera di Courbetsono proposte tre Autoanatomie di analogo contenuto.
Nelle sale successive il gioco di relazioni fra i due artisti prosegue con opere tratte dalle serie Herbarium, Trauma, Deletrix di Fontcuberta confrontate con Lastre, XSconosciuti e Vessazioni di Gioli. Per entrambi gli artisti, si tratta di opere dedicate, nell’ordine, a elementi del mondo vegetale, all’utilizzo e alla rivitalizzazione di vecchie immagini fotografiche, al tema della cancellazione e all’autoritratto. In mostra sono proposti anche alcuni noti video dei due artisti.

dal 25 ottobre 2019 al 18 gennaio 2020 – Galleria del Cembalo – Roma

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JEFF MERMELSTEIN: HARDENED

Lancio del libro e mostra, prima mondiale

Un mondo di nevrosi quotidiane, piccole catastrofi, panico, fascino, goffaggine, rivelazioni, orgoglio perduto, finta spavalderia, irritante narcisismo e inaspettata benevolenza. In una cultura in cui tutto sembra esistere solo allo scopo di essere tradotto in immagini, è confortante e allo stesso tempo terribile vedere come questo mondo appare quando non sa di essere fotografato – o perlomeno, com’è nello sguardo di Jeff Mermelstein.
– David Campany, da HARDENED

Jeff Mermelstein vive a New York ed è un’icona della street photography.
Dopo una lunga carriera di successo con la mitica Leica, negli ultimi anni Mermelstein ha scattato solo con il telefono cellulare (che dichiara abbia consentito una “reinvenzione dello snapshot, una vera svolta”), postando poi le immagini sul suo profilo Instagram.

HARDENED, pubblicato dalla casa editrice britannica Mörel Books sarà lanciato da Micamera in anteprima mondiale il 25 ottobre 2019. Il volume raccoglie 305 immagini scelte e messe in sequenza dal curatore, scrittore e artista David Campany, che le ha selezionate da un corpus di lavoro di oltre 700 fotografie scattate in due anni.

Il libro è una rappresentazione travolgente, piena e cruda della condizione umana, con sullo sfondo le strade di New York. Mermelstein è un voyeur con un sorprendente senso dell’umorismo, capace di cogliere lo straordinario e la bellezza nel banale e il quotidiano.

Grazie alla riflessione intrinseca sulla facilità e superficialità delle connessioni con i social media, HARDENED è un libro di svolta, che mostra il lavoro di un fotografo-antropologo nella nostra era digitalizzata.

Il lancio del libro sarà accompagnato da un’installazione di tutte le 305 fotografie sulle pareti della galleria.
Jeff Mermelstein sarà presente all’inaugurazione venerdì 25 ottobre e firmerà le copie del libro. 

25 ottobre – 23 novembre, 2019 – Micamera, Milano

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Paolo Novelli – Vita brevis, Ars longa

In occasione della XIII edizione del Festival “Il Rumore del Lutto”, dedicato quest’anno al tema Passaggi, Antica Farmacia + presenta il progetto “Vita brevis, Ars longa” del fotografo di ricerca Paolo Novelli (Italia, 1976), con inaugurazione sabato 26 Ottobre alle ore 19.
La mostra, a cura di Chiara Canali, presenta negli spazi cinquecenteschi dell’Antica Farmacia di San Filippo Neri una selezione di dieci scatti tratti dal progetto Vita brevis, Ars longa (2002), una singolare ricognizione visiva di Paolo Novelli all’interno dei camposanti monumentali di mezza Italia, da Venezia a Genova, da Milano a Roma.
Un progetto che va oltre la semplice documentazione delle sculture, per proporre immagini in cui le opere perdono la loro natura marmorea per assumere intensità ed espressioni incredibilmente vivide e reali. L’intento è quello di “umanizzare” le statue, portando alla luce i moti espressivi dell’anima attraverso un gioco di contrasti chiaroscurali che incide le masse plastiche e rende i volti estremamente icastici e penetranti.

Lo stesso utilizzo dello stile sfocato trasforma l’immagine in un ritratto dai chiari connotati pittorici, che confonde i confini tra i vari medium e rimanda alla vera natura del linguaggio fotografico, che è quello di essere una “scrittura con la luce”.
Questo significa, per il fotografo, acquisire la consapevolezza del ruolo della luce, che è in grado di restituire enfasi emotiva a chi guarda le immagini. Paolo Novelli ha atteso con pazienza, in luoghi semibui, la luce naturale sufficiente ad ottenere i contrasti necessari ad uno sguardo eloquente e profondamente partecipato.

L’esposizione, attraverso ritratti di forte impatto, richiama l’attenzione verso lo stato di abbandono e di degrado, presente in molti camposanti italiani, di questo prezioso patrimonio artistico, vittima dei tabù più sterili della contemporaneità dovuti alla sua collocazione: il camposanto.
Paolo Novelli opera dal 1997 attenendosi rigorosamente alla ripresa analogica in bianco e nero e alla stampa a mano su pellicola, senza uso di flash o filtri.
Il suo percorso artistico affronta una fotografia essenziale, senza tempo e senza luogo, sintetizzata, non a caso, da Giovanni Gastel come “fotografia della solitudine”.
Il progetto all’Antica Farmacia + di Parma si sviluppa in concomitanza con l’importante esposizione di Paolo Novelli “La Fotografia come differenza”, in corso alla Triennale Milano fino al 3 novembre 2019; una selezione di 40 scatti appartenenti a cinque progetti del fotografo e si concentra sul periodo 2002-2013 con l’intento di evidenziare la nascita e il consolidamento dello stile personale di Novelli.

ANTICA FARMACIA + – Parma – 26 Ottobre – 10 Novembre 2019

TECNOSFERA: L’UOMO E IL COSTRUIRE – FOTO / INDUSTRIA 2019

L’unica Biennale al mondo dedicata alla fotografia dell’Industria e del Lavoro propone al pubblico per questa edizione 11 mostre: 10 allestite in luoghi storici della città e Anthropocene al MAST.
Protagonista di Foto/Industria 2019 è il tema del costruire: un‘azione cruciale, intimamente radicata nella natura della specie umana che viene qui esplorata a tutto tondo, dalle sue radici storiche e filosofiche agli inevitabili risvolti scientifici. È questa attività che dà forma alla tecnosfera: l’insieme di tutte le strutture che gli esseri umani hanno costruito per garantire la loro sopravvivenza sulla terra. Con un peso stimato di decine di miliardi di miliardi di tonnellate, questo strato artificiale al di sopra della crosta terrestre è stato definito Tecnosfera dal geologo Peter Haff. La Fondazione MAST ha affidato la direzione artistica a Francesco Zanot per portare avanti il progetto della Biennale iniziato nel 2013 da François Hébel.
La Fondazione MAST rinnova il suo impegno nel coinvolgere la città e la comunità in questo progetto culturale che permette attraverso la forza narrativa delle immagini di moltiplicare gli sguardi sul mondo.

La quarta edizione di Foto/Industria presenta celebri protagonisti della storia della fotografia, le cui immagini fanno ormai parte di un patrimonio iconico condiviso, grandi artisti contemporanei e giovani autori affermati sulla scena internazionale, alternando tecniche che vanno dagli usi più puri e tradizionali della fotografia alle sperimentazioni più innovative.

Fotografi in mostra: Yosuke Bandai, Lisetta Carmi, David Claerbout, Matthieu Gafsou, Luigi Ghirri, Délio Jasse, André Kertész, Armin Linke, Albert Renger-Patzsch.

Dal 24/10/19 al 24/11/19 – Bologna sedi varie

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HUGS – abbracci – Luca Zampini

Il giorno 2 novembre 2019, alle ore 18, nelle sale della Gallery Annunziata, presso l’Hotel Annunziata, avrà luogo l’inaugurazione della mostra personale “HUGS / abbracci” di Luca Zampini. Saranno in parete 23 fotografie inedite, stampe fine art in grande formato, che narrano per immagini il suo rapporto affettivo con gli alberi.

2 novembre 2019 – 6 gennaio 2020 – Gallery Annunziata Ferrara

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Mostre per marzo

Ciao,

eccoci di nuovo a consigliarvi nuove mostre da non perdere durante il mese di marzo.

Per avere l’elenco completo delle mostre in corso in ogni momento, date un’occhiata qua

Anna

Franco Fontana. Sintesi

Modena rende omaggio a Franco Fontana (1933), uno dei suoi artisti più importanti e tra i più conosciuti a livello internazionale. Dal 22 marzo al 25 agosto 2019, FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE, nelle tre sedi della Palazzina dei Giardini, del MATA – Ex Manifattura Tabacchi e della Sala Grande di Palazzo Santa Margherita, ospita la mostra, dal titolo Sintesi, che ripercorre oltre sessant’anni di carriera dell’artista modenese e traccia i suoi rapporti con alcuni dei più autorevoli autori della fotografia del Novecento. L’esposizione è suddivisa in due sezioni. La prima, curata da Diana Baldon, direttrice di FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE, allestita nella Sala Grande di Palazzo Santa Margherita e nella Palazzina dei Giardini, rappresenta la vera sintesi – come recita il titolo – del percorso artistico di Franco Fontana, attraverso trenta opere, la maggior parte delle quali inedite, realizzate tra il 1961 e il 2017, selezionate dal vasto archivio fotografico dell’artista. Questo nucleo si concentra su quei lavori che costituiscono la vera cifra espressiva di Fontana. Sono paesaggi urbani e naturali, che conducono il visitatore in un ideale viaggio che lega Modena a Cuba, alla Cina, agli Stati Uniti e al Kuwait. Fin dagli esordi, Fontana si è dedicato alla ricerca sull’immagine fotografica creativa attraverso audaci composizioni geometriche caratterizzate da prospettive e superfici astratte significandone e testimoniandone la forma. Queste riprendono soggetti vari, che spaziano dalla cultura di massa allo svago, dal viaggio alla velocità, quale allegoria della libertà dell’individuo, in cui la figura umana è quasi sempre assente o vista da lontano. Le sue fotografie sono state spesso associate alla pittura astratta modernista, per la quale il colore è un elemento centrale, mentre le linee geometriche delle forme dissimulano la rappresentazione della realtà. Questo suo innovativo approccio si è imposto, a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, come una carica innovatrice nel campo della fotografia creativa a colori. La seconda sezione, curata dallo stesso Franco Fontana, ospitata dal MATA – Ex Manifattura Tabacchi,propone una selezione di circa cento fotografie che Franco Fontana ha donato nel 1991 al Comune di Modena e Galleria Civica che costituisce un’importante costola del patrimonio collezionistico ora gestito da Fondazione Modena Arti Visive. Tale collezione delinea i rapporti intrecciati dall’artista con i grandi protagonisti della fotografia internazionale. A metà degli anni settanta, Fontana inizia infatti a scambiare stampe con altri fotografi internazionali, raccogliendo negli anni oltre 1600 opere di molti tra i nomi più significativi della fotografia italiana e internazionale, da Mario Giacomelli a Luigi Ghirri e Gianni Berengo Gardin, da Richard Avedon a Annie Leibovitz, da Arnold Newman a Josef Koudelka e Sebastião Salgado. Attraverso i ricordi in prima persona dell’artista, questa sezione testimonia la vastità e la genuinità delle relazioni di Fontana con colleghi di tutto il mondo, in molti casi divenute legami di amicizia profonda, e la stima di cui è circondato, attestata dalle affettuose dediche spesso presenti sulle fotografie. La mostra sarà accompagnata da un catalogo disponibile in mostra. La mostra Franco Fontana. Sintesi è realizzata in collaborazione con il festival Fotografia Europea di Reggio Emilia, che nell’edizione 2019 sarà dedicato al tema “LEGAMI. Intimità, relazioni, nuovi mondi”.

Dal 22 Marzo 2019 al 25 Agosto 2019 –  Sedi varie – Modena

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LETIZIA BATTAGLIA. Fotografia come scelta di vita

Dal 21 marzo al 18 agosto 2019, la Casa dei Tre Oci di Venezia ospita una grande antologica di Letizia Battaglia (Palermo, 1935), una delle protagoniste più significative della fotografia italiana, che ne ripercorre l’intera carriera. La mostra, curata da Francesca Alfano Miglietti, organizzata da Civita Tre Venezie, in collaborazione con l’Archivio Letizia Battaglia, con la partecipazione della Fondazione di Venezia, presenta 200 immagini, molte delle quali inedite, che rivelano il contesto sociale e politico nel quale sono state scattate. Il percorso espositivo, ordinato tematicamente, si focalizza su quegli argomenti che hanno costruito la cifra espressiva più caratteristica di Letizia Battaglia, che l’ha portata a fare una profonda e continua critica sociale, evitando i luoghi comuni e mettendo in discussione i presupposti visivi della cultura contemporanea. I ritratti di donne, di uomini o di animali, o di bimbi, sono solo alcuni capitoli che compongono la rassegna; a questi si aggiungono quelli sulle città come Palermo, e quindi sulla politica, sulla vita, sulla morte, sull’amore. Quello che ne risulta è il vero ritratto di Letizia Battaglia, una intellettuale controcorrente, ma anche una fotografa poetica e politica, una donna che si è interessata di ciò che la circondava e di quello che, lontano da lei, la incuriosiva. Conosciuta soprattutto per aver documentato con le sue fotografie quello che la mafia ha rappresentato per la sua città, dagli omicidi ai lutti, dagli intrighi politici alla lotta che s’identificava con le figure di Falcone e Borsellino, nel corso della sua carriera Letizia Battaglia ha raccontato anche la vita dei poveri e le rivolte delle piazze, tenendo sempre la città come spazio privilegiato per l’osservazione della realtà, oltre che del suo paesaggio urbano. I soggetti di Letizia, scelti non affatto casualmente, hanno tracciato un percorso finalizzato a rafforzare le proprie ideologie e convinzioni in merito alla società, all’impegno politico, alle realtà emarginate, alla violenza provocata dalle guerre di potere, all’emancipazione della donna.

VENEZIA/TRE OCI –  21.03>18.08.2019

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Don McCullin

This exhibition showcases some of the most impactful photographs captured over the last 60 years. It includes many of his iconic war photographs – including images from Vietnam, Northern Ireland and more recently Syria. But it also focuses on the work he did at home in England, recording scenes of poverty and working class life in London’s East End and the industrial north, as well as meditative landscapes of his beloved Somerset, where he lives. Sir Don McCullin was born in 1935 and grew up in a deprived area of north London. He got his first break when a newspaper published his photograph of friends who were in a local gang. From the 1960s he forged a career as probably the UK’s foremost war photographer, primarily working for the Sunday Times Magazine. His unforgettable and sometimes harrowing images are accompanied in the show with his brutally honest commentaries. With over 250 photographs, all printed by McCullin himself in his own darkroom, this exhibition will be a unique opportunity to appreciate the scope and achievements of his entire career.

5 February – 6 May 2019 – Tate Britain London

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Inge Morath

Casa dei Carraresi di Treviso accoglie, dopo il successo della mostra su Elliott Erwitt ed i suoi cani, la prima grande retrospettiva italiana di Inge Morath, la prima donna ad essere inserita nel cenacolo, all’epoca tutto maschile, della celebre agenzia fotografica Magnum Photos. Impropriamente nota alle cronache più per aver sostituito la mitica Marilyn Monroe nel cuore dello scrittore Arthur Miller, divenendone moglie e compagna di vita, è stata in realtà soprattutto una straordinaria fotografa ed una fine intellettuale. Il suo rapporto con la fotografia è stato un crescendo graduale: dopo aver lavorato come traduttrice e scrittrice in Austria, inizia a scattare nel 1952, e dall’anno successivo, grazie ad Ernst Haas inizia a lavorare per Magnum Photos a Parigi. Limitarsi a considerarla una fotografa di questa celebre agenzia è riduttivo. Le celebri fotografie realizzate durante i suoi viaggi, o gli intensi ritratti in grado di catturare le intimità più profonde dei suoi soggetti, si accompagnano ad una brillante attività intellettuale che si alimentava di amicizie con celebri scrittori, artisti, grafici e musicisti. Che si trattasse di raccontare paesaggi e Paesi, persone o situazioni, le sue foto erano sempre caratterizzate da una visione personale e da specifica sensibilità, in grado di arricchire la percezione del mondo che la circondava. Come Inge Morath era solita dire: “Ti fidi dei tuoi occhi e non puoi fare a meno di mettere a nudo la tua anima”. Ogni reportage di viaggio ed ogni incontro veniva da lei preparato con cura maniacale. La sua conoscenza di diverse lingue straniere le permetteva di analizzare in profondità ogni situazione e di entrare in contatto diretto e profondo con la gente. Per questa ampia retrospettiva a Casa dei Carraresi – una selezione di oltre 150 fotografie e decine di documenti riferiti al lavoro di Inge Morath – i curatori hanno dato vita ad un percorso che analizzerà tutte le principali fasi del lavoro della Morath, ma al contempo cercherà di far emergere l’umanità che incarna tutta la sua produzione. Una sensibilità segnata dell’esperienza tragica della seconda guerra mondiale, che con gli anni si rafforzerà e diventerà documentazione della resistenza dello spirito umano alle estreme difficoltà e consapevolezza del valore della vita. La mostra ripercorre tutti i principali reportage realizzati dalla fotografa austriaca: da quello dedicato alla città di Venezia a quello sul fiume Danubio; dalla Spagna alla Russia, dall’Iran alla Cina, alla Romania, agli Stati Uniti d’America passando per la nativa Austria. Contemporaneamente il percorso espositivo darà spazio ai suoi celebri ritratti di scrittori, pittori, poeti, tra cui lo stesso Arthur Miller, oltre ad Alberto Giacometti, Pablo Picasso e Alexander Calder: quest’ultimo suo vicino di casa a Roxbury, nel Connecticut, dove Inge Morath visse con il marito Premio Pulitzer per tutta la vita. Ci sarà poi spazio anche per il mondo del cinema. Nel 1960 Inge Morath viene infatti inviata dall’agenzia Magnum nel set della pellicola hollywoodiana “The Misfits”, un’enorme produzione cinematografica con alla regia John Houston, alla sceneggiatura Arthur Miller, ed attori del calibro di Clark Gable e Marilyn Monroe. All’epoca Miller e la Monroe erano sposati, ma la loro relazione era già in difficoltà. Proprio sul set del film, la Morath ebbe modo di conoscere lo scrittore, che sarebbe diventato poi suo marito. Come dichiara Marco Minuz: “E’ un progetto espositivo che vuole descrivere, nel dettaglio e per la prima volta in Italia, la straordinaria vita di questa fotografa; una donna dalle scelte coraggiose, emancipata, che ha saputo nella fotografia inserirci la sua sensibilità verso l’essere umano”. Questa prima retrospettiva italiana è prodotta da Suazes con Fotohof di Salisburgo, con la collaborazione di Fondazione Cassamarca, Inge Morath Foundation e Magnum Photos.

1 marzo – 9 giugno 2019 – Casa dei Carraresi, Treviso

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Internat di Carolyn Drake

A partire dal 15 febbraio 2019 Officine Fotografiche ospita a Roma Internat, progetto della fotografa statunitense Carolyn Drake, curato da Laura De Marco, in collaborazione con SI FestSavignano Immagini Festivale con il patrocinio della città di Savignano sul Rubicone. Tra il 2014 e il 2016, Carolyn Drake realizza una serie di immagini all’interno di un orfanotrofio russo che ospita giovani con disabilità, tra cui molte giovani donne che diventano adulte nel completo isolamento. Frutto di un percorso individuale ed esistenziale che nasce anni prima degli scatti realizzati, Internat è la testimonianza di un’intensa collaborazione tra la Drake e le ospiti della struttura che, su suo invito, hanno prodotto proprie creazioni, a partire dalle opere di Taras Shevchenko, artista ucraina, etnografa, poetessa e prigioniera politica. La natura, gli oggetti della vita quotidiana e le mura dell’orfanotrofio sono mezzi per discutere questioni quali il controllo sociale, l’identità individuale e collettiva, la libertà di immaginazione e la normalizzazione del comportamento femminile. Cosa definisce l’identità di una persona all’interno della società? La sua famiglia e i rapporti che si instaurano con essa; il cerchio allargato delle persone che via via incontra; le esperienze che fa del mondo, e così via. Cosa succede quando tutto questo viene negato? Quando si cresce all’interno dei confini murati di una istituzione? Questa è la premessa di Internat di Carolyn Drake, un lavoro su cui ha iniziato a riflettere dodici anni fa, ma che è stato poi sviluppato tra il 2014 e il 2017. Internat è una pensione immersa nella foresta attorno alla città di Ternopil’, in Ucraina. Sembrerebbe, così descritto, un posto idilliaco, ma è invece un edificio circondato da alte mura in cui vengono recluse ragazze adolescenti ritenute non abili a condurre una vita regolare in società. Quando nel 2006 Drake si imbatte in questo luogo, è convinta che a quelle ragazze, una volta cresciute, verrà garantito il ritorno alla vita nel mondo reale; ma anni dopo, quando ritorna con l’idea di andare a scoprire come sono cambiate le loro vite una volta uscite, la sconcertante scoperta che le allora adolescenti sono ora donne adulte, ancora rinchiuse tra quelle mura, porta l’artista a porsi le domande all’inizio di queste righe. Come si sviluppa l’identità di una giovane donna in queste condizioni? In un microcosmo come quello di un istituto, che rapporti si instaurano tra chi fa le regole, la direzione, e chi le subisce? Può una realtà di questo tipo essere vista come esempio in miniatura di ciò che accade nel macrocosmo della società “libera”? Probabilmente, sì. Drake inizia a fotografare la vita delle ragazze e a coinvolgerle nel suo lavoro utilizzando l’ambiente, le relazioni tra di loro e l’arte stessa per aprire un dialogo onesto e diretto e, soprattutto, una possibilità di confronto. Scopre così che la fantasia, la natura, i rapporti interpersonali e la routine delle azioni quotidiane sono tra le cose che l’essere umano riesce sempre a trovare per imparare a definire e a definirsi, anche creandosi un mondo del tutto personale e autonomo. Internat si sviluppa come una vera e propria pratica di collaborazione alla produzione del lavoro artistico: Drake condivide la sua autorialità con i soggetti coinvolti, nel tentativo di creare un progetto che possa fare luce sulle molteplici sfaccettature di questo micro mondo. Includendo i suoi soggetti nel processo creativo, Drake ha la possibilità di andare oltre a una annosa questione (non solo pratica, ma anche etica) della fotografia documentaria classica: chi è che racconta le storie e a favore di chi lo fa? Ovvero, i soggetti, soprattutto di storie delicate come questa, hanno effettivamente voce in capitolo nel momento in cui la loro storia viene raccontata o non si fa altro che diffondere narrazioni a una unica via, quella dell’autore che le racconta? Coinvolgendo le ragazze dell’orfanotrofio, non solo Drake stabilisce un rapporto più profondo con loro, e dunque ha accesso a una intimità maggiore, ma dà anche loro la possibilità di costruire la propria narrazione e avere il controllo su quella che è la loro storia. Approccio rischioso, dal punto di vista dell’artista, ma decisamente potente e illuminante.

dal 18 febbraio all’ 8 marzo 2019 – Officine Fotografiche Roma

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Ferdinando Scianna, Viaggio Racconto Memoria

“Non sono più sicuro, una volta lo ero, che si possa migliorare il mondo con una fotografia. Rimango convinto, però, del fatto che le cattive fotografie lo peggiorano” Ferdinando Scianna

Il 21 febbraio, negli spazi espositivi della Galleria d’arte moderna di Palermo, aprirà al pubblico la grande mostra antologica dedicata a Ferdinando Scianna, curata da Denis Curti, Paola Bergna e Alberto Bianda, art director della mostra, e organizzata da Civita. Con oltre 180 fotografie in bianco e nero stampate in diversi formati, la rassegna attraversa l’intera carriera del fotografo siciliano e si sviluppa lungo un articolato percorso narrativo, costruito su diversi capitoli e varie modalità di allestimento. Ferdinando Scianna è uno dei maestri della fotografia non solo italiana. Ha iniziato ad appassionarsi a questo linguaggio negli anni Sessanta, raccontando per immagini la cultura e le tradizioni della sua regione d’origine, la Sicilia. Il suo lungo percorso artistico si snoda attraverso varie tematiche – l’attualità, la guerra, il viaggio, la religiosità popolare – tutte legate da un unico filo conduttore: la costante ricerca di una forma nel caos della vita. In oltre 50 anni di racconti non mancano di certo le suggestioni: da Bagheria alle Ande boliviane, dalle feste religiose – esordio della sua carriera – all’esperienza nel mondo della moda, iniziata con Dolce & Gabbana e Marpessa. Poi i reportage (fa parte dell’agenzia foto giornalistica Magnum), i paesaggi, le sue ossessioni tematiche come gli specchi, gli animali, le cose e infine i ritratti dei suoi grandi amici, maestri del mondo dell’arte e della cultura come Leonardo Sciascia, Henri Cartier-Bresson, Jorge Louis Borges, solo per citarne alcuni. “Una grande mostra antologica come questa di Palermo, a settantacinque anni, è per un fotografo un complesso, affascinante e forse anche arbitrario viaggio nei cinquant’anni del proprio lavoro e nella memoria. Ecco già due parole chiave di questa mostra e del libro che l’accompagna: Memoria e Viaggio. La terza, fondamentale, è Racconto. Oltre 180 fotografie divise in tre grandi corpi, articolati in diciannove diversi temi. Questo tenta di essere questa mostra, un Racconto, un Viaggio nella Memoria. La storia di un fotografo in oltre mezzo secolo di fotografia”, dichiara Ferdinando Scianna. Avendo deciso di raccogliere in questa mostra la più ampia antologia dei suoi lavori fotografici, con la solita e spiccata autoironia, Ferdinando Scianna, in apertura del percorso espositivo, sceglie un testo di Giorgio Manganelli: “Una antologia è una legittima strage, una carneficina vista con favore dalle autorità civili e religiose. Una pulita operazione di sbranare i libri che vanno per il mondo sotto il nome dell’autore per ricavarne uno stufato, un timballo, uno spezzatino…” Ferdinando Scianna del suo lavoro scrive: come fotografo mi considero un reporter. Come reporter il mio riferimento fondamentale è quello del mio maestro per eccellenza, Henri Cartier-Bresson, per il quale il fotografo deve ambire ad essere un testimone invisibile, che mai interviene per modificare il mondo e gli istanti che della realtà legge e interpreta. Ho sempre fatto una distinzione netta tra le immagini trovate e quelle costruite. Ho sempre considerato di appartenere al versante dei fotografi che le immagini le trovano, quelle che raccontano e ti raccontano, come in uno specchio. Persino le fotografie di moda le ho sempre trovate nell’azzardo degli incontri con il mondo.

21 febbraio – 28 luglio 2019 – Palermo, Galleria d’arte Moderna

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Tina – Tina Modotti

La mostra Tina è un progetto ideato da Bonanni Del Rio Catalog in collaborazione con Reinhard Schultz della Galerie Bilderwelt di Berlino e inaugurerà il 7 marzo nello spazio BDC28, in borgo delle Colonne 28 a Parma. L’intento è quello di far conoscere Tina, donna emancipata e indipendente, ma soprattutto quello di celebrare la sua arte, rimasta a volte un po’ in ombra rispetto alla sua appassionante vicenda biografica. La scelta di celebrare Tina e la sua arte in occasione della festa della donna non è casuale, in quanto ancora oggi rappresenta un’icona di indipendenza ed emancipazione femminile. In tutto 80 scatti illustreranno la ricerca fotografica dagli inizi del suo breve percorso intorno agli anni ’20 del secolo scorso, in un Messico ricco di fermenti artistici e sociali, fino alle ultime foto scattate a Berlino nel 1930. Chiude la mostra l’omaggio all’artista di tre giovani fotografe parmigiane: Noemi Martorano, Alessia Leporati, e Chuli Paquin con una piccola selezione di loro opere, renderanno omaggio al talento di Tina Modotti. Il nuovo catalogo realizzato per la mostra contiene tutte le fotografie in esposizione e i contributi Tina Modotti: il mondo come geometria e lunga durata di Gloria Bianchino e I fuochi, le ombre, i silenzi di Pino Cacucci. L’esposizione proseguirà fino al 7 aprile con ingresso gratuito.

Dal 7 marzo al 7 aprile – Spazio BDC 41 – Parma

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Surrealist Lee Miller

Palazzo Pallavicini e ONO arte contemporanea sono lieti di presentare la mostra “Surrealist Lee Miller”, la prima personale italiana dedicata ad una delle fotografe più importanti del Novecento. Lanciata da CondéNast, sulla copertina di Vogue nel 1927, Lee Miller fin da subito diventa una delle modelle più apprezzate e richieste dalle riviste di moda. Molti i fotografi che la ritraggono – Edward Steichen, George Hoyningen-Huene o Arnold Genthe – e innumerevoli i servizi fotografici di cui è stata protagonista, fino a quando – all’incirca due anni più tardi – la Miller non decide di passare dall’altra parte dell’obiettivo. Donna caparbia e intraprendente, rimane colpita profondamente dalle immagini del fotografo più importante dell’epoca, Man Ray, che riesce ad incontrare diventandone modella e musa ispiratrice. Ma, cosa più importante, instaura con lui un duraturo sodalizio artistico e professionale che assieme li porterà a sviluppare la tecnica della solarizzazione. Amica di Picasso, di Ernst, Cocteau, Mirò e di tutta la cerchia dei surrealisti, Miller in questi anni apre a Parigi il suo primo studio diventando nota come ritrattista e fotografa di moda, anche se il nucleo più importante di opere in questo periodo è certamente rappresentato dalle immagini surrealiste, molte delle quali erroneamente attribuite a Man Ray. A questo corpus appartengono le celebri Nude bentforwardCondom e Tanja Ramm under a belljar, opere presenti in mostra, accanto ad altri celebri scatti che mostrano appieno come il percorso artistico di Lee Miller sia stato, non solo autonomo, ma tecnicamente maturo e concettualmente sofisticato. Dopo questa prima parentesi formativa, nel 1932 Miller decide di tornare a New York per aprire un nuovo studio fotografico che, nonostante il successo, chiude due anni più tardi quando per seguire il marito – il ricco uomo d’affari egiziano Aziz Eloui Bey – si trasferisce al Cairo. Intraprende lunghi viaggi nel deserto e fotografa villaggi e rovine, iniziando a confrontarsi con la fotografia di reportage, un genere che Lee Miller porta avanti anche negli anni successivi quando, insieme a Roland Penrose – l’artista surrealista che sarebbe diventato il suo secondo marito – viaggia sia nel sud che nell’est europeo. Poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel 1939, lascia l’Egitto per trasferirsi a Londra, ed ignorando gli ordini dall’ambasciata americanadi tornare in patria, inizia a lavorare come fotografa freelance per Vogue. Documenta gli incessanti bombardamenti su Londra ma il suo contributo più importante arriverà nel 1944 quando è corrispondente accreditata al seguito delle truppe americane e collaboratrice del fotografo David E. Scherman per le riviste “Life” e “Time”.

Fu lei l’unica fotografa donna a seguire gli alleati durante il D-Day, a documentare le attività al fronte a durante la liberazione. Le sue fotografie ci testimoniano in modo vivido e mai didascalico l’assedio di St. Malo, la Liberazione di Parigi, i combattimenti in Lussemburgo e in Alsazia e, inoltre, la liberazione dei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald. È proprio in questi giorni febbrili che viene fatta la scoperta degli appartamenti di Hitler a Monaco di Baviera ed è qui che scatta quella che probabilmente è la sua fotografia più celebre: l’autoritratto nella vasca da bagno del Führer. Dopo la guerra Lee Miller ha continuato a scattare per Vogue per altri due anni, occupandosi di moda e celebrità, ma lo stress post traumatico riportato in seguito alla permanenza al fronte contribuì al suo lento ritirarsi dalla scena artistica, anche se il suo apporto alle biografie scritte da Penrose su Picasso, Mirò, Man Ray e Tapies fu fondamentale, sia come apparato fotografico che aneddotico. La mostra (14 marzo – 9 giugno 2019), organizzata da Palazzo Pallavicini e curata da ONO arte contemporanea, si compone di 101 fotografie che ripercorrono l’intera carriera artistica della fotografa, attraverso quelli che sono i suoi scatti più famosi ed iconici. 

14 marzo – 9 giugno 2019 –  Bologna Palazzo Pallavicini

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Robert Frank’s America

Danziger Gallery is pleased to announce an exhibition devoted to the American photographs of Robert Frank, his best known and arguably most important work. The exhibition will be comprised of 40 photographs – 15 from Frank’s seminal book “The Americans” (now celebrating the 60thanniversary of its American publication) and 25 unpublished works from Frank’s travels at the time. Born in Zurich in 1924, Frank began his career in photography in the mid-1940s before emigrating to America in 1947. As an immigrant, Frank was fascinated by America and after his first travels around the country he applied for a Guggenheim Fellowship to fund a longer and deeper journey around all parts of the country. In his proposal to the Guggenheim Foundation Frank wrote: “The photographing of America is a large order – read at all literally, the phrase would be an absurdity.” The “total production” of such a project, he added, would be “voluminous.” However surprisingly the proposal was accepted and Frank embarked on a two-year journey around America during which he took over 28,000 photographs. Eighty-three of the images were subsequently published in the book “The Americans” — widely recognized as one of the greatest photography books ever published. What Frank brought to the medium was an improvisational quality that saw the world in a different but more truthful way than the commonly perceived visual clichés of his time. While the often dark and idiosyncratic nature of his vision shocked many people, it led the way to much of what has followed in photography. Sarah Greenough, senior curator of photography at the National Gallery of Art in Washington noted: “Frank revealed a people who were plagued by racism, ill-served by their politicians, and rendered increasingly numb by the rising culture of consumerism. But it’s also important to point out that he found new areas of beauty in those simple, overlooked corners of American life – in diners, or on the street. He pioneered a whole new subject matter that we now define as icons: cars, jukeboxes, even the road itself. All of these things, coupled with his style – which is seemingly intuitive, immediate, and off-kilter – were radically new at the time.” As with every photo editing process, out of necessity many great photographs were left out of “The Americans”, but rather than being forgotten, Frank chose to print these images in the same 11 x 14 inch format as the ones included in the book. There were no plans to ever publish a second volume, but from the quality of the unpublished images we will be exhibiting, it is clear there would have been little drop-off in quality. About the prints: By the late 1970s, Frank had turned his primary attention away from photography to film making and in order to fund both his life and his Film work, in 1978 he sold his existing archive of vintage prints along with many hundreds of prints made to complete the transaction. The prints exhibited here all come from that purchase — the largest collection of this most important figure in the history of the medium. They are either vintage prints (printed at approximately the same time as they were taken) or printed no later than 1978 by Sid Kaplan who made most of Robert Franks prints for three decades.

February 9 – March 31, 2019 – Danziger Gallery – New York

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Wildlife Photographer of the Year

La grande fotografia naturalistica in scena al Forte di Bard. Ancora una volta tocca al Forte di Bard l’onore di ospitare l’anteprima italiana della nuova edizione della mostra legata al prestigioso concorso fotografico Wildlife Photographer of the Year 2018. L’esposizione è in programma dal 2 febbraio al 2 giugno 2019. Il fotografo olandese Marsel van Oosten ha vinto l’ambito titolo Wildlife Photographer of the Year 2018 per il suo straordinario scatto, The Golden Couple, che raffigura due scimmie dal naso dorato nella foresta temperata delle montagne cinesi di Qinling, l’unico habitat per queste specie a rischio di estinzione. Il ritratto vincente coglie la bellezza e la fragilità della vita sulla terra oltre che uno scorcio di alcuni degli straordinari – ma facilmente riconoscibili – esseri con cui condividiamo il nostro pianeta. Il sedicenne Skye Meaker ha ricevuto il premio per Young Wildlife Photographer of the Year 2018 con il suo affascinante scatto di un leopardo che si sveglia dal sonno nella Mashatu Game Reserve, nel Botswana. Sette i fotografi italiani premiati in categorie quali ad esempio Fauna selvatica urbana, Ambiente terrestre, Animali nel loro ambiente e Ritratti di animali.

2 Febbraio 2019 – 2 Giugno 2019 – Forte di Bard Aosta

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Behind the Glass – Gianmarco Maraviglia

“Behind the Glass” è un lungo progetto di documentazione e di ricerca che esplora gli ambienti ricostruiti dall’uomo per gli animali nelle più grandi strutture europee. Un’indagine visiva e visionaria, a volte distopica e futuristica, sul rapporto di fruizione degli spazi creati ad immagine della realtà, attraverso lo studio attento della natura o dell’immaginario comune della realtà, per esseri viventi nati in ambiente controllato. “Behind the Glass” esplora il confine sottile tra verità e ricostruzione, dal punto di vista di chi potrà capirne la differenza, come in una metafora del reale e del contemporaneo, in cui la costruzione del verosimile diventa realtà de facto. Le immagini in mostra a Milano si riferiscono all’Acquario di Genova, il più grande d’Europa e una delle principali attrazioni turistiche. Gianmarco Maraviglia durante il suo lavoro, ha avuto eccezionalmente accesso a tutte le aree chiuse al pubblico per documentare la macchina operativa che permette il funzionamento della struttura.

dal 14 febbraio al 14 marzo 2019 – Officine Fotografiche Milano

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Zanele Muholi “Nobody can love you more than you”

La Galleria del Cembalo, propone fino al 6 aprile 2019, una selezione di una ventina di opere fotografiche dell’attivista visiva sudafricana Zanele Muholi. Nata a Umlazi, Durban, Muholi vive a Johannesburg. Nelle parole dell’artista l’obbiettivo della sua ricerca è “riscrivere una storia visiva del Sudafrica dal punto di vista della comunità nera, lesbica e trans, affinché il mondo conosca la nostra resistenza ed esistenza in un periodo in cui i crimini generati dall’odio sono all’apice, in Sudafrica e non solo”. Attingendo al linguaggio del teatro l’artista interpreta vari personaggi e archetipi, utilizzando parrucche, costumi e oggetti di uso quotidiano, dalle mollette per stendere i panni, alle pagliette di metallo per pulire le pentole, alle cannucce per le bibite, alle grucce per appendere gli abiti. Contrastando la sua pelle, e a volte schiarendosi le labbra, accentua le proprie caratteristiche fisiche per riaffermare la sua identità. Guardando negli occhi della sua auto-rappresentazione, in tutto il suo riflettere di nero splendore, molti di noi potrebbero trovarsi a distogliere lo sguardo velocemente, per imbarazzo o per soggezione di fronte all’intensità del suo sguardo. Stare davanti a una qualsiasi delle sue fotografie richiede quindi, prima di tutto, un esercizio individuale di autovalutazione e di analisi profonda nei confronti di una persona che si è messa nuda di fronte alla lente dell’obiettivo e che ha messo a nudo le sue istanze. Quasi fosse una marea asincrona, dopo una prima suggestione, arriva quindi alla mente dell’osservatore un secondo livello di riflessione, più razionale, circa le motivazioni che sostengono questo sacrificio individuale così poco negoziabile, relativo al significato politico delle sue immagini. Per capirlo è necessario chiedersi cosa provi una minoranza nel vivere ogni giorno la propria condizione sia fisica e reale, sia percettiva e ambientale, sintetizzata da Zanele Muholi in: «You live as a black person for 365 days». La mostra è stata realizzata in collaborazione con Tosetti Value, il Family Office.

Dal 9 febbraio al 6 aprile 2019 – Galleria del Cembalo Roma

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Sol de Mayo – El gaucho y la ganaderia – Gianluca Colonnese

Dal 23 febbraio al 16 marzo Villa Brivio ospita la mostra “Sol de Mayo – El gaucho y la ganaderia” di Gianluca Colonnese, promossa dalla Libera accademia di Pittura e curata da Raoul Iacometti, autore dell’anno 2015 FIAF. Inaugurazione 23 febbraio ore 17.

La mostra racconta il viaggio del fotografo tra la Pampa argentina, la città di Buenos Aires e San Pedro. Un viaggio tra sguardi, usanze e riti che riportano alla cultura gauchesca. Se si pensa all’Argentina, non si può di certo prescindere dalla figura del Gaucho, lo storico Cowboy della Pampa. Questo personaggio a tratti romantico ha origini antiche: si crede esista dal 1700 DC e, per come lo conosciamo oggi, sia una miscela di tradizioni spagnole, arabe ed aborigene; il suo stesso nome deriva dall’arabo e significa “Uomo a cavallo”. Tra le caratteristiche principali dei Gauchos emergono la loro fede nella religione Cattolica ed il loro amore per i cavalli e per la musica folkloristica Argentina. La notorietà della carne argentina la si deve soprattutto al loro duro lavoro ed al costante mantenimento delle antiche tradizioni di allevamento del bestiame. Colonnese ha cercato di cogliere l’essenza della tradizione gauchesca partendo dai pascoli sterminati che profumano di libertà, attraverso le aste del bestiame ed ancora passando dalle macellerie nel cuore di Buenos Aires, dove la carne arriva in piena notte. Racconta: << Sono stato accolto nelle loro case come una persona di famiglia. Mi chiamano Tano, come d’altronde fanno in maniera simpatica con chi ha origini italiane. Vivono a stretto contatto con la natura ed ancora tutto funziona in maniera “feudale”. Quando per esempio si parla del proprietario terriero, ci si toglie il cappello a modo di rispetto. Ho trovato quella semplicità, amore per la famiglia e per la propria terra, che mi ha fatto comprendere ancor di più quanto tutto quello che ho documentato fosse importante>>.

Dal 23 febbraio al 16 marzo –  Villa Brivio, Nova Milanese

Humanity without borders – Nuccio Zicari

S’intitola “Humanity without borders”, ossia “Umanità senza confini”, ed è la mostra fotografica realizzata da Nuccio Zicari allestita alla FAM Gallery di Agrigento, dal 16 febbraio e fino al 24 marzo. Inaugurazione sabato 16, ore 17.30.

Selezionati dall’autore, sono venticinque scatti nella nuda verità del bianco e nero raccolti tra il 2015 e il 2017 nell’hotspot di Porto Empedocle (AG), dove centinaia di volontari si sono impegnati ad accogliere, accudire, visitare, medicare, ascoltare i migranti in fuga da guerre, fame e povertà. 

Accompagnano l’esposizione, nel catalogo bilingue, i testi del fotoreporter Tony Gentile, del fotografo e raffinato ritrattista Franco Carlisi, del giornalista e scrittore Gaetano Savatteri e degli storici dell’arte Giuseppe Frazzetto e Dario La Mendola.  “Le fotografie di Zicari – spiega Franco Carlisi – sanno creare un intervallo di silenzio dentro di noi, un pensiero inquieto che ferma e sospende i nostri giudizi, incrina le nostre certezze e alimenta un moto di civile risentimento. Non vi è nulla – in queste immagini – dell’imponente architettura stilistica che caratterizza buona parte dei lavori dei reporter contemporanei. Le fotografie di Nuccio accettano la sfida della realtà. Lo spirito etico che guida la sfera creativa del fotografo punta a comunicare una toccante verità umana con nitida limpidezza, senza orpelli linguistici.”

Paolo Minacori, direttore della FAM Gallery, racconta il progetto espositivo: “Era indispensabile trovare un “diaframma” che consentisse la giusta profondità di campo: dare testimonianza degli avvenimenti e mettere bene a fuoco il lavoro di Zicari, la sua ricerca di un linguaggio personale e di una cifra stilistica che pur restituendo il dramma contemporaneo non si mostrasse mai scontata o evocativa.”

Trentatrè anni, medico di professione, fotografo per vocazione (con una laurea specifica a Milano), Zicari spiega così il fotoreportage di “Humanity without borders”: “Le mie foto non vogliono puntare l’attenzione sul problema o rintracciarne i responsabili; ma essere piuttosto un invito alla riflessione, a considerare il lato umano di questi uomini, donne, bambini, famiglie. Che piangono, cantano, ridono, sanguinano come noi, ma a differenza nostra, spesso non hanno la possibilità di scegliere. La vita è un dono identico per tutti e chiunque dovrebbe avere il diritto di scegliere come darle un senso”.

Dal 16 Febbraio 2019 al 24 Marzo 2019 – Fam Gallery – Agrigento

Other Identity

Giunta alla sua seconda edizione Other Identity desidera decifrare un fenomeno ormai diffuso che ha cambiato radicalmente il modo di “vivere” e “interpretare” la nostra immagine, costantemente esibita e pubblicizzata: il nostro modo di autoritrarci e di presentarci al mondo, la spettacolarizzazione di un privato che si trasforma in pubblico attraverso i social media, creando nuove forme di identità in continua trasformazione. “Other Identity” vuole essere una tappa di un progetto espositivo, che funga da cartina al tornasole capace di misurare di volta in volta lo stato di una nuova grammatica narrativa, di nuove forme di interpretazione della nostra immagine. A confrontarsi sul tema dell’identità e dell’autorappresentazione sono artisti italiani e stranieri uniti da una comune piattaforma emotiva e tematica, dalla quale poi sfociano ricerche personali ben distinte, e dal comune linguaggio fotografico. Una nostra peculiarità è quella di presentare artisti per la maggior parte inediti per la città per favorire e stimolare la conoscenza del loro lavoro e l’interesse del pubblico. La fotografia è qui il medium privilegiato in ogni sua forma, sia essa analogica o digitale, utilizzata attraverso reflex professionali o smartphone, usata sempre con consapevolezza e coerenza dall’artista che la piega alla propria ricerca personale, senza abusare di quelle post-produzioni spesso impiegate per mascherare un’inesistente qualità dell’immagine. Il comune denominatore dei nostri artisti è la loro “onestà intellettuale” nel senso di un consapevole, intelligente, lucido, semplice uso del mezzo espressivo, a tratti brutale nella sua desolante rappresentazione del reale, spesso filtrato da emotività malinconiche e sognanti, crudo iper-realismo, graffiante autobiografia, esibizionismo pubblicitario e complesse dinamiche di intimità familiari. Non è corretto parlare di “artisti selezionati”, ma di artisti che si sono scelti, avvicinati con quell’istinto “animale” che ci fa riconoscere i nostri simili anche in cattività, identificare una piattaforma emotiva comune da cui poi sfociano ricerche personali ben distinte legate però da questa tematica di fondo.

9 – 23 Marzo 2019 | GENOVA – Galleria ABC-ARTE, Galleria Guidi&Schoen-Arte Contemporanea, PRIMO PIANO di Palazzo Grillo, Sala Dogana-Palazzo Ducale

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Body Island Project – Photography, Performance & Multimedia

Segnaliamo che questo evento è in chiusura il 3 marzo.

Il 15 febbraio 2019 alle 19:00 Magazzini Fotografici presenta Body Island Project. Dopo il suo esordio nell’agosto 2018 a Capri nella suggestiva location di Villa Lysis, un tempo dimora del barone Fersen, il progetto arriva a Magazzini Fotografici con una mostra che sarà in allestimento dal 15 febbraio al 3 marzo ed una performance che unisce danza e video, replicata il 23 febbraio e il 2 marzo alle 19:30. Body Island Project è una performance itinerante, un’immersione poetica in un percorso spaziale ed emotivo nel quale il pubblico ha l’occasione di attraversare, percepire, osservare, conoscere alcune tracce dell’intimo rapporto tra corpo e isola. Fotografia, video e danza sono le voci narranti attraverso le quali il visitatore può cogliere questa relazione unica grazie ad una creazione artistica site-specific. Un quadro nel quadro, in un dialogo multimediale sulla bellezza, la luce, il tempo, la fragilità, l’anima e la carne, entrando e uscendo da verità e finzione, realtà e poesia. Il progetto Body Island è creato e realizzato da un team di 4 professionisti: l’idea, la regia e la coreografia sono a cura di Sara Lupoli; la direzione artistica è a cura di Roberta Fuorvia; la fotografia è di Valeria Laureano e i multimedia di Giuseppe Riccardi.

dal 15 febbraio al 3 marzo – Magazzini Fotografici – Napoli

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