Tutte le mostre di fotografia da non perdere a Marzo

Ciao,

rieccoci con il nostro appuntamento fisso con le mostre di fotografia.

Di seguito la nostra selezione. Se desiderate, segnalateci pure qualche mostra che magari ci è sfuggita.

Anna

CAPOLAVORI DELLA FOTOGRAFIA MODERNA 1900-1940: LA COLLEZIONE THOMAS WALTHER DEL MUSEUM OF MODERN ART, NEW YORK

CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia presenta, per la prima volta in Italia, la mostra “Capolavori della fotografia moderna 1900-1940. La collezione Thomas Walther del Museum of Modern Art, New York”: a Torino dal 3 marzo al 26 giugno 2022 una straordinaria selezione di oltre 230 opere fotografiche della prima metà del XX secolo, capolavori assoluti della storia della fotografia realizzati dai grandi maestri dell’obiettivo, le cui immagini appaiono innovative ancora oggi. Come i contemporanei Matisse, Picasso e Duchamp hanno saputo rivoluzionare linguaggi delle arti plastiche, così gli autori in mostra, una nutrita selezione di fotografi famosi e altri nomi meno noti, hanno ridefinito i canoni della fotografia facendole assumere un ruolo assolutamente centrale nello sviluppo delle avanguardie di inizio secolo. 

Un fermento creativo che prende avvio in Europa per arrivare infine negli Stati Uniti, che accolgono in misura sempre maggiore gli intellettuali in fuga dalla guerra, arrivando a diventare negli anni Quaranta il principale centro di produzione artistica mondiale.
Accanto ad immagini iconiche di fotografi americani come Alfred Stieglitz, Edward Steichen, Paul Strand, Walker Evans o Edward Weston e europei come Karl Blossfeldt, Brassaï, Henri Cartier-Bresson, André Kertész e August Sander, la collezione Walther valorizza il ruolo centrale delle donne nella prima fotografia moderna, con opere di Berenice Abbott, Marianne Breslauer, Claude Cahun, Lore Feininger, Florence Henri, Irene Hoffmann, Lotte Jocobi, Lee Miller, Tina Modotti, Germaine Krull, Lucia Moholy, Leni Riefenstahl e molte altre.

Oltre ai capolavori della fotografia del Bauhaus (László Moholy-Nagy, Iwao Yamawaki), del costruttivismo (El Lissitzky, Aleksandr Rodčenko, Gustav Klutsis), del surrealismo (Man Ray, Maurice Tabard, Raoul Ubac) troviamo anche le sperimentazioni futuriste di Anton Giulio Bragaglia e le composizioni astratte di Luigi Veronesi, due fra gli italiani presenti in mostra insieme a Wanda Wulz e Tina Modotti.

A riprova della ricchezza di poetiche e pensieri, all’interno della collezione Thomas Walther del Museum of Modern Art, New York si trovano fotografie realizzate grazie alle nuove possibilità offerte dagli sviluppi tecnici di questi anni, ma anche una molteplicità di sperimentazioni linguistiche realizzate attraverso diverse tecniche: collages, doppie esposizioni, immagini cameraless e fotomontaggi che raccontano una nuova libertà di intendere e usare la fotografia. 

È la particolarità di questi decenni a spingere il collezionista Thomas Walther a raccogliere, tra il 1977 e il 1997, le migliori opere fotografiche prodotte in questo periodo riunendole in una collezione unica al mondo, acquisita dal MoMA nel 2001 e nel 2017.

La mostra nasce da una preziosa collaborazione fra il Jeu de Paume di Parigi, il MASI di Lugano e CAMERA, dove è possibile vedere per l’ultima volta in Europa questi grandi capolavori della fotografia prima che tornino negli Stati Uniti. L’importanza storica, il valore artistico e la rarità dei materiali esposti rendono quindi questa mostra un appuntamento imperdibile.
Accompagna l’esposizione il catalogo edito da Silvana Editoriale in associazione con the Museum of Modern Art, New York, che include un saggio critico di Sarah Hermanson Meister, brevi introduzioni alle sezioni della mostra e riproduzioni di opere presentate. 

Mostra organizzata dal Museum of Modern Art, New York.
A cura di Sarah Hermanson Meister, curatrice del Dipartimento di Fotografia, The Museum of Modern Art, New York e Quentin Bajac, direttore del Jeu de Paume, Parigi con Jane Pierce, assistente alla ricerca, Carl Jacobs Foundation, The Museum of Modern Art, New York.
Coordinamento e sviluppo del progetto a CAMERA: Monica Poggi e Carlo Spinelli

Dal 03 Marzo 2022 al 26 Giugno 2022 – CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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ROBERT DOISNEAU

© Robert DOISNEAU/GAMMA RAPHO | Robert Doisneau, Vent rue Royale, Paris, 1950

Al Centro Saint-Bénin di Aosta, per iniziativa dell’Assessorato Beni Culturali della Regione Autonoma Valle d’Aosta, dal 5 marzo al 22 maggio 2022 sarà possibile visitare l’esposizione Robert Doisneau, una grande retrospettiva sul celebre fotografo francese.

“Le selezionatissime immagini che il curatore Gabriel Bauret ha scelto per questa mostra – rivela la Dirigente delle Attività espositive Daria Jorioz – provengono dall’Atelier Doisneau di Montrouge, nel sud della capitale francese. Sono immagini empatiche che avvicinano l’osservatore, lo rendono partecipe e non solo spettatore. Robert Doisneau incarna l’immagine del fotografo umanista immerso nella vita della sua città: ne coglie il respiro, le emozioni, le trasformazioni sociali, ne narra la bellezza, le contraddizioni, le storie minime che ne compongono la storia collettiva. Il fotografo francese cresce insieme alla sua città, la osserva prendendo appunti visivi, la racconta cominciando dalla strada, si specchia nei giochi dei bambini che inventano il loro mondo, narra la condizione a volte ruvida degli adulti. Lo fa sempre con delicatezza e garbo, talvolta con malinconia, spesso con un’ironia sottilmente dissimulata oppure giocosamente evidente.”

Tra le opere in mostra non poteva mancare Le Baiser de l’Hôtel de Ville, Paris, 1950, immagine celebre e iconica, ritenuta tra le più riprodotte al mondo. In questo suo celebre scatto Doisneau ha saputo catturare un momento magico e un’emozione che sono universali.

A Montrouge, Doisneau ha sviluppato e archiviato le sue immagini per oltre cinquant’anni, ed è lì che si è spento nel 1994, lasciando un’eredità di quasi 450.000 negativi. Dallo stesso atelier, oggi le sue due figlie contribuiscono alla diffusione e alla divulgazione della sua opera, accogliendo le continue richieste di musei, festival e case editrici.

Nato nel 1912 a Gentilly, una città nella periferia sud di Parigi, le prime tappe del percorso di Robert Doisneau sono segnate da una formazione nel campo della litografia, attività che abbandonerà rapidamente in favore di un apprendistato presso lo studio di André Vigneau, un fotografo che gli fornisce una finestra sul mondo dell’arte. Seguirà, per quattro anni, un’intensa collaborazione con il reparto pubblicitario della Renault.

Una volta libero da questo impegno, Robert Doisneau approda al tanto ambito status di fotografo indipendente, ma il suo slancio viene spezzato dalla guerra, che tuttavia non gli impedirà di continuare a fotografare. Subito dopo la Liberazione della capitale, di cui è testimone, comincia un periodo molto intenso di commissioni per la pubblicità (e in particolare per l’industria automobilistica), la stampa (tra cui le riviste “Le Point” e in seguito “Vogue”) e l’editoria.

In parallelo, porta avanti i suoi progetti personali, che saranno oggetto di numerose pubblicazioni, a cominciare dall’opera La Banlieue de Paris, uscita nel 1949 e creata in collaborazione con lo scrittore Blaise Cendrars.

La sua traiettoria si incrocia anche con quelle di Jacques Prévert e Robert Giraud, la cui esperienza e amicizia nutrono la sua fotografia, nonché con quella dell’attore e violoncellista Maurice Baquet, con il quale mette in scena un gran numero di immagini. Dal 1946 le sue fotografie vengono distribuite dall’agenzia Rapho. Qui conosce in particolare Sabine Weiss, Willy Ronis e, successivamente, Édouard Boubat, che insieme a lui formeranno una corrente estetica spesso definita “umanista”.

Nel 1983 gli viene assegnato il “Grand Prix national de la photographie”, a consacrazione di un’opera estremamente ricca e densa. Tale consacrazione passa attraverso le numerosissime esposizioni, in Francia come all’estero, le incalcolabili opere che rivisitano la sua fotografia dalle prospettive più varie e i documentari a lui dedicati. E ad Aosta il pubblico italiano avrà il piacere di avvicinarsi al grande fotografo attraverso ben 128 delle sue più belle immagini.

5 marzo – 22 maggio 2022 – Aosta, Centro Saint-Bénin

THE MAST COLLECTION – Un alfabeto visivo dell’industria, del lavoro e della tecnologia

© Sebastiao Salgado

È la prima grande esposizione di opere della Collezione della Fondazione: oltre 500 immagini tra fotografie, album, video di 200 grandi fotografi italiani e internazionali e artisti anonimi.

La Collezione della Fondazione MAST, unico centro di riferimento al mondo di fotografia dell’industria e del lavoro, conta più di 6000 immagini e video di celebri artisti e maestri dell’obiettivo, oltre ad una vasta selezione di album fotografici di autori sconosciuti.

Nei primi anni 2000 la Fondazione MAST ha creato questo spazio appositamente dedicato alla fotografia dell’industria e del lavoro con l’acquisizione di immagini da case d’asta, collezioni private, gallerie d’arte, fotografi ed artisti. Il patrimonio della Fondazione, che già conteneva un fondo che raccoglieva filmati, negativi su vetro e su pellicola, fotografie, album, cataloghi che negli stabilimenti di Coesia venivano prodotti fin dai primi del ‘900, si è così arricchito ed andato al di là dei parametri di materiale promozionale e documentaristico delle imprese del Gruppo industriale. La raccolta abbraccia opere del XIX secolo e dell’inizio del XX secolo con un processo di selezione valoriale e un accurato approccio metodologico a cura di Urs Stahel.

The MAST Collection – A Visual Alphabet of lndustry, Work and Technology”, curata da Urs Stahel, è la prima esposizione di opere selezionate dalla collezione della Fondazione: oltre 500 immagini tra fotografie, album, video di 200 grandi fotografi italiani e internazionali e artisti anonimi, che occupano tutte le aree espositive del MAST. Immagini iconiche di autori famosi da tutto il mondo, fotografi meno noti o sconosciuti, artisti finalisti del MAST Photography Grant on lndustry and Work, che testimoniano visivamente la storia del mondo industriale e del lavoro.

Tra gli artisti in mostra: Paola Agosti, Richard Avedon, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Margaret Bourke-White, Henri Cartier-Bresson, Thomas Demand, Robert Doisneau, Walker Evans, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Mimmo Jodice, André Kertesz, Josef Koudelka, Dorotohea Lange, Erich Lessing, Herbert List, David Lynch, Don McCullin, Nino Migliori, Tina Modotti, Ugo Mulas, Vik Muniz, Walter Niedermayr, Helga Paris, Thomas Ruff, Sebastiao Salgado, August Sanders, W. Eugene Smith, Edward Steichen, Thomas Struth, Carlo Valsecchi, Edward Weston.

La mostra, proprio per la sua complessità, è strutturata in 53 capitoli dedicata ad altrettanti concetti illustrati nelle opere rappresentate. La forma espositiva è quella di un alfabeto che si snoda sulle pareti dei tre spazi espositivi (PhotoGallery, Foyer e Livello O) e che permette di mettere in rilievo un sistema concettuale che dalla A di Abandoned e Architecture arriva fino alla W di Waste, Water, Wealth.

“L’alfabeto nasce per mettere insieme incroci tra lo sguardo lontano e quello vicino, testi e momenti dello scatto, portando I’attenzione all’interno delle opere – spiega il curatore, Urs Stahel -. Lo stesso accade con le immagini e i fotografi coinvolti.

Questi 53 capitoli rappresentano altrettante isole tematiche nelle quali convivono vecchi e giovani, ricchi e poveri, sani e malati, aree industriali o villaggi operai. Costituiscono il punto di incontro delle percezioni, degli atteggiamenti e dei progetti più disparati. La fotografia documentaria incontra l’arte concettuale, gli antichi processi di sviluppo e di stampa su diverse tipologie di carta fotografica, come le stampe all’albumina, si confrontano con le ultime novità in fatto di stampe digitali e inkjet; le immagini dominate dal bianco e nero più profondo si affiancano a rappresentazioni visive dai colori vivaci. I paesaggi cupi caratteristici dell’industria pesante contrastano con gli scintillanti impianti high-tech, il duro lavoro manuale e la maestria artigianale trovano il loro contrappunto negli universi digitali, nell’elaborazione automatizzata dei dati. Alle manifestazioni di protesta contro il mercato e il crac finanziario si affiancano le testimonianze visive del fenomeno migratorio e del lavoro d’ufficio”.

Sul piano della scansione cronologica solo il XIX secolo è stato affrontato separatamente in una sezione dedicata alle fasi iniziali dell’industrializzazione e della storia della fotografia. Il filo conduttore è spesso costellato dai numerosi ritratti di lavoratori, dirigenti, disoccupati, persone in cerca di lavoro e migranti. “Il parallelismo tra industria, mezzo fotografico e modernità – prosegue Urs Stahel – produce a tratti un effetto che può disorientare. La fotografia è figlia dell’industrializzazione e al tempo stesso ne rappresenta il documento visivo più incisivo, fondendo in sé memoria e commento”.

La mostra documenta inoltre il progresso tecnologico e lo sforzo analogico sia del settore industriale sia della fotografia, rappresentato oggi dai dispositivi digitali ultra leggeri, in perenne connessione, capaci di documentare, stampare e condividere il mondo in immagini digitali e stampe 3D. Dall’industria, dalla fotografia e dalla modernità si passa all’alta tecnologia, alle reti generative delle immagini e alla post-post­ modernità, ovvero a una sorta di contemporaneità 4.0. Dalla semplice copia della realtà alle immagini generate dall’intelligenza artificiale.

La mostra “The MAST Collection – A Visual Alphabet of lndustry, Work and Technology” condensa gli ultimi 200 anni di storia ricchi, folli, intensi, esplosivi in più di 500 opere che raccontano della nostra quotidianità.

Dal 10 febbraio al 22 maggio 2022 – MAST Bologna

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Henri-Cartier Bresson – Cina 1948-49 | 1958

La mostra è stata realizzata grazie alla collaborazione della Fondazione Henri Cartier-Bresson e riunisce un eccezionale corpus di fotografie e documenti di archivio del fotoreporter francese: oltre 100 stampe originali insieme a pubblicazioni di riviste d’epoca, documenti e lettere provenienti dalla collezione della Fondazione HCB.

Un excursus senza precedenti che racconta due momenti-chiave nella storia della Cina: la caduta del Kuomintang e l’istituzione del regime comunista (1948-1949) e il “Grande balzo in avanti” di Mao Zedong (1958).
Un momento importante nella storia del fotogiornalismo mondiale, vissuto attraverso il personale approccio del maestro Cartier-Bresson, il quale per primo evidenzia – attraverso l’occhio del suo obiettivo – temi importanti del cambiamento nella storia contemporanea cinese, riuscendo a presentare al mondo occidentale anche aspetti tenuti nascosti dalla propaganda di regime come lo sfruttamento delle risorse umane e l’onnipresenza delle milizie.

Il 25 novembre 1948 la rivista “Life” commissiona a Henri Cartier-Bresson un reportage sugli “ultimi giorni di Pechino” prima dell’arrivo delle truppe di Mao. Il soggiorno, previsto di due settimane, durerà dieci mesi, principalmente nella zona di Shanghai.
Cartier-Bresson documenterà la caduta di Nanchino, retta dal Kuomintang, e si troverà poi costretto a rimanere per quattro mesi a Shanghai, controllata dal Partito Comunista, per lasciare infine il Paese pochi giorni prima della proclamazione della Repubblica Popolare Cinese (1° ottobre 1949).

Uno stile unico in grado di cogliere l’immediatezza e la veridicità dell’«Istante decisivo». In questa prospettiva l’uso del bianco e nero nelle sue fotografie gli permette di evidenziare la forma e la sostanza della realtà. Ogni suo scatto è così in grado di cogliere la contemporaneità delle cose e della vita.

18 febbraio 2022 – 3 luglio 2022 – MUDEC Milano

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Cortona On The Move AlUla

AlUla ospita Cortona On The Move Alula, prima edizione della manifestazione dedicata alla fotografia (9 febbraio-31 marzo 2022) in cui saranno esposte opere di 19 artisti provenienti da tutto il mondo, compresi fotografi dell’Arabia Saudita.

Cortona On The Move Alula, parte di AlUla Arts Festival nasce dalla collaborazione tra The Royal Commission for AlUla e Cortona On The Move – festival internazionale di fotografia con lo scopo di creare un’esperienza unica, site-responsive, nel villaggio AlJadidah di AlUla.

La prima edizione di Cortona On The Move Alula si intitola “Past Forward – Time, Life and Longing” dove le opere dei principali fotografi locali, regionali e internazionali saranno esposte nei cortili e lungo i muri, creando un emozionante viaggio di narrazione visiva.

Past Forward – Time, Life and Longing è co-curata da Arianna Rinaldo, curatrice e direttore artistico di Cortona On The Move dal 2012 al 2021, e dall’artista visiva e curatrice saudita Kholood AlBakr. Al centro del programma di mostre fotografiche è la dimensione del tempo che contraddistingue sia AlUla sia Cortona, luoghi in cui si respira l’eredità culturale della loro storia: AlUla nei meravigliosi deserti nel nord-ovest dell’Arabia Saudita e Cortona nel cuore storico dell’Italia.

Le mostre in programma:

Latif Al-Ani (Iraq) – A Tribute

Mohammed Al-Faraj (Arabia Saudita) – Guardians of the Oasis

Moath Al-Ofi (Arabia Saudita) – Thad (The Collection) 2019

Adel Al-Quraishi (Arabia Saudita) – Vast Land, Vast Faces

Ali Al-Shehabi (Bahrein) – Men of the Pearl

Alejandro Chaskielberg (Argentina) – Otsuchi Future Memories

Deanna Dikeman (USA) – Leaving and Waving

Osama Esid (Siria) – Ghost Camera

Stephanie Gengotti (Italia) – Circus Love

Tanya Habjouqa (Giordania) – Tomorrow There Will Be Apricots

Omar Imam (Siria) – Live, Love, Refugee

Amina Kadous (Egitto) – A Crack in the Memory of my Memory

M’hammed Kilito (Marocco) – Hooked to Paradise

Simon Norfolk (Nigeria) – Shroud

Catherine Panebianco (Canada) – No Memory Is Ever Alone

Aleksi Poutanen (Finlandia) – Fellow Creatures

Phillip Toledano (Regno Unito) – Maybe

Paolo Woods (Olanda) & Gabriele Galimberti (Italia) – Locked in Beauty

9 febbraio -31 marzo 2022 Cortona (AR)

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Le mostre della Biennale della Fotografia Femminile

BFF, la Biennale della Fotografia femminile, si svolgerà a Mantova dal 3 al 27 marzo 2022. Siamo già alla seconda edizione, la prima, nel 2020 è stata sacrificata alle piattaforme online per via del Covid. La manifestazione coincide con l’apertura di altri festival che animeranno il centro urbano: BFF s’inserisce in quest’insenatura culturale, sventolando il vessillo della parità di genere. Il tema è “Legacy” “eredità”, parola che, in inglese, si tinge di un ventaglio ampio di significati indicando il bagaglio di creazioni che riserviamo alle generazioni future,oltre alle condizioni di vita con le quali nasciamoe affrontiamo la realtà; il “lascito” comprende l’eredità ambientale.

Con la selezione delle fotografe si cerca di rappresentare uno spaccato internazionale. Daniella Zalcman è una fotografa vietnamita-americana, fondatrice di Women Photograph, archivio mondiale di fotografie. Signs of Your Identity è sulla memoria dei nativi americani che si sono ritrovati inseriti in maniera traumatica in una cultura non loro. Solmaz Daryani fotografa iraniana, si interroga sul cambiamento climatico in The Eyes of Earth (The Death of Lake Urmia): il fenomeno di prosciugamento del lago influisce sull’economia locale. Myriam Meloni è italiana di base a Barcellona, Fragile, sui giovani dipendenti dal crack a Buenos Aires è riconosciuto patrimonio culturale della Repubblica Argentina. Con Insane Security si sofferma sulla polizia argentina, sugli abusi di potere e sulla corruzione. Delphine Diallo è franco-senegalese; antropologia, mitologia, arti marziali sono alcune delle ramificazioni toccate dalle sue fotografie, con Highness crea una serie di nuovi archetipi, scatti intimi che esplorano l’iconografia legata alle divinità e le tradizioni ritrattistiche. Infine Lumina Colletive, formato da 8 fotografe australiane, guarda alla storia del continente e alla cultura aborigena, poi l’italiana Flavia Rossi e molte altre protagoniste provenienti da tutto il mondo.

3 – 27 Marzo 2022 Mantova

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MonFest 2022 Fotografia

Claudio Sabatino, Pompei 2016_Veduta del Foro

Prosegue il viaggio alla scoperta dei grandi artisti che parteciperanno alla prima edizione di MonFest 2022, la biennale internazionale di fotografia che si terrà a Casale Monferrato dal 25 marzo al 12 giugno prossimi.

Organizzato dal Comune di Casale Monferrato e curato dal direttore artistico Mariateresa Cerretelli, il MonFest vedrà al centro del progetto numerose mostre allestite nei luoghi più caratteristici e suggestivi della città.

Nei mesi scorsi si sono approfondite biografie ed esposizioni di Gabriele Basilico, Valentina Vannicola, Francesco Negri, Silvio Canini, Raoul Iacometti, Ilenio Celoria e Silvia Camporesi (quest’ultima vincitrice del concorso Storie di donne indetto dal club locale di Soroptimist), mentre adesso scopriremo le mostre di Lisetta Carmi, Vittore Fossati, Claudio Sabatino e Maurizio Galimberti.

Viaggio in Israele e Palestina. Fotografie 1962-1967, sarà l’attesa esposizione curata da Daria Carmi e Giovanni Battista Martini e dedicata a Lisetta Carmi, l’artista genovese che, dopo un inizio da musicista, avvia nel 1960 la carriera di fotografa, portandola negli anni a realizzare una serie di reportage dedicati alla sua città, Genova, ma anche a Sardegna, Sicilia, Parigi, America Latina e Israele, solo per citarne alcuni. Oltre a realizzare una serie di ritratti di artisti e personalità del mondo della cultura.

«Lisetta Carmi – ha sottolineato Daria Carmi – è una grande artista, il cui lavoro vive oggi un momento di riscoperta e attenzione. È il giusto riconoscimento alla sua ricerca e produzione fotografica in molti anni di attività, dove cifra estetica e valore documentale si sommano restituendo un lavoro prezioso e significante. Gli scatti sono circa trenta, di cui oltre due terzi inediti. Si tratta di una grande occasione per scoprire oggi e riconoscere come “parlante” e attuale quanto catturato da Lisetta Carmi oltre cinquanta anni fa».

«Tra i numerosi scatti realizzati in Israele durante i due soggiorni del 1962 e del 1967 – ha invece spiegato Giovanni Battista Martini –, ho scelto di evidenziare le immagini che sottolineassero il diverso sguardo con cui Lisetta Carmi ha osservato il paese. Nel primo grande reportage Carmi ha colto la complessa realtà di cui era costituito il nuovo Stato di Israele. Nel secondo e ultimo reportage, realizzato pochi giorni dopo la fine della Guerra dei Sei Giorni, Carmi richiama, attraverso il suo obiettivo, la nostra attenzione sui danni provocati dalla guerra nei villaggi e sulle condizioni di vita nei campi-profughi palestinesi».

Il Tanaro a Masio sarà la mostra di Vittore Fossati che raccoglie, come ricorda la curatrice Giovanna Calvenzi gli «appunti visivi» dell’artista alessandrino: «Come descrive lo stesso Fossati con il consueto understatement – ricorda ancora Calvenzi –: “Andando al paese dove lavoro, ogni tanto compio una piccola deviazione per raggiungere la sponda del fiume Tanaro in una località che si chiama Masio. Faccio un po’ di foto, velocemente, inquadrando con molta libertà nel display della fotocamera tascabile. Cosa c’è da vedere? Alberi, i colori del cielo e dell’acqua e un disegno di rami sempre diversi.
 Cosa c’è da fare? Oltre a qualche foto, soprattutto prendere una boccata d’aria fresca. È tutto”».

Nato nel 1954 ad Alessandria, dove abita, Vittore Fossati si occupa di fotografia dal 1977. Entrato in contatto con Luigi Ghirri, partecipa a molti dei progetti collettivi da lui promossi. Dagli anni Ottanta del secolo scorso svolge ricerche fotografiche commissionate da istituzioni ed enti pubblici.

Fotografare il Tempo, Pompei e dintorni di Claudio Sabatino è un’esposizione curata da Renata Ferri che descrive la mostra così: «Pompei, epica apocalisse, città sepolta e dimenticata per oltre 1700 anni, metafora del tempo imponderabile e della vulnerabilità umana, è l’oggetto della lunga ricerca fotografica di Claudio Sabatino. L’indagine, che conferma tutto il suo percorso artistico e professionale, ci conduce attraverso le stratificazioni della Storia per riflettere sulla relazione mutevole che il paesaggio intrattiene con il passato e il presente. Le rovine, magnifiche testimoni della catastrofe, e l’insediamento odierno, testimone della selvaggia espansione edilizia, danno vita a una relazione paradossale che ridefinisce in senso sociale il nostro patrimonio e la sua tutela. Con poetica precisione Sabatino racconta tanto l’archeologia quanto la città intorno, restituendo un affresco in cui lo splendore dei reperti millenari è costretto al dialogo assurdo con una desolante modernità. E forse, proprio da questa frattura, può emergere la struggente bellezza di un viaggio lungo tremila anni, ancora capace di emozionare».

Sabatino è nato a Castellammare di Stabia nel 1967, di formazione architetto, si dedica alla fotografia occupandosi principalmente della rappresentazione del paesaggio urbano. Durante gli studi viene selezionato per l’edizione di Napoli Fotocittà- Dintorni dello sguardo. Nel 1998 vince il premio Savignano Immagine a Forlì e nel 1999 il premio Marangoni a Firenze. Nel 2006 gli viene conferita una Menzione Speciale al Premio Internazionale Bari Photocamera, Bari.

Di Maurizio Galimberti, infine, il progetto Tributo a Leonardo, una reinterpretazione de L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci: «Un capolavoro che – ha spiegato la curatrice Mariateresa Cerretelli – per la potenza e per la bellezza dell’opera immensa ha ispirato esponenti di prima grandezza del mondo dell’arte, da Andy Warhol a Peter Greenaway, da Anish Kapoor fino ai Masbedo. Il Cenacolo vinciano reinterpretato dalla visione profonda e creativa di Maurizio Galimberti ed esposto nel Duomo di Casale Monferrato per il MonFest 2022, è il frutto di un progetto realizzato da un’idea comune dell’artista insieme al collezionista e amico Paolo Ludovici e ha richiesto un processo delicatissimo, mettendo in sinergia Polaroid / Fuji Instax e digitale. Ed è così che la sacralità e l’intensità sublime del Cenacolo vengono restituiti nella loro pienezza e quel ritmo, scandito dallo stile caratteristico dell’autore, forma un’armonia  musicale, portatrice di grande spiritualità».

Nato a Como nel 1956, Galiberti si trasferisce a Milano dove oggi vive e lavora. Si accosta al mondo della fotografia analogica esordendo con l’utilizzo di una fotocamera a obiettivo rotante Widelux per poi nel 1983 focalizzare il suo impegno, in maniera radicale e definitiva, sulla Polaroid. Continua la sua ricerca con Polaroid e reinventa la tecnica del “Mosaico Fotografico” che inizialmente adatta ai ritratti. Il “Mosaico” diviene ben presto la tecnica per ritrarre non solo volti, ma anche paesaggi, architetture e città. Negli anni lavora per i più importanti brand nazionali e internazionali.

dal 25 marzo al 12 giugno 2022 – Casale Monferrato

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RITRATTE Direttrici di Musei italiani

Gli scatti fotografici del celebre Gerald Bruneau in una mostra per raccontare le donne che guidano primarie istituzioni culturali del nostro paese.

Apre il 3 marzo 2022 nelle Sale degli Arazzi a Palazzo Reale di Milano la mostra fotografica “Ritratte – Direttrici di musei italiani”, visitabile gratuitamente fino a domenica 3 aprile 2022. 

Il progetto artistico con gli scatti d’autore del fotografo Gerald Bruneau si colloca nell’impegno della Fondazione Bracco per valorizzare le competenze femminili nei diversi campi del sapere e contribuire al superamento dei pregiudizi, così da incoraggiare una sempre più nutrita presenza di donne in posizioni apicali.

La mostra illumina vita e conquiste professionali di 22 donne alla guida di primarie istituzioni culturali del nostro Paese, una sorta di Gran Tour che tocca 14 importanti città italiane da Nord a Sud: da Trieste a Palermo, da Napoli a Venezia per citarne solo alcune. Il soggetto principale di “Ritratte” è la leadership al femminile. I musei, “luoghi sacri alle Muse”, sono spazi dedicati alla conservazione e alla valorizzazione del nostro patrimonio artistico, custodi del nostro passato e laboratori di pensiero per costruire il futuro. Inoltre, sono anche imprese con bilanci e piani finanziari, che contribuiscono in modo cruciale alla nostra economia. Dirigere tali istituzioni comporta competenze multidisciplinari, un connubio di profonda conoscenza della storia dell’arte e di capacità gestionali e creative.

Tra le protagoniste della mostra figurano i ritratti di Francesca Cappelletti, Direttrice della Galleria Borghese di Roma; Emanuela Daffra, Direttrice Regionale Musei della Lombardia; Flaminia Gennari Santori, Direttrice delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini di Roma; Anna Maria Montaldo, già Direttrice Area Polo Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Milano; Alfonsina Russo, Direttrice del Parco Archeologico del Colosseo; Virginia Villa, Direttrice Generale Fondazione Museo del Violino Antonio Stradivari di Cremona; Rossella Vodret, Storica dell’arte, già Soprintendente speciale per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Roma; Annalisa Zanni, Direttrice del Museo Poldi Pezzoli di Milano.

Fondazione Bracco da tempo è impegnata per contribuire alla costruzione di una società paritetica, in cui il merito sia il criterio per carriera e visibilità. Nel 2016 è nato a questo scopo il progetto “100 donne contro gli stereotipi” (100esperte.it) ideato dall’Osservatorio di Pavia e dall’Associazione Gi.U.Li.A., sviluppato con Fondazione Bracco, grazie alla Rappresentanza in Italia della Commissione Europea. La banca dati online raccoglie profili eccellenti di esperte, selezionate con criteri scientifici, in vari settori del sapere, strategici per lo sviluppo del Paese, allo scopo di aumentarne la visibilità sui media: l’ambito STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics – dal 2016), le esperte di Economia e Finanza (dal 2017), Politica Internazionale (dal 2019), Storia e della Filosofia (dal 2021). Basti pensare che secondo il Global Monitoring Project 2020 in Italia nei media tradizionali le donne interpellate come esperte sono solo il 12%, contro il 24% dell’Europa. Accanto alla banca dati online, Fondazione Bracco ha deciso di sviluppare una narrazione complementare. Nel 2019, sempre grazie alla collaborazione con Gerald Bruneau, è stata realizzata la mostra fotografica “Una vita da scienziata” con i ritratti di alcune delle più grandi scienziate italiane, da allora esposta in numerose sedi italiane e internazionali, tra cui Milano, Roma, Todi, Washington, Philadelphia, Chicago, Los Angeles, New York, Città del Messico e il prossimo 8 marzo a Praga.

In ottica di continuità e dialogo, l’esposizione “Ritratte”, dedicata al settore dei beni culturali, con il Patrocinio del Ministero della Cultura, aggiunge un importante tassello all’intervento di lotta agli stereotipi di genere e di promozione delle competenze, unico discrimine per qualsiasi sviluppo personale e collettivo.

“Siamo davvero riconoscenti a Diana Bracco e alla Fondazione per l’impegno instancabile a sostegno della leadership femminile in tutti i settori del sapere e del lavoro – ha dichiarato l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi –. Un impegno che oggi viene declinato attraverso il tema del ritratto fotografico in una bellissima mostra d’arte che potrà essere ammirata liberamente da tutti i visitatori di Palazzo Reale. La mia riconoscenza va anche alle molte donne che a Milano sono impegnate in ambito museale e che, grazie alla loro competenza e alla loro passione, preservano, promuovono e arricchiscono il patrimonio artistico del nostro Paese”.

“Oggi alla guida di importanti istituzioni culturali del nostro Paese ci sono professioniste straordinarie che hanno raggiunto posizioni apicali grazie a competenze multidisciplinari, che uniscono una profonda conoscenza della storia dell’arte con capacità gestionali e creative” sottolinea Diana Bracco, Presidente di Fondazione Bracco. “Valorizzare le loro storie grazie agli scatti di Gerald Bruneau ci è sembrato importante per ispirare percorsi analoghi da parte delle più giovani. Con il progetto #100esperte della nostra Fondazione, vogliamo infatti incoraggiare la presenza femminile in tutti i campi: dalla scienza all’economia, dalla storia alla filosofia, dall’arte alle istituzioni.”

“Il mio intento è stato quello di mettere in risalto, insieme all’incommensurabile vastità e bellezza del patrimonio artistico italiano, la bellezza di queste donne che si impegnano quotidianamente per rimettere i musei al centro di una proposta culturale elaborata in rete insieme ai soggetti più rappresentativi delle realtà in cui sono immerse, invitano alla partecipazione, stimolano confronto e pensiero critico” afferma il fotografo Gerald Bruneau. “Donne che vogliono rendere i musei nuovi luoghi di incontro e di riflessione, di conoscenza e di comunicazione, valorizzando i capolavori storici e accogliendo nuove esperienze artistiche. E che, per questo, sperimentano nuove e creative modalità di proposta culturale. Se abbiamo la speranza che la bellezza possa salvare il mondo, tocca anche a noi, insieme a loro, salvare la bellezza.”

promossa e prodotta da Palazzo Reale, Comune di Milano Cultura e Fondazione Bracco con il patrocinio del Ministero della Cultura

Dal 3 marzo 2022 – al 3 aprile 2022 – Palazzo Reale Milano

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WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR. 57ESIMA EDIZIONE

© Laurent Ballesta, Wildlife Photographer of the Year

Dal 5 febbraio al 5 giugno 2022 si terrà al Forte di Bard, in Valle d’Aosta, l’anteprima italiana della 57esima edizione di Wildlife Photographer of the Year, il più importante riconoscimento dedicato alla fotografia naturalistica promosso dal Natural History Museum di Londra. In mostra le cento migliori immagini selezionate tra gli oltre 50.000 scatti provenienti da fotografi di 95 Paesi del mondo, valutati da una giuria internazionale di stimati esperti e fotografi naturalisti. Le immagini immortalano natura e animali non solo nella loro bellezza e diversità, ma anche nella loro fragilità e sottolineano l’importanza di difendere e salvaguardare il Pianeta.
 
L’immagine vincitrice assoluta della nuova edizione è Creation scattata dal biologo francese e fotografo subacqueo Laurent Ballesta. Lo scatto ritrae un branco di cernie che nuotano in una nuvola lattiginosa nel momento della deposizione delle uova a Fakarava, Polinesia francese: un momento unico, che si verifica solo una volta all’anno, durante la luna piena di luglio, e sempre più raro dato che la specie è in via di estinzione minacciata dalla pesca intensiva. La laguna polinesiana è uno dei pochi posti in cui questi pesci riescono a vivere ancora liberi, perché è una riserva e per fotografarli, Ballesta si è appostato ogni anno per cinque anni insieme a tutto il suo team per raggiungere il risultato.
 
La Presidente della giuria, scrittrice ed editore, Rosamund Roz Kidman Cox Obe afferma: «L’immagine funziona su così tanti livelli: è sorprendente, energica, intrigante ed ha una bellezza ultraterrena. Cattura anche un momento magico – una creazione di vita davvero esplosiva – lasciando la coda dell’esodo delle uova sospesa per un istante, come un simbolico punto interrogativo».
Doug Gurr, direttore del Museo di storia naturale, commenta: «Il vincitore del Grand Title di quest’anno rivela un mondo sottomarino nascosto, un fugace momento di un affascinante comportamento animale a cui pochissimi hanno assistito. In quello che potrebbe essere un anno cruciale per il Pianeta, Creation di Laurent Ballesta è un avvincente promemoria di ciò che potremmo perdere se non affrontiamo l’impatto dell’umanità sul nostro Pianeta».
 
L’altro ambito premio del concorso, il Young Wildlife Photographer of the Year 2021, è andato all’immagine Dome Home di Vidyun R Hebbar, un bambino di dieci anni di Bengaluru, in India, che ha scattato una foto spettacolare di un ragno sospeso all’interno di una fessura in un muro. «È un modo così fantasioso di fotografare un ragno. L’immagine è perfettamente inquadrata, la messa a fuoco è azzeccata. Si possono vedere le zanne del ragno e la trama folle della trappola, i fili come una delicata rete di nervi collegati alle zampe dell’animale. Ma la parte più originale è rappresentata dall’aggiunta di uno sfondo creativo: i colori vivaci di un risciò motorizzato», afferma Rosamund Roz Kidman Cox Obe.
Natalie Cooper, ricercatrice del Museo di Storia Naturale e membro della giuria, commenta: «La giuria ha apprezzato questa foto sin dall’inizio del processo di valutazione. È un ottimo promemoria per guardare più da vicino i piccoli animali con cui viviamo ogni giorno e per portare la tua macchina fotografica con te ovunque. Non sai mai da dove potrebbe venire l’immagine premiata».
 
I due vincitori del Grand Title sono stati selezionati tra 19 vincitori di categoria che celebrano la bellezza accattivante del nostro mondo naturale con habitat ricchi di sfumature, affascinanti comportamenti animali e specie straordinarie. La competizione di quest’anno ha visto l’aggiunta di tre nuove categorie, tra cui Oceans – The Bigger Picture e Wetlands – The Bigger Picture per mettere in luce questi ecosistemi così cruciali per il Pianeta. In un intenso processo, ogni voce è stata giudicata anonimamente da una giuria di esperti per la sua originalità, narrativa, eccellenza tecnica e pratica etica.
Cinque i fotografi italiani premiati: il valdostano Stefano Unterthiner ha vinto la sezione Behaviour: Mammals; menzioni speciali sono state conquistate da Mattia Terreo (categoria Under 10 anni), Giacomo Redaelli (categoria 15-17 anni), Georg Kantioler (Urban Wildlife) e da Bruno D’Amicis (Fotogiornalismo).

Dal 05 Febbraio 2022 al 05 Giugno 2022 – Forte di Bard Aosta

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IO, LEI, L’ALTRA. RITRATTI E AUTORITRATTI FOTOGRAFICI DI DONNE ARTISTE

“Cindy Sherman
Courtesy Collezione Ettore Molinario”

Dal 19 marzo al 26 giugno 2022 il Magazzino delle Idee di Trieste presenta la mostra Io, lei, l’altra – Ritratti e autoritratti fotografici di donne artistea cura di Guido Comis in collaborazione con Simona Cossu e Alessandra Paulitti. Prodotta e organizzata da ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia – l’esposizione ripercorre, attraverso novanta opere, la fotografia degli ultimi cento anni e permette di valutare la nuova concezione della donna e il suo ruolo attraverso una successione di straordinarie immagini da Wanda Wulz a Cindy Sherman, da Florence Henri a Nan Goldin.

Il ritratto e l’autoritratto fotografico sono una testimonianza straordinaria del difficile processo di affermazione di sé e della conquista di una nuova identità sociale da parte delle artiste donne nel Novecento e nei primi anni del nuovo secolo. I ritratti e gli autoritratti sono luoghi di confronto, ma anche di conflitto fra espressioni diverse dell’identità. A forme convenzionali di rappresentazione si contrappongono nuovi modi di esprimere la propria personalità; i ruoli consolidati della rappresentazione della donna, le pose ripetitive mutuate dai ritratti tradizionali cedono spazio a modalità di espressione inedite.

Da modella al servizio di un artista la donna si trasforma in figura attiva e creativa. Ai ritratti eseguiti da uomini – come Man Ray, Edward Weston, Henry Cartier-Bresson, Robert Mapplethorpe, solo per citare alcuni dei fotografi presentati in mostra – si accostano ritratti e autoritratti di donne artiste e fotografe, tra cui Wanda Wulz, Inge Morath, Vivian Maier, Nan Goldin, Cindy Sherman, Marina Abramović.

La mostra è suddivisa in sezioni, ognuna delle quali rende conto di una diversa forma di rappresentazione dei ruoli che le donne interpretano nelle fotografie. La sezione “Artiste e modelle” è dedicata alle donne che sono state creatrici e allo stesso tempo hanno prestato i loro volti e i loro corpi per opere altrui, come è il caso di Meret Oppenheim, Tina Modotti, Dora Maar.

La sezione intitolata “Il corpo in frammenti” raccoglie gli autoritratti che restituiscono immagini di corpi parziali, riflessi in specchi fratturati, con l’epidermide percorsa da linee che ne interrompono l’integrità, come se in ciò si rispecchiasse la difficoltà di rappresentarsi. I ritratti degli anni Settanta che hanno per protagoniste Valie Export, Jo Spence e Renate Bertlmann mimano ironicamente l’immagine tradizionale della donna come madre, donna di casa o oggetto sessuale. “Una, nessuna e centomila” raccoglie gli autoritratti delle artiste che, da Claude Cahun a Cindy Sherman, hanno utilizzato il proprio corpo per interpretare attraverso mascheramenti identità o stereotipi diversi. Un’altra sezione affronta il tema degli stereotipi nella rappresentazione dalle identità culturali e sessuali, un’altra ancora a quelli nella definizione dei canoni di bellezza mentre alcune fotografie sono dedicate ad artiste accanto a proprie creazioni come nel caso del celeberrimo ritratto di Louise Bourgeois eseguito da Robert Mapplethorpe.

La mostra è accompagnata dal catalogo Io, lei l’altra – Ritratti e autoritratti fotografici di donne artiste edito da Skira con immagini di tutte le opere esposte e testi di approfondimento di Guido Comis, Anne Morin, Giampiero Mughini, Anna D’Elia, Laura Leonelli e Alessandra Paulitti.

Dal 18 Marzo 2022 al 26 Giugno 2022 – Magazzino delle Idee Trieste

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The blue green land – Marco Barbieri

L’agenzIa del turismo di Varese definisce il proprio territorio “The blue green land”, dove è possibile “cogliere la bellezza blue-green del territorio caratterizzato da laghi a ridosso di valli, colline, squisiti borghi a loro volta affondati nel verde e nella storia”.

Ma i dintorni del lago di Varese sembrano piuttosto una cartolina sgualcita degli anni ’90.

Imponenti costruzioni ormai in disuso, lascito del ricco passato industriale, si alternano a nuove iniziative immobiliari, a piccole attività familiari e ad ampi spazi vuoti.

Un piccolo specchio d’acqua viscosa, nel quale non è permesso fare il bagno, è il centro di un paesaggio culturale intriso dai rituali della piccola borghesia lombarda.

La messa della domenica e la festa degli alpini, la spesa del sabato mattina e la passeggiata nel parco, l’auto parcheggiata davanti a casa, il matrimonio con vista lago, il giornale sul tavolo del bar, il giro in bicicletta.

La provincia di Varese è il luogo comune di famiglia.

È un padre generoso dedito al lavoro e una madre che si commuove ogni volta che te ne vai e che quando torni ti chiede soltanto “cosa ti preparo da mangiare?”.

Mostra curata da Laura Davì

Dal 5 marzo 2022 – Premiato Biscottificio – Varese

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ALBERTO DI LENARDO. LO SGUARDO INEDITO DI UN GRANDE FOTOGRAFO

© Alberto di Lenardo | Alberto di Lenardo, Gita a Capri, Maggio 1965

Dal 12 febbraio all’8 maggio 2022, il WeGil di Roma, hub culturale della Regione Lazio nel quartiere Trastevere, ospita “Alberto di Lenardo. Lo sguardo inedito di un grande fotografo italiano, la mostra dedicata a un autore del secondo Novecento rimasto letteralmente nascosto in soffitta e il cui lavoro verrà proposto per la prima volta al pubblico in questa esposizione inedita ed emozionante.

Il progetto è curato da Carlotta di Lenardo, nipote del fotografo, che ne ha svelato il talento dopo la sua morte, avvenuta nel 2018, dando vita al volume “An Attic Full of Trains”, della casa editrice londinese MACK, in cui è raccolta una selezione dello sterminato archivio di immagini ereditato dal nonno. La mostra esposta al WeGil è promossa dalla Regione Lazio ed è realizzata da LAZIOcrea in collaborazione con Creation s.r.l.. Uno scorcio del passato del nostro paese attraverso lo sguardo di un autore rimasto sconosciuto fino alla sua morte. Con questa retrospettiva, il WeGil torna a ospitare la grande fotografia ma lo fa, questa volta, puntando l’obiettivo sul patrimonio artistico nascosto del nostro paese.

“Alberto di Lenardo. Lo sguardo inedito di un grande fotografo italiano” raccoglie 154 immagini che raccontano uno spaccato di vita personale del fotografo: spiagge, montagne, bar, viaggi in auto catturati nei loro colori più vividi e che portano con sé il segno e la bellezza del tempo. Negli scatti di Alberto di Lenardo si ritrova la poesia dei sentimenti che non possono essere espressi a parole ma che, attraverso la pellicola, vengono fissati in un ricordo, condividendo quelle stesse emozioni che il fotografo provò nel mostrare le proprie memorie alla nipote.

Carlotta di Lenardo racconta come, appena sedicenne, durante un pranzo di famiglia, il nonno volle parlarle della sua grande passione per la fotografia e condividere con lei il suo archivio di oltre 10.000 scatti“Mio nonno ha sempre amato fotografare e ha continuato a farlo per tutta la vita. Era il suo modo di comunicare i suoi sentimenti e gli permetteva di rivelare emozioni che la sua generazione faticava ad esprimere a parole. Le sue immagini riflettono accuratamente la sua serenità interiore, uno stato d’animo che ha sempre cercato di trasmetterci, e allo stesso tempo manifestano la sua costante ricerca di uno scatto rubato e mai banale. Preferiva infatti che i suoi soggetti fossero quasi sempre ignari della macchina fotografica, così da essere spontanei e reali, un puro riflesso del momento. Queste immagini e il modo in cui lui si emozionava mentre le condivideva con me, disegnandole nella sua incredibile e dettagliata memoria, mi hanno fatto innamorare della fotografia e hanno condizionato la mia intera vita lavorativa in questo campo. La fotografia era qualcosa di nostro, qualcosa che lui ed io condividevamo e custodivamo gelosamente”.

Il progetto espositivo porta al pubblico un ritratto intimo e colorato del lavoro fotografico di Alberto Di Lenardo, svolto in oltre sessant’anni di attività. La mostra costituisce un’opportunità davvero unica di consegnare un nome nuovo alla storia della fotografia. In un’epoca che vede il moltiplicarsi di esposizioni dedicate ai grandi maestri o agli interpreti dell’arte visiva a loro ispirati, lo sguardo di Alberto di Lenardo emerge per un suo personalissimo stile che vede l’uso costante di cornici e finestrature che fermano nel tempo momenti di vita vissuta.

La mostra si divide in tre sezioni: nella prima, il lavoro di selezione operato da Carlotta di Lenardo rivela un’estetica e una lettura del mondo comuni tra lei e il nonno: una narrazione intima tra lo sguardo del fotografo e quello della nipote. La seconda sezione, più raccolta, comprende scatti in qualche modo autobiografici, con alcune immagini in bianco e nero, scattate dal fotografo a partire dall’età di 18 anni, un autoritratto e tre ritratti fatti dalla curatrice durante un pranzo di famiglia nel 2013. Immagini che ripercorrono la storia personale dell’autore e che aiutano a comprendere tre aspetti fondamentali della personalità dell’artista di Lenardo: austera, solare e sempre autoironica. La terza sezione è composta da 9 pareti tematiche che ripropongono situazioni ricorrenti su cui il fotografo amava puntare l’obiettivo e che si ripresentano quindi costantemente in tutto il suo archivio: parchi di divertimento, ritratti di persone che prendono il sole o guardano l’orizzonte, strade e vedute da macchine e aerei, terminando infine con alcune delle diapositive su cui era solito scrivere la parola “FINE”, per indicare appunto, la fine di un viaggio.

Dal 13 Febbraio 2022 al 08 Maggio 2022 – WeGil – Roma

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Sul Sentiero del Bene – Stefano Lotumolo

Si inaugura martedì 8 marzo presso lo spazio The Warehouse, in Via Settala 41 a Milano, la mostra fotografica Sul Sentiero del Bene di Stefano Lotumolo.

La mostra, a cura di Ludovica Cristofaro, ha il patrocinio dell’associazione onlus Epsilon in collaborazione con Radici Globali. Partner del progetto, l’agenzia di comunicazione Theoria, che ha aderito all’iniziativa mettendo a disposizione gratuitamente lo spazio che ospiterà la mostra.

Il progetto fotografico Sul Sentiero del Bene è composto da 72 scatti catturati tra Asia e Africa, che Stefano definisce i più significativi della sua rivoluzione interiore. Nelle sue immagini, Stefano vuole immortalare l’armonia e la bellezza delle popolazioni nella loro quotidianità nonostante situazioni di vita difficili.

Se le foto dedicate all’Asia svelano soprattutto la spiritualità di quei popoli, quelle della Tanzania mostrano la realtà particolarmente cruda di interi nuclei familiari costretti a bere dalle pozzanghere di acqua contaminata.

“Attraverso la fotografia, cerco di trasmettere l’amore e il rispetto che nutro per la vita, dando voce a chi non ne ha e mostrando l’essere umano per come lo vedono i miei occhi e lo percepisce il mio cuore”spiega Stefano Lotumolo.

Una mostra che è sintesi perfetta tra cultura e solidarietà. Le opere in mostra e il relativo merchandising saranno infatti in vendita e il ricavato – insieme alle donazioni libere – sarà destinato alla raccolta fondi per la costruzione di 3 pozzi nei villaggi Maasai di Mkuru, Madape e Engikaret, nel nord della Tanzania.

Epsilon e Radici Globali uniranno le forze per la realizzazione di questo progetto, che vuole essere il primo passo di un impegno a lungo termine per sostenere il popolo Maasai nell’approvvigionamento idrico delle proprie terre e nella riforestazione.

Sul Sentiero Del Bene sarà aperta al pubblico dall’8 al 27 marzo dal lunedì al venerdì dalle 15.30 alle 20.00 e sabato e domenica dalle 11.00 alle 20.00.

Dall’8 al 27 marzo – The Warehouse Milano

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RENATO CORSINI “AMBULANTE” – STORIE DI FOTOGRAFIA IN GIRO PER IL MONDO

© Renato Corsini | Renato Corsini, Vestirsi e traverstirsi

“Renato Corsini gira il mondo con un telo sulle spalle, una Leica, uno spazzolino da denti, un dentifricio e un impermeabile. Il telo gli serve per creare un set mobile e leggero da montare e smontare nelle situazioni più difficili. L’impermeabile gli serve se piove per riparare la macchina fotografica…”. Inizia così il testo di Massimo Minini tratto dal libro Renato Corsini “ambulante” – storie di fotografia in giro per il mondo, MF edizioni, le cui fotografie saranno esposte alla Fondazione Mudima a partire dal 15 febbraio 2022. Renato Corsini è un fotoreporter che decide di allestire nei mercati, nei luoghi di ritrovo dei paesi un’improvvisata sala di posa all’aperto. Monta il telone alle spalle del soggetto, pone una sedia davanti al telone e di fronte la sua macchina fotografica su cavalletto. Il set è fatto. Vi poseranno decine di visitatori, famiglie, giovani, coppie, singoli individui, mostrando i loro volti, ma soprattutto le loro fogge, offrendo un affascinante regesto di tipi umani.
Nessuna pretesa di artisticità, ma preziosi documenti usciti dall’archivio privato del “fotografo ambulante” che va a cercare la vita negli angoli più remoti del pianeta; un fram- mento di società che si mostra, si rappresenta consegnando ai posteri l’immagine di sé. Attento osservatore dei costumi della sua epoca, legato alla tradizione della fotografia lieve e ironica, Corsini smaschera il gioco della rappresentazione e svela uno scenario sociale in cui il gesto del fotografare e del farsi fotografare è sempre più una componente integrante e costante dell’orizzonte visivo. Dischiude sguardi e solleva interrogativi sulla fenomeno- logia di una pratica che si è imposta a livello di massa negli anni Sessanta del Novecento con la diffusione delle macchine fotografiche automatiche e che subisce oggi una nuova accelerazione con la svolta del digitale e i nuovi media.
La mostra, costituita da oltre un centinaio di scatti, mette in luce il ruolo centrale assun- to dalla fotografia come testimone della realtà sociale e dei suoi mutamenti. Corsini ne annota le trame del vivere, restituendo pagine vivide e suggestive. Codifica linguaggi ed espressioni in lessici autentici e originali. Empatico e mai banale, lirica e pura è la sua prosa.

Dal 15 Febbraio 2022 al 18 Marzo 2022 – Fondazione Mudima – Milano

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FRANCESCO MALAVOLTA. VOLTI AL FUTURO. VENTI RITRATTI DI RIFUGIATI CHE SI RACCONTANO IN BIBLIOTECA

Francesco Malavolta. Volti al futuro. Venti ritratti di rifugiati che si raccontano in biblioteca, Biblioteca Europea, Roma

Una suggestiva galleria di volti e storie che dialogano con la biblioteca e coinvolgono i suoi frequentatori.
La Biblioteca Europa ospita l’emozianante mostra fotografica che il Centro Astalli, per i suoi 40 anni di attività, ha fatto realizzare da Francesco Malavolta, il fotoreporter impegnato da oltre vent’anni lungo le principali rotte migratorie, terrestri e marittime, nel mondo.
Scatti fotografici con cui il fotografo ha voluto raccontare passato, presente e futuro dei rifugiati e delle rifugiate di Astalli.
Un invito a condividere l’intensità dei volti e delle storie che accompagnano i ritratti: brevi racconti di chi è fuggito da persecuzioni e violenze, rischiando la vita, alla ricerca di un futuro diverso.

Dal 20 Gennaio 2022 al 12 Marzo 2022- Biblioteca Europea ROMA

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Mostre di fotografia da non perdere a dicembre

Ciao a tutti, tantissime belle mostre ci aspettano anche a dicembre.

Qua sotto ne trovate una selezione!

Anna

Mario Giacomelli e Giacomo LeopardiPoetare per immagini

Poetare per immagini. Un’indagine sulla relazione tra fotografia, letteratura, filosofia, comunicazione.

Una mostra di fotografie di Mario Giacomelli ispirate alla poesia “A Silvia” di Giacomo Leopardi ed una serie di cinque conferenze

Dal 15 novembre 2021 al 31 gennaio 2022 presso il centro PHOS di Torino, in collaborazione con l’archivio CRAF di Spilimbergo (PN), sarà presentata la mostra “Mario Giacomelli e Giacomo Leopardi. Poetare per immagini” congiuntamente ad una serie di cinque conferenze che, a partire dall’opera del grande fotografo, indagano il rapporto che la fotografia intrattiene con la letteratura, la filosofia della conoscenza, la comunicazione mediatica. In occasione dell’inaugurazione – il 15 novembre alle ore 18.30 – avrà luogo la presentazione dell’iniziativa con gli interventi di Alvise Rampini – direttore dell’Archivio CRAF – ed Elisabetta Buffa – presidente di Phos. Successivamente le conferenze si svolgeranno nei giorni: 15 e 22 novembre 2021, 13 dicembre 2021, 10 e 24 gennaio 2022.

Dal 15 novembre 2021 al 31 gennaio 2022 – Centro Phos – Torino

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PIER PAOLO PASOLINI. NON MI LASCIO COMMUOVERE DALLA FOTOGRAFIA

Pier Paolo Pasolini a Centocelle, Roma, 1960 I Ph. Federico Garolla

Pier Paolo Pasolini è stato probabilmente l’intellettuale più scomodo, acuto e controverso del secondo Novecento italiano. Scrittore, opinionista, giornalista e regista, ha dispiegato il suo pensiero in una moltitudine di opere e documenti e il suo lascito intellettuale lo rende una delle figure cardine del dibattito culturale nazionale e internazionale del secondo dopoguerra.

A ridosso del centenario della sua nascita (Bologna, 1922) la mostra vuole ricordare la figura di Pier Paolo Pasolini e le varie esperienze culturali della sua carriera, attraverso una diversa chiave di lettura: la fotografia. Pasolini è stato infatti fotografato molte volte durante la sua carriera artistica, e molti di questi scatti sono divenuti ormai immagini iconiche del poeta. La mostra presenta un lungo e appassionato lavoro di ricognizione fotografica sui ritratti di Pasolini e metaforicamente il suo volto, la sua pelle, la sua figura diventano lo spazio privilegiato per comprenderne la poetica. Dall’infanzia e dalla giovinezza, e in particolare dal periodo friulano, fino alle ultime fotografie scattate da Dino Pedriali nel 1975, anno della morte, il progetto espositivo si dipana in un percorso cronologico che permette, attraverso le immagini e gli altri documenti che le accompagnano, di comprendere la poetica, l’impegno sociale, le scelte letterarie di Pier Paolo Pasolini.

Un corpus di fotografie complesso, con approcci e sensibilità diverse, nel quale i fotografi scelti sono chiamati a svolgere il ruolo delicato di testimoni e di creatori di archetipi della vita del poeta. Solo per citarne alcuni: Henri Cartier-Bresson, Richard Avedon, Letizia Battaglia, John Phillips, Mario Dondero, Paolo Di Paolo, Mimmo Cattarinich, Dino Pedriali, Ugo Mulas, Franco Vitale, André Morain e molti altri.

Attraverso questi ritratti il volto di Pasolini diventa “l’atlante” per leggere il suo lavoro, la sua personalità e il suo pensiero, e provare al tempo stesso a svelare gli aspetti umani e personali di quell’uomo ineffabile, assassinato al Lido di Ostia in circostanze ancora non chiare.

Dal 30 Novembre 2021 al 13 Marzo 2022 – Genova – Palazzo Ducale

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STEVE MCCURRY. ANIMALS

© Steve McCurry | Steve McCurry, Gujarat, India, 2009

La mostra risalta il fotografo delle emozioni, che cattura l’essenza nello scatto, rendendo le sue immagini opere d’arte indimenticabili. Maestro dell’uso del colore, dell’empatia e dell’umanità, volge lo sguardo nel suo ultimo lavoro ai nostri compagni di viaggio più fedeli.  Nasce così “ANIMALS”.

Il progetto “ANIMALS” ha origine nel 1992 quando, Steve McCurry svolge una missione nei territori di guerra nell’area del Golfo per documentare il disastroso impatto ambientale e faunistico nei luoghi del conflitto. Tornerà dal Golfo con alcune delle sue più celebri immagini icone, come i cammelli che attraversano i pozzi di petrolio in fiamme e gli uccelli migratori interamente cosparsi di petrolio. Con questo reportage vincerà nello stesso anno il prestigioso Word Press Photo. Il premio fu assegnato da una giuria molto speciale, la Children Jury, composta da bambini di tutte le nazioni.

Da sempre, nei suoi progetti, McCurry pone al centro dell’obiettivo le storie legate alle categorie più fragili: ha esplorato, con una particolare attenzione ai bambini, la condizione dei civili nelle aree di conflitto, documentando le etnie in via di estinzione e le conseguenze dei cataclismi naturali. A partire da quel servizio del ’92 ha infine aggiunto, ai suoi innumerevoli sguardi, quello empatico verso gli animali.

In mostra gli animali saranno protagonisti di sessanta scatti iconici, che racconteranno al visitatore le mille storie di una vita quotidiana dove uomo e animale sono legati indissolubilmente. Un affresco corale dell’interazione e della condivisione, che tocca i temi del lavoro e del sostentamento che l’animale fornisce all’uomo, delle conseguenze dell’agire dell’uomo sulla fauna locale e globale, dell’affetto che l’essere umano riversa sul suo pet, qualunque esso sia.

Animali da lavoro, usati come via alla sopravvivenza, animali talvolta sfruttati come unica risorsa a una condizione di miseria, altre volte amati e riconosciuti come compagni di vita per alleviare la tristezza o, semplicemente, per una forma di simbiotico affetto.

Per creare “Animals” autore e curatrice hanno lavorato all’unisono addentrandosi nell’immenso archivio del fotografo per selezionare una collezione di immagini che raccontassero in un unico affresco le diverse condizioni degli animali.

La curatrice della mostra Biba Giacchetti spiega “Animals ci invita a riflettere sul fatto che non siamo soli in questo mondo, in mezzo a tutte le creature viventi attorno a noi. Ma soprattutto lascia ai visitatori un messaggio: ossia che, sebbene esseri umani e animali condividano la medesima terra, solo noi umani abbiamo il potere necessario per difendere e salvare il pianeta.”

Dal 27 Novembre 2021 al 01 Maggio 2022 – Palazzina di Caccia di Stupinigi – Nichelino (TO)

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FERDINANDO SCIANNA. QUALE BELLEZZA?

© Ferdinando Scianna | Ferdinando Scianna, Rodalquilar, Spagna, 1994. Foto di moda

Il Festival Friuli Venezia Giulia Fotografia parla di #Bellezza. La 35esima edizione della rassegna realizzata dal CRAF (Centro Ricerca e Archiviazione della Fotografia) offre al pubblico una mostra speciale firmata Ferdinando Scianna in programma a Spilimbergo (PN) dal prossimo 13 novembre. Il salone nobile del cinquecentesco Palazzo Tadea ospiterà 49 immagini dell’autore siciliano, tra i più celebri fotografi del secolo scorso e primo italiano accolto nell’Agenzia Magnum. 

Il tema scelto quest’anno dal CRAF come filo conduttore, #Bellezza, è un’esortazione a prendere coscienza dell’unicità dell’universo che circonda l’uomo, ostinato cercatore di eleganza, splendore, incanto. L’uomo insegue la bellezza nelle sue più appariscenti manifestazioni, mentre la mostra e la rassegna educano lo sguardo a rivolgersi altrove.

Quale bellezza? Il titolo della mostra di Ferdinando Scianna è una domanda dalle mille risposte. Il fotografo siciliano, in effetti, si astiene e non consegna al pubblico una definizione di bellezza assoluta. La selezione nell’archivio di Ferdinando Scianna indaga l’attrazione e insieme la difficoltà a spiegare cos’è davvero la bellezza, che riconosce nelle forme della natura, l’attrazione per il viso o il corpo femminile, la gioia nella contemplazione di un paesaggio, un’architettura classica o un oggetto pregiato.

“Quando gli amici di Spilimbergo mi hanno proposto una mostra sulla bellezza, sono rimasto piuttosto sconcertato – spiega Ferdinando Scianna -.  La mia prima reazione è stata: ma che cosa diavolo è questa bellezza? E però l’idea mi si è subito insinuata dentro. Certamente una delle ragioni deriva dalla relazione speciale che ho con Spilimbergo. Sono passati molti anni, ma non ho mai dimenticato che proprio a Spilimbergo ho costruito, nel 1989, Le forme del caos, la mia prima grande mostra antologica e relativo, importante catalogo. Un avvenimento-svolta, per molti versi, nella mia storia di fotografo. Non ho mai dimenticato l’affetto e la generosità con cui sono stato accolto. Tuttavia, rimaneva il problema. Ho scritto e ripetuto molte volte che credo non ci sia nulla di più inutile di una “bella fotografia”. Le fotografie, ho sempre creduto e credo, sono racconto e memoria, devono essere buone fotografie. Quindi, non certo una mostra di “belle fotografie”. Ma l’originalità di un fotografo, in definitiva, consiste nella peculiarità formale, oltre che narrativa. Se le fotografie ce l’hanno, gli altri le ricevono anche come belle oltre che giuste. Che cosa vuol dire? C’è forse qualcuno che pretenda di avere una definizione autentica di che cosa sia la bellezza? L’idea di bellezza è sempre soggettiva, è radicata nella lingua, nella tradizione, nel gusto di ciascuno, è costruita attraverso il sentimento di una collettività. È mobile e cambia con il tempo. Ma forse esiste, se ognuno di noi ha o crede di avere una sua idea di bellezza. In Sicilia, persino di una pietanza si dice: è bella la pasta col sugo, la pasta con le sarde. Quelle che preparava tua madre, quelle che disegnavano e costruivano la tua identità. Insomma, ho deciso di provarci. Ho fatto un viaggio nel mio archivio tirando fuori fotografie che mi sembrava avessero avuto come molla per spingermi a farle anche un mio sentimento della bellezza. Sono saltate fuori immagini dei più svariati argomenti, di persone, di cose, di animali, di oggetti d’arte, di natura, di bambini, di paesaggi, nei quali la bellezza del mondo, delle cose, delle esperienze, esprimeva anche la mia maniera di vederle, forse anche una mia idea di bellezza. Una serie di immagini che ribadiva la domanda: ma cosa diavolo è questa bellezza? L’inevitabile titolo per questa mostra, per questo catalogo.”

Tra le 49 immagini esposte a Palazzo Tadea fino al 9 gennaio 2022 molti classici dell’autore ma anche fotografie inedite che Ferdinando Scianna ha scelto per questa inedita mostra realizzata in collaborazione con Contrasto, che firma anche il catalogo, e con la consulenza di Alessandra Mauro. Un percorso suggestivo, carico di pathos, emozionante.

A Ferdinando Scianna il CRAF conferirà durante l’apertura il premio Friuli Venezia Giulia Fotografia: “L’albo d’oro si arricchisce di un’altra pietra miliare– dichiara il presidente del CRAF Ernico Sarcinelli – il riconoscimento è il tributo del CRAF alla luminosa carriera dell’autore e alla sua lunga collaborazione con il Centro sin dalla sua fondazione”.

Dal 13 Novembre 2021 al 09 Gennaio 2022 Palazzo Tadea – Spilimbergo (PN)

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SANDRO MILLER. MALKOVICH, MALKOVICH, MALKOVICH. HOMAGE TO PHOTOGRAPHIC MASTERS

© Sandro Miller / Courtesy Gallery FIFTY ONE | Sandro Miller, Pierre et Giles / Jean Paul Gaultier, (1990), 2014

Alla Fondazione Stelline di Milano, dal 5 novembre 2021 al 6 febbraio 2022, la mostra Malkovich, Malkovich, Malkovich. Homage to Photographic Masters presenta una delle serie più famose e celebrate dell’artista statunitense Sandro Miller (Elgin, Illinois, 1958).
 
L’esposizione, curata da Anne Morin, prodotta e organizzata da Skira, in collaborazione con diChroma Photography di Madrid e Fondazione Stelline, propone 61 immagini che rendono omaggio a trentaquattro maestri della fotografia, quali Albert Watson, Annie Leibovitz, Bill Brandt, Diane Arbus, Herb Ritts, Irving Penn, Pierre et Gilles, Richard Avedon e Robert Mapplethorpe, nelle quali, John Malkovich, amico e complice di Miller, interpreta il soggetto di celebri scatti, trasformandosi di volta in volta in Marilyn Monroe, Salvador Dalí, Mick Jagger, Muhammad Alì, Meryl Streep, John Lennon e Yoko Ono, Andy Warhol, Albert Einstein, Ernest Hemingway e in molti altri personaggi.
 
“Ognuno di noi – afferma Sandro Miller – ha un eroe o una persona che ammira. Li lodiamo, li veneriamo e li mettiamo su un piedistallo. Può essere una figura religiosa, un attore di Hollywood, una star dello sport come Tiger Woods o Michael Jordan. Per me i grandi maestri della fotografia sono come i campioni sportivi. Ammiro Irving Penn, Richard Avedon, Annie Leibovitz, e ogni singolo fotografo rappresentato nel mio Homage to the Masters. Ho ricreato le fotografie dei grandi maestri in segno di rispetto, amore e ammirazione”.
 
In ogni opera, Miller riproduce con sorprendente perizia tutti i dettagli delle fotografie prese a modello, dagli elementi che compongono il set, ai particolari tagli di luce, alle sfumature del bianco e nero e del colore, esaltando le doti camaleontiche e la capacità mimetica di Malkovich che in ogni posa muta non solo espressione, ma anche sesso e età divenendo uomo o donna, anziano o bambino, sensuale o enigmatico, cupo o gioioso.
La collaborazione fra Sandro Miller e John Malkovich risale agli anni novanta del secolo scorso quando i due si incontrarono a Chicago nella sede della Steppenwolf Theatre Company di cui Malkovich è stato uno dei fondatori. “È diventato la mia tela, la mia musa, John si sedeva ed ascoltava la mia idea, poi diceva ‘Ok facciamolo’”, racconta Miller.
 
Lo scatto che dà vita all’intero progetto, iniziato nel 2013, è quello in cui John Malkovich impersona lo scrittore Truman Capote ritratto da Irving Penn, uno dei maestri che più ha influenzato la carriera di Miller.
A seguire, l’attore protagonista di pellicole come “L’impero del sole”, “Le relazioni pericolose”, “Nel centro del mirino”, “Il tè nel deserto”, ha interpretato una galleria di ritratti così noti da essere divenuti quasi immagini devozionali e che tuttavia non ha timore di dissacrare attraverso il proprio talento. Eccolo allora nella parte di Che Guevara di Korda, in Warhol del celebre autoritratto, o in Mick Jagger nel ritratto di Bailey, sottolineando debolezze, vanità e contraddizioni dei grandi personaggi.
Gli scatti sono preceduti da una minuziosa ricerca in cui Miller e Malkovich, assistiti da costumisti, truccatori e scenografi analizzano accuratamente ogni dettaglio degli originali, scandagliando i lavori dei grandi fotografi presi a modello.
 
«Non ho voluto fare una parodia – ricorda ancora Miller. Rendere omaggio ai fotografi e alle fotografie che hanno cambiato il mio punto di vista sulla fotografia è una cosa seria per me. Queste sono le immagini che mi hanno ispirato facendomi diventare il fotografo che sono oggi».
 
Per meglio apprezzare l’accurato lavoro affrontato da Miller e Malkovich sono presenti anche le riproduzioni delle fotografie che hanno fornito l’ispirazione ai diversi scatti.

Dal 05 Novembre 2021 al 06 Febbraio 2022 – Fondazione Stelline – Milano

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RUTH ORKIN. LEGGENDA DELLA FOTOGRAFIA

© Ruth Orkin

Dal 18 dicembre al 2 maggio, il Museo Civico di Bassano del Grappa propone la prima retrospettiva italiana di Ruth Orkin, leggendaria figura di fotoreporter ma anche cineasta con il cortometraggio “Little Fugitive”, realizzato assieme al marito Morris Engel, nominato agli Oscar nel 1953 e poi Leone d’argento a Venezia.

L’opera di Orkin arriva in Italia in concomitanza del centenario della nascita della fotografa (1921). Dopo Bassano (unica tappa italiana), l’antologica, realizzata assieme a DiChroma Photography, inizierà un tour europeo ed è attesa a San Sebastian, in Spagna, e a Cascais, in Portogallo. Le immagini di Orkin sono delle intense interpretazioni, qualunque sia il soggetto del suo sguardo: personaggi illustri del mondo hollywoodiano o newyorchese – come Robert Capa, Lauren Bacall, Albert Einstein o Woody Allen – o situazioni di vita straordinariamente ordinaria. Emblematiche le immagini riprese perpendicolarmente dalla finestra del suo appartamento sul Central Park o la celeberrima “Ragazza americana in Italia”, icona della fotografia del Novecento che ha il primato di essere il secondo poster più venduto al mondo e che ancora oggi, al tempo del “mee too”, sollecita accese discussioni sul tema del sessismo.

Dopo aver sognato di diventare regista per la MGM, professione allora negata alle donne, Orkin si trasferisce a New York nel 1943 lavorando come fotografa in un locale notturno. Negli anni Quaranta scatta per i maggiori magazine del tempo come LIFE, Look, Laydies Home Journal divenendo una delle firme femminili più importanti della fotografia. Nel ’51 LIFE le commissiona un reportage in Israele per seguire la neonata filarmonica di quel paese. Dalla successiva visita a Firenze deriva “American Girl in Italy”. Poi l’adesione alla Photo League,
il matrimonio di Engel e una carriera che, accanto ai lavori per il New York Times e altre testate, non le impedisce di continuare il suo personale viaggio nella quotidianità e dare vita a progetti originalissimi come “A World Outside My Window”, pubblicato nel ’78, con il quale racconta semplicemente ciò che scorre sotto le finestre di casa sua.

Dal 18 Dicembre 2021 al 02 Maggio 2022 – Musei Civici di Bassano del Grappa

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DAVID LACHAPELLE

© David LaChapelle | David LaChapelle, Virgin Mary, 2021, Los Angeles

Una collezione esclusiva studiata appositamente per la città e per il Maschio Angioino con opere inedite, in un costante dialogo tra il lavoro esposto e lo spazio ospitante.
La mostra, curata da ONO arte e Contemporanéa, è un’installazione site specific che include opere mai esposte prima.
Una produzione Next Exhibition, organizzata in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, Associazione Culturale Dreams, Alta Classe Lab, Fast Forward e Next Event.

Al Maschio Angioino una mostra unica nel suo genere, che è prima di tutto un’indagine intima nel lavoro dell’artista, curata da Vittoria Mainoldi e Mario Martin Pareja.

Questa nuova esposizione, che invita i visitatori a ripercorrere i momenti salienti della prolifica carriera di LaChapelle, presenta quaranta pezzi tratti dai vari periodi significativi della carriera dell’artista – dal 1980 fino ad oggi – offrendo una selezione di opere inedite provenienti dall’archivio del fotografo, unite a capolavori iconici e diverse anteprime.

La mostra “David LaChapelle” esplora la rappresentazione acuta che l’artista fa dell’umanità nel particolare tempo in cui viviamo. L’indagine offre spunti stimolanti e presenta lavori che contribuiscono a cementare il ruolo di LaChapelle tra gli artisti più influenti del mondo.

Pienamente consapevoli dell’artificio creativo, le immagini di LaChapelle si distinguono per la capacità di relazionarsi e dialogare con le manifestazioni della civiltà occidentale su temi vasti, dal Rinascimento classico ai giorni nostri. Attraverso il suo stile in evoluzione, il corpus del lavoro del fotografo comunica le paure, le ossessioni e i desideri della nostra società contemporanea, sfuggenti sempre più ad una facile categorizzazione.

Da non perdere sono le opere seminali Deluge (2007), in cui LaChapelle re-immagina un diluvio biblico, ambientandolo a Las Vegas, traducendo e rendendo contemporanea l’opera di Michelangelo della Cappella Sistina; e Rape of Africa (2009) che vede la modella Naomi Campbell nel ruolo di Venere in una scena di ispirazione botticelliana ambientata nelle miniere d’oro africane.

In mostra verranno anche presentate delle opere tratte dalle vivide e coinvolgenti serie Land SCAPE (2013) e Gas (2013), progetti di natura morta in cui LaChapelle assembla found objects per creare raffinerie di petrolio e stazioni di servizio, prima di presentarle come reliquie in una terra reclamata dalla natura.

Infine, in esclusiva per la Cappella Palatina, alcuni dei negativi fotografici dipinti a mano realizzati negli anni ’80 da LaChapelle, mentre l’artista adolescente esplorava le idee della metafisica e della perdita, sullo sfondo della devastante epidemia di AIDS. Questi negativi faranno parte di una installazione site specific mai realizzata prima ed entreranno in dialogo con le opere più recenti di LaChapelle – alcune presentate per la prima volta in questa occasione – in cui il fotografo viene come catturato da un timore reverenziale per il sublime e dalla ricerca di spiritualità. Come si può vedere in Behold (2017), opera simbolo della mostra. 

Dal 08 Dicembre 2021 al 06 Marzo 2022 – NAPOLI – Maschio Angioino

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JACQUES HENRI LARTIGUE. L’INVENZIONE DELLA FELICITÀ. FOTOGRAFIE

Jacques Henri Lartigue, La Baule, 1979, Ministère de la culture (France), MAP-AAJHL | Courtesy Clp

Dal 30 ottobre al 9 gennaio 2022, il WeGil di Roma, hub culturale della Regione Lazio a Trastevere, ospita L’invenzione della felicità. Fotografie la mostra dedicata al fotografo francese Jacques Henri Lartigue (1894-1986), già accolta con grande successo a Venezia e Milano.
 
L’invenzione della felicità. Fotografie è la più ampia retrospettiva mai realizzata in Italiaè curata da Marion Perceval e Charles-Antoine Revol, rispettivamente direttrice e project manager della Donation Jacques Henri Lartigue e da Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci è promossa dalla Regione Lazio ed è realizzata da LAZIOcrea in collaborazione con Casa Tre Oci di Venezia e Donation Jacques Henri Lartigue di Parigi.
 
L’esposizione raccoglie 120 immagini, di cui 55 inedite, tutte provenienti dagli album fotografici personali di Lartigue, dei quali sono esposte alcune pagine in fac-simile. A queste si aggiungono alcuni materiali d’archivio, libri quali il Diary of a Century (pubblicato con il titolo “Instants de ma vie” in francese) e riviste dell’epoca. Questi documenti ripercorrono la sua intera carriera, dagli esordi dei primi anni del ‘900 fino agli anni ‘80 e ricostruiscono la storia di questo fotografo e la sua riscoperta. Il 1963 è in tale contesto un anno cruciale: John Szarkowski, da poco nominato direttore del dipartimento di fotografia del MoMa – il Museum of Modern Art di New York, espone i suoi lavori al Museo newyorkese, permettendogli di raggiungere il successo quando è vicino ormai ai settant’anni. 
 
Il percorso segue un ordine cronologico affiancato da focus sui principali momenti di riscoperta dell’opera di Lartigue, a cominciare dalla rassegna del museo newyorkese, durante la quale sono presentati i suoi primi scatti precedenti la prima guerra mondiale, e che fanno di lui l’enfant prodige della fotografia. Ispirato dai giornali e dalle riviste illustrate di quest’epoca, Lartigue s’interessa alla ricca borghesia parigina che si ritrovava ai Gran premi automobilistici, alle corse ippiche di Auteuil, oltre che agli uomini e alle donne eleganti che le frequentavano.
 
“La ‘parte di mondo’ di Lartigue – scrive Denis Curti nel suo testo in catalogo – è quella di una Parigi ricca e borghese del nouveau siècle, e anche quando l’Europa verrà attraversata dagli orrori delle due guerre mondiali, Lartigue continuerà a preservare la purezza del suo microcosmo fotografico, continuando a fissare sulla pellicola solo ciò che vuole ricordare, conservare. Fermare il tempo, salvare l’attimo dal suo inevitabile passaggio.
La fotografia diventa per Lartigue il mezzo per riesumare la vita, per rivivere i momenti felici, ancora e ancora”.
 
A seguito del successo ottenuto con la mostra al MoMa, verso la fine degli anni ‘60, Lartigue incontra Richard Avedon e Hiro, due tra i più influenti fotografi di moda di allora, che si appassionano immediatamente alla sua arte.
Avedon, in particolare, gli propone presto di realizzare un lavoro che prenda la forma di un ‘giornale’ fotografico, mostrando un po’ di più degli archivi di Lartigue.Aiutato da Bea Feitler, l’allora direttrice artistica di Harper’s Bazaar, pubblicano nel 1970 il Diary of a Century che lo consacra definitivamente tra i grandi della fotografia del XX secolo.
 
Tuttavia, Lartigue non è più da tempo il fotografo amatoriale di inizio secolo. Dagli anni ‘40 pubblica le sue fotografie su riviste, combinando i suoi incontri mondani e le inquadrature ricercate. Dopo l’approfondimento del periodo della sua riscoperta, le ultime sezioni si concentrano sugli anni ‘70 e ‘80, segnati dalle collaborazioni con il mondo del cinema, dove lavora come fotografo di scena per numerosi film, e della moda. L’occhio di Lartigue, tuttavia, non riuscì mai ad allontanarsi dalla vita di tutti i giorni, immortalando sempre molti dettagli curiosi e carichi d’ironia.
 
Un interessante focus è inoltre riservato alle memorie che Lartigue scrisse negli anni ‘60 e ‘70, quando inizia a ricomporre i suoi album nei quali aveva raccolto tutti i suoi scatti.

Dal 30 Ottobre 2021 al 09 Gennaio 2022 – Roma – Wegil

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SUNIL GUPTA. EMERGE INTO LIGHT

© Sunil Gupta. All rights Reserved, DACS 2021 | Sunil Gupta, Untitled #43 from the series Christopher Street, 1976. Image courtesy the artist and Hales Gallery

Matèria è orgogliosa di presentare la prima personale in Italia di Sunil Gupta (New Delhi, 1953) dal titolo Emerge into Light. In mostra due serie seminali del fotografo naturalizzato canadese e di base a Londra, Christopher Street (1976) e From Here to Eternity (1999 – 2020), accompagnate da un testo inedito di Mark Sealy.
 
Nel corso di una carriera che dura da più di quattro decenni, Gupta ha mantenuto un approccio visionario alla fotografia, producendo opere pionieristiche per il loro valore sociale e politico, in cui l’elemento autobiografico e quello pubblico si fondono profondamente. L’esperienza diasporica dell’artista, formata da più culture, dà vita a una pratica dedicata ai temi razziali, della migrazione e dell’identità queer – la sua esperienza vissuta è un punto di partenza per progetti fotografici, nati dal desiderio di vedere se stesso e altri come lui rappresentati nella storia dell’arte. 
 
Christopher Street è la prima serie che Gupta ha realizzato come artista. Trasferitosi da Montreal a New York ha documentato una rivoluzione sociale e culturale: la città era profondamente cambiata in seguito alle rivolte di Stonewall del 1969 che portarono a una svolta nella affermazione dell’identità gay, le strade del West Village e le persone che le abitavano erano il simbolo di una nuova apertura e di un’accettazione senza precedenti. 
Le fotografie di Christopher Street fondono il pubblico con il personale, infatti, se da un lato la serie riflette l’atmosfera inebriante dell’era della liberazione della comunità gay, dall’altro rappresenta il “coming out” di Gupta come artista. Più che una nostalgica capsula del tempo, le fotografie rivelano una comunità che ha plasmato Gupta come persona e ha cementato la sua dedizione nel ritrarre persone a cui è stato negato uno spazio per essere se stesse. 
 
A rappresentare un ulteriore punto di svolta nella carriera e nella vita dell’artista è la serie del 1999 From Here to Eternity, un lavoro rivisitato, allargato e concretizzato nell’omonimo libro pubblicato da Autograph nel 2020.È dagli spread della pubblicazione che nasce l’installazione immersiva e site specific, presentata nello spazio più intimo e circoscritto della galleriaNel 1999 Gupta produce From Here to Eternity componendo sei dittici in risposta a un periodo di malattia causata dall’HIV, un lavoro che rappresenta uno strumento di riflessione su come il virus stava influenzando la sua vita. Come racconta l’artista, From Here to Eternity è “Un’interpretazione dell’HIV e dei suoi effetti sul corpo del Terzo Mondo, una mappa del mio contesto locale, Londra come un punto focale degli atteggiamenti verso i sopravvissuti e le loro cure. Sento che lo sfondo delle politiche sessuali e la loro erosione – in un contesto di commercializzazione continua e sfacciata della sessualità –  hanno lasciato le persone che vivono con l’HIV ad affrontare le enormi questioni etiche relative nella completa solitudine”.
Il lavoro, dalla sua realizzazione fino al processo di stampa in camera oscura, aiutò Gupta a vedere una via d’uscita dal virus, diventando un momento di autoguarigione; gli scatti di From Here to Eternity furono generativi di un nuovo senso di scopo e speranza.
 
La mostra rappresenta un’occasione di vedere riuniti due lavori di Gupta, fondamentali per comprendere il processo di formazione dell’identità personale in un momento di crisi.

Dal 30 Ottobre 2021 al 15 Gennaio 2022 – Matèria Gallery – Roma

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FERDINANDO SCIANNA. NON CHIAMATEMI MAESTRO
 

© Ferdinando Scianna / courtesy Still Fotografia | Ferdinando Scianna, Parigi, 1989

Primo italiano ammesso nel 1982 alla Magnum, introdotto da Cartier Bresson nella leggendaria agenzia fondata da Robert Capa e da Cartier-Bresson stesso. Basterebbe questo per far capire l’ossimoro di “Non chiamatemi maestro”, il titolo della mostra di Ferdinando Scianna (Bagheria, Sicilia, 1943) in programma a STILL Fotografia (Via Zamenhof 11, Milano) dal 27 ottobre 2021 al 22 gennaio 2022.
 
Il percorso, curato da Fabio Achilli e Denis Curti, presenta 50 immaginiche raccontano, attraverso molte delle sue fotografie più iconiche (dai viaggi in Spagna, America Latina, New York, Parigi alla sua amata Sicilia), la carriera di questo grande artista contemporaneo, noto anche per la sua non comune perizia narrativa e per l’abilità nella nobile arte dell’aforisma. Navigare tra le sue frasi, così come tra le sue fotografie, è un viaggio appassionante: “Le mie immagini, e non soltanto quelle siciliane, sono spesso molto nere. Io vedo e compongo a partire dall’ombra. Il sole mi interessa perché fa ombra. Immagini drammatiche di un mondo drammatico”.
Tante sono le personalità che hanno dedicato un pensiero al suo lavoro a partire da Goffredo Fofi, che nel testo del catalogo della mostra curata da Denis Curti, Paola Bergna e Alberto Bianda “Ferdinando Scianna – Viaggio Racconto Memoria” (Marsilio, 2018) scrive: “Il lavoro fotografico di Scianna lo fa pensare a Hemingway e chiaramente a Sciascia, suo mentore ed “esortatore”.
E qui torna ancora una volta la Sicilia, isola incantevole e complessa, attraversata da millenni di civiltà diverse. L’assonanza dei due cognomi, Scianna e Sciascia che lascia intravedere una comune lontana matrice araba. Un sodalizio con Leonardo Sciascia, considerato l’uomo-chiave della sua esistenza, nato nel 1964 quando lo scrittore vide delle foto di feste religiose esposte al circolo culturale di Bagheria e lasciò un biglietto di complimenti.
Sicilia meravigliosamente incarnata dalla modella Marpessa Hennink, protagonista del catalogo di Dolce e Gabbana realizzato appunto nell’isola, che gli fa scoprire una vena teatrale da messa in scena, che però scaturiva dalla realtà, dalla strada, come in tutti i suoi miei scatti. Una moda intesa come una ragazza vestita in un certo modo che vive nel mondo, non in uno studio con la luce artificiale.
 
Scianna ha ricevuto numerosi e importanti premi internazionali; ha pubblicato oltre sessanti volumi; ha lavorato nel reportage, nel ritratto, nella moda e nella pubblicità. Scrive di critica fotografica e di comunicazione, negli ultimi anni pratica una letteratura ibrida, incrociata sul dialogo testo / immagine (ossia sul Primo Comandamento cui dovrebbe obbedire ogni libro illustrato).
 
“Il mio mestiere è fare fotografie – dice Scianna – e le fotografie non possono rappresentare le metafore. Le fotografie mostrano, non dimostrano”.
 
Frase che trova immediata corrispondenza in una delle sue fotografie più note presenti in mostra, scattata a Beirut nel 1976 durante la guerra civile libanese, dove un combattente cristiano maronita imbraccia, in posizione di tiro, un fucile automatico Colt M16, sul calcio una decalcomania, ovale, della Madonna.

Dal 27 Ottobre 2021 al 22 Gennaio 2022 – Still Fotografia – Milano

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Casa Azul – Giulia Iacolutti

© Giulia Iacolutti

La Project Room – a cura di Giulia Zorzi – ospita il lavoro della fotografa e artista visiva Giulia Iacolutti, centrato su progetti di arte relazionale attinenti all’identità e alle tematiche di genere.

Il progetto dal titolo Casa Azul è un’indagine socio-visiva sulle storie di cinque donne trans recluse in uno dei penitenziari maschili di Città del Messico. L’opera richiama i processi di costruzione del sé e le pratiche di persone i cui corpi sono considerati doppiamente abietti sia per la loro identità che per la condizione d’isolamento.

‘Azul’ (blu) è il colore degli abiti che le donne trans, come tutti i detenuti maschi del penitenziario, sono obbligate a indossare.

Realizzati a mano con la tecnica della cianotipia, caratterizzata dal tipico blu di Prussia, i ritratti delle protagoniste condividono lo spazio con i loro manoscritti e alcune fotografie di cellule prostatiche sane scattate al microscopio e trattate in rosa, in collaborazione con l’Istituto di Ricerca Biomedica di Bellvitge (IDIBELL). Dove il blu evoca l’apparenza e l’identità imposta, il rosa si riferisce all’interiorità, all’essere e all’autodeterminazione.

L’opera invita a una riflessione sul binarismo di genere e sull’eterna lotta che queste persone devono affrontare per essere quello che sono: donne.

Dal 27 novembre 2021 al 13 febbraio 2022 – PAC – Milano

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Genova – Lisetta Carmi

A partire dal 2 dicembre 2021, l’Associazione di promozione sociale Magazzini Fotografici è orgogliosa di ospitare nelle sue sale la mostra “Genova” di Lisetta Carmi, 30 scatti in bianco e nero che raccontano, attraverso lo sguardo sincero della fotografa, la Genova del secondo dopo guerra, una città in piena evoluzione sociale ed economica.


Lisetta Carmi, tra i massimi interpreti della fotografia sociale nella seconda metà del Novecento, comincia a fotografare Genova durante gli anni sessanta, in un periodo storico che vede la città subire una trasformazione radicale, con la ricostruzione successiva ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale e i forti e repentini cambiamenti legati al boom economico.

Nella ricerca fotografica di Lisetta Carmi possiamo ritrovare il documento della mutevole Genova di quegli anni, rivista nei vicoli del centro storico, nelle tracce lasciate dalla guerra ma anche della vita quotidiana attraverso i ritratti dei bambini che ricominciano a giocare per strada. Sempre di quegli stessi anni sono le immagini che raccontano la comunità dei travestiti della città, scatti che portarono la fotografa ad occuparsi in maniera radicale di identità di genere, peraltro in un periodo estremamente ostile. Fotografie che destarono in quegli anni grande scandalo ma che oggi ci restituiscono nelle vibrazioni la forte empatia che la fotografa riuscì ad instaurare con i soggetti fotografati.

«Non ho mai cercato dei soggetti (…) mi sono venuti incontro, perché nel momento in cui la mia anima vibra insieme con il soggetto, con la persona che io vedo, allora io scatto. Tutto qui».

Lisetta Carmi

A curare la mostra è Giovanni Battista Martini,amico di Lisetta Carmi e curatore dell’archivio della fotografa  “La casa dove Lisetta Carmi viveva e lavorava negli anni Sessanta è in Piazza Fossatello e chiude a sud la Via del Campo, ai margini dell’antico ghetto ebraico. Un crocicchio di « caruggi » (vicoli), dove la comunità dei travestiti aveva trovato in quegli anni un luogo protetto e seminascosto per poter affermare la propria identità.

Ho conosciuto Lisetta nel 1967, quando ero ancora uno studente del Liceo Artistico e con sua nipote Francesca mi recavo nel suo studio; ricordo ancora che per salire all’ultimo piano con l’ascensore si doveva inserire una monetina.

Fu proprio durante una di quelle visite che vidi, per la prima volta, alcune stampe dei travestiti lasciate ad asciugare in camera oscura. Rimasi fin da subito impressionato dalla forza di quelle immagini e dalla novità dei soggetti. In quelle fotografie c’era lo sguardo di Lisetta: uno sguardo a prima vista semplicemente oggettivo, ma che in realtà sfidava le convenzioni e il benpensare borghese. Uno sguardo in grado di oltrepassare la nozione di reportage per diventare una “narrazione per immagini”, un racconto di storie di vite capace di testimoniare la sincera amicizia costruita in  sei anni di frequentazione con i travestiti.

Lisetta Carmi ha scelto, nel corso degli anni, di portare il suo sguardo suoi luoghi più identitari della città di Genova come il porto, il centro storico, la fabbrica.”

Le fotografie in mostra si inseriscono nel dialogo portato avanti dall’associazione culturale sul tema intimità e ne definiscono diverse sfumature: “Il giorno che ho incontrato Lisetta Carmi lo conservo tra le esperienze più belle, mi ha accolto affettuosamente nella sua casa essenziale, elegante, di quelle senza troppi oggetti. I ricordi Lisetta Carmi li porta nel cuore.

Appena ci siamo sedute mi ha chiesto di darle la mano, me l’ha tenuta stretta ed ha cominciato a raccontarmi la sua vita…

Riuscire a portare a Magazzini Fotografici una mostra così importante è per me un grande traguardo. Dal giorno della riapertura post pandemia ho deciso che, dopo tanta distanza, sarebbe stato bello raccontare l’intimità, l’incontro con la parte intima degli autori in mostra e Genova di Lisetta Carmi è proprio un viaggio intimo, un incontro con la ‘sua’ Genova: il porto, i travestiti, ogni passo ed ogni luogo vissuto e raccontato dalla Carmi porta con sé la grande umanità di questa esploratrice del mondo e delle sue sfaccettature trascendentali.

Osservando questo spaccato di vita genovese, il visitatore potrà scoprire le non poche analogie che legano la città natale della fotografa alla nostra Napoli. Infatti Genova, non solo morfologicamente ma anche storicamente, ha un evidente forte legame con la nostra città” sottolinea Yvonne De Rosa, art director dell’APS. Ad ospitare la mostra è Magazzini Fotografici, APS nata da un’idea della fotografa Yvonne De Rosa, che ha come elemento fondamentale l’obiettivo della divulgazione dell’arte della fotografia finalizzata alla creazione di un dialogo che sia occasione di scambio e di arricchimento culturale. Il team di Magazzini Fotografici è composto da: Yvonne De Rosa – Direttrice artistica e Fondatrice, Valeria Laureano – fotografa e coordinatrice, e Rossella Di Palma – responsabile ufficio stampa e comunicazione.

2 dicembre 2021 | 6 marzo 2022 – Magazzini Fotografici – Napoli

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Mostre di fotografia segnalate per Aprile

Ciao a tutti,

un mese così ricco di mostre fantastiche non credo di averlo mai visto. Vi faccio solo qualche nome: Cartier-Bresson, Bourke-White, Doisneau.

Non aggiungo altro. Date un’occhiata e sono certa troverete qualcosa che non vorrete perdervi.

Compatibilmente con le conseguenze legate alla situazione, le mostre saranno visitabili anche quando potremo visitarle.

Anna

Massimo Vitali – Costellazioni Umane

La mostra si articola in circa 30 opere scelte in venticinque anni di produzione dell’artista. Il percorso espositivo non scandito in ordine cronologico è, a tutti gli effetti, una sorta di mostra antologica.
Per chi conosce l’opera di Vitali sarà importante ritrovare le spiagge italiane assolate e gremite di gente in vacanza (1995), ma sarà anche una sorpresa vedere, per la prima volta in assoluto, gli scatti dei concerti di Jovanotti nel suo ultimo tour italiano del 2019.
L’opera di Massimo Vitali attinge esteticamente alla storia dell’arte e non solo a quella della fotografia.

Italiano d’origine, anglosassone di formazione e con una visione internazionale e attenta all’evolversi della ricerca d’avanguardia a cavallo tra il secolo scorso e quello attuale, l’artista appare come un fotografo incline a non lasciare tracce nelle sue opere di momenti legati a fatti storici identificabili. Il suo mondo estremamente raggelato e cristallizzato, appare come sospeso in un fermo immagine cinematografico. Non vi sono mai dettagli identificabili con fatti storici attuali, se non per i titoli che, talvolta, rimandano a raduni affollati o a serate di divertimento in discoteca.

La sua opera appare come conseguente a un periodo “illuminista”, dove vengono registrati luoghi che, al di là del loro interesse geografico, paesaggistico o atmosferico, sono immortalati per ciò che sono e “catturati” da un occhio algido e preciso per quantità di dettagli e particolari illustrati fino al parossismo. Le costruzioni vengono restituite in tutta la loro identità e fisicità architettonica; le montagne sono riprese, per quanto impossibile, fino all’ultima roccia e lichene; le spiagge e le dune di sabbia, ammorbidite dai riflessi e dalle ombre percepibili fino all’orizzonte. Come Canaletto e molta della pittura settecentesca, il suo occhio capta ogni minimo dettaglio e lo trasferisce sulla carta fotografica in modo realistico e analitico.
L’atmosfera – per intenderci quella leonardesca dello sfumato e della percezione spaziale della nebulizzazione nell’aria dell’acqua e della polvere – è inesistente nelle sue fotografie. Tutto è definito. Come in Canaletto le figurine poi recitano parti di una commedia scritta in modo corale, le persone appaiono come dirette da un regista fuori scena e obbediscono a dettami predefiniti anche se in modo ovviamente inconscio.
Tutto è proiettato su uno schermo in cui i protagonisti recitano, come attori istruiti, parti a loro destinate dai fatti contingenti.
I titoli delle opere tendono a confondere lo spettatore come se l’artista avesse destinato, alle persone ritratte, parti precise e ruoli da primo attore.
In opere come De Haan Kiss (2001), in cui due ragazzi in primo piano si scambiano un bacio, o in Cefalù Orange Yellow Blue (2008), dove vi sono costumi da bagno colorati, è il caso che determina il titolo dell’opera deciso in post produzione dopo un attento riesame della fotografia.

Invece, in opere come Carcavelos Pier Paddle (2016), il ragazzino – che sulla sinistra dell’opera è immortalato per sempre nel suo tuffo acrobatico, riprendendo la grande storia delle immagini sportive, dal tuffatore del notissimo affresco di epoca romana a Paestum fino al Tuffatore (1951) di Nino Migliori – non dà nessun titolo all’opera, pur avendone “pieno diritto”. Ciò non significa comunque che le opere di Vitali siano dei “d’après” ma, al contrario, sono degli originali che continuano la storia della fotografia in modo innovativo e personale.
L’opera di Vitali è – dopo oltre trent’anni di lavoro – quella di un grande autore classico, totalmente immerso nella storia dell’arte italiana e internazionale, che lo colloca fra i maggiori artisti dei nostri tempi.
Due volumi antologici, editi da Steidl, documentano il lavoro dell’artista con le riproduzioni di tutte le opere esposte.

dal 26 febbraio al 5 luglio 2020 – Museo Ettore Fico di Torino

Tutti i dettagli qua

HENRI CARTIER-BRESSON: LE GRAND JEU

Palazzo Grassi presenta “Henri Cartier-Bresson: Le Grand Jeu”, realizzata con la Bibliothèque nationale de France e in collaborazione con la Fondation Henri Cartier-Bresson.

Il progetto della mostra, ideato e coordinato da Matthieu Humery, mette a confronto lo sguardo di cinque curatori sull’opera di Cartier-Bresson (1908 – 2004), e in particolare sulla “Master Collection”, una selezione di 385 immagini che l’artista ha individuato agli inizi degli Settanta, su invito dei suoi amici collezionisti Jean e Dominique de Menil, come le più significative della sua opera.

La fotografa Annie Leibovitz, il regista Wim Wenders, lo scrittore Javier Cercas, la conservatrice e direttrice del dipartimento di Stampe e Fotografia della Bibliothèque nationale de France Sylvie Aubenas, il collezionista François Pinault, sono stati invitati a loro volta a scegliere ciascuno una cinquantina di immagini a partire dalla “Master Collection” originale, della quale esistono cinque esemplari.

Attraverso la loro selezione, ognuno di loro condivide la propria visione personale della fotografia, e dell’opera di questo grande artista. Rinnovare e arricchire il nostro sguardo sull’opera di Henri Cartier-Bresson attraverso quello di cinque personalità diverse è la sfida del progetto espositivo “Le Grand Jeu” a Palazzo Grassi.

La mostra “Henri Cartier-Bresson: Le Grand Jeu” sarà presentata alla Bibliothèque nationale de France, a Parigi, nella primavera 2021.

Dal 22 Marzo 2020 al 10 Gennaio 2021 – Venezia Palazzo Grassi

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YOUSSEF NABIL. ONCE UPON A DREAM

Insieme alla mostra dedicata a Henri Cartier-Bresson, a cui sarà riservato il primo piano espositivo, Palazzo Grassi presenta una mostra monografica dedicata all’artista Youssef Nabil (Il Cairo, 1972), dal titolo “Once Upon a Dream” curata da Matthieu Humery Jean-Jacques Aillagon.

Realizzate con la tecnica tradizionale egiziana largamente utilizzata per i ritratti fotografici di famiglia e per i manifesti dei film che popolavano le strade de Il Cairo, le fotografie successivamente dipinte a mano da Youssef Nabil restituiscono la suggestione di un Egitto leggendario tra simbolismo e astrazione.

La ricerca dei reperti identitari, le preoccupazioni ideologiche, sociali e politiche del XXI secolo, la malinconia di un passato lontano sono i soggetti che Nabil predilige nella sua ricerca artistica. L’esposizione intende invitare a un’immersione libera nella carriera dell’artista attraverso sezioni tematiche che riproducono i suoi primi lavori fino alle opere più recenti. Ad arricchire il percorso la produzione video di Nabil con i suoi tre video Arabian Happy Ending, I Saved My Belly Dancer e You Never Left.

22/03/2020 – 10/01/2021 – Palazzo Grassi Venezia

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PRIMA, DONNA. MARGARET BOURKE-WHITE

La mostra raccoglie, in una selezione del tutto inedita, le più straordinarie immagini realizzate da Margaret Bourke-White – tra le figure più rappresentative ed emblematiche del fotogiornalismo – nel corso della sua lunga carriera. Accanto alle fotografie, una serie di documenti e immagini personali, video e testi autobiografici, raccontano la personalità di un’importante fotografa, una grande donna, la sua visione e la sua vita controcorrente.

Sarà possibile ammirare oltre 100 immagini, provenienti dall’archivio Life di New York e divise in 10 gruppi tematici che, in una visione cronologica, rintracciano il filo del percorso esistenziale di Margaret Bourke-White e mostrano la sua capacità visionaria e insieme narrativa, in grado di comporre “storie” fotografiche dense e folgoranti.

L’esposizione rientra ne “I talenti delle donne”, un palinsesto promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano dedicato all’universo delle donne, focalizzando l’attenzione di un intero anno – il 2020 – sulle loro opere, le loro priorità, le loro capacità. Si vuole  rendere visibili i contributi che le donne nel corso del tempo hanno offerto e offrono in tutte le aree della vita collettiva, a partire da quella culturale ma anche in ambito scientifico e imprenditoriale, al progresso dell’umanità.

L’obiettivo è non solo produrre nuovi livelli di consapevolezza sul ruolo delle figure femminili nella vita sociale ma anche aiutare concretamente a perseguire quel principio di equità e di pari opportunità che, dalla nostra Costituzione, deve potersi trasferire nelle rappresentazioni e culture quotidiane.

Dal 18 Marzo 2020 al 28 Giugno 2020 – Palazzo Reale MILANO

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ROBERT DOISNEAU

Dal 6 marzo al 21 giugno 2020 Palazzo Pallavicini ospita un’importante retrospettiva dedicata al grande fotografo parigino  Robert Doisneau (Gentilly, 14 aprile 1912 – Montrouge, 1º aprile 1994), celebre per il suo approccio poetico alla street photography, autore di Le baiser de l’hôtel de ville, una delle immagini più famose della storia della fotografia del secondo dopoguerra.

La mostra è curata dall’Atelier Robert Doisneau, creato da Francine Deroudille e Annette Doisneau per conservare e rappresentare le opere del fotografo, ed è organizzata da Pallavicini s.r.l. di Chiara CampagnoliDeborah Petroni e Rubens Fogacci in collaborazione con diChroma photography.

Sono 143 le opere in mostra nelle prestigiose sale di Via San Felice, tutte provenienti dall’Atelier. L’esposizione è il risultato di un ambizioso progetto del 1986 di Francine Deroudille e della sorella Annette – le figlie di Robert Doisneau – che hanno selezionato da 450.000 negativi, prodotti in oltre 60 anni di attività dell’artista, le immagini della mostra che ci raccontano l’appassionante storia autobiografica dell’artista.

I sobborghi grigi delle periferie parigine, le fabbriche, i piccoli negozi, i bambini solitari o ribelli, la guerra dalla parte della Resistenza, il popolo parigino al lavoro o in festa, gli scorci nella campagna francese, gli incontri con artisti e le celebrità dell’epoca, il mondo della moda e i personaggi eccentrici incontrati nei caffè parigini, sono i protagonisti del racconto fotografico di un mondo che “non ha nulla a che fare con la realtà, ma è infinitamente più interessante”. Doisneau non cattura la vita così come si presenta, ma come vuole che sia. Di natura ribelle, il suo lavoro è intriso di momenti di disobbedienza e di rifiuto per le regole stabilite, di immagini giocose e ironiche giustapposizioni di elementi tradizionali e anticonformisti.

Influenzato dall’opera di André Kertész, Eugène Atget e Henri Cartier-Bresson, Doisneau conferisce importanza e dignità alla cultura di strada, con una particolare attenzione per i bambini, di cui coglie momenti di libertà e di gioco fuori dal controllo dei genitori, trasmettendoci una visione affascinante della fragilità umana.

Le meraviglie della vita quotidiana sono così eccitanti;
nessun regista può ricreare l’inaspettato che trovi per strada.
Robert Doisneau

Dal 06 Marzo 2020 al 21 Giugno 2020 – Palazzo Pallavicini – Bologna

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PETER LINDBERGH. HEIMAT. A SENSE OF BELONGING

In occasione della settimana della moda di Milano, Giorgio Armani inaugura negli spazi di Armani/Silos la nuova mostra dedicata al lavoro del fotografo Peter Lindbergh. Intitolata Heimat. A Sense of Belonging, la mostra presenta un’ampia selezione dell’opera di Lindbergh, percorrendo vari decenni del lavoro del fotografo, pubblicato come inedito.

Curata personalmente da Giorgio Armani in collaborazione con la Fondazione Peter Lindbergh, la mostra evidenzia le straordinarie affinità tra due figure visionarie, il cui originale senso di identità ha definito standard molto personali e molto alti, tanto nell’arte quanto nella vita. Giorgio Armani e Peter Lindbergh hanno condiviso valori che hanno permeato tutta la loro estetica. In particolare, l’apprezzamento per la verità e l’anima che da essa emana, e la ricerca dell’onestà in opposizione all’artificio, hanno dato vita a una stretta collaborazione iniziata negli anni Ottanta e proseguita nel corso delle rispettive carriere.

Incentrata sugli aspetti noti e meno noti del lavoro di Lindbergh e allestita al piano terra di Armani/Silos, Heimat. A Sense of Belonging si sviluppa come un movimento in tre sezioni. Il punto di vista unico del fotografo, la sua idea di spazio e di bellezza, la sua estetica inconfondibile e le sue fonti di ispirazione si svelano in un viaggio che va oltre l’idea della fotografia di moda. Si parte dai ritratti di The Naked Truth, si prosegue con le possenti atmosfere di Heimat, si conclude con la sorprendente schiettezza delle immagini di The Modern Heroine.

La comprensione della femminilità dimostrata da Lindbergh, il suo interesse per la personalità e la sua propensione per la verità, lo hanno sempre distinto dai suoi colleghi. C’è un’onestà intrinseca nel lavoro di Lindbergh che è strettamente legata alla sua stessa Heimat. La parola Heimat, in tedesco, significa qualcosa di più di casa: è un luogo del cuore, il luogo a cui si appartiene. Per Lindbergh, Heimat é il background industriale di Duisburg, con le sue fabbriche, la nebbia, il metallo e il cemento. L’estetica della Berlino degli anni ’20 ha lasciato un’altra indelebile impronta nel suo lavoro. Attraverso il filtro di uno sguardo pieno di umanità, tali spunti hanno generato un senso di cruda bellezza che connota l’intera opera del fotografo.

Il cuore della mostra ospitata nell’Armani/Silos ruota intorno a immagini in cui l’espressivo ambiente industriale è qualcosa di più di un semplice sfondo: un protagonista narrativo, splendidamente nudo nella sua verità, così come lo sono i ritratti di Lindbergh, sempre spogli da qualsiasi artificio, insieme alla sua idea di eroina moderna come donna piena di potere, che mostra con orgoglio i segni dell’età e del tempo. All’interno di questi tre movimenti, Heimat descrive la complessità e l’immediatezza dell’opera di Lindbergh, e la sua atemporalità.

“Ho sempre ammirato Peter per la coerenza e l’intensità del suo lavoro. Essere senza tempo è una qualità a cui aspiro personalmente, e che Peter sicuramente possedeva. Con questa mostra all’Armani/Silos voglio rendere omaggio a un compagno di lavoro meraviglioso il cui amore per la bellezza rappresenta un contributo indelebile per la nostra cultura, non soltanto per la moda” afferma Giorgio Armani.

Noto per le sue immagini cinematografiche, Peter Lindbergh (1944-2019) nasce a Leszno, in Polonia, e trascorre l’infanzia a Duisburg (Renania Settentrionale-Vestfalia). Studia belle arti a Berlino e pittura a Krefeld, rivolgendo il suo interesse alla fotografia dopo essersi trasferito a Düsseldorf nel 1971. Entrato a far parte della famiglia della rivista Stern insieme a leggende della fotografia quali Helmut Newton, Guy Bourdin e Hans Feurer, si trasferisce a Parigi nel 1978 per proseguire la carriera. In poco tempo Lindbergh introduce una forma di nuovo realismo, dando priorità all’anima e alla personalità dei suoi soggetti, modificando così in modo definitivo gli standard della fotografia di moda, e allontanandosi dagli stereotipi riguardanti età e bellezza. Il suo lavoro è conosciuto soprattutto per i ritratti semplici e rivelatori, e per le forti influenze esercitate su di esso dal cinema tedesco e dall’ambiente industriale della sua infanzia.

Dalla fine degli anni Settanta, Peter Lindbergh ha collaborato con prestigiose riviste, tra cui l’edizione americana e italiana di Vogue, Rolling Stone, Vanity Fair, l’edizione americana di Harper’s Bazaar, Wall Street Journal Magazine, Visionaire, Interview e W. Ha realizzato le foto di tre calendari Pirelli, rispettivamente nel 1996, 2002 e 2017, e i suoi lavori sono presenti nelle collezioni permanenti del Victoria & Albert Museum (Londra), del Centre Pompidou (Parigi), del MoMA PS1 (New York). Sue mostre personali sono state ospitate all’Hamburger Banhof (Berlino), al Bunkamura Museum of Art (Tokyo), al Pushkin Museum of Fine Arts (Mosca) alla Kunsthal di Rotterdam, alla Kunsthalle di Monaco di Baviera, alla Reggia di Venaria (Torino) e al Kunstpalast (Düsseldorf).

Peter Lindbergh ha diretto una serie di film e documentari acclamati dalla critica: Models, The Film (1991); Inner Voices (1999), che si è guadagnato il premio Best Documentary al Toronto International Film Festival (TIFF) nel 2000; Pina Bausch, Der Fensterputzer (2001) e Everywhere at Once (2007), con la voce narrante di Jeanne Moreau, presentato a Cannes e al Tribeca Film Festival.

Dal 22 Febbraio 2020 al 02 Agosto 2020 – Armani/Silos – Milano

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ELLIOTT ERWITT. ICONS

Inaugura venerdì 21 febbraio al WeGil, l’hub culturale della Regione Lazio a Trastevere, ELLIOTT ERWITT ICONS, la mostra a cura di Biba Giacchetti che celebra uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea. In programma dal 22 febbraio al 17 maggio 2020, la retrospettiva, promossa dalla Regione Lazio e organizzata da LAZIOcrea in collaborazione con SudEst57, raccoglie settanta degli scatti più celebri di Erwitt: uno spaccato della storia e del costume del Novecento visti attraverso lo sguardo tipicamente ironico del fotografo, specchio della sua vena surreale e romantica.
 
L’obiettivo di Erwitt ha catturato alcuni degli istanti fondamentali della storia del secolo scorso che, grazie alle sue fotografie, sono rimasti impressi nell’immaginario collettivo. Tra le foto in mostra, non mancheranno i celebri ritratti di Che Guevara, Marlene Dietrich e la famosa serie dedicata a Marilyn Monroe. Il pubblico potrà ammirare alcuni degli scatti più iconici e amati di Erwitt come il “California Kiss” in cui emerge la vena più romantica del maestro.
 
Completa l’esposizione il catalogo della mostra a cura di SudEst57 in cui ogni fotografia è accompagnata da un dialogo tra Elliott Erwitt e Biba Giacchetti attraverso cui scoprire i segreti, le avventure e il senso di ognuna di esse.

Dal 21 Febbraio 2020 al 17 Maggio 2020 – WeGil – Roma

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Dorothea Lange –  Words & Pictures

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Toward the end of her life, Dorothea Lange (1895–1965) reflected, “All photographs—not only those that are so called ‘documentary’…can be fortified by words.” A committed social observer, Lange paid sharp attention to the human condition, conveying stories of everyday life through her photographs and the voices they drew in. Dorothea Lange: Words & Pictures, the first major MoMA exhibition of Lange’s in 50 years, brings iconic works from the collection together with less seen photographs—from early street photography to projects on criminal justice reform. The work’s complex relationships to words show Lange’s interest in art’s power to deliver public awareness and to connect to intimate narratives in the world.

In her landmark 1939 photobook An American Exodus—a central focus of the show—Lange experiments with combining words and pictures to convey the human impact of Dust Bowl migration. Conceived in collaboration with her husband, agricultural economist Paul Taylor, the book weaves together field notes, folk song lyrics, newspaper excerpts, and observations from contemporary sociologists. These are accompanied by a chorus of first-person quotations from the sharecroppers, displaced families, and migrant workers at the center of her pictures. Presenting Lange’s work in its diverse contexts—photobooks, Depression-era government reports, newspapers, magazines, poems—along with the voices of contemporary artists, writers, and thinkers, the exhibition offers a more nuanced understanding of Lange’s vocation, and new means for considering words and pictures today.

Through May 9 2020 – MOMA – New York
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At Home In Sweden, Germany And America – Gerry Johansson

Nelle fotografia di Johansson l’uomo è traccia, è ciò che fa e che ha fatto, ciò che resta nel paesaggio. E il paesaggio è ovunque arrivi lo sguardo del fotografo, camminatore e osservatore attento a quel microcosmo di elementi che fanno la differenza una volta individuati e contenuti nel perimetro dell’immagine. – Laura De Marco

At home in Sweden, Germany and America è la mostra personale del fotografo svedese Gerry Johansson nata dalla collaborazione tra Spazio Labo’ e OMNE – Osservatorio Mobile Nord Est di Castelfranco Veneto che con i curatori Stefania Rössl e Massimo Sordi si occupa di progetti di fotografia contemporanea con particolare attenzione al tema del paesaggio. 

La mostra è una retrospettiva della celebre trilogia di libri Amerika (1998), Sverige (2005) e Deutschland (2012) che raccolgono fotografie realizzate da Johansson nel corso di svariati viaggi compiuti tra il 1993 e il 2018 in Svezia, Germania e America. 

Oltre vent’anni di campagne fotografiche sul paesaggio americano, svedese e tedesco: paesaggi urbani e agricoli, città e piccoli centri urbani, poca presenza umana ma molte tracce dell’uomo. Uno sguardo sul paesaggio antropizzato che ricorda quello dello storico gruppo dei New topographics – da Lewis Baltz ai coniugi Becher per limitare le citazioni ai nomi più noti – a cui sicuramente Johansson si è ispirato all’inizio della sua carriera ma da cui successivamente si è mosso per costruire uno sguardo proprio, all’apparenza distaccato ma in cui l’occhio attento riscontra una certa intimità e una ricorrenza di temi e simbologie propri dell’autore svedese.

Nelle fotografia di Johansson l’uomo è traccia, è ciò che fa e che ha fatto, ciò che resta nel paesaggio. E il paesaggio è ovunque arrivi lo sguardo del fotografo, camminatore e osservatore attento a quel microcosmo di elementi che fanno la differenza una volta individuati e contenuti nel perimetro dell’immagine. 

Ogni immagine vive di vita propria e chiede di essere letta nella sua individualità, svincolata da una narrazione rigida o premeditata. Ma allo stesso tempo Johansson tesse le fila di un discorso più ampio, ci riporta a casa ovunque ci troviamo, sia in Svezia, Germania o America. La sua casa, quella del suo sguardo.

Pur appartenendo a luoghi geograficamente distanti, le fotografie in mostra possiedono la capacità di restituire i frammenti di un universo che trova il modo di ricomporsi attraverso la dimensione autoriale del fotografo svedese. 

Comparabili a molte realtà appartenenti al territorio italiano,  le immagini presentate possiedono un valore iconico e invitano l’osservatore a decifrare, attraverso ogni singolo dettaglio, la visione d’insieme che avvicina al presente.

Il caratteristico uso del bianco e nero dai toni morbidi che, come un rituale, Johansson sviluppa e stampa rigorosamente in camera oscura, e la composizione precisa di ogni fotografia suggeriscono, nella loro combinazione, il superamento della dimensione soggettiva dell’immagine aperta ai molteplici aspetti del paesaggio contemporaneo. 

Accanto alle fotografie la mostra presenta una selezione della produzione editoriale di Johansson che raccoglie, ad oggi, più di trenta volumi. In mostra saranno esposte anche fotografie finora inedite. 

La mostra è organizzata in collaborazione con OMNE – Osservatorio Mobile Nord Est, Alma Mater Studiorum / Università di Bologna / Dipartimento di Architettura, Spazio HEA e Circolo Fotografico El Paveion di Castelfranco Veneto.

Dall’11 marzo al 3 aprile – Spazio Labò – Bologna

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