Mi sono presa la briga di tradurre in italiano questa intervista ad Alex Webb (di lui avevamo già scritto su Mu.Sa. qui.) di Ben Beaumont-Thomas per The Guardian, in merito ad una sua foto particolarmente riuscita. Mi perdonerete se a volte la traduzione non è perfetta. Qua l’intervista originale.
Quando ho iniziato ad avvicinarmi alla fotografia, 5 anni fa, ho avuto modo di vedere una mostra di Webb a Milano, La Sofferenza della Luce.
In quel momento Alex è diventato il mio idolo, fotograficamente parlando. Quelle composizioni così perfette, l’uso del colore, della luce… Me ne sono innamorata istantaneamente. Ed ho acquistato il mio primo libro di fotografia. Per fortuna, perchè ora è fuori catalogo… 😉
Per un certo periodo ho cercato di ispirarmi a lui negli scatti, chiaramente con risultati decisamente inferiori…
Ora devo ammettere che, pur ritenendolo sempre un ottimo fotografo e amando ancora i suoi scatti, i miei gusti fotografici si sono un po’ evoluti e al momento prediligo altri generi e altri fotografi.
Devo dire che di recente ho visto un’altra sua mostra a Milano e ne sono rimasta molto delusa. Su una ventina di immagini, ne avrei salvate un paio, non di più. Il resto l’ho trovato veramente scadente, quasi non da lui. Ancora non mi spiego come possa essere successo.
Ma veniamo a questa foto e a come Alex descrive al giornalista del Guardian il momento in cui l’ha scattata, le sue aspettative e il suo approccio. Questa immagine mi ha colpito dal primo momento in cui l’ho vista: la perfezione della composizione, l’equilibrio tra le forme, i colori…

MEXICO. Oaxaca state. Tehuantepec. 1985. Children playing in a courtyard.
© Alex Webb
“Nel 1975, quando avevo 23 anni, ero ad un punto morto con la mia fotografia. Avevo fotografato il paesaggio americano in bianco e nero, scattando immagini ironiche, alienate di parcheggi di supermercati e di centri commerciali. Il lavoro non stava andando da nessuna parte; non era ampio nè significativo. Così ho cominciato a vagare alla ricerca di una nuova direzione.
Il saggio di Graham Green Le vie senza legge suscitò il mio interesse nei confronti del Messico.
Ho scattato questa fotografia a Tehuantepec, nel sud del paese, all’inizio degli anni 80. Girovagavo semplicemente, lasciando che le mie esperienze con la fotocamera mi guidassero. Era un pomeriggio pesante e afoso, quando arrivai ad una piazza bianca e blu. Mi sentivo accaldato, un po’ privo di ispirazione e anche leggermente perso, quando mi sono accorto di alcuni ragazzini con una palla. Avvicinandomi, uno dei ragazzi ha cominciato a fare girare la palla sulla punta del suo dito, e io mi sono reso conto delle forme dei ragazzi, le righe blu sullo sfondo, il blu della palla e ho fatto alcuni scatti. Poi il momento se n’era andato.
Non so mai quando una fotografia funzionerà. Con questa, ero speranzoso ma incerto. Il tempo di ripresa lungo che avevo utilizzato ha fatto sembrare la palla come un mappamondo rotante, l’immagine ha assunto una dimensione completamente diversa, di cui ero incosciente quando ho scattato. Amo il fatto che questo ragazzo in una piccola città del Messico meridionale sembra avere il mondo che gira sul suo dito. E’ stato solo dopo che mi sono reso conto di una seconda palla nell’inquadratura: un pallone da basket che entrava nel canestro (e anche la testa del ragazzino in piedi in secondo piano è di fatto una palla. Come ci insegna la teoria della composizione fotografica, le forme geometriche, soprattutto il cerchio e il triangolo, colpiscono immediatamente il nostro sguardo. E qui ce ne sono a bizzeffe! n.d.t.).
Questo tipo di fotografia – girovagare per le strade, esplorare il mondo con pochi preconcetti – verte molto sull’immediatezza, intuzione e sui colpi di fortuna. Il pensiero razionale passa in secondo piano e l’inconscio ha il sopravvento.
Ho imparato la fotografia quando avevo 10 anni da mio padre, che scattava foto come terapia per curare il “blocco dello scrittore”. Nel mio lavoro ci sono echi di pittori che ho visto da bambino – alcuni di De Chirico e Braque – e degli scrittori che ho letto negli anni successivi, come Graham Greene, Conrad e Gabriel García Márquez. ma quello che in conclusione mi ha attratto verso la fotografia è stata la sua relazione diretta, molto complicata, nei confronti del mondo fisico. Il confronto e l’interpretazione del caos e la complessità del mondo, funzionano meglio con me rispetto ad una tela bianca. Credo fermamente nello scattare fotografie che suscitano domande e non si propongono di fornire delle risposte.
In Messico io ero particolarmente attratto dal confine. Negli anni 70 e 80, questo era un luogo permeabile. I luoghi di frontiera erano spesso divertenti e assurdi. Una volta io e Tom Miller, il giornalista con cui mi trovavo, fummo arrestati mentre zigzagavamo attraverso la frontiera. Il fatto di consegnare agli ufficiali messicani i nostri passaporti contenenti banconote da 20 dollari e proponendo di offire loro la cena, sembrò essere la scelta giusta. Cenammo con loro a base di tacos da asporto in maniera amichevole nell’ufficio immigrazione.
Lavorare al confine mi ha aiutato a trasformarmi in un fotografo a colori: la vita lì sembra scorrere in maniera vivace per le strade, molto diversamente dalla reticenza grigio-marrone del New England, da dove provengo. Ricordo sempre questa frase da Le vie senza legge: “La vita non sarà più la stessa dopo che il tuo passaporto è stato timbrato e tu ti trovi senza parole in mezzo ai cambiavalute”.
Un consiglio: Scattate le foto in cui credete. Le ricompense in fotografia sono così effimere, imprevedibili, spesso così insignificanti che la vera soddisfazione viene dalla creazione.”
Ora Alex lavora con sua moglie Rebecca Norris. Questo è il loro sito.
Qua invece trovate la sua pagina su Magnum Photos.
Ditemi anche voi cosa ne pensate e se avete un autore o uno scatto preferito o a cui siete particolarmente legati.
Anna