Mostre per settembre

Ciao a tutti, bentornati!

Con settembre riprendono a pieno ritmo le mostre di fotografia.

Di seguito trovate alcuni nostri suggerimenti.

Anna

MUSA FOTOGRAFIA

Inaugura il 14 Settembre 2022 alle 18,30, da Musa fotografia a Monza, la mostra di L. MIKELLE STANDBRIDGE

L. MIKELLE STANDBRIDGE

Sono profondamente interessata alla fotografia e questo interesse informa le mie scelte di soggetto e presentazione. Questa serie, “Photo-Bodies” (Foto-Corpi), è in parte dedicata a quella che è stata probabilmente la caratteristica più sorprendente della fotografia, cioè, sotto la forma di ritratto o “somiglianza”, avere l’inspiegabile, potente potenziale di alludere al non visibile, un emanazione (come una personalità, un’anima, un’aura di una persona). Fotografando persone, soprattutto persone che hanno subito alterazioni al proprio corpo o la cui vita è dominata dal loro aspetto, questo lavoro si aggira intorno alla questione della fisicità dell’essere umano (cosa potrebbe rivelare, cosa potrebbe nascondere).

Anche per me è intrigante il modo in cui abbiamo visto le fotografie. La presentazione della fotografia ha una lunga storia con superfici (sia con il negativo che con la stampa), da negativi di carta, rame argentato, stagno, lastre di vetro, pellicola e carta salata, carta all’albume, carta gelatina-argento, e ora pigmenti a getto d’inchiostro su carta digitale. Quest’ultima, carta fotografica digitale, ha una forte presenza materica dovuta alla ‘grammage’ (densità della carta) e alla base flessibile, 100% cotone. Si può dire che la carta di oggi, in rotoli, offre una presenza carnale perché è polposa, assorbente, flessibile, graffiabile, strappabile, perforabile, cucibile, tingibile, cerabile – tutte caratteristiche che si prestano a un concetto di “corpo”.

Musa fotografia – Via Mentana 6 Monza. 14 settembre 2022 ore 18,30.

PHEST – SEE BEYOND THE SEA. VII EDIZIONE

© Schirra e Giraldi dal progetto “Da pietra a bosco”
© Schirra e Giraldi dal progetto “Da pietra a bosco”

“Noi siamo una grande penisola gettata nel Mediterraneo e certe volte ce ne dimentichiamo.” Franco Cassano, Il pensiero meridiano, 1996

Al via dal 9 settembre al 1° novembre a Monopoli in Puglia, la settima edizione del Festival internazionale di fotografia e arte ideato e diretto da Giovanni Troilo, in collaborazione con la curatrice Arianna Rinaldo. Oltre 20 esposizioni di alcuni tra i più quotati artisti di diverse nazionalità: Olanda, Inghilterra, USA, India, Turchia, Germania, Ucraina, Russia, Belgio, e altri. E ancora 3 residenze artistiche e letture portfolio gratuite con alcuni tra i più influenti esperti del settore. Ancora una volta, per quasi due mesi PhEST trasformerà le vie, gli spazi e i palazzi della città in un’esposizione a cielo aperto, portando a Monopoli il meglio della fotografia e dell’arte da tutto il mondo a indagare il tema dell’anno: “FUTURO”. Sarà l’occasione per evocare l’interconnessione tra differenti piani temporali immaginando un’epoca dominata dall’Intelligenza Artificiale e dagli algoritmi. «Proveremo a declinare il tema in ogni modo possibile non solo dal punto di vista dei contenuti con più di 20 mostre dedicate al Futuro, ma quest’anno più che mai anche dal punto di vista della forma con l’uso nelle esposizioni di ledwall, VR, fotogrammetria, AI, robot, proiezioni immersive, realtà aumentata, riconoscimento facciale…» sottolineano gli organizzatori del festival.

Tra i numerosi artisti presenti, segnaliamo Alexander Gronsky, Nick Brandt, Davide Monteleone, Erik Kessels e Lisetta Carmi.

Dal 09 Settembre 2022 al 01 Novembre 2022 – MONOPOLI – sedi varie

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SI FEST 2022

Gianni Berengo Gardin, Morire di classe
© Gianni Berengo Gardin / Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia | Gianni Berengo Gardin, Morire di classe

Dal 9 all’11 settembre e nei weekend del 17-18 settembre e 1-2 ottobre, a Savignano sul Rubicone torna il SI FEST. Giunto alla 31a edizione, il festival di fotografia organizzato dall’associazione Savignano Immagini, in collaborazione con il Comune di Savignano sul Rubicone, rivoluziona la sua proposta sotto la direzione artistica di Alex Majoli.
In un mondo sempre più inondato di immagini, il SI FEST cerca di mettere ordine al caos puntando tutto sull’educazione all’immagine delle nuove generazioni. Nei mesi scorsi, quest’edizione del festival – intitolata Asinelli solitari, con una citazione da Il caos di Pier Paolo Pasolini – si è spostata in classe organizzando iniziative specifiche per gli studenti di Savignano sul Rubicone. Ora gli stessi ambienti scolastici sono al centro del percorso espositivo, con una serie di mostre allestite fra le scuole elementari e le medie di Savignano sul Rubicone, pensando in primo luogo agli studenti e ai loro insegnanti.
Riportati fra banchi e lavagne, anche i visitatori del festival sono invitati a ragionare con gli schemi mentali degli studenti. Scienze, matematica, storia… ogni mostra è associata a una materia diversa, in un percorso espositivo sperimentale che inizia alla Scuola primaria Dante Alighieri (corso Giulio Perticari, 55/57). La mostra di scienze è dedicata a Morire di classe, storico fotolibro con cui Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin hanno dato slancio alla campagna di Franco Basaglia per la chiusura dei manicomi. La matematica è affidata al fotografo inglese Stephen Gill e al suo A Series of Disappointments, ironica riflessione sul potere dei numeri nelle vite degli scommettitori londinesi; la fisica, invece, al newyorkese Stanley Greenberg, presente con alcune foto da Telescopes e Time Machines, serie dedicate agli strumenti di osservazione dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo, dai buchi neri ai neutrini. Per la biologia, la geografia e la religione, il campo di indagine si allarga al linguaggio video con Nsenene di Michele Sibiloni, reportage sulla caccia alle cavallette in Uganda, In Almost Every Picture #2 di Erik Kessels, racconto di lunghissimi viaggi in taxi verso le mete turistiche europee, e Terremoto Santo di Bárbara Wagner & Benjamin de Burca, indagine sulla potente comunità evangelica brasiliana. La mostra di storia è invece una collettiva che ripercorre gli avvenimenti degli ultimi vent’anni, dall’attacco alle Twin Towers in poi, attraverso immagini di diverse agenzie (fra le altre Associated Press, Magnum Photos, Reuters). Fra tanti autori c’è posto anche per uno splendido esempio di fotografia automatica, con una selezione di fotofinish olimpici che al valore storico-sportivo affiancano un’eleganza formale degna di opere d’arte (educazione fisica).
Interamente internazionale è il percorso espositivo dell’Istituto comprensivo Giulio Cesare (via Galvani, 2). Si parte da una delle più grandi fotografe di tutti i tempi, Lee Miller, capace di produrre nel corso dei decenni lavori artistici, corrispondenze di guerra, servizi di moda e ritratti d’autore mantenendo sempre una solidissima coerenza etica (educazione civica), e si arriva al lavoro di Chiara Fossati sul movimento rave degli anni novanta-duemila (musica). Accanto a queste due personali trova spazio una collettiva dedicata alla letteratura, con lavori di autori come Jim Goldberg o Duane Michals che hanno saputo combinare in forma originale fotografia e scrittura.
Abbandonata la scansione in materie, il percorso espositivo curato da Alex Majoli prosegue in uno degli spazi storici del SI FEST, l’ex Consorzio di Bonifica (via Garibaldi, 45). Qui tre autori internazionali esplorano culture scolastiche e universi giovanili distantissimi, non solo geograficamente. In TalibanThomas Dworzak raccoglie alcuni ritratti privati degli studenti-guerrieri afgani, sostenitori di un regime che appena salito al potere ha vietato la fotografia, ma immortalati in pose vezzose e coloratissimi scatti ritoccati a mano. In The Yoshida DormitoryKanta Nomura si avventura nel più antico studentato universitario giapponese, a lungo autogestito e poi abbandonato al suo destino, scoprendo una camera oscura dimenticata da anni. In Early WorksIvars Gravlejs mette in mostra il suo eccentrico fotodiario scolastico, assemblato nella Lettonia post-comunista degli anni Novanta.

Dal 09 Settembre 2022 al 25 Settembre 2022 – SAVIGNANO SUL RUBICONE (FC) – sedi varie

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RICHARD AVEDON: RELATIONSHIPS

Richard Avedon, Nastassja Kinski, Los Angeles, California, June 14, 1981
© The Richard Avedon Foundation | Richard Avedon, Nastassja Kinski, Los Angeles, California, June 14, 1981

Dal 22 settembre 2022 al 29 gennaio 2023, Palazzo Reale di Milano celebra Richard Avedon (1923-2004), uno dei maestri della fotografia del Novecento, con la mostra dal titolo Richard Avedon: Relationships che ne ripercorre gli oltre sessant’anni di carriera attraverso 106 immagini provenienti dalla collezione del Center for Creative Photography (CCP) di Tucson (USA) e dalla Richard Avedon Foundation (USA).
 
La mostra promossa dal Comune di Milano-Cultura, prodotta e organizzata da Palazzo Reale e Skira Editore in collaborazione con il Center for Creative Photography e la Richard Avedon Foundation è curata da Rebecca Senf, responsabile della collezione del Center for Creative Photography e vede come main partner Versace e media partner Vogue Italia. Il catalogo è pubblicato da SKIRA editore.
 
La rassegna consentirà di approfondire le caratteristiche innovative dell’arte di Avedon che ne hanno fatto uno degli autori più influenti del XX secolo; se da un lato, ha rivoluzionato il modo di fotografare le modelle, trasformandole da soggetti statici ad attrici protagoniste del set, mostrando anche il loro lato umano, dall’altro, i suoi sorprendenti ritratti di celebrità, in bianco e nero e spesso di grande formato, sono capaci di rivelare il lato psicologico più interiore della persona ritratta.
 
Una sezione è dedicata alla collaborazione tra Richard Avedon e Gianni Versace, iniziata con la campagna per la collezione primavera/estate 1980, che decretava l’esordio dello stilista, fino a quella della collezione primavera/estate 1998, la prima firmata da Donatella Versace.
Il lavoro di Avedon per Versace è la raffigurazione di come quel rapporto unico che a volte si crea tra designer e fotografo possa produrre immagini destinate a una zona fuori dal tempo, definitivamente al di là del racconto circoscritto cui erano in origine destinate, legato alla stagionalità della moda, per rivoluzionarne invece la narrazione globale.
 
Grazie al suo sguardo, Avedon è stato uno dei pochi fotografi a interpretare l’avanguardia di Gianni Versace, illustrando lo stile e l’eleganza dello stilista italiano, nonché la radicalità della sua moda.
Il linguaggio astratto di Avedon agisce in uno spazio compresso che esalta le figure rendendole assolute e facendo esplodere le coreografie dei corpi di alcune delle top model più celebrate dell’epoca, in movimenti convulsi, sincopati, che mettono in evidenza la forma e la materialità degli abiti che indossano, come nel caso della campagna per la collezione primavera/estate 1993, che vede protagoniste Linda Evangelista, Christy Turlington, Kate Moss, Aya Thorgren, Shalom Harlow.
 
Il percorso espositivo, suddiviso in dieci sezioni – The Artist, The Premise of the show, Early Fashion, Actors and Directors, Visual Artists, Performing Artists / Musicians and writers / Poets, Avedon’s People, Politics, Late Fashion, Versace – si costruisce attorno alle due cifre più caratteristiche della sua ricerca: le fotografie di moda e i ritratti.
 
Quelle di moda si possono raggruppare in due periodi principali. Le immagini giovanili, realizzate prima del 1960, sono scattate “on location” e mettono in scena modelle che impersonano un ruolo per evocare una narrazione.
Le opere successive, invece, si concentrano esclusivamente sulla modella e sui capi che indossa. In queste foto più tarde, Avedon utilizza spesso uno sfondo minimalista e uniforme, e ritrae il più delle volte il soggetto in pose dinamiche, utilizzando le forme fluide del corpo per rivelare la costruzione, il tessuto e il movimento dell’abito.
 
Le prime fotografie di moda scattate da Avedon (quelle anteriori al 1960) sono molto più che semplici rappresentazioni di abiti. Create per le pagine di riviste femminili come “Harper’s Bazaar” e “Vogue”, testata con cui lavorò fino al 1988, trasportano l’osservatore in un mondo di glamour e divertimento in cui le donne si muovono con disinvoltura in una vita di svaghi. Queste immagini cinematografiche incoraggiano chi le guarda a creare una narrazione e a costruire una trama immaginaria.
Alcune delle scene presentano uno sfondo minimalista e pochi dettagli ambientali, mentre altre includono location e diversi “attori”. In entrambi i casi, Avedon fa sentire chi le guarda, testimoni di una storia fatta di agi e piaceri più articolata, che il pubblico potrebbe anche vivere in prima persona se solo possedesse l’abito giusto.
In queste fotografie “filmiche”, Avedon utilizza figure aggiuntive in chiave strategica. Come in Carmen, Omaggio a Munkácsi, Cappotto Cardin, Place François-PremierParigi1957, dove il fotografo si concentra sulla modella che, sospesa a mezz’aria nel salto, è posta al centro dell’inquadratura.
Alla semplicità della foto di Carmen fa da contraltare l’immagine di Suzy Parker con Robin Tattersall e Gardner McKay, Abito da sera Lanvin-Castillo, Café des Beaux-Arts, Parigi, 1956, in cui la modella è piegata su un flipper nella sala a specchi del Café des Beaux-Arts di Parigi, la gonna a balze resa splendente dalla retroilluminazione. Accanto a lei, due uomini in smoking, anch’essi appoggiati al flipper, aspettano che finisca di giocare. Avedon utilizza “attori” aggiuntivi nella scena per arricchire l’atmosfera glamour, far apparire la donna ancor più desiderabile e aggiungere complessità alla narrazione.
 
Molte sono le top model con cui Avedon lavorò intensamente, da Dovima a China Machado, da Suzy Parker a Jean Shrimpton, da Penelope Tree a Twiggy, a Veruschka. Dalla straordinaria affinità che aveva con Dovima, ad esempio, scaturirono immagini spettacolari, come l’iconica Dovima con gli elefanti, Abito da sera Dior, Cirque d’Hiver, Parigi 1955.
Una serie di immagini raffiguranti Penelope Tree o Jean Shrimpton rivela come Avedon sapesse sfruttare le particolari qualità del volto o del corpo di una modella, e tre fotografie di Dorian Leigh risalenti al 1949 mostrano come potesse trasformare il soggetto attraverso location e abiti diversi in modo da fargli impersonare ruoli e personaggi distinti.
In Dorian Leigh, Cappotto Dior, Avenue Montaigne, Parigi, ad esempio, la modella avvolta in un soprabito con collo di pelliccia e maniche voluminose è seduta sul sedile di una decapottabile con accanto una cappelliera, un mazzo di rose e un cagnolino acciambellato. La frangia morbida, l’espressione gentile e l’aria distratta della donna suggeriscono un’idea di innocenza e disponibilità a dispetto della sua bellezza.
Leigh si presenta invece come una figura altera e sdegnosa in Dorian Leigh, Abito da sera Piguet, Appartamento di Helena Rubinstein, Île Saint-Louis, Parigi. Avedon ritrae la modella di profilo davanti a uno specchio, assorta nell’osservazione della propria immagine. Mani sui fianchi, capelli, trucco e gioielli, tutto appare perfettamente studiato e collocato in un contesto che evoca alta classe, raffinatezza ed eleganza. Lo splendido abito scultoreo e la sicurezza che emana fanno di Leigh un’icona di stile.
La modella si trasforma nuovamente di fronte all’obiettivo di Avedon in Dorian Leigh, Diamanti sintetici Schiaparelli, Pré-Catelan, Parigi, in un affollato evento serale. Il fotografo la ritrae con i capelli scuri accuratamente adornati da scintillanti gioielli, la mano sul bavero della giacca del suo accompagnatore che sorride con aria di apprezzamento, la bocca aperta in un’ampia e sincera risata. Dorian Leigh è espressiva, impegnata nella vita sociale, coinvolta in un’esperienza e profondamente legata all’uomo che le sta accanto.
 
Per quanto riguarda i ritratti, Avedon è noto per il suo particolare stile, sviluppato a partire dal 1969. Fra i tratti salienti del suo approccio è da includere l’uso dello sfondo bianco, che gli consentiva di eliminare i potenziali elementi di distrazione di un dato set fotografico per enfatizzare le qualità della posa, dei gesti e dell’espressione. Ne è un esempio la fotografia del 1981, scelta come immagine guida della mostra, che ritrae Nastassja Kinski, morbidamente distesa sul pavimento e abbracciata da un serpente.
 
Lavorando principalmente con una fotocamera di grande formato, riprendeva i suoi soggetti abbastanza da vicino affinché occupassero un’ampia sezione dell’inquadratura, rafforzando nell’osservatore la consapevolezza dello spazio negativo tra la figura e il margine. L’interazione tra figura e vuoto, tra corpo e spazio, tra forma solida e potere definente del bordo è la chiave della potenza delle sue immagini.
Il fascino di queste foto non è legato solo alla composizione, ma anche al senso di intimità che esse evocano. Avedon dà vita a ritratti potentemente descrittivi che avvicinano l’osservatore ai soggetti effigiati. La capacità di vedere i dettagli del volto, anche quelli minimi, pone l’osservatore a una distanza generalmente riservata a coniugi, amanti, genitori o figli. Ad esempio, nella fotografia La scultrice Louise Nevelson, New York, 13 maggio 1975, si può ammirare il taglio cortissimo dell’artista settantacinquenne, il modo in cui i suoi occhi ci scrutano da dietro le ciglia pesantemente ricoperte di mascara, il sottile luccichio del lucidalabbra o le splendide applicazioni sulle maniche del suo soprabito.
Avedon ebbe modo di fotografare molti dei suoi soggetti a distanza di anni. È questo il caso del pittore Jasper Johns nel 1965 e nel 1976, della scrittrice Carson McCullers nel 1956 e nel 1958, del politico George Wallace nel 1963 e nel 1976, del poeta Allen Ginsberg nel 1963 e nel 1970.
Ma il caso più eclatante di relazione fotografica prolungata nel tempo è forse quello che riguarda l’amico Truman Capote.
Avedon fotografò per la prima volta Capote nel 1949. Poi, nel 1959, i due collaborarono al primo libro di Avedon, Observations, una raccolta di ritratti di personaggi celebri, tra cui la cantante lirica Marian Anderson, il pittore Pablo Picasso e lo scienziato marino ed esploratore Jacques Cousteau. Il volume era corredato da un saggio di Capote e da suoi commenti alle fotografie, mentre la grafica era curata da Aleksej Brodovič, il leggendario art director di “Harper’s Bazaar”.
Capote e Avedon lavorarono di nuovo insieme l’anno seguente. Mentre lo scrittore si trovava a Garden City, in Kansas, per la stesura di A sangue freddo, Avedon lo raggiunse in quattro diverse occasioni per fotografare i presunti assassini Perry Smith e Richard “Dick” Hickock, in attesa di giudizio.
In Truman Capote, New York, 10 ottobre 1955, lo scrittore aveva solo trentun anni. L’immagine lo mostra svestito, gli occhi chiusi e le braccia dietro la schiena, il mento rasato. La posa scelta dal fotografo sottolinea la vulnerabilità del giovane, messo a nudo di fronte allo sguardo indagatore e compiaciuto dell’osservatore.
L’ultimo ritratto di Capote, ormai cinquantenne, risale al 1974. La flessuosa sensualità della foto precedente è ormai scomparsa. Avedon si focalizza ora sulla testa dello scrittore, che riempie gran parte dell’inquadratura ed è fuori centro.
 
Il percorso espositivo propone inoltre una nutrita selezione di ritratti di celebrità del mondo dello spettacolo, attori, ballerini, musicisti ma anche di attivisti per i diritti civili, politici e scrittori, tra cui quelli dei Beatles (John Lennon, Paul McCartney, George Harrison, Ringo Starr), ma anche di Bob Dylan, di Michelangelo Antonioni, Allen Ginsberg, Sofia Loren, Marylin Monroe, del Dalai Lama e due di Andy Wahrol, dove il padre della Pop art americana decide di mostrare la sua intimità a Richard Avedon esibendo le sue cicatrici da arma da fuoco, dopo essere sopravvissuto a un tentativo di omicidio.
 
Una sezione è dedicata ai ritratti degli esponenti dei movimenti americani per i diritti civili e ai membri del Congresso americano, questi ultimi confluiti nel portfolio The Family, realizzato nel 1976 per la rivista Rolling Stone, che documentava l’élite del potere politico statunitense.
 

Dal 22 Settembre 2022 al 29 Gennaio 2023 – MILANO – Palazzo Reale

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FESTIVAL DELLA FOTOGRAFIA ETICA DI LODI. XIII EDIZIONE

© Roberta Vagliani
© Roberta Vagliani

741 fotografi da 60 paesi diversi, oltre 800 progetti ricevuti, 11.899 le foto ricevute in totale.
Questi i primi numeri della XII edizione del World Report Award|Documeting Humanity, il concorso indetto dal Festival della Fotografia Etica di Lodi, in programma dal prossimo 24 settembre al 23 ottobre.

La giuria composta da Chloe Coleman, photo editor al The Washington Post, Gloria Crespo MacLennan, photeditor di El Pais, Alberto Prina e Aldo Mendichi, coordinatori del Festival, ha selezionato i 70 finalisti delle varie sezioni del World Report Award, i cui vincitori assoluti verranno decretati il 30 agosto.

Il concorso si suddivide nelle categorie Master (10 finalisti), Spotlight (10 finalisti), Short Story (10 finalisti), Student (10 finalisti), Single Shot (30 finalisti). Cinque percorsi diversi, per narrazione e modalità espositiva, ma con lo stesso comune obiettivo: raccontare la società contemporanea e la sua complessità attraverso il potere della fotografia e la sensibilità dei migliori fotoreporter internazionali.

Anche in questa edizione ci sarà la presenza di FUJIFILM Italia che da anni sostiene sia la manifestazione in qualità di official partner sia il concorso World Report Award con l’intento di sostenere il diffondersi della cultura dell’immagine. FUJIFILM Italia, è da sempre in prima linea per rimarcare il valore della fotografia, per la sua capacità di raccontare la collettività e la realtà che ci circonda. Con il suo supporto, avvalora e incoraggia il grande impegno che il Festival mette ogni anno in campo per celebrare la fotografia, espressione umana necessaria.

Accanto alle mostre del World Report Award si articoleranno altri momenti importanti del Festival, con la cronaca dei fatti e le storie più rilevanti dell’ultimo anno che troverà spazio nella sezione Uno Sguardo sul Mondo; lo Spazio approfondimento, con il reportage relativo a un long term project; lo Spazio no-profit, che dà voce alle organizzazioni umanitarie e ai loro progetti.
Ma ci sarà anche spazio a incontri, workshop, letture portfolio, videoproiezioni, visite guidate, presentazioni di libri, progetti educational per gli studenti e numerosi altri eventi che indagano il rapporto tra etica, comunicazione e fotografia.

Contemporaneamente al Festival si svolgerà FFE – OFF, un circuito di mostre fotografiche, esposte in negozi, bar, ristoranti, gallerie, circoli culturali e aree pubbliche della città.

Il Festival della Fotografia Etica è membro attivo di Sistema Festival Fotografia, network creato nel 2017 per volontà di cinque festival fotografici italiani – Fotografia Europea, Cortona On The Move, SI FEST Festival della Fotografia Etica e Photolux Festival – e sostenuto dal Ministero della Cultura, come piattaforma di scambio e luogo di incontro per confrontare, progettare e individuare percorsi comuni, salvaguardando l’unicità di ogni entità.

L’appuntamento quindi è al 30 agosto per scoprire i vincitori del World Report Award, e conoscere il programma definitivo che caratterizzerà l’XIII edizione di uno dei più importanti festival di fotografia europei.

Dal 24 Settembre 2022 al 23 Ottobre 2022 – LODI – sedi varie

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SONY WORLD PHOTOGRAPHY AWARDS 2022

Sony World Photography Awards 2022
Sony World Photography Awards 2022

Dal 14 settembre al 30 ottobre 2022 verranno ospitati a Milano i Sony World Photography Awards promossi da World Photography Organisation e Sony con la Main Partnership di Fondazione Fiera Milano e Fondazione Stelline. Il ricavato della Mostra sarà a favore di Fondazione Progetto Arca onlus per l’emergenza Ucraina. L’esposizione permette di ammirare le fotografie vincitrici e finaliste del concorso fotografico più eterogeneo al mondo. Quest’anno gli Awards, giunti alla quindicesima edizione, hanno ricevuto oltre 340 mila candidature provenienti da 211 territori.

Lo scorso aprile, dopo l’assegnazione dei premi, la mostra dei Sony World Photography Awards 2022 è stata ospitata presso la Somerset House di Londra. L’evento, in Italia, sarà ospitato a Milano nella prestigiosa location della Fondazione Stelline.
Tra le opere esposte si potrà ammirare il progetto Migrantes del fotografo australiano Adam Ferguson, che si è aggiudicato il titolo di Photographer of the Year, le opere di Federico Borrella, premiato con il 2° posto per la categoria Wildlife and Nature all’edizione Professional, quelle di Giacomo Orlando e Alessandro Gandolfi, che si sono aggiudicati il 3° posto rispettivamente nella categoria Ambiente e Natura Morta, oltre al progetto di Antonio Pellicano, vincitore del National Award, Rise Up Again.

“Gli scatti proposti costituiscono testimonianze preziose del nostro tempo perché racchiudono storie che non conosciamo e che meritano di essere raccontate e condivise. Siamo particolarmente orgogliosi dei riconoscimenti conquistati ogni anno, e mai come in questa edizione, dai fotografi italiani grazie al valore culturale e all’eccellenza tecnica che distinguono le loro opere. È importante sottolineare la natura internazionale del concorso, aspetto che Sony desidera valorizzare attraverso le tappe locali di un tour globale che permette a un pubblico sempre più vasto di ammirare le fotografie premiate. E ricordare che Sony World Photography Awards rappresenta solo uno dei modi, sebbene sicuramente tra i più importanti, con cui Sony si impegna a sostenere il mondo della fotografia, attraverso la continua innovazione tecnologica da un lato e un supporto fattivo al lavoro dei fotografi di ogni livello dall’altro. Il premio, infatti, rappresenta una piattaforma internazionale di grande visibilità che ci auguriamo possa aprire per vincitori e finalisti nuove opportunità di lavoro”. Federico Cappone, Country Manager di Sony in Italia.

Tutto l’incasso della biglietteria, grazie anche alla collaborazione con Fondazione Fiera Milano e Fondazione Stelline, verrà totalmente devoluto a Fondazione Progetto Arca, che lo scorso 30 marzo ha avviato una collaborazione con Fondazione Fiera Milano per supportare il popolo ucraino. La collaborazione ha visto a oggi l’invio di 22 tir con a bordo oltre 170 tonnellate di materiali (alimentari, prodotti per l’igiene personale, pannolini, stoviglie monouso, coperte, sacchi a pelo e altri beni di prima necessità, oltre a giocattoli e pelouche) e la recente realizzazione di un video nel quale sei fra i più famosi comici milanesi (Giacomo Poretti, Raul Cremona, Elio, Pucci, Enrico Bertolino e Andrea Pisani) invitano a donare per il sostentamento di due mense per gli sfollati gestite dai volontari di Progetto Arca, attive rispettivamente ai confini dell’Ucraina con Polonia e Romania. Fondazione Fiera Milano, insieme al Gruppo Fiera Milano, ha messo a disposizione di questo appello risorse, relazioni e capacità logistica, in linea con la propria missione che include il sostegno ai territori e alle comunità.

“I vincitori di questa competizione raccontano le storie dell’umanità e portano fino a noi frammenti di terre vicine e lontane, riassegnando alla fotografia il suo ruolo nodale, quello che da sempre mi incanta: la sua capacità di testimoniare gli avvenimenti contemporanei e consegnarli alla futura memoria collettiva. Le vicende che emergono dagli sguardi originali dei tanti fotografi premiati, riguardano segnatamente la natura, le migrazioni, la crisi climatica, l’inclusività, le fonti energetiche, la bellezza, i giovani, la scienza… Riguardano noi, i cambiamenti che abbiamo attraversato e che ci attendono. E selezionare l’insieme della produzione 2022 nelle sue dieci categorie, mi ha rinnovato la convinzione che gli Awards siano di grande valore, proprio perché il gran numero di progetti inviati da tutto il mondo sollecitano quell’empatia tra gli individui che talvolta sembriamo dimenticare. Negli altri ci riconosciamo, ci ritroviamo, e i fotografi lo sanno”. Barbara Silbe, giornalista, co-fondatrice e direttore responsabile di EyesOpen! Magazine e curatrice della mostra.
Alberto Sinigallia, presidente di Fondazione Progetto Arca:

 “È un onore essere partner in questo importante progetto artistico che vede la sua manifestazione finale a Milano, la città in cui Progetto Arca è nata e da cui siamo partiti per ogni missione umanitaria che abbiamo affrontato in questi anni di aiuto ai più fragili. Come quella in Ucraina, iniziata il giorno dopo l’inizio della guerra. Oggi siamo ancora lì: abbiamo dispensato aiuti, alimenti e conforto alle tante famiglie che abbiamo accolto, e abbiamo costruito in tempo record mense da migliaia di pasti al giorno per gli sfollati. Questo è stato possibile in particolare grazie al sodalizio con Fondazione Fiera Milano e oggi proseguiamo accompagnati da altri sostegni concreti come questo con Sony World Photography Awards. Grazie di cuore da parte mia e di tutti gli operatori e volontari che ogni giorno sono in prima linea con il loro tempo, le loro competenze e la loro energia”.

Dal 14 Settembre 2022 al 30 Ottobre 2022 – Milano – Fondazione Stelline

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MARE OMNIS. FOTOGRAFIE DI FRANCESCO ZIZOLA

© Francesco Zizola
© Francesco Zizola

Nell’affascinante cornice del seicentesco Palazzo Borghese a Roma all’interno delle suggestive sale affrescate della galleria terrena, la Galleria del Cembalo accoglierà nuovamente i visitatori con la mostra Mare Omnis di Francesco Zizola.

La mostra presenta una raccolta di 22 fotografie di grande formato che sembrano raffigurare delle costellazioni lontanissime, ma che in realtà sono tonnare, ossia reti da pesca inserite nel grande mare Mediterraneo fotografate da un drone: reti che i tonnarotti – coloro che si occupano della mattanza – installano per catturare i tonni nella loro migrazione verso la costa.

Nelle fotografie i punti bianchi sono boe e i fili argentati sono le cime che assicurano le parti galleggianti ai fondali. Le immagini sono state tutte realizzate nel mare del Sulcis, nella Sardegna sud occidentale, presso la Tonnara di Portoscuso, che in quelle acque opera da secoli.

La mostra Mare Omnis documenta in maniera antropologica la vita vissuta in mare attraverso forme di pesca ancora manuali, locali, sostenibili, secondo tradizioni centenarie, indagando il rapporto dell’uomo con la natura e della sua influenza sul mare declinato attraverso un linguaggio visivo articolato e complesso. Costruire i propri strumenti di lavoro, gettare le reti in mare, trascorrere giorni e mesi in attesa della pesca, essere soggetti alle leggi della natura, compongono quel patrimonio di saperi legati alla prossimità con il mare e ad una vita in rapporto con esso che oggi sono sostituiti da metodi di pesca intensivi e industriali. Le immagini presentate ci restituiscono – attraverso un quadro visivo potentissimo – il sentimento di una relazione simbiotica che ricuce quella separazione tra uomo e natura adottata dalla società contemporanea: acqua che diventa paesaggio astratto, pesci colti nelle fitte reti immerse nel mare.

La scelta della stampa in bianco e nero è fatta per stimolare l’immaginazione di chi guarda verso uno spaesamento percettivo; il fotografo mette in atto un deliberato inganno semantico per deviare i sensi utilizzando la memoria istintiva. Così, le grandi reti della tonnara finiscono ad assomigliare a cose diverse; alcuni ci leggono dei dream catcher etnici, altri dei graffiti arcaici, altri ancora delle costellazioni nella notte. La serie si chiama Constellations perché alcune di queste fotografie sono espressamente organizzate per rimandare ad una visione notturna delle costellazioni, mentre in altre immagini, già dall’inquadratura, Zizola ha intravisto nelle forme di luce un quadro di Paul Klee, l’Angelus Novus.

Dal 15 Settembre 2022 al 29 Ottobre 2022 – ROMA – Galleria del Cembalo

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FESTIVAL GRENZE ARSENALI FOTOGRAFICI 2022

Sara Munari | Non ditelo a mia madre – Don’t let my mother know

Dal 1 al 26 settembre si rinnova a Verona l’appuntamento con la fotografia contemporanea. Sarà il Fake il tema protagonista della quinta edizione del Festival Grenze Arsenali Fotografici ospitato al Bastione delle Maddalene e in altre sedi della città scaligera.

La realtà non è l’opposto della finzione. Anzi.

La finzione è un ponte per comprendere la realtà. Il falso un dubbio metodico.

Dell’immagine non ci interessa l’autenticità dell’origine ma l’originalità del suo destino.

Tra gli artisti in mostra segnaliamo Joan Fontcuberta y Pilar Rosado, Sara Munari, Lina Pallotta e Thania Petersen.

Dal 01 Settembre 2022 al 26 Settembre 2022 – VERONA – sedi varie

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Stefano Guindani – Mens sana in corpore sano

Mens sana in corpore sano è il nuovo progetto fotografico di Stefano Guindani (Cremona, 1969): dal 23 settembre a dicembre 2022 nel rinnovato Leica Store Milano uomini e donne di fede immortalati in scatti che li mostrano intenti in attività sportive, seppur in abito talare.

Chi c’è davvero dietro agli uomini e alle donne di fede? Spesso siamo abituati a concepire preti, suore e frati come soggetti quasi distaccati dalla realtà; il ruolo che ricoprono ci appare talmente ingombrante da riuscire a eclissare totalmente lo spazio del singolo individuo. Certo è che si muovono in un contesto intriso di regole e norme da rispettare, nel quale tutto risulta serio e integerrimo, pronto a condannare qualsiasi tipologia di iniziativa personale.

Il lavoro Mens sana in corpore sano di Stefano Guindani si sviluppa intorno a questo interrogativo sociale ed è stato realizzato grazie a Leica SL2, fotocamera del Sistema Leica SL, il sistema mirrorless professionale di Leica realizzata per e con i fotografi, tecnologicamente avanzata e con una qualità costruttiva Made in Germany, con un concetto operativo, funzionale e intuitivo.

Le fotografie in mostra fanno leva sull’aspetto umano dei soggetti, ne dipingono una straordinaria dedizione e una predisposizione al divertimento unica, amalgamate da una dirompente vitalità.

Partendo dalle suggestioni giacomelliane di inizio anni Sessanta, il fotografo si imbarca in una missione ideologica volta a delineare un racconto visivo dei religiosi al giorno d’oggi. L’obiettivo di Guindani è riuscire a sdoganare la figura, associata a liturgie e momenti di silenzio, dei consiglieri spirituali, svincolandoli da ogni preconcetto religioso e trasportandoli sul piano universale grazie alle discipline sportive. Denis Curti

L’esposizione di Guindani è un’occasione per scoprire il nuovo concept di Leica Store Milano, a pochi passi da piazza del Duomo, vincitore del Red Dot Design Award, uno dei più prestigiosi premi internazionali per il design: non solo punto vendita, ma luogo di approfondimento per un’esperienza immersiva sulla fotografia, incontro e accoglienza, sempre con uno sguardo rivolto al futuro e con attenzione alle esigenze di clienti e appassionati.

dal 23 settembre fino a dicembre 2022 – Leica Store Milano

L’invenzione della natura”, fotografie di Marcello Bonfanti.

Alessia Paladini Gallery è lieta di presentare “L’invenzione della natura”, fotografie di Marcello Bonfanti.
In mostra, una selezione di nature morte di grande impatto, che attingono all’iconografia e alla cultura rinascimantale e secentesca, alla base del percorso formativo di Marcello Bonfanti.
Nella storia dell’arte la natura morta è un genere dedicato al mondo degli oggetti, artificiali o naturali. Accanto alla finalità decorativa, la rappresentazione delle cose, dei fiori recisi o del cibo, è spesso un invito alla riflessione, alla lettura del mondo e della vita guidata da simboli, allusioni e significati nascosti: i fiori, nel loro splendore, sono insieme simbolo della molteplicità della creazione e richiamo alla caducità delle cose. I cristalli che talvolta appaiono in queste composizioni sono simbolo per eccellenza della fragilità: delle cose, della vita, del sistema umano.
In un periodo di incertezza universale come quello che stiamo attraversando, la natura morta torna a rivestire un ruolo di grande centralità, proponendo molteplici stratificazioni di lettura e spunti per una riconsiderazione del rapporto fra uomo e natura.

“Le opere in mostra sono un mio personale atto di riconciliazione con la natura da cui sono stato separato durante i recenti periodi di isolamento forzato. Il mezzo fotografico è stato usato come strumento di appropriazione intima del soggetto. Non potendo fruire della natura, ne ho indagato alcuni aspetti trascendenti e le loro modalità di rappresentazione nella storia dell’iconografia. L’indagine copre i temi dell’impermanenza della forma legata alle continue trasformazioni chimiche, fisiche e biologiche, della
sua grazia trascendente contenuta nella geometria della struttura modellata da leggi universali e dell’esperienza metafisica che colloca il mistero della natura nel campo della ragione umana.
La narrazione ruota intorno ad una serie di still life di ispirazione fiamminga, forma iconografica che coglie le istanze di un periodo, il 600, in cui l’Europa è stata scossa da una continua mutazione degli orizzonti causata da guerre ed epidemie. L’incessante divenire viene sintetizzato da immagini di una natura imperfetta che vive la transizione dall’apice del suo splendore allo stato successivo. La staticità dell’immagine contiene l’evoluzione dinamica del soggetto. La forma muta diminuendo il suo splendore, ma la bellezza impermanente si conserva nella struttura dell’immagine. Il rigore formale della composizione è il simbolo trascendentale di un’ordine superiore al quale questa trasformazione appartiene. Le immagini, nel raccontare il processo del divenire della forma, sono al tempo stesso una riflessione sull’esistere ed un riflesso dell’esistente.
Il gesto fotografico è solo l’ultimo atto di appropriazione del soggetto, quello che consegna allo spettatore anche gli atti di ricerca degli elementi naturali raccolti durante ricognizioni in ambienti familiari che hanno segnato la mia estetica e l’atto di costruzione della scena che conferisce a questi elementi i significati simbolici.”

Dal 15 settembre al 31 ottobre – Alessia Paladini Gallery – Milano

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NOMADELFIA. Un’oasi di fraternità

Enrico Genovesi<br>Nomadelfia
Enrico Genovesi, Nomadelfia, 2018

A seguito della pubblicazione dell’omonimo libro, in settembre è in programma un grande evento che presenterà la mostra di Enrico Genovesi “Nomadelfia. Un’oasi di fraternità” curata da Giovanna Calvenzi, nell’ex campo di concentramento di Fossoli, luogo suggestivo e fortemente simbolico dove la comunità nel 1948 si è costituita.
La mostra è inoltre parte integrante di festivalfilosofia quest’anno caratterizzato dal tema “giustizia”

Una mostra attraverso la quale si potrà ripercorrere l’esperienza di Nomadelfia nata proprio al Campo di Fossoli e ancora attiva a Grosseto e il suo esperimento utopico di fondare una città dove la fratellanza è legge, nell’Europa devastata dalla guerra e divisa dalla guerra fredda. Una proposta di giustizia sociale, come realizzazione della giustizia in terra.

Dal 16 settembre al 23 ottobre 2022 – Campo di Fossoli – Baracca recuperata – Carpi

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Ketty La Rocca. Se io fotovivo. Opere 1967-1975

La mostra Ketty La Rocca. Se io fotovivo. Opere 1967-1975curata da Raffaella Perna e Monica Poggi, e realizzata grazie alla collaborazione con l’Archivio Ketty La Rocca, e con il contributo della Galleria Frittelli di Firenzeesplora per la prima volta il rapporto tra Ketty La Rocca (La Spezia 1938 – Firenze 1976) e la fotografia, al fine di porre in evidenza il ruolo cruciale che questo medium ha avuto nel suo modo di rappresentare il corpo e la gestualità e nel documentare la sua attività performativa. Fin dai suoi primi lavori, l’artista utilizza infatti la fotografia sotto forma di collage verbo-visivi, componendo immagini e scritte tratte dai rotocalchi e dalle riviste in circolazione, ma è la pubblicazione del libro fotografico In principio erat nel 1971 a segnare una svolta importante nel percorso dell’artista, che inizia a farsi ritrarre mentre compie gesti con le mani, concentrandosi sulla relazione tra fotografia, corpo e linguaggio verbale. Da quel momento la sua ricerca e il suo orizzonte di riferimenti culturali si allargano e l’attenzione per la comunicazione di massa che aveva contrassegnato la prima fase del suo lavoro, legato all’attività con il Gruppo 70, s’indirizza verso forme espressive primigenie fondate sul corpo, con un’apertura significativa agli studi di antropologia, alla storia delle culture preistoriche e dei rituali extra-europei.

Fra le tematiche da lei trattate, emergono in maniera significativa il ruolo della donna all’interno della comunicazione di massa e un’esplicita critica al capitalismo e all’influenza che la Chiesa ha all’interno della società moderna. Agli immaginari stereotipati dell’editoria femminile che avevano contraddistinto le sue prime ricerche, La Rocca aggiunge al suo repertorio anche immagini storiche, come quelle tratte dagli archivi Alinari, o scientifiche, come nel caso delle Craniologie, dove impiega le radiografie del cranio, sovrapposte a fotografie delle mani o frasi scritte a mano. In questa fase la fotografia assume per lei un ruolo centrale, che la mostra documenta attraverso una selezione di oltre cinquanta opere, datate tra il 1967 e il 1975, che comprendono immagini delle sue performance, opere con i gesti delle mani e le espressioni facciali legate agli studi sulla fisiognomica, lavori realizzati con la macchina xerox, sino alle serie delle già ricordate Craniologie e delle Riduzioni, in cui La Rocca riconduce la fotografia sotto il dominio della soggettività attraverso l’impiego della grafia manuale.

14 luglio – 02 ottobre 2022 – CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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FESTIVAL DI FOTOGRAFIA A CAPRI – VISIONE MEDITERRANEA

Claudia Vanacore, L'intervallo
Claudia Vanacore, L’intervallo

La quattordicesima edizione del Festival, intitolata Visione Mediterranea, rinnova la sua volontà di contribuire, per mezzo di una precisa fusione tra medium espressivi e approcci differenti, a rivitalizzare la percezione iconografica del panorama caprese. Dando quindi la parola a fotografi nazionali e internazionali con oltre 60 immagini che, con le loro personali visioni artistiche, compongono una rassegna in bilico tra spazio e tempo. Si tratta di una scelta essenziale per riuscire a esprimere la quintessenza di Capri e, conseguentemente, restituirne un’immagine travolgente, svincolata da ogni stereotipo.

Davide Esposito, Sogno di un’ombra
L’enigma dell’identità è un concetto complesso, ricco di infinite sfaccettature, che da sempre affligge l’animo umano. L’uomo contemporaneo è vittima di un meccanismo subdolo, provocato dallo smarrimento interiore e dalla conseguente perdita di ogni certezza. È proprio in questo contesto che si anima il progetto di Davide Esposito. Sogno di un’ombra nasce da una dolorosa urgenza di stampo nietzschiano: è un racconto profondo, capace di delineare un sincero percorso di presa di coscienza personale, scevro da ogni velleità meschina e proteso verso una liberazione totalizzante.
Con uno sguardo dolcemente malinconico, Esposito delinea la figura di un’isola immaginaria, materna ma anche matrigna, accogliente e allo stesso tempo spietata. È una partita che si gioca nell’oscurità di una notte invernale, dove l’aspra natura di una Capri deserta, dominata dal silenzio e scalfita dal vento, attiva una riflessione tra reale e illusorio. L’uso del bianco e nero, dominato da luci quasi accecanti e ombre dense come il petrolio, ci trasporta in un viaggio dal sapore onirico, parlandoci dell’infinità dei sentimenti, perennemente in contrasto tra loro. L’aura di queste immagini richiama l’atmosfera di Breathing in / Breathing out, performance di Marina Abramovic e ULAY: ci sono un uomo e una donna, le cui bocche sono fuse in un bacio fatale.

Claudia Vanacore, L’Intervallo
In un mondo dominato dai social network, dove il confine tra verità e finzione è sempre più sottile, lontano anni luce dalla realtà, dove tutto si muove a grande velocità e “il popolare” sembra aver preso il posto della spensieratezza, l’immaginario collettivo sembra scontrarsi con l’interpretazione personale e il concetto di stereotipo appare in perenne conflitto con la concretezza. Claudia Vanacore utilizza la sua macchina fotografica come una lente di ingrandimento, capace di scorporare i dettami contemporanei e sviscerare i fatti salienti della nostra società. Il suo progetto L’intervallo ci invita a prendere una pausa dal costante bombardamento di informazioni e dal nostro perenne progredire verso un obiettivo indefinito. Le immagini che ci propone vogliono raccontare una Capri insolita, avvolta in una dimensione agli antipodi rispetto al suo comune concetto di località esclusiva, lussuosa, da sempre popolata dai divi del cinema e scenario di pubblicità equivoche, che sembrano vendere un ideale impossibile, piuttosto che un semplice prodotto. Con il suo occhio indagatore, Claudia sbircia oltre la coltre dorata di questo luogo e ci racconta le emozioni di un’estate italiana dal sapore neorealista. Le sue fotografie sembrano congelare il tempo, ci danno l’occasione di odorare il momento, assaporandone ogni istante. Come negli scatti poetici di Imogen Cunningham, la luce quasi crepuscolare disegna silhouettes dinamiche e corpi semplicemente reali, esaltando la meraviglia umana.

Simone Malgrati, Raccolta fotografica N°1, Capri, Italia
La dimensione del viaggio rientra tra gli aspetti più poetici della nostra esistenza. Come ci ricorda Bruce Chatwin: «Viaggiare non soltanto allarga la mente, le dà forma». Lo scrittore parla di un sano nomadismo, inteso come atto di fede nei confronti dell’ignoto e propenso ad aprirsi all’altro senza pregiudizio. L’artista, con un taglio cinematografico dal sapore vintage, ci restituisce la visione di una Capri unica, immersa in un’atmosfera di perenne attesa, in bilico tra quiete e malinconia. La grammatica dei suoi scatti ci ricorda inevitabilmente la magnifica contemplazione del mondo di Luigi Ghirri. Simone, come lui, si lascia guidare dalle emozioni e dall’istinto, senza tralasciare l’importanza di una composizione visiva curata ed elegante. La grana di queste immagini modella i soggetti come se fossero statue, ne esalta i contorni e le infinte sfumature pastello. La luce penetra nelle viscere di ogni dettaglio, offrendoci uno sguardo quasi pittorico su paesaggi che sembrano essere fuoriusciti dal pennello di Edward Hopper.

Dal 27 Agosto 2022 al 30 Ottobre 2022 – CAPRI – Certosa di San Giacomo

WILLIAM P. GOTTLIEB – A JAZZ STORY

Ritratto di Billie Holiday, Downbeat, New York, N.Y., ca. febbraio 1947
© Courtesy William P. Gottlieb / Library of Congress

In anteprima assoluta per l’Italia, una mostra per ricordare il giornalista e fotografo americano, scomparso nel 2006 e praticamente sconosciuto nel nostro paese ma celebre in America per i suoi scatti della scena musicale di Washington e soprattutto di New York negli anni ’40 del Novecento, la cosiddetta “Golden Age of Jazz” (l’età dell’oro del jazz). Molte delle sue immagini, forse le più riprodotte nella storia della fotografia americana, sono diventate delle vere e proprie icone della musica jazz divenendo i soggetti di poster distribuiti in tutto il mondo. In mostra i ritratti di Louis Armstrong, Billy Holiday, Ella Fitzgerald, Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Miles Davis, Thelonious Monk, Frank Sinatra, Cab Calloway e moltissimi altri cantanti e musicisti che hanno fatto la storia e la cultura del jazz. L’esposizione fa parte del progetto History & Photography (www.history-and-photography.com), che ha per obiettivo raccontare la Storia con la Fotografia (e la Storia della Fotografia) valorizzando e rendendo fruibili al grande pubblico e alle scuole e università gli archivi storico fotografici italiani e internazionali, pubblici e privati. L’esposizione è visibile anche via internet in slideshow manuale grazie alle innovative proposte digitali di History & Photography.

In programma fino al 3 dicembre 2022, curata da Alessandro Luigi Perna e prodotta da Eff&Ci – Facciamo Cose per il progetto History & Photography – La Storia raccontata dalla Fotografia, la mostra si compone di 60 immagini stampate (riproduzioni digitali da stampe d’epoca e negativi) scattate da Gottlieb tra il 1938 e il 1948, durante la cosiddetta “Golden Age of Jazz” (l’età d’oro del jazz), quando lo swing raggiunse il suo apice e si sviluppò il jazz moderno. A inviare Gottlieb nei principali locali jazz di Washington e soprattutto di New York City erano la prestigiosa testata Washington Post e le riviste specializzate Downbeat e Record Changer.

Abile artigiano, fotografo autodidatta, nei suoi reportage giornalistici e fotografici ha intervistato e ritratto i principali musicisti del jazz dell’epoca tra cui Louis Armstrong, Billy Holiday, Ella Fitzgerald, Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Miles Davis, Thelonious Monk, Frank Sinatra, Cab Calloway e moltissimi altri cantanti e musicisti che hanno fatto la storia e la cultura del jazz. La collezione è considerata dalla critica un importante e insostituibile contributo alla documentazione della cultura americana in un periodo in cui la musica jazz raggiungeva il suo massimo livello di popolarità e diventava un carattere essenziale e riconosciuto anche all’estero della società statunitense.

Le sue immagini di cantanti e musicisti jazz sono forse le più riprodotte nella storia della fotografia americana. A risultare vincente nei suoi articoli e poi, in particolare, nei suoi scatti la capacità di catturare le personalità dei musicisti con estrema sensibilità e senso della narrazione, non solo sul palco ma anche una volta smessi i panni delle star mentre sono nei camerini, in strada o durante le sessioni di prova. A fare da sfondo una New York notturna e suggestiva, spesso fotografata a colori, un soluzione inedita per un’epoca in cui la fotografia non in bianco e nero era tecnicamente ancora all’inizio e pochissimo diffusa sia a livello professionale che amatoriale.

dal 17 settembre al 3 dicembre 2022 – La casa di vetro – MILANO

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Mostre per settembre

Ciao a tutti!

Avete trascorso buone ferie? Rilassati?
Eccoci pronti a ripartire con nuove mostre fotografiche da non perdere!

E ricordatevi di dare sempre un’occhiata alla nostra pagina dedicata alle mostre.

Anna

Ferdinando Scianna, il viaggio il racconto la memoria

“Non sono più sicuro, una volta lo ero, che si possa migliorare il mondo con una fotografia. Rimango convinto, però, del fatto che le cattive fotografie lo peggiorano”

Ferdinando Scianna

Con circa 200 fotografie in bianco e nero stampate in diversi formati, la rassegna attraversa l’intera carriera del fotografo siciliano e si sviluppa lungo un articolato percorso narrativo, costruito su diversi capitoli e varie modalità di allestimento.

Ferdinando Scianna è uno tra i più grandi maestri della fotografia non solo italiana. Ha iniziato ad appassionarsi a questo linguaggio negli anni Sessanta, raccontando per immagini la cultura e le tradizioni della sua regione d’origine, la Sicilia. Il suo lungo percorso artistico si snoda attraverso varie tematiche – l’attualità, la guerra, il viaggio, la religiosità popolare – tutte legate da un unico filo conduttore: la costante ricerca di una forma nel caos della vita. In oltre 50 anni di racconti non mancano di certo le suggestioni: da Bagheria alle Ande boliviane, dalle feste religiose – esordio della sua carriera – all’esperienza nel mondo della moda, iniziata con Dolce & Gabbana e Marpessa. Poi i reportage (fa parte dell’agenzia foto giornalistica Magnum), i paesaggi, le sue ossessioni tematiche come gli specchi, gli animali, le cose e infine i ritratti dei suoi grandi amici, maestri del mondo dell’arte e della cultura come Leonardo Sciascia, Henri Cartier-Bresson, Jorge Louis Borges, solo per citarne alcuni.

Avendo deciso di raccogliere in questa mostra la più ampia antologia dei suoi lavori fotografici, con la solita e spiccata autoironia, Ferdinando Scianna, in apertura del percorso espositivo, sceglie un testo di Giorgio Manganelli: “Una antologia è una legittima strage, una carneficina vista con favore dalle autorità civili e religiose. Una pulita operazione di sbranare i libri che vanno per il mondo sotto il nome dell’autore per ricavarne uno stufato, un timballo, uno spezzatino…”

Ferdinando Scianna del suo lavoro scrive: “come fotografo mi considero un reporter. Come reporter il mio riferimento fondamentale è quello del mio maestro per eccellenza, Henri Cartier-Bresson, per il quale il fotografo deve ambire ad essere un testimone invisibile, che mai interviene per modificare il mondo e gli istanti che della realtà legge e interpreta. Ho sempre fatto una distinzione netta tra le immagini trovate e quelle costruite. Ho sempre considerato di appartenere al versante dei fotografi che le immagini le trovano, quelle che raccontano e ti raccontano, come in uno specchio. Persino le fotografie di moda le ho sempre trovate nell’azzardo degli incontri con il mondo.”

22 settembre 2018 – 6 gennaio 2019 – Forlì, Musei San Domenico

Qua tutti i dettagli

Eliott Erwitt: i cani sono come gli umani, solo con più capelli

Suazes, in collaborazione con Fondazione Cassamarca di Treviso e Magnum Photos, organizza, presso gli spazi di Casa dei Carraresi, una grande mostra dedicata ad uno dei più importanti fotografi contemporanei, Elliott Erwitt.
Qui interpretato da un percorso espositivo originale, che esplora una delle parti più curiose ed interessanti, nonché note, della produzione del fotografo franco-americano, ovvero quella dedicata ai cani.
Una selezione che viene, con tali dimensioni, per la prima volta esposta in Italia, raggruppando oltre ottanta fotografie accompagnate da video, documenti e altro materiale dedicato al tema.

La mostra intitolata “Elliott Erwitt: i cani sono come gli umani, solo con più capelli”, curata da Marco Minuz, raccoglie una straordinaria selezione di fotografie dedicate a questo tema. In un percorso che spazia dagli anni cinquanta fino ai giorno nostri e che documenta la profondità e l’acutezza del lavoro fotografico di Erwitt su questo specifico tema. Le sue sono tutte immagini realizzate “dal punto di vista dei cani”. Spesso il fotografo pone il suo obiettivo ad altezza di cane, lasciando ai suoi padroni, il solo spazio di un piede o dei polpacci.

I cani sono tra i soggetti più amati dal fotografo. Non perché egli ne sia particolarmente affascinato (come lui sostiene), ma perché con il loro atteggiamento naturale e irriverente, fungono da perfetto contraltare alla pomposità ed alla ricercata compostezza dei loro padroni. E soprattutto, a differenza degli uomini, non hanno la pessima abitudine di pretendere una stampa delle foto che viene loro fatta!
Il titolo, tratto da una sua dichiarazione rilasciata in un’intervista, è già una guida per questa mostra che vuole essere un’opportunità per analizzare, con ironia e a volte cinismo, l’essenza profonda di questa ricerca che, attraverso il quadrupede peloso, mira all’essere umano.

Molte di queste immagini sono buffe e ritraggono animali che saltano o si mostrano sorpresi. Pose che sono ottenute, a volte, da Erwitt con un metodo preciso, ovvero suonando, poco prima di fotografare, una trombetta che spaventava i cani. Oppure, ricorrendo ad un unico forte latrato, emesso dallo stesso fotografo, che scatena la reazione dei cani che, all’improvviso, saltano, abbaiano, ringhiano, consentendogli di coglierli nella loro naturalezza. Escono così immagini di forte spontaneità, che fissano l’espressione animata degli animali.

Nelle fotografie di Erwitt non c’è un’attenzione particolare per il paesaggio; il suo occhio s’indirizza alla figure umane e sugli animali, per lui riflessi inconsapevoli delle abitudini degli uomini.

Nel corso della mostra sono in programma eventi dedicati al tema, con il coinvolgimento delle principali realtà territoriali del territorio.

Dal 22 settembre 2018 al 3 febbraio 2019 – Casa dei Carraresi – Treviso

Altre info qua

Le mostre del SIFEST

Ritorna a settembre l’appuntamento con Si Fest 2018 a Savignano sul Rubicone.  Alla sua 27esima edizione il festival – promosso come ogni anno dal Comune di Savignano sul Rubicone, Assessorato alla cultura, e organizzato dall’Associazione Savignano Immagini – indagherà su un nuovo tema, On Being Now, con una nuova direzione artistica composta da Roberto Alfano, Laura De Marco e Christian Gattinoni.

Tra le varie mostre, due che non mi perderei per niente al mondo sono quelle di Max Pinckers e di Carolyn Drake, oltre a tante altre. Trovate il programma del festival qua.

Dal 14 al 30 settembre – Savignano sul Rubicone (FO)

SUGGESTIONI D’ITALIA

La GAM di Torino presenta una mostra di oltre 100 fotografie, realizzate dalla fine del secondo dopoguerra ai primi anni Duemila, che raccontano l’Italia per immagini: il paesaggio e le città della nostra penisola esplorati da 14 grandi fotografi, sia nell’architettura sia nella loro dimensione umana e sociale. Le foto, in bianco nero e a colori, sono selezionate con l’intento di scandagliare l’interpretazione degli ‘esterni’, dall’arco alpino e le grandi città come Torino e Milano, per proseguire lungo la dorsale emiliana fino a scendere verso il Sud, tra Napoli, Matera, e infine toccare la Sicilia.

Paesaggi, luoghi, e anche i cosiddetti non-luoghi fanno parte di questa carrellata.

La decisione di presentare questa esposizione alla GAM nasce dalla volontà di tornare a focalizzare l’attenzione del museo sul tema della fotografia, tralasciato dalla programmazione da circa dieci anni, ma che costituisce un indubbio supporto di valore per le nostre collezioni. A cavallo del 2000 infatti, la GAM prima, e la Fondazione CRT per l’Arte Contemporanea in seguito, avevano costituito una ragguardevole collezione di fotografia dal secondo dopoguerra in avanti. Quasi tutti i grandi nomi di questo linguaggio sono entrati a far parte delle nostre collezioni.

Ai primi ‘reportage’ in ambito di Neorealismo e alle documentazioni politiche si affiancano distillati di paesaggio italiano e letture di alto formalismo, come di ricerca di una apparentemente semplice verità ottica di documentazione dell’architettura. Questa mostra ha l’intento di trasportare il visitatore in un continuo alternarsi di sensibilità e di atmosfere, intense e differenti, facendo emergere in filigrana una prospettiva storica-temporale delle interpretazioni del soggetto-paesaggio. Narrazioni antiretoriche che lasciano spazio a nuove retoriche dell’immagine, senza distinzione tra fotogramma catturato al volo e situazioni accuratamente studiate.

Nelle fotografie di Nino Migliori (Bologna, 1926) prevalgono i luoghi e i segni dell’uomo. Le sue immagini sui soggetti deboli sono costruite con una intenzione sapientemente narrativa. È forse il fotografo che prima di tutti ha saputo interpretare la forza del Neorealismo.

Gianni Berengo Gardin (Santa Margherita Ligure, GE, 1930) sembra appartenere allo stesso ordine di attenzioni: nel condurre l’obiettivo della macchina fotografica sui temi del disagio, della arretratezza sociale, in una dimensione di straordinaria epica popolare.

Sui temi di un ritardo arcaico, sulla soglia dell’umiltà, si cimenta anche in seguito Mario Cresci (Chiavari, GE, 1942) sia pure in una investigazione più marcatamente concettuale. Territorio e memoria sono indagati dal punto di vista dell’uomo come dei luoghi di lavoro, le cave.

Mimmo Jodice (Napoli, 1934) ha saputo interpretare, in bianco e nero, in maniera al contempo semplice e intensa, sia paesaggi minori sia luoghi ad alta intensità culturale e monumentale. Ciò è avvenuto nella proposizione di temi del sud e anche nelle incursioni nel nord dell’Italia.

Anche Mario Giacomelli (Senigallia, AN,1925 – 2000) fissa l’attenzione sulla cultura ‘bassa’, collegandosi soprattutto alla indagine sulla campagna. Da qui si innesta però una stupefacente rilettura formale, ad altissimo potenziale, dei campi governati dall’uomo, sfruttando al massimo le capacità del bianco e nero.

Sullo stesso orizzonte paesaggistico si è cimentato Franco Fontana (Modena, 1933), solo portando la sua ricerca sul versante di un colore trionfante, forte, di alta – per l’epoca – eccitazione cromatica. Un colore che è stato tuttavia letto in chiave mentale, inteso a portare la naturalità dei soggetti in una dimensione astraente.

Di tutt’altro segno è la fotografia a colori inaugurata da Luigi Ghirri (Scandiano, RE, 1943 – Roncocesi, RE, 1992). I suoi paesaggi ‘vuoti’, quasi non sfiorati dalla presenza umana, ci impongono un nuovo sguardo sulle cose, architetture e paesaggi. Dai suoi scatti emerge un sentimento invincibile di mistero, che ci proietta in una nuova dimensione di interpretazione del mondo.

Questa considerazione vale anche per le straordinarie fotografie – ma in bianco e nero – di Ugo Mulas (Pozzolengo, BS, 1928 – Milano, 1973). I suoi paesaggi ci obbligano a guardare in maniera diversa i soggetti, ci danno la vertigine per quel che non avevamo saputo vedere in essi prima di adesso. Ciò vale anche per la sua indagine sulle periferie brumose della città industriale, che assumono, paradossalmente un forte, inedito, fascino.

Il bianco e nero è strumento necessario anche per dare forza alle immagini di Uliano Lucas (Milano, 1942).  La sua è una fotografia, infatti, di denuncia, perché riguarda la dimensione urbana e industriale, dove però è l’uomo a costituire il dato prevalente: la sua fotografia registra lotte e sofferenze, collocate in una dimensione collettiva.

Sono in bianco e nero anche le fotografie di Ferdinando Scianna (Bagheria, PA, 1943). Le persone che ritrae ci inducono a considerare i luoghi in una dimensione antropologica. Queste immagini, come quelle di paesaggio, vivono di contrasti: sole-luce /buio, in una visione quasi abbacinante.

Di Gabriele Basilico (Milano, 1944 – 2013) colpisce la oggettività concettuale del suo bianco e nero in cui emergono dai suoi scatti le architetture e il vuoto. La dimensione è urbana, periferica ma non solo. La regola delle geometrie, specialmente perfette, ci introduce a un nuovo ordine di considerazioni sulla natura dell’architettura e del suo potenziale connotante il paesaggio contemporaneo.

Anche le fotografie dedicate all’Abbazia di San Galgano di Aurelio Amendola (Pistoia, 1938) sono consapevoli del significato di volumi e pesi dell’elemento architettonico.  Esterni, Interni, dettagli sono interpretati con religiosa semplicità.

Enzo Obiso (Campobello di Mazara, TP, 1954) lavora sul potenziale del bianco e nero. La sua Sicilia solare non ne esce affatto ridimensionata, ma anzi i suoi luoghi aumentano il potenziale di mistero, di apparizioni sorprendenti.

Il colore controllato degli scatti di Bruna Biamino (Torino, 1956) ci porta lontano, in una sorta di sogno lattiginoso. Architetture, paesaggi disadorni, luoghi d’acqua, alludono alla sospensione e al vuoto e contengono, al contempo, uno stato di concentrazione e di spaesamento indissolubili.

Dal 13 Luglio 2018 a 23 Settembre 2018 – GAM Torino

Altre info qua

Le mostre di Visa pour l’Image – Perpignan

 

Anche quest’anno la città di Perpignan, nel sud della Francia, ospita il festival di fotogiornalismo Visa pour l’image, giunto alla 29^ edizione. In mostra una selezione delle migliori storie d’attualità raccontate dai fotografi di tutto il mondo.

Le mostre saranno oltre 25, tra cui vi segnaliamo il lavoro di Daniel Berehulak per il New York Times sulla guerra alla droga nelle Filippine condotta dal presidente Rodrigo Duterte. E il lavoro di Lu Guang, che per dodici anni ha attraversato la Cina per raccontare la crescita economica che minaccia l’ambiente.

Una retrospettiva ricorda la carriera di Stanley Greene, morto il 19 maggio, che per quasi dieci anni ha raccontato il conflitto in Cecenia tra i separatisti e le forze armate russe.

Isadora Kosofsky ha documentato le storie di alcuni giovani detenuti ad Albuquerque, New Mexico, e i rapporti con le loro famiglie, per indagare il sistema giudiziario statunitense. Darcy Padilla presenta il progetto con cui ha vinto il Canon female photojournalist award 2016, Dreamers, sulla riserva di nativi americani Pine Ridge, uno dei luoghi più poveri degli Stati Uniti, dove il tasso di disoccupazione è dell’85 per cento.

Sul sito ufficiale trovate il programma completo.

Dal 2 al 17 settembre – Perpignan (Francia)

HOTEL BEL SIT, STORIE DI MIGRANTI

“Ai ragazzi… quelli che in quel mare, non hanno più visto le stelle”

Giovanni Mereghetti

“Ci vogliono mesi, a volte anni per avere il permesso definitivo di rifugiato. Molti migranti restano inermi in attesa, qualcuno scappa senza meta, altri inevitabilmente finiscono nelle grinfie dei caporalati del sud Italia e diventano schiavi. Sono tante le vicende che quotidianamente vivono i migranti. In determinate circostanze si intrecciano, a volte invece viaggiano su binari diversi. Ma ognuno di loro ha la sua triste storia da raccontare. C’è chi sbarca direttamente sulle coste italiane e si ricongiunge a parenti o conoscenti. C’è chi prosegue, tra mille peripezie, verso il nord Europa. C’è chi finisce “standed” quando è quasi finita, nelle stazioni di qualche grande città. C’è anche chi trova un lavoro in nero nell’edilizia o nell’agricoltura nel nord-est del nostro Paese. C’è chi si limita a sognare una vita migliore, bukra inshallah! C’è chi si innamora e si sposa. C’è chi riceve un saluto, 2

Salam Aleikum, e una mano sul cuore. C’è chi decide di ritornare in Africa, per sempre. C’è chi dorme per qualche notte in un giardinetto della stazione di Catania, poi sale su un autobus con destinazione e capolinea Milano. C’è chi a Milano non si ferma e prosegue, nonostante la nebbia e il freddo pungente.

C’è chi è fortunato e trova una “casa” in uno dei tanti alberghi gestiti dalle cooperative. A Mortara ce n’è uno: Hotel Bel Sit, una stella.”

Così scrive Giovanni Mereghetti, fotogiornalista, per presentare “Hotel Bel Sit, Storie di Migranti”. Un progetto nato dalla frequentazione di questa realtà di accoglienza a Mortara gestita dalla Cooperativa Faber che lo appassiona da quasi cinque anni; da quando l’incontro con questi ragazzi ha acceso in lui la necessità di una narrazione che potesse abbracciare le differenti storie di questi “Ulisse contemporanei”.

Le fotografie di Giovanni Mereghetti diventano così un’opportunità concreta per coinvolgere direttamente i protagonisti che vi accompagneranno attraverso questa mostra fotografica in un viaggio all’interno delle loro storie, delle esperienze vissute per arrivare nel nostro paese.

Un’occasione unica in cui l’arte visiva si offre quale strumento al servizio dello scambio, della comunicazione per abolire le distanze – individuali e collettive – alla ricerca del senso che lega l’umanità intera.

La mostra sarà accompagnata dal libro “Hotel Bel Sit, storie di migranti” con testi e foto di Giovanni Mereghetti. Il ricavato della vendita di questo libro finanzierà le attività e i progetti della Cooperativa Faber.

A cura di Alessia Locatelli

Dal 26 settembre al 9 ottobre 2018 – Ex-Fornace Alzaia Naviglio Pavese 16 Milano

AMATA BELLEZZA, fiori e visioni – Mario Carrieri

Villa Carlotta chiude la sua stagione di mostre con Mario Carrieri. Amata bellezza, fiori e visioni a Villa Carlotta (15 settembre- 4 novembre 2018) un’esposizione fotografica dedicata al mondo floreale riletto attraverso l’obiettivo di un maestro del XX secolo.

Una serie di opere di grandi dimensioni allestite in vari ambienti della villa offre la possibilità di accostarsi alla incessante ricerca fotografica portata avanti da Carrieri negli ultimi decenni concentrandosi unicamente su un soggetto: i fiori.

Lo sguardo di questo artista rilegge un soggetto tradizionale della pittura e della fotografia in una chiave totalmente inedita, componendo grandi palcoscenici di una visionaria opera teatrale senza tempo, nella quale innocenti fiori-attori recitano una tragedia shakesperiana sull’eterna fragilità della bellezza e sul suo dolore senza fine.

Con la sua luce spietata Mario Carrieri fa emergere dai fiori l’incanto e il dramma che animano ogni creatura.  Le opere di grande formato colpiscono dritte la sensibilità dell’osservatore, coinvolgendolo nel sentimento del pathos universale.

15 settembre- 4 novembre 2018 – Villa Carlotta – Tremezzo (CO)

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CAMERA POP. La fotografia nella Pop Art di Warhol, Schifano & Co

La mostra CAMERA POP. La fotografia nella Pop Art di Warhol, Schifano & Co ripercorre la storia della trasformazione del documento, fotografico nello specifico, in opera d’arte, giunta al culmine negli anni ’60. Dal 21 settembre al 13 gennaio a CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia saranno esposte oltre 120 opere tra quadri, fotografie, collages, grafiche, che illustrano la varietà e la straordinaria vivacità di questa grande vicenda.

La Pop Art è stata un fenomeno mondiale, esploso negli anni Sessanta negli Stati Uniti e in Europa, e diffusosi rapidamente anche nel resto del mondo “che ha rivoluzionato – è l’opinione di Walter Guadagnini, direttore di CAMERA e curatore della mostra –  il rapporto tra creazione artistica e società, registrando l’attualità in modo neutro, fotografico, adottando gli stessi modelli della comunicazione di massa per la realizzazione di opere d’arte. In questo senso, la fotografia è stata, per gli artisti Pop, non solo una fonte di ispirazione, ma un vero e proprio strumento di lavoro, una parte essenziale della loro ricerca”.

Allo stesso tempo, l’affermazione della cultura Pop ha liberato energie sorprendenti anche all’interno del mondo dei fotografi, che si sono misurati direttamente non solo con il panorama visivo contemporaneo, ma anche con le logiche della trasformazione del documento in opera d’arte.

Tra i protagonisti presenti in mostra si possono citare gli americani Andy Warhol, Robert Rauschenberg, Jim Dine, Ed Ruscha, Joe Goode, Ray Johnson, Rosalyn Drexler; gli inglesi Richard Hamilton, Peter Blake, Allen Jones, Joe Tilson, David Hockney, Gerald Laing, Derek Boshier; i tedeschi Sigmar Polke, Wolf Vostell; gli italiani Mimmo Rotella, Michelangelo Pistoletto, Franco Angeli, Umberto Bignardi, Gianni Bertini, Claudio Cintoli, Sebastiano Vassalli e tanti altri.

Tra i fotografi, si sottolinea la presenza di Ugo Mulas – cui viene dedicata un’intera sala, dove verranno esposte le serie realizzate negli Stati Uniti e quella della Biennale di Venezia del 1964 – e di Tony Evans, fotografo dei protagonisti della Swinging London dei primissimi anni Sessanta.

Dal 21 settembre al 13 gennaio – Camera Centro Italiano per la Fotografia – Torino

Tutti i dettagli qua

#rasoterra – Silvia Bottino

Lo spazio “Looking at Art” Associazione Culturale è lieto di presentare la mostra personale della fotografa Silvia Bottino dal titolo: #rasoterra. Un progetto che la fotografa porta avanti da circa un paio d’anni- un work in progress – che desidera accompagnare in modo scanzonato e divertente verso una riflessione più profonda sulle nuove tecnologie al servizio dell’immagine fotografica. Il desiderio di ritornare agli elementi basilari della fotografia, la luce ed il tempo, si legano in maniera inedita alle nuove  ecnologie attraverso la sperimentazione, che da sempre muove Silvia Bottino nell’ideazione dei suoi progetti, di appoggiare letteralmente il cellulare all’altezza del suolo e scattare.

Ri-leggendo così gli ambienti attraverso lo sguardo attuale e fresco fornito da prospettive mai attuate prima: nascono così gli scatti di paesaggi naturali, di neve e mare, o antropizzati al massimo come accade per lo skyline di New York. La tecnica è quella della ripresa con il cellulare, strumento ormai indispensabile nella nostra quotidianità, che – grazie anche alla tecnologia applicata alle fotocamere – permette oggi senza l’ingombro dell’obiettivo della macchina fotografica di scattare davvero a Raso Terra, catturare la trama, la matericità di quello che si trova in primo piano, in dialogo con l’immagine sullo sfondo.

Anche le stampa fotografica in piccola dimensione – con montaggio in cornice in legno – ne permette la fruizione immediata e si lega all’idea di selfmade, di velocità e capacità di cogliere il momento, concettualmente alla base della nuova ricerca della fotografa milanese. Ma non si tralascia l’attenzione alla Fine Art: nasce così la tiratura di stampa limited edition firmata dall’autrice per i collezionisti che desiderano avere su carta archivio e con durabilità museale le stampe del progetto #rasoterra.

Silvia Bottino nasce in “camera oscura” a Milano. Figlia d’arte cresce sul set dove, terminati gli studi artistici, inizia la carriera lavorativa prima come assistente di suo padre, Franco Bottino, e poi come professionista. Si occupa di vari linguaggi della fotografia come: still-life, ritratti, beauty, foto industriale, pubblicità, interagendo direttamente con il cliente o tramite agenzie di pubblicità o di pubbliche relazioni.

A cura di Alessia Locatelli.

Dal 28 settembre al 12 ottobre 2018 – Looking at Art | Via Tommaso Salvini n.2, 20122 Milano

Concorsi e premi in scadenza ad agosto

Buongiorno a tutti, eccovi la selezione dei bandi e premi in scadenza per il mese di agosto.

lensculture

LensCulture Street Photography Awards

Scadenza: 1 agosto 2017
Premi: 1° posto serie $5.000, 1° posto foto singola $3.000, premio giurato $1.000
Fee: Gratis 1a foto singola, $50 per 5 foto singole, $60 serie

La terza edizione dei LensCulture Street Photography Awards ti invita a condividere la tua visione delle strade del mondo! Vogliamo scoprire i migliori fotografi di oggi che colgono eccezionali momenti di vita in tutte le sue animate forme. Entra in contatto con la comunità fotografica globale con le tue immagini migliori: il nostro pubblico raggiunge oltre 2,5 milioni di persone in tutto il mondo, e i nostri vincitori e finalisti ricevono un riconoscimento che cambia la carriera per il loro lavoro. Oltre alla visibilità internazionale, premi e vantaggi includono: una mostra a San Francisco, proiezioni a festival internazionali di fotografia, $22.000 di premi in denaro e molto altro.

Link lensculture.com


vincentvangogh

Vincent Van Gogh Photo Award

Scadenza: 1 agosto 2017
Premi: 1° posto € 1.000
Fee: €10 immagine singola, €15 2 immagini, €20 3 immagini
Tema: Natura umana – Attraverso gli occhi di Vincent van Gogh

Se amate veramente la natura, troverete la bellezza dappertutto! (Vincent van Gogh)
Lascia che il tema “Natura umana” ti ispiri in un modo contemporaneo. Pensa fuori dagli schemi, proprio come Vincent ha fatto. Sorprendi tutti! Lascia che la fotocamera sia il tuo pennello e partecipa a questo concorso!
Tutte le 50 immagini vincitrici saranno pubblicate nella galleria on-line e dal 15 settembre fino all’8 ottobre 2017, saranno esposte durante una mostra all’aperto nel centro storico della città di Nuenen – Olanda, dove Van Gogh creò la maggior parte delle sue opere

Link vincentvangoghphotoaward.com

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Mostre di fotografia, cosa non perdere a settembre.

SGUARDO DI DONNA

da Diane Arbus a Letizia Battaglia la passione e il coraggio
11.09 > 08.12.2015

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SGUARDO DI DONNA è una mostra curata da Francesca Alfano Miglietti che ha scelto 25 autrici, 25 storie, 25 sguardi singolari sul mondo, sull’altro, sulla relazione, selezionando circa 250 lavori che affrontano i temi profondi dell’esistenza umana: la vita, la morte, la violenza, il corpo, la spiritualità, l’identità e la differenza.
Un vero e proprio itinerario di visioni che, grazie all’allestimento curato da Antonio Marras, trasporta in un territorio identitario, simbolico, erotico, politico e poetico.

SGUARDO DI DONNA intreccia le esperienze vissute attraverso gli occhi delle autrici, tutte rigorosamente donne e tutte guidate dal mezzo fotografico, che diviene una sorta di coscienza del mondo, testimone di quello che spesso viene occultato, ma capace di mantenere una coesione alla realtà di persone e luoghi.

Ogni opera diventa la provocazione di un dialogo profondo e intimo tra i soggetti delle foto e lo spettatore, raccontando uno scorcio indefinito della comune condizione umana, un “invito alla consapevolezza” dell’esistenza di mondi differenti e spesso estranei uno all’altro.

SGUARDO DI DONNA è ideata e promossa da Tre Oci, prodotta e organizzata da Civita Tre Venezie in collaborazione con il Corriere della Sera e La27esimaOra, Fondazione Teatro La Fenice di Venezia, Tendercapital, Colorificio San Marco.
La mostra è accompagnata da un catalogo Marsilio in due edizioni, italiano e inglese.

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SI FEST Savignano Immagini

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Anche quest’anno Savignano Immagini ci propone molte interessanti mostre, in concomitanza con la 24^ edizione del SI FEST, che si terrà dall 11 al 13 settembre, nella vivace cittadina romagnola. Il tema dell’edizione 2015 è Habitus, abiti e abitudini costumi e costume.. La manifestazione comprende mostre, conferenze e le consuete letture portfolio.

Le mostre ospitate saranno le seguenti:

  • MIKE BRODIE, A Period of Juvenile Prosperity + Tones of dirt and bone.
  • LARRY FINK, The vanities + The beats
  • FELICE BEATO, un omaggio. La fotografia in Giappone e la scuola di Yokohama
  • GABRIELE BASILICO, Iran 1970
  • MARTINA BACIGALUPO / Gulu real art Studio
  • PAOLO VENTURA, Short stories
  • GIULIA MARCHI, Sullòrlo
  • MUSTAFA SABBAGH, #000 – tuxedo riot
  • CLAUDINE DOURY, Loulan Beauty
  • TOMMASO TANINI, H. said he loved us
  • FRANCESCO FRANCAVIGLIA, Le donne del digiuno
  • THOMAS VAN DEN DRIESSCHE, How to be a photographer
  • SIMONE DONATI, Hotel Immagine
  • No Panic Gallery/ENRICO DE LUIGI, Cosplayers
  • MONIA PERISSINOTTO, Tokyo nights
  • BTOMIC/Jacopo Benassi

Per maggiori informazioni, cliccate qua

Fotografia Contemporanea dall’Europa nord-occidentale

Dal 18 settembre 2015 al 10 gennaio 2016 gli spazi espositivi del Foro Boario di Modena ospiteranno un nucleo di acquisizioni riferite ai paesi nordici, entrate di recente a far parte delle collezioni gestite dalla fondazione e sinora mai esposte: oltre 70 opere di 18 artisti, da Wolfgang Tillmans ad Jonny Briggs, in grado di suggerire la vivacità e l’eterogeneità di tendenze di un’area geografica che abbraccia Germania, Gran Bretagna e Scandinavia. Cuore dell’allestimento, incastonato nel percorso come una ‘mostra nella mostra’, sarà inoltre un importante omaggio al fotografo norvegese Tom Sandberg (1953 – 2014), le cui opere intendono dialogare con quelle degli altri artisti europei in un gioco di rimandi e affinità più o meno evidenti. L’intero progetto espositivo è a cura di Filippo Maggia, direttore di Fondazione Fotografia Modena.

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Edward Burtynsky – Acqua shock

Per la prima volta in Europa, dal 3 settembre 2015 all’1 novembre 2015, Palazzo della Ragione Fotografia, presenta Edward Burtynsky. Acqua Shock il progetto del fotografo canadese (St. Catharines, Ontario, 1955) dedicato all’acqua. Il programma di Palazzo della Ragione, il nuovo spazio espositivo di Milano interamente dedicato alla fotografia inaugurato a giugno 2014 nel cuore della città, si arricchisce dell’intenso lavoro fotografico che Edward Burtynsky ha dedicato alla risorsa primaria per eccellenza, l’acqua, alla sua presenza in natura e al suo sfruttamento da parte dell’uomo.

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Shirley Baker – Women, children and loitering men

This exhibition is a rare chance to see the work of social documentary photographer Shirley Baker, and a portrait of the urban decline of late twentieth century Britain.It focuses on Baker’s depictions of the urban clearance programmes of inner-city Manchester and Salford during 1961 – 1981 and the work documents what Baker saw as the needless destruction of working class communities. Listen to a specially commissioned soundscore by composer Derek Nisbet featuring Shirley Baker interviewed by Val Williams, 1992, Oral History of British Photography © British Library, catalogue reference C459/20. Despite being the only woman practicing street photography in Britain at the time, Shirley Baker’s humanist documentary work received little attention throughout her sixty-five year career. She claimed never to have posed her pictures, an action inimical to her documentarist ideals, yet her multi-layered images and exacting compositions imply dwelling on a scene until each element falls into place. Her visual puns, often the result of juxtaposing ‘chance’ elements in her field of vision, result in a humour and everyday surrealism that would have eluded most passers-by. Objects and scenes take on significance beyond their literal appearance. Half demolished walls and peeling wallpaper resound with lives once lived. Her meticulous focus on graffiti brings the plain brickwork to life and generates backdrops for scenarios in which her ordinary subjects, in their functional environments, become momentarily extraordinary. This exhibition includes previously unseen colour photographs by Baker alongside black and white images and ephemera such as magazine spreads, contact sheets and various sketches. Watch a short film from the BFI’s Britain on Film Archive, which gives a glimpse of Salford in the 1960s as Baker would have witnessed it. Women and Children; and Loitering Men (The Photographers’ Gallery, 2015) features a foreword by Professor Griselda Pollock and a new short story by author Jackie Kay. This book is sold out with a second edition due the week starting 24 August available to pre-order from the Bookshop. With thanks to Arts Council England, Mary Evans Picture Library, Manchester School of Art (Manchester Metropolitan University), Symon and Mary Elliott and the Shirley Baker Estate for their invaluable support.

Info here

Guido Guidi – Guardando a est

23 luglio – 11 ottobre

ex Essiccatoio bozzoli, San Vito al Tagliamento

A cura di Guido Guidi

I non luoghi sono il prodotto della società contemporanea, divenuta incapace di integrare in sé i luoghi storici, invece confinati e circoscritti alla stregua di curiosità o di oggetti interessanti. I non luoghi sono pertanto incentrati solamente sul presente, rappresentativi della nostra epoca caratterizzata dalla precarietà assoluta, dalla provvisorietà, dal transito e dal passaggio e da un individualismo solitario.

Le persone transitano nei non luoghi ma nessuno vi abita: le persone sono come in una condizione di attesa: c’è chi aspetta un treno, chi un autobus, chi riposa aspettando di riprendere il lavoro, altri attraversano strade e piazze vuote, e poco trafficate. Guidi ha anticipato tutte le problematiche legate all’apparire dei non luoghi, e lo ha fatto poiché ha sempre inteso fotografare spazi ed oggetti esclusi da ogni attribuzione di significato e in genere dagli stessi sguardi coscienti delle persone che li incrociavano, ampliando così nello stesso tempo il terreno del fotografabile. Per altri aspetti, Guidi ha fatto pure parte di quella serie di fotografi attenti alla tradizione della sociologia critica di Baudrillard e alla definizione di iperrealismo economico – sociale quale risultato dell’ “…opposizione tra realtà e apparenza, tra verità e ingenuo, tra vita quotidiana e spettacolo..” (Mario Perniola, Scambio simbolico, iperrealismo, simulacro, in Aut aut, n. 170 – 171, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1979, pag.69). Diversi fotografi americani, come i partecipanti nel 1975 alla mostra New Topographics: Photographs of a Man-Altered Landscape, intesero dimostrare che l’affermarsi della cultura dei centri commerciali, dei motels e dei parchi industriali non doveva essere vista come un’istanza di progresso, al contrario li indicavano come segni estremi di un vero e proprio fallimento.

Le piccole città, che costituivano storicamente la struttura urbanistica del Friuli Venezia Giulia per come si era sviluppata nel corso dei secoli, oggi sono anch’esse svuotate dei loro abitanti e della loro storia, divenendo dei non luoghi dove vi si transita ma non vi si abita. Evidenti quei dettagli che Guido Guidi ha insegnato a osservare, come le tracce di vita scritte su un muro o su colonne, una baracca dove raccogliere la legna in montagna, un segnale stradale, un bar, un supermercato, e poi gli interni delle aziende artigiane dove ancora convivono con (i pochi…rari) giovani operai, gli oggetti e i segni più disparati rimarcati dalla sua poetica minimalista. Guidi ha quindi introdotto questi concetti rappresentando uno dei punti di maturazione unanimemente riconosciuti di tutta la storia della rappresentazione del paesaggio e dell’oggetto nell’arte.

Tra il 1991 e il 1999 Guidi ha realizzato per conto del CRAF diverse campagne fotografiche, producendo un vasto corpus di immagini conservate negli archivi del Centro.

Nel 1995 il CRAF ha editato il catalogo Guido Guidi,Varianti edito da Art& di Udine, inserito da Martin Parr e Jerry Badger in The Photobook: A History (vol II. Londra – New York, Phaidon, 2006) assieme ai migliori libri di fotografia del XXesimo secolo.

Nella poliedrica attività promossa e che ha sempre visto Guido Guidi tra i protagonisti, le campagne fotografiche non sono mai nate casualmentema hanno dato corpo a tre settori progettuali: la dialettica con l’opera di Pier Paolo Pasolini; il punto di vista della fotografia italiana nella sua molteplicità linguistica sul paesaggio e l’ambiente (in Terre a Nordest, Friuli Venezia Giulia a vent’anni dal terremoto) infine l’ estensione del lavoro di Guidi alle “piccole città”, quasi una mappatura “a Est” o appunto un compendio sui non luoghi, completata dagli ultimi lavori realizzati nel 2014 a Lignano Sabbiadoro (nell’occasione gli è stato assegnato il Premio Hemingway su proposta di Italo Zannier) e a San Vito al Tagliamento.

Esiste inoltre un suo vasto lavoro del 2002 per conto dell’ATER, l’Azienda Territoriale Edilizia Residenziale di Trieste (che aveva fotografato anche nel 1985) e nel 2006 a Gorizia sulle tracce del confine scomparso: la linea di confine, istituita al termine della seconda guerra mondiale ha segnato, con alterne vicende, la storia di un territorio condiviso tra Italia e Slovenia, tra il mondo latino e quello slavo.

Guido Guidi ha sempre realizzato stampe a contatto da lastre della macchina a banco ottico 20×25 usata in omaggio ai pionieri della fotografia, e da tutta la storia dell’arte ha ereditato l’uso del colore. Così ogni suo lavoro pare quasi la citazione di un grande pittore.

Il colore tenue delle sue serie fotografiche, da Via delle Industrie a Monte Grappa ha ceduto poi il passo agli acidi e scarni cromatismi della Strada Ovest a Treviso e, in particolare, in alcuni lavori per il CRAF ha esaltato le tinte e l’ arancione caro a Turner, anche se molti suoi estimatori lo accostano a Morandi per il colore.

Con la sua poetica minimalista e la sua ricerca Guidi ha esplorato i limiti (i confini,i margini, le periferie…etc) del paesaggio contemporaneo senza romanticismi o spettacolarizzazioni, e nemmeno con l’intento di costruire una sorta di catalogo esaustivo della stessa serie vastissima e di non semplice definizione dei segni fotografati.

La mostra ha ottenuto dall’on.le Ministro Dario Franceschini il patrocinio del Ministero dei Beni e Attività Culturali e del Turismo.

Anna “°”