Fotografia e Pittura: il Surrealismo e la ricerca dell’inconscio attraverso nuove tecniche

Il Surrealismo fu nel suo complesso una conseguenza della crisi spirituale scatenata dalla guerra europea del 1914-1918, i cui massacri indussero nel mondo dell’arte una potente reazione di rifiuto di tutto ciò che fosse pre-esistente.

‟Per noi, l’ideale di Rimbaud, ‛cambiare la vita’, e quello di Marx, ‛trasformare il mondo’, sono una cosa sola”, affermava Bretòn, teorico del movimento surrealista. Inoltre in quel periodo le scoperte di Freud avevano portato alla luce i recessi occulti di ogni personalità umana, facendo dell’inconscio un terreno di ricerca e sperimentazione. Questo significò per l’arte lo schiudersi di molteplici orizzonti e di svariate possibilità. Non per nulla Bretòn definiva il Surrealismo: ‟Dettato del pensiero, in assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di fuori da ogni preoccupazione estetica o morale”. Si parlava anche di “scrittura automatica” proprio al fine di sottolineare il filo diretto fra inconscio e opera prodotta.

Sia in pittura come in fotografia, spesso intrecciando i loro percorsi, gli artisti sentirono il bisogno di mettere a punto tecniche “insolite”, appositamente slegate dagli schemi abituali, proprio per sottolineare la rottura con il passato.

©Man Ray – Rayogramma

A seguito di questa volontà di fare tabula rasa (espressione ereditata dal dadaismo) quasi contemporaneamente pittori e fotografi misero a punto, o ripresero dal passato, tecniche diverse che li portarono a produrre opere che, sia pure prodotte con mezzi assai eterogenei, valutate oggi, appaiono accomunate da una comune pulsione artistica. Questa comunanza di intenti in pittura e in fotografia difficilmente è riscontrabile in altri periodi storici, anche successivi.

Fu così ad esempio che in pittura Max Ernst ricorse al frottage, collocando sotto al foglio pezzi di legno, monete, foglie, tessuti ruvidi, e tutto ciò che possedeva venature e rilievi per poi “sfregare”il foglio stesso con la matita. Ciò permetteva di ottenere una forma disegnata e chiaroscurata. Nonostante inizialmente questo procedimento venisse impiegato solo per realizzare disegni, in un secondo momento fu applicato a dipinti a tempera e a olio, e incorporato in altre tecniche, come ad esempio il collage. Benché il frottage venga ricordato nell’ambito dei Surrealisti e collegato alla “pittura automatica”, già Leonardo da Vinci vi aveva fatto ricorso. Lo stesso Ernst, nel 1936, cercando di spiegare quale fosse stata l’idea generante il nuovo metodo, citò Leonardo, che aveva osservato come una casuale impronta su un muro potesse trasformarsi in un’immagine reale. Dal frottage, derivò, successivamente il grattage (letteralmente “raschiamento”), ovvero i graffi creati su dense stesure di colore, che danno vita a immagini frutto (nel caso della pittura surrealista) di fantasia, nonché a contrasti cromatici e chiaroscurali.

©Max Ernst “Foresta” frottage

Sul versante fotografico d’altronde Man Ray propose il rayogramme: si trattava di un’immagine a tutti gli effetti “fotografica”, ma ottenuta senza l’uso di una macchina fotografica, posizionando oggetti direttamente su una superficie foto-sensibile (come la carta fotografica) ed esponendola così alla luce. L’immagine normalmente ottenuta è in negativo: le aree che non hanno ricevuto luce, perché coperte da oggetti del tutto opachi, appaiono bianche. In realtà il primo a mettere a punto questa tecnica, che sarebbe più corretto chiamare fotogramma, sembra essere stato William Fox Talbot. Anche altri artisti sperimentarono questo sistema, ad esempio  László Moholy-Nagy, Imogen Cunningham, e persino Picasso. Man Ray tra l’altro, non fu l’unico a dare un nome egocentrico al fotogramma: Christian Schad, pittore tedesco, ribattezzò shadografia (schadographs) la propria versione del procedimento. Lo stesso Man Ray utilizzò parecchio un’altra tecnica, quella della solarizzazione: metodo che segna in negativo il profilo delle forme, trasformandole in elementi misteriosi e facendo apparire un filo di luce attorno ad esse. Il processo causa l’inversione dei toni di una fotografia, facendo diventare scure le zone originariamente chiare e viceversa. Questo fenomeno si verifica esponendo i negativi delle foto alla luce.

Dora Maar, nella sua vasta produzione surrealista, crea ad esempio fotomontaggi.  Quentin Bajac, Direttore di Jeu de Paume definisce così le sue creazioni: «C’è sempre un doppio livello nelle sue immagini: c’è qualcosa di seducente che a poco a poco si fa inquietante e l’aspetto inquietante è essenziale nel suo lavoro. Nelle sue foto di strada il mostruoso è anche molto umano. E anche nei fotomontaggi è presente una specie di attrazione o di fascinazione per gli eccessi decorativi e le architetture imponenti che spesso sono in contrasto con il carattere inquietante delle azioni dei suoi protagonisti. Sono immagini e comportamenti spesso duplici e ambigui».

Tra le altre metodiche innovative praticate dai fotografi surrealisti vale la pena ancora di ricordare anche la colorazione o la sovrapposizione di più negativi, l’illusione ottica che si raggiungeva forzando la prospettiva (Imogen Cunningham, André Kertesz, più recentemente Bill Brandt per citarne solo alcuni).

L’elenco potrebbe essere ancora lungo, ma il significato più importante che emerge da questo breve excursus è che, se tutti questi procedimenti, pittorici e fotografici, nati da nuove esigenze espressive in un determinato periodo e nell’alveo del movimento surrealista, rivestono sicuramente un valore storico, è indubbio che possono anche indurre a riflettere su quanto fotografia e pittura fin dal passato abbiano manifestato evidenti connessioni. Da un punto di vista creativo inoltre questi processi, che potremmo definire “antiche innovazioni”, possiedono caratteristiche utili a costituire uno stimolo per gli amanti di queste due arti, così legate e a volte contrapposte: sia se utilizzate nella realizzazione di nuove opere originali seguendo un percorso citazionale sia, magari stravolgendone alcune caratteristiche, per giungere a nuove espressioni artistiche.

Articolo di Lorenzo Vitali

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