Che cavolo ne sa un giudice, di fotografia?

La fotografia ha faticato a lungo per essere considerata “arte”…

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Sara Munari, Cuba

Basti pensare alle discussioni tra addetti ai lavori che con estrema difficoltà, sono riusciti a tutelare la sua rilevanza autore alla fine degli anni settanta del ‘900 (d.p.r. 8 gennaio 1979, n. 19) .

Solo da quel momento si prese in considerazione la distinzione tra “semplice fotografia” e fotografia di carattere creativo.

Ma come facciamo a stabilire davvero una differenza?

Bisogna innanzitutto chiedersi quali siano i requisiti di tutela del diritto d’autore.

Sono protette quindi “le opere dell’ingegno di carattere creativo”.

Qui cominciano i problemini.

Ci scontriamo con due direzioni giuridiche:

Uno che prevede un limite di creatività basso (l’autore opera una selezione delle possibilità espressive e dà luogo alla sua idea).

Il secondo prevede un traguardo di creatività più “specifico” (l’opera riflette la personalità dell’autore).

Subentra poi il “merito estetico” e se questo debba o meno essere protetto.

In generale però, per evitare parallelismi e discriminazioni tra tutte le opere dell’ingegno, si preferisce estromettere il giudizio estetico.

L’autore, perché la sua fotografia venga considerata “opera” non dovrebbe esclusivamente riprodurre la realtà, piuttosto osservarla, capirla e interpretarla.

Ma in quanti si rendono conto di trovarsi di fronte ad un progetto che va oltre la riproduzione “meccanica” della realtà?

Che cavolo ne sa un giudice?

Stabilirá il valore creativo, in base a criteri soggettivi?

Fortunatamente non succede spesso di trovarsi di fronte ad un giudice in questi termini.

In Italia la corte di giustizia ha sentenziato che sono opere quelle “che rispecchiano la personalità dell’autore” e quando avviene questo?

Avviene se l’autore ha espresso sè stesso con scelte libere e creative” (Corte Giust. UE, 1° gennaio 2011, causa C 145/10).

Sembra abbastanza chiaro

Peccato che metà dei lavori in circolazione, anche di autori molto affermati, metterebbe in crisi qualsiasi giudice.

Quante fotografie appese nelle più importanti gallerie sembrano riprese asettiche della realtà?

Il fotografo sembra un mero riproduttore oggettivamente impassibile, in tanti casi.

Come farebbe ‘sto povero giudice a capire la differenza?

E allora ecco che compare il “pregio artistico che considera la “rilevante fama” del fotografo (Trib. Roma, 20 dicembre 2006) e/o l’apparizione delle sue opere su “pubblicazioni di pregio artistico” (Pret. Torino, 27 maggio 1996).

Denis Curti ha affermato che “la galleria è uno spazio per l’affermazione dell’ autoralità del fotografo e della qualità della sua produzione che si distingue da quella massa di utenti e amatori conquistati dalla semplicità dello strumento fotografico, ma privi di qualsiasi interesse nei confronti della ricerca e della riflessione sul linguaggio” (Collezionare fotografia in Italia, Denis Curti e Sara Dolfi Agostini, 2014) Quindi se l’autore ha esposto in musei, gallerie, cataloghi, aste, fiere è più probabile la sua valenza artistica (per un giudice).

Probabile, appunto, perché a me, invece, viene un dubbio, che è più fotografico/critico che giuridico:

– Quanti autori di fama internazionale, hanno avuto queste opportunità per conoscenze, per soldi, per capacità imprenditoriali piuttosto che per talento “artistico”?

Eppure il mondo dell’arte sembra attenersi a criteri simili a quelli dei giudici piuttosto che a parametri da esperti del settore, dei quali dovrebbe essere composto.

Vediamo dove si va a parare.

Gli autori hanno vita breve, con tutta probabilità, dal mio punto di vista.