Ciao, di seguito le mostre segnalate per il mese di febbraio.
Buona visione!
Anna
JOAN FONTCUBERTA. CULTURA DI POLVERE
Joan Fontcuberta. Cultura di polvere inaugura la stagione espositiva al Museo Fortuny di Venezia, ospitando dal 24 gennaio al 10 marzo 2024 le dodici light box realizzate da Joan Fontcuberta: esito del dialogo dell’artista catalano con le straordinarie collezioni storiche dell’ICCD di Roma, Istituto nato a fine Ottocento come Gabinetto Fotografico per documentare il patrimonio culturale con fini di tutela e catalogazione.
Una mostra che, riproposta a Venezia, a Palazzo Fortuny, rievoca non solo la comune nazionalità tra l’artista e il “padrone di casa” ma, soprattutto, il profondo legame di questo luogo con la fotografia, dalle sperimentazioni di Mariano Fortuny y Madrazo al suo ricchissimo archivio qui custodito, poi centro d’avanguardia della fotografia negli anni Settanta e Ottanta.
Tra le manifestazioni più importanti legate al Museo Fortuny non si può non ricordare Venezia ’79. La Fotografia, nata dalla collaborazione tra International Center of Photography di New York, UNESCO e comune di Venezia. Un evento mediatico senza eguali, unico in Europa per genere e dimensioni, con venticinque mostre in città, seminari, conferenze, laboratori e workshop, che aveva come centro dell’attività formativa Palazzo Fortuny. A questo appuntamento epocale prende parte anche Joan Fontcuberta che, appena ventiquattrenne, è tra i protagonisti della mostra Fotografia europea contemporanea ai Magazzini del Sale, curata da Sue Davis, Jean-Claude Lemagny, Alan Porter e Daniela Palazzoli.
L’esposizione al Museo Fortuny riporta così l’eco di un sentimento che si aggiunge al lavoro dell’artista come uno strato di storia e di memoria.
Joan Fontcuberta. Cultura di polvere è nato nell’ambito del programma ICCD Artisti in residenza a cura di Francesca Fabiani, in cui Fontcuberta ha scelto di operare su alcune lastre fotografiche deteriorate provenienti dal Fondo Chigi, punto di partenza per una serie di sperimentazioni visive e linguistiche. Rampollo di una delle casate nobiliari più ricche e potenti della storia, il principe Francesco Chigi Albani della Rovere (1881-1953), naturalista e fotografo amatoriale, nel corso delle sue sperimentazioni approda spesso a soluzioni sorprendenti che ben dialogano con l’intelligenza provocatoria e ironica di Fontcuberta. Un incontro di personalità che dalla polvere d’archivio – evocata dal titolo che rimanda alla celebre opera di Marcel Duchamp e Man Ray del 1920 Élevage de poussière – ha prodotto nuove opere in una prospettiva contemporanea.
Attraverso un procedimento di tipo surrealista che consiste nel prelievo/appropriazione di elementi già dati – in questo caso un frammento della lastra – Fontcuberta ha compiuto il suo atto creativo, restituendo immagini quasi astratte eppure reali; paesaggi poco plausibili, assolutamente non manipolati, che appaiono nel display delle light box. I materiali su cui ha lavorato l’artista, se da un lato perdono memoria, dall’altro acquisiscono nuova fisionomia attraverso i tanti segni che il passare del tempo vi ha lasciato: graffi, lacune e, talvolta, batteri e funghi proliferati grazie all’ambiente chimicamente accogliente dell’emulsione di gelatina ai sali d’argento. Nuovi paesaggi che si sommano al soggetto originario della fotografia, visibile in controluce.
Come spiega l’autore: Questo lavoro analizza l’agonia materiale della fotografia. La fotografia è un dispositivo di memoria legato alla materia. Il suo deterioramento materiale genera una fotografia paradossalmente “amnesica”, senza più memoria.
La mostra è promossa dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma in collaborazione con Fondazione Musei Civici di Venezia.
Il progetto è vincitore del PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Le opere in mostra sono entrate a far parte delle collezioni di fotografia contemporanea dell’ICCD e sono presentate nell’omonimo libro d’artista Joan Fontcuberta. Cultura di polvere, edito da Danilo Montanari Editore con testi di Francesca Fabiani, David Campany e Joan Fontcuberta e con la grafica di TomoTomo.
Dal 24 Gennaio 2024 al 10 Marzo 2024 – Museo Fortuny Venezia
MARTIN PARR. SHORT & SWEET
Continua la collaborazione con Magnum Photos e la fotografia di reportage e documentaria attraverso la mostra Short & Sweet di Martin Parr, che presenta oltre 200 scatti tra cui oltre 60 tra medi e piccoli formati scelti e selezionati dall’autore e presentati insieme a un’intervista inedita a cura della storica e critica della fotografia Roberta Valtorta, a ripercorrere la carriera di uno dei più famosi fotografi contemporanei.
Attraverso un percorso dentro i progetti più noti, l’inedito stile documentario del fotografo inglese diventa cartina tornasole per osservare la società contemporanea e le sue pieghe più contraddittorie, senza filtri e fuori dalla retorica. A partire dai primi lavori in bianco e nero si arriva ai temi cari a Parr – dalle ‘vite da spiaggia’ al turismo. In mostra anche una selezione dell’installazione Common Sense, con oltre 200 fotografie in formato A3, tra le 350 esposte nella mostra omonima del 1999 che esplorano la realtà plastificata e pacchiana del mondo occidentale.
Dal 10 Febbraio 2024 al 30 Giugno 2024 – Mudec – Museo delle Culture – Milano
ROBERT CAPA E GERDA TARO: LA FOTOGRAFIA, L’AMORE, LA GUERRA
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia presenta la mostra Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra nelle sale del Centro espositivo di via delle Rosine a Torino dal 14 febbraio al 2 giugno 2024.
Un’altra grande mostra – dopo le personali dedicate a Dorothea Lange e André Kertész – che racconta con circa 120 fotografie uno dei momenti cruciali della storia della fotografia del XX secolo, il rapporto professionale e affettivo fra Robert Capa e Gerda Taro, tragicamente interrottosi con la morte della fotografa in Spagna nel 1937.
Fuggita dalla Germania nazista lei, emigrato dall’Ungheria lui, Gerta Pohorylle e Endre – poi francesizzato André – Friedmann (questi i loro veri nomi) si incontrano a Parigi nel 1934, e l’anno successivo si innamorano, stringendo un sodalizio artistico e sentimentale che li porta a frequentare i cafè del Quartiere Latino ma anche ad impegnarsi nella fotografia e nella lotta politica. In una Parigi in grande fermento ma invasa da intellettuali e artisti da tutta Europa, trovare committenze è però sempre più difficile. Per cercare di allettare gli editori, è Gerta a inventarsi il personaggio di Robert Capa, un ricco e famoso fotografo americano arrivato da poco nel continente, alter ego con il quale André si identificherà per il resto della sua vita. Anche lei cambia nome e assume quello di Gerda Taro.
L’intensa stagione di fotografia, guerra e amore di questi due straordinari personaggi è narrata nella mostra di CAMERA – curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi – attraverso le fotografie di Gerda Taro e quelle di Robert Capa, nonché dalla riproduzione di alcuni provini della celebre “valigia messicana”, contenente 4.500 negativi scattati in Spagna dai due protagonisti della mostra e dal loro amico e sodale David Seymour, detto “Chim”. La valigia, di cui si sono perse le tracce nel 1939 – quando Capa l’ha affidata a un amico per evitare che i materiali venissero requisiti e distrutti dalle truppe tedesche – è stata ritrovata solamente nel 2007 a Mexico City, permettendo di attribuire correttamente una serie di immagini di cui fino ad allora non era chiaro l’autore o l’autrice.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da Dario Cimorelli Editore con testi dei curatori.
Dal 14 Febbraio 2024 al 02 Giugno 2024 – CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia -Torino
Brassaï. L’occhio di Parigi
“Questo fotografo, pittore, scultore e scrittore sapeva vedere tutto e, grazie alla sola virtù della sua attenzione, dava alla realtà una qualità e un’aderenza che rendevano il mondo allo stesso tempo più strano e meno estraneo.” Roger Grenier
Dal 23 febbraio al 2 giugno Palazzo Reale presenta la mostra “Brassaï. L’occhio di Parigi”, promossa da Comune di Milano – Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Silvana Editoriale, realizzata in collaborazione con l’Estate Brassaï Succession.
La retrospettiva è curata da Philippe Ribeyrolles, studioso e nipote del fotografo che detiene un’inestimabile collezione di stampe di Brassaï e un’estesa documentazione relativa al suo lavoro di artista.
La mostra presenterà più di 200 stampe d’epoca, oltre a sculture, documenti e oggetti appartenuti al fotografo, per un approfondito e inedito sguardo sull’opera di Brassaï, con particolare attenzione alle celebri immagini dedicate alla capitale francese e alla sua vita.
Le sue fotografie dedicate alla vita della Ville Lumière – dai quartieri operai ai grandi monumenti simbolo, dalla moda ai ritratti degli amici artisti, fino ai graffiti e alla vita notturna – sono oggi immagini iconiche che nell’immaginario collettivo identificano immediatamente il volto di Parigi.
Ungherese di nascita – il suo vero nome è Gyula Halász, sostituito dallo pseudonimo Brassaï in onore di Brassó, la sua città natale -, ma parigino d’adozione, Brassaï è stato uno dei protagonisti della fotografia del XX secolo, definito dall’amico Henry Miller “l’occhio vivo” della fotografia.
In stretta relazione con artisti quali Picasso, Dalí e Matisse, e vicino al movimento surrealista, a partire dal 1924 fu partecipe del grande fermento culturale che investì Parigi in quegli anni.
Brassaï è stato tra i primi fotografi, in grado di catturare l’atmosfera notturna della Parigi dell’epoca e il suo popolo: lavoratori, prostitute, clochard, artisti, girovaghi solitari.
Nelle sue passeggiate, il fotografo non si limitava alla rappresentazione del paesaggio o alle vedute architettoniche, ma si avventurava anche in spazi interni più intimi e confinati, dove la società si incontrava e si divertiva.
È del 1933 il suo volume Paris de Nuit (Parigi di notte), un’opera fondamentale nella storia della fotografia francese.
Le sue fotografie furono anche pubblicate sulla rivista surrealista “Minotaure”, di cui Brassaï divenne collaboratore e attraverso la quale conobbe scrittori e poeti surrealisti come Breton, Éluard, Desnos, Benjamin Péret e Man Ray.
“Esporre oggi Brassaï significa – afferma Philippe Ribeyrolles, curatore della mostra – rivisitare quest’opera meravigliosa in ogni senso, fare il punto sulla diversità dei soggetti affrontati, mescolando approcci artistici e documentaristici; significa immergersi nell’atmosfera di Montparnasse, dove tra le due guerre si incontravano numerosi artisti e scrittori, molti dei quali provenienti dall’Europa dell’Est, come il suo connazionale André Kertész. Quest’ultimo esercitò una notevole influenza sui fotografi che lo circondavano, tra cui lo stesso Brassaï e Robert Doisneau.”
Brassaï appartiene a quella “scuola” francese di fotografia che fu definita “umanista”, per la grande attenzione che l’artista riservò ai protagonisti di gran parte dei suoi scatti. In realtà, l’arte di Brassaï andò ben oltre la “fotografia di soggetto”: la sua esplorazione dei muri di Parigi e dei loro innumerevoli graffiti, ad esempio, testimonia il suo legame con le arti marginali e l’art brut di Jean Dubuffet.
Nel corso della sua carriera il suo originale lavoro viene notato da Edward Steichen, che lo invita a esporre al Museum of Modern Art (MoMA) di New York nel 1956: la mostra “Language of the Wall. Parisian Graffiti Photographed by Brassaï” riscuote un enorme successo.
I legami di Brassaï con l’America si concretizzano anche in una assidua collaborazione con la rivista “Harper’s Bazaar”, di cui Aleksej Brodovič fu il rivoluzionario direttore artistico dal 1934 al 1958. Per “Harper’s Bazaar” il fotografo ritrae molti protagonisti della vita artistica e letteraria francese, con i quali era solito socializzare. I soggetti ritratti in quest’occasione saranno pubblicati nel volume Les artistes de ma vie, del 1982, due anni prima della sua morte.
Brassaï scompare il 7 luglio 1984, subito dopo aver terminato la redazione di un libro su Proust al quale aveva dedicato diversi anni della sua vita.
È sepolto nel cimitero di Montparnasse, nel cuore della Parigi che ha celebrato per mezzo secolo.
23 febbraio – 2 giugno 2024 – Milano, Palazzo Reale
Ugo Mulas / I graffiti di Saul Steinberg a Milano
Nel 1961 Saul Steinberg realizza una straordinaria decorazione a graffito dell’atrio della Palazzina Mayer a Milano, su commissione dello Studio BBPR che ne seguiva la ristrutturazione. Un lavoro importante, che seguiva altre analoghe imprese compiute dal grande disegnatore e illustratore negli Stati Uniti nel corso del decennio precedente.
A lavoro compiuto, Steinberg chiede a un giovane Ugo Mulas di testimoniare l’opera, nella sua interezza e nei particolari. Per aiutare il fotografo nel suo lavoro, l’artista redige anche un breve testo che spiega l’iconografia e il senso del suo lavoro, una riflessione sul labirinto a partire dalla Galleria Vittorio Emanuele di Milano, città nella quale Steinberg aveva vissuto prima della guerra. Nel 1997 la palazzina sarà nuovamente ristrutturata, e i graffiti distrutti: oggi, di quello splendido intervento rimangono solo le fotografie di Ugo Mulas, capaci di restituire insieme il documento dell’opera e la sua interpretazione.
La mostra Ugo Mulas / I graffiti di Saul Steinberg a Milano, a cura di Archivio Ugo Mulas e Walter Guadagnini, sarà nella Project Room di CAMERA a partire dal 14 febbraio al 14 aprile 2024 e racconta quella vicenda, riproponendo in scala l’intera decorazione a partire dalle fotografie di Mulas. Una selezione di una trentina di fotografie – alcune vintage altre stampate per questa occasione – permettono di entrare in profondità nel lavoro di questi due grandi rappresentanti dell’arte del XX secolo, di apprezzare la fantasia iconografica steinberghiana e la lucidità poetica dell’occhio di Mulas.
14 febbraio – 14 aprile 2024 – CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia -Torino
Michele Pellegrino. Fotografie 1967-2023
La mostra Michele Pellegrino. Fotografie 1967-2023 – organizzata da CAMERA e Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo con la curatela di Barbara Bergaglio e un testo di Mario Calabresi – si compone di oltre 50 immagini del fotografo Michele Pellegrino (Chiusa Pesio, CN, 1924), una sintetica antologica dell’intero suo percorso creativo, tra montagne, ritualità, volti e momenti del mondo contadino, che narrano la passione di Pellegrino per la sua terra e per la fotografia. Insieme a queste, uno studio del paesaggio botanico e una selezione digitale dell’archivio completano l’esposizione. La mostra si basa infatti sulla catalogazione e sulla digitalizzazione effettuate da CAMERA sull’archivio del fotografo, acquisito dalla Fondazione CRC nell’ambito del progetto Donare.
14 febbraio – 14 aprile 2024 – CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia -Torino
GIOVANE FOTOGRAFIA ITALIANA | PREMIO LUIGI GHIRRI – GIULIA MANGIONE. THE FALL
Giulia Mangione è la vincitrice di Giovane Fotografia Italiana | Premio Luigi Ghirri 2023. Con il progetto The Fall presenta la sua ricerca fotografica dedicata all’esplorazione dei miti e credenze attorno al tema dell’Apocalisse e alla fine del mondo.
Da La Palma nelle isole Canarie agli Stati Uniti, fino all’isola greca di Patmos, dove è stato scritto il libro dell’Apocalisse, l’indagine della fotografa analizza come la società si prepara ad affrontare eventi potenzialmente catastrofici e come l’appartenenza a una comunità possa far sentire le persone più sicure e protette.
Giovane Fotografia Italiana | Premio Luigi Ghirri è un progetto promosso dal Comune di Reggio Emilia, di cui la nostra istituzione è partner dal 2022, dedicato alla scoperta e valorizzazione di talenti emergenti della fotografia in Italia.
Dal 17 Gennaio 2024 al 18 Febbraio 2024 – Triennale Milano
HUN – Julia Meinertsen
Nell’ambito di Art City 2024 in occasione di ARTEFIERA, Spazio Labo’ presenta HUN, progetto fotografico a lungo termine dell’artista danese Julia Mejnertsen realizzato dal 2013 al 2023 che rientra nell’attività di promozione dei talenti emergenti che contraddistingue da sempre l’operato di Spazio Labo’.
HUN è un’investigazione visiva delle relazioni familiari e delle nostre convinzioni a partire dal quanto mai controverso e problematico tema della caccia. Si tratta della prima pubblicazione internazionale di Mejnertsen.
HUN significa “lei” in danese: Mejnertsen imbastisce una narrazione complessa a partire da un processo di avvicinamento alla storia di sua madre, una cacciatrice professionista in Africa. La ricerca di Mejnertsen nasce come reazione a un commento della madre all’interno di un documentario sulla caccia grossa trasmesso dalla televisione pubblica danese: “La caccia è diventata la mia passione, non riesco ad averne abbastanza. Cacciare il tuo primo animale non è proprio come partorire la prima volta, ma ci si avvicina molto… ”.
Con HUN Julia Mejnertsen ci invita a rivisitare le nostre convinzioni e i nostri pregiudizi, raccontando una storia complessa e stratificata su come le società bianche occidentali hanno strutturato e plasmato la comprensione culturale del mondo naturale e animale.
I diversi capitoli del libro, in fase di pubblicazione per la casa editrice madrilena Dalpine, e la varietà di materiali utilizzati da Mejnertsen (fotografie, disegni, lettere, video, oggetti e testi) rivelano sfaccettature psicologiche di una relazione madre-figlia molto particolare e invitano chi legge a condividere i dubbi dell’autrice e le sue esitazioni rispetto al suo specifico universo di valori e pregiudizi.
Nel 2023 il dummy di HUN ha vinto il Fiebre Dummy Award e ha ricevuto una Menzione Speciale dalla Giuria del LUMA Rencontres Dummy Book Award di Arles, oltre ad essere stato finalista nei principali premi per i dummy dei libri fotografici dell’anno.
HUN sarà pubblicato dalla casa editrice madrilena Dalpine a febbraio 2024.
Dal 25 gennaio all’11 aprile 2024 – Spazio Labò Bologna
Wildlife Photographer of the Year n. 59
Sono stati annunciati i vincitori dell’edizione numero 59 del Wildlife Photographer of the Year, la mostra-concorso promossa dal Natural History Museum di Londra. Selezionate tra 49.957 proposte provenienti da 95 Paesi, le immagini premiate saranno esposte in anteprima per l’Italia al Forte di Bard, dal 3 febbraio al 2 giugno 2024. L’esposizione racconta la vita animale e le emergenze ambientali di tutto il mondo.
A vincere il titolo di fotografo naturalista dell’anno è stato il biologo e fotografo marino francese Laurent Ballesta, già vincitore nel 2021, grazie a una foto di un granchio a ferro di cavallo con tre piccole carangidi dorate. La mostra al Forte di Bard presenterà i 100 scatti premiati all’interno di light panels che le rendono ancora più belle ed emozionanti.
Tra i vincitori anche gli italiani Alessandro Falco (menzione speciale nella sezione Photojournalism), Barbara Dall’Angelo (menzione speciale nella sezione Zone umide), Bruno D’Amicis (menzione speciale nella categoria Arte naturale), Ekaterina Bee (vincitrice nella categoria 11-14 anni), Pietro Formis (menzione speciale nella sezione Ritratti animali).
Dal 3 febbraio al 2 giugno – Forte di Bard (AO)
GIULIA MARCHI. BILDUNGSROMAN
LABS Contemporary Art è lieta di presentare Bildungsroman, la seconda personale di Giulia Marchi in galleria, inedita ricerca fotografica che indaga il concetto di formazione attingendo dal percorso formativo intellettuale dell’artista che spazia dalla letteratura, alla pittura e alla cinematografia: in rigoroso ordine alfabetico, Antonello da Messina, Annunciata di Palermo (1475); Aby Warburg, Bilderatlas Mnemosyne (1929); Derek Jarman, Wittgenstein (1993); El Greco, Bartolomeo Apostolo(1614); Gilles Deleuze, L’immagine-tempo (1985); Henry David Thoreau, Walden ovvero Vita nei boschi(1854); James Joyce, Ritratto dell’artista da giovane (1916); Jean-Luc Nancy, Tre saggi sull’immagine(2002); Johann Wolfgang von Goethe, La vocazione teatrale di Wilhelm Meister (1785); Joris-Karl Huysmans, Controcorrente (1884); Lalla Romano, Una giovinezza inventata (1979); Lewis Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie (1865); Masolino da Panicale, Battesimo di Cristo (1435); Peter Jackson, Amabili Resti (2009); Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita (1954); Pier Vittorio Tondelli, Altri libertini(1980); Pontormo, Visitazione (1530); Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge (1910); Thomas Mann, La montagna incantata (1924); Virginia Woolf, Orlando (1928); Voltaire, Candido, o l’ottimismo (1760). Tutti Bildungsromane*.
La mostra aprirà al pubblico sabato 13 gennaio 2024 ed è accompagnata da un testo di Fabiola Triolo.
Dal 13 Gennaio 2024 al 02 Marzo 2024 – Labs Contemporary Art – Bologna
MARTHA ROCHER: RITRATTI D’ARTISTA
Nell’ambito del PRIN 2020 La fotografia femminista italiana, il MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea è lieto di presentare la mostra Martha Rocher: ritratti d’artista, a cura di Elisa Genovesi e Raffaella Perna, che inaugurerà il 16 gennaio e sarà visitabile fino al 18 febbraio 2024.
Si tratta della prima esposizione personale dedicata a Martha Rocher (Vienna, 1920 – Milano 1990), fotografa di origine austriaca che ha documentato il fervore del panorama artistico e culturale di Parigi, Milano e Venezia fra la fine degli anni Cinquanta e la prima metà dei Sessanta. La mostra propone oltre cento fotografie in bianco e nero relative a questa fase della sua carriera: all’epoca Martha Rocher frequenta realtà vivacissime, al centro della scena dell’arte sperimentale, come la galleria di Iris Clert a Parigi o il Cavallino di Venezia. Rocher gode infatti della stima di alcuni tra gli artisti più innovativi del secondo Novecento, tra cui Yves Klein, Jean Tinguely, Hundertwasser ed Emilio Vedova. La fotografa li ritrae al lavoro o nei loro atelier, e realizza alcuni scatti emblematici come, ad esempio, quelli di Yves Klein, nel suo studio, vestito da judoka o in posa davanti alle sue Antropometrie. Tra gli artisti e le artiste ritratti da Rocher troviamo inoltre alcuni tra i maggiori esponenti della prima avanguardia: Sonia Delaunay, Meret Oppenheim, Alberto Giacometti, André Breton, Oskar Kokoschka, Kees van Dongen. La mostra propone inoltre una selezione di cataloghi e materiali a stampa che documentano la circolazione pubblica di queste immagini. Completano l’esposizione alcune fotografie di carattere privato, appartenenti all’archivio della fotografa, insieme a vedute urbane di Parigi, altro soggetto ricorrente nella produzione di Rocher.
La mostra intende riscoprire e valorizzare il lavoro di una fotografa rimasta ai margini della storiografia, al fine di gettare luce sul ruolo delle donne nella cultura fotografica italiana. L’alta qualità dei ritratti esposti al MLAC dimostra infatti come l’attività fotografica di Rocher nasca, al pari di quella di autori della sua generazione come Mario Dondero o Ugo Mulas, dalla familiarità con gli artisti e da un’approfondita conoscenza dell’arte d’avanguardia. Il cono d’ombra caduto sull’opera di Rocher ci porta a riflettere sulle difficoltà incontrate dalle fotografe per affermarsi come professioniste entro un contesto socio-culturale sessista e sulla necessità di ridefinire e allargare il canone della storia della fotografia. Studiare l’opera di fotografe dimenticate o trascurate dagli studi, attive in Italia sino al 1980, è uno tra gli obiettivi del PRIN 2020 – La fotografia femminista italiana, progetto di ricerca condotto dall’Università di Bologna (Principal Investigator e Responsabile Unità di Ricerca, Prof.ssa Federica Muzzarelli), dall’Università di Parma (Responsabile Unità di Ricerca, Prof.ssa Cristina Casero); e da Sapienza Università di Roma (Responsabile Unità di Ricerca, Prof.ssa Raffaella Perna), in collaborazione con l’Università Roma Tre (Prof.ssa Lara Conte).
16 Gennaio – 18 Febbraio 2024 – MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea – Roma
MARCO GRASSO. MIMESIS. RITRATTI ANIMALI
Il Museo di Storia Naturale di Milano presenta la mostra Mimesis. Ritratti animali, promossa dal Comune di Milano – Cultura e dal Museo di Storia Naturale. ll patrocinio di WWF Italia conferisce a questo progetto espositivo una particolare missione nei confronti delle nuove generazioni in merito al tema della sostenibilità ambientale.
La mostra raccoglie un nucleo di dipinti recenti dell’artista Marco Grasso (classe 2000) dal carattere fortemente naturalistico, tipico della wildlife art. Si tratta in particolare di ritratti in acrilico su tela di animali colti in atteggiamenti o situazioni che fanno emergere le loro peculiarità fisiche e caratteriali. Tra i soggetti rappresentati si trovano alcune specie piuttosto conosciute, come la zebra, il leone, il lupo e la civetta, ma anche altre più rare e minacciate, come la tigre siberiana, il panda gigante e il leopardo delle nevi. I soggetti vengono isolati e colti in tutta la loro magnificenza e unicità attraverso lo strumento pittorico, analizzati nei minimi dettagli con uno sguardo fotografico.
Accanto alle opere iperrealistiche, verranno esposti anche alcuni ritratti realizzati in quattro monocromi (blu, verde, terra e rosso), che alludono a elementi ricorrenti in natura e uniscono simbolicamente tutte le opere in mostra come parte dello stesso habitat naturale. Gli animali ritratti escono dunque dalla visione di uno scatto fotografico nella dimensione astratta e concettuale della pittura contemporanea, dove ciò che si vede non è mai solo quello che si vede e si entra così in un percorso naturalistico immersivo che porta il visitatore a conoscerei segreti e i valori del mondo naturale mostrato attraverso le opere pittoriche e lo sguardo analitico di Marco Grasso.
Così la curatrice Elena Di Raddo racconta della particolare produzione artistica di Grasso: «I suoi dipinti descrivono nei minimi dettagli la “pelle” – per usare il termine in senso ampio ad indicare l’esterno, la superficie dei corpi – di animali selvaggi. Pellicce, piume, squame, carapaci sono indagati con il suo pennello in modo estremamente dettagliato, con una precisione tale da rendere quasi tattile la superficie dipinta.
Il naturalismo di Marco Grasso non è però da intendersi nel senso ottocentesco del termine, ma si tratta di una pittura che ha quale obiettivo la descrizione delle caratteristiche di corpi degli animali, fino a raggiungerne anche gli aspetti del loro carattere. Allo stesso tempo l’arte di Marco Grasso ha anche lo scopo di valorizzare la natura animale in tutti i suoi aspetti locali e globali. Per lui, come per tutti gli artisti dell’Artists for Conservation (AFC), descrivere gli animali, isolati dal loro contesto, con una precisione che suscita ammirazione per la complessità, varietà e bellezza della natura in tutte le sue forme, significa anche essere consapevoli del valore della natura e della necessità che venga preservata».
Dal 23 Gennaio 2024 al 24 Febbraio 2024 – Museo di Storia Naturale – Milano
BACKSTAGE. MIMMO CATTARINICH E LA MAGIA DEL FOTOGRAFO DI SCENA
I volti di grandi attori e registi della storia del cinema internazionale come Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Bernardo Bertolucci, Anthony Quinn, Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Capucine, Catherine Deneuve, Roberto Benigni, Claudia Cardinale, Maria Callas ma anche protagonisti contemporanei come Giuseppe Tornatore, Pedro Almodovar, Antonio Banderas, Javier Bardem, Isabelle Huppert, Rupert Everett, Rutger Hauer, Carlo Verdone, Monica Bellucci, Natalie Portman e Penelope Cruz sono soltanto alcuni dei protagonisti delle fotografie di Mimmo Cattarinich, al quale il Museo Villa Bassi Rathgeb di Abano Terme dedica dal 9 febbraio al 16 giugno 2024 la mostra BACKSTAGE. Mimmo Cattarinich e la magia del fotografo di scena a cura di Dominique Lora. 100 fotografie provenienti dall’immenso archivio dell’Associazione culturale Mimmo Cattarinich di Roma, capaci di raccontare la storia del cinema italiano e internazionale dagli anni Sessanta ai giorni nostri.
Cinema e fotografia, linguaggi visivi nati quasi simultaneamente, da sempre condividono e scambiano tecniche narrative e ispirazioni estetiche, generando quella complessa rete di rapporti che stimola sperimentazione e creatività, una dicotomia narrativa nata da un dialogo naturale in cui immaginario, ispirazione e sovversione sono atti di reciprocità e di scambio. La fotografia documenta il cinema e ne rivela il gesto celato, l’emozione rubata, ritraendo in immagini istanti di vita dietro le quinte: è un linguaggio complementare capace di mettere a nudo i soggetti, svelandone i misteri e raccontandone la vulnerabilità.
Guardare il cinema attraverso l’obiettivo del fotografo di scena è un’esperienza complessa, interdisciplinare e organizzata attorno a tre grandi soggetti che, smascherando la finzione cinematografica, rivelano tutta l’essenza umanistica di questa ricerca: la rappresentazione del reale dietro le quinte, il ritratto dell’attore all’interno e oltre la scena e il rapporto tra cinema e arte.
Ad accomunare i soggetti ritratti da Mimmo Cattarinich è la tensione alla diversità: alterazioni corporee, atteggiamenti di sfida o di esibizione, caratteristiche che contribuiscono a renderli veri, trasparenti e vulnerabili. Il fotografo traspone su pellicola sogni ed emozioni dei singoli individui, rivelandone la realtà presente e le aspirazioni.
Dal 09 Febbraio 2024 al 16 Giugno 2024 – Museo Villa Bassi Rathgeb – Abano Terme (PD)
ALESSANDRA CALÒ. SECRET GARDEN
Nell’ambito di ART CITY Bologna 2024 in occasione di ARTEFIERA, Maison laviniaturra presenta la mostra “Secret Garden” di Alessandra Calò, con la curatela di Serena Ribaudo. Questo evento segna un ulteriore capitolo nella stagione espositiva della Maison laviniaturra, celebre atelier-salotto di moda fondato dalla talentuosa fashion designer Lavinia Turra. La Maison prosegue così la mission di promuovere le artiste donne attraverso una serie di mostre che fondono abilmente l’arte visiva e l’alta moda.
A partire dal 27 gennaio 2024, i visitatori avranno l’opportunità di immergersi in un universo unico, dove le creazioni sartoriali di Lavinia Turra si fondono armoniosamente con le opere suggestive di Alessandra Calò. La mostra rappresenta un’esperienza sinestetica, un connubio di mondi apparentemente distanti, ma capaci di dialogare in un ambiente che celebra la creatività in tutte le sue sfaccettature.
“Secret Garden” di Alessandra Calò si presenta come una “grande opera d’arte” che va oltre i confini temporali e culturali, trasformando il concetto di identità in un messaggio universale. È un invito a esplorare, a guardare oltre le apparenze, a immergersi nel giardino segreto della mente umana e a connettersi con la memoria collettiva che ci unisce tutti, indipendentemente dalle diversità individuali. Alessandra Calò affronta così il concetto di identità e la preziosa connessione con la memoria collettiva.
Come scrive la curatrice Serena Ribaudo: “The Secret Garden, il fascinoso progetto di Alessandra Calò, mi ha riportato alla mente in maniera fulminante alcuni dei versi più celebri del grande pittore e poeta Dante Gabriel Rossetti tratti dal componimento Sudden light: ‘I have been here before, but when or how I cannot tell’. D’altra parte, con Dante Gabriel Rossetti, la Calò condivide molto da vicino lo sguardo di dolcezza, l’incanto, lo spettacolo del femminile. In Secret Garden vediamo sfilare dinanzi ai nostri occhi un firmamento di donne, stelle fuggevoli nell’ evanescenza, nell’incertezza dei loro tratti fisiognomici, del loro vissuto, della loro identità. Altrimenti dimenticate e abbandonate all’ abisso di un greve oblio, vengono invece ri-novellate, ri-magnetizzate; mirabilmente vengono loro donate una nuova fiamma, una nuova storia, un nuovo cuore segreto. All’interno del loro “diorama” in cui la Calò evoca, grazie all’uso sapiente di elementi di natura, un giardino segreto, queste figure femminili sono trasformate in una sorta di nuovo misterioso Mito nel cui palpito, nei cui misteriosi moti, tutte {e perché no? tutti} ci riconosciamo e ci immergiamo sognanti: ‘I have been here before, but when or how I cannot tell’”.
La mostra vuol essere un viaggio nell’interno della mente umana, un giardino segreto che si svela a coloro che sono capaci di andare oltre l’apparenza. Il cuore del progetto è costituito da una raccolta di antiche lastre negative, raffiguranti ritratti femminili, abbinate a piccoli giardini collocati all’interno di un dispositivo. Ma questo è solo l’inizio: ogni donna ritratta nel progetto viene dotata di un nome e di una storia, un’avventura ispirata liberamente ai racconti di grandi scrittrici contemporanee coinvolte nel processo creativo dell’artista. Ciò che emerge è un intreccio unico di storie e identità, una variegata raccolta di donne provenienti da diverse sfere della vita, dalla letteratura alla musica, dalla poesia all’impegno politico e sociale. Queste donne, con background eterogenei e forme d’espressione artistiche differenti, diventano le protagoniste di racconti che si sviluppano come diari personali, rendendo ogni storia straordinariamente attuale e significativa.
I ritratti delle donne, raffigurati sulle antiche lastre negative, giungono a noi senza ulteriori dettagli biografici e ci immergono in un viaggio che attraversa due binari paralleli: il tempo reale e l’immaginazione. Questo doppio binario permette al pubblico di sperimentare una nuova modalità di lettura delle opere, lontana dalla necessità di una chiara e fedele interpretazione ancorata all’immagine. La magia sta nell’ascoltare le voci di queste donne, nascoste dietro i ritratti statici, e nell’esplorare l’intimità delle loro esistenze attraverso frammenti di storie che si intrecciano in un percorso collettivo.
Con questa mostra, Alessandra Calò crea un ponte tra passato e presente, tra realtà e immaginazione, offrendo al pubblico l’opportunità di intraprendere un viaggio unico attraverso le storie intime di donne che, seppur appartenenti a un’epoca passata, parlano ancora con forza e attualità.
Dal 27 Gennaio 2024 al 22 Febbraio 2024 – Maison Laviniaturra – Bologna