Mostre di fotografia da non perdere a ottobre!

Ciao a tutti,

anche questo mese vi segnaliamo diverse mostre interessantissime. E non dimenticate di verificare le mostre segnalate negli scorsi mesi che sono ancora visitabili!

Se volete che la vostra mostra venga segnalata, scrivete a pensierofotografico@libero.it il mese precedente all’inizio della mostra!

Buona visione!

Anna

Pino Musi_08:08 Operating Theatre

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_08:08 Operating Theatre, a cura di Antonello Scotti, ospitata da Magazzini Fotografici dal 17 settembre al 20 novembre 2022, porta in mostra una selezione delle prese fotografiche effettuate da Pino Musi in tre sale operatorie del Sud Italia, esattamente cinque minuti dopo il termine dell’intervento chirurgico e l’uscita del paziente e del chirurgo, e dieci minuti prima del riordino della sala, da parte degli infermieri, per l’intervento successivo.

Le sale operatorie di _08:08 Operating Theatre diventano il campo di battaglia che Pino Musi, artista visivo di fama internazionale e docente, sceglie per un “corpo a corpo” simultaneo fra sé stesso e gli elementi presenti nello scenario perlustrato, a pochi istanti dal termine di delicate operazioni chirurgiche.

Immagini in bianco e nero che occultano, evitando sottolineature a effetto, la riconoscibilità evidente degli elementi di facile spettacolarità, creando, invece, un percorso che orienta il fruitore a indagare l’interno della macchina scenica, ad analizzarne le tracce residue.

È «un teatro senza attori, malati, medici e tecnici, presentato nella sua nudità, senza palpiti, ma con gli umori del post-factum resi attraverso i reperti, le scorie, i residui dell’azione, i relitti di un combattimento, di uno stato di emergenza che il bianco e nero disinnesca» suggerisce Pino Musi, «perché è il corpo il protagonista assoluto quanto paradossale di queste immagini, un corpo che è sul confine tra organico e inorganico, un corpo senza organi, come lo dichiara, con crudeltà senza redenzione, Antonin Artaud, in un testo, la Lettera a Pierre Loeb, che è diventato un manifesto dell’arte postumana. “Perché la grande menzogna – scrive Artaud – è stata quella di ridurre l’uomo a un organismo – ingestione, assimilazione, incubazione, espulsione – creando un ordine di funzioni latenti che sfuggono al controllo della volontà deliberatrice, la volontà che decide di sé ad ogni istante”».

Come spiega Antonello Scotti, curatore della mostra: «L’immagine è un recinto visivo dove il corpo è solo evocato, ma mai presentato-rappresentato. Recinto dove il tempo e lo spazio è recitato in forma pantomimica. Residui, fantasmi che aleggiano nel perimetro della camera, dove in un susseguirsi caotico, mettono in scena, in forma di strazio di un momento, chissà quanto lungo, un tempo di dolore, anestetizzato giusto la durata per risarcire con gesto, forse risolutore, lo squarcio inflitto per strappare il male, o per innestare protesi. Non ci sono segni indicanti una conclusione, felice o infelice, dell’operazione scientifica-sciamanica-divina; è solo intuibile uno spazio sospeso, dove sembra che tutto sia un simulacro vivo di un fatto ancora in atto».

Ad ospitare la mostra _08:08 Operating Theatre è Magazzini Fotografici, APS nata da un’idea della fotografa Yvonne De Rosa, che ha come finalità la divulgazione dell’arte della fotografia e la creazione di un dialogo a più voci che sia occasione di arricchimento culturale.

L’evento è realizzato in collaborazione con la Galleria Tiziana Di Caro.

Come sottolinea Yvonne De Rosa: «Sono felice di dare vita ad una nuova collaborazione con Tiziana Di Caro e la sua galleria, luogo di rilevanza culturale ed artistica, che va ad arricchire la sempre più fitta rete di cooperazione e partecipazione che Magazzini Fotografici si prefigge di tessere sul territorio. Questa collaborazione è nata anche grazie a Pino Musi, che segue le attività proposte dalla nostra APS, contribuendo con talks, presentazioni e questa volta con una importante mostra delle sue opere». 

17 settembre | 20 novembre 2022 – Magazzini Fotografici – Napoli

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Ron Galella, Paparazzo Superstar

© Ron Galella, Ltd., 2022. Sophia Loren, 22 dicembre 1965, Americana Hotel, New York. Festa per la prima de Il Dottor Zivago
A Conegliano Palazzo Sarcinelli ospiterà, dal 7 ottobre 2022 al 29 gennaio 2023, un’importante mostra con oltre 180 fotografie di Ron Galella, il più famoso paparazzo della storia della fotografia, scomparso il 30 aprile scorso all’età di 91 anni. Si tratta della prima retrospettiva al mondo sul grande fotografo statunitense di origini italiane.La mostra, organizzata e prodotta da SIME BOOKS in collaborazione con la Città di Conegliano, è a cura di Alberto Damian, agente e gallerista di Galella per l’Italia. Parlando di Ron Galella, Andy Warhol ebbe a dire: “Una buona foto deve ritrarre un personaggio famoso che sta facendo qualcosa di non famoso. Ecco perché il mio fotografo preferito è Ron Galella”.Galella è nato a New York nel quartiere Bronx nel 1931 da padre italiano originario di Muro Lucano in Basilicata e madre italo-americana.Dal 1965 in poi, Ron Galella ha inseguito, stanato e fotografato i grandi personaggi del suo tempo, riuscendo a coglierli nella loro straordinaria quotidianità, agendo quasi sempre di sorpresa, a loro insaputa e spesso contro la loro volontà. Immagini rubate e scattate a raffica, frutto di appostamenti, depistaggi, camuffamenti, inseguimenti, lunghe attese, nello sprezzo di ogni rischio, fisico o legale.Jackie Kennedy negli anni ’70 gli intentò due cause, che all’epoca fecero parlare i giornali e ricevettero l’attenzione dei telegiornali americani. Le guardie del corpo di Richard Burton lo picchiarono e gli fecero passare una notte in galera a Cuernavaca, Messico. Marlon Brando con un pugno gli spaccò una mascella e cinque denti, ma poi gli pagò anche un salatissimo risarcimento attraverso i suoi avvocati. Galella è stato soprannominato “Paparazzo Extraordinaire” da Newsweek e “Il Padrino dei paparazzi americani” da Time Vanity Fair. Le sue foto sono conservate nei più importanti musei al mondo, dal MOMA di New York all’Andy Warhol Museum di Pittsburgh, dalla Tate Modern di Londra all’Helmut Newton Foundation di Berlino. E sono state acquistate da importantissime collezioni private in tutti e cinque i continenti. Non c’è un grande personaggio del jet-set internazionale di quel periodo che Galella non abbia fotografato. Il suo archivio di oltre 3 milioni di scatti è pieno di scatole di fotografie – per la maggior parte in bianco e nero – di attori, musicisti, artisti e celebrità di ogni tipo. Per citarne solo alcuni: Jacqueline Kennedy Onassis, Lady Diana, Aristotele Onassis, Truman Capote, Steve McQueen, Robert Redford, Paul Newman, Elizabeth Taylor, Richard Burton, Al Pacino, Robert De Niro, Greta Garbo, Liza Minelli, Madonna, Elton John, John Lennon, Mick Jagger, Diana Ross, Elvis Presley, David Bowie. E poi gli italiani: Sophia Loren, Claudia Cardinale, Federico Fellini, Anna Magnani, Luciano Pavarotti, Gianni Agnelli, Gianni e Donatella Versace.L’elenco dei personaggi immortalati da Galella potrebbe continuare per pagine: nell’archivio custodito nella sua villa in New Jersey c’è una ricchissima documentazione sull’evoluzione del costume degli anni ‘60, ’70, ’80 e ’90 (i suoi “golden years”, anni d’oro)  che è ritenuta unica al mondo.Ed è proprio il meglio di questo monumentale archivio che giunge a Palazzo Sarcinelli nella grande mostra “Ron Galella, Paparazzo Superstar”, organizzata da SIME BOOKS, la casa editrice coneglianese che nel 2021, in collaborazione con lo stesso Galella, ha pubblicato la preziosa monografia “100 Iconic Photographs – A Retrospective by Ron Galella”, l’ultimo libro dell’artista. La mostra sarà un percorso nella memoria di un’epoca, con icone universali del cinema, dell’arte, della musica, della cultura pop e del costume, e si snoderà attraverso sale tematiche, accogliendo anche un estratto di “Smash His Camera” di Leon Gast, il documentario sulla lunga carriera di Galella premiato al Sundance Film Festival del 2010.Il clou dell’esposizione sarà la sala interamente dedicata a Jackie Kennedy Onassis, che Galella definiva “la mia ossessione” e alla quale aveva dedicato due interi libri. In questa sala verrà esposta una copia della famosissima “Windblown Jackie”, scelta da Time qualche anno or sono come “una delle 100 fotografie più influenti della storia della fotografia” e definita “la mia Monna Lisa” dallo stesso Galella. La data d’inizio della mostra è stata scelta proprio perché “Windblown Jackie” è stata scattata il 7 ottobre del 1971.Sarà una mostra imperdibile che, ai tempi dei selfie e di Instagram, ci porterà indietro ad un tempo che non esiste più, nel quale le star entravano nelle nostre case soprattutto attraverso le pagine dei settimanali di costume e scandalistici, le copertine dei dischi, i poster e le locandine dei film. Questo succedeva anche grazie ai paparazzi e, in particolare, a Ron, che con le sue fotografie ci ha permesso di vedere le stelle più da vicino.
7 ottobre 2022 – 29 gennaio 2023 – Conegliano (TV), Palazzo Sarcinelli

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MOSTRA DEGLI ALUNNI DEL CORSO DI STORYTELLING – MUSA FOTOGRAFIA

Venerdì 21 Ottobre 2022 e solo per questa sera!

Ore 18,30 – Via Mentana, 6 Monza – Seguirà aperitivo in compagnia

Esposizione degli alunni del corso di Visual Storytelling Contemporaneo 2021/22

La mostra collettiva presenterà i progetti dei partecipanti al corso di Visual Storytelling. I corsisti, seguiti da Sara Munari, hanno costruito un lavoro finito, con una narrazione personale e unica.

NINO MIGLIORI. L’arte di ritrarre gli artisti. Ritratti di artisti di un maestro della fotografia italiana

“Nino Migliori. L’arte di ritrarre gli artisti” è la special guest della edizione ’22 di “Colornophotolife”, l’annuale festival di fotografia accolto dalla Reggia che fu di Maria Luigia d’Austria, a Colorno nel parmense.
La monografica di Migliori (dal 15 ottobre al 10 aprile) conferma la vocazione della Reggia a connotarsi come sede di grandi eventi fotografici, sulla scia delle mostra qui riservate a Michael Kenna, Ferdinando Scianna e Carla Cerati. Di Nino Migliori si possono ammirare 86 opere inedite, quasi tutte ritratti di artisti da lui frequentati, realizzate tra gli anni cinquanta ed oggi, che consentono di ripercorrere, attraverso le diverse tecniche adottate, le ricerche e le esplorazioni del mezzo fotografico condotte nel corso di oltre settant’anni di attività. L’esposizione, a cura di Sandro Parmiggiani, con la direzione di Antonella Balestrazzi, è accompagnata da un catalogo bilingue (italiano/inglese).
Cinque le sezioni: i ritratti in bianco e nero, avviati negli anni ‘50, quando Migliori è a Venezia e frequenta la casa di Peggy Guggenheim, e sviluppati fino agli anni recenti; le immagini a colori nelle quali spesso opera una dislocazione dei piani e talvolta ritaglia le immagini e le ricolloca nello spazio; le sequenze di immagini tratte dal mezzo televisivo e concepite come fotogrammi in divenire; le grandi “trasfigurazioni” (100 x 100 cm) a colori in cui Migliori interviene “pittoricamente” sull’immagine; i ritratti recenti in bianco e nero “a lume di fiammifero”, che applicano alcune sue ricognizioni condotte su sculture “a lume di candela”. Molti sono i protagonisti della scena artistica che i visitatori della mostra riconosceranno attraverso i loro ritratti: tra gli altri, Enrico Baj, Vasco Bendini, Agenore Fabbri, Gianfranco Pardi, Guido Strazza, Sergio Vacchi, Luciano De Vita, Salvatore Fiume, Virgilio Guidi, Piero Manai, Man Ray, Luciano Minguzzi, Zoran Music, Luigi Ontani, Robert Rauschenberg, Ferdinando Scianna, Tancredi Parmeggiani, Ernesto Treccani, Emilio Vedova, Lamberto Vitali, Andy Warhol, Wolfango, Italo Zannier; Antonio Gades, Bruno Saetti, Lucio Saffaro, Alberto Sughi, Emilio Tadini; Eugenio Montale, Gian Maria Volonté, Giovanni Romagnoli e Franco Gentilini; Karel Appel, Enzo Mari, Fausto Melotti, Tonino Guerra, Pompilio Mandelli, Marisa Merz, Bruno Munari, Fabrizio Plessi, Arnaldo Pomodoro, Lucio Del Pezzo; Mario Botta, Ugo Nespolo, Elisabetta Sgarbi.
“Davanti alle fotografie di Nino Migliori occorre ricordare –evidenzia il Curatore, Sandro Parmiggiani – che con lui nulla deve essere dato per scontato: la macchina fotografica, la pellicola (e ora il supporto digitale), le carte su cui vengono stampate le immagini non sono asservite a una funzione prestabilita, ma essa può sempre essere ridefinita ed esplorata in nuove direzioni. Migliori è stato, fin dal 1948, uno strenuo indagatore delle possibilità offerte dal mezzo, dai procedimenti tecnici e dai materiali della fotografia; oltre a essere autore di splendide fotografie neorealiste – molti ricordano l’icona de Il Tuffatore, 1951 –, lui si è cimentato con le bruciature sulla pellicola e sulla celluloide, con esperienze su carta e su vetro, con le fotografie di muri e di manifesti, con la ricerca della “faccia nascosta” delle polaroid, con le recenti esperienze con caleidoscopi di diverse dimensioni (due dei ritratti in mostra sono realizzati con questa tecnica): inesauste ricerche e verifiche alimentate dalle visioni e dagli esperimenti che questa sorta di artista-fotografo-sciamano ha condotto nel suo viaggio dentro la fotografia. Sarebbe dunque limitativa la definizione di “fotografo”, non avendo mai Migliori concepito il mezzo fotografico come mero strumento di conformità agli statuti e ai canoni della fotografia – “una immagine che fissa il reale, in un momento del suo divenire” –, ma qualcosa che poteva permettergli di avvicinarsi a certe visioni che da sempre lo hanno intrigato. Basta pensare alle esperienze condotte a partire dal 2006, quando decise di fotografare lo Zooforo, l’impressionante bestiario medievale scolpito da Benedetto Antelami sul Battistero del Duomo di Parma, immaginando di restituirne la visione notturna che ne potevano avere gli abitanti della città, e i suoi visitatori, passando accanto alla torre ottagonale e scoprendone, alla luce delle torce, le forme fantastiche che si snodavano lungo il suo perimetro, ricreando nella notte, con opportune coperture, un buio profondo e avvicinando e muovendo lentamente una candela alle formelle, fino a scoprirne il volto segreto. Da quell’esperienza sono nati cicli in cui Migliori ha fotografato nell’assenza di luce monumenti e sculture, e ha eseguito ritratti di persone nel buio assoluto, con i loro volti illuminati dalla luce di un fiammifero, come documentano alcune fotografie della mostra di Colorno.

15 Ottobre 2022 – 10 Aprile 2023 – Reggia di Colorno (Pr)

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WORLD PRESS PHOTO 2022

For tens of thousands of years, Aboriginal people – the oldest continuous culture on earth – have been strategically burning the country to manage the landscape and to prevent out of control fires. At the end of the wet season, there’s a period of time where this prescribed burning takes place. I visited West Arnhem Land in April/May 2021 and witnessed prescribed aerial and ground burning.

C’è una prima volta per tutto, e quest’anno al Festival della Fotografia Etica di Lodi fa il suo arrivo il World Press Photo, con l’esposizione dei vincitori del 2022.

Il grande concorso internazionale di fotogiornalismo e fotografia documentaria più famoso al mondo che si svolge da oltre 50 anni e indetto dalla World Press Photo Foundation di Amsterdam, vede Lodi protagonista con una tappa del suo tour che conta oltre 100 città nel mondo. Quasi 150 immagini che arrivano dai 5 continenti per raccontare storie incredibili.

I lavori premiati sono stati scelti tra i 64.823 candidati, tra fotografie e open format, realizzati da 4.066 fotografi provenienti da 130 paesi del mondo: si tratta di lavori firmati per le maggiori testate internazionali, come National Geographic, BBC, CNN, Times, Le Monde, El Pais che si contendono il titolo nelle diverse categorie del concorso di fotogiornalismo.

Tutto è iniziato nel 1955, quando un gruppo di fotografi olandesi organizzò il primo concorso internazionale “World Press Photo”. Da allora, l’iniziativa ha acquistato slancio fino a diventare il concorso fotografico più prestigioso al mondo e la mostra di fotogiornalismo più visitata.

Dal 24 settembre al 23 ottobre Lodi tornerà a raccontare il nostro mondo nella XIII^ edizione del Festival della Fotografia Etica. Un mondo in continuo e veloce cambiamento di cui la fotografia congela il momento e ci aiuta a capire.

A Lodi, ad aprirci finestre su situazioni e storie a noi spesso sconosciute, saranno quasi 100 fotografi da ogni parte del pianeta con oltre 20 mostre per coinvolgere il pubblico attraverso progetti inediti, esposti in spazi all’aperto e nelle prestigiose location della città.

24 settembre – 23 ottobre 2022 – Lodi

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ROBERT CAPA. L’Opera 1932 – 1954

ITALY. Near Troina. August 4-5, 1943. Sicilian peasant telling an American officer which way the Germans had gone.

“Robert Capa. L’Opera 1932-1954”, al Roverella, dall’8 ottobre 2022 al 29 gennaio 2023, a cura di Gabriel Bauret, è il nuovo appuntamento con la fotografia internazionale proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, ancora una volta affiancata dal Comune di Rovigo e dall’Accademia dei Concordi.

La mostra, che segue per qualità ed originalità quella recente di Robert Doisneau, consta di ben 366 fotografie selezionate dagli archivi dell’agenzia Magnum Photos e ripercorre le tappe principali della sua carriera, dando il giusto spazio ad alcune delle opere più iconiche che hanno incarnato la storia della fotografia del Novecento. Tuttavia essa non è pensata solo come una retrospettiva dell’opera di Robert Capa, ma mira piuttosto a rivelare attraverso le immagini proposte le sfaccettature, le minime pieghe di un personaggio passionale e in definitiva sfuggente, insaziabile e forse mai pienamente soddisfatto, che non esita a rischiare la vita per i suoi reportage. Capa infatti ha sempre manifestato un temperamento da giocatore, ma un giocatore libero. Nel mostrare, cerca anche di capire, gira intorno al suo soggetto, tanto in senso letterale quanto figurato. La mostra riunisce in occasioni diverse più punti di vista dello stesso evento, come a riprodurre un movimento di campo-controcampo, e restituisce un respiro cinematografico spesso percepibile in molte sequenze.
«Per me, Capa indossava l’abito di luce di un grande torero, ma non uccideva; da bravo giocatore, combatteva generosamente per se stesso e per gli altri in un turbine. La sorte ha voluto che fosse colpito all’apice della sua gloria”, ebbe a scrivere di lui Henry Cartier-Bresson.

L’esposizione non si limiterà alle rappresentazioni della guerra che hanno forgiato la leggenda di Capa. Nei reportage del fotografo, come in tutta la sua opera, esistono quelli che Raymond Depardon chiama “tempi deboli”, contrapposti ai tempi forti che caratterizzano le azioni; i tempi deboli ci riportano all’uomo André Friedmann, alla sua sensibilità verso le vittime e i diseredati, a quello che in fin dei conti è stato il suo percorso personale dall’Ungheria in poi. Immagini che lasciano trapelare la complicità e l’empatia dell’artista rispetto ai soggetti ritratti, soldati, ma anche civili, sui terreni di scontro, in cui ha maggiormente operato e si è distinto. Così, sulla scia delle sue vicende umane, ricorre a più riprese il tema delle migrazioni delle popolazioni (in Spagna e in Cina, in particolare). E tra un’immagine e l’altra, si profila anche l’identità di Capa.

La mostra si articolerà in 9 sezioni tematiche:

Fotografie degli esordi, 1932 – 1935
La speranza di una società più giusta, 1936
Spagna: l’impegno civile, 1936 – 1939
La Cina sotto il fuoco del Giappone, 1938
A fianco dei soldati americani, 1943 – 1945
Verso una pace ritrovata, 1944 – 1954
Viaggi a est, 1947 – 1948
Israele terra promessa, 1948 – 1950
Ritorno in Asia: una guerra che non è la sua, 1954

Il pubblico potrà anche ammirare le pubblicazioni dei reportage di Robert Capa sulla stampa francese e americana dell’epoca e gli estratti di suoi testi sulla fotografia, che tra gli altri toccano argomenti come la sfocatura, la distanza, il mestiere, l’impegno politico, la guerra.
Inoltre, saranno disponibili gli estratti di un film di Patrick Jeudy su Robert Capa in cui John G. Morris commenta con emozione documenti che mostrano Capa in azione sul campo e infine la registrazione sonora di un’intervista di Capa a Radio Canada.

08 Ottobre 2022 – 29 Gennaio 2023 – Rovigo, Palazzo Roverella

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ITALIA IN-ATTESA. 12 racconti fotografici

Silvia Camporesi – Spiaggia libera, Cesenatico

Tra cronaca di un recente passato e attualità, “Italia in-attesa. 12 racconti fotografici”, dal 15 ottobre all’8 gennaio a Palazzo da Mosto a Reggio Emilia, narra di un’Italia sospesa, interdetta, trasformata da un’occasione eccezionale e – auspicabilmente – irripetibile, il primo lockdown causato dal Covid: un tempo diverso dove anche lo spazio, l’architettura e l’ambiente diventano “altro” quando l’uomo non li abita. Un racconto che si sviluppa attraverso le visioni e la sensibilità di altrettanti grandi fotografi: Olivo Barbieri, Antonio Biasiucci, Silvia Camporesi, Mario Cresci, Paola De Pietri, Ilaria Ferretti, Guido Guidi, Andrea Jemolo, Francesco Jodice, Allegra Martin, Walter Niedermayr e George Tatge.
La mostra, a cura di Margherita Guccione e Carlo Birrozzi, è promossa da Ministero della Cultura, Direzione Generale Creatività Contemporanea, Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione e Fondazione Palazzo Magnani, in collaborazione con Fondazione Maxxi.
In uno scenario unico, silenzioso, quasi irreale, i racconti fotografici narrano storie di un mondo stra-ordinario, sono sequenze di visioni inattese e innaturali che mescolano luoghi del patrimonio culturale italiano e dello spazio intimo e mentale delle autrici e degli autori: paesaggi e piazze, orizzonti e spazi pubblici, opere d’arte e oggetti quotidiani. Lontane dagli stereotipi del Belpaese, queste immagini parlano di paesaggi spaesati che sposano la bellezza sublime con la percezione di una crisi profonda, dove alla natura rigogliosa che riempie progressivamente gli spazi urbani corrisponde il vuoto e l’assenza di vita umana. Sono racconti parziali, soggettivi, che ci introducono a nuovi punti di vista, modificando le consuete poetiche di narrazione dello spazio fisico.
Le artiste e gli artisti coinvolti sono riconosciuti interpreti della fotografia, di generazioni e attitudini diverse, che hanno sviluppato con la loro ricerca una vocazione all’ascolto dei luoghi e del patrimonio collettivo. Per questo motivo il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, tramite la Direzione generale Creatività Contemporanea, ha pensato di chiamarli a riflettere con un progetto incentrato sull’eccezionale condizione dell’Italia nei mesi di marzo-maggio 2020, allo scopo di realizzare, spaziando tra differenti linguaggi e modalità di espressione, un racconto corale e polifonico.
Olivo Barbieri, per questa sua indagine-racconto, sceglie la Camera degli Sposi, macchina visiva d’eccellenza per la sperimentazione innovativa della prospettiva, per condurre la sua riflessione sui meccanismi della percezione e sul sistema della rappresentazione. Guido Guidi, al contrario, si rivolge al paesaggio minimo della quotidianità: conferendo pari valore al monumentale e all‘ordinario, Guidi restituisce al nostro sguardo particolari trascurabili della realtà caricandoli di rinnovato senso e levità.
Una medesima attenzione al paesaggio d’affezione è testimoniata dalle fotografie di Silvia Camporesi, che sceglie di ritrarre i luoghi della sua infanzia: liberati dallo scorrere della vita quotidiana, questi sembrano svelare ora la propria essenza. In un’atmosfera metafisica e straniante sono immersi anche i centri storici umbri ritratti da George Tatge, in cui il silenzio e il senso di vuoto sembrano riflettere lo stato d’animo dell’autore. Sul tema dell’assenza si concentra anche il lavoro di Allegra Martin: luoghi emblematici della cultura milanese, privati improvvisamente dell’azione e dello sguardo del pubblico che abitualmente conferisce loro vita, diventano metafora di una sospensione non solo temporale, ma anche di senso.
A questi progetti fanno da contraltare lavori che non guardano allo spazio esterno, ma a quello interno, spostando la riflessione su un piano astratto e concettuale.
È il caso di Francesco Jodice, che trasferisce il viaggio fisico su un discorso mentale e virtuale, compiendo un reportage attraverso quattro architetture simbolo della cultura italiana storica e contemporanea mediante immagini satellitari, e di Mario Cresci, che rivolge lo sguardo ora al micro-mondo costituito dalla sua casa di Bergamo, ora a quello esterno, rappresentato da una città deserta: il tempo del lockdown forzato offre spazio per giochi della mente, alla ricerca di nuove analogie tra gli oggetti e inconsuete esplorazioni. Le immagini visionarie di Antonio Biasiucci, poi, trasferiscono la riflessione su un piano totalmente simbolico: i ceppi di alberi, ripresi in modo da richiamare forme antropomorfe, sono soggetti archetipici che rimandano alla circolarità del tempo.
La condizione astratta del paesaggio è al centro anche del lavoro di Paola De Pietri: i paesaggi onirici di Rimini e Venezia si echeggiano da due differenti latitudini dell’Adriatico. Le immagini surreali dei paesaggi montani tanto cari a Walter Niedermayr, solitamente popolati e logorati dal turismo di massa, appaiono qui quasi spettrali nell’assenza di presenza umana.
I siti simbolo della città eterna insolitamente deserti, ripresi da Andrea Jemolo, si confrontano con alcuni centri storici danneggiati dal terremoto che ha colpito il Centro Italia del 2016, ritratti da Ilaria Ferretti: luoghi in cui le tracce della vita e del tempo sono ormai affidate solo al movimento delle ombre e alla rassicurante persistenza della natura.

La mostra costituisce così, grazie alla varietà delle interpretazioni, un’analisi visiva dell’impatto antropico sul paesaggio, sulle relazioni tra cultura e natura, architettura e ambiente in alcuni luoghi (sia iconici che non) italiani. L’area del Colosseo rimane la stessa con o senza persone che la vivono? Città turistiche come Rimini e Venezia, che sensazioni restituiscono quando sono completamente deserte? A quasi due anni di distanza, come possiamo “rileggere” quelle immagini? Dovevamo, si diceva, utilizzare quell’esperienza straordinaria e terribile per imparare qualcosa: è stato così?
Queste domande saranno al centro di dialoghi tra fotografi, architetti, urbanisti e paesaggisti lungo un calendario di incontri aperti al pubblico durante il periodo espositivo.

15 Ottobre 2022 – 08 Gennaio 2023 – Reggio Emilia, Palazzo da Mosto

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Robert Doisneau

Robert Doisneau, Le baiser de l’Hôtel de Ville, Paris 1950 © Robert Doisneau

Dall’11 ottobre 2022 CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia propone la grande antologica dedicata al maestro francese Robert Doisneau, uno dei più importanti fotografi del Novecento, attraverso oltre 130 immagini provenienti della collezione dell’Atelier Robert Doisneau.

A partire da una delle fotografie più conosciute al mondo – lo scatto del bacio di una giovane coppia indifferente alla folla dei passanti e al traffico della place de l’Hôtel de Ville di Parigi – la mostra esplora l’opera di un celebre fotografo come Doisneau che, insieme a Henri Cartier-Bresson, è considerato uno dei padri fondatori della fotografia umanista francese e del fotogiornalismo di strada. Con il suo obbiettivo, espressione di uno sguardo empatico e ironico, Doisneau ha catturato la vita quotidiana degli uomini, delle donne, dei bambini di Parigi e la sua banlieue, con tutte le emozioni dei gesti e delle situazioni in cui sono impegnati. Le immagini in mostra ne testimoniano lo stile in grado di mescolare curiosità e fantasia, ma anche una libertà d’espressione che fa proprie le logiche del surrealismo reinterpretandole in chiave ironica.

La mostra, curata da Gabriel Bauret, è promossa da CAMERA, Silvana Editoriale e Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.

11 ottobre 2022 – 14 febbraio 2023 – Camera – Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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Civilization: vivere, sopravvivere, Buon Vivere

Larry Sultan, Sharon Wild, from the series The Valley, 2001 © Larry Sultan, courtesy Estate of Larry Sultan 

Civilization: vivere, sopravvivereBuon Vivere è un grande progetto artistico e culturale internazionale che riunisce circa trecento immagini di oltre centotrenta fotografi provenienti da cinque continenti sui temi del presente e del futuro del mondo contemporaneo, sempre più caratterizzato dai fenomeni della interconnessione e della globalizzazione.

Obiettivo fondamentale di Civilization è quello di riflettere e far riflettere sulle conseguenze del modo di vivere della società contemporanea, presentando immagini sempre originali e spettacolari del modo in cui produciamo e consumiamo, lavoriamo e giochiamo, viaggiamo e abitiamo, pensiamo e creiamo, collaboriamo e ci scontriamo, delle grandi conquiste tecnologiche, degli interventi dell’uomo sull’ambiente, dei grandi fenomeni di aggregazione e dei movimenti fisici ed immateriali che caratterizzano il mondo in cui viviamo.

La mostra è articolata in otto sezioni dedicate ad altrettanti temi, che permettono di affrontare una panoramica esaustiva e trasversale sulla contemporaneità e che nella formulazione proposta a Forlì si arricchisce di un focus inedito, che rende unica l’esposizione e ne completa l’analisi con un affondo che vede protagonisti i migliori nomi della fotografia contemporanea nazionale.  

Accanto a esponenti cardine della fotografia internazionale come Edward Burtynsky, Candida Höfer, Richard Mosse, Alec Soth, Larry Sultan, Thomas Struth, Penelope Umbrico e altri, merita infatti di essere sottolineata la notevole presenza di autori italiani – come Olivo Barbieri, Michele Borzoni, Gabriele Galimberti, Walter Niedermayr, Carlo Valsecchi, Massimo Vitali, Luca Zanier, Francesco Zizola – segno della progressiva crescita di reputazione della nostra fotografia.

A cura di William A. Ewing e Holly Roussell con Justine Chapalay, in collaborazione con Walter Guadagnini, Monica Fantini e Fabio Lazzari per l’edizione italiana.

Dal 17 settembre all’8 gennaio 2023 – Musei di San Domenico – Forlì

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Kristine Potter – Manifest

La delicatezza con cui Potter fotografa la figura umana immersa nel paesaggio ci consente di riflettere su quanto la natura selvaggia abbia permeato la percezione del maschile nel west americano.–  Ron Jude

icamera presenta Manifest di Kristine Potter. Le immagini, scattate tra il 2012 e il 2015 lungo il versante occidentale del Colorado, vengono esposte sulle pareti della galleria, in una selezione di stampe in bianco e nero raffinate e tecnicamente perfette. Le immagini ci portano nei panorami sociali dello sconfinato West americano, destrutturando, riformulando e ricodificando i significati e le associazioni convenzionali. I cliché della mascolinità si dissolvono in un riflesso idilliaco. Gli audaci archetipi maschili dell’ovest selvaggio accolgono vulnerabilità e incertezza.

Potter rivolge l’attenzione a come i soggetti siano allo stesso tempo incarnazione e negazione degli archetipi e dei cliché culturali, e a come la fotografia li abbia rafforzati e distorti nell’immaginario comune. Nei ritratti gli individui sono plasmati dal peso della storia e della cultura. Altre volte è lo stesso paesaggio a diventare protagonista – non semplice sfondo o palcoscenico, ma vero e proprio archetipo di sé stesso, numinoso e autonomo. 

Manifest è parte della mostra ‘But Still, It Turns’, curata da Paul Graham, esposta all’ICP di New York nel 2021 e ai Rencontres d’Arles nel 2022 (il catalogo della mostra è stato pubblicato da MACK nel 2021).

Manifest è anche la splendida prima monografia di Kristine Potter, pubblicata da TBW Books nel 2018 e oggi fuori catalogo. Un limitatissimo numero di copie sarà disponibile da Micamera in occasione della mostra.

La mostra di Micamera è stata prodotta da Rencontres d’Arles.

8 – 29 ottobre 2022 – MICamera – Milano

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RI-SCATTI. PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE

IPM C. Beccaria, 2021
IPM C. Beccaria, 2021

Anche per il 2022 torna RI-SCATTI, il progetto ideato e organizzato dal PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano e da RISCATTI Onlus, l’associazione di volontariato che dal 2014 crea eventi ed iniziative di riscatto sociale attraverso la fotografia, e promosso dal Comune di Milano con il sostegno di Tod’s.
 
L’ottava edizione è realizzata in collaborazione con Politecnico di Milano e con il Provveditorato Regionale Lombardia del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, e si propone di raccontare le complessità, le difficoltà, ma anche le opportunità, della vita negli istituti di reclusione, al di là delle semplificazioni e delle stigmatizzazioni, fornendo ai partecipanti uno strumento formativo e generando anche un confronto costruttivo e una sinergia concreta tra l’amministrazione cittadina, quella penitenziaria e le istituzioni culturali milanesi. I protagonisti di questa edizione che stanno frequentando il corso di fotografia e che stanno scattando le foto in carcere – avendo, come assoluta novità, a loro disposizione in determinati orari della giornata delle macchine fornite dall’associazione – sono gli stessi detenuti e gli agenti penitenziari dei quattro istituti milanesi: Casa di Reclusione di Opera, Casa di Reclusione di Bollate, Casa Circondariale F. Di Cataldo, IPM C. Beccaria. I lavori saranno poi selezionati ed esposti in una mostra al PAC di Milano che come ogni anno sarà ad ingresso gratuito. Tutte le foto saranno in vendita e l’intero ricavato andrà a supportare e a finanziare progetti e attività volti al miglioramento della qualità della vita nelle carceri. Tali interventi saranno gestiti e coordinati dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano che, insieme al Dipartimento di Design, da molti anni svolge ricerche di tipo partecipativo negli spazi detentivi.

Dal 07 Ottobre 2022 al 06 Novembre 2022 – PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea – MILANO

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LISETTA CARMI. SUONARE FORTE

Lisetta Carmi, Il porto, Lo scarico dei fosfati, Genova, 1964 © Lisetta Carmi - Martini & Ronchetti
Lisetta Carmi, Il porto, Lo scarico dei fosfati, Genova, 1964 © Lisetta Carmi – Martini & Ronchetti

Alle Gallerie d’Italia di Torino è in programma dal 22 settembre 2022 al 22 gennaio 2023 la grande mostra monografica dedicata a Lisetta Carmi, una delle personalità più interessanti del panorama fotografico italiano, recentemente scomparsa all’età di 98 anni. La mostra “Lisetta Carmi. Suonare Forte” è realizzata con la curatela di Giovanni Battista Martini, curatore dell’archivio della fotografa, con un prezioso contributo video creato per l’occasione da Alice Rohrwacher.

Con il progetto “La Grande Fotografia Italiana” affidato a Roberto Koch, editore, curatore, fotografo e organizzatore di eventi culturali intorno alla fotografia, le Gallerie d’Italia – Torino si propongono di dare spazio ai maestri della fotografia italiana attraverso una serie di mostre dedicate: “Lisetta Carmi. Suonare Forte” inaugura il primo di questi appuntamenti volti a celebrare la grande fotografia italiana del Novecento. Il titolo della mostra dedicata a Lisetta Carmi evoca la sua formazione di pianista ma anche il coraggio di cambiare direzione, di intraprendere percorsi diversi, per seguire la sua ostinata volontà di dare voce agli ultimi.

In mostra saranno presenti oltre 150 foto scattate tra gli anni Sessanta e Settanta, incluse alcune tra le opere più salienti del suo lavoro: dallo straordinario reportage sul mondo dei travestiti, unico nel suo genere e diventato negli anni Settanta un libro di culto, con la sua declinazione del tutto inedita a colori, alla documentazione del parto, oltre ai lavori fotografici dedicati al mondo del lavoro in Italia e all’estero e ai ritratti di Ezra Pound.

Per evidenziarne l’approccio progettuale, la mostra è divisa in otto sezioni. In due di queste, in cui la musica gioca un ruolo fondamentale, le moderne tecnologie di diffusione sonora direzionale permettono l’ascolto di brani musicali di Luigi Nono e Luigi Dallapiccola. Nel percorso espositivo, inoltre, sarà la stessa fotografa a raccontare alcuni suoi lavori attraverso dei brevi video.

Ad accompagnare la mostra anche un public program che approfondisce, amplifica e sviluppa i temi trattati dall’esposizione temporanea. Gli incontri #INSIDE, il mercoledì, alle ore 18.30, con accesso gratuito al pubblico, vedranno la partecipazione di esperti e professionisti impegnati in una serie di eventi, per condividere riflessioni e spunti in occasione delle giornate di apertura serale del museo.

Dal 22 Settembre 2022 al 22 Gennaio 2023 – Gallerie d’Italia di Torino

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WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR. 57A EDIZIONE

© 2022 Jonny Armstrong Photography
© 2022 Jonny Armstrong Photography

Anche quest’anno arriva a Milano Il Wildlife Photographer of the Year, la mostra di fotografie naturalistiche più prestigiosa al mondo, ospitata negli spazi di Palazzo Francesco Turati in via Meravigli 7 (zona Cordusio) dal 30 settembre al 31 dicembre 2022.  Decima edizione nel capoluogo lombardo, organizzata dall’Associazione culturale Radicediunopercento, con il patrocinio del Comune di Milano.

Amatissima dal pubblico, l’esposizione presenta le 100 immagini premiate alla 57ª edizione del concorso di fotografia indetto dal Natural History Museum di Londra che ha visto in competizione quasi 50.000 scatti provenienti da 96 paesi, realizzati da fotografi professionisti e dilettanti.

Le foto finaliste e vincitrici sono state selezionate alla fine dello scorso anno da una giuria internazionale di esperti, in base a creatività, valore artistico e complessità tecnica, e ritraggono animali e specie in estinzione, habitat sconosciuti, comportamenti curiosi e paesaggi da tutto il pianeta; la natura meravigliosa e fragile, oggi più che mai da difendere e preservare.

Vincitore del prestigioso titolo Wildlife Photographer of the Year 2021 è il biologo francese e fotografo subacqueo Laurent Ballesta con Creation. Lo scatto ritrae un branco di cernie che nuotano in una nuvola lattiginosa nel momento della deposizione delle uova a Fakarava, Polinesia francese: momento unico, che si verifica solo una volta all’anno, durante la luna piena di luglio, e sempre più raro dato che la specie è in via di estinzione minacciata dalla pesca intensiva. La laguna polinesiana è uno dei pochi posti in cui questi pesci riescono a vivere ancora liberi, perché è una riserva e, per fotografarli, Ballesta ha fatto appostamenti per 5 anni insieme a tutto il suo team.

Il giovane indiano Vidyun R. Hebbar è il vincitore del Young Wildlife Photographer of the Year 2021 con la foto Dome home che raffigura un ragno all’interno di una fessura in un muro.

Tra i vincitori di categoria troviamo l’aostano Stefano Unterthiner, con lo scatto Head to head (Comportamento dei mammiferi). Altri quattro fotografi italiani hanno ricevuto una menzione speciale: i giovani Mattia Terreo, con Little grebe art (Under 10 anni), e Giacomo Redaelli, con Ibex at ease (15-17 anni)), oltre a Georg Kantioler, con Spot of bother (Urban Wildlife) e Bruno D’Amicis, con Endangered trinkets (Fotogiornalismo).

Marco Colombo, noto naturalista e fotografo pluripremiato al Wildlife, sarà a disposizione per visite guidate alla mostra a Palazzo Francesco Turati, ogni venerdì (tre turni a partire dalle 18:30 su prenotazione – acquistabili anche on demand). Inoltre, tre giovedì saranno dedicati a speciali visite guidate tematiche con esperti fotografi naturalisti: il 10 novembre (h 19:30 e 20:30) Luca Eberle racconterà i Predatori e il 17 novembre, gli Uccelli, l’8 e il 22 dicembre (h 19:30) Francesco Tomasinelli approfondirà il Mimetismo.

Il Wildlife Photographer of the Year a Milano è una mostra ma anche un grande evento dedicato alla natura. L’Associazione culturale Radicediunopercento come sempre propone serate gratuite di approfondimento e presentazione di libri con rinomati fotografi di natura e divulgatori scientifici che si terranno di sabato alla Casa della Cultura, h 21 via Borgogna 3, Milano (zona San Babila). Saranno ospiti il 22 ottobre Bruno D’Amicis, che ha ricevuto una menzione speciale nella sezione Premio storia fotogiornalistica al Wildlife 57 (foto in mostra), con l’incontro Polimitas, le chiocciole più belle del Mondo, il 19 novembre Ugo Mellone, fotografo naturalista già premiato al Wildlife, con Il deserto del Sahara: biodiversità al limite, il 3 dicembre i noti fotografi Francesco Tomasinelli e Marco Colombo che insieme a Chiara Borelli di Focus Wild parleranno di Evoluzione e animali incredibili, e il 17 dicembre Alex Mustard, celeberrimo fotografo subacqueo inglese che parlerà di Fauna selvatica subacquea.

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MARA PEPE, Astrazioni ravvicinate

La galleria Studio Masiero è lieta di ospitare nell’ambito del Photofestival 2022, la personale Astrazioni ravvicinate di Mara Pepe, artista conosciuta per le sue minimaliste e totemiche sculture di plexiglass, al cui interno si nascondevano minimi elementi segnati dall’informe. Mara Pepe torna a riflettere sulla materia delle cose attraverso una fotografia che s’avvicina alla realtà fino a trasformarla in qualcosa di astratto e enigmatico. Come un’anomala street photographer, percorre la città attenta a ciò che abitualmente non vediamo: segni, linee e macchie sui muri, ombre di auto e di edifici che oscurano il selciato, bordi di marciapiedi… fino a renderli simili a forme a sé stanti, a realtà parallele cariche di una propria vita misteriosa.  Come impronte del tempo capaci di accogliere le genealogie e i linguaggi vitali e oscuri che emergono osservando da vicino la realtà urbana, le fotografie di Mara Pepe giocano sull’ambiguità delle ombre, sui riflessi di luce che si proiettano sul suolo o sulle pareti. Le sue fotografie non trascurano inquadrature limpide, geometriche e strutturate; ma al contempo – in alcune serie – fanno predominare strati materici intrisi di oscurità, fino a far apparire un nero quasi assoluto.  Il nero come il colore di una memoria che non racconta mai la propria storia, ma presenta il suo mistero anche nella nostra quotidianità.  Ogni sua opera, quasi volesse creare un concerto per immagini fatto di risonanze e corrispondenze, è composta da un insieme coerente di fotografie di varie dimensioni accostate fra loro.  Le sue immagini astratte e materiche, disorientanti e affascinanti, riprendono gli elementi essenziali che hanno caratterizzato il suo percorso artistico basato sulla pittura e la scultura, tanto che, in alcuni casi, le abbina a quadri astratti e materici creando un dialogo tra superfici diverse, oppure le trasforma in piccole fotografie-sculture.

29 settembre – 28 ottobre 2022 – Studio Masiero, Milano

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Mostre di fotografia da non perdere a giugno.

Ciao!

Di seguito trovate mostre interessantissime da non perdere nel mese di giugno!

Anna

VIVERE IN ALTO. IN MONTAGNA CON I FOTOGRAFI MAGNUM

Philip Jones Griffiths, Edge of the Gobi Desert, Mongolia, 1964 © Philip Jones Griffiths / Magnum Photos

“Grandi cose si compiono quando gli uomini e le montagne si incontrano”, scriveva William Blake. Lo vedremo anche in Val di Sole, che per l’occasione si trasformerà nella Valle della Fotografia. A creare un legame diretto tra il progetto espositivo di Castel Caldes e lo spettacolare teatro delle Dolomiti, saranno gli scatti del fotografo Paolo Pellegrin, ospite di questi luoghi incantati grazie a un programma di residenze artistiche. Le immagini catturate dal reporter Magnum tra l’Adamello, l’Ortles Cevedale e il gruppo del Brenta saranno esposte all’aperto in una mostra diffusa ed ecosostenibile da scoprire in mezzo a boschi, pascoli, malghe e ruscelli, lungo il nuovo Sentiero della Fotografia.

Castello di Caldes (Trento) dal 17 giugno al 9 ottobre

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ELLIOTT ERWITT. 100 FOTOGRAFIE

© Elliott Erwitt | Elliott Erwitt, USA, Wilmington, North Carolina, 1950

Dal 27 maggio al 16 ottobre 2022, il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano ospita una retrospettiva dedicata a Elliott Erwitt (Parigi, 1928), uno dei più importanti fotografi del Novecento.
L’esposizione, curata da Biba Giacchetti, organizzata dal Museo Diocesano in collaborazione con SudEst57, col patrocinio del Comune di Milano, sponsor Credit Agricole e media partner IGP Decaux, presenta cento dei suoi scatti più famosi, da quelli più iconici in bianco e nero a quelli, meno conosciuti, a colori che Erwitt aveva deciso di utilizzare per i suoi lavori editoriali, istituzionali e pubblicitari, dalla politica al sociale, dall’architettura al cinema e alla moda.
 
“Anche quest’anno – dichiara Nadia Righi, direttrice del Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano – il Museo Diocesano propone per il periodo estivo una mostra di fotografia, aprendosi alla città anche in orario serale e offrendo nel gradevole spazio del chiostro diverse attività culturali”.
“Le sale del museo – prosegue Nadia Righi – accolgono una importante retrospettiva dedicata a Elliott Erwitt, uno dei più straordinari fotografi, ancora vivente, del quale presentiamo le immagini più iconiche affiancate ad altre meno note, sia in bianco e nero che a colori. Tanti sono i temi toccati da Erwitt nel corso della sua lunga carriera: i ritratti di importanti personaggi del mondo della politica o dello spettacolo, i grandi fatti della storia, i bambini, i reportage di viaggio, ma anche la propria famiglia. Egli guarda sempre alla realtà, da quella più nota a quella più intima e personale, con uno sguardo curioso, talvolta con una sottile e delicata ironia che rende i suoi scatti sempre affascinanti e capaci di portare nuove riflessioni”.
 
“Elliott ed io – afferma Biba Giacchetti – salutiamo con entusiasmo questa retrospettiva che il Museo Diocesano ha voluto dedicargli. Elliott è molto legato a Milano, città dove trascorse l’infanzia fino alla partenza per gli Stati Uniti a causa delle leggi razziali. La selezione delle immagini in mostra, molte delle quali mai esposte a Milano, è stata curata da me in stretta collaborazione con Elliott, come ogni progetto che lo riguarda”.
“Sono certa – conclude Biba Giacchetti – che questa selezione delle sue icone più note affiancate ad immagini inedite a Milano, potrà generare una nuova curiosità, che si aggiungerà all’amore che da sempre accompagna gli scatti di questo grande fotografo”.
Il percorso espositivo ripercorre l’intera carriera dell’autore americano offre uno spaccato della storia e del costume del Novecento, attraverso la sua tipica ironia, pervasa da una vena surreale e romantica, che lo ha identificato come il fotografo della commedia umana.
L’obiettivo di Erwitt ha spesso anche colto momenti e situazioni che si sono iscritte nell’immaginario collettivo come vere e proprie icone; è il caso dello scatto con Nixon e Kruscev a Mosca nel 1959, talmente efficace che lo staff del presidente degli Stati Uniti se ne appropriò per farne un’arma nella sua campagna elettorale, dell’immagine tragica e struggente di Jackie Kennedy in lacrime dietro il velo nero durante il funerale del marito, del celebre incontro di pugilato tra Muhammad Ali e Joe Frazier del 1971, o ancora di un giovane Arnold Schwarzenegger in veste di culturista durante una performance al Whitney Museum di New York.
Grande ritrattista, Erwitt ha immortalato numerose personalità che hanno caratterizzato la storia del XX secolo, dai padri della rivoluzione cubana, Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara, in una rara espressione sorridente, ai presidenti americani che ha fotografato dagli anni cinquanta fino a oggi con una particolare predilezione per J.F. Kennedy che stimava e che fissò sulla pellicola in una posa ufficiale e in una insolita, mentre fuma indisturbato durante la convention democratica nel 1960.
In questa galleria di personaggi, un angolo particolare è riservato a Marilyn Monroe, forse la stella del cinema più fotografata di tutti i tempi, colta sia in momenti privati e intimi, sia nei momenti di pausa sui set dei film; di lei, Erwitt ammirava, più che la bellezza, la capacità di flirtare con l’obiettivo, che rendeva remota la possibilità di sbagliare lo scatto.
Uno dei temi ricorrenti nella carriera di Erwitt è quello dei bambini che ama – ha avuto sei figli e un numero esponenziale di nipoti – e con i quali ha sempre avuto un rapporto speciale. Alle immagini tranquillizzanti, in cui i piccoli sono colti nella loro allegria, la bambina di Puerto Rico o i ragazzini irlandesi, entrambi fotografati per una campagna di promozione turistica dei due paesi.
A questi scatti si affiancano quelli dedicati agli animali, in particolare ai cani, presi in pose il più delle volte buffe o che richiamano un atteggiamento antropomorfo d’imitazione dell’uomo.
Al Museo Diocesano di Milano non mancano le immagini che rivelano lo spirito romantico di Erwitt e che mostrano coppie d’innamorati che si scambiano momenti di tenerezza all’interno delle auto o si abbracciano in place du Trocadéro davanti alla Tour Eiffel in un giorno di pioggia, mentre la silhouette di un uomo salta una pozzanghera.
Grande viaggiatore, Erwitt ha documentato le società e le vicende della gente comune dei paesi che visitava come fotoreporter, dalla Francia alla Spagna, dall’Italia alla Polonia, dal Giappone alla Russia, agli Stati Uniti e gli scorci di vita delle metropoli americane.
Accompagna la mostra un volume SudEst con testi di Elliott Erwitt e Biba Giacchetti. 

Dal 27 Maggio 2022 al 16 Ottobre 2022 – Museo Diocesano Carlo Maria Martini – Milano

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IMP Festival – International Month of Photojournalism

©Darcy Padilla

Anche quest’anno Padova ospita la nuova edizione del Festival internazionale di fotogiornalismo (Imp), il primo evento in Italia dedicato esclusivamente a questo genere fotografico. Dal 3 al 26 giugno saranno esposti i progetti di circa quaranta autori, italiani e stranieri, in diversi luoghi della città.

Basandosi sulle critiche della World press photo foundation, che gestisce il più importante premio di fotogiornalismo al mondo e che ha sottolineato come le fotografe siano generalmente meno rappresentate rispetto ai loro colleghi maschi, insieme alla tendenza a privilegiare comunque le opere di autori occidentali, il festival si è impegnato a dare maggiore spazio alle donne (circa il 70 per cento delle mostre) e a progetti provenienti da tutti e cinque i continenti.

Una delle mostre principali è Of suffering and time di Darcy Padilla, che approfondisce il suo lungo racconto cominciato negli anni novanta nell’Ambassador hotel di San Francisco, soprannominato “The aids hotel” perché ospitava i malati che non avevano né casa né famiglia e che gli ospedali, sovraffollati, rifiutavano di tenere perché non c’era niente da fare per curarli se non somministrare morfina. Da questa esperienza è nato anche The Julie project, opera fondamentale nel reportage a lungo termine, in cui la fotografa statunitense ha seguito la vita di Julie Baird (una delle ospiti dell’hotel) dal 1993 fino alla sua morte, avvenuta nel 2010.

Gideon Mendel ci porta invece tra Australia, Grecia, Canada e Stati Uniti, dove dal 2020 ha documentato gli incendi che hanno devastato ettari di foreste e messo a rischio intere comunità. In Burning world il fotografo sudafricano preferisce arrivare quando le fiamme sono ormai spente e osservare l’impatto della crisi ambientale sulla vita delle persone.

Grozny: nine cities è un approfondimento realizzato da tre fotografe russe – Maria Morina, Oksana Yushko, Olga Kravets – sulla complessità della Cecenia contemporanea, dalla fine del conflitto con la Russia nel 2009. A Grozny le ferite e l’odio seminato dalla guerra sono mascherati dai centri di bellezza, dai suv e dai bar alla moda, ma il dissenso non è permesso e i carri armati russi sfilano ancora insieme ai sostenitori idolatranti del presidente Ramzan Kadyrov.

3 – 26 GIUGNO 2022 – Padova – sedi varie

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SEBASTIÃO SALGADO. ALTRE AMERICHE

© Sebastião Salgado/Contrasto | Sebastião Salgado, Guatemala, 1978

Sarà inaugurata il 20 maggio 2022 alle 19.30 la mostra di Sebastião Salgado nelle sale del Castello Aragonese di Otranto. Curata da Lélia Wanick Salgado, promossa dal Comune di Otranto e organizzata da Contrasto, resterà visitabile fino al 2 novembre 2022. 

Una mostra finora inedita in Italia, Altre Americhe è il primo grande progetto fotografico realizzato da Sebastião Salgado, quando dopo anni di vita in Europa, decise di tornare a conoscere e riconoscere la sua terra, il Brasile e l’American Latina. Munito di una macchina fotografica, nei numerosi viaggi compiuti tra il 1977 e il 1984, ha percorso un intero continente cercando di cogliere, nel suo bianco e nero pastoso e teatrale, l’essenza di una terra e la ragione di una lunga tradizione culturale. Il risultato è un corpus di immagini di grande forza che evoca il valore di un continente, la sua economia, la sua religiosità e la persistenza delle culture contadine e indiane. 

Come ha affermato Salgado stesso, “quando ho cominciato questo lavoro, nel 1977, […] il mio unico desiderio era ritornare a casa mia, in quella amata America Latina […]. Armato di tutto un arsenale di chimere, decisi di tuffarmi nel cuore di quell’universo irreale, di queste Americhe latine così misteriose, sofferenti, eroiche e piene di nobiltà. Questo lavoro durò sette anni, o piuttosto sette secoli, per me, perché tornavo indietro nel tempo”.

“Siamo veramente felici di ospitare una mostra di Sebastião Salgado, considerato uno dei più grandi fotografi contemporanei a livello mondiale – sostiene Pierpaolo Cariddi, sindaco di Otranto.
Un attento osservatore di quella che egli definisce la ‘famiglia umana’. Per anni in giro per il mondo narrando, attraverso i suoi scatti, storie di popoli e di un pianeta spesse volte martoriato. 
Le sue foto in bianco e nero mostrano il suo progetto di vita e documentano i cambiamenti ambientali, economici e politici degli ultimi decenni.
I visitatori sapranno certamente apprezzare gli scatti del fotografo brasiliano che ha fatto del suo lavoro una missione. Nonostante gli ultimi due anni ci hanno messo a dura prova, abbiamo comunque sempre garantito mostre di qualità nel Castello Aragonese – prosegue il sindaco Cariddi, contenitore culturale ormai divenuto cuore pulsante della nostra città, centro culturale che ospita ogni anno eventi, iniziative, installazioni di livello internazionale”.

In esposizione a Otranto, per la prima volta 65 opere di tre diversi formati. L’intensità delle fotografie in bianco e nero, la loro potenza plastica, hanno confermato per il mondo intero la nascita di un grande fotografo e un narratore del nostro tempo: Sebastião Salgado.

Come ha detto Alan Riding, del New York Times, Le fotografie di Salgado catturano di volta in volta la luce e l’oscurità del cielo e dell’esistenza, la tenerezza e il sentimento che coesistono con la durezza e la crudeltà. Salgado è andato a cercare un angolo dimenticato delle Americhe, erigendolo a prisma attraverso il quale può essere osservato il continente nel suo complesso. […] Salgado è il creatore di un archivio, il custode di un mondo, di cui celebra l’isolamento. Così facendo, mira a suscitare emozioni problematiche e contraddittorie. E anche in questo caso, ci riesce in pieno”.

Dal 20 Maggio 2022 al 02 Novembre 2022 – Castello Aragonese – Otranto (LE)

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LA FLEUR – Erminio Annunzi

La Fleur (il fiore): trovo veramente calzante la versione femminile che la lingua francese propone rispetto al termine maschile della lingua italiana, perché ci introduce efficacemente e delicatamente nel mondo femminile, splendidamente rappresentato da questo gioiello della natura. Bellezza, eleganza, femminilità, sensualità, fragranza, sono solo alcuni aggettivi rappresentativi dell’universo donna, interpretati e letti attraverso l’elemento, primario ed antico, con cui la natura perpetua le specie vegetali e la vita sul nostro piccolo mondo.

La chiave che esalta con sublime efficacia la forma e le delicate volute delle corolle e dei petali, è data dalla scelta di isolare e decontestualizzare il fiore, posandolo su un fondo monocromatico come sospeso nel tempo; un isolamento visivo che permette di cogliere l’essenza singolare del suo incarnare eleganza e bellezza.

Siamo abituati  a creare parallelismi tra il fiore e la femminilità, e questo lega in modo solido la descrizione della donna  in un panorama di idealizzata bellezza, fortemente pervaso anche di sensualità e sessualità.

Nulla di esplicito, solo un delicato richiamo a quella componente corporale derivata dalla presa di coscienza che il fiore è un “corpus” gentile, dedicato alla riproduzione ed alla perpetuazione della specie, un organo sessuale ammantato di profumi, di dolci effluvi e di meravigliosa bellezza.

Da questo tripudio d’esaltazione dell’incanto floreale, si rivelano le scelte stilistiche di Erminio Annunzi; la scelta di creare una sorta di composizione multipla del fiore ripreso (da notare che sono tutti fiori fotografati in natura), crea una nuova bellezza visiva che si amplifica nel ridotto spazio del frame fotografico, in una volontà di moltiplicarsi sempre di più fino all’infinito.

In ultimo, ma non ultimo, il ricorso all’essenzialità di un bianco e nero semplice ed elegante, fa il paio con l’intima sostanza, l’estrema semplicità e l’esaltante simbologia che il fiore richiama ai nostri occhi, alla nostra mente e al nostro cuore.

Dal 16 giugno – Musa Fotografia – Monza

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GIANNI BERENGO GARDIN. L’OCCHIO COME MESTIERE

Gianni Berengo Gardin, Siena, 1983 © Gianni Berengo Gardin I Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

L’uomo e il suo spazio sociale nella natura concreta e analogica del maestro della fotografia di reportage e indagine sociale. Il racconto si snoda lungo un percorso di oltre 150 fotografie, tra le più celebri, le meno conosciute, fino a quelle inedite: un patrimonio visivo unico, dal dopoguerra a oggi, caratterizzato dalla coerenza nelle scelte linguistiche e da un approccio “artigianale” alla pratica fotografica.

Dalla Venezia delle prime immagini alla Milano dell’industria, degli intellettuali, delle lotte operaie; dai luoghi del lavoro (i reportage realizzati per Alfa Romeo, Fiat, Pirelli, e soprattutto Olivetti) a quelli della vita quotidiana; dagli ospedali psichiatrici (con Morire di classe del 1968), all’universo degli zingari; dai tanti piccoli borghi rurali alle grandi città; dall’Aquila colpita dal terremoto al MAXXI in costruzione fotografato nel 2009.

Attraverso un percorso fluido e non cronologico, la mostra offre una riflessione sui caratteri peculiari della ricerca di Berengo Gardin: la centralità dell’uomo e della sua collocazione nello spazio sociale; la natura concretamente ma anche poeticamente analogica della sua “vera” fotografia (non tagliata, non manipolata); la potenza e la specificità del suo modo di costruire la sequenza narrativa, che non lascia spazio a semplici descrizioni dello spazio ma costruisce naturalmente storie.

Dal 04 Maggio 2022 al 18 Settembre 2022 – MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo – Roma

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PHOTOLUX 2022 – YOU CAN CALL IT LOVE

Simone Cerio, Religo
© Simone Cerio | Simone Cerio, Religo

Dal 21 maggio al 12 giugno 2022, Lucca ospita You can call it Love, la nuova edizione di Photolux Festival – Biennale Internazionale di Fotografia di Lucca, uno degli appuntamenti più interessanti e attesi del panorama europeo, interamente dedicati alla fotografia. 

Il tema del Festival, scelto dal comitato di direzione artistica composto da Rica Cerbarano, Francesco Colombelli, Chiara Ruberti ed Enrico Stefanelli, è l’amore.

Un ricco programma di oltre 20 esposizioni
, ospitate in alcuni dei luoghi più prestigiosi nel centro della città toscana, e una serie d’iniziative collaterali come conferenze, workshop, letture portfolio, incontri con i protagonisti della fotografia internazionale. 

Tra gli appuntamenti più attesi, due anteprime italiane: la monografica di Seiichi Furuya (Giappone) con il progetto Face to Face, capitolo conclusivo delle Mémoires, un percorso portato avanti dall’autore da oltre trent’anni con l’intento di custodire, elaborare, celebrare la memoria della compagna Christine e dei sette anni d’amore vissuti insieme, e l’installazione di Erik Kessels (Paesi Bassi)per il sedicesimo capitolo del suo In Almost Every Pictures, dedicato alla creatività erotica messa in scena nel salotto di casa dai due coniugi Noud e Ruby. 

Tra gli altri progetti, PIMO Dictionary il vocabolario domestico creato dall’artista cinese Pixy Liao (Cina) insieme al compagno Moro, Love that dare not speak its name di Marta Bogdańska (Polonia), sulla figura di Selma Lagerlöf, primo capitolo di un ambizioso lavoro sulle biografie queer di importanti personaggi della letteratura, della cultura e dell’arte, a una grande mostra collettiva sul ritratto di famiglia e Religo, il lavoro di Simone Cerio (Italia) che racconta della comunità LGBTQ+ all’interno di quella cattolica.

“La selezione di autori presentati nell’edizione 2022 di Photolux – affermano i componenti della direzione artistica del festival – porta in luce la molteplicità di approcci possibili, alcuni inediti e contemporanei, altri più classici e tradizionali, al tema dell’amore, che si traducono nel racconto di storie e incontri unici e diversi tra loro, dove ognuno di noi può ritrovare un po’ di se stesso”.
“Costruendo la proposta espositiva di You can call it Love abbiamo pensato alla fotografia non più come specchio né come finestra – citando la distinzione storica di Szarkowski –, ma come una macchina a raggi X, capace di vedere attraverso di noi e dare voce ad alcune sensazioni, desideri, emozioni che neanche sappiamo di avere”.

“Il greco antico – proseguono i componenti della direzione artistica del festival – utilizzava diversi termini per definire le possibili declinazioni dell’amore; la maggior parte delle lingue moderne non è così precisa. Il lessico a nostra disposizione sembra, per pudore o per inadeguatezza, non riuscire a delineare nella sua completezza il caleidoscopio di sentimenti che la vita ci offre ogni giorno, comprimendo così le molteplici sfumature di quello che, per comodità, siamo abituati a chiamare Amore. La fotografia ci restituisce una rappresentazione stratificata e poliforme dell’Amore, ed è proprio nella molteplicità del linguaggio fotografico che si riversano le infinite possibilità del “discorso amoroso” di cui parlava Barthes: un discorso frammentario, perché complesso, ma necessario e, nella sua inafferrabilità, onnipresente nella vita di ognuno di noi”.

Dal 21 Maggio 2022 al 12 Giugno 2022 – Lucca – Sedi varie

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ENRICO GENOVESI. NOMADELFIA. UN’OASI DI FRATERNITÀ

Sabato 14 maggio dalle ore 19.00 – presso la sede in Via Costanzo Cloro 58, Roma – inaugura la mostra fotografica “Nomadelfia. Un’oasi di fraternità”. Sarà presente l’autore, il fotografo Enrico Genovesi.

Dai termini greci nomos e adelphia, che significa: “Dove la fraternità è legge”, Nomadelfia è un popolo comunitario, più che una comunità, ed è situato vicino alla città di Grosseto in Toscana (Italia). Un piccolo popolo con una sua Costituzione che si basa sul Vangelo. Fondata nel 1948 nell’ex campo di concentramento di Fossoli da don Zeno Saltini, il suo scopo: dare un papà e una mamma ai bambini abbandonati. Attualmente conta circa 300 persone, 50 famiglie suddivise in 11 gruppi, di cui quasi la metà bambini e ragazzi, parte pulsante della comunità.

Nomadelfia ha una sua storia, una sua cultura, una sua legge, un suo linguaggio, un suo costume di vita, una sua tradizione. È una popolazione con tutte le componenti: uomini, donne, sacerdoti, famiglie, figli. Per lo Stato è un’associazione civile organizzata sotto forma di cooperativa di lavoro, per la Chiesa è una parrocchia e un’associazione privata tra fedeli. Tutti  i beni sono in comune, non circolano soldi, non ci sono negozi ma soltanto magazzini. I generi alimentari vengono distribuiti ai “Gruppi Familiari” in proporzione al numero delle persone e secondo le necessità dei singoli. Nello spirito dei consigli evangelici la popolazione di Nomadelfia conduce una vita caratterizzata da “sobrietà” cioè secondo le vere esigenze umane.

Dal 14 Maggio 2022 al 09 Giugno 2022 – WSP Photography – Roma

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ROBERT DOISNEAU

© Atelier Robert Doisneau | Robert Doisneau, L’information scolaire, Paris 1956 

Mostra dedicata al grande maestro della fotografia Robert Doisneau.

Sono esposti oltre 130 scatti in bianco e nero, provenienti dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau a Montrouge, attraverso i quali Doisneau, considerato uno dei padri fondatori della fotografia umanista francese e del fotogiornalismo di strada, ha catturato la vita quotidiana e le emozioni degli uomini e delle donne che popolavano Parigi e la sua banlieue, nel periodo dall’inizio degli anni Trenta alla fine degli anni Cinquanta, il più prolifico per l’artista.

Dal 28 Maggio 2022 al 04 Settembre 2022 – Museo dell’Ara Pacis – Roma

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SHOOTING IN SARAJEVO

© Luigi Ottani

A trent’anni di distanza dall’inizio dell’assedio più lungo della storia recente, il fotografo Luigi Ottani e l’attrice, autrice e documentarista Roberta Biagiarelli portano a Villa Greppi la mostra allestita lo scorso aprile lungo il tristemente celebre “Viale dei cecchini” di Sarajevo. Si tratta di “Shooting in Sarajevo”, un’esposizione nata dal progetto che dalla primavera del 2015 ha visto Ottani e Biagiarelli tornare negli stessi luoghi da cui i cecchini tenevano sotto assedio Sarajevo e i suoi abitanti, scattando da lì le fotografie oggi in mostra. Gli appartamenti di Grbavica, l’Holiday Inn, la caserma Maresciallo Tito, le postazioni di montagna sono divenuti il punto di vista ideale per perdersi nella mente di chi, da quegli stessi luoghi, inquadrava per uccidere. Sono stati giorni di attese, di passaggi di uomini, donne e bambini, aspettando che il soggetto, ignaro, arrivasse al centro del mirino per fermare il momento. Un progetto editoriale divenuto mostra e che, per gli autori, vuole essere un gesto di affetto per Sarajevo, per le vittime, per i sopravvissuti e per tutti coloro che ancora oggi si trovano in ostaggio in aree di conflitto.

dal 2 al 19 Giugno 2022 – Antico Granaio di Villa Greppi, Monticello Brianza 8LC9

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GUIDO HARARI. REMAIN IN LIGHT. 50 ANNI DI FOTOGRAFIE E INCONTRI

© Guido Harari Photography

Da sempre Epson è partner dei progetti di Guido Harari e questa collaborazione si riconferma oggi con un’importante mostra antologica, “Remain In Light. 50 anni di fotografie e incontri”, che ripercorre l’intera carriera dell’eclettico fotografo, da sempre legato al mondo della musica, della cultura e della società anche come autore di libri, curatore di mostre, gallerista ed editore.

Oltre 250 fotografie di Harari, che verranno esposte in diverse sedi italiane a partire dalla Mole Vanvitelliana di Ancona dal 2 giugno al 9 ottobre 2022, raccontano i grandi protagonisti della musica e le maggiori personalità del nostro tempo, da David Bowie a Bob Dylan, Josè Saramago, Bob Marley, Lou Reed, Giorgio Armani, Fabrizio De André, Vasco Rossi, Ennio Morricone, Dario Fo e Franca Rame, Rita Levi Montalcini, Sebastiao Salgado, Greta Thunberg, Marcello Mastroianni, Tom Waits. 
Sono ritratti indimenticabili, quelli realizzati da Guido Harari, che raccontano la dimensione intima dei suoi incontri con grande intensità ed emozione, immagini che prendono vita attraverso la tecnologia di stampa, gli inchiostri e la carta fotografica Epson Luster, capace di restituire ogni sfumatura del colore o profondità del bianco e nero.

Dal 02 Giugno 2022 al 09 Ottobre 2022 – Mole Vanvitelliana – Ancona

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WORLD PRESS PHOTO 2022

World Press Photo of the Year. Amber Bracken for the New York Times, Kamloops Residential School
 

Dal 7 maggio al 3 luglio 2022, il Forte di Bard ospita la nuova edizione di World Press Photo, il più prestigioso premio al mondo di fotogiornalismo. World Press Photo 2022 si conferma l’appuntamento che restituisce al mondo intero la enorme capacità documentale e narrativa delle immagini, rivelandone il fondamentale ruolo di testimonianza storica del nostro tempo. Il premio, giunto alla 67esima edizione, è stato ideato nel 1955 dalla World Press Photo Foundation, organizzazione indipendente senza scopo di lucro con sede ad Amsterdam, ha visto quest’anno la partecipazione di 4066 fotografi di 130 Paesi, per un totale di 64.823 immagini candidate. La valutazione ha coinvolto giurie regionali e una giuria globale di 31 componenti altamente qualificati. 
 
A differenza degli anni precedenti, quando era organizzato in categorie tematiche, il concorso è suddiviso in sei aree geografiche, divise a loro volta in quattro categorie in base al formato dell’immagine. Le macro aree sono Africa, Asia, Europa, Nord e Centro America, Sud America, Sud-est asiatico e Oceania. Ogni area prevede quattro categorie: Singles, Stories, Long-Term Projects e Open Format. Tra i 24 vincitori in ciascuna delle quattro categorie la giuria ha selezionato i quattro vincitori globali: World Press Photo of the Year, World Press Photo Story of the YearWorld Press Photo Long-Term Project Award e World Press Photo Open Format Award.
I 24 vincitori provengono da 23 Paesi: Argentina, Australia, Bangladesh, Brasile, Canada, Colombia, Ecuador, Egitto, Francia, Germania, Grecia, India, Indonesia, Giappone, Madagascar, Messico, Nigeria, Paesi Bassi, Norvegia, Palestina, Russia, Sudan e Thailandia.
 
Ad aggiudicarsi il titolo di World Press Photo of the Year è stato lo scatto Kamloops Residential School della fotografa canadese Amber Bracken. L’immagine immortala una successione di abiti rossi appesi a delle croci lungo la strada. Una sorta di memoriale a cielo aperto per ricordare i 215 bambini morti presso la Kamloops Indian Residential School in Canada, dove venivano forzatamente inviati i figli delle famiglie di nativi locali, i cui resti sono stati ritrovati in una fossa comune. Ha commentato Rena Effendi, presidente della giuria: «È un’immagine che si imprime nella memoria. Che suscita un’immediata reazione. Posso quasi percepire la quiete in questa fotografia. Una sorta di resa dei conti nella storia della colonizzazione. Non solo in Canada ma in tutto il mondo». E’ la prima volta nei 67 anni del Premio che vince una fotografia che non ritrae persone.
 
Il riconoscimento per la Storia dell’anno è andato al progetto Saving Forests with Fire dell’australiano Matthew Abbott. La serie documenta la pratica degli incendi boschivi controllati che da migliaia di anni gli Nawarddeken del West Arnhem Land, in Australia, utilizzano per gestire le loro terre. 

È Amazonian Dystopia del fotografo brasiliano Lalo de Almeida lo scatto vincitore del Long-term Project Award. La serie documenta lo sfruttamento della Foresta amazzonica, che ha avuto grande impulso sotto il governo di Bolsonaro. Un patrimonio di biodiversità compromesso dalla deforestazione, dalle attività estrattive e dalla costruzione di infrastrutture. Tutte attività che mettono gravemente in pericolo non solo la natura ma anche le popolazioni che qui vivono.
 
L’Open Format Award è andato a Blood is a Seed della fotografa ecuadoriana Isadora Romero. La serie è un viaggio nel villaggio di Une nel dipartimento di Cundinamarca, in Colombia. Qui, il nonno e la bisnonna dell’autrice erano “guardiani dei semi” e coltivavano diverse varietà di patate, di cui ne rimangono solo due. Attraverso una storia personale, dunque, Isadora Romero affronta questioni legate alla perdita di biodiversità, alla migrazione forzata, alla colonizzazione e al venir meno di tradizioni antiche.
 
Nell’allestimento al Forte di Bard sarà presente anche il The Winner Wall, un maxicombo di 3×5 metri di grandezza che presenterà le migliori foto vincitrici del premio Foto dell’Anno dal 1955, anno della prima mostra, ad oggi. 

 Dal 07 Maggio 2022 al 03 Luglio 2022 – Forte di Bard – Aosta

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FOCUS SU MARIO GIACOMELLI

Mario Giacomelli, Io non ho mani che mi accarezzino il volto, 1961-1963 | © Archivio Mario Giacomelli – Simone Giacomelli

Un itinerario alla scoperta della fotografia poetica, malinconica e profonda di Mario Giacomelli, a partire dal 28 aprile negli spazi di Magazzini Fotografi. 
Focus su Mario Giacomelli è un approfondimento dedicato ad uno dei più importati artisti nel XX secolo, condotto attraverso un percorso tra fotografia, video-proiezioni e photobooks dedicati all’autore. 
 
In mostra cinque delle più iconiche e rappresentative fotografie dell’artista, in stampa vintage, la più pura essenza della ricerca fotografica condotta da Mario Giacomelli, che ha vissuto negli anni molteplici mutazioni ed evoluzioni, lasciando un contributo fondamentale nel mondo dell’arte contemporanea. 
 
Per meglio comprendere la poetica dell’artista, il percorso si arricchirà con video proiezioni e docu-film e un allestimento delle principali produzioni editoriali del fotografo, con il proposito di accompagnare lo spettatore alla scoperta del complesso e surreale mondo fotografico di Mario Giacomelli. 
 
L’evento è reso possibile grazie alla preziosa collaborazione con la Libreria Marini e in particolare con Adele Marini, co-direttrice dell’Archivio insieme a sua sorella Giovanna. 
 
Mario Giacomelli, nato a Senigallia nel 1925, è stato uno dei fotografi italiani più importanti in ambito internazionale. 
Alcune delle sue immagini sono diventate simbolo riconosciuto della ricerca fotografica italiana nel mondo.​ Noto in particolare per i suoi scatti in bianco e nero dai forti ed intensi contrasti, il segno che contraddistingue la fotografia di Giacomelli si indentifica nella sua capacità di adoperare l’antitesi tra questi due colori per mutare la forma e la consistenza dell’immagine.

La fotografia reale e surreale dell’autore si distingue inoltre per la totale assenza di soggetti preferenziali: Giacomelli coltivò per tutta la sua carriera una forte curiosità passando da un tema all’altro, ma con un occhio sempre attento alle persone ed ai paesaggi.
 
«La fotografia mi ha aiutato a scoprire le cose a interpretarle e rivelarle. Racconto la conoscenza del mondo, in una architettura interiore dove le vibrazioni sono un continuo fluire di attimi, di avventure liberanti come espressione totale dove sento tutta la completezza della mia esistenza».

Dal 28 Aprile 2022 al 17 Luglio 2022 – Magazzini Fotografici – Napoli

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GIULIO DI STURCO. GANGA MA (MADRE GANGE)

GIULIO DI STURCO. GANGA MA (MADRE GANGE)

Se Ganga vive, vive anche l’India. Se Ganga muore, muore anche l’India
Vandana Shiva, scrittrice e ambientalista indiana 

Dall’11 aprile al 19 settembre 2022, MIA Fair presenta nello spazio dedicato alla fotografia d’arte dell’Università Bocconi a Milano, la personale di Giulio Di Sturco Ganga Ma
 (Madre Gange), in partnership con la Podbielski Contemporary gallery.
La mostra, nuovo appuntamento del progetto di collaborazione tra MIA Fair e BAG-Bocconi Art Gallery iniziato nel 2016, è il risultato di una ricerca fotografica durata dieci anni sul fiume Gange, nel quale Giulio Di Sturco ha documentato gli effetti dell’inquinamento, dell’industrializzazione e dei cambiamenti climatici.
“Ho pensato a un progetto espositivo per l’Università Bocconi – afferma Fabio Castelli, ideatore e direttore di MIA Fair – che coniughi a uno standard altissimo di qualità, una profonda riflessione su un tema fondamentale: gli effetti dell’inquinamento sulla sopravvivenza del pianeta”.
Il progetto di Di Sturco accompagna il Gange per 2.500 miglia, dalla fonte nell’Himalaya in India al delta nella Baia di Bengal in Bangladesh, raccontando come si trovi sospeso tra la crisi umanitaria e il disastro ecologico.
 
Il Gange è un esempio emblematico della contraddizione irrisolta tra uomo e ambiente, poiché è un fiume intimamente connesso con ogni aspetto – fisico e spirituale – della vita indiana. Tutt’oggi costituisce una fonte di sussistenza per milioni di persone che vivono lungo le sue rive, fornendo cibo a oltre un terzo della popolazione indiana. Il suo ecosistema include una vasta eterogeneità di specie animali e vegetali, che stanno però scomparendo a causa dei rifiuti tossici smaltiti ogni giorno nelle sue acque.
Le fotografie di Ganga Ma spaziano dalla banalità del quotidiano a una condizione quasi surreale. Quasi a evidenziare l’infermità causata dall’uomo al corpo del fiume, Di Sturco ha adottato una strategia estetica singolare, presentando immagini che a una prima occhiata appaiono piacevoli e poetiche, ma che poi rivelano la loro vera natura.

Dal 11 Aprile 2022 al 19 Settembre 2022 – Università Bocconi – Milano

STILL APPIA. FOTOGRAFIE DI GIULIO IELARDI E SCENARI DEL CAMBIAMENTO

STILL APPIA. FOTOGRAFIE DI GIULIO IELARDI E SCENARI DEL CAMBIAMENTO

Nella splendida cornice del Parco Archeologico dell’Appia Antica, presso il Complesso di Capo di Bove, dal 9 aprile al 9 ottobre 2022, è ospitata la mostra fotografica “Still Appia. Fotografie di Giulio Ielardi e scenari del cambiamento” che intende andare oltre il reportage fotografico e narrativo rendendo omaggio alla via Appia vista come itinerario culturale e grande palinsesto storico-sociale di oltre 2000 anni.

Oltre cinquanta scatti di Giulio Ielardi, fotografo romano, raccontano il suo viaggio fatto a piedi nel 2021, in solitaria lungo la via Appia da Roma a Brindisi: ventinove giorni in tutto, di zaino in spalla tra strade, ruderi e borghi alla ri-scoperta di una delle strade più antiche di Roma.
Gli scatti superano la dimensione reportistica e la ricerca iconografica del fotografo e diventano il pretesto per un aggiornamento sugli sviluppi della valorizzazione di questa arteria dell’antichità, prima grande direttrice di unificazione culturale della penisola italiana.

L’importanza acquisita negli ultimi anni dal recupero dei percorsi a piedi è testimoniata dall’interesse da parte del Ministero della Cultura (MIC) nel dare vita al progetto Appia Regina Viarum.
L’obiettivo del progetto è la realizzazione del cammino dell’Appia Antica da Roma a Brindisi, prevedendo una serie di interventi di sistemazione del tracciato e dei monumenti in tutte e quattro le Regioni – Lazio, Campania, Basilicata e Puglia – attraversate dall’Appia stessa.
Anche il Parco Archeologico dell’Appia Antica è impegnato con un proprio specifico programma di sistemazione di un tratto della via che va dalla Campagna Romana fino ai Castelli. Ma il ruolo del Parco va ben oltre i suoi limiti territoriali, estendendosi per decreto istitutivo al coordinamento della valorizzazione di tutta la Regina Viarum fino a Brindisi. La mostra Still Appia vuole raccontare le azioni e le visioni di questo ambizioso programma.

La mostra è organizzata dal Parco Archeologico dell’Appia Antica e vede il patrocinio dei Consigli Regionali del Lazio, della Basilicata e della Puglia, oltre il patrocinio del Comune di Mesagne, del Parco naturale dell’Appia Antica, del Parco naturale dei Castelli Romani, di Italia Nostra e de La Compagnia dei Cammini. 
Partner Culturale: FIAF – Federazione italiana associazioni fotografiche.

Dal 09 Aprile 2022 al 09 Ottobre 2022 – Parco Archeologico dell’Appia Antica – Complesso di Capo di Bove

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Tutte le mostre di fotografia da non perdere a Marzo

Ciao,

rieccoci con il nostro appuntamento fisso con le mostre di fotografia.

Di seguito la nostra selezione. Se desiderate, segnalateci pure qualche mostra che magari ci è sfuggita.

Anna

CAPOLAVORI DELLA FOTOGRAFIA MODERNA 1900-1940: LA COLLEZIONE THOMAS WALTHER DEL MUSEUM OF MODERN ART, NEW YORK

CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia presenta, per la prima volta in Italia, la mostra “Capolavori della fotografia moderna 1900-1940. La collezione Thomas Walther del Museum of Modern Art, New York”: a Torino dal 3 marzo al 26 giugno 2022 una straordinaria selezione di oltre 230 opere fotografiche della prima metà del XX secolo, capolavori assoluti della storia della fotografia realizzati dai grandi maestri dell’obiettivo, le cui immagini appaiono innovative ancora oggi. Come i contemporanei Matisse, Picasso e Duchamp hanno saputo rivoluzionare linguaggi delle arti plastiche, così gli autori in mostra, una nutrita selezione di fotografi famosi e altri nomi meno noti, hanno ridefinito i canoni della fotografia facendole assumere un ruolo assolutamente centrale nello sviluppo delle avanguardie di inizio secolo. 

Un fermento creativo che prende avvio in Europa per arrivare infine negli Stati Uniti, che accolgono in misura sempre maggiore gli intellettuali in fuga dalla guerra, arrivando a diventare negli anni Quaranta il principale centro di produzione artistica mondiale.
Accanto ad immagini iconiche di fotografi americani come Alfred Stieglitz, Edward Steichen, Paul Strand, Walker Evans o Edward Weston e europei come Karl Blossfeldt, Brassaï, Henri Cartier-Bresson, André Kertész e August Sander, la collezione Walther valorizza il ruolo centrale delle donne nella prima fotografia moderna, con opere di Berenice Abbott, Marianne Breslauer, Claude Cahun, Lore Feininger, Florence Henri, Irene Hoffmann, Lotte Jocobi, Lee Miller, Tina Modotti, Germaine Krull, Lucia Moholy, Leni Riefenstahl e molte altre.

Oltre ai capolavori della fotografia del Bauhaus (László Moholy-Nagy, Iwao Yamawaki), del costruttivismo (El Lissitzky, Aleksandr Rodčenko, Gustav Klutsis), del surrealismo (Man Ray, Maurice Tabard, Raoul Ubac) troviamo anche le sperimentazioni futuriste di Anton Giulio Bragaglia e le composizioni astratte di Luigi Veronesi, due fra gli italiani presenti in mostra insieme a Wanda Wulz e Tina Modotti.

A riprova della ricchezza di poetiche e pensieri, all’interno della collezione Thomas Walther del Museum of Modern Art, New York si trovano fotografie realizzate grazie alle nuove possibilità offerte dagli sviluppi tecnici di questi anni, ma anche una molteplicità di sperimentazioni linguistiche realizzate attraverso diverse tecniche: collages, doppie esposizioni, immagini cameraless e fotomontaggi che raccontano una nuova libertà di intendere e usare la fotografia. 

È la particolarità di questi decenni a spingere il collezionista Thomas Walther a raccogliere, tra il 1977 e il 1997, le migliori opere fotografiche prodotte in questo periodo riunendole in una collezione unica al mondo, acquisita dal MoMA nel 2001 e nel 2017.

La mostra nasce da una preziosa collaborazione fra il Jeu de Paume di Parigi, il MASI di Lugano e CAMERA, dove è possibile vedere per l’ultima volta in Europa questi grandi capolavori della fotografia prima che tornino negli Stati Uniti. L’importanza storica, il valore artistico e la rarità dei materiali esposti rendono quindi questa mostra un appuntamento imperdibile.
Accompagna l’esposizione il catalogo edito da Silvana Editoriale in associazione con the Museum of Modern Art, New York, che include un saggio critico di Sarah Hermanson Meister, brevi introduzioni alle sezioni della mostra e riproduzioni di opere presentate. 

Mostra organizzata dal Museum of Modern Art, New York.
A cura di Sarah Hermanson Meister, curatrice del Dipartimento di Fotografia, The Museum of Modern Art, New York e Quentin Bajac, direttore del Jeu de Paume, Parigi con Jane Pierce, assistente alla ricerca, Carl Jacobs Foundation, The Museum of Modern Art, New York.
Coordinamento e sviluppo del progetto a CAMERA: Monica Poggi e Carlo Spinelli

Dal 03 Marzo 2022 al 26 Giugno 2022 – CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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ROBERT DOISNEAU

© Robert DOISNEAU/GAMMA RAPHO | Robert Doisneau, Vent rue Royale, Paris, 1950

Al Centro Saint-Bénin di Aosta, per iniziativa dell’Assessorato Beni Culturali della Regione Autonoma Valle d’Aosta, dal 5 marzo al 22 maggio 2022 sarà possibile visitare l’esposizione Robert Doisneau, una grande retrospettiva sul celebre fotografo francese.

“Le selezionatissime immagini che il curatore Gabriel Bauret ha scelto per questa mostra – rivela la Dirigente delle Attività espositive Daria Jorioz – provengono dall’Atelier Doisneau di Montrouge, nel sud della capitale francese. Sono immagini empatiche che avvicinano l’osservatore, lo rendono partecipe e non solo spettatore. Robert Doisneau incarna l’immagine del fotografo umanista immerso nella vita della sua città: ne coglie il respiro, le emozioni, le trasformazioni sociali, ne narra la bellezza, le contraddizioni, le storie minime che ne compongono la storia collettiva. Il fotografo francese cresce insieme alla sua città, la osserva prendendo appunti visivi, la racconta cominciando dalla strada, si specchia nei giochi dei bambini che inventano il loro mondo, narra la condizione a volte ruvida degli adulti. Lo fa sempre con delicatezza e garbo, talvolta con malinconia, spesso con un’ironia sottilmente dissimulata oppure giocosamente evidente.”

Tra le opere in mostra non poteva mancare Le Baiser de l’Hôtel de Ville, Paris, 1950, immagine celebre e iconica, ritenuta tra le più riprodotte al mondo. In questo suo celebre scatto Doisneau ha saputo catturare un momento magico e un’emozione che sono universali.

A Montrouge, Doisneau ha sviluppato e archiviato le sue immagini per oltre cinquant’anni, ed è lì che si è spento nel 1994, lasciando un’eredità di quasi 450.000 negativi. Dallo stesso atelier, oggi le sue due figlie contribuiscono alla diffusione e alla divulgazione della sua opera, accogliendo le continue richieste di musei, festival e case editrici.

Nato nel 1912 a Gentilly, una città nella periferia sud di Parigi, le prime tappe del percorso di Robert Doisneau sono segnate da una formazione nel campo della litografia, attività che abbandonerà rapidamente in favore di un apprendistato presso lo studio di André Vigneau, un fotografo che gli fornisce una finestra sul mondo dell’arte. Seguirà, per quattro anni, un’intensa collaborazione con il reparto pubblicitario della Renault.

Una volta libero da questo impegno, Robert Doisneau approda al tanto ambito status di fotografo indipendente, ma il suo slancio viene spezzato dalla guerra, che tuttavia non gli impedirà di continuare a fotografare. Subito dopo la Liberazione della capitale, di cui è testimone, comincia un periodo molto intenso di commissioni per la pubblicità (e in particolare per l’industria automobilistica), la stampa (tra cui le riviste “Le Point” e in seguito “Vogue”) e l’editoria.

In parallelo, porta avanti i suoi progetti personali, che saranno oggetto di numerose pubblicazioni, a cominciare dall’opera La Banlieue de Paris, uscita nel 1949 e creata in collaborazione con lo scrittore Blaise Cendrars.

La sua traiettoria si incrocia anche con quelle di Jacques Prévert e Robert Giraud, la cui esperienza e amicizia nutrono la sua fotografia, nonché con quella dell’attore e violoncellista Maurice Baquet, con il quale mette in scena un gran numero di immagini. Dal 1946 le sue fotografie vengono distribuite dall’agenzia Rapho. Qui conosce in particolare Sabine Weiss, Willy Ronis e, successivamente, Édouard Boubat, che insieme a lui formeranno una corrente estetica spesso definita “umanista”.

Nel 1983 gli viene assegnato il “Grand Prix national de la photographie”, a consacrazione di un’opera estremamente ricca e densa. Tale consacrazione passa attraverso le numerosissime esposizioni, in Francia come all’estero, le incalcolabili opere che rivisitano la sua fotografia dalle prospettive più varie e i documentari a lui dedicati. E ad Aosta il pubblico italiano avrà il piacere di avvicinarsi al grande fotografo attraverso ben 128 delle sue più belle immagini.

5 marzo – 22 maggio 2022 – Aosta, Centro Saint-Bénin

THE MAST COLLECTION – Un alfabeto visivo dell’industria, del lavoro e della tecnologia

© Sebastiao Salgado

È la prima grande esposizione di opere della Collezione della Fondazione: oltre 500 immagini tra fotografie, album, video di 200 grandi fotografi italiani e internazionali e artisti anonimi.

La Collezione della Fondazione MAST, unico centro di riferimento al mondo di fotografia dell’industria e del lavoro, conta più di 6000 immagini e video di celebri artisti e maestri dell’obiettivo, oltre ad una vasta selezione di album fotografici di autori sconosciuti.

Nei primi anni 2000 la Fondazione MAST ha creato questo spazio appositamente dedicato alla fotografia dell’industria e del lavoro con l’acquisizione di immagini da case d’asta, collezioni private, gallerie d’arte, fotografi ed artisti. Il patrimonio della Fondazione, che già conteneva un fondo che raccoglieva filmati, negativi su vetro e su pellicola, fotografie, album, cataloghi che negli stabilimenti di Coesia venivano prodotti fin dai primi del ‘900, si è così arricchito ed andato al di là dei parametri di materiale promozionale e documentaristico delle imprese del Gruppo industriale. La raccolta abbraccia opere del XIX secolo e dell’inizio del XX secolo con un processo di selezione valoriale e un accurato approccio metodologico a cura di Urs Stahel.

The MAST Collection – A Visual Alphabet of lndustry, Work and Technology”, curata da Urs Stahel, è la prima esposizione di opere selezionate dalla collezione della Fondazione: oltre 500 immagini tra fotografie, album, video di 200 grandi fotografi italiani e internazionali e artisti anonimi, che occupano tutte le aree espositive del MAST. Immagini iconiche di autori famosi da tutto il mondo, fotografi meno noti o sconosciuti, artisti finalisti del MAST Photography Grant on lndustry and Work, che testimoniano visivamente la storia del mondo industriale e del lavoro.

Tra gli artisti in mostra: Paola Agosti, Richard Avedon, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Margaret Bourke-White, Henri Cartier-Bresson, Thomas Demand, Robert Doisneau, Walker Evans, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Mimmo Jodice, André Kertesz, Josef Koudelka, Dorotohea Lange, Erich Lessing, Herbert List, David Lynch, Don McCullin, Nino Migliori, Tina Modotti, Ugo Mulas, Vik Muniz, Walter Niedermayr, Helga Paris, Thomas Ruff, Sebastiao Salgado, August Sanders, W. Eugene Smith, Edward Steichen, Thomas Struth, Carlo Valsecchi, Edward Weston.

La mostra, proprio per la sua complessità, è strutturata in 53 capitoli dedicata ad altrettanti concetti illustrati nelle opere rappresentate. La forma espositiva è quella di un alfabeto che si snoda sulle pareti dei tre spazi espositivi (PhotoGallery, Foyer e Livello O) e che permette di mettere in rilievo un sistema concettuale che dalla A di Abandoned e Architecture arriva fino alla W di Waste, Water, Wealth.

“L’alfabeto nasce per mettere insieme incroci tra lo sguardo lontano e quello vicino, testi e momenti dello scatto, portando I’attenzione all’interno delle opere – spiega il curatore, Urs Stahel -. Lo stesso accade con le immagini e i fotografi coinvolti.

Questi 53 capitoli rappresentano altrettante isole tematiche nelle quali convivono vecchi e giovani, ricchi e poveri, sani e malati, aree industriali o villaggi operai. Costituiscono il punto di incontro delle percezioni, degli atteggiamenti e dei progetti più disparati. La fotografia documentaria incontra l’arte concettuale, gli antichi processi di sviluppo e di stampa su diverse tipologie di carta fotografica, come le stampe all’albumina, si confrontano con le ultime novità in fatto di stampe digitali e inkjet; le immagini dominate dal bianco e nero più profondo si affiancano a rappresentazioni visive dai colori vivaci. I paesaggi cupi caratteristici dell’industria pesante contrastano con gli scintillanti impianti high-tech, il duro lavoro manuale e la maestria artigianale trovano il loro contrappunto negli universi digitali, nell’elaborazione automatizzata dei dati. Alle manifestazioni di protesta contro il mercato e il crac finanziario si affiancano le testimonianze visive del fenomeno migratorio e del lavoro d’ufficio”.

Sul piano della scansione cronologica solo il XIX secolo è stato affrontato separatamente in una sezione dedicata alle fasi iniziali dell’industrializzazione e della storia della fotografia. Il filo conduttore è spesso costellato dai numerosi ritratti di lavoratori, dirigenti, disoccupati, persone in cerca di lavoro e migranti. “Il parallelismo tra industria, mezzo fotografico e modernità – prosegue Urs Stahel – produce a tratti un effetto che può disorientare. La fotografia è figlia dell’industrializzazione e al tempo stesso ne rappresenta il documento visivo più incisivo, fondendo in sé memoria e commento”.

La mostra documenta inoltre il progresso tecnologico e lo sforzo analogico sia del settore industriale sia della fotografia, rappresentato oggi dai dispositivi digitali ultra leggeri, in perenne connessione, capaci di documentare, stampare e condividere il mondo in immagini digitali e stampe 3D. Dall’industria, dalla fotografia e dalla modernità si passa all’alta tecnologia, alle reti generative delle immagini e alla post-post­ modernità, ovvero a una sorta di contemporaneità 4.0. Dalla semplice copia della realtà alle immagini generate dall’intelligenza artificiale.

La mostra “The MAST Collection – A Visual Alphabet of lndustry, Work and Technology” condensa gli ultimi 200 anni di storia ricchi, folli, intensi, esplosivi in più di 500 opere che raccontano della nostra quotidianità.

Dal 10 febbraio al 22 maggio 2022 – MAST Bologna

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Henri-Cartier Bresson – Cina 1948-49 | 1958

La mostra è stata realizzata grazie alla collaborazione della Fondazione Henri Cartier-Bresson e riunisce un eccezionale corpus di fotografie e documenti di archivio del fotoreporter francese: oltre 100 stampe originali insieme a pubblicazioni di riviste d’epoca, documenti e lettere provenienti dalla collezione della Fondazione HCB.

Un excursus senza precedenti che racconta due momenti-chiave nella storia della Cina: la caduta del Kuomintang e l’istituzione del regime comunista (1948-1949) e il “Grande balzo in avanti” di Mao Zedong (1958).
Un momento importante nella storia del fotogiornalismo mondiale, vissuto attraverso il personale approccio del maestro Cartier-Bresson, il quale per primo evidenzia – attraverso l’occhio del suo obiettivo – temi importanti del cambiamento nella storia contemporanea cinese, riuscendo a presentare al mondo occidentale anche aspetti tenuti nascosti dalla propaganda di regime come lo sfruttamento delle risorse umane e l’onnipresenza delle milizie.

Il 25 novembre 1948 la rivista “Life” commissiona a Henri Cartier-Bresson un reportage sugli “ultimi giorni di Pechino” prima dell’arrivo delle truppe di Mao. Il soggiorno, previsto di due settimane, durerà dieci mesi, principalmente nella zona di Shanghai.
Cartier-Bresson documenterà la caduta di Nanchino, retta dal Kuomintang, e si troverà poi costretto a rimanere per quattro mesi a Shanghai, controllata dal Partito Comunista, per lasciare infine il Paese pochi giorni prima della proclamazione della Repubblica Popolare Cinese (1° ottobre 1949).

Uno stile unico in grado di cogliere l’immediatezza e la veridicità dell’«Istante decisivo». In questa prospettiva l’uso del bianco e nero nelle sue fotografie gli permette di evidenziare la forma e la sostanza della realtà. Ogni suo scatto è così in grado di cogliere la contemporaneità delle cose e della vita.

18 febbraio 2022 – 3 luglio 2022 – MUDEC Milano

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Cortona On The Move AlUla

AlUla ospita Cortona On The Move Alula, prima edizione della manifestazione dedicata alla fotografia (9 febbraio-31 marzo 2022) in cui saranno esposte opere di 19 artisti provenienti da tutto il mondo, compresi fotografi dell’Arabia Saudita.

Cortona On The Move Alula, parte di AlUla Arts Festival nasce dalla collaborazione tra The Royal Commission for AlUla e Cortona On The Move – festival internazionale di fotografia con lo scopo di creare un’esperienza unica, site-responsive, nel villaggio AlJadidah di AlUla.

La prima edizione di Cortona On The Move Alula si intitola “Past Forward – Time, Life and Longing” dove le opere dei principali fotografi locali, regionali e internazionali saranno esposte nei cortili e lungo i muri, creando un emozionante viaggio di narrazione visiva.

Past Forward – Time, Life and Longing è co-curata da Arianna Rinaldo, curatrice e direttore artistico di Cortona On The Move dal 2012 al 2021, e dall’artista visiva e curatrice saudita Kholood AlBakr. Al centro del programma di mostre fotografiche è la dimensione del tempo che contraddistingue sia AlUla sia Cortona, luoghi in cui si respira l’eredità culturale della loro storia: AlUla nei meravigliosi deserti nel nord-ovest dell’Arabia Saudita e Cortona nel cuore storico dell’Italia.

Le mostre in programma:

Latif Al-Ani (Iraq) – A Tribute

Mohammed Al-Faraj (Arabia Saudita) – Guardians of the Oasis

Moath Al-Ofi (Arabia Saudita) – Thad (The Collection) 2019

Adel Al-Quraishi (Arabia Saudita) – Vast Land, Vast Faces

Ali Al-Shehabi (Bahrein) – Men of the Pearl

Alejandro Chaskielberg (Argentina) – Otsuchi Future Memories

Deanna Dikeman (USA) – Leaving and Waving

Osama Esid (Siria) – Ghost Camera

Stephanie Gengotti (Italia) – Circus Love

Tanya Habjouqa (Giordania) – Tomorrow There Will Be Apricots

Omar Imam (Siria) – Live, Love, Refugee

Amina Kadous (Egitto) – A Crack in the Memory of my Memory

M’hammed Kilito (Marocco) – Hooked to Paradise

Simon Norfolk (Nigeria) – Shroud

Catherine Panebianco (Canada) – No Memory Is Ever Alone

Aleksi Poutanen (Finlandia) – Fellow Creatures

Phillip Toledano (Regno Unito) – Maybe

Paolo Woods (Olanda) & Gabriele Galimberti (Italia) – Locked in Beauty

9 febbraio -31 marzo 2022 Cortona (AR)

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Le mostre della Biennale della Fotografia Femminile

BFF, la Biennale della Fotografia femminile, si svolgerà a Mantova dal 3 al 27 marzo 2022. Siamo già alla seconda edizione, la prima, nel 2020 è stata sacrificata alle piattaforme online per via del Covid. La manifestazione coincide con l’apertura di altri festival che animeranno il centro urbano: BFF s’inserisce in quest’insenatura culturale, sventolando il vessillo della parità di genere. Il tema è “Legacy” “eredità”, parola che, in inglese, si tinge di un ventaglio ampio di significati indicando il bagaglio di creazioni che riserviamo alle generazioni future,oltre alle condizioni di vita con le quali nasciamoe affrontiamo la realtà; il “lascito” comprende l’eredità ambientale.

Con la selezione delle fotografe si cerca di rappresentare uno spaccato internazionale. Daniella Zalcman è una fotografa vietnamita-americana, fondatrice di Women Photograph, archivio mondiale di fotografie. Signs of Your Identity è sulla memoria dei nativi americani che si sono ritrovati inseriti in maniera traumatica in una cultura non loro. Solmaz Daryani fotografa iraniana, si interroga sul cambiamento climatico in The Eyes of Earth (The Death of Lake Urmia): il fenomeno di prosciugamento del lago influisce sull’economia locale. Myriam Meloni è italiana di base a Barcellona, Fragile, sui giovani dipendenti dal crack a Buenos Aires è riconosciuto patrimonio culturale della Repubblica Argentina. Con Insane Security si sofferma sulla polizia argentina, sugli abusi di potere e sulla corruzione. Delphine Diallo è franco-senegalese; antropologia, mitologia, arti marziali sono alcune delle ramificazioni toccate dalle sue fotografie, con Highness crea una serie di nuovi archetipi, scatti intimi che esplorano l’iconografia legata alle divinità e le tradizioni ritrattistiche. Infine Lumina Colletive, formato da 8 fotografe australiane, guarda alla storia del continente e alla cultura aborigena, poi l’italiana Flavia Rossi e molte altre protagoniste provenienti da tutto il mondo.

3 – 27 Marzo 2022 Mantova

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MonFest 2022 Fotografia

Claudio Sabatino, Pompei 2016_Veduta del Foro

Prosegue il viaggio alla scoperta dei grandi artisti che parteciperanno alla prima edizione di MonFest 2022, la biennale internazionale di fotografia che si terrà a Casale Monferrato dal 25 marzo al 12 giugno prossimi.

Organizzato dal Comune di Casale Monferrato e curato dal direttore artistico Mariateresa Cerretelli, il MonFest vedrà al centro del progetto numerose mostre allestite nei luoghi più caratteristici e suggestivi della città.

Nei mesi scorsi si sono approfondite biografie ed esposizioni di Gabriele Basilico, Valentina Vannicola, Francesco Negri, Silvio Canini, Raoul Iacometti, Ilenio Celoria e Silvia Camporesi (quest’ultima vincitrice del concorso Storie di donne indetto dal club locale di Soroptimist), mentre adesso scopriremo le mostre di Lisetta Carmi, Vittore Fossati, Claudio Sabatino e Maurizio Galimberti.

Viaggio in Israele e Palestina. Fotografie 1962-1967, sarà l’attesa esposizione curata da Daria Carmi e Giovanni Battista Martini e dedicata a Lisetta Carmi, l’artista genovese che, dopo un inizio da musicista, avvia nel 1960 la carriera di fotografa, portandola negli anni a realizzare una serie di reportage dedicati alla sua città, Genova, ma anche a Sardegna, Sicilia, Parigi, America Latina e Israele, solo per citarne alcuni. Oltre a realizzare una serie di ritratti di artisti e personalità del mondo della cultura.

«Lisetta Carmi – ha sottolineato Daria Carmi – è una grande artista, il cui lavoro vive oggi un momento di riscoperta e attenzione. È il giusto riconoscimento alla sua ricerca e produzione fotografica in molti anni di attività, dove cifra estetica e valore documentale si sommano restituendo un lavoro prezioso e significante. Gli scatti sono circa trenta, di cui oltre due terzi inediti. Si tratta di una grande occasione per scoprire oggi e riconoscere come “parlante” e attuale quanto catturato da Lisetta Carmi oltre cinquanta anni fa».

«Tra i numerosi scatti realizzati in Israele durante i due soggiorni del 1962 e del 1967 – ha invece spiegato Giovanni Battista Martini –, ho scelto di evidenziare le immagini che sottolineassero il diverso sguardo con cui Lisetta Carmi ha osservato il paese. Nel primo grande reportage Carmi ha colto la complessa realtà di cui era costituito il nuovo Stato di Israele. Nel secondo e ultimo reportage, realizzato pochi giorni dopo la fine della Guerra dei Sei Giorni, Carmi richiama, attraverso il suo obiettivo, la nostra attenzione sui danni provocati dalla guerra nei villaggi e sulle condizioni di vita nei campi-profughi palestinesi».

Il Tanaro a Masio sarà la mostra di Vittore Fossati che raccoglie, come ricorda la curatrice Giovanna Calvenzi gli «appunti visivi» dell’artista alessandrino: «Come descrive lo stesso Fossati con il consueto understatement – ricorda ancora Calvenzi –: “Andando al paese dove lavoro, ogni tanto compio una piccola deviazione per raggiungere la sponda del fiume Tanaro in una località che si chiama Masio. Faccio un po’ di foto, velocemente, inquadrando con molta libertà nel display della fotocamera tascabile. Cosa c’è da vedere? Alberi, i colori del cielo e dell’acqua e un disegno di rami sempre diversi.
 Cosa c’è da fare? Oltre a qualche foto, soprattutto prendere una boccata d’aria fresca. È tutto”».

Nato nel 1954 ad Alessandria, dove abita, Vittore Fossati si occupa di fotografia dal 1977. Entrato in contatto con Luigi Ghirri, partecipa a molti dei progetti collettivi da lui promossi. Dagli anni Ottanta del secolo scorso svolge ricerche fotografiche commissionate da istituzioni ed enti pubblici.

Fotografare il Tempo, Pompei e dintorni di Claudio Sabatino è un’esposizione curata da Renata Ferri che descrive la mostra così: «Pompei, epica apocalisse, città sepolta e dimenticata per oltre 1700 anni, metafora del tempo imponderabile e della vulnerabilità umana, è l’oggetto della lunga ricerca fotografica di Claudio Sabatino. L’indagine, che conferma tutto il suo percorso artistico e professionale, ci conduce attraverso le stratificazioni della Storia per riflettere sulla relazione mutevole che il paesaggio intrattiene con il passato e il presente. Le rovine, magnifiche testimoni della catastrofe, e l’insediamento odierno, testimone della selvaggia espansione edilizia, danno vita a una relazione paradossale che ridefinisce in senso sociale il nostro patrimonio e la sua tutela. Con poetica precisione Sabatino racconta tanto l’archeologia quanto la città intorno, restituendo un affresco in cui lo splendore dei reperti millenari è costretto al dialogo assurdo con una desolante modernità. E forse, proprio da questa frattura, può emergere la struggente bellezza di un viaggio lungo tremila anni, ancora capace di emozionare».

Sabatino è nato a Castellammare di Stabia nel 1967, di formazione architetto, si dedica alla fotografia occupandosi principalmente della rappresentazione del paesaggio urbano. Durante gli studi viene selezionato per l’edizione di Napoli Fotocittà- Dintorni dello sguardo. Nel 1998 vince il premio Savignano Immagine a Forlì e nel 1999 il premio Marangoni a Firenze. Nel 2006 gli viene conferita una Menzione Speciale al Premio Internazionale Bari Photocamera, Bari.

Di Maurizio Galimberti, infine, il progetto Tributo a Leonardo, una reinterpretazione de L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci: «Un capolavoro che – ha spiegato la curatrice Mariateresa Cerretelli – per la potenza e per la bellezza dell’opera immensa ha ispirato esponenti di prima grandezza del mondo dell’arte, da Andy Warhol a Peter Greenaway, da Anish Kapoor fino ai Masbedo. Il Cenacolo vinciano reinterpretato dalla visione profonda e creativa di Maurizio Galimberti ed esposto nel Duomo di Casale Monferrato per il MonFest 2022, è il frutto di un progetto realizzato da un’idea comune dell’artista insieme al collezionista e amico Paolo Ludovici e ha richiesto un processo delicatissimo, mettendo in sinergia Polaroid / Fuji Instax e digitale. Ed è così che la sacralità e l’intensità sublime del Cenacolo vengono restituiti nella loro pienezza e quel ritmo, scandito dallo stile caratteristico dell’autore, forma un’armonia  musicale, portatrice di grande spiritualità».

Nato a Como nel 1956, Galiberti si trasferisce a Milano dove oggi vive e lavora. Si accosta al mondo della fotografia analogica esordendo con l’utilizzo di una fotocamera a obiettivo rotante Widelux per poi nel 1983 focalizzare il suo impegno, in maniera radicale e definitiva, sulla Polaroid. Continua la sua ricerca con Polaroid e reinventa la tecnica del “Mosaico Fotografico” che inizialmente adatta ai ritratti. Il “Mosaico” diviene ben presto la tecnica per ritrarre non solo volti, ma anche paesaggi, architetture e città. Negli anni lavora per i più importanti brand nazionali e internazionali.

dal 25 marzo al 12 giugno 2022 – Casale Monferrato

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RITRATTE Direttrici di Musei italiani

Gli scatti fotografici del celebre Gerald Bruneau in una mostra per raccontare le donne che guidano primarie istituzioni culturali del nostro paese.

Apre il 3 marzo 2022 nelle Sale degli Arazzi a Palazzo Reale di Milano la mostra fotografica “Ritratte – Direttrici di musei italiani”, visitabile gratuitamente fino a domenica 3 aprile 2022. 

Il progetto artistico con gli scatti d’autore del fotografo Gerald Bruneau si colloca nell’impegno della Fondazione Bracco per valorizzare le competenze femminili nei diversi campi del sapere e contribuire al superamento dei pregiudizi, così da incoraggiare una sempre più nutrita presenza di donne in posizioni apicali.

La mostra illumina vita e conquiste professionali di 22 donne alla guida di primarie istituzioni culturali del nostro Paese, una sorta di Gran Tour che tocca 14 importanti città italiane da Nord a Sud: da Trieste a Palermo, da Napoli a Venezia per citarne solo alcune. Il soggetto principale di “Ritratte” è la leadership al femminile. I musei, “luoghi sacri alle Muse”, sono spazi dedicati alla conservazione e alla valorizzazione del nostro patrimonio artistico, custodi del nostro passato e laboratori di pensiero per costruire il futuro. Inoltre, sono anche imprese con bilanci e piani finanziari, che contribuiscono in modo cruciale alla nostra economia. Dirigere tali istituzioni comporta competenze multidisciplinari, un connubio di profonda conoscenza della storia dell’arte e di capacità gestionali e creative.

Tra le protagoniste della mostra figurano i ritratti di Francesca Cappelletti, Direttrice della Galleria Borghese di Roma; Emanuela Daffra, Direttrice Regionale Musei della Lombardia; Flaminia Gennari Santori, Direttrice delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini di Roma; Anna Maria Montaldo, già Direttrice Area Polo Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Milano; Alfonsina Russo, Direttrice del Parco Archeologico del Colosseo; Virginia Villa, Direttrice Generale Fondazione Museo del Violino Antonio Stradivari di Cremona; Rossella Vodret, Storica dell’arte, già Soprintendente speciale per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Roma; Annalisa Zanni, Direttrice del Museo Poldi Pezzoli di Milano.

Fondazione Bracco da tempo è impegnata per contribuire alla costruzione di una società paritetica, in cui il merito sia il criterio per carriera e visibilità. Nel 2016 è nato a questo scopo il progetto “100 donne contro gli stereotipi” (100esperte.it) ideato dall’Osservatorio di Pavia e dall’Associazione Gi.U.Li.A., sviluppato con Fondazione Bracco, grazie alla Rappresentanza in Italia della Commissione Europea. La banca dati online raccoglie profili eccellenti di esperte, selezionate con criteri scientifici, in vari settori del sapere, strategici per lo sviluppo del Paese, allo scopo di aumentarne la visibilità sui media: l’ambito STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics – dal 2016), le esperte di Economia e Finanza (dal 2017), Politica Internazionale (dal 2019), Storia e della Filosofia (dal 2021). Basti pensare che secondo il Global Monitoring Project 2020 in Italia nei media tradizionali le donne interpellate come esperte sono solo il 12%, contro il 24% dell’Europa. Accanto alla banca dati online, Fondazione Bracco ha deciso di sviluppare una narrazione complementare. Nel 2019, sempre grazie alla collaborazione con Gerald Bruneau, è stata realizzata la mostra fotografica “Una vita da scienziata” con i ritratti di alcune delle più grandi scienziate italiane, da allora esposta in numerose sedi italiane e internazionali, tra cui Milano, Roma, Todi, Washington, Philadelphia, Chicago, Los Angeles, New York, Città del Messico e il prossimo 8 marzo a Praga.

In ottica di continuità e dialogo, l’esposizione “Ritratte”, dedicata al settore dei beni culturali, con il Patrocinio del Ministero della Cultura, aggiunge un importante tassello all’intervento di lotta agli stereotipi di genere e di promozione delle competenze, unico discrimine per qualsiasi sviluppo personale e collettivo.

“Siamo davvero riconoscenti a Diana Bracco e alla Fondazione per l’impegno instancabile a sostegno della leadership femminile in tutti i settori del sapere e del lavoro – ha dichiarato l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi –. Un impegno che oggi viene declinato attraverso il tema del ritratto fotografico in una bellissima mostra d’arte che potrà essere ammirata liberamente da tutti i visitatori di Palazzo Reale. La mia riconoscenza va anche alle molte donne che a Milano sono impegnate in ambito museale e che, grazie alla loro competenza e alla loro passione, preservano, promuovono e arricchiscono il patrimonio artistico del nostro Paese”.

“Oggi alla guida di importanti istituzioni culturali del nostro Paese ci sono professioniste straordinarie che hanno raggiunto posizioni apicali grazie a competenze multidisciplinari, che uniscono una profonda conoscenza della storia dell’arte con capacità gestionali e creative” sottolinea Diana Bracco, Presidente di Fondazione Bracco. “Valorizzare le loro storie grazie agli scatti di Gerald Bruneau ci è sembrato importante per ispirare percorsi analoghi da parte delle più giovani. Con il progetto #100esperte della nostra Fondazione, vogliamo infatti incoraggiare la presenza femminile in tutti i campi: dalla scienza all’economia, dalla storia alla filosofia, dall’arte alle istituzioni.”

“Il mio intento è stato quello di mettere in risalto, insieme all’incommensurabile vastità e bellezza del patrimonio artistico italiano, la bellezza di queste donne che si impegnano quotidianamente per rimettere i musei al centro di una proposta culturale elaborata in rete insieme ai soggetti più rappresentativi delle realtà in cui sono immerse, invitano alla partecipazione, stimolano confronto e pensiero critico” afferma il fotografo Gerald Bruneau. “Donne che vogliono rendere i musei nuovi luoghi di incontro e di riflessione, di conoscenza e di comunicazione, valorizzando i capolavori storici e accogliendo nuove esperienze artistiche. E che, per questo, sperimentano nuove e creative modalità di proposta culturale. Se abbiamo la speranza che la bellezza possa salvare il mondo, tocca anche a noi, insieme a loro, salvare la bellezza.”

promossa e prodotta da Palazzo Reale, Comune di Milano Cultura e Fondazione Bracco con il patrocinio del Ministero della Cultura

Dal 3 marzo 2022 – al 3 aprile 2022 – Palazzo Reale Milano

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WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR. 57ESIMA EDIZIONE

© Laurent Ballesta, Wildlife Photographer of the Year

Dal 5 febbraio al 5 giugno 2022 si terrà al Forte di Bard, in Valle d’Aosta, l’anteprima italiana della 57esima edizione di Wildlife Photographer of the Year, il più importante riconoscimento dedicato alla fotografia naturalistica promosso dal Natural History Museum di Londra. In mostra le cento migliori immagini selezionate tra gli oltre 50.000 scatti provenienti da fotografi di 95 Paesi del mondo, valutati da una giuria internazionale di stimati esperti e fotografi naturalisti. Le immagini immortalano natura e animali non solo nella loro bellezza e diversità, ma anche nella loro fragilità e sottolineano l’importanza di difendere e salvaguardare il Pianeta.
 
L’immagine vincitrice assoluta della nuova edizione è Creation scattata dal biologo francese e fotografo subacqueo Laurent Ballesta. Lo scatto ritrae un branco di cernie che nuotano in una nuvola lattiginosa nel momento della deposizione delle uova a Fakarava, Polinesia francese: un momento unico, che si verifica solo una volta all’anno, durante la luna piena di luglio, e sempre più raro dato che la specie è in via di estinzione minacciata dalla pesca intensiva. La laguna polinesiana è uno dei pochi posti in cui questi pesci riescono a vivere ancora liberi, perché è una riserva e per fotografarli, Ballesta si è appostato ogni anno per cinque anni insieme a tutto il suo team per raggiungere il risultato.
 
La Presidente della giuria, scrittrice ed editore, Rosamund Roz Kidman Cox Obe afferma: «L’immagine funziona su così tanti livelli: è sorprendente, energica, intrigante ed ha una bellezza ultraterrena. Cattura anche un momento magico – una creazione di vita davvero esplosiva – lasciando la coda dell’esodo delle uova sospesa per un istante, come un simbolico punto interrogativo».
Doug Gurr, direttore del Museo di storia naturale, commenta: «Il vincitore del Grand Title di quest’anno rivela un mondo sottomarino nascosto, un fugace momento di un affascinante comportamento animale a cui pochissimi hanno assistito. In quello che potrebbe essere un anno cruciale per il Pianeta, Creation di Laurent Ballesta è un avvincente promemoria di ciò che potremmo perdere se non affrontiamo l’impatto dell’umanità sul nostro Pianeta».
 
L’altro ambito premio del concorso, il Young Wildlife Photographer of the Year 2021, è andato all’immagine Dome Home di Vidyun R Hebbar, un bambino di dieci anni di Bengaluru, in India, che ha scattato una foto spettacolare di un ragno sospeso all’interno di una fessura in un muro. «È un modo così fantasioso di fotografare un ragno. L’immagine è perfettamente inquadrata, la messa a fuoco è azzeccata. Si possono vedere le zanne del ragno e la trama folle della trappola, i fili come una delicata rete di nervi collegati alle zampe dell’animale. Ma la parte più originale è rappresentata dall’aggiunta di uno sfondo creativo: i colori vivaci di un risciò motorizzato», afferma Rosamund Roz Kidman Cox Obe.
Natalie Cooper, ricercatrice del Museo di Storia Naturale e membro della giuria, commenta: «La giuria ha apprezzato questa foto sin dall’inizio del processo di valutazione. È un ottimo promemoria per guardare più da vicino i piccoli animali con cui viviamo ogni giorno e per portare la tua macchina fotografica con te ovunque. Non sai mai da dove potrebbe venire l’immagine premiata».
 
I due vincitori del Grand Title sono stati selezionati tra 19 vincitori di categoria che celebrano la bellezza accattivante del nostro mondo naturale con habitat ricchi di sfumature, affascinanti comportamenti animali e specie straordinarie. La competizione di quest’anno ha visto l’aggiunta di tre nuove categorie, tra cui Oceans – The Bigger Picture e Wetlands – The Bigger Picture per mettere in luce questi ecosistemi così cruciali per il Pianeta. In un intenso processo, ogni voce è stata giudicata anonimamente da una giuria di esperti per la sua originalità, narrativa, eccellenza tecnica e pratica etica.
Cinque i fotografi italiani premiati: il valdostano Stefano Unterthiner ha vinto la sezione Behaviour: Mammals; menzioni speciali sono state conquistate da Mattia Terreo (categoria Under 10 anni), Giacomo Redaelli (categoria 15-17 anni), Georg Kantioler (Urban Wildlife) e da Bruno D’Amicis (Fotogiornalismo).

Dal 05 Febbraio 2022 al 05 Giugno 2022 – Forte di Bard Aosta

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IO, LEI, L’ALTRA. RITRATTI E AUTORITRATTI FOTOGRAFICI DI DONNE ARTISTE

“Cindy Sherman
Courtesy Collezione Ettore Molinario”

Dal 19 marzo al 26 giugno 2022 il Magazzino delle Idee di Trieste presenta la mostra Io, lei, l’altra – Ritratti e autoritratti fotografici di donne artistea cura di Guido Comis in collaborazione con Simona Cossu e Alessandra Paulitti. Prodotta e organizzata da ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia – l’esposizione ripercorre, attraverso novanta opere, la fotografia degli ultimi cento anni e permette di valutare la nuova concezione della donna e il suo ruolo attraverso una successione di straordinarie immagini da Wanda Wulz a Cindy Sherman, da Florence Henri a Nan Goldin.

Il ritratto e l’autoritratto fotografico sono una testimonianza straordinaria del difficile processo di affermazione di sé e della conquista di una nuova identità sociale da parte delle artiste donne nel Novecento e nei primi anni del nuovo secolo. I ritratti e gli autoritratti sono luoghi di confronto, ma anche di conflitto fra espressioni diverse dell’identità. A forme convenzionali di rappresentazione si contrappongono nuovi modi di esprimere la propria personalità; i ruoli consolidati della rappresentazione della donna, le pose ripetitive mutuate dai ritratti tradizionali cedono spazio a modalità di espressione inedite.

Da modella al servizio di un artista la donna si trasforma in figura attiva e creativa. Ai ritratti eseguiti da uomini – come Man Ray, Edward Weston, Henry Cartier-Bresson, Robert Mapplethorpe, solo per citare alcuni dei fotografi presentati in mostra – si accostano ritratti e autoritratti di donne artiste e fotografe, tra cui Wanda Wulz, Inge Morath, Vivian Maier, Nan Goldin, Cindy Sherman, Marina Abramović.

La mostra è suddivisa in sezioni, ognuna delle quali rende conto di una diversa forma di rappresentazione dei ruoli che le donne interpretano nelle fotografie. La sezione “Artiste e modelle” è dedicata alle donne che sono state creatrici e allo stesso tempo hanno prestato i loro volti e i loro corpi per opere altrui, come è il caso di Meret Oppenheim, Tina Modotti, Dora Maar.

La sezione intitolata “Il corpo in frammenti” raccoglie gli autoritratti che restituiscono immagini di corpi parziali, riflessi in specchi fratturati, con l’epidermide percorsa da linee che ne interrompono l’integrità, come se in ciò si rispecchiasse la difficoltà di rappresentarsi. I ritratti degli anni Settanta che hanno per protagoniste Valie Export, Jo Spence e Renate Bertlmann mimano ironicamente l’immagine tradizionale della donna come madre, donna di casa o oggetto sessuale. “Una, nessuna e centomila” raccoglie gli autoritratti delle artiste che, da Claude Cahun a Cindy Sherman, hanno utilizzato il proprio corpo per interpretare attraverso mascheramenti identità o stereotipi diversi. Un’altra sezione affronta il tema degli stereotipi nella rappresentazione dalle identità culturali e sessuali, un’altra ancora a quelli nella definizione dei canoni di bellezza mentre alcune fotografie sono dedicate ad artiste accanto a proprie creazioni come nel caso del celeberrimo ritratto di Louise Bourgeois eseguito da Robert Mapplethorpe.

La mostra è accompagnata dal catalogo Io, lei l’altra – Ritratti e autoritratti fotografici di donne artiste edito da Skira con immagini di tutte le opere esposte e testi di approfondimento di Guido Comis, Anne Morin, Giampiero Mughini, Anna D’Elia, Laura Leonelli e Alessandra Paulitti.

Dal 18 Marzo 2022 al 26 Giugno 2022 – Magazzino delle Idee Trieste

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The blue green land – Marco Barbieri

L’agenzIa del turismo di Varese definisce il proprio territorio “The blue green land”, dove è possibile “cogliere la bellezza blue-green del territorio caratterizzato da laghi a ridosso di valli, colline, squisiti borghi a loro volta affondati nel verde e nella storia”.

Ma i dintorni del lago di Varese sembrano piuttosto una cartolina sgualcita degli anni ’90.

Imponenti costruzioni ormai in disuso, lascito del ricco passato industriale, si alternano a nuove iniziative immobiliari, a piccole attività familiari e ad ampi spazi vuoti.

Un piccolo specchio d’acqua viscosa, nel quale non è permesso fare il bagno, è il centro di un paesaggio culturale intriso dai rituali della piccola borghesia lombarda.

La messa della domenica e la festa degli alpini, la spesa del sabato mattina e la passeggiata nel parco, l’auto parcheggiata davanti a casa, il matrimonio con vista lago, il giornale sul tavolo del bar, il giro in bicicletta.

La provincia di Varese è il luogo comune di famiglia.

È un padre generoso dedito al lavoro e una madre che si commuove ogni volta che te ne vai e che quando torni ti chiede soltanto “cosa ti preparo da mangiare?”.

Mostra curata da Laura Davì

Dal 5 marzo 2022 – Premiato Biscottificio – Varese

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ALBERTO DI LENARDO. LO SGUARDO INEDITO DI UN GRANDE FOTOGRAFO

© Alberto di Lenardo | Alberto di Lenardo, Gita a Capri, Maggio 1965

Dal 12 febbraio all’8 maggio 2022, il WeGil di Roma, hub culturale della Regione Lazio nel quartiere Trastevere, ospita “Alberto di Lenardo. Lo sguardo inedito di un grande fotografo italiano, la mostra dedicata a un autore del secondo Novecento rimasto letteralmente nascosto in soffitta e il cui lavoro verrà proposto per la prima volta al pubblico in questa esposizione inedita ed emozionante.

Il progetto è curato da Carlotta di Lenardo, nipote del fotografo, che ne ha svelato il talento dopo la sua morte, avvenuta nel 2018, dando vita al volume “An Attic Full of Trains”, della casa editrice londinese MACK, in cui è raccolta una selezione dello sterminato archivio di immagini ereditato dal nonno. La mostra esposta al WeGil è promossa dalla Regione Lazio ed è realizzata da LAZIOcrea in collaborazione con Creation s.r.l.. Uno scorcio del passato del nostro paese attraverso lo sguardo di un autore rimasto sconosciuto fino alla sua morte. Con questa retrospettiva, il WeGil torna a ospitare la grande fotografia ma lo fa, questa volta, puntando l’obiettivo sul patrimonio artistico nascosto del nostro paese.

“Alberto di Lenardo. Lo sguardo inedito di un grande fotografo italiano” raccoglie 154 immagini che raccontano uno spaccato di vita personale del fotografo: spiagge, montagne, bar, viaggi in auto catturati nei loro colori più vividi e che portano con sé il segno e la bellezza del tempo. Negli scatti di Alberto di Lenardo si ritrova la poesia dei sentimenti che non possono essere espressi a parole ma che, attraverso la pellicola, vengono fissati in un ricordo, condividendo quelle stesse emozioni che il fotografo provò nel mostrare le proprie memorie alla nipote.

Carlotta di Lenardo racconta come, appena sedicenne, durante un pranzo di famiglia, il nonno volle parlarle della sua grande passione per la fotografia e condividere con lei il suo archivio di oltre 10.000 scatti“Mio nonno ha sempre amato fotografare e ha continuato a farlo per tutta la vita. Era il suo modo di comunicare i suoi sentimenti e gli permetteva di rivelare emozioni che la sua generazione faticava ad esprimere a parole. Le sue immagini riflettono accuratamente la sua serenità interiore, uno stato d’animo che ha sempre cercato di trasmetterci, e allo stesso tempo manifestano la sua costante ricerca di uno scatto rubato e mai banale. Preferiva infatti che i suoi soggetti fossero quasi sempre ignari della macchina fotografica, così da essere spontanei e reali, un puro riflesso del momento. Queste immagini e il modo in cui lui si emozionava mentre le condivideva con me, disegnandole nella sua incredibile e dettagliata memoria, mi hanno fatto innamorare della fotografia e hanno condizionato la mia intera vita lavorativa in questo campo. La fotografia era qualcosa di nostro, qualcosa che lui ed io condividevamo e custodivamo gelosamente”.

Il progetto espositivo porta al pubblico un ritratto intimo e colorato del lavoro fotografico di Alberto Di Lenardo, svolto in oltre sessant’anni di attività. La mostra costituisce un’opportunità davvero unica di consegnare un nome nuovo alla storia della fotografia. In un’epoca che vede il moltiplicarsi di esposizioni dedicate ai grandi maestri o agli interpreti dell’arte visiva a loro ispirati, lo sguardo di Alberto di Lenardo emerge per un suo personalissimo stile che vede l’uso costante di cornici e finestrature che fermano nel tempo momenti di vita vissuta.

La mostra si divide in tre sezioni: nella prima, il lavoro di selezione operato da Carlotta di Lenardo rivela un’estetica e una lettura del mondo comuni tra lei e il nonno: una narrazione intima tra lo sguardo del fotografo e quello della nipote. La seconda sezione, più raccolta, comprende scatti in qualche modo autobiografici, con alcune immagini in bianco e nero, scattate dal fotografo a partire dall’età di 18 anni, un autoritratto e tre ritratti fatti dalla curatrice durante un pranzo di famiglia nel 2013. Immagini che ripercorrono la storia personale dell’autore e che aiutano a comprendere tre aspetti fondamentali della personalità dell’artista di Lenardo: austera, solare e sempre autoironica. La terza sezione è composta da 9 pareti tematiche che ripropongono situazioni ricorrenti su cui il fotografo amava puntare l’obiettivo e che si ripresentano quindi costantemente in tutto il suo archivio: parchi di divertimento, ritratti di persone che prendono il sole o guardano l’orizzonte, strade e vedute da macchine e aerei, terminando infine con alcune delle diapositive su cui era solito scrivere la parola “FINE”, per indicare appunto, la fine di un viaggio.

Dal 13 Febbraio 2022 al 08 Maggio 2022 – WeGil – Roma

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Sul Sentiero del Bene – Stefano Lotumolo

Si inaugura martedì 8 marzo presso lo spazio The Warehouse, in Via Settala 41 a Milano, la mostra fotografica Sul Sentiero del Bene di Stefano Lotumolo.

La mostra, a cura di Ludovica Cristofaro, ha il patrocinio dell’associazione onlus Epsilon in collaborazione con Radici Globali. Partner del progetto, l’agenzia di comunicazione Theoria, che ha aderito all’iniziativa mettendo a disposizione gratuitamente lo spazio che ospiterà la mostra.

Il progetto fotografico Sul Sentiero del Bene è composto da 72 scatti catturati tra Asia e Africa, che Stefano definisce i più significativi della sua rivoluzione interiore. Nelle sue immagini, Stefano vuole immortalare l’armonia e la bellezza delle popolazioni nella loro quotidianità nonostante situazioni di vita difficili.

Se le foto dedicate all’Asia svelano soprattutto la spiritualità di quei popoli, quelle della Tanzania mostrano la realtà particolarmente cruda di interi nuclei familiari costretti a bere dalle pozzanghere di acqua contaminata.

“Attraverso la fotografia, cerco di trasmettere l’amore e il rispetto che nutro per la vita, dando voce a chi non ne ha e mostrando l’essere umano per come lo vedono i miei occhi e lo percepisce il mio cuore”spiega Stefano Lotumolo.

Una mostra che è sintesi perfetta tra cultura e solidarietà. Le opere in mostra e il relativo merchandising saranno infatti in vendita e il ricavato – insieme alle donazioni libere – sarà destinato alla raccolta fondi per la costruzione di 3 pozzi nei villaggi Maasai di Mkuru, Madape e Engikaret, nel nord della Tanzania.

Epsilon e Radici Globali uniranno le forze per la realizzazione di questo progetto, che vuole essere il primo passo di un impegno a lungo termine per sostenere il popolo Maasai nell’approvvigionamento idrico delle proprie terre e nella riforestazione.

Sul Sentiero Del Bene sarà aperta al pubblico dall’8 al 27 marzo dal lunedì al venerdì dalle 15.30 alle 20.00 e sabato e domenica dalle 11.00 alle 20.00.

Dall’8 al 27 marzo – The Warehouse Milano

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RENATO CORSINI “AMBULANTE” – STORIE DI FOTOGRAFIA IN GIRO PER IL MONDO

© Renato Corsini | Renato Corsini, Vestirsi e traverstirsi

“Renato Corsini gira il mondo con un telo sulle spalle, una Leica, uno spazzolino da denti, un dentifricio e un impermeabile. Il telo gli serve per creare un set mobile e leggero da montare e smontare nelle situazioni più difficili. L’impermeabile gli serve se piove per riparare la macchina fotografica…”. Inizia così il testo di Massimo Minini tratto dal libro Renato Corsini “ambulante” – storie di fotografia in giro per il mondo, MF edizioni, le cui fotografie saranno esposte alla Fondazione Mudima a partire dal 15 febbraio 2022. Renato Corsini è un fotoreporter che decide di allestire nei mercati, nei luoghi di ritrovo dei paesi un’improvvisata sala di posa all’aperto. Monta il telone alle spalle del soggetto, pone una sedia davanti al telone e di fronte la sua macchina fotografica su cavalletto. Il set è fatto. Vi poseranno decine di visitatori, famiglie, giovani, coppie, singoli individui, mostrando i loro volti, ma soprattutto le loro fogge, offrendo un affascinante regesto di tipi umani.
Nessuna pretesa di artisticità, ma preziosi documenti usciti dall’archivio privato del “fotografo ambulante” che va a cercare la vita negli angoli più remoti del pianeta; un fram- mento di società che si mostra, si rappresenta consegnando ai posteri l’immagine di sé. Attento osservatore dei costumi della sua epoca, legato alla tradizione della fotografia lieve e ironica, Corsini smaschera il gioco della rappresentazione e svela uno scenario sociale in cui il gesto del fotografare e del farsi fotografare è sempre più una componente integrante e costante dell’orizzonte visivo. Dischiude sguardi e solleva interrogativi sulla fenomeno- logia di una pratica che si è imposta a livello di massa negli anni Sessanta del Novecento con la diffusione delle macchine fotografiche automatiche e che subisce oggi una nuova accelerazione con la svolta del digitale e i nuovi media.
La mostra, costituita da oltre un centinaio di scatti, mette in luce il ruolo centrale assun- to dalla fotografia come testimone della realtà sociale e dei suoi mutamenti. Corsini ne annota le trame del vivere, restituendo pagine vivide e suggestive. Codifica linguaggi ed espressioni in lessici autentici e originali. Empatico e mai banale, lirica e pura è la sua prosa.

Dal 15 Febbraio 2022 al 18 Marzo 2022 – Fondazione Mudima – Milano

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FRANCESCO MALAVOLTA. VOLTI AL FUTURO. VENTI RITRATTI DI RIFUGIATI CHE SI RACCONTANO IN BIBLIOTECA

Francesco Malavolta. Volti al futuro. Venti ritratti di rifugiati che si raccontano in biblioteca, Biblioteca Europea, Roma

Una suggestiva galleria di volti e storie che dialogano con la biblioteca e coinvolgono i suoi frequentatori.
La Biblioteca Europa ospita l’emozianante mostra fotografica che il Centro Astalli, per i suoi 40 anni di attività, ha fatto realizzare da Francesco Malavolta, il fotoreporter impegnato da oltre vent’anni lungo le principali rotte migratorie, terrestri e marittime, nel mondo.
Scatti fotografici con cui il fotografo ha voluto raccontare passato, presente e futuro dei rifugiati e delle rifugiate di Astalli.
Un invito a condividere l’intensità dei volti e delle storie che accompagnano i ritratti: brevi racconti di chi è fuggito da persecuzioni e violenze, rischiando la vita, alla ricerca di un futuro diverso.

Dal 20 Gennaio 2022 al 12 Marzo 2022- Biblioteca Europea ROMA

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Mostre fotografiche da non perdere a settembre

Ciao ben ritrovati!

Vi siete rilassati in queste vacanze?

Eccoci quindi di ritorno con le mostre che vi segnaliamo per il mese di settemreb.

Ciao

Anna

CAPA IN COLOR

La mostra Capa in color presenta, per la prima volta in Italia, gli scatti a colori di Robert Capa, fotografo di fama mondiale. Internazionalmente noto come maestro della fotografia in bianco e nero, lavorò regolarmente con pellicole a colori dal 1941 fino alla morte, nel 1954.

Capa in color
 offre la possibilità unica di esplorare il forte e decennale legame del maestro con la fotografia a colori, attraverso un affascinante percorso che illustra la società nel secondo dopoguerra. L’esposizione mostra oltre 150 immagini a colori, lettere personali e appunti dalle riviste su cui furono pubblicate.

Della produzione di Robert Capa sono molto noti i reportage della seconda guerra mondiale, le poche immagini a colori ritraggono soprattutto le truppe americane e il corpo francese a cammello in Tunisia, nel 1943. Dopo il secondo conflitto mondiale, l’attività di Capa si orientò esclusivamente verso l’uso di pellicole a colori, soprattutto per fotografie destinate alle riviste dell’epoca come Holiday e Ladies’Home Journal (USA), Illustrated (UK), Epoca (Italia), un interessante ritratto dell’alta società, dalle stazioni sciistiche delle Alpi alle affascinanti spiagge francesi, dalle fotografie di moda, lungo la Senna ai set cinematografici con Ingrid Bergman, Orson Welles e John Huston.

Dal 11 Settembre 2021 al 13 Febbraio 2022 – Gallerie Estensi – Modena

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IRVING PENN

Cardi Gallery Milano è lieta di presentare IRVING PENN.
Dedicata interamente a Irving Penn, questa ampia e completa mostra rappresenta per il pubblico milanese la prima occasione in oltre trent’anni di incontrare la complessità dell’opera dell’artista americano.
 
La mostra si sviluppa su due piani della galleria, abbracciando non solo la fotografia di moda per cui Penn è conosciutissimo, ma sottolineando il legame speciale dell’artista con l’Italia, capitolo a cui è interamente dedicato il primo piano. L’esposizione, che comprende opere prodotte dall’artista tra gli anni Quaranta e gli anni Novanta, percorre momenti salienti della quasi totalità della carriera artistica di Penn. Curata in collaborazione con The Irving Penn FoundationIRVING PENN avrà luogo dal 9 settembre al 22 dicembre 2021.
 
Considerato uno dei maggiori fotografi del Novecento, Irving Penn (1917-2009) è conosciuto per il suo radicale contributo alla modernizzazione del mezzo fotografico, grazie alla creazione di un canone concretizzatosi attraverso le sue opere sia commerciali che personali. Figlio di migranti ebrei russi, Penn emerse a New York in un’epoca turbolenta dal punto di vista sociopolitico. In seguito a studi di pittura, verso la fine degli anni Trenta iniziò a lavorare come artista per la rivista di moda Harper’s Bazaar, all’epoca guidata proprio dal suo ex insegnante, il leggendario Alexey Brodovitch, per poi passare ad American Vogue negli anni Quaranta. Incoraggiato da Alexander Liberman, direttore editoriale di Vogue, Penn focalizzò la propria attenzione professionale sulla fotografia, coltivando al contempo una pratica artistica personale. Nel corso dei successivi sessant’anni, scattò oltre 150 copertine per Vogue, producendo editoriali all’avanguardia, celebrati per la loro semplicità formale e l’uso della luce. Il contributo artistico di Penn formò per Vogue un’eredità senza precedenti; la direttrice Anna Wintour descrive come egli “cambiò radicalmente il modo in cui la gente vedeva il mondo, e la nostra percezione del bello”.  Rompendo con le convenzioni, Penn utilizzava la fotografia come un artista, espandendo il potenziale creativo del mezzo in un’era in cui l’immagine fotografica era vista principalmente come mezzo di comunicazione.

Dal 09 Settembre 2021 al 22 Dicembre 2021 – Cardi Gallery – MILANO

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Le mostre del SIFEST

Quella del 2021 è un’edizione speciale per il SI FEST che a settembre celebrerà i suoi primi 30 anni con una grande festa della fotografia: le immagini, le storie e le parole raccolte nel lungo cammino dal più longevo festival italiano di fotografia sono il trampolino di lancio di una tappa che segna il passo, non si accontenta di guardare al passato, ma punta il suo obiettivo al futuro. 
A sottolineare l’indirizzo del trentennale del Festival il titolo che il direttore artistico Denis Curti ha coniato per questo straordinario compleanno: FUTURA. I domani della fotografia.

Come accade dal 1992, il SI FEST ancora una volta chiama in piazza tutto il mondo della fotografia facendo dialogare la storia col presente attraverso nuovi modi di raccontare per immagini. Perché ora più che mai, in un periodo storico così incerto e mutevole, questo resta il mezzo più efficace per fissare e trasmettere emozioni.

Tra le varie mostre, vi segnaliamo Arno Rafael Minkkinen, Elena Givone, Lorenzo Zoppolato e la consueta mostra di Marco Pesaresi, ma date un’occhiata al programma, quanto mai ricco.

Dal 10 Settembre 2021 al 26 Settembre 2021 – Savignano sul Rubicone (FC) – sedi varie

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FRANCESCO CITO. WIDE GAZE (UN AMPIO SGUARDO)

La sezione dedicata alla fotografia del Festival Internazionale Isole che Parlano diretto da Paolo e Nanni Angeli – la cui XXV edizione si svolgerà dal 5 al 12 settembre nel nord della Sardegna, tra Palau, Arzachena, Luogosanto e La Maddalena – sarà quest’anno dedicata a Francesco Cito, vincitore di due World Press Photo e considerato oggi uno dei più importanti reporter italiani a livello internazionale.

La mostra ospitata a Isole che Parlano di fotografia – dal titolo Wide Gaze (Un ampio sguardo) – sarà un progetto originale che presenterà una selezione di oltre settanta immagini che racconteranno un viaggio lungo trent’anni, dal 1978 al 2009, e festeggerà il ritorno di Cito al Festival di Palau a distanza di quattordici anni dalla sua mostra Frammenti di Guerra. Il percorso espositivo, prevalentemente bianco e nero ma con un’appendice a colori, si presenterà con un ampio sguardo composto da circa quaranta immagini tratte da alcuni tra i reportage più importanti nella carriera del fotografo e tre focus monotematici: Coma, Palio di Siena e Sardegna.
L’esposizione, ospitata presso il Centro di Documentazione del territorio di Palau (SS), inaugurerà giovedì 9 settembre e resterà aperta al pubblico fino al 9 ottobre 2021.

Il titolo della mostra – Wide Gaze – assume un triplo valore. Uno strettamente tecnico legato alle ottiche grandangolari con cui Cito è solito lavorare, uno legato all’ampio arco temporale e tematico che le foto in mostra copriranno, e il terzo, il più importante, legato all’autorialità, alla profondità e alla forza delle immagini che ci restituiscono lo sguardo del fotografo sulla realtà del mondo. Uno sguardo che spazia tra società (di cui documenta rilevanti aspetti), malavita organizzata, guerre (con reportage in Afghanistan, Libano, Palestina, Golfo Persico, Balcani, etc.) e costume. Una mostra pensata ad hoc per il Festival, con un importante focus sulla Sardegna, terra che Francesco Cito frequenta da moltissimi anni, documentando aspetti legati al sociale, alle tradizioni e al lavoro, evitando gli itinerari turistici.

Il percorso si apre con un ampio sguardo e gli scatti più lontani nel tempo, 1978 e 1979, prevalentemente a colori, foto di punk e minatori (a Londra e nel Galles), di mattanza di tonni a Favignana. Dal mare rosso di sangue si passa al bianco/nero per il “miracolo” dello scioglimento del sangue di San Gennaro a Napoli, città natale di Cito, presente anche in altri scatti, realizzati tra l’87 e il ’93, che ci raccontano di sfarzosi matrimoni, fotografati con grande ironia in contesti molto differenti, con la città a fare da sfondo (da “Neapolitan Wedding story” nel 1995, premio Day in the Life del World Press Photo), di corse clandestine di cavalli a Scampia, di criminalità organizzata, di interni del palazzo della questura, ma anche del monumentale Palazzo Spagnuolo al centro del quartiere sanità. Seguono altri palazzi, Buckingham Palace, dove Papa Wojtyla passeggia con la Regina Elisabetta nel 1982, e un altro palazzo reale dove, 8 anni dopo, un marine posa mimetizzato su uno sfarzoso divano, davanti ai ritratti dei dignitari sauditi.

Passiamo così ai teatri di guerra che Cito ha documentato in prima linea per vari decenni (rischiando spesso la vita): dall’Afghanistan (1980) con i ritratti di guerriglieri, alla guerra del Libano, qui raccontata con alcuni scatti (1982/1983) a colori che ritraggono bambini che giocano con mitragliatori, Hezbollah armati, la distruzione a Beirut ovest dopo un attentato e un Arafat poco più che cinquantenne abbracciato da una donna in lacrime. Si passa quindi a uno dei temi che Francesco ha seguito, nel tempo, con particolare dedizione e trasporto, il conflitto e la questione palestinese, presente con tre scatti (1986, 1988 e 2002), e poi ancora a un soldato irakeno morto sulla strada per Bassora e i pozzi petroliferi in fiamme nella guerra del Golfo del 1991. A chiudere idealmente la sezione in un gioco di rimandi, una foto dell’Afghanistan (del 1989 ma tristemente attuale) in cui un Mullah mostra il Corano circondato da guerriglieri armati, un’immagine di Peshawar del 2008 con alcuni giovani intenti nello studio del Corano in una Madrassa, e una di Serra San Bruno in Calabria (1989) con un gruppo di frati certosini inginocchiati in preghiera.

A rompere questa lunga serie, riflesso nello specchietto, lo sguardo di un autista di pullman su un villaggio dell’Iran (2001), e ancora una donna di Peshawar col burqa che sembra essere parte integrante di un minaccioso murale alle sue spalle. Nel mentre un’anziana signora si asciuga su una spiaggia di Rimini, nel 1987, e nello stesso anno, sotto un cielo cupo uomini magrissimi che passeggiano nel cortile del manicomio di Reggio Calabria. Le fotografie di esseri umani lasciano spazio al paesaggio in una foto delle terre senesi (un omaggio a Giacomelli?), e agli animali con un gatto che gioca tra i tubi delle Terme di Petriolo e alcune candide oche in fila e marziali.
Si arriva così in Russia con tre scatti (2007/2009), in cui una statuaria incombente ci porta direttamente a segni resistenti del socialismo reale, e in Bosnia nel ’93, con un bambino che guarda dal finestrino di un pulmino malridotto, con uno sguardo troppo grande per la sua età. A chiudere la prima serie di immagini un tuffo, sospeso, immortalato a Corigliano Calabro.

Quasi un rimando alla situazione raccontata in Coma (foto dal 1990 al 2008), in cui la sospensione e l’immobilità sono presenti in ognuno dei nove scatti in mostra, negli impressionanti occhi sbarrati di giovani figli: un reportage affatto spettacolare di lungo periodo e di rara intensità umana, in cui Cito, come sempre senza pietismo, fotografa e racconta questi giovani e le loro famiglie, accendendo la luce su una situazione diffusa ma che non suscita l’attenzione che meriterebbe.

Immobilità e sospensione sono concetti che vengono, invece, completamente rovesciati nelle tredici immagini del Palio di Siena (1988/1998), dove passione e fede, umanità e istintività, reale e surreale si susseguono senza soluzione di continuità in immagini particolarmente “dinamiche” e cariche di tensione. La sequenza racconta, il Palio della contrada del Nicchio, e seppure in realtà la sequenza sembri narrare di un solo giorno, le foto sono state scattate in anni diversi, durante la lunga frequentazione di Cito a Siena (che nel 1996 valse al fotografo il primo premio al World Press Photo).

Così, al termine di questo percorso, si arriva in Sardegna (1989/2003). Sono immagini di un’Isola raccontata all’interno, lontano dalla costa, un’isola di modi e riti arcaici, in cui il cavallo è ancora una presenza importante e in cui a carnevale, nonostante rari angioletti chiari, il colore dominante è il nero. Una serie di immagini di momenti rituali, sempre in bilico tra sacro e profano, e di situazioni stranianti: una donna che imbraccia un fucile a pompa per festeggiare S’incontru, le maschere di carnevale che rimandano alle bestie della vita quotidiana, i pesanti campanacci appesi alla schiena di un Mamuthone a riposo, i funerali di fantocci. Invece ridono tre anziane ovoddesi alla finestra, durante la follia dell arcaico carnevale, e ridono anche gli Intintos di Olzai e un uomo di Orgosolo con soli tre denti così simile al murale alle sue spalle. Vola un chierichetto mentre suona le campane per S’Ardia al santuario di Santu Antinu, e poco dopo riparte la sfrenata “giostra” equestre. Poi tutto a un tratto tutto si ferma e si fa di nuovo austero, come la coppia a San Francesco di Lula, col Supramonte alle spalle, che guarda lontano, lontano ma non troppo (come tutto in Sardegna), o il pastore che conduce il suo gregge, sotto un cielo carico, in una piana che sembra amplissima: sintesi dell’ampio sguardo di un grandissimo fotoreporter.

Dal 09 Settembre 2021 al 09 Ottobre 2021 – Centro di Documentazione del territorio di Palau

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ESSERE UMANE. LE GRANDI FOTOGRAFE RACCONTANO IL MONDO

“Essere umane. Le grandi fotografe raccontano il mondo”, un percorso per immagini dedicato alle grandi fotografe donne curato da Walter Guadagnini che inaugurerà ai Musei di San Domenico a Forlì il prossimo 18 settembre e sarà visitabile fino al 30 gennaio.

Si rinnova la tradizione delle mostre fotografiche del Buon Vivere inaugurata nel 2015 con Steve McCurry, poi con Sebastiao Salgado, Elliott Erwitt, Ferdinando Scianna e infine, nel 2019, con “Cibo”, che ha visto nuovamente protagonista McCurry. La mostra, inizialmente prevista nell’autunno dello scorso anno, non ha potuto inaugurare a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia e viene ora proposta in un percorso ulteriormente arricchito.

Tra le 314 fotografie in mostra, si possono segnalare le leggendarie immagini di Lee Miller nella vasca da bagno di Hitler, la strepitosa serie delle maschere di Inge Morath, realizzata con Saul Steinberg, gli iconici volti dei contadini durante la Grande Depressione di Dorothea Lange, il sorprendente servizio di Eve Arnold su una sfilata di moda ad Harlem negli anni Cinquanta e i rivoluzionari scatti di Annie Leibovitz per una epocale edizione del Calendario Pirelli.

Un viaggio per immagini nell’evoluzione del linguaggio fotografico mondiale, con una specifica attenzione allo “sguardo femminile”, a partire dagli anni Trenta del Novecento, quando grazie all’affermazione delle prime riviste illustrate la fotografia è diventata il principale linguaggio della comunicazione contemporanea.

In mostra, dunque, sarà possibile seguire questa evoluzione attraverso i grandi reportage di guerra e i cambiamenti dei costumi sociali, la ricostruzione post-bellica e le questioni di genere, l’affermarsi della società dei consumi e l’osservazione del ruolo della donna nei paesi extra-occidentali.

L’idea guida è stata, infatti, quella di allestire una mostra senza precedenti in Italia e non solo, dedicata al lavoro delle autrici che, dagli anni ’30 alla contemporaneità, hanno interpretato la fotografia come strumento di indagine e di riflessione, con registri espressivi talvolta poetici, in altri casi più crudi, sui grandi temi che hanno attraversato la società nei diversi segmenti temporali del XX e degli inizi del XXI secolo.

La selezione ampia per quantità e qualità di nomi e di opere che è stata operata in questo caso (30 autrici e 314 opere), fa si che “Essere Umane” si candidi ad essere la prima e la più importante in Italia e non solo, come ricognizione di ampio respiro internazionale e di valore storico, artistico e culturale.

Le sezioni

La prima sezione dedicata agli anni ’30-’50, va dalla serie realizzata dall’americana Dorothea Lange durante la crisi americana degli anni ’30 per la FSA (Farm Security Administration), a quelle di Lee Miller, anche lei americana, eseguite nell’appartamento di Hitler alla fine della seconda guerra mondiale, dalle serie “inglesi” della tedesca Giséle Freund alle fotografie scattate in Italia dall’americana Ruth Orkin (tra cui la celebre American Girl in Italy) nel 1951, dalle immagini della serie “Reflections” dell’austriaca Lisette Model, che indagano il tema del consumismo americano, alle fotografie del periodo messicano dell’italiana Tina Modotti, durante il quale conobbe e fotografò, tra l’altro, gli artisti Diego Rivera e Frida Kahlo.
E poi ancora, sempre nella prima sezione, saranno presenti altre tre autrici statunitensi: Berenice Abbott, già assistente di Man Ray negli anni ’20 a Parigi, Margareth Bourke-White, la prima fotografa straniera a cui fu permesso di scattare fotografie nella allora Unione Sovietica e infine la serie sulle sfilate di donne afro-americane ad Harlem dell’americana Eve Arnold (proprio queste immagini convinsero Henri Cartier-Bresson a chiamare la Arnold alla Magnum, prima donna insieme ad Inge Morath a far parte della prestigiosa agenzia fotografica parigina fondata da Robert Capa).
Da segnalare infine la recente acquisizione di 10 opere di Gerda Taro scattate durante la guerra civile spagnola degli anni ’30.
Nella seconda sezione, dagli anni ‘60 agli anni ’80, si andrà dalla “Mask series” nata dall’incontro tra l’austriaca Inge Morath e il grande disegnatore rumeno naturalizzato americano Saul Steinberg agli inizi degli anni ’60, alle immagini inquietanti e spesso controverse di personaggi singolari dell’americana di origini russe Diane Arbus, dalle fotografie  di denuncia delle condizioni degradanti delle Carnival Strippers dell’americana Susan Meiselas, alle fotografie scattate tra gli indiani dell’Amazzonia Yanomami dalla brasiliana Claudia Andujar, protagonista di una recente personale alla Fondazione Cartier di Parigi, o ancora quelle della serie dedicata negli anni ’70-’80 alla comunità matriarcale di Juchitan, in Messico, da Graciela Iturbide, fino a quelle che l’indiana Dayanita Singh ha scattato per oltre dieci anni Mona Ahmed, stringendo con lui un rapporto di profonda amicizia che traspare nelle immagini pervase di intima e spesso poetica partecipazione.
Molto importante, in questa sezione, lo spazio dedicato ad alcune tra le più autorevoli esponenti della fotografia italiana come Carla Cerati, con immagini da “Mondo cocktail”, serie dedicata alla realtà borghese dei cocktail party milanesi, Lisetta Carmi con la serie del 1965 dedicata alla comunità di travestiti che aveva occupato l’ex ghetto ebraico di Genova, Paola Mattioli con i celebri autoritratti degli anni ’70, e Letizia Battaglia, con le immagini dedicate alle bambine di Palermo e agli omicidi della mafia.
Una sezione speciale, infine, sarà dedicata ai ritratti di tredici donne di spicco di vari settori, dall’imprenditoria allo sport, dalla musica al cinema, realizzati da una delle più celebri fotografe del mondo, Annie Leibovitz, per l’iconico Calendario Pirelli 2016.
Più articolata la sezione finale dedicata agli anni tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo.
Anche in questo caso di alcune autrici saranno esposte immagini appartenenti a singoli progetti, come i ritratti della sudafricana Zanele Muholi, protagonista della Biennale di Venezia del 2019, oppure le immagini dell’iraniana Newsha Tavakolian,  membro dell’agenzia Magnum, che ritraggono le donne-guerrigliere delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), o ancora le foto della serie “Baba Yaga” della russa Nanna Heitmann dedicate agli abitanti dello Yanisei, il grande fiume siberiano ai confini con la taiga o quelle della ceca Jitka Hanzlova con la serie “Female”, una serie di ritratti femminili eseguiti tra Europa e Stati Uniti, fino alle immagini dedicate alle difficili condizioni delle donne iraniane da Shadi Ghadirian e quelle della figlia di Letizia Battaglia, Shobha.
La sezione si concluderà con una suggestiva installazione di immagini della serie “Afronauts” della spagnola Cristina De Middel, recentemente nominata membro associato di Magnum Photos, e due immagini di grandi dimensioni della cinese Cao Fei dedicate, come gran parte del suo lavoro, alla realtà quotidiana del suo Paese.
Quest’ultima sezione ospiterà infine la presenza della forlivese Silvia Camporesi, con un lavoro dal titolo “Domestica”, una installazione di 30 fotografie scattate durante il recente lockdown.

Dal 18 Settembre 2021 al 30 Gennaio 2022 – Musei San Domenico – Forlì

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ROBERT DOISNEAU

Il più bel bacio della storia della fotografia? Impossibile stabilirlo.
Ma è certo che un posto sul podio spetta all’immagine della giovane coppia, indifferente alla folla dei passanti e al traffico della place de l’Hôtel de Ville di Parigi.
L’autore è Robert Doisneau, il grande maestro della fotografia cui Palazzo Roverella renderà omaggio nell’autunno 2021 attraverso una mostra originale, capace di rivelare al pubblico delle opere la cui vocazione è, appunto, catturare momenti di felicità come questo.

Insieme a Henri Cartier-Bresson, Doisneau è considerato uno dei padri fondatori della fotografia umanista francese e del fotogiornalismo di strada. Con il suo obiettivo cattura la vita quotidiana degli uomini e delle donne che popolano Parigi e la sua banlieue, con tutte le emozioni dei gesti e delle situazioni in cui sono impegnati.

Questa mostra a Palazzo Roverella abbraccia la sua opera senza distinzioni cronologiche né alcun criterio di genere o tema, affiancando fabbriche, banconi di bistrot, portinerie, cerimonie, club di jazz, scuole o scene di strada in generale. Che si tratti di fotografie realizzate su commissione o frutto del suo girovagare liberamente per Parigi, vediamo delinearsi uno stile impregnato di una particolare forma mentis, che traspare anche nei suoi scritti e nelle didascalie delle foto; uno stile che mescola fascino e fantasia, ma anche una libertà d’espressione non lontana dal surrealismo. Se lo stile è l’uomo (come dice Buffon), allo stesso modo la fotografia si identifica con alcuni dei suoi soggetti per esprimere una sorta di inquietudine o malinconia.

Un racconto – quello proposto dal curatore di questa mostra, Gabriel Bauret – condotto attraverso 130 stampe ai sali d’argento in bianco e nero, provenienti dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau a Montrouge. È in questo atelier che il fotografo ha stampato e archiviato le sue immagini per oltre cinquant’anni, ed è lì che si è spento nel 1994, lasciando un’eredità di quasi 450.000 negativi.
Quello di Doisneau è un raccontare leggero, ironico, che strizza l’occhio con simpatia alla gente. Che diventa persino teneramente partecipe quando fotografa innamorati e bambini.

“Quello che cercavo di mostrare era” – ricorda l’artista – “un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere. “

“Mi piacciono – continua – le persone per le loro debolezze e difetti. Mi trovo bene con la gente comune. Parliamo. Iniziamo a parlare del tempo e a poco a poco arriviamo alle cose importanti. Quando le fotografo non è come se fossi lì ad esaminarle con una lente di ingrandimento, come un osservatore freddo e scientifico. È una cosa molto fraterna, ed è bellissimo far luce su quelle persone che non sono mai sotto i riflettori.”“Il fotografo deve essere come carta assorbente, deve lasciarsi penetrare dal momento poetico. La sua tecnica dovrebbe essere come una funzione animale, deve agire automaticamente.”

Dal 23 Settembre 2021 al 31 Gennaio 2022 – Palazzo Roverella – ROVIGO

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MISA. IL FIUME – Fotografie di Federica Bizzarri – Simone Francescangeli – Giorgio Granatiero – Andrea Secco

La mostra racconta il Misa, la strada d’acqua più importante per il territorio di Senigallia (che ne viene attraversata) e che ha origine nell’entroterra, a 45 chilometri dal mare. Il risultato è un’esposizione complessa. Attraverso le 32 opere esposte, da un lato viene comunicato cosa è il fiume e come la presenza umana possa interagire in modo armonioso con esso, vivendoci a contatto, apprezzandone le sue sfumature. Dall’altro lato, il pesante sfruttamento che il Misa subisce ogni giorno affiora visibilmente dall’acqua sotto forma di reperti improbabili, mostrando una vicenda pesante di abuso, impoverimento idrico e faunistico – tra l’altro – e umiliazione della Natura.

a cura di Simona Guerra

28 agosto > 5 settembre 2021  – Spazio Piktart – Senigallia

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Edoardo Romagnoli, Tulimì

La ricerca di Edoardo Romagnoli continua e si approfondisce, sempre su un soggetto poetico, il tulipano. La cura nella composizione dell’immagine, inedita e fantastica tipica dell’artista, è ottenuta tramite l’uso sapiente del mosso e del doppio scatto. In tema con il contest del Photofestival 2021 “La natura e la città, segni di un tempo nuovo”, la mostra Tulimì, (tulipani a Milano) si sviluppa attorno alla figura del tulipano. Fiori, coltivati sul balcone con un tempo lento dettato dalla natura, attraverso la scelta dei vasi, la preparazione del terreno, la messa a dimora dei bulbi seguita da rare ma indispensabili innaffiature, fino alla scelta, durante la fioritura, dei fiori più belli che diventeranno immortali. Delicatamente disposti in vasi di vetro di Murano, osservati a lungo, quasi spiati, alla ricerca della forma e del colore assoluto, arrivando in alcuni casi al singolo pixel. L’eleganza dei fiori, la loro fragilità e caducità, insieme alla sensualità dell’esplosione della fioritura e al languore della sfioritura, vengono colti, illuminati e moltiplicati dallo sguardo disorientante e spiazzante di Romagnoli. Si rimane spaesati, stupiti e immersi in emozioni di armonia, equilibrio e attrazione, di fronte all’esaltazione della bellezza della natura più colorata, di Milano.

Questa mostra fa parte del circuito PHOTOFESTIVAL 16TH MILANO La natura e la città. Segni di un tempo nuovo

23 settembre – 22 ottobre 2021 – Studio Masiero – Milano

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La Forma è il contenutoMatteo Abbondanza

In esposizione 25 opere, stampate in 60×40 cm, tratte dai progetti “My Imagination” e “My Vision”. Tutte le opere saranno in vendita.

Dal 28/8 al 10/9 – M.A.D Mantova Arte Design – Mantova

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Andrea Borgatta – Le loro Maldive

Tutti noi conosciamo le Maldive.
Abbiamo tutti un parente o un amico che c’è stato; significano spiagge bianche, acque trasparenti e vita in costume da bagno… “le nostre Maldive”.
E invece quanti di noi sanno che sono una nazione Mussulmana, dal più alto tasso di foreign fighters tra le nazioni non arabe? Una nazione in cui ai cittadini normali non arriva nemmeno un centesimo dei 3,5 miliardi di Dollari di introiti del turismo, destinati a 5-6 faccendieri ben introdotti e vicini al Presidente.
I 100.000 abitanti di Male, un terzo del totale dei maldiviani, vivono condizioni di vita impossibili. La capitale è una piccola sovrappopolata isola di povertà, eroina, violenza di strada, in cui è comune sentirsi dire “Tutto è meglio di Male. Persino la Siria”
La qualità della vita migliora per gli abitanti delle 200 piccole isole abitate sparse negli atolli più lontani grazie alla pesca e al piccolo artigianato per il turismo.
Quel turismo che vede noi stranieri arrivare all’aeroporto di Male per correre alle partenze degli idrovolanti, seccati per quell’ora di attesa che ci separa dal nostro agognato resort … un luogo in cui l’unico contatto con i maldiviani è al momento dei pasti o nella sfida sportiva ospiti conto staff di metà settimana. Per il resto del tempo qualsiasi rapporto è severamente vietato.

Le cose non cambiano in molte delle Guesthouse, l’alternativa ai resort da 500$ a notte nata dalla volontà di Nasheed, Presidente dalla breve carriera, di distribuire la ricchezza originata dal turismo. Osteggiate dal potere più reazionario, quelle realmente gestite da maldiviani si contano sulle punte delle dita.
Arrivare in luoghi come Himandhoo, l’isola più islamizzata delle Maldive, nell’atollo di Ari, è disorientante se non sei psicologicamente preparato … selvaggia, essenziale… donne in niqab che ti guardano in tralice o rifiutano il tuo sguardo … ragazzi che giocano per le strade in sabbia battuta, bambine nemmeno teenager che già indossano il niqab … gli uomini, solo gli anziani sono seduti lungo la via, i giovani sono via, a pesca o nei resorts.
Il Muezzin che chiama alla moschea segna il passare del tempo. Tutto è così semplice e selvaggio, disorientante e affascinante, umile ma nobile… “le loro Maldive”

Dall’11 settembre al 3 ottobre – Cascina Roma – S. Donato Milanese

Passages – Tina Cosmai

8 SETTEMBRE – 6 NOVEMBRE 2021 – Alessia Paladini Gallery – Milano

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Mostre di fotografia in programma a ottobre

Ciao a tutti!

E’ quanto mai ricco il calendario delle mostre da vedere ad ottobre.

Spero ne troviate qualcuna di vostro interesse.

Ciao

Anna

Don’t let my mother know

Sara Munari

Mi chiamo Sara Munari, sono nata nel 1930 a Milano, in Italia.

La mia famiglia è emigrata a New York l’anno successivo. Quasi per caso, a 18 anni, inizio a lavorare per l’Ente spaziale Americano, che allora si chiamava Naca (National Advisory Committee for Aeronautics) formata nel 1915 e nata per supervisionare e gestire gli studi scientifici legati al ‘volo’. Nel 1958 fondiamo la Nasa (National Aeronautics and Space Administration) l’agenzia governativa civile responsabile del programma spaziale degli Stati Uniti d’America e della ricerca aerospaziale. Nel 1959 creo un settore personale la RASA (Rational Aeronautics and Space Administration e acronimo del mio nome) che si occupa solo di avvenimenti considerati realmente accaduti perché scientificamente provati (da qui Rational) Io sono quello che viene definito ‘membro occulto’ quindi il mio nome non è mai potuto comparire per ragioni di sicurezza,  così come il settore RASA. Dopo innumerevoli studi, tenuti nascosti fino ad oggi, posso dire di aver scoperto la vita su un altro Pianeta. Il nome che ho dato al pianeta è Musa 23. Gli abitanti sono umanoidi e io mi sono confrontata sempre e solo con uno di loro, l’ho chiamato x23. Sono stata su musa 23 in diverse occasioni. Ho 88 anni, ho piena facoltà di intendere e di volere. Qui ci sono i miei studi e le mie scoperte. Dopo quello che vi mostrerò non avrete più dubbi.

Finalmente posso raccontare tutto.

Sara Munari

Inaugurazione Giovedi 1 Ottobre ore 19.00

Musa fotografia – Via Mentana, 6 – Monza

Solo per un giorno.

Prima, donna. Margaret Bourke-White

Construction workers and taxi dancers enjoying a night out in bar room in frontier town. LIFE magazine’s first photo essay.

Una straordinaria retrospettiva per ricordare un’importante fotografa, una grande donna, la sua visione e la sua vita controcorrente.

La mostra raccoglie, in una selezione del tutto inedita, le più straordinarie immagini realizzate da Margaret Bourke-White – tra le figure più rappresentative ed emblematiche del fotogiornalismo – nel corso della sua lunga carriera. Accanto alle fotografie, una serie di documenti e immagini personali, video e testi autobiografici, raccontano la personalità di un’importante fotografa, una grande donna, la sua visione e la sua vita controcorrente.

Pioniera dell’informazione e dell’immagine, Margaret Bourke-White ha esplorato ogni aspetto della fotografia: dalle prime immagini dedicate al mondo dell’industria e ai progetti corporate fino ai grandi reportage per le testate più importanti come Fortune Life; dalle cronache visive del secondo conflitto mondiale ai celebri ritratti di Stalin e Gandhi, dal Sud Africa dell’apartheid all’America dei conflitti razziali fino al brivido delle visioni aeree del continente americano.

Sarà possibile ammirare oltre 100 immagini, provenienti dall’archivio Life di New York e divise in 11 gruppi tematici – L’incanto delle acciaierieConca di PolvereLifeSguardi sulla RussiaSul fronte dimenticatoNei campiL’India, Sud AfricaVoci del Sud biancoIn alto e a casaLa mia misteriosa malattia – che, in una visione cronologica, rintracciano il filo del percorso esistenziale di Margaret Bourke-White e mostrano la sua capacità visionaria e insieme narrativa, in grado di comporre “storie” fotografiche dense e folgoranti.

L’esposizione rientra ne “I talenti delle donne”, un palinsesto promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano dedicato all’universo delle donne: “I talenti delle donne” intende far conoscere al grande pubblico quanto, nel passato e nel presente – spesso in condizioni non favorevoli – le donne siano state e siano artefici di espressività artistiche originali e, insieme, di istanze sociali di mutamento. Si vuole  rendere visibili i contributi che le donne nel corso del tempo hanno offerto e offrono in tutte le aree della vita collettiva, a partire da quella culturale ma anche in ambito scientifico e imprenditoriale, al progresso dell’umanità. L’obiettivo è non solo produrre nuovi livelli di consapevolezza sul ruolo delle figure femminili nella vita sociale ma anche aiutare concretamente a perseguire quel principio di equità e di pari opportunità che, dalla nostra Costituzione, deve potersi trasferire nelle rappresentazioni e culture quotidiane.

Dal 25 settembre al 14 febbraio 2021 – Palazzo Reale – Milano

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Cindy Sherman at Fondation Louis Vuitton

Cindy Sherman, 45 anni di «selfie»: la fotografia come strategia di genere

The Fondation Louis Vuitton is hosting the first show dedicated to Cindy Sherman since her 2006 solo exhibition at the Jeu de Paume.  “Cindy Sherman at Fondation Louis Vuitton” (initially scheduled for April 2 to August 31, 2020) brings together some 170 works by the artist produced between 1975 and 2020 – more than 300 images from series including Untitled film stills, Rear Screen Projections, Fashion, History Portraits, Disasters, Headshots, Clowns, Society Portraits, Murals, and Flappers, as well as a new set of images presenting male figures and couples.  In a scenography designed in close collaboration with Cindy Sherman, this presentation covers her entire career while also focusing on works she has created since the beginning of the last decade, including a series of very recent and previously unseen works.

To coincide with this retrospective, Fondation Louis Vuitton will present “Crossing Views” a selection of works from its Collection, chosen together with Cindy Sherman. Echoing her work, the installed artworks, spread out over two floors, will be centered on the theme of the portrait and its interpretations across different disciplines and mediums: painting, photography, sculpture, video, installation.  The exhibition brings together some 20 French and international artists of different generations and backgrounds through some 60 works, many of which are being shown for the very first time at the Fondation. 

From 23 September 2020 to 3 January 2021 – Fondation Louis Vuitton – Paris

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CAPA IN COLOR

Curata dall’International Center of Photography (ICP) di New York, presenta per la prima volta al grande pubblico le fotografie a colori di Robert Capa.

Per la prima volta in Italia, i Musei Reali presentano una raccolta di oltre 150 immagini a colori del grande fotografo. 

L’esposizione è nata da un progetto di Cynthia Young, curatrice della collezione al Centro Internazionale di Fotografia di New York, per illustrare il particolare approccio di Capa verso i nuovi mezzi fotografici e la sua straordinaria capacità di integrare l’uso del colore nei reportage realizzati tra il 1941 e il 1954, anno della morte.

La mostra è organizzata dai Musei Reali con il Centro Internazionale di Fotografia di New York e Ares Torino.

Dal 26 Settembre 2020 al 31 Gennaio 2021 – Musei Reali Torino – Sale Chiablese

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ROBERT DOISNEAU

Il più bel bacio della storia della fotografia? Impossibile, certo, stabilirlo.
Ma è certo che un posto sul podio spetta all’immagine di questa giovane coppia, indifferente alla folla dei passanti e al traffico della place de l’Hôtel de Ville di Parigi.
L’autore è Robert Doisneau, il grande maestro della fotografia cui Palazzo Roverella renderà omaggio nell’autunno 2020 attraverso una mostra originale, capace di rivelare al pubblico delle opere la cui vocazione è, appunto, catturare momenti di felicità come questo.
Insieme a Henri Cartier-Bresson, Doisneau è considerato uno dei padri fondatori della fotografia umanista francese e del fotogiornalismo di strada. Con il suo obiettivo cattura la vita quotidiana degli uomini e delle donne che popolano Parigi e la sua banlieue, con tutte le emozioni dei gesti e delle situazioni in cui sono impegnati.
Il suo è un racconto leggero, ironico, che strizza l’occhio con simpatia alla gente. Che diventa persino teneramente partecipe quando fotografa innamorati e bambini.
“Quello che cercavo di mostrare era – ricorda l’artista – un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere. “
“Mi piacciono – continua – le persone per le loro debolezze e difetti. Mi trovo bene con la gente comune. Parliamo. Iniziamo a parlare del tempo e a poco a poco arriviamo alle cose importanti. Quando le fotografo non è come se fossi lì ad esaminarle con una lente di ingrandimento, come un osservatore freddo e scientifico. È una cosa molto fraterna, ed è bellissimo far luce su quelle persone che non sono mai sotto i riflettori.”
“Il fotografo deve essere come carta assorbente, deve lasciarsi penetrare dal momento poetico. La sua tecnica dovrebbe essere come una funzione animale, deve agire automaticamente.”

Doisneau nasce nel 1912 nel sobborgo parigino di Gentilly, la sua formazione come fotografo nasce dall’apprendistato nel laboratorio di un fotografo pubblicitario. Ma la sua attenzione si trasferisce presto ai quartieri popolari di Parigi e della banlieue, immagini che cominciano a comparir sulle riviste attraverso l’agenzia Rapho, di cui è uno dei membri più importanti. Poi la guerra lo spinge a mettersi a disposizione della resistenza per dare nuova identità ai ricercati. Dopo la Liberazione, ecco alcuni reportages per “Vogue” e, nel ’49 il libro realizzato in collaborazione col suo sodale, il celebre scrittore Blaise Cendrars, La Banlieue de Paris, la prima sintesi dei molti racconti per immagini che dedicherà a questo mondo. Doisneau ne descrive la quotidianità, componendo un racconto visivo in cui si mescolano una profonda umanità e una nota di umorismo, sempre presente nel suo lavoro.

Dal 26 Settembre 2020 al 31 Gennaio 2021 – Rovigo -Palazzo Roverella

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Le mostre del Festival della Fotografia Etica di Lodi

L’undicesimo anno è, per il Festival della Fotografia Etica di Lodi, il momento di mutare pelle e rinnovarsi. E succede in un anno, il 2020, in cui molto è cambiato e sta cambiando a livello globale, come raramente è capitato nei tempi moderni.
Sguardi sul nuovo mondo è infatti, e non a caso, la lente attraverso la quale pensare a questa nuova edizione in cui saremo come esploratori appena giunti su terre sconosciute. Il linguaggio attraverso cui conoscere i fatti e le dinamiche del nuovo mondo sarà, come sempre, quello universale della fotografia. Con l’obiettivo di tendere non tanto a un giudizio definitivo sulle cose del mondo, quanto alla comprensione della sua complessità. Magari ponendo il dubbio su opinioni e certezze che avevamo fino a poco prima.

Ecco un assaggio di cosa vi attenderà a Lodi, in attesa del programma definitivo.

Cuore del Festival, il World Report Award. Sei le sezioni che lo comporranno, con i relativi vincitori scelti dalla Giuria composta da Alberto Prina – Festival della Fotografia Etica, Aldo Mendichi – Festival della Fotografia Etica, Sarah Leen- Ex Photo Editor del National Geographic, Peter Bitzer, Direttore dell’agenzia Laif.
A partire dalla categoria MASTER, vinta dal russo Nikita Teryoshin con Nothing Personal – the back office of war, viaggio nel dietro le quinte del business mondiale della difesa e il back office della guerra; la categoria SPOTLIGHT va alla britannica Mary Turner e alla sua Dispossessed, racconto dei problemi sociali del nord-est dell’Inghilterra a causa della crisi dell’industria carbone; la sezione SINGLE SHOT con lo scatto singolo di Francesca Mangiatordi sull’infermiera di Cremona; la categoria SHORT STORY è stata vinta dall’italiana Rosa Mariniello con Vitiligo, racconto intimo nel mondo della vitiligine; il tedesco Ingmar Björn Nolting si è aggiudicato la categoria STUDENT con il lavoro Measure and Middle – a journey through Germany during the COVID-19 Pandemic, un viaggio che racconta la Germania durante il lockdown; infine la categoria MADRE TERRA, che è anche lo spazio tematico del Festival, vinta dall’italiano Dario De Dominicis con To the Left of Christ, che ci porta nella baia di Guanabara, il porto naturale di Rio de Janeiro, dove lo sviluppo industriale si sta accaparrando il territorio a discapito della pesca tradizionale.

Madre Terra sarà anche il nome del nuovo spazio che racchiude tre reportage sul tema: Pablo Ernesto Piovano con l’intensa The awakening of ancient voices, in cui storia racconta la lotta per la propria sopravvivenza della comunità Mapuche in Sudamerica; il pluripremiato fotografo canadese Aaron Vincent Elkaim con A State of Erosion: 2016-2019, che racconta le difficoltà delle comunità dei nativi nella provincia di Manitoba, in Canada, a seguito della crisi del settore idroelettrico; infine l’olandese Jasper Doest con Flamingo Bob, bellissima storia di un fenicottero rosso divenuto testimonial ufficiale FDOC. Queste mostre saranno all’aperto, negli spazi pubblici della città. La fotografia esce quindi dai palazzi e dalle sedi espositive per incontrare il pubblico nelle strade e nei parchi.

Ma tornando al sottotitolo dell’edizione di quest’anno, grande attenzione sarà per la sezione Uno Sguardo sul Mondo che propone quattro percorsi: due sono proposti da AFP che attraverso lo sguardo di diversi fotografi andrà a raccontare il Covid nel mondo e le recentissime proteste ad Hong Kong; il britannico Andrew Testa, invece, con la sua A nation divided racconterà, tra il 2015 e il 2020, l’Inghilterra al tempo della Brexit; l’australiano Matthew Abbott ci porta nella Black Summer, ossia la stagione degli incendi che ogni anno devasta violentemente l’entroterra della sua isola.

Uno spazio del tutto nuovo sarà Storie di Coraggio, che ospiterà due mostre di grande impatto: la fotografa americana Maggie Stebber, che ha documentato il primo trapianto facciale negli Stati Uniti ad una paziente molto giovane; il neozelandese Robin Hammond con un importante lavoro sulle questioni di genere.

Il mondo delle organizzazioni umanitarie sarà piuttosto articolato: a partire dalla mostra del fotografo Alessio Romenzi che ha seguito Medici Senza Frontiere in azione proprio nel Lodigiano durante l’emergenza Covid.
Sono previsti altri spazi per ONG che utilizzano la fotografia come strumento di comunicazione.

Immancabile l’appuntamento con il Premio Voglino che quest’anno è stato assegnato al torinese Giorgio Negro e al suo Pathos, che racconta la dualità Bene e Male, che è sempre affilata durante il tempo di guerra che il fotografo ha sperimentato in prima persona.

Altra importante novità di quest’anno, il coinvolgimento e il sostegno del Comune di Codogno, prima città della zona rossa. Attraverso la collaborazione con Roma Fotografia e il magazine Il Fotografo sarà raccontato l’impatto del virus che ha cambiato il pianeta attraverso storie che offriranno una visione globale e una locale del periodo storico che stiamo vivendo.

Contemporaneamente al Festival si svolgerà FFE OFF, un circuito di mostre fotografiche, esposte in negozi, bar, ristoranti, gallerie, circoli culturali e aree pubbliche della città.

Dal 26 settembre al 25 ottobre – Lodi e Codogno – sedi varie

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Ren Hang, photography

La Fondazione Sozzani presenta “Ren Hang, photography” per la prima volta a Milano. Con oltre ottanta fotografie, video, libri e riviste, la retrospettiva è dedicata a uno dei più importanti fotografi della Cina contemporanea, tragicamente scomparso nel 2017 a soli ventinove anni. La fotografia di Ren Hang è un inno all’uomo, al suo corpo, alla sessualità, alla bellezza e alla vulnerabilità. Le sue immagini mettono in relazione i sentimenti, i desideri, le paure e la solitudine delle giovani generazioni in Cina in modo quasi ironico, attraverso la loro corporeità. Il nudo è al centro del suo lavoro perché, racconta Ren: “gli esseri umani vengono al mondo nudi, quindi il corpo nudo rappresenta la versione originaria delle persone. Fotografando nudi, si coglie l’esistenza più reale e autentica”.

13 settembre 2020 – 29 novembre 2020 – Galleria Sozzani – Milano

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Le mostre di Colorno Photo Life

“Il Tempo, intorno a noi”, questo il tema dell’edizione 2020 di ColornoPhotoLife la manifestazione dedicata alla fotografia allestita nella Reggia di Colorno dal 12 settembre all’ 8 novembre. .

Nel piano nobile torna la grande fotografia con gli scatti di importanti fotografi del panorama nazionale e internazionale; un grande fotografo emiliano Franco Fontana e le sue immagini della Route 66 saranno i protagonisti insieme all’ inglese Michael Kenna con il nuovo e inedito progetto dedicato al Po. Entrambe le mostre sono a cura di Sandro Parmiggiani.

Il festival fotografico giunto all’undicesima edizione è organizzato dal Circolo Fotografico Color’s Light e da Antea. Progetti e Servizi per la Cultura e il Turismo grazie alla collaborazione con la Provincia di Parma, il patrocinio del Comune di Colorno e il sostegno di importanti istituzioni cittadine.

12 settembre al 8 novembre 2020 – Franco Fontana “Route 66”

16 ottobre al 8 novembre 2020 – Michael Kenna “Fiume Po”

Reggia di Colorno (PR)

Attraversare l’immagine
Donne e fotografia tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta

La Biennale Donna è lieta di comunicare le nuove date e la nuova sede in cui si svolgerà la XVIII edizione della manifestazione.
La mostra Attraversare l’immagine. Donne e fotografia tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, a cura di Angela Madesani, inizialmente prevista in aprile, sarà allestita presso i suggestivi spazi di Palazzina Marfisa d’Este (Corso Giovecca 170, Ferrara) dal 20 settembre al 22 novembre 2020. 
Presenterà le opere di 13 fotografe italiane e internazionali: Paola Agosti, Diane Arbus, Letizia Battaglia, Giovanna Borgese, Lisetta Carmi, Carla Cerati, Françoise Demulder, Mari Mahr, Lori Sammartino, Chiara Samugheo, Leena Saraste, Francesca Woodman e Petra Wunderlich.
Il progetto si inserisce nella riflessione che dal 1984 lUDI – Unione Donne in Italia, dedica alla creatività femminile in tutte le sue forme e linguaggi. Dopo le mostre che hanno presentato alcune delle artiste più rilevanti della scena internazionale, ultima delle quali Ketty La Rocca (2018), Attraversare l’immagine indagherà il mondo della fotografia al femminile mettendone in luce i filoni di ricerca più originali.
 
Numerose sono state, soprattutto negli ultimi anni, le rassegne dedicate alla fotografia delle donne. Nella maggior parte dei casi si è trattato di esposizioni che hanno presentato le opere di artiste e fotografe senza porre differenze fra i diversi ambiti di ricerca. Attraversare l’immagine invece si concentra sulle fotografe attive in un periodo di impegno politico e sociale portante nella storia del cosiddetto secolo breve, caratterizzato da grandi mutamenti di cui le donne sono state protagoniste.
La mostra si apre con ricerche a sfondo antropologico della fine degli anni Cinquanta per arrivare agli anni Sessanta, che hanno segnato l’avvio di significative lotte in nome di un cambiamento radicale della cultura e della società, per il raggiungimento di libertà individuali e di conquiste democratiche. Raggiungimenti che gli anni Settanta avrebbero estremizzato, animando, sullo sfondo di drammatici conflitti, il rapporto tra politica e cultura. Gli anni Ottanta hanno poi costituito in qualche modo il momento del riflusso: le grandi battaglie condotte per i diritti civili, per l’emancipazione delle classi sociali, delle donne, degli emarginati, sono defluite verso modi diversi di avvertire l’esistenza, soppiantando le pratiche collettive, delle quali l’arte e la fotografia si erano rese interpreti, a favore di un sentire più individuale.
Le fotografe hanno saputo registrare tali cambiamenti, concentrando il proprio sguardo su temi scottanti connessi al sociale, al patrimonio antropologico, alla sfera psicologica.
 
La mostra si apre con l’opera di Diane Arbus (1923-1971), una delle più interessanti artiste della seconda metà del XX secolo, la cui ricerca ha fatto da cerniera, da punto di svolta, a quanto era stato fatto sino a quel momento nel campo dell’immagine. Le sue fotografie hanno come soggetto i mondi paralleli alla normalità, mondi negati, che Arbus riesce a raccontare nella sua verità e crudezza, arrivando a realizzare alcune fra le fotografie più iconiche dei nostri tempi.
Continuando nel percorso espositivo, due sono i lavori che potremmo collocare nell’ambito del fotoreportage tradizionale, con una chiara propensione all’indagine sociale e antropologica. Di Chiara Samugheo (1935), alcune fotografie di ambito neorealista, parte della serie dedicata alle tarantate salentine della fine degli anni Cinquanta. Di Lori Sammartino (1924-1971), le fotografie tratte da La domenica degli italiani, un volume del 1961, corredato da un testo di Ennio Flaiano, che racconta un’Italia semplice negli anni precedenti il boom economico.
Presente una selezione di opere da Morire di classe di Carla Cerati (1926-2016), pubblicato nel 1969 con Gianni Berengo Gardin per Einaudi. Una delle ricerche più significative e conosciute dell’artista, che ha contribuito a mutare la situazione manicomiale nel nostro Paese.
Di grande forza le immagini di Letizia Battaglia (1935), che in sessant’anni di ricerca ha indagato potere criminale, prepotenza e corruzione in Sicilia, di cui sono esposte una serie di fotografie dedicate al mondo femminile.
La mostra propone anche riflessioni dedicate ai mondi extraeuropei: due reportage di guerra ambientati in Libano e in Cambogia della francese Françoise Demulder (1947-2008), la prima donna a vincere nel 1977 il World Press Photo, il più prestigioso premio fotografico del mondo; mentre della finlandese Leena Saraste (1942) sono presentate le immagini dedicate alle “rovine” umane e architettoniche del conflitto israelo-palestinese dell’inizio degli anni Ottanta.
Impegnata nella documentazione del mutamento della condizione femminile è Paola Agosti (1947), tra le più acute fotogiornaliste italiane, di cui viene presentato un intenso reportage sull’apartheid realizzato negli anni Ottanta in Sudafrica.
È legata al mondo genovese del porto la preziosa indagine di Lisetta Carmi (1924): una ricerca in cui l’uomo, il paesaggio, l’architettura giocano ruoli equivalenti.
Sono dedicati al mondo dell’industria, nel momento della sua trasformazione, anche i partecipati scatti di Giovanna Borgese (1939), in cui i protagonisti sono i lavoratori e gli scioperanti – oltre agli edifici abbandonati, veri e propri esempi di fotografia industriale. 
La ricerca di Petra Wunderlich (1954), di matrice prettamente architettonica, travalica i confini fra generi e temi aprendo nuovi scenari. Le sue opere indagano il paesaggio dell’uomo e, in particolar modo, quelle esposte in mostra, raccontano dettagli di edifici religiosi tra Germania e Belgio.
Di Mari Mahr (1941), fotografa anglo-ungherese, nata in Cile da genitori ebrei ungheresi, è la raffinata serie, di matrice letteraria e artistica, dedicata a Lili Brik, la scrittrice, artista, attrice russa, compagna e musa di Vladimir Majakovskij.
Chiude la rassegna una piccola ma significativa selezione di opere di Francesca Woodman (1958-1981), artista che ha lavorato sul disagio femminile, il proprio, dando vita a immagini di grande forza e poesia.

Dal 20 Settembre 2020 al 22 Novembre 2020 – Palazzina Marfisa d’Este – Ferrara

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LA PROSSIMA IMMAGINE

Apre mercoledì 30 settembre 2020 alle ore 15 a Forma Meravigli, Milano, La prossima immagine, un progetto espositivo prodotto da Contrasto in collaborazione con Fondazione Forma per la Fotografia e Contrasto Galleria. La mostra, che resterà aperta fino al 18 dicembre, raccoglie e mette a confronto una serie di antiche e pregiate albumine dell’Ottocento, provenienti dal Fondo Antonetto di Fondazione Forma per la Fotografia, con le recenti, insolite, colorate elaborazioni digitali del fotografo americano Bill Armstrong.

Forma Meravigli è un’iniziativa di Fondazione Forma per la Fotografia in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi e Contrasto.

30 settembre – 18 dicembre 2020 – Forma Meravigli – Milano

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NELLO SPAZIO FA FREDDO – AA.VV.

Chippendale Studio inaugura il 7 ottobre a Milano la mostra collettiva multimediale Nello spazio fa freddo.
Le case a igloo del quartiere milanese La Maggiolina, dove lo studio ha sede, hanno ispirato i curatori della mostra che, partendo dalla forma semisferica, ne hanno indagato la ricchezza di significati. Igloo quindi non è solo da intendersi come modello abitativo ma soprattutto come struttura elementare capace di contenere diverse valenze. Da quella di cosmo a quella di utero, fonte di vita, da quella di arca portatrice di salvezza a quella di navicella spaziale, cellula di esplorazione.
Sulla base di una mappa concettuale appositamente disegnata dai curatori della mostra, che esplora i possibili significati da loro individuati intorno al concetto di igloo, gli artisti sono stati invitati a dare la propria interpretazione sul tema.
I contributi raccolti riflettono una molteplicità di significati di carattere biologico e cosmologico, ma anche di stampo sociologico, fantascientifico e poetico. Così il titolo dell’esibizione, Nello spazio fa freddo, vuole evocare lo spazio astronomico, popolato da corpi celesti in equilibrio dinamico, e lo spazio fisico, inteso come distanza e isolamento.
Lavorando sull’idea di accumulo, i video, le fotografie e gli oggetti esposti danno origine a un’esperienza ricca di contaminazioni. Il pubblico è invitato a visitare le diverse postazioni dell’esibizione, avendo così la possibilità di sedersi e soffermarsi su ogni diverso contributo, spaziando dalle immagini stampate ai video, dai file audio ai testi autoriali.
Lo spazio espositivo si trasforma così in un archivio dove i documenti sono le opere in mostra e l’eterogeneità dei significati e dei collegamenti ne sono i protagonisti.
Il progetto è sempre aperto a nuovi contributi e si avvale al momento delle opere di oltre settanta artisti.

7 ottobre – 8 novembre 2020 – CHIPPENDALE STUDIO – Milano

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CONDOMINIUM – LOREDANA CELANO

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Condominium è il progetto fotografico che Loredana Celano ha realizzato nei mesi in cui abbiamo dovuto rimanere in casa a causa del Covid 19.
L’autrice vive in un appartamento di una classica casa di ringhiera milanese in cui le abitazioni private si affacciano su spazi comuni condivisi.
La ricerca della Celano si rivolge con una delicatezza e un profondo senso di vicinanza a coloro che abitano accanto a lei (e anche a se stessa). Lo sguardo si muove sicuro alla ricerca di un contatto, almeno visivo, in un momento di privazione e la struttura stessa dell’edificio la asseconda, facilitando l’incontro e la socialità.
Due i rimandi immediati che questo lavoro mi ha suggerito: la fotografia di Robert Doisneau La maison des locataires e il romanzo di Georges Perec La vita Istruzioni per l’uso. Ne Gli inquilini, questo il titolo con cui è conosciuta in Italiano la fotografia, Doisneau dimostra le sue doti di sperimentatore montando sulla facciata di un palazzo gli interni delle diverse abitazioni e la vita quotidiana che vi si svolge.
L’interno portato all’esterno. Anche Perec immagina uno stabile a cui sia stata tolta la facciata rendendo così immediatamente e simultaneamente visibili le stanze interne. Ogni dettaglio concorre alla costruzione del racconto in un’esplorazione continua lungo le stanze del condominio. Calvino, che ha definito iper-romanzo questo di Perec, scrive: “il senso dell’oggi che è anche fatto di accumulazione del passato e di vertigine del
vuoto, la compresenza continua d’ironia e angoscia, insomma il modo in cui il perseguimento d’un progetto strutturale e l’imponderabile della poesia diventano una cosa sola”.
Loredana Celano compone, muovendosi sulla soglia e alternando bianco e nero e colore, una serie di scatti dalla grande potenza rassicurante e amorevole. Sono finestre e sedie vuote, ringhiere e scale, ritratti. È il dentro e il fuori, il lavoro e l’attesa, la paura e il sorriso, il riposo e l’attività. La quotidianità di ognuno, uguale e differente, l’universale e il particolare. È la vita che scorre. Quando tutto sembra bloccato, quando le strade sono vuote e le persone in casa, si sente forte il silenzio e il battito del cuore.
L’esposizione propone una serie di connessioni (formali, di significato o libere associazioni) e si sviluppa lungo i muri dell’ingresso del condominio stesso e nel cortile. Un omaggio dell’autrice ai suoi vicini di casa.
A cura di Laura Davì

Dal 7 al 31 ottobre – via Resegone, 3 – MILANO

INHABITED DESERTS – John R. Pepper

Lo splendido scenario del centro storico di Todi ospita, dal 3 ottobre al 28 novembre, la mostra fotografica di John R. Pepper dal titolo “Inhabited Deserts”, allestita negli spazi Museo civico e Pinacoteca e nel Complesso del “Nido dell’Aquila”.

In 53 immagini analogiche della sua Leica M6, stampate in grande formato in bianco e nero, senza artifici in post-produzione, John R. Pepper narra il suo viaggio nei più remoti deserti del mondo, facendo scoprire al visitatore della mostra, che lo segue in questa sua formidabile avventura, qualcosa di nuovo su se stesso. Il percorso espositivo è accompagnato da video sul backstage del fotografo, con interviste alle guide che lo hanno accompagnato e ai personaggi incontrati. Un “dietro le quinte” attraverso cui il visitatore potrà comprendere il complesso processo creativo fotografico di Pepper, dai preparativi, allo scatto e alla stampa, condividendo così la piena esperienza dell’artista come se fosse la propria.

 “I deserti hanno sempre affascinato i fotografi” – dicePepper – “La ragione che spesso li porta lì è catturare la bellezza del paesaggio. Una bella sfida, ma non era quello che cercavo: io volevo andare oltre. La mia idea, il mio intento, è stato usare il deserto come il pittore sfrutta la verginità di una tela bianca. Ho cercato di scoprire quali immagini si offrivano al mio sguardo – a volte erano visioni figurative, altre volte astratte e la simbiosi tra il paesaggio che avevo davanti e le immagini sepolte dentro di me. Alla fine di questa ricerca subliminale, la mia fotografia, la mia “tela”, si fa espressione del mio essere profondo, delle mie percezioni di artista”.

Tre anni di lavoro, 18.000 chilometri percorsi nei deserti di Dubai, Egitto, Iran, Israele, Mauritania, Oman, Russia e Stati Uniti, hanno permesso a Pepper di scoprire luoghi che esprimono complessità e diversità emotive oltre che geografiche. Un viaggio soprattutto interiore che emerge dai silenzi delle immagini e palesa la scoperta di quanto questi accomunino l’umanità in incontri intensi e profondi. La mostra “Inhabited Deserts” arriva a Todi dopo aver debuttato nel 2017 a Parigi in occasione della fiera Paris-Photo e compiuto un ciclo espositivo che ha toccato Teheran, Dubai, San Pietroburgo e Tel Aviv dove ha rappresentato l’Italia alla sesta edizione del festival “Photo Is:Rael”.

Dal 3 ottobre al 28 novembre – Museo civico e Pinacoteca Todi

MERISTA’Fatima Bianchi e Ilaria Turba

“Meristà” è la nuova mostra che dal 17 ottobre 2020 Casa Testori dedicherà all’arte contemporanea nel ciclo Pocket Pair. Curata da Giulia Zorzi, presenta il lavoro di due artiste visuali, Ilaria Turba e Fatima Bianchi. Entrambe prendono spunto da elementi della vita personale e familiare e innescano un dialogo incrociato fra di loro che, seguendo i diversi ambienti della casa, la storia del luogo e delle persone che lo hanno abitato in passato e intrecciando diversi linguaggi espressivi, rielaborano il proprio ricordo rendendolo universale. Una memoria fertile e generativa dunque: non solo ricordo, ma vero terreno di scoperte e rivelazioni. Da qui il titolo della mostra “Meristà”, parola inventata che ha origine nel termine meristema, che prende spunto dal suo significato: tessuto vegetale le cui cellule sono capaci di dividersi e riprodursi. Un neologismo che è anche omaggio a Giovanni Testori, grandissimo inventore di lingue proprie.

A completare l’esposizione è un lavoro a quattro mani sull’archivio fotografico della famiglia Testori: una selezione di immagini presentata in due letture intrecciate delle due artiste.

Pocket Pair, ciclo di mostre coordinato da Marta Cereda avviato da Casa Testori nel 2018, riprende un’espressione del gioco del poker che indica la situazione in cui un giocatore ha due carte, di uguale valore, e deve scommettere su di esse. Allo stesso modo, i curatori scommettono su talenti emergenti, due artiste/i dal pari valore, per dar vita a una bipersonale di elevata qualità, allestita al pian terreno di Casa Testori dove sono liberi di incontrarsi, anche all’interno delle singole stanze, di farsi visita, di dialogare da vicino.

dal 17 ottobre al 15 novembre – Casa Testori – Novate Milanese

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GIOVANNI GASTEL. THE PEOPLE I LIKE

«Fotografare è una necessità e non un lavoro. Rendere eterno un “incontro” tra due anime, mi incanta e mi fa sentire parte di un tutto».

Il maestro fotografo si svela nella sua più intima autenticità e consacra il “ritratto” opera artistica d’eccellenza. Al pari della cultura umanistica, Gastel restituisce valore all’uomo e dignità al soggetto autonomo e, attraverso i suoi 200 ritratti in mostra, documenta una parte importante del suo lavoro d’artista in oltre quarant’anni di attività.

Modelle, attrici, artisti, operatori del settore, vip, cantanti, musicisti, politici, giornalisti, designer, cuochi fanno parte del caleidoscopio di fotografie esposte senza un ordine preciso, o un’appartenenza ad un determinato settore o categoria. Come lo stesso Gastel afferma: «The people I like racconta il mio mondo, le persone che mi hanno trasmesso qualcosa, insegnato, toccato l’anima».

15 Settembre 2020 – 22 Novembre 2020 – MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo – ROMA

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L’impronta del reale. William Henry Fox Talbot. Alle origini della fotografia

“La fotografia è l’arte di fissare un’ombra” diceva William Henry Fox Talbot (1800-1877), l’inventore della fotografia su carta, al quale le Gallerie Estensi dedicano, dal 12 settembre 2020 al 10 gennaio 2021, “L’impronta del reale. William Henry Fox Talbot. Alle origini della fotografia”. Si tratta della prima grande retrospettiva italiana che documenta l’attività di questo pioniere della fotografia, mettendo a confronto il suo lavoro con quello di altri fotografi, artisti, scienziati, e documentando i suoi legami con l’Italia, in particolare con Modena. 

Attraverso oltre 100 opere esposte, fra cui disegni fotogenici, calotipi, dagherrotipi, incisioni da dagherrotipi, fotografie contemporanee, la mostra ripercorre le esperienze che portarono alla nascita di questa nuova forma di rappresentazione della realtà. La rassegna propone anche la straordinaria corrispondenza autografa tra William Henry Fox Talbot e l’ottico, matematico, astronomo e studioso di scienze naturali modenese Giovanni Battista Amici (1786-1863), mostrando alcuni strumenti scientifici che furono alla base del rapporto fra i due inventori. Talbot intrattenne, infatti, con lo scienziato modenese, considerato il più importante costruttore italiano di strumenti ottici del XIX secolo, una relazione testimoniata da una serie di lettere e da alcune ‘prove fotografiche’ conservate nella Biblioteca Estense, che l’inventore inglese donò ad Amici. Proprio il ritrovamento di questi materiali, avvenuto nel 1977, diede vita a una mostra curata da Italo Zannier che si tenne al Palazzo dei Musei di Modena.

A quarant’anni da quella iniziativa, “L’impronta del reale. William Henry Fox Talbot. Alle origini della fotografia”, curata da Silvia Urbini con Chiara Dall’Olio, in collaborazione con Fondazione Modena Arti Visive e partner del festival Fotografia Europea, rappresenta, quindi, un approfondimento eccezionale dello studio delle collezioni delle Gallerie Estensi, e allo stesso tempo un’esposizione, attualissima, un evento imperdibile per tutti coloro che si interessano alla storia e all’evoluzione della cultura visiva.

12 settembre 2020 – 10 gennaio 2021 – Galleria Estense – Modena

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Il rigore dello sguardo – AAVV

Franco Fontana

L’archivio della Fondazione 3M custodisce opere composte con quel rigore dello sguardo che accomuna immagini realizzate in epoche diverse da autori famosi e da altri più giovani in un panorama che si offre al piacere della visione. Con l’architettura si misurano Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Ferruccio Leiss e autrici dal gusto contemporaneo come Gianna Spirito e Lia Stein. La ricerca di prospettive insolite accosta Gianni Borghesan, Piergiorgio Branzi, Roberto Spampinato a donne dallo sguardo curioso come Chiara Samugheo e Giancarla Pancera. Leggono il paesaggio come spazio dell’essenzialità Franco Fontana, Federico Vender e Mario Finazzi, interpreta la moda Elio Luxardo, gioca con le forme Lucrezia Roda.

1/15 ottobre – Milano – Palazzo Castiglioni

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SGUARDI A FIOR DI PELLE

Nella sua storia, la fotografia non è rimasta immutabile, ma si è di volta in volta trasformata non solo dal punto di vista estetico e stilistico, ma anche da quello tecnico, passando dalle stampe all’albumina a quelle digitali.
Questa mostra raccoglie un panorama di importanti autori italiani e internazionali che si sono misurati dalla seconda metà dell’Ottocento ad oggi con i più diversi generi, dal ritratto al nudo, dal paesaggio al reportage, dallo still life alla ricerca.
L’elemento che lega fra di loro queste fotografie è la capacità di trasformarsi mantenendo la propria identità che è propria di ogni sistema. Proprio come l’azienda farmaceutica Giuliani, che nel video e nel catalogo che accompagnano la mostra racconta la sua storia fatta di profonde innovazioni. 

05 – 25.10.2020 – Centro Culturale di Milano

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SERGEI VASILIEV. RUSSIAN CRIMINAL TATTOO

In occasione dell’apertura della sua nuova sede, ONO arte è lieta di presentare la mostra “Sergei Vasiliev – Russian Criminal Tattoo” una personale del fotografo Sergei Vasiliev dedicata ad una delle sue serie più famose – quella sui tatuaggi dei detenuti delle carceri russe – che è a tutti gli effetti una storia della Russia dagli anni Settanta alla fine dell’era Sovietica raccontata sulla pelle dei suoi cittadini. La mostra è realizzata in collaborazione con l’associazione Amici dell’Ermitage e Francesco Bigazzi.
 
I tattoo dei criminali sono simboli sbiaditi di una vita dedicata al sangue, alla violenza e come nella tradizione di quest’arte sono portatori di un codice ben definito ed accessibile a pochi. Lontano da essere una variegata collezione di disegni e scritte, ogni tatuaggio ha il suo significato e, per chi li sa codificare, possono essere letti come una sorta curriculum vitae. Queste immagini, a volte inquietanti, altre tragiche o irridenti, sono state scattate da Vasiliev che eccezionalmente ottenne l’accesso a più di 30 delle prigioni più dure della Russia in un periodo di oltre 40 anni, che tocca il suo apice negli anni ‘80. Gli uomini nelle foto sono tutti membri di gang, rinchiusi per una varietà di crimini tra cui furto, racket e omicidio: un pugnale al collo significa che il soggetto ha ucciso e avrebbe ucciso di nuovo al giusto prezzo (il numero di gocce di sangue sulla lama indica il numero di omicidi che ha commesso), mentre una rosa sulla spalla significa che ha compiuto 18 anni in prigione.
I bianchi e neri di Vasiliev, e la sua cifra stilistica, raccontano per immagini un mondo nel quale l’isolamento delle persone più che fisico era spesso soprattutto mentale.
 
I tatuaggi criminali hanno, oramai da anni, iniziato a destare interesse e ad influenzare fotografi, registi, scrittori e, più in generale, i creativi occidentali e al tempo stesso hanno riportato alla luce un aspetto della Russia e del suo mondo criminale rimasto segreto almeno fino alla fine dell’Unione Sovietica. Sono infatti a tutti gli effetti un aspetto culturale che contraddistingue il mondo russo, in cui la pelle era forse l’unica vera proprietà privata, e rispecchiano il passaggio non indolore dall’Unione Sovietica alla moderna Russia.

Dal 10 Settembre 2020 al 31 Ottobre 2020 – Bologna – Ono Arte Contemporanea

LINKhttp://www.onoarte.com/

Nell’ombra di un sogno – Mario Mencacci

Circa trenta immagini, riprese nel villaggio di Crespi d’Adda da un punto di vista molto personale, fanno parte della mostra fotografica del toscano Mario Mencacci che si terrà al Castello Visconteo di Trezzo sull’Adda (Mi) dal 3 all’11 ottobre, con il patrocinio dello stesso Comune. 

L’allestimento della mostra è stato realizzato in collaborazione con la CASTELLO SOCIETA’ COOPERATIVA SOCIALE ONLUS, di cui ricorre il 40° anno di attività proprio in questo strano 2020. Le foto esposte, stampate fine art su carta Epson Enhanced Matte 190 g da stampatore professionista e applicate su supporto realizzato a mano, sono esemplari unici e saranno in vendita a scopo benefico a favore della stessa Cooperativa Castello

dal 3 all’11 ottobre – Castello Visconteo di Trezzo sull’Adda (Mi)

Rimaniamo in contatto con la fotografia d’autore

Ciao a tutti!

Spero stiate tutti bene.

Come avrete notato, da un paio di mesi, non vi propongo più l’appuntamento fisse con le mostre di fotografia. La maggior parte degli spazi espositivi ha infatti chiuso per il lockdown, e i festival di fotografia che normalmente ci vedono partecipare in massa in questa stagione, sono stati cancellati o rimandati. Se anche a voi, come a me, l’epidemia e la quarantena hanno tolto ogni voglia di praticare la fotografia “attiva”, come si può continuare a goderne “passivamente”?

Per coloro che lo desiderano, ci sono ancora dei modi per godere di ottima fotografia. Io personalmente mi dedico ai libri. Mi riguardo tutti i libri che compongono la mia biblioteca e a cui in momenti “normali” non ho magari dedicato la giusta attenzione. Ma questa è la mia passione.

Se non fosse anche la vostra, trovate di seguito alcune proposte, sperando di poter tornare presto a frequentare festival e mostre, come eravamo abituati.

Anna

Alcuni spazi espositivi hanno da poco riaperto i battenti e prorogato le mostre che avevano inaugurato prima del lockdown, attrezzandosi con misure di sicurezza e prenotazioni online. Mi raccomando, consultate sempre i siti per conoscere le modalità di riapertura e le relative misure di sicurezza!

E’ il caso ad esempio di Camera – Centro Italiano per la Fotografia di Torino, dove potrete ammirare Memoria e Passione. Da Capa a Ghirri. Capolavori dalla Collezione Bertero fino al 30 agosto.

Oppure da Forma Meravigli a Milano, che ha riaperto il 20 maggio, con la mostra COME IN UNO SPECCHIO. Fotografie con testi d’autore, di Gianni Berengo Gardin, prorogata fino al 2 agosto.

Anche Palazzo Pallavicini a Bologna ha riaperto, con la mostra Robert Doisneau, fino al 20 luglio

Altra sede espositiva di prestigio che è visitabile è il Palazzo delle Esposizioni di Roma, dove, fino al 2 giugno si potrà visitare la mostra di Gabriele Basilico-Metropoli e a seguire verrà inaugurata la mostra del World Press Photo 2020.

A Pistoia, presso Palazzo Buontalenti / Antico Palazzo dei Vescovi, potrete godervi una mostra di Salgado, EXODUS. IN CAMMINO SULLE STRADE DELLE MIGRAZIONI, fino al 26 luglio

A Senigallia, invece, presso il Palazzo del Duca | Palazzetto Baviera, potreto ammirare una mostra del famosissimo fotografo locale Mario Giacomelli e di numerosi altri fotografi suoi contemporanei, che idealmente dialogano con lui, Sguardi di Novecento. Giacomelli e il suo tempo, fino al 27 settembre

WeGil, l’hub culturale della Regione Lazio nel cuore del quartiere Trastevere di Roma, il 18 maggio riapre le porte al pubblico e, per l’occasione, proroga fino al 12 luglio la mostra ELLIOTT ERWITT ICONS

Un’altra mostra che è possibile visitare di nuovo fisicamente è La Guerra Totale. Il Secondo Conflitto Mondiale nelle più belle e iconiche fotografie degli Archivi di Stato americani”, in esposizione a la Casa di Vetro di Milano. 

Oppure ci sono esibizioni digitali e online. (Alcune le abbiamo segnalate nei giorni scorsi.)

Come per esempio IL MONDO CHE VERRÀ, 50 fotografi internazionali, 50 visioni del futuro imminente e un pensiero che lo accompagna e lo anticipa, insieme a 50 autoritratti, gli scatti degli artisti al lavoro. Un’antologia di visioni personali per rappresentare con audacia, utopia e attesa il “dopo”, ovvero come cambierà ancora il mondo dopo l’esperienza della pandemia e da cosa e come si ricomincerà a vivere. Il tutto in una mostra fotografica sì, ma rigorosamente digitale. Promossa da Il Sole 24 Ore in collaborazione con Mudec Photo.

E poi tutte le varie dirette quotidianamente proposte sui social quali Facebook e Instagram. E naturalmente le interviste ai fotografi che vi proponiamo qua come Diario della Quarantena.

Se siete a conoscenza di altre mostre di fotografia che volete segnalare, fatelo pure nei commenti di questo post.

A presto.

Mostre di fotografia segnalate per Aprile

Ciao a tutti,

un mese così ricco di mostre fantastiche non credo di averlo mai visto. Vi faccio solo qualche nome: Cartier-Bresson, Bourke-White, Doisneau.

Non aggiungo altro. Date un’occhiata e sono certa troverete qualcosa che non vorrete perdervi.

Compatibilmente con le conseguenze legate alla situazione, le mostre saranno visitabili anche quando potremo visitarle.

Anna

Massimo Vitali – Costellazioni Umane

La mostra si articola in circa 30 opere scelte in venticinque anni di produzione dell’artista. Il percorso espositivo non scandito in ordine cronologico è, a tutti gli effetti, una sorta di mostra antologica.
Per chi conosce l’opera di Vitali sarà importante ritrovare le spiagge italiane assolate e gremite di gente in vacanza (1995), ma sarà anche una sorpresa vedere, per la prima volta in assoluto, gli scatti dei concerti di Jovanotti nel suo ultimo tour italiano del 2019.
L’opera di Massimo Vitali attinge esteticamente alla storia dell’arte e non solo a quella della fotografia.

Italiano d’origine, anglosassone di formazione e con una visione internazionale e attenta all’evolversi della ricerca d’avanguardia a cavallo tra il secolo scorso e quello attuale, l’artista appare come un fotografo incline a non lasciare tracce nelle sue opere di momenti legati a fatti storici identificabili. Il suo mondo estremamente raggelato e cristallizzato, appare come sospeso in un fermo immagine cinematografico. Non vi sono mai dettagli identificabili con fatti storici attuali, se non per i titoli che, talvolta, rimandano a raduni affollati o a serate di divertimento in discoteca.

La sua opera appare come conseguente a un periodo “illuminista”, dove vengono registrati luoghi che, al di là del loro interesse geografico, paesaggistico o atmosferico, sono immortalati per ciò che sono e “catturati” da un occhio algido e preciso per quantità di dettagli e particolari illustrati fino al parossismo. Le costruzioni vengono restituite in tutta la loro identità e fisicità architettonica; le montagne sono riprese, per quanto impossibile, fino all’ultima roccia e lichene; le spiagge e le dune di sabbia, ammorbidite dai riflessi e dalle ombre percepibili fino all’orizzonte. Come Canaletto e molta della pittura settecentesca, il suo occhio capta ogni minimo dettaglio e lo trasferisce sulla carta fotografica in modo realistico e analitico.
L’atmosfera – per intenderci quella leonardesca dello sfumato e della percezione spaziale della nebulizzazione nell’aria dell’acqua e della polvere – è inesistente nelle sue fotografie. Tutto è definito. Come in Canaletto le figurine poi recitano parti di una commedia scritta in modo corale, le persone appaiono come dirette da un regista fuori scena e obbediscono a dettami predefiniti anche se in modo ovviamente inconscio.
Tutto è proiettato su uno schermo in cui i protagonisti recitano, come attori istruiti, parti a loro destinate dai fatti contingenti.
I titoli delle opere tendono a confondere lo spettatore come se l’artista avesse destinato, alle persone ritratte, parti precise e ruoli da primo attore.
In opere come De Haan Kiss (2001), in cui due ragazzi in primo piano si scambiano un bacio, o in Cefalù Orange Yellow Blue (2008), dove vi sono costumi da bagno colorati, è il caso che determina il titolo dell’opera deciso in post produzione dopo un attento riesame della fotografia.

Invece, in opere come Carcavelos Pier Paddle (2016), il ragazzino – che sulla sinistra dell’opera è immortalato per sempre nel suo tuffo acrobatico, riprendendo la grande storia delle immagini sportive, dal tuffatore del notissimo affresco di epoca romana a Paestum fino al Tuffatore (1951) di Nino Migliori – non dà nessun titolo all’opera, pur avendone “pieno diritto”. Ciò non significa comunque che le opere di Vitali siano dei “d’après” ma, al contrario, sono degli originali che continuano la storia della fotografia in modo innovativo e personale.
L’opera di Vitali è – dopo oltre trent’anni di lavoro – quella di un grande autore classico, totalmente immerso nella storia dell’arte italiana e internazionale, che lo colloca fra i maggiori artisti dei nostri tempi.
Due volumi antologici, editi da Steidl, documentano il lavoro dell’artista con le riproduzioni di tutte le opere esposte.

dal 26 febbraio al 5 luglio 2020 – Museo Ettore Fico di Torino

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HENRI CARTIER-BRESSON: LE GRAND JEU

Palazzo Grassi presenta “Henri Cartier-Bresson: Le Grand Jeu”, realizzata con la Bibliothèque nationale de France e in collaborazione con la Fondation Henri Cartier-Bresson.

Il progetto della mostra, ideato e coordinato da Matthieu Humery, mette a confronto lo sguardo di cinque curatori sull’opera di Cartier-Bresson (1908 – 2004), e in particolare sulla “Master Collection”, una selezione di 385 immagini che l’artista ha individuato agli inizi degli Settanta, su invito dei suoi amici collezionisti Jean e Dominique de Menil, come le più significative della sua opera.

La fotografa Annie Leibovitz, il regista Wim Wenders, lo scrittore Javier Cercas, la conservatrice e direttrice del dipartimento di Stampe e Fotografia della Bibliothèque nationale de France Sylvie Aubenas, il collezionista François Pinault, sono stati invitati a loro volta a scegliere ciascuno una cinquantina di immagini a partire dalla “Master Collection” originale, della quale esistono cinque esemplari.

Attraverso la loro selezione, ognuno di loro condivide la propria visione personale della fotografia, e dell’opera di questo grande artista. Rinnovare e arricchire il nostro sguardo sull’opera di Henri Cartier-Bresson attraverso quello di cinque personalità diverse è la sfida del progetto espositivo “Le Grand Jeu” a Palazzo Grassi.

La mostra “Henri Cartier-Bresson: Le Grand Jeu” sarà presentata alla Bibliothèque nationale de France, a Parigi, nella primavera 2021.

Dal 22 Marzo 2020 al 10 Gennaio 2021 – Venezia Palazzo Grassi

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YOUSSEF NABIL. ONCE UPON A DREAM

Insieme alla mostra dedicata a Henri Cartier-Bresson, a cui sarà riservato il primo piano espositivo, Palazzo Grassi presenta una mostra monografica dedicata all’artista Youssef Nabil (Il Cairo, 1972), dal titolo “Once Upon a Dream” curata da Matthieu Humery Jean-Jacques Aillagon.

Realizzate con la tecnica tradizionale egiziana largamente utilizzata per i ritratti fotografici di famiglia e per i manifesti dei film che popolavano le strade de Il Cairo, le fotografie successivamente dipinte a mano da Youssef Nabil restituiscono la suggestione di un Egitto leggendario tra simbolismo e astrazione.

La ricerca dei reperti identitari, le preoccupazioni ideologiche, sociali e politiche del XXI secolo, la malinconia di un passato lontano sono i soggetti che Nabil predilige nella sua ricerca artistica. L’esposizione intende invitare a un’immersione libera nella carriera dell’artista attraverso sezioni tematiche che riproducono i suoi primi lavori fino alle opere più recenti. Ad arricchire il percorso la produzione video di Nabil con i suoi tre video Arabian Happy Ending, I Saved My Belly Dancer e You Never Left.

22/03/2020 – 10/01/2021 – Palazzo Grassi Venezia

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PRIMA, DONNA. MARGARET BOURKE-WHITE

La mostra raccoglie, in una selezione del tutto inedita, le più straordinarie immagini realizzate da Margaret Bourke-White – tra le figure più rappresentative ed emblematiche del fotogiornalismo – nel corso della sua lunga carriera. Accanto alle fotografie, una serie di documenti e immagini personali, video e testi autobiografici, raccontano la personalità di un’importante fotografa, una grande donna, la sua visione e la sua vita controcorrente.

Sarà possibile ammirare oltre 100 immagini, provenienti dall’archivio Life di New York e divise in 10 gruppi tematici che, in una visione cronologica, rintracciano il filo del percorso esistenziale di Margaret Bourke-White e mostrano la sua capacità visionaria e insieme narrativa, in grado di comporre “storie” fotografiche dense e folgoranti.

L’esposizione rientra ne “I talenti delle donne”, un palinsesto promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano dedicato all’universo delle donne, focalizzando l’attenzione di un intero anno – il 2020 – sulle loro opere, le loro priorità, le loro capacità. Si vuole  rendere visibili i contributi che le donne nel corso del tempo hanno offerto e offrono in tutte le aree della vita collettiva, a partire da quella culturale ma anche in ambito scientifico e imprenditoriale, al progresso dell’umanità.

L’obiettivo è non solo produrre nuovi livelli di consapevolezza sul ruolo delle figure femminili nella vita sociale ma anche aiutare concretamente a perseguire quel principio di equità e di pari opportunità che, dalla nostra Costituzione, deve potersi trasferire nelle rappresentazioni e culture quotidiane.

Dal 18 Marzo 2020 al 28 Giugno 2020 – Palazzo Reale MILANO

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ROBERT DOISNEAU

Dal 6 marzo al 21 giugno 2020 Palazzo Pallavicini ospita un’importante retrospettiva dedicata al grande fotografo parigino  Robert Doisneau (Gentilly, 14 aprile 1912 – Montrouge, 1º aprile 1994), celebre per il suo approccio poetico alla street photography, autore di Le baiser de l’hôtel de ville, una delle immagini più famose della storia della fotografia del secondo dopoguerra.

La mostra è curata dall’Atelier Robert Doisneau, creato da Francine Deroudille e Annette Doisneau per conservare e rappresentare le opere del fotografo, ed è organizzata da Pallavicini s.r.l. di Chiara CampagnoliDeborah Petroni e Rubens Fogacci in collaborazione con diChroma photography.

Sono 143 le opere in mostra nelle prestigiose sale di Via San Felice, tutte provenienti dall’Atelier. L’esposizione è il risultato di un ambizioso progetto del 1986 di Francine Deroudille e della sorella Annette – le figlie di Robert Doisneau – che hanno selezionato da 450.000 negativi, prodotti in oltre 60 anni di attività dell’artista, le immagini della mostra che ci raccontano l’appassionante storia autobiografica dell’artista.

I sobborghi grigi delle periferie parigine, le fabbriche, i piccoli negozi, i bambini solitari o ribelli, la guerra dalla parte della Resistenza, il popolo parigino al lavoro o in festa, gli scorci nella campagna francese, gli incontri con artisti e le celebrità dell’epoca, il mondo della moda e i personaggi eccentrici incontrati nei caffè parigini, sono i protagonisti del racconto fotografico di un mondo che “non ha nulla a che fare con la realtà, ma è infinitamente più interessante”. Doisneau non cattura la vita così come si presenta, ma come vuole che sia. Di natura ribelle, il suo lavoro è intriso di momenti di disobbedienza e di rifiuto per le regole stabilite, di immagini giocose e ironiche giustapposizioni di elementi tradizionali e anticonformisti.

Influenzato dall’opera di André Kertész, Eugène Atget e Henri Cartier-Bresson, Doisneau conferisce importanza e dignità alla cultura di strada, con una particolare attenzione per i bambini, di cui coglie momenti di libertà e di gioco fuori dal controllo dei genitori, trasmettendoci una visione affascinante della fragilità umana.

Le meraviglie della vita quotidiana sono così eccitanti;
nessun regista può ricreare l’inaspettato che trovi per strada.
Robert Doisneau

Dal 06 Marzo 2020 al 21 Giugno 2020 – Palazzo Pallavicini – Bologna

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PETER LINDBERGH. HEIMAT. A SENSE OF BELONGING

In occasione della settimana della moda di Milano, Giorgio Armani inaugura negli spazi di Armani/Silos la nuova mostra dedicata al lavoro del fotografo Peter Lindbergh. Intitolata Heimat. A Sense of Belonging, la mostra presenta un’ampia selezione dell’opera di Lindbergh, percorrendo vari decenni del lavoro del fotografo, pubblicato come inedito.

Curata personalmente da Giorgio Armani in collaborazione con la Fondazione Peter Lindbergh, la mostra evidenzia le straordinarie affinità tra due figure visionarie, il cui originale senso di identità ha definito standard molto personali e molto alti, tanto nell’arte quanto nella vita. Giorgio Armani e Peter Lindbergh hanno condiviso valori che hanno permeato tutta la loro estetica. In particolare, l’apprezzamento per la verità e l’anima che da essa emana, e la ricerca dell’onestà in opposizione all’artificio, hanno dato vita a una stretta collaborazione iniziata negli anni Ottanta e proseguita nel corso delle rispettive carriere.

Incentrata sugli aspetti noti e meno noti del lavoro di Lindbergh e allestita al piano terra di Armani/Silos, Heimat. A Sense of Belonging si sviluppa come un movimento in tre sezioni. Il punto di vista unico del fotografo, la sua idea di spazio e di bellezza, la sua estetica inconfondibile e le sue fonti di ispirazione si svelano in un viaggio che va oltre l’idea della fotografia di moda. Si parte dai ritratti di The Naked Truth, si prosegue con le possenti atmosfere di Heimat, si conclude con la sorprendente schiettezza delle immagini di The Modern Heroine.

La comprensione della femminilità dimostrata da Lindbergh, il suo interesse per la personalità e la sua propensione per la verità, lo hanno sempre distinto dai suoi colleghi. C’è un’onestà intrinseca nel lavoro di Lindbergh che è strettamente legata alla sua stessa Heimat. La parola Heimat, in tedesco, significa qualcosa di più di casa: è un luogo del cuore, il luogo a cui si appartiene. Per Lindbergh, Heimat é il background industriale di Duisburg, con le sue fabbriche, la nebbia, il metallo e il cemento. L’estetica della Berlino degli anni ’20 ha lasciato un’altra indelebile impronta nel suo lavoro. Attraverso il filtro di uno sguardo pieno di umanità, tali spunti hanno generato un senso di cruda bellezza che connota l’intera opera del fotografo.

Il cuore della mostra ospitata nell’Armani/Silos ruota intorno a immagini in cui l’espressivo ambiente industriale è qualcosa di più di un semplice sfondo: un protagonista narrativo, splendidamente nudo nella sua verità, così come lo sono i ritratti di Lindbergh, sempre spogli da qualsiasi artificio, insieme alla sua idea di eroina moderna come donna piena di potere, che mostra con orgoglio i segni dell’età e del tempo. All’interno di questi tre movimenti, Heimat descrive la complessità e l’immediatezza dell’opera di Lindbergh, e la sua atemporalità.

“Ho sempre ammirato Peter per la coerenza e l’intensità del suo lavoro. Essere senza tempo è una qualità a cui aspiro personalmente, e che Peter sicuramente possedeva. Con questa mostra all’Armani/Silos voglio rendere omaggio a un compagno di lavoro meraviglioso il cui amore per la bellezza rappresenta un contributo indelebile per la nostra cultura, non soltanto per la moda” afferma Giorgio Armani.

Noto per le sue immagini cinematografiche, Peter Lindbergh (1944-2019) nasce a Leszno, in Polonia, e trascorre l’infanzia a Duisburg (Renania Settentrionale-Vestfalia). Studia belle arti a Berlino e pittura a Krefeld, rivolgendo il suo interesse alla fotografia dopo essersi trasferito a Düsseldorf nel 1971. Entrato a far parte della famiglia della rivista Stern insieme a leggende della fotografia quali Helmut Newton, Guy Bourdin e Hans Feurer, si trasferisce a Parigi nel 1978 per proseguire la carriera. In poco tempo Lindbergh introduce una forma di nuovo realismo, dando priorità all’anima e alla personalità dei suoi soggetti, modificando così in modo definitivo gli standard della fotografia di moda, e allontanandosi dagli stereotipi riguardanti età e bellezza. Il suo lavoro è conosciuto soprattutto per i ritratti semplici e rivelatori, e per le forti influenze esercitate su di esso dal cinema tedesco e dall’ambiente industriale della sua infanzia.

Dalla fine degli anni Settanta, Peter Lindbergh ha collaborato con prestigiose riviste, tra cui l’edizione americana e italiana di Vogue, Rolling Stone, Vanity Fair, l’edizione americana di Harper’s Bazaar, Wall Street Journal Magazine, Visionaire, Interview e W. Ha realizzato le foto di tre calendari Pirelli, rispettivamente nel 1996, 2002 e 2017, e i suoi lavori sono presenti nelle collezioni permanenti del Victoria & Albert Museum (Londra), del Centre Pompidou (Parigi), del MoMA PS1 (New York). Sue mostre personali sono state ospitate all’Hamburger Banhof (Berlino), al Bunkamura Museum of Art (Tokyo), al Pushkin Museum of Fine Arts (Mosca) alla Kunsthal di Rotterdam, alla Kunsthalle di Monaco di Baviera, alla Reggia di Venaria (Torino) e al Kunstpalast (Düsseldorf).

Peter Lindbergh ha diretto una serie di film e documentari acclamati dalla critica: Models, The Film (1991); Inner Voices (1999), che si è guadagnato il premio Best Documentary al Toronto International Film Festival (TIFF) nel 2000; Pina Bausch, Der Fensterputzer (2001) e Everywhere at Once (2007), con la voce narrante di Jeanne Moreau, presentato a Cannes e al Tribeca Film Festival.

Dal 22 Febbraio 2020 al 02 Agosto 2020 – Armani/Silos – Milano

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ELLIOTT ERWITT. ICONS

Inaugura venerdì 21 febbraio al WeGil, l’hub culturale della Regione Lazio a Trastevere, ELLIOTT ERWITT ICONS, la mostra a cura di Biba Giacchetti che celebra uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea. In programma dal 22 febbraio al 17 maggio 2020, la retrospettiva, promossa dalla Regione Lazio e organizzata da LAZIOcrea in collaborazione con SudEst57, raccoglie settanta degli scatti più celebri di Erwitt: uno spaccato della storia e del costume del Novecento visti attraverso lo sguardo tipicamente ironico del fotografo, specchio della sua vena surreale e romantica.
 
L’obiettivo di Erwitt ha catturato alcuni degli istanti fondamentali della storia del secolo scorso che, grazie alle sue fotografie, sono rimasti impressi nell’immaginario collettivo. Tra le foto in mostra, non mancheranno i celebri ritratti di Che Guevara, Marlene Dietrich e la famosa serie dedicata a Marilyn Monroe. Il pubblico potrà ammirare alcuni degli scatti più iconici e amati di Erwitt come il “California Kiss” in cui emerge la vena più romantica del maestro.
 
Completa l’esposizione il catalogo della mostra a cura di SudEst57 in cui ogni fotografia è accompagnata da un dialogo tra Elliott Erwitt e Biba Giacchetti attraverso cui scoprire i segreti, le avventure e il senso di ognuna di esse.

Dal 21 Febbraio 2020 al 17 Maggio 2020 – WeGil – Roma

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Dorothea Lange –  Words & Pictures

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Toward the end of her life, Dorothea Lange (1895–1965) reflected, “All photographs—not only those that are so called ‘documentary’…can be fortified by words.” A committed social observer, Lange paid sharp attention to the human condition, conveying stories of everyday life through her photographs and the voices they drew in. Dorothea Lange: Words & Pictures, the first major MoMA exhibition of Lange’s in 50 years, brings iconic works from the collection together with less seen photographs—from early street photography to projects on criminal justice reform. The work’s complex relationships to words show Lange’s interest in art’s power to deliver public awareness and to connect to intimate narratives in the world.

In her landmark 1939 photobook An American Exodus—a central focus of the show—Lange experiments with combining words and pictures to convey the human impact of Dust Bowl migration. Conceived in collaboration with her husband, agricultural economist Paul Taylor, the book weaves together field notes, folk song lyrics, newspaper excerpts, and observations from contemporary sociologists. These are accompanied by a chorus of first-person quotations from the sharecroppers, displaced families, and migrant workers at the center of her pictures. Presenting Lange’s work in its diverse contexts—photobooks, Depression-era government reports, newspapers, magazines, poems—along with the voices of contemporary artists, writers, and thinkers, the exhibition offers a more nuanced understanding of Lange’s vocation, and new means for considering words and pictures today.

Through May 9 2020 – MOMA – New York
All details here

At Home In Sweden, Germany And America – Gerry Johansson

Nelle fotografia di Johansson l’uomo è traccia, è ciò che fa e che ha fatto, ciò che resta nel paesaggio. E il paesaggio è ovunque arrivi lo sguardo del fotografo, camminatore e osservatore attento a quel microcosmo di elementi che fanno la differenza una volta individuati e contenuti nel perimetro dell’immagine. – Laura De Marco

At home in Sweden, Germany and America è la mostra personale del fotografo svedese Gerry Johansson nata dalla collaborazione tra Spazio Labo’ e OMNE – Osservatorio Mobile Nord Est di Castelfranco Veneto che con i curatori Stefania Rössl e Massimo Sordi si occupa di progetti di fotografia contemporanea con particolare attenzione al tema del paesaggio. 

La mostra è una retrospettiva della celebre trilogia di libri Amerika (1998), Sverige (2005) e Deutschland (2012) che raccolgono fotografie realizzate da Johansson nel corso di svariati viaggi compiuti tra il 1993 e il 2018 in Svezia, Germania e America. 

Oltre vent’anni di campagne fotografiche sul paesaggio americano, svedese e tedesco: paesaggi urbani e agricoli, città e piccoli centri urbani, poca presenza umana ma molte tracce dell’uomo. Uno sguardo sul paesaggio antropizzato che ricorda quello dello storico gruppo dei New topographics – da Lewis Baltz ai coniugi Becher per limitare le citazioni ai nomi più noti – a cui sicuramente Johansson si è ispirato all’inizio della sua carriera ma da cui successivamente si è mosso per costruire uno sguardo proprio, all’apparenza distaccato ma in cui l’occhio attento riscontra una certa intimità e una ricorrenza di temi e simbologie propri dell’autore svedese.

Nelle fotografia di Johansson l’uomo è traccia, è ciò che fa e che ha fatto, ciò che resta nel paesaggio. E il paesaggio è ovunque arrivi lo sguardo del fotografo, camminatore e osservatore attento a quel microcosmo di elementi che fanno la differenza una volta individuati e contenuti nel perimetro dell’immagine. 

Ogni immagine vive di vita propria e chiede di essere letta nella sua individualità, svincolata da una narrazione rigida o premeditata. Ma allo stesso tempo Johansson tesse le fila di un discorso più ampio, ci riporta a casa ovunque ci troviamo, sia in Svezia, Germania o America. La sua casa, quella del suo sguardo.

Pur appartenendo a luoghi geograficamente distanti, le fotografie in mostra possiedono la capacità di restituire i frammenti di un universo che trova il modo di ricomporsi attraverso la dimensione autoriale del fotografo svedese. 

Comparabili a molte realtà appartenenti al territorio italiano,  le immagini presentate possiedono un valore iconico e invitano l’osservatore a decifrare, attraverso ogni singolo dettaglio, la visione d’insieme che avvicina al presente.

Il caratteristico uso del bianco e nero dai toni morbidi che, come un rituale, Johansson sviluppa e stampa rigorosamente in camera oscura, e la composizione precisa di ogni fotografia suggeriscono, nella loro combinazione, il superamento della dimensione soggettiva dell’immagine aperta ai molteplici aspetti del paesaggio contemporaneo. 

Accanto alle fotografie la mostra presenta una selezione della produzione editoriale di Johansson che raccoglie, ad oggi, più di trenta volumi. In mostra saranno esposte anche fotografie finora inedite. 

La mostra è organizzata in collaborazione con OMNE – Osservatorio Mobile Nord Est, Alma Mater Studiorum / Università di Bologna / Dipartimento di Architettura, Spazio HEA e Circolo Fotografico El Paveion di Castelfranco Veneto.

Dall’11 marzo al 3 aprile – Spazio Labò – Bologna

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