Mostre di fotografia da non perdere a novembre

Mostre fantastiche vi aspettano anche a novembre, avrete solo l’imbarazzo della scelta!

Buon divertimento

Anna

DOROTHEA LANGE. L’ALTRA AMERICA

Dorothea Lange, Toward Los Angeles, California, 1937. Farm Security Administration, Office of War Information Photograph Collection, Library of Congress Prints and Photographs Division Washington, D.C., USA
Dorothea Lange, Toward Los Angeles, California, 1937. Farm Security Administration, Office of War Information Photograph Collection, Library of Congress Prints and Photographs Division Washington, D.C., USA

Dal 27 ottobre 2023 al 4 febbraio 2024 i Musei Civici di Bassano del Grappa, in collaborazione con CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino, presentano al pubblico l’opera di Dorothea Lange (1895 –1965), celeberrima fotografa statunitense, co-fondatrice nel 1952 di Aperture, la più autorevole rivista fotografica al mondo e prima donna fotografa cui il MoMa dedicò una retrospettiva nel 1965, proprio pochi mesi prima della sua scomparsa.

Photographer of the people, la fotografa della gente. Così Dorothea Lange si presentava nel suo biglietto da visita. Perché lei, borghese del New Jersey, aveva scelto di non fotografare i divi o i grandi protagonisti del suo tempo, per concentrarsi invece sugli “ultimi” di un’America che stava affondando nella Grande Depressione. Lo sguardo con cui Lange coglie questa umanità dimenticata non è pietistico bensì profondamente “inclusivo”. Le sue immagini dimostrano infatti comprensione, sensibilità, partecipazione e immensa umanità, unite ad una capacità di lettura del contesto sociale rafforzata dal rapporto sentimentale e professionale con il marito, l’economista Paul Taylor. Nativa del New Jersey da una famiglia borghese di origini tedesche, a nove anni viene colpita dalla poliomielite che la rende claudicante; poi il dissidio con il padre, che abbandona la famiglia e che lei coraggiosamente ripudia assumendo il cognome materno.

Gli esordi la vedono a New York con Clarence White e Arnold Genthe. Nel 1918 parte per una spedizione fotografica in giro per il mondo, viaggio che si conclude prematuramente per mancanza di denaro a San Francisco, dove apre un proprio studio. Dopo avere operato per una decina di anni nel campo della ritrattistica professionale, abbracciando uno stile pittorialista, aderisce nei primi anni Trenta all’estetica della straight photography (fotografia diretta) per farsi madrina di una poetica della realtà e testimone della condizione dei più deboli ed emarginati: dai disoccupati e i senzatetto della California fino ai braccianti costretti a migrare di paese in paese alla ricerca di campi ancora coltivabili.

I drammatici accadimenti che segnano gli anni della Grande Depressione la portano a contatto con il grande progetto sociale e fotografico della “Farm Security Administration”, di cui diviene la rappresentante di punta. Nella seconda metà degli anni Trenta fotografa dunque la tragedia dell’America rurale colpita da una durissima siccità, realizzando alcune delle sue immagini insieme più drammatiche e più celebri: in questo contesto nasce infatti Migrant Mother, un’icona con cui Lange scrive una pagina indelebile della storia della fotografia imponendosi quale pioniera della documentazione sociale americana. Tuttavia, soffermandosi su quelle immagini potentemente evocative ci si accorge che vi è qualcosa di più. È lo sguardo di un’artista colta e raffinata che riesce a narrare temi e soggetti di grande drammaticità quali la crisi climatica, le migrazioni, le discriminazioni con una forza, un’incisività e una modernità sorprendenti. Nonostante ci separino diversi decenni da queste immagini, i temi trattati da Lange sono di assoluta attualità e forniscono spunti di riflessione e occasioni di dibattito sul nostro presente.

Fulcro – e novità – della mostra curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi e che presenterà quasi duecento scatti, sarà uno speciale affondo sulla nascita di questo capolavoro, secondo un percorso espositivo di grande fascino ma anche di forte valenza divulgativa e didattica: la presentazione degli scatti eseguiti da Lange per trovare la foto perfetta, permetterà al pubblico di comprendere il procedimento attraverso il quale nasce un’icona.

Su commissione del governo americano, Lange si occupò successivamente anche della controversa vicenda dei campi di prigionia per cittadini giapponesi presenti sul territorio americano dopo l’attacco di Pearl Harbor, serie che per il suo atteggiamento critico nei confronti della politica governativa verrà sostanzialmente censurata e riportata solo molti anni più tardi. Queste fotografie – ulteriori testimonianze della profondità e della lucidità dello sguardo fotografico di Dorothea Lange – saranno esposte per la prima volta in Italia in modo così esaustivo proprio in occasione della rassegna; un evento nell’evento, in quanto la mostra si accompagna alla riapertura del Museo Civico di Bassano del Grappa che, dopo sei mesi di lavori di ammodernamento e riqualificazione, riconsegna al pubblico le proprie importanti collezioni permanenti in spazi completamente rinnovati e con un allestimento affascinante, aggiornato e ricco di opere inedite.

Attraverso un’ampia selezione di opere – alcune delle quali non esposte nella tappa torinese della mostra – provenienti da diversi nuclei collezionistici che conservano l’opera di Dorothea Lange (tra cui in particolare la Library of Congress di Washington, i National Archives statunitensi), la mostra si incentrerà principalmente sul periodo d’oro della carriera della fotografa, dagli anni Trenta alla Seconda Guerra Mondiale, presentando anche scatti precedenti e successivi per dare conto della varietà e della profondità della sua ricerca, sempre tesa a restituire un sincero e partecipato ritratto di ciò che la circondava. Come affermò lei stessa, “la macchina fotografica è uno strumento che insegna alla gente come vedere il mondo senza di essa”.

27 ottobre 2023 – 4 febbraio 2024 – Bassano del Grappa (Vi), Museo Civico

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GABRIELE BASILICO. LE MIE CITTÀ

Gabriele Basilico, Milano, 1978-80 I Ph. Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico
Gabriele Basilico, Milano, 1978-80 I Ph. Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico

A dieci anni dalla scomparsa, Milano dedica a Gabriele Basilico (1944-2013) una ampia mostra che si articola in due sedi espositive – Palazzo Reale e Triennale Milano – e rappresenta il primo grande omaggio che la città in cui Basilico è nato e ha vissuto rivolge al fotografo e a quel suo sguardo cosmopolita, capace appunto di ascoltare il cuore di tutte le città. L’esposizione propone complessivamente oltre 500 opere, partendo dall’attraversamento della città di Milano in Triennale per guardare e arrivare al Mondo a Palazzo Reale.

La mostra “Gabriele Basilico. Le mie città”, che apre al pubblico il 13 ottobre 2023, è promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e Triennale Milano, insieme a Electa e realizzata con la collaborazione scientifica dell’Archivio Gabriele Basilico. 

Palazzo Reale la mostra è curata da Giovanna Calvenzi e Filippo Maggia e presenta una selezione dei lavori sulle grandi committenze internazionali di Basilico; in Triennale, dove la curatela è affidata a Giovanna Calvenzi e Matteo Balduzzi, viene esposta un’ampia selezione di immagini di Milano e delle sue periferie.

Dal 13 Ottobre 2023 al 08 Gennaio 2024 – Palazzo Reale / Triennale Milano – Milano

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DON MCCULLIN A ROMA

Don McCullin, Le acciaierie di West Hartlepool alle prime luci dell’alba, Contea di Durham, Inghilterra, 1963 | Stampa ai sali d’argento, cm. 59,4 x 74,3. Courtesy Hamiltons Gallery
© Don McCullin | Don McCullin, Le acciaierie di West Hartlepool alle prime luci dell’alba, Contea di Durham, Inghilterra, 1963 | Stampa ai sali d’argento, cm. 59,4 x 74,3. Courtesy Hamiltons Gallery

Dal 10 ottobre 2023 Palazzo Esposizioni Roma presenta la più importante retrospettiva mai realizzata finora, dedicata al fotografo britannico di fama internazionale Don McCullin, la prima che raccoglie in maniera esaustiva le diverse fasi del suo lavoro, sino alle fotografie più recenti nelle quali, in una sorprendente visione d’insieme, l’autore sintetizza le sue esperienze più radicali.

La mostra, che si protrarrà fino al 28 gennaio 2024, è curata da Simon Baker, in stretta collaborazione con Don McCullin e Tim Jefferies e con l’assistenza di Catherine Fairweather, Jeanne Grouet, Lachlann Forbes.
E’ promossa dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e dall’Azienda Speciale Palaexpo, prodotta e organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo. 

La mostra a Palazzo Esposizioni si riallaccia idealmente, ampliandola, all’antologica della Tate Britain curata da Simon Baker nel 2019. Oltre a ripercorrere i momenti più significativi del lavoro di McCullin, presenta la serie dedicata all’Impero romano, avviata negli anni Duemila, che lo stesso autore considera un punto di arrivo nel quale si sovrappongono, fondendosi, i temi cardine della sua fotografia: il dolore delle immagini dell’Inghilterra subalterna e quello delle guerre sparse nel mondo, e la pace dei paesaggi del Somerset in cui McCullin si rifugia per lenire la sofferenza delle sue esperienze di guerra.   Nell’attuale mostra dolore e pace convivono nell’indagine fotografica culturale, architettonica e storica sui resti dell’Impero romano nell’area del Mediterraneo meridionale. Esposte a Roma, queste fotografie offrono un nuovo focus sulla storia della Città, rileggendola, come accaduto in Vita Dulcis e in Roma, a portrait – le mostre che si sono da poco concluse a Palazzo Esposizioni – in relazione a tempi storici o a culture diverse.

Dal 10 Ottobre 2023 al 28 Gennaio 2024- Palazzo delle Esposizioni – Roma

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GUIDO HARARI- INCONTRI 50 ANNI DI FOTOGRAFIE E RACCONTI

Il Comune di Milano e la Fabbrica del Vapore presentano la grande mostra antologica dedicata a Guido Harari, che sarà allestita in un suggestivo percorso espositivo nell’Ala Messina con più di 300 fotografie, oltre a filmati originali, proiezioni e incursioni musicali, un’audioguida per tutti e incontri con l’autore.

La mostra sarà introdotta da una istallazione dedicata a Milano, ai grandi personaggi dell’arte, della cultura e della società milanese che Harari ha incontrato nel corso dei suoi 50 anni di carriera. Nella mostra sarà inoltre allestita la “Caverna magica”, uno speciale set fotografico dove Guido Harari realizzerà dei ritratti (su prenotazione on line). Oltre alla stampa originale, che lui stesso firmerà e consegnerà a chi è stato ritratto, una seconda stampa verrà esposta – in tempo reale – nella sezione che chiude la mostra, Occhi di Milano, una sorta di “mostra nella mostra” che si popolerà via via degli sguardi della città. E per rappresentarli tutti, Harari realizzerà dei “ritratti sospesi” ai milanesi “meno fortunati” nella Casa dell’accoglienza “Enzo Jannacci”, nell’Istituto dei Tumori e in altre strutture di assistenza. Anche questi “ritratti sospesi” andranno ad aggiungersi al grande mosaico degli Occhi di Milano.

La mostra ripercorre tutte le fasi della eclettica carriera di Guido Harari: dagli esordi in ambito musicale come fotografo e giornalista, alle numerose copertine di dischi per artisti come Fabrizio De André, Bob Dylan, Vasco Rossi, Kate Bush, Paolo Conte, Lou Reed, Frank Zappa, fino all’affermazione di un lavoro che nel tempo è rimbalzato da un genere all’altro – editoria, pubblicità, moda, reportage – privilegiando sempre il ritratto come racconto intimo degli incontri con le maggiori personalità del suo tempo.

Il percorso espositivo prende le mosse dagli anni Settanta, quando Harari, ancora adolescente, inizia a coniugare le sue due grandi passioni: la musica e la fotografia.

Immagini e sequenze inedite, insieme a filmati d’epoca di backstage, videointerviste, il documentario di Sky Arte a lui dedicato e l’audioguida con la voce narrante dello stesso Harari conducono il visitatore nel cuore del suo processo creativo.

La mostra propone anche una sezione dedicata alla passione parallela per la curatela di libri intesi come una forma di “fotografia senza macchina fotografica”, oltre che occasioni di incontri vecchi e nuovi (così le biografie illustrate dedicate a Fabrizio De André, Fernanda Pivano, Mia Martini, Giorgio Gaber e Pier Paolo Pasolini) e un’altra dedicata a immagini inedite “di ricerca” che Harari va realizzando da qualche anno come sua personale forma di meditazione in progress

Dal 28 ottobre 2023 al 1 aprile 2024 – Fabbrica del Vapore – Milano

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JACOB E SARA AUE SOBOL. JAMES’ HOUSE E HUNTING HEART

© Jacob e Sara Aue Sobol
© Jacob e Sara Aue Sobol

Due storie d’amore in bianco e nero. Da un lato quella per la vita tra i ghiacci, cresciuta grazie ai tre anni trascorsi da Jacob Aue Sobol in Groenlandia. Dall’altro quella tra il fotografo e Sara Aue Sobol, sua moglie, condivisa con il pubblico tramite le immagini realizzate da entrambi.

Non ho mai l’intento di fare fotografie ma questa piccola macchina fotografica è lo strumento che ho sempre con me e che uso per entrare in contatto con le persone e con i luoghi, per creare intimità e per condividere intimità. Jacob Aue Sobol

Oltre trenta fotografie, realizzate tra il 1999 e il 2023, per due progetti che danno il titolo alla mostra presentata da Leica Galerie Milano, all’interno di Leica Store, recentemente rinnovato. Due storie che uniscono il lavoro del fotografo danese che si definisce “padre, pescatore e fotografo” e quello della moglie Sara Aue Sobol.

James’ House è il racconto, per immagini, dei tre anni che Sobol ha vissuto in Groenlandia e dell’incontro con James, un uomo Inuit (popolo artico) che gli ha permesso di imparare a cacciare, pescare, sopravvivere in condizioni estreme. Hunting Heart è un lavoro a quattro mani, in cui la visione di Jacob si intreccia con quella di Sara per condividere con il pubblico uno sguardo intimo sulla loro vita familiare. Se nelle immagini di Jacob è sempre il bianco e nero a dominare, la visione di Sara emerge grazie all’uso del colore: entrambi parlano dei loro figli, della loro casa, della quotidianità ritratta con intensità ed emozione.

La presenza di Jacob e Sara Aue Sobol a Milano non è solo l’occasione per scoprirne il lavoro, ma anche per entrare in contatto diretto, grazie a una masterclass proposta da Leica Akademie nella sua sede di Via Mengoni 4, a due passi dal Duomo, nelle giornate del 18 e 19 novembre.

dal 17 novembre 2023 a fine gennaio 2024 – Leica Galerie Milano

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THE 1950S. STORIE AMERICANE DEI GRANDI FOTOGRAFI MAGNUM

Philippe Halsman, American actress Marilyn MONROE, USA, 1952
© Philippe Halsman/Magnum Photos | Philippe Halsman, American actress Marilyn MONROE, USA, 1952

Ci sono due grandi razze di fotografi:
quelli che fabbricano immagini e quelli che le colgono.
I primi hanno il loro studio… per i secondi, il loro studio è il mondo.
Ernst Haas 
Il Comune di Parma Assessorato alla Cultura e Summer Jamboree in collaborazione con l’agenzia Magnum Photos presentano THE 1950s Storie americane dei grandi fotografi Magnum

Una mostra fotografica dedicata alla cultura americana degli anni Cinquanta, realizzata attraverso una selezione esclusiva di fotografie dell’archivio Magnum Photos a cura del Summer Jamboree.
Il progetto espositivo originale a cura di Marco Minuz insieme con Summer Jamboree è ospitato a Palazzo del Governatore del capoluogo parmense dal 7 ottobre al 10 dicembre.

In mostra scatti celebri e inediti di Dennis Stock, Elliott Erwitt, Werner Bischof, Wayne Miller, Philippe Halsman, Inge Morath, Burt Glinn, Bob Henriques, Rene Burri, Cornell Capa, Leonard Freed, Erich Hartmann, Bruce Davidson, Eve Arnold.


Magnum Photos viene fondata nel 1947 a New York e per la prima volta tutti questi grandi maestri della fotografia, allora membri dell’agenzia, che in quegli anni operavano, vengono esposti insieme in una mostra fotografica per raccontare in maniera organica il contesto culturale compreso fra la fine degli anni Quaranta e il decennio successivo, attraverso una selezione esclusiva e in parte inedita di 82 scatti dell’archivio Magnum Photos.

THE 1950s Storie americane dei grandi fotografi Magnum è prodotta e organizzata dal Summer Jamboree in collaborazione con l’agenzia Magnum Photos e Suazes in occasione della prima edizione del Winter Jamboree, che si terrà a Parma dal 7 al 10 dicembre 2023 promossa da Fiere Di Parma, Comune di Parma e Regione Emilia-Romagna.

L’esposizione THE 1950s Storie americane dei grandi fotografi Magnum anticipa dunque la prima edizione del Winter Jamboree, nuovo format invernale a cura del Summer Jamboree, il Festival Internazionale di musica e cultura dell’America anni ’40 e ’50 più grande d’Europa, che animerà dal 7 al 10 dicembre 2023 gli spazi delle Fiere di Parma trasformandone alcuni padiglioni nel meraviglioso sogno americano anni Cinquanta in versione Christmas edition #1: sarà allestito un Rockin’ Christmas Vintage market, dove, dalla mattina fino a sera sarà possibile fare rifornimento di regali vintage e prelibatezze enogastronomiche in vista delle feste, accompagnati da un sottofondo di musica Rock’n’Roll, Swing, Country, Rockabilly, Rhythm’n’Blues, Hillbilly, Doo-wop, Western swing e dai grandi classici dei Natali di una volta. Si aggiungono grandi concerti dal vivo al Pala Verdi con artisti provenienti da ogni parte del mondo, DJs set ed esibizioni di ballo, Dance Camp internazionale per chi desidera imparare a muoversi a ritmo di Rock’n’Roll, il Burlesque Show all’interno del quartiere fieristico e una Tattoo Convention con i migliori tatuatori old school che lavoreranno non stop.

La mostra THE 1950s Storie americane dei grandi fotografi Magnum nasce proprio con l’obiettivo di raccontare in maniera organica, attraverso le immagini, questi stessi travolgenti anni americani, mettendo a fuoco l’essenza di un decennio felice, ma assai complesso. L’esposizione riunisce per la prima volta insieme 82 scatti realizzati da grandi fotografi, membri dell’agenzia Magnum Photos attivi negli anni ’50, artisti che hanno catturato lo spirito della società d’Oltreoceano di quei tempi, restituendocene intatta la bellezza, la potenza delle trasformazioni in atto insieme alle profonde contraddizioni che ancora la caratterizzavano, tracciando così una nuova mappa dell’identità americana ed esplorando le sue dimensioni sociali, culturali, economiche.

Gli anni Cinquanta furono sì un’epoca d’oro, un tempo di felicità e prosperità economica, ma furono anche anni ancora segnati dalla segregazione razziale e dalle tensioni causate dal blocco sovietico che diedero poi avvio alla guerra fredda e all’escalation nucleare. THE 1950sStorie americane dei grandi fotografi Magnum traccia il resoconto di questi anni, dando spazio a un’America reale, con i suoi problemi e le sue difficoltà, ma anche con la sua straordinaria forza di guardare avanti.

Gli scatti in mostra permettono di porre l’attenzione sugli elementi caratterizzanti di quel periodo come l’industria automobilistica, la moda, la musica, i grattacieli, le grandi distese naturali, il ruolo della donna. Ogni elemento viene però filtrato dalla volontà di mettere sempre al centro l’essere umano e di raccontarlo. Nel bianco e nero delle fotografie, infatti, il paesaggio passa in secondo piano, mentre ne esce rafforzato l’elemento umano, il valore delle persone e dei loro gesti. Ne emerge uno spaccato di una società protesa al futuro che lascia alle spalle l’esperienza bellica.

Ma THE 1950s Storie americane dei grandi fotografi Magnum narra anche la storia di una delle più grandi agenzie fotografiche al mondo, la Magnum Photos, nata nel 1947 nel ristorante del Museo d’Arte Moderna di New York (MoMA), che all’epoca rappresentava l’epicentro economico, sociale e culturale del mondo occidentale. Henri Cartier-Bresson, Robert Capa, David Seymour, George Rodger e William Vandivert – un francese, un ungherese, un polacco, un inglese e un americano – accomunati da un’esperienza di vita comune, ovvero aver raccontato attraverso le immagini il trauma del secondo conflitto mondiale, riuniti attorno a un tavolo, delinearono e resero concrete una serie di riflessioni sul destino della loro professione come fotogiornalisti.

Dalla sua fondazione Magnum Photos, ha visto crescere ben 103 fotografi, definendo un nuovo modo di raccontare il presente con le immagini. Tenendo saldi i valori della tutela del diritto d’autore, del rispetto della sensibilità espressiva di ogni fotografo e della fedeltà alla verità di ogni avvenimento, l’agenzia ha riunito artisti accumunati dalla convinzione che la fotografia fosse un’importante opportunità per veicolare valori e adoperarsi contro le ingiustizie e gli squilibri della società. Un’incredibile esperienza che si è imposta a livello internazionale, tutt’oggi straordinaria per l’influenza che ebbe, e che continua ad avere, nel mondo della fotografia.

Dal 07 Ottobre 2023 al 10 Dicembre 2023 – Palazzo del Governatore – Parma

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BAR STORIES ON CAMERA. GALLERIA CAMPARI / MAGNUM PHOTOS

Harry Gruyaert, Belgium, Brussels, 1981
Harry Gruyaert, Belgium, Brussels, 1981

La mostra presenta 90 fotografie dagli anni Trenta agli inizi degli anni Duemila che raccontano il mondo del bar attraverso 48 immagini dall’Archivio Storico Galleria Campari e 42 scatti di 24 fotografi internazionali dell’agenzia Magnum Photos tra cui figurano Capa, Erwitt, Parr e Scianna.

L’allestimento presenta anche una selezione di ricettari e libri sui cocktail da fine XIX secolo agli anni Duemila, oltre a oggetti ed ephemera originali legati al bar: menù, carte intestate, insegne, bicchieri, attrezzi per la miscelazione, locandine e oggetti pubblicitari vintage. La sfaccettata vitalità del mondo bar viene raccontata a 360 gradi, in un’esplorazione della sua connotazione sociale come luogo di incontro, aggregazione, svago e scambio culturale di cui Campari è protagonista dal 1860.

Dal 04 Ottobre 2023 al 30 Aprile 2024 – Galleria Campari – Sesto S. Giovanni (MI)

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ROBERT CAPA. IL FOTOREPORTER

Robert Capa, Soldier walking through field on recconnaissnace mission, near Troina, Sicily, Italy, August 4-5, 1943 © International Center of Photography/Magnum Photos
Robert Capa, Soldier walking through field on recconnaissnace mission, near Troina, Sicily, Italy, August 4-5, 1943 © International Center of Photography/Magnum Photos

In occasione dei 110 anni dalla nascita di Robert Capagiovedì 21 settembre, alle ore 19:30 presso la Galleria dell’Accademia d’Ungheria in Roma si terrà il vernissage della mostra fotografica Robert Capa, il fotoreporter
L’esposizione è organizzata in collaborazione con il Robert Capa Contemporary Photography Center Budapest.

Robert Capa (22 ottobre 1913–25 maggio 1954), il fotografo di fama mondiale nato a Budapest, fu testimone oculare degli eventi storici che hanno determinato il XX secolo nonché messaggero in ventitré paesi di quattro continenti. Per tutta la sua vita sostenne che il linguaggio universale della fotografia potesse apportare cambiamenti, rendendo il mondo un posto migliore. Seppe guardare le cose con uno sguardo “creativo”, qualunque cosa toccasse prendeva una forma nuova, mai vista prima. Fu in grado di vedere ciò che gli altri non riuscirono e, con il suo cambio di prospettiva, seppe dare una nuova definizione alle cose, avvicinandosi al mondo con un nuovo approccio. Il suo talento incandescente e pervasivo ha permeato tutte le sue attività e la sua vita. Il suo coraggio, la sua audacia, il potere visivo delle sue fotografie non hanno pari. La sua immensa empatia e umanità hanno caratterizzato tutte le sue attività, è stato uno degli “avventurieri etici”, secondo le parole di Henri Cartier-Bresson, e l’atteggiamento morale nelle sue immagini è un esempio per tutti.

La mostra rende omaggio all’uomo che vide cinque campi di battaglia e, corpo a corpo con la morte, documentò la storia dando una nuova definizione alla metodologia della fotografia di guerra.

Conquistò fama mondiale grazie alla fotografia scattata durante la guerra civile spagnola, intitolata Morte di un miliziano lealista, fronte di Córdoba, Spagna nel 1936. Questo periodo fu tra i più tristi della sua vita, segnato dalla tragica perdita della sua compagna, la collega di origini polacche Gerda Taro.
Capa scattò fotografie di soldati e partigiani, raffigurandoli sia in momenti di vita quotidiana che durante le battaglie, dalla posizione dell’osservatore partecipe e infinitamente empatico. Era lì con loro, ed è da molto vicino che scattò le sue fotografie. Famose sono le sue parole al riguardo: Se le tue foto non sono abbastanza buone, non eri abbastanza vicino.”

Su suggerimento di Capa, insieme ai fotografi Henri Cartier-Bresson, George Rodger e 
David “Chim
” Seymour, nel 1947 fu fondata l’agenzia Magnum Photos.

La selezione della mostra Robert Capa, il fotoreporter presenta settantacinque immagini della sua vita, dalla foto che cattura la conferenza di Trockij (una delle sue prime commissioni) a quella scattata durante la guerra d’Indocina. Le fotografie in mostra raccontano sia il mondo della guerra che i momenti di pace di Robert Capa.

Grazie alle fotografie acquistate nel 2008, quello di Budapest è diventato uno dei centri di riferimento del patrimonio Capa insieme ai centri di New York e di Tokyo. La serie intitolata Raccolta Master III (Master’s Set III) che documenta la vita di Robert Capa, comprende 937 ingrandimenti realizzati negli anni ‘90. Queste fotografie sono state selezionate da Cornell Capa (fratello minore di Robert Capa) e dallo storico della fotografia Richard Whelan (monografista di Robert Capa) tra il 1990 e il 1992 tra quasi 70mila negativi lasciati da Capa.

Le fotografie in mostra sono state selezionate dalle immagini della collezione ungherese Robert Capa Master Collection, conservata nel Centro di Fotografia Contemporanea Robert Capa di Budapest.

Dal 21 Settembre 2023 al 19 Novembre 2023 – Galleria dell’Accademia d’Ungheria in Roma

MAPPLETHORPE – VON GLOEDEN. BEAUTY AND DESIRE

MAPPLETHORPE - VON GLOEDEN. BEAUTY AND DESIRE, MUSEO NOVECENTO, FIRENZE
MAPPLETHORPE – VON GLOEDEN. BEAUTY AND DESIRE, MUSEO NOVECENTO, FIRENZE

Il Museo Novecento rende omaggio a uno dei più grandi esponenti della fotografia del Novecento, Robert Mapplethorpe (New York, 1946 – Boston, 1989), tramite un raffronto inedito con gli scatti di Wilhelm von Gloeden (Wismar, 1856 – Taormina, 1931) e alcune immagini dei Fratelli Alinari: un confronto evocativo e a tratti puntuale, che rivela il ricorrere di temi comuni; motivi che attraversano il tempo e giungono fino a noi, ponendosi come spunti di riflessione sull’attualità e su come arte, morale e spiritualità cambino e si evolvano nella loro reciproca relazione.

La mostra, organizzata a quarant’anni di distanza dall’esposizione del Palazzo delle Cento Finestre che fece conoscere a Firenze l’opera del fotografo statunitense, mette in luce il legame di Robert Mapplethorpe con la classicità, nonché il suo approccio scultoreo al mezzo fotografico. Il profondo interesse per l’antico, la passione per i maestri che lo hanno preceduto e l’attenta comprensione della statuaria (in particolare dell’opera di Michelangelo) sono delle costanti nella ricerca dell’artista.

Appassionato collezionista di fotografie, Mapplethorpe conosce l’opera del barone Wilhelm von Gloeden, con la quale ha forse la possibilità di confrontarsi ampiamente anche agli inizi degli anni Ottanta, grazie ai contatti con il gallerista Lucio Amelio e a un soggiorno a Napoli, durante il quale si misura inoltre con la potenza disarmante delle rovine. Von Gloeden, tra i pionieri della staged photography, celebra nelle sue composizioni un ideale richiamo al passato, concepito quale inesauribile bacino di soggetti e suggestioni: un segno stilistico unico, che lo rende ancora oggi un’icona e costituisce un suggestivo riferimento per Mapplethorpe.

Le fotografie di Mapplethorpe e von Gloeden, pur traendo ispirazione dai canoni della classicità, sembrano condurre lungo traiettorie estetiche non scontate e a tratti perturbanti, sollevando e risolvendo interrogativi sul tema del corpo e della sessualità la cui eco risuona, a tratti immutata, nella cultura visiva contemporanea, dove la censura e il giudizio morale sono sempre pronti a mettere sotto accusa la bellezza e il desiderio.

Dal 23 Settembre 2023 al 14 Febbraio 2024 – Museo Novecento – Firenze

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DAVID LACHAPELLE. STATIONS OF THE CROSS

David LaChapelle, He is Made to Bear His Cross, Los Angeles, 2023
© David LaChapelle | David LaChapelle, He is Made to Bear His Cross, Los Angeles, 2023

Dal 27 ottobre apre al pubblico in esclusiva nella Galleria Deodato Arte in via Giulia 122 a Roma la nuova mostra di David LaChapelle con l’inedita serie “Stations of the Cross”, che verrà presentata durante la Biennale di Firenze in occasione del premio alla carriera assegnato al fotografo statunitense. 
La mostra, che sarà inaugurata dallo stesso LaChapelle il 27 ottobre, presenta nuove sorprendenti opere, quindici scene della Via Crucis disposte lungo un percorso che simboleggia il cammino di Cristo verso la Crocifissione e che l’artista ha interpretato ispirandosi a diversi esempi, dall’epoca medievale a quella postmoderna, immaginando la tradizionale narrazione religiosa in un modo nuovo, colorato e poetico. Con il suo stile e la sua composizione unici, LaChapelle presenta nelle vesti di Cristo l’artista e attore italiano Tedua, per il quale il fotografo ha firmato le cover degli album “Purgatorio” e “Inferno”; elementi teatrali insieme a figure simboliche trasportano la pratica devozionale, nella quale lo spettatore visita ciascuna stazione  pregando, nel tempo presente.
 
In mostra e in conversazione con la Via Crucis, oltre a diverse opere di diverse serie già note del suo portfolio, LaChapelle espone Earth Laughs in Flowers, la serie realizzata tra il 2008 e il 2011 ispirata alle tradizionali vanitas olandesi, raffigurazioni di oggetti simbolici che fanno riflettere sulla vanità delle conquiste e dei piaceri terreni; come sempre, anche anche nelle sue dieci vanitas LaChapelle mescola umorismo e dramma insieme ad oggetti di uso quotidiano, per ricordare allo spettatore la nostra mortalità. 
 
“E’ una grande responsabilità accogliere David LaChapelle per questa occasione – spiega Deodato Salafia – si tratta della sua prima mostra presso la nostra sede di Roma, dopo la rassegna di opere iconiche presso Deodato Milano lo scorso autunno. Ancora una volta LaChapelle, che ha già trattato soggetti legati al cristianesimo, come l’Annunciazione, ci offre con incredibile sorpresa un’indagine su uno dei pilastri più tradizionali della Chiesa Cattolica Romana. Un lavoro di 15 scenografie creano una collezione destinata a restare nella storia dell’arte.”

Dal 27 Ottobre 2023 al 25 Novembre 2023 – Galleria Deodato – Roma

I WANT YOU TO KNOW MY STORY – Jess T. Dugan

Shira and Sarah, 2020 © Jess T Dugan

I want you to know my story è la prima mostra personale in Italia dell’artista statunitense Jess T. Dugan, nata dalla pubblicazione del suo ultimo progetto Look at me like you love me (Mack Books, 2022) e curata da Laura De Marco con una produzione originale e inedita di Spazio Labo’.

Jess T. Dugan riflette su desiderio, intimità, amicizia e sui modi in cui le nostre identità sono modellate da queste esperienze. In questo progetto estremamente personale, Dugan intreccia insieme autoritratti, ritratti di persone da sole e in coppia, nature morte e una serie di scritti di natura diaristica in cui riflette su relazioni, solitudine, famiglia, perdita, guarigione e sulle trasformazioni che definiscono una vita intera.

Dugan usa da sempre la fotografia come mezzo per comprendere meglio la propria identità e connettersi agli altri a un livello più profondo. Il suo processo di lavoro lento e collaborativo svela momenti di alta intensità psicologica attraverso immagini che trascendono le specificità di una particolare persona o di un luogo, occupandosi di cosa vuol dire conoscere sé stess* insieme e attraverso l’altr*.

Attraverso una sequenza estesa ma studiata di immagini e testi, Jess T. Dugan porta la nostra attenzione su una delle più potenti e complesse forme di intimità, quella di vedere ed essere vist*.

All’interno della mostra sono presenti video e fotografie inediti per l’Italia. Il bookshop di Spazio Labo’ e Leporello ospita inoltre una selezione speciale di libri fotografici a tematica queer, disponibile per tutta la durata dell’esposizione.

La mostra è inserita nel calendario del festival internazionale Gender Bender e fa parte di Look at us – Rassegna di narrazioni non conformi: un programma di mostre e incontri che da aprile a dicembre 2023 Spazio Labo’ dedica alla visibilità e alla decostruzione dei tradizionali ruoli familiari, identitari e di genere attraverso l’ibridazione dei linguaggi visivi.

Dal 26 ottobre al 19 gennaio 2024 – Spazio Labò – Bologna

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INGE MORATH. L’OCCHIO E L’ANIMA

Inge Morath, Salone di bellezza sulla Fifth Avenue, New York City, USA, 1958
© Magnum/Inge Morath Estate courtesy Fotohof Archiv | Inge Morath, Salone di bellezza sulla Fifth Avenue, New York City, USA, 1958

Svela il profondo e mai convenzionale sguardo sulla realtà di una donna, consacrata fra le più importanti fotografe del XX secolo, la mostra monografica “Inge Morath. L’occhio e l’anima” che al Filatoio di Caragliodal 19 ottobre 2023 al 25 febbraio 2024, celebra, nel centenario dalla nascita, la prima fotogiornalista nella storia della stessa agenzia Magnum.

Inge Morath è stata, prima di tutto, una viaggiatrice. Suo marito, Arthur Miller, ha così descritto questa sua attitudine: “Inge inizia a fare i bagagli non appena vede una valigia”. Nel corso della sua carriera ha realizzato reportage fotografici in Spagna, Medioriente, America, Russia e Cina.
Non ha affrontato mai questi viaggi con superficialità, bensì con serietà, studiando la lingua, le tradizioni e la cultura di ogni regione dove si recava. Era capace di parlare correntemente tedesco, inglese, francese, spagnolo, rumeno, russo e mandarino. Che si trattasse di persone comuni o personaggi pubblici il suo interesse era identico e s’indirizzava sempre verso l’intimità di ciascuno. Inge Morath è stata tra le prime donne a lavorare con la leggendaria agenzia fotografica Magnum Photos. Imparò molto da Henri Cartier-Bresson con cui collaborò in importanti reportage. Il suo stile fotografico affonda le sue radici negli ideali umanistici conseguenti alla Seconda Guerra Mondiale, ma anche nella fotografia del “momento decisivo”, così come l’aveva definita Cartier-Bresson. Ospitarla all’interno degli spazi del Filatoio di Caraglio significa coltivare un’attenzione e una sensibilità verso la figura femminile e il suo ruolo sociale, culturale ed economico nella nostra società, elementi questi fortemente connessi a questo luogo.
Le fotografie di Inge Morath riflettono le sue più intime necessità, ma al contempo sono come pagine del suo privato diario di vita, come lei stessa scrive: “La fotografia è essenzialmente una questione personale: la ricerca di una verità interiore”.

SEZIONi MOSTRA 

INGE MORATH 1923/2002
Per iniziare a conoscere Inge Morath è indispensabile immedesimarsi nella sua passione, curiosità e determinazione. Quasi fossero su una parete della sua abitazione, le fotografie in mostra, che la ritraggono in diversi momenti della sua vita, sono strumenti che ci permettono di avvicinarci alla sua vita: il lavoro nell’agenzia Magnum Photos nei suoi primi anni di attività, la collaborazione con fotografi come Ernst Haas e Henri Cartier-Bresson, l’incontro con lo scrittore Arthur Miller sul set de The misfits (Gli spostati) e il loro successivo matrimonio, i suoi numerosi viaggi. 

VENEZIA
Dopo essere diventata membro associato dell’agenzia Magnum Photos nel 1953, Inge Morath realizza un reportage dedicato a Venezia.
Si tratta di uno dei suoi primi incarichi fotografici. Con fotografie incentrate sulla quotidianità della città, Inge Morath contribuisce al volume illustrato Venice Observed della storica dell’arte Mary McCarthy. Questo primo incarico fotografico precede un soggiorno più lungo in città nell’autunno 1955. In questo periodo la sua attenzione si rivolge verso i luoghi meno frequentati e i quartieri popolari. Le fotografie realizzate, sposando la tradizione fotografica dell’agenzia Magnum, ritraggono persone nella loro quotidianità, con una particolare attenzione verso il mondo femminile e la sua condizione dell’epoca. Alcune ambientazioni surreali e alcune composizione fortemente grafiche sono un esplicito riferimento al lavoro fotografico del suo primo mentore Henri Cartier-Bresson.

IRAN
Nel 1956, dopo aver ultimato il volume illustrato sulla Spagna, Inge Morath riceve l’incarico di recarsi in Iran per la rivista “Holiday” e per aziende americane operanti in quel paese. Per una parte del soggiorno viene accompagnata dell’editore Robert Delpire. Il viaggio diviene occasione per approfondire la conoscenza di quei luoghi, realizzando così un’estesa documentazione fotografica. Come donna, in questa società fortemente patriarcale, ha la possibilità di muoversi all’interno della dimensione femminile e cogliere così il rapporto fra le vecchie tradizioni e le trasformazioni innescate dalla moderna società industriale. Un volume su questo lavoro viene pubblicato nuovamente da Robert Delpire con il titolo De la Perse à l’Iran (1958).

SPAGNA
Nel corso della sua vita Inge Morath ha viaggiato molto in questo Paese. La prima volta risale al 1951 con Henri Cartier-Bresson. Il primo e più ampio lavoro sulla Spagna lo ha realizzato nel 1954. In quell’anno riceve l’incarico di riprodurre alcuni dipinti per la rivista d’arte francese “L’Oeil” e di realizzare a Madrid un ritratto della sorella di Pablo Picasso, Lola, spesso restia a farsi fotografare. Fotografa anche l’avvocatessa Doña Mercedes Formica, la quale si batteva per i diritti delle donne nella Spagna della dittatura franchista.Parlare correntemente lo spagnolo ha aiutato Inge Morath a rendere più approfondito questo suo lavoro. Con le fotografie dedicate alla Spagna la casa editrice francese di Robert Delpire pubblicò il volume illustrato Guerre à la tristesse (1955).

REGNO UNITO / IRLANDA
Ancor prima di diventare fotografa presso l’agenzia Magnum Photos, Inge Morath aveva sposato il giornalista inglese del “Picture Post” Lionel Birch e si era trasferita con lui a Londra. Lontana dall’agenzia e dai fotografi con cui collaborava, comincia ad avvicinarsi autonomamente alla fotografia con l’aiuto di Simon Guttman, il fondatore dell’agenzia fotografica Dephot. Per la rivista Picture Post, progetta un libro su Londra realizzando anche reportage fuori città. Nel corso di questi reportage, Inge Morath fa amicizia anche con Eveleigh Nash, membro dell’aristocrazia inglese, immortalata durante la sua partenza da Londra.

STATI UNITI D’AMERICA
Nel 1957 Inge Morath realizza un fotoreportage a New York per conto della Magnum. La celebre fotografia del lama che esce dal finestrino di un taxi, su un viale della città, fa parte di un progetto più ampio dedicato agli animali impiegati sui set cinematografici. In questo periodo Inge realizza fotografie sul quartiere ebraico, sulla vita quotidiana di New York e ritratti di artisti con cui stringe amicizia. New York, come testimoniato dall’omonimo libro pubblicato nel 2002, rimarrà un luogo importante per tutta la vita di questa fotografa.
Dopo il matrimonio con lo scrittore Arthur Miller, nel 1962, Morath si trasferisce in una vecchia e isolata fattoria a Roxbury, a circa due ore di auto da New York. Un luogo di campagna lontano dalla frenesia della città, dove si dedica alla vita famigliare e cresce i suoi due figli Rebecca e Daniel.

SAUL STEINBERG MASCHERE
Il progetto fotografico che Inge Morath realizza in collaborazione con il disegnatore Saul Steinberg, risale al suo primo viaggio a New York. In quel periodo conosce la produzione artistica di Saul Steinberg, rimanendo entusiasta del suo lavoro. Negli anni sessanta Steinberg aveva iniziato a realizzare la sua serie di maschere e chiede ad Inge Morath di trovare delle persone da fotografare con gli abiti adatti per queste maschere. Gli scatti hanno in comune il fatto di essere ambientati nella vita quotidiana newyorkese. Nel 1966 viene pubblicato il primo volume illustrato su questo progetto.

ROMANIA
Nel 1957 e nel 1958 Inge Morath ha attraversato la Romania per poter fotografare il Danubio fino alla sua foce. In epoca comunista quest’area era una zona militare interdetta e Morath ha dovuto aspettare molto tempo per ottenere i permessi di viaggio. Durante questi periodi di attesa, ha così viaggiato molto nel resto del Paese, scattando fotografie che forniscono una documentazione molto estesa di questo Paese durante gli anni della Guerra Fredda, come quelle dedicate alla vita all’interno di una fabbrica tessile a Bucarest.
Le foto ottenute da questa esperienza non erano sufficienti per la pubblicazione di un volume illustrato. Soltanto negli anni 1994-1995 Inge Morath riprende in mano il progetto e pubblica un volume sul Danubio e la Romania con il sostegno della galleria Fotohof e con la collaborazione di Kurt Kaindl e Brigitte Blüml-Kaindl.

RUSSIA
La Russia è stata, per Inge Morath, un luogo desiderato per tutta la vita. Il suo ingresso in questo ambiente culturale si è realizzato attraverso la lingua, che ha imparato a Roxbury prima del suo primo viaggio, e attraverso la letteratura russa.
Per la prima volta, nel 1965, coglie l’occasione di andare in Russia con suo marito, Arthur Miller. In questo periodo Miller era presidente del PEN club – un’associazione internazionale non governativa di letterati – e insieme poterono far visita agli artisti e intellettuali russi epurati, oltre che portare a termine programmi ufficiali. Nasce un ampio lavoro fotografico che negli anni successivi è integrato da materiale di altri viaggi in Russia. Nel 1969 viene pubblicato il suo primo volume illustrato sulla Russia. 

AUSTRIA
Nel corso della sua vita Inge Morath ritorna più volte in Austria. Sua madre, infatti, viveva a Graz. Un libro con le foto sul suo Paese natale è stato pubblicato negli anni Settanta e un altro volume dopo la sua morte. Le foto del periodo austriaco sono caratterizzate da un rapporto intenso con gli artisti del Paese, alcuni dei quali conosciuti a Vienna nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale. Mentre Inge Morath si concentra, nella maggior parte del suo lavoro, sulle persone e sulla loro quotidianità, ci sono numerose immagini realizzate in Austria che raffigurano l’eredità barocca e i retaggi della monarchia austro-ungarica. Spesso queste immagini hanno una dimensione prevalentemente architettonica. 

CINA
Inge Morath si reca per la prima volta in Cina in occasione della rappresentazione a Pechino dello spettacolo Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller. Dopo un’accurata preparazione e dopo aver imparato il mandarino, il dialetto cinese più importante, può muoversi autonomamente a Pechino e nei dintorni della città. Le prove dello spettacolo durarono diverse settimane e, ancora una volta, i numerosi contatti con artisti ufficialmente riconosciuti e non, sono l’ispirazione più grande per il suo lavoro fotografico.

RITRATTI
I ritratti sono un tema che ha accompagnato Inge Morath per tutta la sua carriera fotografica.
Da un lato era attratta da artisti famosi, la cui visione del mondo era di ispirazione per il suo lavoro, e dall’altro dalle persone semplici incontrate durante i suoi reportage. Ogni suo ritratto si basa su un rapporto intenso o anche su una conoscenza profonda della persona immortalata. La conoscenza di molte lingue straniere – parlava fluentemente il tedesco, l’inglese, il francese, il rumeno, lo spagnolo, il russo e il mandarino – rappresenta per Inge Morath, un’opportunità per interagire con le persone che intende fotografare. 
Il suo interesse per le arti figurative e la letteratura l’ha portata a ritrarre molti artisti e scrittori.
Tra i ritratti realizzati all’inizio della sua carriera, spesso lavori su incarico dell’agenzia Magnum, ci sono anche molti attori e registi. Ormai celeberrima la fotografia di Marilyn Monroe che esegue dei passi di danza all’ombra di un albero, realizzata sul set del film The misfits (Gli spostati) del 1960. Su quel set Inge Morath conosce Arthur Miller che all’epoca era legato con l’attrice americana. 

ROXBURY
Dopo il matrimonio con lo scrittore Arthur Miller nel 1962, Inge Morath si trasferisce in una fattoria a Roxbury, a due ore di auto da New York. Nei pressi dell’abitazione c’era un vecchio granaio che viene adattato ad appartamento per gli ospiti, atelier di pittura, deposito e camera oscura. In un ex silos di legno vengono create delle stanze per ospitare lo studio di Inge Morath. Dal 1990, fino alla sua morte sopraggiunta nel 2002, Kurt Kaindl e Brigitte Blüml-Kaindl hanno regolarmente fatto visita a Inge Morath a Roxbury per sviluppare progetti dedicati al suo lavoro. Durante questi incontri è nata l’idea di catturare, attraverso delle fotografie, l’atmosfera di quel luogo. Nelle foto non compaiono persone, ma ci sono tracce, visibili, del lavoro di Inge Morath e della sua eredità.

FRANCIA
Parigi è il luogo dove Inge Morath ha incontrato i fondatori dell’agenzia Magnum: Henri Cartier-Bresson, David Seymour e Robert Capa. Condividere il lavoro con questi straordinari fotografi e far parte di una realtà così giovane ma ambiziosa, la spinsero ad avvicinarsi alla fotografia, cercando autonomamente la propria strada. Essendo la più giovane fotografa dell’Agenzia, le venivano affidati lavori minori come sfilate di moda, aste d’arte o feste locali. In queste immagini emerge il suo interesse per gli aspetti bizzarri della vita quotidiana e la volontà di sposare la teoria del “momento decisivo” di Henri Cartier-Bresson. 

COLORE
Per la prima volta in Italia viene mostrata una selezione di fotografie a colori di Inge Morath, frutto di un lavoro di ricerca all’interno della Fondazione Inge Morath. All’epoca le fotografie in bianco e nero venivano trattate come opere d’arte, mentre quelle a colori erano associate ad una dimensione essenzialmente commerciale da veicolare nelle riviste illustrate. In molti, tra cui la stessa Morath, consideravano la loro produzione a colori come secondaria. Lo stesso fotografo Walker Evans affermava che “la fotografia a colori è volgare”. Queste fotografie sono invece testimonianza di una sua grande sensibilità in grado di trasformare una visione ordinaria in un momento estremamente lirico. 

Dal 19 Ottobre 2023 al 25 Febbraio 2024 – Il Filatoio – Cuneo

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VERONICA GAIDO. INVISIBLE CITY

Veronica Gaido, Inferno dei viventi, 2023
Veronica Gaido, Inferno dei viventi, 2023

In occasione della seconda edizione di Pietrasanta Design Week-end, il Complesso Monumentale Chiostro di Sant’Agostino della cittadina versiliese ospita dal 19 ottobre al 10 dicembre 2023 la mostra di Veronica Gaido INVISIBLE CITY a cura di Maria Vittoria Baravelli.

INVISIBLE CITY è una serie fotografica, nata nel 2015 e ancora in fieri, per cui l’artista si è ispirata al celebre romanzo omonimo di Italo Calvino. La mostra, dopo essere stata ospitata al Consolato generale d’Italia a New York da maggio a settembre 2023, approda in Italia e sarà uno degli eventi di punta di Pietrasanta Design Week-end.

Da New York a Pechino, da Miami a Tokyo, gli edifici di queste grandi metropoli si trasformano passando attraverso l’occhio di Veronica Gaido e diventano sostanza viva, pura luce. L’artista fa diventare la materia dura delle architetture monumentali fluida, flessibile, sinuosa; tratta i grattacieli come fossero canne di bambù mosse dal vento, percorse dalla luce, dal tempo e dalle sue emozioni, in una visione che guarda alla pittura futurista del primo Novecento, ma che diventa futuristica.

Un vero e proprio passaggio di materia dove il solido diventa fluido e vibrante, creando delle immagini che attraggono e respingono allo stesso tempo e che, trasportando la mente nella sfera del sublime, fanno correre l’immaginazione e danno vita a spazi e mondi altri.

In questo modo, Veronica Gaido non è solo una fotografa, ma una pittrice della realtà, un’artista che dipinge con la luce per farci vedere il mondo con una nuova prospettiva, ricordandoci che la bellezza è ovunque, se siamo disposti a osservare con attenzione e sensibilità. Le sue immagini sono più di semplici scatti: sono pennellate di colore, luce ed emozione. Ogni foto racconta una storia, cattura un momento, e ci invita a vedere il mondo con occhi diversi.

L’artista spesso parte da una fonte letteraria per dare vita ai suoi lavori, come in questo caso in cui è stata ispirata da Italo Calvino, di cui ricorrono proprio i cento anni dalla nascita, e da quel Marco Polo delle Città invisibili che descrive città immaginifiche, fantastiche, ma dalle possibilità illimitate, come quelle di Veronica Gaido. 
Veronica Gaido, utilizzando la lunga esposizione e componendo e scomponendo i soggetti che ritrae, siano essi corpi o architetture, come in questo caso, ci restituisce una sua personale interpretazione delle realtà e delle emozioni che quel preciso pezzo di mondo ha suscitato in lei.

“«D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda», questa citazione di Italo Calvino sembra incarnare il sentimento che emerge dal lavoro fotografico di Veronica Gaido intitolato “INVISIBLE CITY”, in omaggio al celebre romanzo dello scrittore.” – scrive Maria Vittoria Baravelli curatrice della mostra – “Una indagine attraverso le sue fotografie liquide delle città del mondo, dall’America al Giappone, dalla Cina all’Europa, per giungere oggi, in occasione della sua mostra, in Versilia, territorio in cui è nata.
L’esposizione racconta di come le architetture, totem della nostra contemporaneità esprimano le vite di chi i luoghi li vive, dimostrando quanto la sua fotografia sia più vicina all’arte che al reportage.
Corpi vicini, lontani, sfumati, accennati o a malapena visibili. Nelle immagini di Veronica, sembra che esploriamo la superficie delle cose, cercando di unire i pezzi e di delineare tutte le vite che non sono le nostre, o che forse avremmo potuto vivere se fossimo dall’altra parte del mondo”.

Dal 20 Ottobre 2023 al 10 Dicembre 2023 – Complesso di Sant’Agostino – PIETRASANTA | LUCCA

FRIDA KAHLO. UNA VITA PER IMMAGINI

Guillermo Kahlo, Frida, Messico, 1932. Stampa al platino/palladio
Guillermo Kahlo, Frida, Messico, 1932. Stampa al platino/palladio

Frida Kahlo. Una vita per immagini, arriva alla GAM, dal 21 ottobre al 28 novembre 2023, di Palermo dopo la tappa di Riccione, con oltre un centinaio di scatti, per la maggior parte originali, che ricostruiscono e narrano la vita controcorrente della grande artista messicana, alla ricerca delle motivazioni che l’hanno trasformata in un’icona femminile e pop a livello internazionale.

Le fotografie sono state realizzate dal padre Guillermo Kahlo, durante l’infanzia e la giovinezza della figlia, e da alcuni dei più̀ grandi fotografi della sua epoca: Leo Matiz, Imogen Cunninghan, Edward Weston, Lucienne Bloch, Bernard Silberstein, Leo Matiz, Manuel e Lola Álvarez Bravo, Nickolas Muray e altri.

In questo straordinario “album fotografico” si rincorrono le vicende esaltanti, dolorose e appassionate di una vita, ma nondimeno emerge il contesto in cui si è affermata la sua personalità, il Messico del primo Novecento e la rivoluzione che ne ha cambiato volto e storia, fatta di umili campesinos ed eroici protagonisti come Pancho Villa e Emiliano Zapata.

Un’epopea e un mito, quello del Messico rivoluzionario, che forgia, non meno delle vicende biografiche più intime, il carattere ribelle e anticonvenzionale di Frida, figlia di un fotografo professionista di origine tedesca giunto in Messico nel 1891 e rimasto poi in una terra di cui profondamente si innamora, come testimoniano le fotografie – realizzate su incarico del governo austriaco – delle chiese coloniali del paese.

Il mezzo espressivo della pittura diviene il linguaggio prediletto, viscerale e appassionato di un’artista dal carattere indipendente e fiero, che nella pittura si rispecchia e si racconta senza attenuanti, senza ipocrisie. Tutta la sua opera è una forma di autoanalisi, una ricerca di identità̀ e di verità, negli autoritratti come nelle opere che la vedono accanto a Diego Rivera, il pittore e muralista con cui ha condiviso un rapporto intenso e turbolento, o a figure come Leon Trotsky e André Breton.

La mostra si divide in sezioni: La Casa Azul, dedicata alla casa natale di Frida, a  Coyoacán, un sobborgo di Città del, dove l’artista visse la maggior parte della vita tra le pareti blu cobalto e oggi sede del museo a lei dedicato; La Rivoluzione Messicana, un focus per immagini sugli eventi che dalla rivolta del 1910 cambiano il volto del paese e che tanta influenza avranno sull’immaginario e sulla sensibilità di Frida Kahlo; Rufino Tamayo e l’arte messicana, incentrata su uno dei pittori e muralisti messicani più significativi del Novecento, che condivide con Frida la medesima cultura figurativa, tra astrazione e surrealismo; Guillermo Kahlo e le chiese messicane, con la campagna fotografica per documentare le chiese barocche del Messico coloniale, commissionata al padre di Frida dal governo austriaco; la sezione Frida in video, infine, raccoglie le poche immagini filmate di Frida Kahlo che ci sono pervenute.

La mostra, a cura di Vincenzo Sanfo, è promossa dal Comune di Palermo, Assessorato alla Cultura, è organizzata da Civita Sicilia con la collaborazione di Rjma Progetti culturali.

Dal 21 Ottobre 2023 al 28 Novembre 2023 – Galleria d’Arte Moderna Empedocle Restivo – Palermo

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Maria Spes Bartoli, prima fotografa

Maria Spes Bartoli fu la prima fotografa professionista ad aprire un suo atelier nelle Marche, nel 1924.  

Nata a Senigallia nel 1888, fu testimone di decisivi capitoli della storia del nostro Paese mentre, con il suo impegno lavorativo ed artistico, contribuì a cambiamenti importanti nel modo di definire la figura femminile all’interno della nostra società.

Il suo primato è un fatto degno di nota in quanto gli stereotipi di genere che hanno accompagnato la nostra cultura, sono stati per lungo tempo motivo di esclusione delle donne da molte professioni, compresa la fotografia.

A Senigallia Maria Spes visse fino ai suoi 16 anni; è qui che realizzò i primi scatti, assieme al padre Beniamino, anch’esso fotografo. Più tardi si trasferì a Tolentino dove continuò il suo impegno in modo professionale.

Pronipote del vescovo di Senigallia Ignazio Bartoli (dal 1880 al 1895) è nata in una famiglia di nobili origini votata dall’arte. Per lei la fotografia fu un mestiere ma anche un modo per conoscersi nel profondo dato che l’archivio conserva numerosi autoritratti di straordinaria bellezza.

Il teatro sarà l’altra presenza importante nella sua vita. Dopo gli esordi a Senigallia insieme al padre, ella fece parte del Circolo Mandolinistico-Filodrammatico di Tolentino e nel dopoguerra della Filodrammatica “A. Parisani” e della sezione filodrammatica del gruppo goliardico “S. Bezzi”.

Il fatto che Maria Spes sia nata ed abbia iniziato a fotografare a Senigallia ha inoltre un valore considerevole che  anticipa l’inizio della storia custodita e valorizzata dal progetto Senigallia città della fotografia alla seconda metà dell’800.

La mostra racconta la vita della fotografa Maria Spes Bartoli. Nata a Senigallia nel 1888 fu la prima donna fotografa professionista ad aprire un suo atelier nelle Marche, nel 1924.

In esposizione opere originali realizzate tra la fine del ‘800 e i primi decenni del ‘900 relativi alla sua attività fotografica lavorativa e a quella artistica, privata, incentrata sull’autoritratto e sul teatro.

I soggetti spaziano in vari ambiti: architettura, vita quotidiana, le maestranze cittadine, la famiglia e le loro frequentazioni piuttosto altolocate, il collegio Bartoli  e il Seminario vescovile seguiti dallo zio vescovo Ignazio, le loro attività teatrali e alcuni eventi storici.

A Senigallia Maria Spes realizzò i primi scatti assieme al padre Beniamino e dunque su questa città sono esposti numerosi scatti inediti realizzati dai Bartoli.

Fra questi anche quattro stampe della storica tipografia di Giovanni Puccini, padre di Mario e molte vedute di città delle Marche e rare cartoline.

20 ottobre 2023 _ 8 gennaio 2024 – Senigallia, Palazzetto Baviera

RIDERE SUL SERIO – Marina Alessi

Marina Alessi, fotografa. Giovane abbastanza per innamorarsi della vita e “grande” abbastanza per aver affinato le qualità e le tecniche che le permettano di raccontare ciò di cui la vita l’ha fatta innamorare.

L’arte del saper comunicare la interessa assai, a partire dalla scrittura e dal segno. Il teatro soprattutto. Ma anche la televisione, il cinema.

Poi il cabaret, che del teatro è la forma più diretta, lineare e sfaccettata, per non dire sfacciata. Non c’è la quarta parete, al cabaret, per questo non ci può essere un tipo di obiettivo che freni.

C’è il corpo, sì. Ci sono la parola, il gesto, la provocazione complice. Finiscono dentro l’obiettivo che obiettivo non è mai del tutto, in mano a un bravo fotografo. Davanti alla macchina fotografica, nell’occhio di Marina, c’è gente che non recita, o se recita lo fa capire, di modo che il salto verso la finzione, diventi un gioioso balzo mortale complice, che riporti al reale. Le foto, fatte da Marina, dei comici e del loro mondo sono morbide, fresche anche quando raccontano percorsi magari complessi. Ma sono vere, credibili, quasi sempre serene e coinvolgenti. I comici sanno raccontare perché sanno raccontarsi. Soprattutto Marina Alessi sa raccontarli perché ha imparato a conoscere i comici e a coglierne gli stimoli.

La storia professionale di Marina Alessi non è per nulla banale. Ha pubblicato diversi libri, gli ultimi soprattutto sul comico in tv e in cabaret.

Sono artistiche, le foto di Marina, ma mai sofisticate inutilmente. Sono vere. Dirette, raccontano la realtà, quasi accarezzandola. Garbate e credibili.

Con Marina Alessi, fotografa, il gioco è scoperto: mettersi a nudo come si fosse vestiti. E magari in abito da sera come si fosse nudi. Un gioco, come sempre quando ti propone di raccontarti e di raccontare qualcosa. Poi, a lavoro terminato, quel qualcosa sai già che ti aiuterà a capirti di più

Dal 6 novembre – Cinema Anteo Milano

MICHEL HADDI: BEYOND FASHION

Michel Haddi, <em>Georgia May Jagger</em>, Paris, 2017. Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery
© Michel Haddi | Michel Haddi, Georgia May Jagger, Paris, 2017. Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery

29 ARTS IN PROGRESS gallery è lieta di annunciare la mostra ‘MICHEL HADDI: BEYOND FASHION’, la prima grande personale a Milano del fotografo franco-algerino Michel Haddi.
Il progetto espositivo si svilupperà in due appuntamenti: il primo dal 19 ottobre al 22 dicembre 2023 e il secondo dal 16 gennaio al 16 marzo 2024.

In mostra le immagini più rappresentative di una carriera lunga più di 40 anni, parte di un archivio sterminato di volti celebri, top model, icone e leggende della musica e dell’arte. Da Liza Minnelli a David Bowie, da Cameron Diaz a Jennifer Lopez e Angelina Jolie, passando per inaspettate Naomi Campbell e Kate Moss, Linda Evangelista, Stephanie Seymour, Yasmin Le Bon e Veruschka, solo per citarne alcune.

Infiniti i volti ritratti da Haddi che ha saputo catturare lo spirito del suo tempo attraverso le personalità che hanno animato la storia della moda, del cinema e della musica.

Uno sguardo intimo, personale, anticonvenzionale come quasi tutta la sua carriera, ben lontana da quella del classico fotografo di moda: sopravvissuto ad un’infanzia turbolenta con il sogno di diventare fotografo, Haddi dedicherà la sua vita a raccontare alcuni dei protagonisti dei cambiamenti storici e culturali dell’ultimo secolo con una rara abilità nel saper cogliere, e poi restituire, l’essenza più profonda dei suoi soggetti.

Il percorso espositivo, che si sviluppa in due fasi, permetterà al pubblico ed ai collezionisti di cogliere l’essenza dell’opera di Haddi tanto nelle più raffinate immagini in bianco e nero realizzate in studio, quanto negli scatti più inconsueti carichi di un’anima street e urban ma anche di ironia e sensualità che evidenziano la poliedrica personalità dell’Artista.

Con l’obiettivo di rendere onore ad una produzione vastissima, la seconda fase espositiva presenterà al pubblico oltre a nudi e scatti inediti, anche suggestive immagini dai colori brillanti e dalle atmosfere tropicali americane anni Novanta, spesso legate ad alcune emblematiche campagne pubblicitarie create da Haddi per brand internazionali come Versace, Chanel, Armani, Yves Saint-Laurent.

Haddi, la cui traduzione letterale dalla lingua semitica è ‘colui che vede’, è riuscito nell’ardua impresa di vedere, appunto, la vera natura di chi posava per lui dietro l’obiettivo – attori, modelle o persone comuni – e a realizzarne un’immagine ora ironica, ora profonda: tutte le sue fotografie hanno una storia da raccontare perché sono immagini autentiche, che giocano con le più comuni emozioni umane e diventano, proprio per questo, indelebili.

Le due fasi espositive saranno animate da eventi live con Michel Haddi volti a favorire l’interazione e il dialogo tra l’Artista e il pubblico della città di Milano.
Seguiranno aggiornamenti sui dettagli e le modalità di partecipazione.

Dal 19 Ottobre 2023 al 16 Marzo 2024 – 29 ARTS IN PROGRESS gallery – Milano

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MARIO DE BIASI E MILANO. EDIZIONE STRAORDINARIA

Mario De Biasi, <em>Galleria Vittorio Emanuele II, Milano, anni Cinquanta</em> I © Mario De Biasi per Mondadori Portfolio
Mario De Biasi, Galleria Vittorio Emanuele II, Milano, anni Cinquanta I © Mario De Biasi per Mondadori Portfolio

Un saggio visivo sull’opera di Mario De Biasi (1923-2013), fotografo versatile, definito da Enzo Biagi come “l’uomo che poteva fotografare tutto”. E in questo tutto ha prediletto il capoluogo lombardo, dove si trasferì a 15 anni. Così a cento anni dalla sua nascita, il Museo Diocesano di Milano gli dedica – dal 14 novembre 2023 al 21 gennaio 2024 – un’Edizione Straordinaria che raccoglie una serie di scatti iconici dedicati alla sua città d’adozione.   
 
La mostra “MARIO DE BIASI E MILANO. Edizione Straordinaria”, organizzata e prodotta da Mondadori Portfolio in collaborazione con il Museo Diocesano di Milano e curata da Maria Vittoria Baravelli con Silvia De Biasi, presenta 70 fotografie vintage, provini e scatti inediti di uno degli autori più apprezzati del secondo Novecento italiano, che per trent’anni documentò la storia del nostro Paese attraverso le pagine del periodico di Arnoldo Mondadori Editore, “Epoca”.
Il percorso espositivo – costituito da opere provenienti dall’Archivio Mondadori e dall’Archivio De Biasi – consentirà al pubblico di conoscere il linguaggio personale che il fotografo adattò a contesti molto diversi tra loro. E, in particolare, a Milano.
 
Il Duomo, la città, la gente e la moda, senza ordine o punteggiatura”, racconta Maria Vittoria Baravelli, “Milano è quinta e campo base, luogo di una danza infinita da cui De Biasi parte per tornare sempre, dedito a immortalare dalla Galleria ai Navigli, alla periferia, una città che negli anni Cinquanta e Sessanta si fa specchio di quell’Italia che diventa famosa in tutto il mondo“.
 
Uno sguardo lucido ed evocativo al tempo stesso, quello di De Biasi, capace di raccontare con immediatezza e originalità un momento controverso della storia d’Italia. Nelle trame ordinate dei suoi scatti si leggono infatti i cambiamenti storici e culturali del Paese, che negli anni ’50 e ’60 andava assestandosi su una rinnovata identità culturale. Rinascita che in Milano trovava sintesi e negli scatti di De Biasi eloquente espressione.
L’esposizione si snoda attraversando idealmente la città, dal suo centro nevralgico fino alle periferie. Ci sono i turisti che s’affacciano dal tetto del Duomo e che affollano i bar della Galleria Vittorio Emanuele II, ma anche i pendolari alla stazione ferroviaria di Porta Romana. E poi San Babila, l’Arco della Pace, scorci di una Milano oggi impossibile dove le chiatte risalgono i Navigli e tutti si meravigliano del mondo che cambia.
L’approccio autoriale di De Biasi si arricchisce dell’acume giornalistico nel 1953, quando viene assunto come fotoreporter da Epoca. Rivista iconica del tempo, ideata sul modello dei periodici statunitensi illustrati, di cui facevano parte, tra gli altri, Aldo Palazzeschi e Cesare Zavattini.
In una pubblicazione che si distingueva per la raffinata impostazione grafica, secondo il direttore Enzo Biagi, De Biasi era l’unico in grado di garantire sempre al giornale “la foto giusta”, anche se per guadagnarla doveva rischiare la vita tra pallottole e schegge di granata, nei tanti servizi bellici della sua carriera. Oppure confrontarsi con i grandi personaggi dell’epoca tra intellettuali, attrici e artisti.
Totalmente inediti i provini di Moira Orfei acrobata e i frame che precedono e seguono il celebre scatto Gli Italiani si voltano, realizzato nel 1954 per il settimanale di fotoromanzi Bolero Film, che Germano Celant scelse per aprire la mostra “Metamorfosi dell’Italia”, organizzata nel 1994 al Guggenheim di New York. L’immagine immortala un gruppo di uomini che osservano Moira Orfei, inquadrata di spalle e vestita di bianco mentre passeggia per il centro di Milano.
La mostra si chiude con una sezione di fotografie che De Biasi realizzò nei suoi viaggi extra europei: dall’India alla Rivoluzione di Budapest, dal Giappone alla Siberia, fino ad arrivare all’allunaggio con i celebri scatti a Neil Amstrong.

Dal 14 Novembre 2023 al 21 Gennaio 2024 – Museo Diocesano Carlo Maria Martini – Milano

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LUIGI&IANGO. UNVEILED

Luigi&Iango, Madonna
© Luigi&Iango | Luigi&Iango, Madonna

Dal 22 settembre al 26 novembre Palazzo Reale presenta “Unveiled”, la prima personale di Luigi Murenu e Iango Henzi, duo fotografico riconosciuto a livello internazionale per la raffinata ricerca estetica. La mostra, allestita nell’Appartamento dei Principi ad ingresso gratuito, è promossa da Comune di Milano – Cultura e prodotta da Palazzo Reale con 2B Management.
 
Una selezione di più di 100 stampe fine art – alcune delle quali ancora inedite – e opere provenienti dai loro archivi, i “dietro le quinte” dei loro set, materiali di scena e video accompagneranno i visitatori e le visitatrici in un mondo di bellezza ed eleganza: dalle icone della cultura contemporanea (Marina Abramovic, Mikhail Baryshnikov) al Kabuki giapponese, fino ai ritratti di top model, artisti e performer (Cate Blanchett, Cher, Mahmood, Dua Lipa, Penélope Cruz e Pedro Almodovar e molti altri).    
 
Al centro della mostra, una sala interamente dedicata alle loro collaborazioni creative con Madonna, con molte immagini inedite e vere e proprie installazioni. Luigi e Iango orchestrano ogni shooting in modo corale e intimo, rendendo tutte le persone ritratte non solo soggetti ma interpreti della coreografia delle immagini. Il loro è sempre un set-laboratorio, molte volte allestito nella casa-studio di New York, dove nessuno è spettatore e dove tutti sono insieme registi e attori recitanti. Dalle top model di ieri ai nuovi modelli di bellezza, dalle celebrità ai talenti sconosciuti, la comunità ritratta dal duo diventa una sinfonia umana di voci prima che di visioni.
 
Ed ecco il concetto di svelamento, di Unveil: nei loro scatti la bellezza non si traduce in un modello inarrivabile o in uno stereotipo patinato, ma diventa uno strumento di ricerca della verità, un modo per svelare un paradigma del bello più libero e più umano. Il fine è semplice ed è sempre lo stesso: restituire a ogni soggetto fotografato lo specchio della propria diversità.
 
Luigi Murenu e Iango Henzi, Luigi&Iango hanno scattato finora più di 300 copertine di Vogue – quasi sempre in bianco e nero, il loro mezzo preferito – e ritratti d’innumerevoli celebrità. Artisti sinceramente e generosamente dediti alla solidarietà, da anni lavorano con amfAR per la quale hanno raccolto più di un milione di dollari donando le loro stampe fine art.
 
Il loro lavoro è apparso in musei di tutto il mondo, tra cui il Brooklyn Museum, il Montreal Museum of Fine Arts, la Kunsthal Rotterdam, l’Hypo-Kunsthalle a Monaco, il Musée des arts Décoratifs a Parigi e al Padiglione francese per l’Esposizione Universale 2020 di Dubai.   

Dal 22 Settembre 2023 al 26 Novembre 2023 – Palazzo Reale – Milano

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TUTTE LE STELLE PORTANO A ROMA. RITRATTI FOTOGRAFICI DI LUIGI DE POMPEIS

<em>Leonardo Di Caprio, Martin Scorsese, Robert De Niro - Festival di Cannes</em>, 2023 I Foto: Luigi de Pompeis
Leonardo Di Caprio, Martin Scorsese, Robert De Niro – Festival di Cannes, 2023 I Foto: Luigi de Pompeis

Dal 18 al 29 ottobre, nell’ambito della diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma, sarà possibile ammirare gratuitamente nel Foyer Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica la mostra Tutte le stelle portano a Roma. Ritratti fotografici di Luigi de Pompeis che prosegue anche negli spazi di WeGil, l’hub culturale della Regione Lazio gestito da LAZIOcrea, dal 23 ottobre al 12 novembre 2023.

La rassegna espositiva presenta i volti di grandi attori e attrici ritratti dagli scatti d’autore di Luigi de Pompeis, noto fotoreporter. Circa 40 immagini in bianco e nero, selezionate dalla curatrice Georgiana Ionescu: risate, sguardi, foto di gruppo, espressioni e personaggi che attraversano un unico grande tema, il cinema, qui raccontato attraverso i diversi Festival.

Un labirinto di volti con immagini in bianco e nero di artisti italiani ed internazionali, pose, sogni di personaggi del mondo del cinema e dello spettacolo. Un ritratto collettivo di anime incontrate da Luigi de Pompeis nel corso della sua carriera in giro per il mondo.

Da Paolo Sorrentino a Juliette Binoche, da Angelina Jolie a Tom Hanks, passando per Nanni Moretti, Michael Douglas e Isabella Rossellini, solo per citarne alcuni, tutti rigorosamente in bianco e nero, per raccontare la mitologia del Cinema attraverso tre grandi Festival cinematografici europei: Roma col suo meraviglioso tappeto, Cannes con la sua magica Montée e Venezia, il più antico festival cinematografico del mondo, con la sua stupenda passerella al Lido.

La mostra, nelle sue due sedi, rientra nel palinsesto di eventi e attività collaterali previste in occasione della Festa del Cinema.
“La fotografia di de Pompeis ci rivela fin da subito un artista non tanto interessato al gossip o agli importanti eventi mondani, quanto alla possibilità di mostrare, attraverso i volti delle star che ritrae, la felicità silenziosa di un istante, cogliendo l’attimo. Il fotografo cattura abilmente i suoi soggetti, tra luci e ombre di flash continui, e riesce a mettere in risalto le loro emozioni, senza pregiudicarne la naturalezza, escludendo la teatralità tipica del contesto. Gentile e umile, estremamente rigoroso e appassionato, sarcastico al punto giusto, brillante nello sfruttare l’attimo, Luigi de Pompeis ci racconta il Cinema”, afferma Georgiana Ionescu.

“La mia esperienza come fotografo mi ha portato a conoscere tante persone e a trovarmi in tante situazioni belle e particolari. Dopo la mostra dello scorso anno, continuo a narrare eventi importanti visti con i miei occhi, la mia lente e le mie emozioni. Roma è il mio punto di partenza ed il punto di arrivo di questa mostra, che attraversa tre Festival e cerca di raccontarne la vita.”, dichiara il fotografo Luigi de Pompeis.

Le strade di questi tre Festival, con le loro emozioni e i tanti protagonisti, si riuniscono in un’unica esposizione su due sedi che racchiude l’essenza del cinema e che rappresenta l’affresco degli artisti che Luigi de Pompeis ha incontrato nel suo percorso professionale. 

Grazie ad un QRCODE, i visitatori potranno ammirare gli scatti che Luigi de Pompeis farà durante la Festa del Cinema di Roma, così da renderli compartecipi del tappeto di stelle che animerà l’edizione 2023.

In parallelo e ad accompagnare l’esposizione alcuni talk pomeridiani rivolti a piccole platee in conversazione con i professionisti del cinema.

La mostra di Luigi de Pompeis ha il supporto di Regione Lazio, di cui si ringrazia il responsabile struttura cinema e audiovisivo Lorenza Lei, è promossa da Fondazione Cinema per Roma, con gli auspici della Presidenza Commissione Cultura, Scienza, Istruzione della Camera dei Deputati, organizzata da Civita Mostre e Musei in collaborazione con la Fondazione Ludovico degli Uberti, Media Partner Urban Vision.

Dal 18 Ottobre 2023 al 12 Novembre 2023 – Auditorium Parco della Musica / WeGil – Roma

FOTO/INDUSTRIA 2023 – GAME. L’INDUSTRIA DEL GIOCO IN FOTOGRAFIA

Olivo Barbieri, Flippers, 1977-78
Olivo Barbieri, Flippers, 1977-78

Fondazione MAST annuncia la sesta edizione di Foto/Industria, l’unica biennale al mondo di fotografia dell’industria e del lavoro, a Bologna dal 18 ottobre al 26 novembre sotto la direzione artistica di Francesco Zanot.
L’industria del gioco, GAME, è il tema del percorso fotografico di quest’anno ed è declinato in dodici mostredi cui undici personali e una collettiva, allestite in 10 sedi del centro storico e al MAST. 
La mostra in corso al MAST, che propone un percorso sulle opere di grande formato dell’artista Andreas Gursky, entra a far parte della Biennale del 2023. Con la sua ricerca sulla relazione tra immagine e realtà Gursky esplora anche l’invenzione dello spazio reale, come avviene nei giochi e/o nei videogiochi.

Foto/Industria 2023 è l’edizione del decimo anniversario di Fondazione MAST e rientra nelle iniziative per i 100 anni dell’impresa G.D“Fare del lavoro una cultura e della cultura un lavoro”: sono le parole che legano queste due realtà e che rappresentano da un lato la cultura aziendale dell’impresa che si è consolidata nel tempo (G.D) e dall’altra quella della creazione di uno spazio innovativo e partecipativo di produzione del pensiero sul lavoro (MAST). 
Dai giochi per bambini ai luna park, dai casinò ai giochi di ruolo, fino ai videogame, il settore del gioco ha assunto proporzioni senza precedenti, incorporando tematiche di straordinaria rilevanza e attualità.

“L’indagine su un’attività universalmente diffusa come il gioco” – spiega Francesco Zanot – “che non conosce limiti di genere, età, luogo, ha rivelato punti di vista complessi e articolati, finalizzati a diversi obiettivi: dall’intrattenimento all’apprendimento, dal riposo alla gratificazione”.  Il legame con i temi della produzione industriale e del lavoro, alla base di ogni edizione di Foto/Industria, si riferisce qui a un comparto di grande ampiezza e solidità, capace di rinnovarsi nel corso del tempo per incontrare i cambiamenti del gusto e delle abitudini e dimostrarsi sempre estremamente ricettivo nei confronti dell’innovazione tecnologica, di cui costituisce uno dei principali destinatari e un banco di prova per ulteriori utilizzi.

Le dodici mostre di Foto/Industria2023 rappresentano una timeline di visioni sul tema del gioco a partire dalla fine dell’Ottocento fino ai giorni nostri e offrono l’occasione di osservare e approfondire la ricerca di una selezione di artisti internazionali (tra cui giovani emergenti e protagonisti della scena mondiale) attraverso undici personali e una mostra collettivaEricka Beckman (Stati Uniti, 1951), Olivo Barbieri (Italia, 1954) e Raed Yassin (Libano, 1979) esplorano alcune strutture tipiche del gioco cogliendone gli aspetti culturali, la dimensione simbolica e le relazioni con altri modelli sociali; Heinrich Zille (Germania, 1858-1929), Linda Fregni Nagler (Italia, 1976) e Daniel Faust (Stati Uniti, 1956) sono orientati all’osservazione dello spazio del gioco, che nello specifico si estende dalla scala del luna park di Berlino alla fine dell’Ottocento ai playground che punteggiano le città contemporanee, fino a un’analisi quasi-tipologica di Las Vegas, dove il gioco ha determinato l’architettura e l’urbanistica di un’intera città; il rapporto tra gioco, identità e relazioni sociali è invece al centro delle ricerche di Hicham Benohoud (Marocco, 1968), Danielle Udogaranya (Regno Unito, 1991) ed Erik Kessels (Paesi Bassi, 1966), i cui lavori spaziano dal valore pedagogico del gioco al suo ruolo nella formazione dell’immagine di sé, dalla maschera alla costituzione di un’esperienza sociale; nelle opere di Andreas Gursky (Germania, 1955), Cécile B. Evans (Stati Uniti/Belgio, 1983) e nella collettiva Automated Photography (organizzata in collaborazione con l’ECAL/University of Art and Design Lausanne) si investiga il tema dell’invenzione della realtà, alla base dell’esperienza del gioco sia come puro esercizio della fantasia sia nel senso della costruzione di veri e propri universi virtuali alternativi, all’interno dei quali si svolgono le avventure dei videogame.
Le molteplicità del tema del gioco sono oggetto di un ampio programma di talk, proiezioni, presentazioni e workshop per il pubblico.
Ai più giovani è dedicato un booklet per scoprire le mostre attraverso racconti, curiosità e giochi da svolgere negli spazi espositivi e a casa.
Il catalogo della Biennale è pubblicato da Fondazione MAST con la prefazione della Presidente Isabella Seràgnoli e un testo di approfondimento critico di Francesco Zanot.

Dal 18 Ottobre 2023 al 26 Novembre 2023 – Bologna – sedi varie

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FOTOGRAFICA. IL FESTIVAL DI FOTOGRAFIA BERGAMO. VI EDIZIONE – NOI, QUI

Gianmarco Maraviglia, Cover Me With Gold
Gianmarco Maraviglia, Cover Me With Gold

Scolpito dall’ombra e dalla luce, filtrato da uno sguardo, impresso attraverso un obiettivo, è così che ogni attimo diventa eterno. Proprio per questo si intitola “NOI, QUI” la quarta edizione di Fotografica, Festival di Fotografia Bergamo – organizzata da Associazione Fotografica APS in collaborazione con il Comune di Bergamo e con il sostegno dei main sponsor Artedil di Campenni Rocco & C. Srl e BPER Banca e del partner istituzionale Istituto per il Credito Sportivo – che mette al centro della sua indagine l’essere umano, esplorandone i valori e le emozioni

12 le mostre di respiro internazionalepresentate e allestite in due contesti architettonici di grande pregio in Città Alta a Bergamo, frutto del lavoro di altrettanti fotografi, come racconta Daniela Sonzogni, Direttrice del Festival: NOI, QUI è un’edizione di Fotografica Festival dal sapore speciale: ha la cornice della Capitale della Cultura e ci racconta – attraverso le immagini – l’essere umano in un momento storico particolarmente complesso. Se il progetto Cultura 2023 rappresenta la speranza e il rilancio delle nostre città, Fotografica ha desiderato descrivere i sentimenti, le emozioni e quei valori che ci hanno aiutato a reagire durante la tragica esperienza del Covid, che forse possono guidarci nell’affrontare i grandi temi dell’oggi e a trovare una strada diversa per vincere le grandi sfide del futuro. Il coraggio, la resilienza, il sogno di un futuro migliore, l’integrazione, la cultura come cura. I fotografi ci parlano di NOI, QUI oggi con un linguaggio che ha una forza universale e che ha la capacità di facilitare la nostra consapevolezza. Fotografica racconta la contemporaneità e l’obiettivo del fotografo rappresenta una delle chiavi per comprendere e per aprire nuove finestre sul mondo che viviamo. In continuità con le precedenti edizioni le mostre saranno esposte in luoghi di grande fascino, veri tesori della città di Bergamo, che vengono allestiti con cura e attenzione alla loro storia”.

In programma dal 14 ottobre al 19 novembre 2023 l’edizione di quest’anno, inserita all’interno del palinsesto di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023, assume i contorni di un’occasione di rinascita per due città che più di altre hanno dovuto fronteggiare gli albori di un’emergenza sanitaria globale di cui non si conoscevano gli effetti e i confini. A vincere quella sfida sono stati uomini, donne, intere comunità che tornano nel filo conduttore di Fotografica: l’essere umano. Inteso sia come singolarità che come comunità, Fotografica vuole raccontarlo nella più affascinante delle sue sfide: quella del quotidiano. Il risultato è un’alternanza di immagini ora impegnative ora intrise di positività, accumunate però dall’urgenza di mostrare la realtà, parlando direttamente agli occhi e allo stomaco: scatti che provocano sentimenti, reazioni, prese di coscienza. 

“Fotografica si conferma come una delle rassegne di punta della città, contribuendo a dare rilievo alla programmazione della Capitale. Bergamo non solo città dell’opera, del teatro, del cinema, della danza, della musica, ma anche della fotografia, in una sua accezione ben precisa e cercata con attenzione dagli organizzatori. La fotografia che documenta il mondo in cui viviamo, che si fa interprete dei grandi cambiamenti della contemporaneità, di ciò che accade nelle nostre periferie e in città lontane, che racconta le piccole storie di comunità, di persone, di luoghi. Ogni fotografo, con la sua formazione e con la sua sensibilità, sceglie cosa raccontare, regala uno sguardo preciso, fornisce un punto di vista speciale. E lo spettatore è in qualche modo costretto a non volgere lo sguardo, a portarsi a casa un pezzo di quel mondo che non conosce o che non vuole vedere, ascolta, con occhi, storie che vengono da altrove. È la valenza “etica” di cui è permeata certa fotografia che fa la differenza, e che Fotografica ha scelto di portare a Bergamo. Ogni edizione è stata sempre una scoperta, e stimolo a riflessioni su ciò che accade vicino e lontano da noi. L’essere umano è al centro della ricerca di quest’anno e, con le tante mostre – ben dodici – disseminate in Città Alta tra Carmine e Domus Magna, diventa una finestra aperta sul mondo”, spiega Nadia Ghisalberti, Assessora alla Cultura del Comune di Bergamo

Saranno in mostra: In a Window of Prestes Maia 911 Building di Julio Bittencourt; The day may break di Nick Brandt; Between these folded walls, Utopia di Cooper & Gorfer; Elementi di Edoardo Delille; Leaving and waving di Deanna Dikeman; Roma Revolution di Alessandro Gandolfi; Io non Scendo – Storie di donne che salgono sugli alberi e guardano lontano, a cura di Laura Leonelli; Apnea di Fausto Podavini per Medici Senza Frontiere; La liberazione della follia di Patrizia Riviera; Progetto Sport, tra Dada e movimento ritmo/dinamico in ready di Maurizio Galimberti; Na Ponta Dos Pés di Sebastian Gil Miranda; Cover Me With Gold di Gianmarco Maraviglia. 

Dal 14 Ottobre 2023 al 19 Novembre 2023 – Monastero del Carmine / Ex Magazzini del Sale – Bergamo

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Mostre di fotografia da non perdere a ottobre

Tantissime mostre importanti ci aspettano per il mese di ottobre, date un’occhiata qua sotto! C’è solo l’imbarazzo della scelta…

Anna

NAPOLI / ANDERS PETERSEN

© Anders Petersen
© Anders Petersen

Con la mostra inedita “Napoli / Anders Petersen” la Spot home gallery di Napoli presenta dal 21 ottobre 2023 al 31 gennaio 2024 la personale di uno dei più importanti e influenti fotografi contemporanei.
Il corpus di circa sessanta fotografie in bianco e nero, di medie e grandi dimensioni, esposto in mostra è stato realizzato dall’artista svedese nel 2022 durante un mese di residenza a Napoli a cura della galleria, tra maggio, ottobre e novembre.
 
Con uno sguardo sensibile e innocente, privo di pregiudizi e sovrastrutture, Petersen (1944, vive e lavora a Stoccolma) si è immerso nella città partenopea, catturandone la vita: persone al lavoro, in vacanza, in festa, per strada, felici e tristi, giovani e anziane, forti e fragili.
Ne emerge un ritratto personale di una Napoli molto fisica, carnale, sensuale, a tratti tenera e fragile, a tratti più dura e primitiva, ma sempre trasudante una forte energia vitale.
La Napoli di Anders Petersen è una città dai bianchi e neri fortemente contrastati, lontana dall’immaginario colorato cui la città è generalmente associata, ma profondamente coerente e corrispondente alle forti contraddizioni che la caratterizzano.
 
Le fotografie di Petersen parlano della città, della sua gente, ma parlano contemporaneamente dell’autore: fotografare è per l’artista un’indagine continua su se stesso, un interrogare l’altro per scoprire qualcosa di più su di sé. Per questo, spiega: «Voglio essere il più vicino possibile in modo da poter sentire che qualunque cosa io fotografi assomigli il più possibile a un autoritratto. Voglio che le mie foto siano una parte di me, voglio riconoscervi i miei sogni, le mie paure, i miei desideri.».
 
Il fotografo svedese si fida del suo istinto, del suo cuore e usa tutto il suo corpo e i suoi sensi quando fotografa. Le sue immagini, infatti, rivelano la sua presenza, la sua empatia e il suo amore per tutto ciò che ritrae, sia esso una persona, un animale, un luogo o un oggetto che può condurre a un’associazione inaspettata. «Anders Petersen – racconta la gallerista Cristina Ferraiuolo – non poteva che essere il primo artista in residenza. Napoli, con il suo caos e la sua umanità variegata, era il luogo ideale per un fotografo come lui».
Anders combina primi piani, istantanee, ritratti posati, inquadrature sghembe, dettagli apparentemente banali, fornendoci punti di vista talvolta disorientanti, che pongono domande. E rigorosamente in verticale perché, afferma: «Quando scatti in verticale, ti avvicini di più alle persone».
 
Dal lontano 1967, da suo primo lavoro “Cafè Lehmitz”, destinato a diventare un caposaldo nel mondo della fotografia internazionale, il fotografo svedese cattura, con un approccio diretto e sincero, la spontaneità della vita che lo circonda per coglierne il valore profondo, affettivo, nel solco di quel filone della fotografia contemporanea del quale fanno parte artisti come Daido Moriyama e Nan Goldin.

Dal 21 Ottobre 2023 al 31 Gennaio 2024 – Spot home gallery – Napoli

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RI-SCATTI. CHIAMAMI COL MIO NOME

RI-SCATTI. Chiamami col mio nome, PAC - Padiglione d'Arte Contemporanea, Milano
RI-SCATTI. Chiamami col mio nome, PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano

Sedici persone fra transgender e non-binary sono protagoniste del nuovo progetto fotografico di RI-SCATTI dal titolo Chiamami col mio nome. Una mostra, in programma dal 7 ottobre al 5 novembre, ideata e organizzata dal PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano e da Ri-scatti ODV – l’associazione di volontariato che dal 2014 realizza progetti di riscatto sociale attraverso la fotografia – e promossa dal Comune di Milano con il sostegno di Tod’s. L’edizione di quest’anno, la nona, è realizzata in collaborazione con l’Associazione per la Cultura e l’Etica Transgenere (ACET) e l’Associazione ALA Milano. 
L’esposizione, a cura del conservatore del PAC Diego Sileo, si propone di raccontare storie vere, alcune volte amare, altre gioiose, ma assolutamente frutto di una libera espressione. Più di trecento fotografie mettono in luce le identità̀ delle persone trans e il loro sofferto percorso di transizione, accendendo i riflettori sulle difficoltà nel riconoscersi prima ancora che farsi riconoscere e accettare dalla propria famiglia, dai propri amici, dalle istituzioni e dalla società. Ancora oggi l’Italia risulta al primo posto in Europa per numero di episodi di transfobia: molte sono le violenze e i soprusi, a causa di ragioni sociali e culturali, che le persone trans vivono durante la propria esistenza. 
Gli scatti in mostra al PAC sono quelli di Alba Galliani, Antonia Monopoli, Bianca Iula, Elisa Cavallo, Fede, Ian Alieno, Lionel Yongkol Espino, Logan Andrea Ferrucci, Louise Celada, Manuela Verde, Marcella Guanyin, Mari, Nico, Nico Guglielmo, Riccardo Ciardo, Seiko. Dopo aver seguito un percorso formativo supervisionato come sempre da fotografi professionisti, volontari di Ri-scatti, tuttə hanno trovato la forza e il coraggio di raccontarsi con la macchina fotografica in mano, di mostrarsi con le loro fragilità e insicurezze, riconoscendo e utilizzando la diffusione della conoscenza come prima arma di difesa contro la transfobia. La corretta informazione e il contatto con persone che pensiamo lontane, ma che semplicemente non conosciamo, può̀ infatti aiutarci a rivedere le nostre posizioni e, più̀ semplicemente, a comprendere. 
 
Con un’offerta per gli scatti in mostra si potrà contribuire a sostenere l’operato dell’Associazione per la Cultura e l’Etica Transgenere (ACET) e dell’Associazione ALA Milano. 

dal 7 ottobre al 5 novembre – PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano

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DOROTHEA LANGE

Dorothea Lange, Toward Los Angeles, California, 1937. Farm Security Administration, Office of War Information Photograph Collection, Library of Congress Prints and Photographs Division Washington, D.C., USA
Dorothea Lange, Toward Los Angeles, California, 1937. Farm Security Administration, Office of War Information Photograph Collection, Library of Congress Prints and Photographs Division Washington, D.C., USA

Dal 21 ottobre 2023 al 21 gennaio 2024 i Musei Civici di Bassano del Grappa, in collaborazione con CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino, presentano al pubblico l’opera di Dorothea Lange (1895 –1965), celeberrima fotografa statunitense, co-fondatrice nel 1952 di Aperture, la più autorevole rivista fotografica al mondo e prima donna fotografa cui il MoMa dedicò una retrospettiva nel 1965, proprio pochi mesi prima della sua scomparsa.

Photographer of the people, la fotografa della gente. Così Dorothea Lange si presentava nel suo biglietto da visita. Perché lei, borghese del New Jersey, aveva scelto di non fotografare i divi o i grandi protagonisti del suo tempo, per concentrarsi invece sugli “ultimi” di un’America che stava affondando nella Grande Depressione. Lo sguardo con cui Lange coglie questa umanità dimenticata non è pietistico. Le sue immagini dimostrano infatti comprensione, sensibilità, partecipazione e immensa umanità, uniti ad una capacità di lettura del contesto sociale rafforzata dal rapporto sentimentale e professionale con il marito, l’economista Paul Taylor. Nativa del New Jersey da una famiglia borghese di origini tedesche, a nove anni viene colpita dalla poliomielite che la rende claudicante; poi il dissidio con il padre, che abbandona la famiglia e che lei coraggiosamente ripudia assumendo il cognome materno.

Gli esordi la vedono a New York con Clarence White e Arnold Genthe. Nel 1918 parte per una spedizione fotografica in giro per il mondo, viaggio che si conclude prematuramente per mancanza di denaro a San Francisco, dove apre un proprio studio. Dopo avere operato per una decina di anni nel campo della ritrattistica professionale, abbracciando uno stile pittorialista, aderisce nei primi anni Trenta all’estetica della straight photography (fotografia diretta) per farsi madrina di una poetica della realtà e testimone della condizione dei più deboli ed emarginati: dai disoccupati e i senzatetto della California fino ai braccianti costretti a migrare di paese in paese alla ricerca di campi ancora coltivabili.

I drammatici accadimenti che segnano gli anni della Grande Depressione la portano a contatto con il grande progetto sociale e fotografico della “Farm Security Administration”, di cui diviene la rappresentante di punta. Nella seconda metà degli anni Trenta fotografa dunque la tragedia dell’America rurale colpita da una durissima siccità, realizzando alcune delle sue immagini insieme più drammatiche e più celebri: in questo contesto nasce infatti Migrant Mother, un’icona con cui Lange scrive una pagina indelebile della storia della fotografia imponendosi quale pioniera della fotografia sociale americana.
Fulcro – e novità – della mostra curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi e che presenterà oltre centocinquanta scatti, sarà uno speciale affondo sulla nascita di questo capolavoro, secondo un percorso espositivo di grande fascino ma anche di forte valenza divulgativa e didattica: la presentazione dell’intera sequenzadegli scatti eseguiti da Lange per trovare la foto perfetta, permetterà al pubblico di comprendere il procedimento attraverso il quale nasce un’icona.

Su commissione del governo americano, Lange si occupò successivamente anche della controversa vicenda dei campi di prigionia per cittadini giapponesi presenti sul territorio americano dopo l’attacco di Pearl Harbor, serie che per il suo atteggiamento critico nei confronti della politica governativa verrà sostanzialmente censurata e riportata solo molti anno più tardi. Queste fotografie – ulteriori testimonianze della profondità e della lucidità dello sguardo fotografico di Dorothea Lange, che verrà esposta per la prima volta in Italia in modo così esaustivo proprio in occasione di questa rassegna.

Attraverso un’ampia selezione di opere provenienti da diversi nuclei collezionistici che conservano l’opera di Dorothea Lange (tra cui in particolare la Library of Congress di Washington, i National Archives statunitensi), la mostra si incentrerà principalmente sul periodo d’oro della carriera della fotografa, dagli anni Trenta alla Seconda Guerra Mondiale, presentando anche scatti precedenti e successivi per dare conto della varietà e della profondità della sua ricerca, sempre tesa a restituire un sincero e partecipato ritratto di ciò che la circondava. Come affermò lei stessa, “la macchina fotografica è uno strumento che insegna alla gente come vedere il mondo senza di essa”.

Dal 21 Ottobre 2023 al 21 Gennaio 2024 – Museo Civico Bassano del Grappa (VI)

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LEE MILLER. PHOTOGRAPHER & SURREALIST

Lee Miller, Self portrait with headband, New York, USA, 1932
© Lee Miller Archives | Lee Miller, Self portrait with headband, New York, USA, 1932

“Preferisco fare una foto che essere una foto”
(Lee Miller)

A tre anni di distanza dall’esposizione dedicata a Vivian Maier, le antiche cucine della Palazzina di Caccia di Stupinigi ospitano vita e scatti di un’altra grande fotografa del Novecento.

LEE MILLER è una delle figure più affascinanti e misteriose di questa epoca.
Modella di straordinaria bellezza, cuoca estrosa, impavida corrispondente di guerra, fotografa di eccelsa bravura.
Nelle fotografie che la ritraggono a emergere sono gli occhi profondi e lucidi, che molto narrano della sua vita vissuta sempre al massimo grado di intensità, in perenne ricerca di se stessa.

“Lee Miller: Photographer & Surrealist” è una mostra che ripercorre la vicenda umana e professionale di Lee Miller ponendo l’attenzione sullo sguardo surrealista della fotografa che, formatosi alla fine degli anni Venti a Parigi, travalica questo breve frangente temporale per diventare tratto peculiare della sua poetica.
Surrealista sono sia il suo modo di osservare che il lessico fotografico da lei utilizzato, caratterizzato dall’uso di metafore, antitesi e paradossi visivi volti a rivelare la bellezza inconsueta della quotidianità.

Spiega Vittoria Mainoldi, curatrice della mostra: “È difficile raccontare una donna di tale caratura: la sua intimità è complessa, la sua biografia è tumultuosa, il suo lavoro amplissimo. Con questa mostra e la selezione delle opere che la compongono abbiamo cercato di restituire quello che era Lee Miller ma soprattutto quello che era il suo sguardo, un unicum nella storia della fotografia del secolo scorso.”

In mostra sono esposti cento scatti provenienti dall’Archivio Lee Miller che conducono il visitatore alla scoperta non solo della biografia della Miller ma anche della sua cifra stilistica, unica nel panorama della fotografia del primo Novecento.

La mostra si sviluppa attraverso diverse aree tematiche: partendo dal lavoro in studio a Parigi, dove la fotografa lavora con sperimentazioni tecniche e compositive, si passa a quello legato al mondo della moda e della pubblicità svolto nello studio di New York, dove la Miller esprime al meglio le sue capacità di ritrattista e di fotografa commerciale pur non rinunciando mai alla cifra surrealista. Identificativo di questo periodo il suo autoritratto mentre è impegnata a promozionare, in tutta la sua bellezza, un cerchietto.

La cifra surrealista torna anche nelle sue nature morte o nei paesaggi che arricchiscono il corpus del suo lavoro quando si trasferisce in Egitto, come nel caso di “Portrait of Space” – ritratto dello spazio – scattato verso il deserto.

Grazie al suo ruolo centrale nella cultura di quel periodo, fotografa anche gli artisti più famosi dell’epoca. In mostra la foto di Charlie Chaplin che posa con un candelabro in testa, il ritratto di Picasso e quello di Dora Maar, e ancora Mirò, Magritte, Cocteau, Ernst e, immancabilmente, Man Ray, di cui è stata musa, amante e prima di tutto collega, inventando con lui la tecnica della solarizzazione.

E poi la guerra, immortalata in tutte le sue sfaccettature. Londra – ormai casa per Lee Miller a seguito del matrimonio con Roland Penrose – devastata dai bombardamenti, ma dove ancora resiste la vita quotidiana. E Parigi, ormai liberata dalle truppe alleate, che Lee segue in prima linea diventando corrispondente per “Vogue” al fronte, come viene ritratta da David E. Scherman, a sua volta soggetto di uno degli scatti più iconici della Miller: l’uomo con indosso la maschera antigas. Infine, l’orrore dai campi di concentramento di Buchenwald e di Dachau, in Germania, che Lee immortala a poco ore dalla loro liberazione.

Dal 09 Settembre 2023 al 07 Gennaio 2024 – Palazzina di Caccia di Stupinigi – Nichelino (TO)

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André Kertész. L’opera 1910-1980

Una grande antologica di uno dei maestri assoluti della fotografia del XX secolo, André Kertész. L’opera 1910-1980, segna la stagione autunnale di CAMERA. Realizzata in collaborazione con la Médiathèque du patrimoine et de la photographie (MPP) di Parigi – Istituto che conserva gli oltre centomila negativi e tutti gli archivi donati dal fotografo allo Stato francese nel 1984 – la mostra è composta da oltre centocinquanta immagini che ripercorrono l’intera carriera del fotografo di origini ungheresi, nato a Budapest nel 1894, giunto in Francia nel 1925 e trasferitosi infine negli Stati Uniti nel 1936, dove morirà nel 1985.

La mostra segue le tappe biografiche dell’autore, dalle prime fotografie amatoriali scattate nel suo paese d’origine e durante gli anni della prima guerra mondiale, alle celebri icone realizzate nella Parigi capitale del mondo culturale degli anni tra Venti e Trenta, i capolavori realizzati nello studio del pittore Piet Mondrian, le scene di strada e infine le “distorsioni” che lo hanno reso una figura di primo piano anche nell’ambito surrealista. L’esposizione getta poi una nuova luce sulla lunga seconda parte della sua esistenza, trascorsa al di là dell’Oceano, in un clima culturale profondamente diverso: le immagini di questi anni dimostrano infatti come da un lato Kertész continui la sua ricerca ritornando sugli stessi temi, dall’altro evidenzia l’effetto che le nuove architetture, i nuovi stili di vita, i nuovi panorami cittadini hanno sulla sua fotografia.

La mostra, curata da Matthieu Rivallin – responsabile del Dipartimento di fotografia della MPP, grande esperto di Kertész – e da Walter Guadagnini – direttore artistico di CAMERA  –, celebra anche il sessantesimo anniversario della presenza del fotografo alla Biennale di Venezia: la traccia delle opere in mostra si basa infatti sulla lista manoscritta delle opere esposte in quell’occasione, ritrovata tra i documenti presenti negli archivi della MPP, una curiosità in più che lega il grande maestro al nostro paese.

19 ottobre 2023 – 4 febbraio 2024 – Camera Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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Fotografia è donna. L’universo femminile in 120 scatti dell’agenzia Magnum Photos dal dopoguerra a oggi

CAMERA continua ad approfondire il ruolo delle donne davanti e dietro la macchina fotografica, dopo le due mostre di grande successo dedicate a Eve Arnold e a Dorothea Lange, e lo fa con Fotografia è donna. L’universo femminile in 120 scatti dell’agenzia Magnum Photos, dal dopoguerra a oggi, che nell’antica residenza fortificata de La Castiglia di Saluzzo in provincia di Cuneo, propone un percorso fra le più iconiche immagini di Magnum Photos, realizzate in prima persona da autrici di fama internazionale e da alcuni celebri colleghi che, guardando alla condizione femminile nel mondo, hanno documentato le mutazioni sociali degli ultimi settant’anni.

Fra i lavori esposti ci sono quelli di Eve Arnold, Robert Capa, Cristina De Middle, Elliott Erwitt, Susan Meiselas e Alessandra Sanguinetti.

Fotografia è donna è un progetto organizzato dal Comune di Saluzzo e Fondazione Artea, in collaborazione con CAMERA, che affida la curatela artistica a Walter Guadagnini e Monica Poggi, con il sostegno di Magnum Photos e il supporto di Fondazione Amleto Bertoni.

La Castiglia di Saluzzo sarà accessibile al pubblico dalle ore 15.00 alle 19.00 del venerdì e dalle ore 10.00 alle 19.00 di sabati, domeniche e festivi.

13 ottobre 2023 – 25 febbraio 2024 – La Castiglia di Saluzzo, Cuneo

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HELMUT NEWTON. LEGACY

Helmut Newton, Amica. Milano, 1982 © Helmut Newton Foundation
Helmut Newton, Amica. Milano, 1982 © Helmut Newton Foundation

Il Museo dell’Ara Pacis di Roma ospita l’ampia retrospettivaHELMUT NEWTON. LEGACY, ideata in occasione del centesimo anniversario della nascita del fotografo (Berlino, 1920 – Los Angeles, 2004) e posticipata a causa della pandemia. L’esposizione, attraverso circa 250 fotografie, riviste e documenti racconta con un nuovo sguardo l’unicità, lo stile e il lato provocatorio del fotografo, che si descriveva con queste parole: «Il mio lavoro come fotografo ritrattista è quello di sedurre, divertire e intrattenere».

L’esposizione, curata da Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation, e da Denis Curti, direttore artistico de Le Stanze della Fotografiadi Venezia, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla CulturaSovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e Marsilio Arte, organizzata da Zètema Progetto Cultura e Marsilio Arte, in collaborazione con la Helmut Newton Foundation di Berlino. Media Partner: La RepubblicaRai CulturaRai Pubblica Utilità. Radio ufficiale: Radio Monte Carlo. Il catalogo è pubblicato da Taschen.

Il percorso espositivo ripercorre l’intera carriera di uno dei fotografi più amati e discussi di tutti i tempi. Accanto agli scatti che hanno fatto la storia, apparsi nelle più importanti copertine di fashion magazines, un corpus di scatti inediti svela aspetti meno noti dell’opera di Newton. Un focus specifico è dedicato ai servizi di moda considerati all’epoca rivoluzionari, come la serie ispirata ai film di Alfred Hitchcock, Francois Truffaut e Federico Fellini. Stampe a contatto, pubblicazioni speciali e materiali d’archivio permettono al visitatore di entrare nel cuore del processo creativo di Helmut Newton.

capitoli cronologici raccontano le diverse fasi della vita e della carriera del fotografo, dagli esordi fino agli ultimi anni di produzione, con immagini diventate parte della nostra memoria visiva e collettiva, come la serie Big Nudes. Fino all’ultimo, Newton ha continuato a incantare e a provocare il pubblico con un complesso lavoro sulla femminilità, sfidando per oltre sei decenni ogni tentativo di categorizzazione della donna. Le protagoniste dei suoi scatti sono soggetti che hanno piena consapevolezza del proprio corpo, sottile ironia e un atteggiamento di sfida nei confronti dell’altro, senza mai cadere nella volgarità o nella banalità.

L’esposizione si snoda a partire dagli anni Quaranta in Australia per poi proseguire negli anni Cinquanta in Europa, nei Sessanta in Francia, nei Settanta negli Stati Uniti e negli Ottanta tra Monte Carlo e Los Angeles, fino ad arrivare ai numerosi servizi in giro per il mondo degli anni Novanta e all’ultimo periodo della sua carriera.

Lo spazio museale dell’Ara Pacis proporrà in esclusiva una decina di immagini di shooting che Newton scattò proprio a Roma, non presentate nelle esposizioni precedenti. Si tratta di scatti di moda che il fotografo realizzò, creando quelle atmosfere effimere ed intense che soltanto lui riusciva a evocare, unendo il fascino della Capitale a quello dei soggetti, scelti per incarnare le sue visioni. 

In continuità con le esperienze fatte in occasione delle ultime mostre e rinnovando l’impegno della Sovrintendenza Capitolina per l’accessibilità, la mostra Helmut Newton. Legacy è progettata per essere fruibile dal più ampio pubblico possibile grazie alla collaborazione con Rai Pubblica Utilità e Rai Cultura, con il Dipartimento Politiche sociali e Salute – Direzione Servizi alla Persona di Roma Capitale e Cooperativa Segni d’Integrazione – Lazio e con Radici Società Cooperativa Sociale.

Dal 05 Ottobre 2023 al 03 Marzo 2024 – Museo dell’Ara Pacis – Roma

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FESTIVAL DELLA FOTOGRAFIA ETICA DI LODI. XIV EDIZIONE

Evgeniy Malotetka, The Siege of Mariupol
© Evgeniy Malotetka | Evgeniy Malotetka, The Siege of Mariupol

Il Festival della Fotografia Etica è diventato ormai, da fine settembre a fine ottobre di ogni anno, un evento atteso da migliaia di persone – appassionati di fotografia ma non solo – che raggiungono Lodi da tutta Italia per immergersi in un concentrato di storie da tutto il mondo, per riflettere e stupirsi. “Storie uniche, emozionanti ma necessarie”, come dichiara Alberto Prina, Direttore del Festival.

20 mostre, quasi 100 fotografi da 40 paesi diversi e 5 continenti, oltre 700 immagini esposte. Questi i numeri della quattordicesima edizione del Festival dal 30 settembre al 29 ottobre.

Cuore espositivo è sempre il World Report Award – Documenting Humanity. A partire dalla categoria MASTER, vinta da Evgeniy Maloletka con il reportage L’assedio di Mariupol, in cui ha raccontato il drammatico assedio russo alla città ucraina, devastata e con decine di migliaia di civili che hanno perso la vita o costretti alla fuga; la categoria SPOTLIGHT va a Bob Miller per il reportage The Last Generation: Zoey’s Dream, in cui i sogni dell’adolescente Zoey Allen si scontrano con la crisi delle medie aziende agricole americane, in cui anche lei vive; menzione speciale nella sezione Spotlight va a Sarah Pabst e al suo Everyone in Me is a Bird, lavoro intimistico in cui il lutto per la perdita e la gioia per una nuova nascita vanno a plasmare la percezione e l’esperienza della quotidianità; la categoria SHORT STORY è stata vinta da Alessandro Cinque con il reportage Alpaqueros, che racconta la questione della crisi climatica attraverso la situazione che stanno vivendo gli allevatori di alpaca in Perù; menzione speciale nella sezione Short Story va a Luisa Lauxen Dörr e alla sua Imilla, che è il nome di un collettivo di skaters boliviane che indossano abiti tradizionali per combattere contro la discriminazione; la categoria STUDENT, vinta da Gerd Waliszewski con Between the Sirens, proporrà la dura realtà dell’Ucraina invasa dalla guerra, in cui i giovani cercano di vivere la loro vita quotidiana che viene regolarmente interrotta dalle sirene d’allarme e dai missili in arrivo; la sezione SINGLE SHOT è stata infine vinta da Mohammad Rakibul Hasan con l’immagine The Blue Fig, una riflessione sul riscaldamento globale che sembra avere un impatto sproporzionato su alcuni Paesi piuttosto che altri, come ad esempio il Bangladesh. Tutte le mostre saranno visitabili presso Palazzo Barni, tranne il percorso del Single Shot esposto alla Banca Centropadana.

Anche quest’anno Lodi, in collaborazione con Bipielle Arte, accoglierà l’unica tappa lombarda della mostra internazionale itinerante del World Press Photo, il grande concorso internazionale di fotogiornalismo e fotografia documentaria più famoso al mondo che si svolge da oltre 50 anni e indetto dalla World Press Photo Foundation di Amsterdam. Quasi 150 immagini che arrivano dai 5 continenti per raccontare storie incredibili. Si tratta di lavori firmati per le maggiori testate internazionali, come National Geographic, BBC, CNN, The New York Times, Le Monde, El Pais.

Grande attenzione, come sempre, sarà per la sezione Uno Sguardo sul Mondo, visitabile presso il Palazzo della Provincia, che propone un percorso realizzato in collaborazione con Agence France-Press sulla crisi climatica. Siccità, incendi, inondazioni sono sempre più frequenti così come l’innalzamento del livello del mare, lo scioglimento dei ghiacciai e le ondate di caldo, fenomeni che interessano diverse aree del pianeta. Ogni giorno le notizie raccontano di un disastro naturale che accade da qualche parte e di persone colpite da fenomeni improvvisi, potenti e incontrollabili. Il consenso scientifico sul fatto che il cambiamento climatico sia in atto e che sia causato dall’uomo è forte. In ogni angolo della Terra, i fotografi di AFP hanno documentato gli effetti e le conseguenze che stanno minacciando sia la fauna selvatica che gli esseri umani.

Lo Spazio Approfondimento quest’anno proporrà due nuovi progetti dell’organizzazione no-profit Vital Impacts alla cui guida vede Ami Vitale, nota fotografa del National Geographic. La mostra si presenta in una duplice versione, outdoor e indoor. La prima sarà allestita presso i giardini pubblici della città e vedrà esposte una cinquantina di immagini di giovani fotografi provenienti da tutto il mondo che hanno partecipato al Vital Impact Grant, premio nato per supportare coloro che si impegnano nell’ambito della fotografia naturalistica e dell’attivismo a favore del Pianeta. La versione indoor, invece, vedrà protagonisti molti maestri della fotografia naturalistica i cui lavori saranno esposti nell’ex-chiesa dell’Angelo. Queste immagini fanno parte della collezione invernale di scatti che i loro autori hanno concesso per una raccolta fondi, che ha l’obiettivo di sostenere il Reteti Elephant Sanctuary in Kenya, luogo per cui Ami Vitale, fondatrice di Vital Impact, si spende da molto tempo.

Lo Spazio No Profit nel chiostro del ex-ospedale Gorini quest’anno sarà ricco di ben 4 progetti: il fotografo Filippo Venturi per l’organizzazione PSCORE con Awakenings, progetto che racconta come ogni anno molti nordcoreani, in prevalenza donne, tentano di scappare in cerca di una vita migliore per loro e per le proprie famiglie; la spagnola Maria Clauss per l’ONG Medicos del Mundo con Donde no habite el olvido, sulle vittime delle rappresaglie della guerra civile spagnola; Davide Torbidi per la Camera del Lavoro Lodi con il progetto Ho visto e non ho più dimenticato, sulla scottante tematica degli elevati numeri di infortuni e morti sul lavoro in Italia; infine il progetto Vivere la bellezza della Società Cooperativa Sociale ONLUS Nuova Assistenza, che ha trasformato alcune opere d’arte fra le più note al mondo in fotografie grazie agli operatori-fotografi ed ai pazienti che si sono prestati a questa collaborazione.

Tocca poi a Le vite degli altri, spazio tematico di Palazzo Modignani che conterrà quattro bellissimi focus fotografici che vogliono indagare la stretta relazione che si crea tra le persone e il luogo in cui vivono, le tradizioni che vengono portate avanti ma anche i cambiamenti che influenzano le società.
Laura Morton ci accompagna in un viaggio per la Silicon Valley dove è la tecnologia a farla da padrone con le sue start-up e il wi-fi veloce: la nuova frontiera del sogno americano; Paul Ratje racconta le province del Sichuan e del Qinghai, al confine tra Cina e Tibet, e le nuove generazioni non più legate solo ai costumi del passato ma alla ricerca di nuove professioni e un moderno stile di vita; Toby Binber ha trascorso moltissimi anni tra le strade di Belfast insieme ai ragazzi che ora sono diventati quasi adulti in una città che non è cambiata; infine Lukas Kreibig, che racconta il cambiamento climatico in Groenlandia e come questo stia andando ad impattare sulla vita delle comunità Inuit.

Infine, Elegia Lodigiana di Gabriele Cecconi che sarà allestita nella sede della Cavallerizza. Raccontare il territorio in cui si vive e si è immersi ogni giorno non è impresa semplice. Essere obbiettivi e sapersi guardare dentro, partendo dalle proprie radici per arrivare al presente fatto di luci e ombre, è una sfida emozionante. Per questo si ha bisogno dello sguardo esterno, meglio se diverso e lontano, che sappia vedere il quotidiano, invisibile a chi lo guarda con gli stessi occhi, e che sappia svelare con la bellezza di uno scatto l’identità di un territorio, con la leggerezza della fotografia quello che non conosci o non vuoi conoscere. Da queste esigenze necessarie e importanti nasce questo progetto finanziato dal bando Strategia Fotografia 2022 promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, in collaborazione con la Provincia di Lodi. Sin dai primi mesi di quest’anno il fotografo Gabriele Cecconi, reportagista di fama internazionale con esperienza su tematiche ambientali, è arrivato nel lodigiano per posare il suo sguardo su questo territorio. La scelta di proporre un’indagine fotografica è significativa, oltre che per le caratteristiche antropologiche di quest’area, anche per la crisi idrica che nel 2022 ha investito il nord-Italia, con conseguenze drammatiche sul tessuto economico-sociale dell’area. Generazione dopo generazione, l’acqua ha rappresentato una risorsa che ha consentito il sostentamento e lo sviluppo di un’area economica tra le più produttive e fertili d’Europa. Tutto questo ora è in pericolo e il rischio più grande è la perdita della civiltà contadina. Si ringrazia la Provincia di Lodi, il Consorzio Muzza, SAL azienda idrica lodigiana, FUJIFILM Italia e Concessionarie BMW-MINI del gruppo Carteni per il supporto al progetto.

Dal 30 Settembre 2023 al 29 Ottobre 2023 – Lodi – sedi varie

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SIENA AWARDS PHOTO FESTIVAL 2023

Gabriele Galimberti, dalla serie <em>The Ameriguns</em>
© Gabriele Galimberti | Gabriele Galimberti, dalla serie The Ameriguns

Il Siena Awards scalda i motori per una nuova edizione che porterà ancora una volta a Siena e nei dintorni grandi nomi della fotografia internazionale coinvolgendo la città e il territorio. L’appuntamento è in programma dal 30 settembre al 19 novembre con un ricco programma di mostre e appuntamenti che consolidano il festival come un evento autunnale imperdibile a livello internazionale fra conferme e novità. A fare da preludio all’edizione 2023 sarà, per la prima volta, la mostra a cielo aperto ChiusdinoCreative, allestita nel borgo medievale di Chiusdinodall’8 luglio al 19 novembre con immagini uniche e capaci di unire arte fotografica e ambiente urbano.

Dal 30 settembre il Siena Awards 2023 entrerà ufficialmente nel vivo con i suoi grandi protagonisti: William Albert Allard, con una retrospettiva sui suoi 50 anni di lavoro per il National Geographic, e Brian Skerry, fotoreporter e produttore cinematografico specializzato in fauna marina e ambienti sottomarini. A loro si uniranno Gabriele Galimberti, fotografo aretino che esplora in modo avvincente il complesso rapporto tra gli Stati Uniti e le armi da fuoco, e le collettive del Siena Awards dedicate, come ogni anno, ai tre premi fotografici con scatti e video in arrivo da tutto il mondo: Siena International Photo Awards“Creative Photo Awards” “Drone Photo Awards”, che quest’anno avrà l’Abbazia di San Galgano come nuova location di eccezione. Con una formula consolidata che varca i confini della città e coinvolge anche altri territori, il festival delle arti visive tornerà ad animare il centro storico di Sovicille e arriverà per la prima volta a Chiusdino.

I grandi protagonisti dell’edizione 2023

La retrospettiva di William Albert Allard, pioniere della fotografia a colori, si intitola “Five Decades, A Retrospective” e racconta, con la più vasta antologica a lui dedicata mai organizzata in Italia, cinque decenni di lavoro per il National Geographic come scrittore e fotografo andando sempre alla ricerca di “ciò che accade ai margini” e unendo bellezza, mistero e senso dell’avventura.

La mostra di Brian Skerry “The Sentient Sea” racconterà, invece, una storia visiva con immagini raccolte in oltre 40 anni di esplorazione degli oceani, luoghi di bellezza e mistero, difficoltà e speranza. Specializzato in fauna marina e ambienti sottomarini, dal 1998 Skerry è fotografo a contratto per il National Geographic Magazine, per il quale ha raccontato storie in ogni continente e in quasi tutti gli habitat oceanici.

L’esposizione “The Ameriguns” di Gabriele Galimberti accenderà, invece, i riflettori sulla storia della cultura americana delle armi attraverso l’obiettivo del fotografo aretino, capace di far luce sulle complessità dell’esperienza umana evidenziando le sfumature e le contraddizioni del nostro mondo.

Le mostre a cielo aperto

Oltre a Chiusdino, il Siena Awards tornerà ad animare Sovicille con SovicilleCreative. Per il terzo anno consecutivo, le vie del borgo a pochi km da Siena saranno decorate con grandi foto, opere di fotografi di fama internazionale esposte dentro le porte e le finestre tamponate delle abitazioni, dei palazzi e degli edifici storici per offrire ai visitatori un’esperienza unica e coinvolgente.

L’obiettivo è quello di estendere nel tempo il format WeCreative anche ad altri luoghi del territorio senese, abbinando ai nomi delle località coinvolte, il simbolo rosso del cuore e il termine Creative, con un evidente riferimento al premio “Creative Photo Awards” da cui proviene la selezione delle immagini esposte.

“Il successo internazionale e la crescita continua del Siena Awards – afferma il direttore artistico del festival, Luca Venturi – premia un grande lavoro di squadra che si è consolidato di anno in anno grazie a tutte le istituzioni e ai partner che ci hanno sostenuto e che non si sono mai tirati indietro: i Comuni di Siena e Sovicille, a cui quest’anno si unisce il Comune di Chiusdino; l’Università degli Studi di Siena; l’Università per Stranieri di Siena; il Museo di Storia Naturale di Siena Accademia dei Fisiocritici; l’Accademia dei Rozzi; la Fondazione Santa Maria della Scala e l’Associazione Area Verde Camollia, 85. Insieme a loro – aggiunge Venturi – ringrazio i main partner Carrefour Market, Etruria Retail, Banca Mediolanum, Gabetti Lab e i partner Sienambiente, SEI Toscana, Terrecablate, Safety&Privacy, Il Fotoamatore e Iren SpA. Tutti quanti insieme, siamo già a lavoro per regalare al nostro pubblico una straordinaria edizione 2023 e consolidare sempre di più nel calendario internazionale dei grandi eventi questo appuntamento che porta il nome di Siena nel mondo attraverso la grande fotografia e le arti visive”.

Dal 30 Settembre 2023 al 19 Novembre 2023 – Siena – sedi varie

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EVE ARNOLD. L’OPERA, 1950-1980

 Eve Arnold, Marilyn Monroe and Montgomery Clift during filming of 'The Misfits', Nevada, USA, 1960
© Eve Arnold/Magnum Photos | Eve Arnold, Marilyn Monroe and Montgomery Clift during filming of ‘The Misfits’, Nevada, USA, 1960

Dopo il grande successo de L’Arte della moda. L’età dei sogni e delle rivoluzioni. 1789-1968, dal 23 settembre 2023 al 7 gennaio 2024 le sale del Museo Civico San Domenico di Forlì si aprono a una leggenda della fotografia del XX secoloEve Arnoldla prima donna, insieme a Inge Morath,a far parte della prestigiosa agenzia Magnum Photos nel 1951. 

Promossa dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, con il Comune di Forlì, la mostra Eve Arnold. L’opera, 1950-1980 – a cura di Monica Poggi – nasce dalla collaborazione tra l’istituzione forlivese con CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, Torino, ed è realizzata d’intesa con Magnum Photos.

Negli anni, davanti al suo obiettivo, sono passati dive e divi del cinema, sfilate di moda e reportage d’inchiesta ancora attuali nello sguardo. Per questo la mostra si articola in un ampio percorso tra 170 fotografie:un vero e proprio viaggio all’interno della produzione della fotografa statunitense, sancita anche nel passaggio dal bianco e nero agli scatti a colori. 

«Al centro del lavoro di Eve Arnold – sottolinea Monica Poggi, curatrice della mostra – c’è sempre l’essere umano e il motivo che l’ha portato a essere lì dov’è. Che i suoi soggetti siano celebrità acclamate in tutto il mondo, o migranti vestiti di stracci, poco cambia».

La comunità afroamericana è stata la prima protagonista dei suoi scatti: inaugura infatti la sua carriera ritraendo le modelle delle sfilate di Harlem dietro le quinte, sovvertendo i canoni della fotografia di moda, abbandonando la posa in favore della spontaneità e dando dignità a un mondo sommerso.
Nello stesso periodo si occupa di un reportage sulla famiglia Davis residente a Long Island. Considerata una famiglia “tipo” americana, discendente dai primi coloni, i Davis possiedono diversi terreni dove sfruttano braccianti neri: un’occasione per la Arnold per mostrare le due facce del boom economico degli anni ’50 e mostrare al mondo il prezzo pagato dagli ultimi in nome degli affari.

La fragilità, a partire dalla propria, è al centro anche di un lavoro di rara profondità, che le permette di attraversare il dolore per la perdita di un figlio traducendo in immagini quanto è venuto a mancare. Eccola dunque impegnata a immortalare i primi istanti di decine di neonati presso il Mather Hospital di Port Jefferson, riuscendo ancora una volta a cogliere l’essenza più pura di quanto si trova davanti.

Dopo l’ingresso in Magnum comincia a entrare in contatto con il mondo dello spettacolo. Come primo incarico deve ritrarre Marlene Dietrich, la diva per eccellenza del cinema muto, durante l’incisione del suo album. La fotografa non si fa intimorire dal peso specifico di quella notorietà e inizia a fotografarla senza sosta, cogliendo la natura più vera di quell’immagine già tanto iconica. Nonostante le numerose indicazioni della Dietrich in fase di post-produzione, Eve Arnold decide semplicemente di ristampare meglio le foto e spedirle ad Esquire: un gesto coraggioso che ha scardinato l’immagine impalpabile della superstar tedesca, conquistando però anche la sua fiducia e apprezzamento.
Ed è proprio a questa filosofia che si rifà quando dovrà ritrarre Joan Crawford durante gli innumerevoli “riti” estetici prima di entrare sul set, affidandosi all’istinto e al suo sguardo vorace e acuto e arrivando così a mostrare il lato più intimo e autentico di un mito.
Al vertice della sua produzione legata al mondo di Hollywood troviamo Marilyn Monroe: 
«Il legame che ci univa ruotava tutto intorno alla fotografia. Le mie foto le piacevano ed era abbastanza arguta da capire che rappresentavano un modo nuovo di ritrarla», spiegò poi la stessa Eve Arnold.
Erano ritratti lontani dall’immaginario già legato alla diva, scomposti, realizzati dopo lunghe giornate di set, non più irraggiungibile.

Sempre grazie a Magnum cominciano anche gli incarichi internazionali, che la fanno tornare a una fotografia più impegnata: nel 1969 si occupa del reportage “Oltre il velo” tra Afghanistan, Pakistan, Turkmenistan, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, un progetto che la porterà a produrre un documentario, il primo a mostrare l’interno di un harem di Dubai. 
Nel 1979, invece, si recherà in Cina per documentare il cambiamento del Paese dopo l’insediamento di Deng Xiaoping, sempre più aperto verso l’occidente, sempre più decisa a far emergere quanto diversamente celato.

La descrizione più lucida e diretta del suo lavoro è probabilmente lei stessa a darla, fornendo anche la più chiara delle indicazioni di poetica «Sono stata povera e ho voluto ritrarre la povertà; ho perso un figlio e sono stata ossessionata dalle nascite; mi interessava la politica e ho voluto scoprire come influiva sulle nostre vite; sono una donna e volevo sapere delle altre donne».

Dal 23 Settembre 2023 al 07 Gennaio 2024 – Museo Civico San Domenico – Forlì

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Swim till I Sank – Gabriele Stabile

(…) non intendevo annegarmi. Intendevo nuotare finché non fossi affondato.
– Joseph Conrad, da ‘Il compagno segreto’

Dopo anni di lavoro come fotoreporter in Italia, negli Stati Uniti, in Medio Oriente e in Nord Africa, Gabriele Stabile si è rimpossessato delle proprie immagini. In mostra, una serie di opere uniche nate dalla rielaborazione del suo archivio fotografico.

Non riuscivo più a guardarle così com’erano – racconta – andavo in un posto come Gaza o Lampedusa e passavo del tempo negli ospedali, nelle carceri, dove incontravo le persone e instauravo un rapporto con loro in situazioni troppo complesse per essere raccontate appieno in un contesto editorialeQuando e se pubblicate, le fotografie si inserivano in una narrazione specifica e mantenevano l’attenzione per pochi secondi, mentre nella mia vita quegli incontri avevano un peso enorme. *

Se il ciclo delle notizie schiacchia e consuma rapidamente le immagini, Stabile le riporta in vita. Muovendosi tra razionalità e subconscio, e con una buona dose di sperimentazione – che l’ha portato a lavorare anche con materiali diversi, acrilici, tela, legno – queste fotografie sono rinate passando attraverso il filtro di una specie di sogno, una dimensione molto più grande e larga del ricordo preciso e del semplice fatto. Gli occhi della memoria oltrepassano il momento per abbracciare il tempo, vedono la bellezza e l’eleganza del gesto che si assomiglia in luoghi, tempi, azioni lontane tra loro.

Le unità aristoteliche del fotogiornalismo sono definitivamente scomparse.

Il gesto dell’artista è passato attraverso due momenti: l’immediata registrazione del fatto e la rielaborazione del materiale quando, passati gli anni, ha perso la sua “attualità” e, a volte, anche la memoria esatta di dove la foto è stata scattata.

Dopotutto, la pratica dell’immaginazione è l’ esercizio necessario a ridare vita e verità al mondo.

In mostra sarà una selezione di opere uniche, tutte a tecnica mista, su carta e su legno

19 ottobre – 25 novembre – MiCamera – Milano

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CANDIDA HÖFER. INSIDE ITALIAN ARCHITECTURE

Candida Höfer, Teatro Olimpico, Vicenza, 2010
© Candida Höfer | Candida Höfer, Teatro Olimpico, Vicenza, 2010

Patricia Low Venezia è lieta di annunciare la mostra “Inside Italian Architecture” dell’artista tedesca di fama internazionale Candida Höfer come terza esposizione presso la nuova galleria sul Canal Grande a Venezia, dal 2 settembre al 26 novembre 2023, in concomitanza con gli ultimi mesi della 18a Biennale di Architettura.

La mostra si concentra su esempi di fotografie a colori di grande formato di spazi pubblici italiani storici tra cui Villa Borghese a Roma, Palazzo Vecchio a Firenze e il Teatro dell’Opera della Fenice a Venezia, che si trova di fronte alla galleria stessa, nel sestiere di San Marco. Fotografate tra il 2008 e il 2012, le opere sono tipicamente prive di persone e composte con cura. Dettagli architettonici interni, dipinti e sculture canoniche, file di libri riempiono la raccolta di Höfer dei palazzi della cultura italiani, che sembrano contemporaneamente pronti ad essere utilizzati dall’uomo e a ricordare i loro numerosi occupanti passati. Scattando con luce naturale o esistente e utilizzando una lunga esposizione, le finestre e gli specchi di questi spazi storici raggiungono un bagliore super-carico, quasi auratico. Nel suo lavoro, la Höfer cattura abilmente sia lo spazio che il tempo, e quasi un bagliore sacro.

Dal 02 Settembre 2023 al 26 Novembre 2023 – Patricia Low Venezia – Palazzo Contarini Michiel – Venezia

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OLIVIA ARTHUR, ANTONIO BIASIUCCI, MAX PINCKERS, ALFRED SEILAND PER ROMA

Max Pinckers, Senza Titolo, dalla serie 2020-MMXX
Max Pinckers, Senza Titolo, dalla serie 2020-MMXX

La mostra è l’atto di restituzione al pubblico di un progetto di più ampia portata, che prevede residenze a Roma per fotografi di fama internazionale e che l’amministrazione capitolina persegue da tempo. Le origini risalgono alla “Commissione Roma”, l’iniziativa avviata nel 2003 nell’ambito di Fotografia Festival internazionale di Roma e mirata a valorizzare la fotografia e a dotare la città di Roma di un patrimonio di immagini in grado di restituire la sua identità attraverso sguardi diversi.
A seguito di questo ventennale progetto, l’Archivio Fotografico del Museo di Roma, destinatario delle immagini realizzate durante le residenze, si è arricchito delle opere di quindici grandi protagonisti della fotografia contemporanea, tra gli altri Josef Koudelka, Olivo Barbieri, Anders Petersen, Martin Parr, Graciela Iturbide, Gabriele Basilico, Guy Tillim, Tod Papageorge, Alec Soth, Paolo Ventura, Tim Davis, Paolo Pellegrin, Hans-Christian Schink, Roger Ballen, Jon Rafman, Simon Roberts, Léonie Hampton, Nadav Kander, Martin Kollar, Alex Majoli, Sarah Moon, Tommaso Protti.
 
Per l’edizione di quest’anno, Francesco Zizola ha invitato a Roma quattro autori noti nel mondo della produzione artistica e fotografica internazionale – Antonio Biasiucci, Max Pinckers, Alfred Seiland e Olivia Arthur – che si sono misurati con condizioni del tutto eccezionali, quelle create dalla pandemia di Covid-19. Lavorando durante il lockdown, e immediatamente dopo, hanno affrontato una realtà inedita sviluppando pensieri e ricerche che hanno al centro i temi del tempo e dello spazio, dei corpi e delle relazioni, dello spazio urbano e di quello interiore. Le stesse tematiche che contraddistinguono i dibattiti più avanzati sulle immagini e sulle loro modalità di funzionamento.
Le opere presentate rinnovano il linguaggio fotografico e allo stesso tempo ne approntano una chiara critica.

Dal 22 Settembre 2023 al 19 Novembre 2023 – Mattatoio – Roma

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MARIO GIACOMELLI, UNA RETROSPETTIVA. LA RACCOLTA DI LONATO

Un’importante retrospettiva dedicata allo straordinario lascito fotografico di Mario Giacomelli (Senigallia 1925 – 2000), uno dei maggiori interpreti della fotografia italiana del Novecento, viene organizzata dal 7 luglio al 29 ottobre 2023 dall’Amministrazione Comunale della Città di Lonato del Garda in collaborazione con la Fondazione Ugo Da Como.

Ad ospitarla, la suggestiva cornice della Sala del Capitano nella Rocca visconteo veneta.

Davvero in pochi hanno consapevolezza del grande tesoro che si cela nelle stanze della Biblioteca civica di Lonato del Garda: si tratta di 101 fotografie di Giacomelli, appartenenti al patrimonio del Comune. Nel 1985 Mario Giacomelli al termine di una mostra ospitata nel Palazzo Municipale di Lonato del Garda, donò alla Comunità tutte le fotografie da egli stesso selezionate per quella rassegna.

Dopo l’ultima esposizione del Fondo fotografico, avvenuta nel 2004, l’Amministrazione ha costituito un gruppo di lavoro guidato dalla Fondazione Ugo Da Como per l’organizzazione di questa mostra, intitolata Mario Giacomelli, una retrospettiva. La Raccolta di Lonato del GardaDi notevole valore culturale, è curata da Filippo Maggia e si avvale anche della collaborazione dell’Archivio Mario Giacomelli.

La mostra presenta 81 delle 101 fotografie di proprietà del Comune di Lonato del Garda rappresentative di diverse fra le celebri serie che hanno reso famosa la produzione di Mario Giacomelli, come quella dei seminaristi, dei paesaggi immortalati da alta quota, di Scanno.

7 LUGLIO – 29 OTTOBRE 2023 – Rocca visconteo veneta – Lonato del Garda

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Luca Locatelli. The Circle. Soluzioni per un futuro sostenibile

Ferropolis - Germania, 2022 © Luca Locatelli
Ferropolis – Germania, 2022 © Luca Locatelli

Dal 21 settembre al 18 febbraio 2024 alle Gallerie d’Italia – Torino ti aspetta la mostra “Luca Locatelli. The Circle. Soluzioni per un futuro sostenibile”, curata da Elisa Medde.

Per Intesa Sanpaolo, il fotografo italiano ha viaggiato negli ultimi due anni attraverso l’Europa alla ricerca di pratiche e storie emblematiche e replicabili nell’ambito dell’economia circolare che aprano il dibattito sulla transizione ecologica e sullo stato del pianeta.

Il risultato di questa ricerca viene mostrato in anteprima mondiale a Torino con un percorso espositivo di oltre 100 fotografie e contributi video: un viaggio attraverso l’Europa della sperimentazione e dell’avanzamento industriale sostenibile, toccando temi come la geotermia, il riciclo tessile, la riconversione di aree industriali dismesse, l’alimentazione.

Dalla Danimarca alla Germania, dall’Islanda all’Italia, le immagini raccontano esperienze e realtà in cui altissima ingegneria, artigianato e sapienza ancestrale procedono di pari passo per creare uno spazio in cui la Natura torni al centro. La tecnologia più avveniristica e l’intuizione dell’autoproduzione possono entrambe contribuire allo stesso scopo: la chiusura del cerchio, la possibilità di un sistema perpetuo, la possibilità di una riuscita.

Dal 21 settembre al 18 febbraio 2024 – Gallerie d’Italia – Torino

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YEAST PHOTO FESTIVAL 2023

Elena Subach, Grandmothers on the Edge of Heaven
Elena Subach, Grandmothers on the Edge of Heaven

Rituale quotidiano, oggetto di consumo, legame culturale, elemento simbolico, prodotto seriale, aggregatore sociale.
O ancora: nucleo e involucro, responsabilità e avidità, gusto e disgusto, distanza e intimità, biodiversità e omologazione. In quanti e quali modi cibo definisce oggi l’identità di ciascuno?E in che modo questo rapporto si riflette sul mondo che abitiamo, andando a tratteggiare scenari di un futuro sempre più prossimo?
Sono questi alcuni dei temi e degli interrogativi che saranno affrontati dalla 2/a edizione diYeast Photo Festival, il festival internazionale che unisce fotografia, cibo e arti visive per ripensare il rapporto tra uomo e ambiente, in programma dal 28 settembre al 12 novembre tra il borgo salentino di Matino e la città di Lecce, in Puglia.
In cartellone mostre, dibattiti, workshop, tavole rotonde ed eventi collaterali peruna riflessione su nutrimento e identità, tradizione e impatto ambientale, stili di vita e climate change, con la direzione di Flavio & Frank e Veronica Nicolardi, e la curatela di Edda Fahrenhorst. “Food is identity”: questo il tema della manifestazione, che di anno in anno viene declinato su una suggestione specifica. Nel 2023: “Soulfood. And Beyond.”: il cibo come nutrimento non solo del corpo, ma anche dell’anima, tra consolazione, vicinanza, passione, forza e amore in ogni attimo delle nostre vite.
Yeast Photo Festival è organizzato dalle associazioni culturali Besafe ONTHEMOVE, con il patrocinio di Ministero della Cultura, Regione Puglia, Provincia di Lecce, Città di Lecce, Comune di Matino, Unisalento.

Yeast, ovvero “lievito” in inglese: una parola per evocare fermento culturale, forza creativa e generativa, storie ribelli che sprigionano energia visionaria connessa alla terra, all’etica del lavoro e al rispetto per la natura. 12 le mostre e 1 collettiva in programma: progetti che spaziano dalla fotografia ad altri multimedia per contribuire alle riflessioni contemporanee sullo stato dell’umanità e del nostro pianeta.Tra gli artisti di questa edizione Niall McDiarmid, Mario Wezel, Lars Borges & Luzie Kurth, Alain Schroeder, Henry Hargreaves, Dougie Wallace, Tereza Jobová, Matthieu Nicol, Elena Subach, Lys Arango. E poi: nel novero degli ospiti confermato lo chef e conduttore televisivo Alessandro Borghese, e tra gli eventi speciali a chiusura dell’iniziativa il concerto in collaborazione con Locomotive Jazz Festival (11/11).Yeast Photo Festivalindividua nel medium fotografico il punto d’incontro tra innovazione artistica e tradizione culinaria, tra ecosistema locale e paesaggio globale, per esorcizzare la paura di un futuro climatico apocalittico e indicare nuovi scenari positivi possibili. L’iniziativa cerca nel passato e nel presente le tracce di un nuovo mondo. Citando il poeta Franco Arminio, Yeast Photo Festival è “la sagra del futuro sui tavolini dell’arcaico”.

“Mangiare è sempre legato a rituali grandiosi – spiega Edda Fahrenhorst –ma anche molto semplici, come si può vedere in tutte le mostre. Subito dopo il parto, l’allattamento forma un legame tra madre e figlio. Più avanti, lo svezzamento fa entrare in scena il padre. Il corteggiamento spesso implica viziare un po’ e, al tempo stesso, divertirsi. A questo proposito, mangiare, così come il cibo stesso, è un’occasione perfetta per farlo. Salutato il giorno, la notte è un momento meraviglioso per mangiare e bere in abbondanza. E quando c’è da affrontare una guerra, le razioni vengono preparate prima del combattimento. Le nonne offrono ai nipoti tutte le prelibatezze, che però a volte sembrano provenire da un’altra epoca. Quando si avvicina la fine della vita, l’ultimo pasto è fonte di consolazione, proprio come nell’Ultima Cena. Ogni condizione di vita, in ogni cultura del mondo, è legata al cibo e in momenti molto speciali ci si siede a tavole lunghe, rumorose, silenziose o affollate, e si assapora un buon pasto, sentendo il calore della comunità e l’atmosfera, semplicemente tutte le emozioni legate a questi istanti. La seconda edizione di Yeast Photo Festival vi invita a un viaggio attraverso questi momenti speciali, in una vera e propria “montagna russa” di rituali ed emozioni (più o meno) deliziose”.

Tra i progetti in esposizione, “Grandma Divers” di Alain Schroeder, fotoreporter belga che documenta il lavoro delle famose Haenyeo: le “donne del mare” considerate tesoro UNESCO che si tuffano in apnea al largo delle coste nere di Jeju, in Corea del Sud, raccogliendo prelibatezze dalle onde in una tradizione ormai in via di estinzione (Palazzo Marchesale del tufo, Matino). Un particolare uso in atto nelle carceri texane, quello di dare ai condannati a morte la possibilità di scegliere cosa consumeranno al loro ultimo pasto, sarà al centro di “No Seconds”, lavoro del fotografo neozelandese Henry Hargreaves (Macelleria Ex Nau, Matino); mentre il picture editor e collezionista francese Matthieu Nicol, attraverso una serie di immagini dagli archivi del Centro di ricerca, sviluppo e ingegneria dell’esercito americano di Natick, vicino a Boston, mostra nel suo “Better Food for our Fighting men” i ritrovati tecnologici nati per sostenere i soldati, parecchi dei quali si trovano attualmente sugli scaffali dei nostri supermercati (Distilleria De Luca, Matino). E poi ancora: “Grandmothers on the Edge of Heaven” di Elena Subach, visual artist ucraina che indaga il gap tra la generazione dei giovani e quello delle loro nonne, tra tradizione, religione e passato coloniale sovietico (Chiostro del Palazzo dell’Antico Seminario, Lecce), e “Eat out of the box” di Tereza Jobová, in cui il cibo, solitamente percepito come un bisogno primario, perde gradualmente la propria funzione diventando mera decorazione, sollevando una riflessione sul suo reale significato per noi (Distilleria De Luca, Matino). Inoltre la collettiva “The Last Supper”: l’iconografia dell’Ultima Cena rivisitata attraverso la committenza a sei fotografi provenienti da Italia, Germania e Svizzera per un progetto originale in collaborazione con Lenzburg Photo Festival (Palazzo Marchesale del tufo, Matino).

Ancora: “Breakfast” di Nial McDiarmid, lavoro realizzato nell’arco di 4 anni in cui l’artista scozzese osserva il semplice rituale quotidiano della colazione (Palazzo Marchesale del tufo, Matino); “Interstellar Nights” di Mario Wezel, riflessione sull’allattamento al seno che porta con sé un più ampio pensiero sulla famiglia e sulla paternità, temi cardini del documentarista tedesco che qui si affida ad un medium particolare: la macchina fotografica termica (Palazzo Marchesale del tufo, Matino); “We Share the Meal”, serie fotografica risultato di un lavoro intensivo della durata di un anno, portato avanti dal fotografo Lars Borges e dall’attrice Luzie Kurth: centinaia di immagini in dialogo tra performance e fotografia per esplorare il campo tematico della cucina (Palazzo Marchesale del tufo, Matino); “A Night Out with the Brits” di Dougie Wallace, fotografo scozzese noto in tutto il mondo per i suoi progetti di documentazione sociale che con la sua visione unica racconta qui le esperienze vissute nel corso dei vent’anni trascorsi nell’East London, dai tempi delle feste disinibite, quando la zona era un deserto dal punto di vista culturale, fino alla rigenerazione urbana in corso, con la partecipazione alla curatela di Lars Lindemann (Frantoio Ipogeo, Matino); “Until the Corn Grows Back” di Lys Arango, che mette in luce la prospettiva dei bambini e delle loro famiglie nelle comunità indigene di Chiquimula e Huehuetenango in Guatemala, per comprendere gli effetti devastanti della malnutrizione infantile cronica, chiamata anche “killer silenzioso”, in collaborazione con Environmental Photo Festival »horizonte zingst« (Le Stanzìe).

Da segnalare il progetto partecipativoMatino Family Albumopen call rivolta ai cittadini di Matino che li invita a condividere fotografie di momenti personali e familiari che rappresentino il cibo in relazione all’amore, ai rituali o alle tradizioni. La direzione artistica sceglierà le immagini migliori, che faranno parte di una mostra open air per le strade della città. Pur continuando il suo viaggio attraverso il cibo, Yeast Photo Festival vuole entrare nelle case delle persone per sbirciare nei loro album di famiglia. La condivisione delle storie del territorio diventa modo per collegare la cultura locale con le narrazioni provenienti da ogni dove. Viaggiare attraverso le emozioni, le passioni, l’amore, le tradizioni, i riti e gli sguardi, ci aiuta a cogliere il comune denominatore dell’umanità che unisce le persone, e ci fa sentire più simili di quanto pensiamo, nonostante le differenze culturali e geografiche. Inoltre, nel corso del weekend inaugurale, ogni partecipante è invitato a portare con sé con un’immagine stampata che ritragga il cibo in una delle categorie – Amore, Rituali e Tradizioni – per far parte di una curatela partecipata intesa come modo per scoprire e conoscere come le persone condividono il cibo in momenti speciali.

Tante le novità del 2023, come la partnership con MIA FAIR, fiera internazionale d’arte dedicata alla fotografia in Italia che si tiene a Milano dal 2012, in sinergia con la quale arriva al festival il progetto vincitore della seconda edizione del Premio IRINOX SAVE THE FOOD in collaborazione con Fiere di Parma, “Ordinary Pleasures”, esposizione della ricercatrice visiva con base a New York Maria Giovanna Giugliano: un’analisi del legame viscerale che si stabilisce tra la natura e le persone attraverso il cibo (Distilleria De Luca, Matino). Per la prima volta Yeast Photo Festival si espande oltre i confini di Matino e arriva nel Chiostro del Palazzo dell’Antico Seminario a Lecce grazie alla collaborazione con Art Work e in uno dei luoghi simbolo della cultura e della civiltà salentina grazie all’accoglienza della masseria Le Stanzìe. Inoltre la vocazione di Yeast alla sostenibilità dal punto di vista sociale, ambientale ed economico si avvale da questa edizione del contributo di Everything is Connected, progetto transdisciplinare diretto da Maria Teresa Salvati che insieme alle Officine Tamborrino ideerà installazioni eco-compatibili utilizzando materiali riciclati e scarti di magazzino visti in ottica di riuso. Alcune mostre saranno stampate su materiali riutilizzabili a fine festival in maniera creativa in collaborazione con gli abitanti di Matino, la scelta dei fornitori sarà pensata per ridurre gli sprechi, i trasporti e la produzione di CO2, e saranno attivate collaborazioni per compensare l’impronta di carbonio. Grande attenzione all’inclusione e all’innovazione sociale, coinvolgendo attivamente la comunità locale per sensibilizzare sui temi legati al cibo, fornendo una sorta di possibilità di dialogo e azione collettiva.
La presentazione della 2/a edizione del festival viene annunciata per la prima volta a Milano presso Circus Studio in un evento supportato da AGX e Cantine San Donaci.

Dal 28 Settembre 2023 al 12 Novembre 2023 – Lecce e Matino – Sedi varie

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ALBERTO BREGANI. UNSEEN. UN’INTIMA CONVERSAZIONE

Alberto Bregani, Val di Fassa
© Alberto Bregani | Alberto Bregani, Val di Fassa

Fotografare le montagne è da sempre un’operazione così complessa e delicata da non essere inscritta nella più generale definizione legata al paesaggio ma di meritarsi il termine tutto suo di fotoalpinismo. Nel caso della mostra “Unseen. Alberto Bregani – Un’intima conversazione” a cura di Fondazione 3M – ETS si fondono due passioni e relative competenze – quella per la fotografia e quella per la montagna – capaci di superare ogni ostacolo. La mostra, che sarà esposta dal 2 settembre al 26 novembre 2023 presso il MUPAC – Museo dei Paesaggi di Terra e di Fiume di Colorno (PR), è inserita nel programma della 14ª edizione di ColornoPhotoLife, il festival fotografico che quest’anno propone il tema “Confini” interpretato nelle sue molteplici accezioni.
Nelle fotografie di Alberto Bregani si trovano l’autentica capacità di entrare in sintonia con la natura, il rispetto per l’ambiente e quella che lui stesso definisce come “un’intima, silenziosa conversazione con tutti gli elementi che compongono il paesaggio”. Osservando le immagini in bianconero della sua mostra “Unseen” sembra di ascoltare una singolare colonna sonora dove il silenzio è interrotto dal rumore cadenzato dei passi, dal fischiare del vento in quota, dal verso lontano di qualche rapace che sembra esprimere così la sua ebrezza del volo. Questa non è la montagna idealizzata dal Romanticismo, ma quella reale che ha conosciuto la sofferenza e la morte, quella che ha visto sostituire i sentieri ai camminamenti, i rifugi alle fortificazioni, quella trasformata nel teatro di una guerra che è stata definita Grande perché ha quasi cancellato un’intera generazione. Ma ora la montagna, ci dice il fotografo con queste bellissime immagini, si è ripresa il suo grandioso spettacolo e a noi non spetta altro che osservarlo come se vi fossimo immersi. La scelta del bianconero ci regala un mondo che sa rinunciare ai facili effetti coloristici per accompagnarci in un viaggio fatto di contrasti ora intensi ora delicati, di cieli attraversati da nuvole che esaltano tutte le sfumature dei grigi, di rocce che nelle profondità dei neri evidenziano la loro plasticità. 
Abituato a fotografare in medio formato e spesso su pellicola, Amberto Bregani qui utilizza invece uno smartphone. Non si tratta di una sfida ma di una scelta – dettata dal desiderio di cogliere l’impatto immediato con la realtà – perché ciò che conta resta il modo di fotografare: la consapevolezza che ogni scatto è il frutto di pensieri, attese, rinunce perché capita di non trasformare una buona idea in una bella immagine e progetti che non si ottengono al primo scatto né con riprese a raffica. Perché fotografare la montagna significa viverla con quella medita, intensa profondità che caratterizza i veri amori.” – Roberto Mutti, curatore.
Le opere della mostra appartengono all’archivio di Fondazione 3M, istituzione culturale permanente di ricerca e formazione, e proprietaria di uno storico archivio fotografico di oltre 110 mila immagini. Negli ultimi anni, la Fondazione ha rafforzato il suo asset identitario, focalizzando lo sguardo su tematiche sociali, culturali, sulla divulgazione e sul sostegno alla ricerca scientifica. Ne è esempio concreto l’impegno per promuovere un’educazione di qualità, considerando le esperienze culturali un veicolo di crescita emotiva, ma anche gli studi centrati sulla salute, sulla gender equity, sulla collaborazione, sulla giustizia.
L’esposizione sarà inaugurata sabato 2 settembre alle ore 18.00 presso il MUPAC di Colorno, in occasione dell’anteprima di ColornoPhotoLife, festival organizzato dal Gruppo Fotografico Color’s Light con la collaborazione del Dipartimento Cultura della FIAF Federazione Italiana Associazioni Fotografiche.

Dal 02 Settembre 2023 al 26 Novembre 2023 – MUPAC Aranciaia – Colorno (PR)

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STEFANO BABIC. LUCE E OMBRA

Stefano Babic, Dolce & Gabbana - Blondies
Stefano Babic, Dolce & Gabbana – Blondies

In apertura della settimana della moda milanese, Other Size Gallery presenta la mostra personale “Stefano Babic. Luce e ombra”, a cura di Claudio Composti.
Dal 18 settembre al 17 novembre 2023, attraverso un nucleo di quattordici scatti di grande formato, la galleria milanese punta l’attenzione su uno dei grandi fotografi di moda italiani. Nelle sue sale trovano spazio un selezionato ma significativo corpus di ritratti in bianco e nero dei primi anni ‘80 fino alla fine degli anni’90 – i suoi scatti più noti – e foto più recenti frutto della sua ricerca nella fotografia artistica.
 
Babic scolpisce con la luce immagini di grande effetto visivo ed eleganza. Profili di donne rapite in un gesto, in un sorriso, ritratti di top model che sembrano più giocare con la vita che posare. Immagini che rivelano la sua idea di fotografia, cinematografica e dinamica, lontana dal solo sfoggio di un abito.
Babic ama il bianco e nero: «Per lui – spiega il curatore – il cinema è a colori e la fotografia è in bianco e nero, in quell’effetto di luce e ombra dove i bianchi più intensi rendono il nero più nero e profondo e in quel contrasto netto in cui gli opposti si giustificano.»
 
Una fotografia dinamica e mai posata, quella di Babic, che trae le mosse da tecniche cinematografiche apprese nei primi anni del suo percorso professionale quando ritraeva attrici e attori di fama internazionale.
Passando per la pubblicità, Babic approda al mondo della modaper il quale produrrà alcune delle foto più iconiche degli anni ‘80, per le maison più prestigiose. A partire dal sodalizio con Moschino – di cui ha firmato le campagne pubblicitarie più significative che hanno reso il marchio riconoscibile in tutto il mondo -, una lunga serie di incontri importanti ha segnato la sua carriera, come Capucci, Gianfranco Ferrè, Dolce & Gabbana. 
 
Con il suo sguardo ha contribuito a creare nell’immaginario collettivo l‘idea di glamour” immortalando eleganza, vanità e sensualità.
Oggi Stefano Babic si dedica alla fotografia artistica e all’insegnamento, cercando di tirar fuori dagli scatti dei suoi giovani allievi quel senso del “glamour”, che per lui è un’attitudine, quel qualcosa che rende l’immagine un’immagine di moda, così come vediamo dalle sue fotografie.

Dal 18 Settembre 2023 al 19 Novembre 2023 – Other Size Gallery – Milano

Corazonada – Giulia Gatti / Ho visto Nina volare – Sara Grimaldi

Magazzini Fotografici Ragusa Foto Festival Giulia Gatti | CORAZONADA Sara Grimaldi | HO VISTO NINA VOLARE

Magazzini Fotografici inaugura il 14 settembre una nuova stagione di mostre con un’esposizione completamente al femminile. In allestimento due progetti realizzati da giovani talenti della fotografia: “Corazonada” di Giulia Gatti e “Ho visto Nina volare” di Sara Grimaldi.

Questa esposizione rappresenta un connubio tra arte e riflessione sociale ed è realizzata in collaborazione con Ragusa Foto Festival, partner culturale ormai da anni dell’APS e prende vita dopo il successo della sua undicesima edizione, conclusasi lo scorso agosto con la direzione artistica di Claudio Composti

L’idea è nata dalla collaborazione tra Yvonne De Rosa, direttrice e fondatrice di Magazzini Fotografici, e Stefania Paxhia, direttrice e fondatrice del Festival di Ragusa, con l’intento di dare continuità all’esposizione di due affascinanti progetti realizzati da giovani artiste emergenti.

I progetti in mostra:
Corazonada” di Giulia Gatti
Giulia Gatti nasce a Fabriano nel 1995. Da anni viaggia nel sud America tra Perù, Bolivia, Patagonia e Messico dedicandosi a progetti che abbraccino danza, fotografia e scrittura.
Dalla collaborazione con le donne che abitano l’istmo di Tehuantepec (Oaxaca) in Messico, Giulia Gatti ha dato vita a “Corazonada” in cui il femminile si relaziona con il potere “magico” delle donne, l’erotismo, i rituali della tradizione messicana e il mistero raccontando una femminilità diversa e più libera.
Il suo lavoro gioca con le tappe – naturali, culturali o normative – del corpo femminile, animato dal tentativo di seminare provocazione sopra il terreno fertile della tradizione.

Ho visto Nina volare” di Sara Grimaldi
Sara Grimaldi è una fotografa milanese, classe 1995.  Il suo è un racconto autobiografico di un malessere psicologico a cui la fotografa ha dato un nome solo dopo aver ricevuto una doppia diagnosi: disturbo Borderline di personalità e disturbo del comportamento alimentare. Da qui la salute mentale è diventata per Sara Grimaldi il motore di ricerca, personale e collettiva.
“Ho visto Nina volare” nasce da uno degli episodi chiave della manifestazione del suo malessere: la visione di una bambina su un’altalena.
Una parte di sé bambina, spensierata, leggera e ignara di ciò che quell’altalena avrebbe significato negli anni a venire. Il suo gioco preferito trasformatosi in una vera allucinazione durante le crisi emotive. Una bambina che la guarda, chiamandola a sé, ferma a mezz’aria, lei e la sua altalena. Il buio si fa luce attraverso il suo sguardo.

Dal 15 settembre al 29 ottobre – Magazzini Fotografici – Napoli

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FRAMMENTI – MASSIMO MOTTA

Frammenti

La tecnica con cui il fotografo realizza le fotografie si chiama Pattern of Media e si tratta di un’elaborazione fotografica che prevede l’intervento armonico della pittura sullo scatto. Ne emerge una visione molteplice, in cui la pittura è un’eco importante.

3.10.2023 – 6.10.2023 – Miniaci Art Gallery – MIlano

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I don’t care (About Football) – Giulia Iacolutti

I don’t care (About Football) è un progetto artistico-partecipativo che coinvolge le giocatrici e i giocatori della squadra di calcio Marangoni 105, nata nel 2011 all’interno di una delle residenze riabilitative del Dipartimento di Salute Mentale di Udine.

Il titolo, ispirato dalle parole di una ragazza della comunità, suggerisce come il gioco non sia fine a sé stesso, ma un esercizio di inclusione e integrazione sociale. La squadra è composta, infatti, dagli e dalle utenti insieme a operatrici e operatori, sostenitrici e sostenitori. Tutti vestono il numero 14 di Johan Cruijff, leggendario giocatore dell’Ajax, inventore del calcio totale.

Durante tre anni di conoscenza e lavoro, Iacolutti ha attivato dei laboratori in cui si è riflettuto coralmente sul disagio mentale e sul percorso svolto in residenza, usando il calcio come metafora di un percorso e di un’esperienza di cura. La ricerca si compone di fotografie, incontri, viaggi, allenamenti, sedute di stretching, interviste, progetti, esercizi di scrittura e collage, tutte azioni che trasformano l’oggetto d’arte in un luogo del dialogo, in cui è la scoperta dell’altro e del sé ad assumere centralità.

Il processo di analisi e autoanalisi si converte allora in moto creativo che diviene parte dell’opera stessa; è attraverso le sagome ritagliate dei corpi che si indaga sul “non” che ha dato nome al progetto, quel negativo a cui è complesso dare voce, forma, senso.

La mostra fa parte di Look at us – Rassegna di narrazioni non conformi dedicata alla visibilità e alla decostruzione dei tradizionali ruoli familiari, identitari e di genere attraverso l’ibridazione dei linguaggi visivi.

Dal 18 settembre al 19 dicembre 2023 – Spazio Labò – Bologna

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FORME METROPOLITANE – Andrea Mele

L’autore filtra le immagini della vita metropolitana con il proprio vissuto di uomo di scienza.

La ricerca nell’infinitamente piccolo dei cristalli, degli atomi e delle molecole lascia l’impronta nel gusto di ritrovare forme geometriche, simmetrie, spazi, curve, tonalità di colore e di grigio nelle forme della città, nei luoghi e nei non luoghi urbani.

E’ un occhio incantato e vigile al tempo stesso che va a cercare nell’architettura delle case e dei luoghi le forme che si ripetono nell’infinitamente piccolo.

Il racconto è essenziale, minimalista, attento alla simmetria e all’interruzione della simmetria, in un continuo parallelismo tra mondi infinitamente distanti.

Sep 30 – Oct 12 – Atelier SINERGIE MILANO

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Matt Black: American Geography

Nel 2015, il fotografo Matt Black è partito dalla sua casa nella Central Valley in California per scoprire e registrare la realtà della vita americana nelle comunità al di sotto della soglia di povertà. Nei sei anni successivi, ha attraversato il paese da costa a costa, visitando tutte le centinaia di luoghi al di sotto di quella divisione definita a livello federale in cui più di un americano su cinque vive in povertà. Nessuno di questi luoghi era separato da più di due ore di macchina.

Black ha percorso più di 100.000 miglia senza mai visitare tenere in considerazione la parte di paese dove l’aspettativa di vita era di 20 anni più lunga e il reddito più alto.

Parte della sua ispirazione per questo viaggio è nata dalle fotografie dell’era della Depressione di Dorothea Lange e dalle scritture di John Steinbeck. Quasi un secolo dopo, Black ha trovato innumerevoli storie che avevano i lineamenti di quella stessa disperazione. I giovani nelle anonime baracche polverose e nei parcheggi per roulotte che sputano sangue per vivere; le famiglie impossibilitate ad avere acqua pulita, sostentate dai buoni pasto. Parlando con l’Observer, all’inizio del suo viaggio, Black ha detto: “Tutte queste diverse comunità sono collegate, non da ultimo nella loro impotenza. Nei media mainstream, la povertà non è considerata come un problema legato all’America del nord, ma la situazione effettiva è differente. Non si considera perché non si adatta al modo in cui l’America vede se stessa.

L’epico libro di Black sulle fotografie del suo viaggio, American Geography, è un umiliante e potente correttivo di quella miopia.

Matt Black viene dalla Central Valley della California, un’area rurale e agricola nel cuore dello stato americano.

Altri suoi lavori sono: The Dry Land, sull’impatto della siccità sulle comunità agricole della California, e The Monster in the Mountains, sulla scomparsa di 43 studenti nello stato messicano meridionale di Guerrero. Entrambi questi progetti, accompagnati da cortometraggi, sono stati pubblicati da The New Yorker

Il suo lavoro è apparso regolarmente sulla stampa statunitense e internazionale, tra cui Time magazine, The New Yorker, Le Monde e Internazionale. È stato premiato tre volte dal Robert F. Kennedy Memorial Prize. Ha ricevuto il W. Eugene Smith Memorial Award nel 2015 ed è stato nominato senior fellow presso l’Emerson Collective. È stato nominato a Magnum Photos nel 2015 ed è diventato un membro a pieno titolo nel 2019.

Per acquisto del libro clicca qui

Per approfondire https://time.com/3958729/matt-black-geography-of-poverty/

Tutte le fotografie sono di proprietà dell’autore, l’articolo ha scopo didattico culturale.

Cristina Garcìa Rodero, avere posate d’argento non renderà il tuo cibo più gustoso

“La fotocamera ti aiuta, ma il motore è il tuo cuore o la tua testa. Avere posate d’argento non renderà il tuo cibo più gustoso” (C.G.Rodero)

Articolo di Giovanna Sparapani

SPAIN. Almonte. 1977. The virgin returns to the temple. Cristina Garcìa Rodero

Nata a Puertollano in Spagna nel 1949,  dopo aver studiato pittura presso la Scuola di Belle Arti di Madrid, decide di dedicarsi esclusivamente alla fotografia, materia che ha insegnato fino al 2007 nella stessa Università.  In un’ interessante intervista pubblicata sul sito dell’Agenzia Magnum, la Rodero racconta che dopo la laurea si era recata a Firenze per studiare fotografia, ma, delusa dagli insegnamenti ricevuti nella città del giglio, aveva optato per la fotografia di strada al fine di ottenere interessanti reportage. A questo proposito con modestia la fotografa afferma che: “Il reportage è una scuola di vita. I tuoi insegnamenti si basano su errori ed errori”.

Una delle sue più compiute e importanti ricerche è rivolta a documentare le feste popolari e le tradizioni religiose spagnole, attraverso un cospicuo numero di fotografie raccolte  nel libro España Oculta, (ed.Lunwerg, Barcellona 1989); il volume che è stato ristampato più volte e tradotto in diverse lingue, ha ottenuto al Festival di Fotografia di Arles l’ambito riconoscimento di “ Book of the year Award”. Inoltre, dopo aver vinto l’importante Premio di Fotografia Nazionale in Spagna nel 1996, è stata la prima donna spagnola nominata nel 2009 membro effettivo dell’Agenzia Magnum.

SPAIN. La TrinitŽ, Lumbier, Espagne, 1980 – Cristina Garcìa Rodero

Una profonda cultura etnologica e antropologica, ricca di riferimenti artistici e letterari, le ha consentito di indagare sulle radici del popolo spagnolo, attraverso una ricerca per immagini sul  mondo rurale e la ritualità arcaica: le sue fotografie trascendono la mera cifra documentaristica alla ricerca di una qualità estetica e narrativa potente.

Gli scatti in bianconero dai netti contrasti chiaroscurali riescono ad affascinare l’osservatore, evidenziando il mistero e una spiritualità antica che trascende una visione oggettiva della realtà. La fotografa non indugia su particolari folkloristici di facile richiamo: le persone umili, che partecipano ai riti, sono colte nella loro semplicità che le rende affascinanti e talora inquietanti, come le immagini degli uomini incappucciati vestiti di lunghe tuniche che lasciano intravedere solo gli occhi e i piedi scalzi, intangibili fantasmi che vagano in gruppo durante le processioni attraverso le strade dei paesi: il bianconero è molto contrastato, le inquadrature e i tagli sono audaci a evidenziare con forza e passione la vita quotidiana degli umili, in una parola, degli ultimi che tengono vive  con determinazione le loro tradizioni popolari e religiose.

Cristina Garcia Rodero A onze heures au Salvador, Cuenca. Spain. 1982

Il suo sguardo appassionato  si sofferma sugli atteggiamenti delle donne che sfilano incappucciate in nero e sugli uomini che portano sulle spalle pesanti croci,  evidenziando con forza come dai loro sacrifici arcaici trasudino significati legati alla sfera della  carnalità e dell’ erotismo. Di eccezionale intensità espressiva sono il ritratto dell’uomo con candelotti poggiati sulla testa che colano cera sul suo volto e della donna ritratta con quattro candele dentro la bocca che sembrano soffocarla.

Fotografia di Cristina Garcìa Rodero

“All’epoca pensavo di poter fare qualcosa in cinque anni, ma alla fine ne ho presi 15. Più facevo ricerche, più trovavo. Ed è diventata una sfida per me, scoprire queste tradizioni nascoste, farle conoscere, fare in modo che non si perdessero nella storia. Ho cercato di fotografare l’anima misteriosa, vera e magica della Spagna popolare in tutta la sua passione, amore, umorismo, tenerezza, rabbia e dolore, in tutta la sua verità raccontando i momenti pieni ed intensi nella vita di personaggi così semplici e irresistibili, come fosse una sfida personale nella quale ho investito tutto il mio cuore”. (G.C.R.).

SPAIN. 1980. Salve a la Vierge de Ujué, Lumbier. Cristine Garcìa Rodero

Cristina Garcia Rodero Waiter chocolate with churros Cartagena. Spain. 1981

Cristina Garcìa, curiosa e solidale con il genere umano di tutto il globo, si è interessata a documentare anche le tradizioni e i riti popolari e religiosi di altri paesi, dedicando particolare attenzione ai luoghi e alle tradizioni di Haiti e dell’America Latina, in particolare del Venezuela.  Il suo lavoro “Rituals in Haiti” fu esposto per la priva volta alla Biennale di Venezia nel 2001.

 In Italia, più o meno nello stesso periodo, quando fiorivano studi etnologici e antropologici, la fotografa napoletana Marialba Russo ha prodotto un prezioso lavoro in cui documenta con occhio attento e partecipato le tradizioni religiose e popolari del sud Italia.

PINO BERTELLI, la Fotografia ribelle, Interno4 2022, Rimini

https://www.magnumphotos.com

https://www.fotografiaartistica.it

Articolo di Giovanna Sparapani

L’articolo ha solo scopo didattico e culturale, le fotografie sono dell’autrice e non possono essere usate per fini commerciali.

Inge Morath: nel mio cuore voglio restare una dilettante.

 “Nel mio cuore voglio restare una dilettante, nel senso di essere innamorata di quello che sto facendo, sempre stupita dalle infinite possibilità di vedere e usare la macchina fotografica come strumento di registrazione”.

Nata a Graz in Austria nel 1923, cresce in una famiglia dell’alta società: entrambi i genitori, scienziati di fama, spesso costretti a trasferirsi in varie città d’Europa, crescono i loro due figli in modo libero e indipendente.  Laureata in  lingue romanze e linguistica generale, si mostra da sempre  poco interessata alla politica e ai problemi sociali, quindi tarda a comprendere la pericolosità del regime hitleriano. Quando la loro casa viene bombardata, la famiglia finalmente si rende conto di ciò che sta succedendo e decide di trasferirsi a Salisburgo: Inge li raggiunge insieme ad altri compagni sfollati, in un viaggio irto di difficoltà e complicazioni. Trasferitasi a Vienna, la giovane trova lavoro per i servizi di informazione statunitensi per poi entrare nella redazione della rivista Heute, dove svolge le mansioni a lei congeniali di giornalista e traduttrice: l’ambiente viennese,  ricco di curiosità e fervido di stimoli intellettuali contribuirà molto alla sua formazione. In seguito, con l’amico fotografo Ernst Haas, si recherà  a Parigi per assumere  il ruolo di redattrice all’interno dell’agenzia Magnum, senza impegnarsi minimamente a produrre lavori fotografici personali. L’approccio alla fotografia da parte di Inge Morath non è stato repentino, ma graduale: il suo innamoramento ha preso vita attraverso diverse esperienze che l’hanno formata e arricchita, ma una volta compresa la sua vera passione, le è rimasta fedele per tutta la vita.

SPAIN. Sevilla. 1987. Dancer’s skirt.

Mentre lavora come redattrice a fianco dei suoi amici fotografi, non sente la curiosità di avvicinarsi alla macchina fotografica di cui ha timore, forse per paura del confronto, ma quando, accompagnata dal marito – il giornalista inglese Lionel Birch – si trova in terra veneziana, affascinata dagli angoli più nascosti e dalla luce che si riflette nell’acqua creando giochi vibratili, non può fare a meno di imbracciare la macchina fotografica che per abitudine porta con sé senza mai scattare nemmeno una foto. Sollecitata da Robert Capa, direttore della Magnum, Inge  nell’autunno del 1951 comincia a fotografare la città lagunare, con pochissime competenze tecniche, ma guidata da curiosità e raffinata sensibilità: da quel momento, con la fedele Leica, comprata di seconda mano, decide di affrontare con coraggio il difficile percorso come fotografa professionista. Istintivamente sa capire al volo come si crea una storia e scegliere le immagini per meglio rappresentarla ed anche le inquadrature e la composizione non costituiscono per lei un problema.

USA. 1962. Saul STEINBERG Mask Series. ©Inge Morath/MAGNUM PHOTOS

Uno dei suoi primi e importanti lavori riguarda un servizio sui preti operai che ha seguito per diversi mesi, mettendo in risalto la loro vita in fabbrica e dietro l’altare: il reportage è apprezzato da Robert Capa, suo mentore, che la accoglie come membro effettivo della Magnum, affidandole l’incarico di realizzare le foto di scena del film Moulin Rouge del regista John Huston che diventerà suo grande amico. La frequentazione con Henri Cartier Bresson – di cui divenne assistente nel 1953 –  contribuì molto a sviluppare le sue competenze potenziando il suo amore per la fotografia, una fotografia senza orpelli, diretta all’analisi della realtà, ma con un’impostazione del tutto diversa dal grande maestro, sempre a caccia  di momenti irripetibili: Inge è più riflessiva ed ha bisogno di tempi più lunghi per produrre immagini di persone e luoghi immortalati con sensibilità, sobrietà e grazia. “La fotografia è un fenomeno strano.

USA. 1980. Playwright Arthur MILLER.

Ti fidi del tuo occhio, ma non puoi evitare di mettere a nudo la tua anima” (I.M.). Attratta dal fotogiornalismo, nel 1954 comincia a viaggiare in vari paesi europei, tra cui la Spagna che, nonostante il repressivo regime di Franco, la incuriosisce molto. I suoi lavori vengono pubblicati su importanti riviste, tra cui la famosa “Life” e raccolte in interessanti volumi. Affascinata dai volti umani e curiosa di conoscere ed esplorare dall’interno le varie culture, si reca in Iraq, Iran, Siria,  Giordania, Messico, Tunisia, Russia, negli Stati Uniti, sempre pronta a captare con occhio analitico, ma partecipato e sensibile le precipue caratteristiche delle civiltà che incontra nel suo cammino. Nel 1960, tappa  fondamentale della sua vita, è l’incontro sul set del film Gli Spostati con il drammaturgo Arthur Miller che due anni dopo diventerà suo marito.   Ancora interessanti lavori nascono dai suoi frequenti viaggi in Russia,  in Romania lungo il Danubio e nella sua terra madre, l’Austria, dove su incarico dei Reali realizza un lavoro fotografico sulla regione al confine della Slovenia da cui provenivanoi suoi antenati. Morirà a New York nel gennaio 2002, aggredita da una grave forma tumorale.

ISRAEL. Jerusalem. 1958. Inge Morath, Austrian photographer. Self-portrait.

INGE MORATH  (1923 –2002)

 Attualmente a Venezia, al Museo di Palazzo Grimani è in corso fino al 4 giugno, la mostra dedicata a Inge Morath dal significativo titolo: “Fotografare da Venezia in poi”

  Articolo di Giovanna Sparapani

INGE MORATH, La vita, la fotografia,Silvana editoriale, CiniselloBalsamo (Mi), 2019

Inge Morath • Photographer Profile • Magnum Photos

https://www.artribune.com/arti-visive/fotografia/2023/01/inge-morath.

Mostre segnalate per Marzo

Ciao a tutti,

sono diverse le mostre interessanti a marzo. In mezzo a tanti giganti della fotografia, mi permetto di segnalarne anche una mia.

Anna

MAN RAY. OPERE 1912-1975

Man Ray, Le Violon d'Ingres, 1924
© Wikimedia Commons | Man Ray, Le Violon d’Ingres, 1924

La mostra Man Ray. Opere 1912-1975 rende omaggio al lavoro del grande maestro Emmanuel Radnitzky, in arte Man Ray, nato a Filadelfia nel 1890 e morto a Parigi nel 1976, passato alla storia come uno dei più grandi fotografi del secolo scorso, ma anche straordinario pittore, scultore e regista d’avanguardia.
 
Il progetto è firmato Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura di Genova e Suazes, impresa culturale e creativa con la quale Fondazione è alla sua quinta collaborazione.
 
La mostra – curata da Walter Guadagnini e Giangavino Pazzola – raccoglie circa 340 pezzi, fra fotografie, disegni, dipinti, sculture e  film:  il percorso espositivo è, per la qualità delle opere e per la loro provenienza da importanti collezioni nazionali e internazionali, un appuntamento imperdibile  per tutti coloro che desiderano immergersi nel fecondo periodo delle avanguardie di inizio Novecento e nella creatività di uno dei protagonisti assoluti di quella stagione, attivo poi anche nella seconda metà del secolo.
 
La volontà dell’artista di rompere gli schemi e creare nuove estetiche, unita all’ironia e alla sensualità che permeano ogni sua opera, sono gli elementi che ne hanno ispirato e caratterizzato la poetica. Lo stesso Man Ray racconta nella sua autobiografia del carico di «entusiasmo a ogni nuova direzione imboccata dalla mia fantasia, e con l’aiuto dello spirito di contraddizione progettavo nuove escursioni nell’ignoto».
 
La mostra di Palazzo Ducale si articola in sezioni che ne ripercorrono cronologicamente la biografia, dai suoi esordi nella New York di inizi Novecento, passando per la Parigi delle avanguardie storiche tra anni Venti e Trenta, fino a giungere agli ultimi anni della sua carriera e della vita, trascorsi tra gli Stati Uniti e Parigi.
Un viaggio che comincia – nella prima sezione – con una serie di autoritratti dell’artista, nei quali già si ritrova quell’idea di corpo che sarà centrale in tutta la sua produzione; autoritratti fotografici, tra cui quello celeberrimo con la barba tagliata a metà, ma anche calchi dorati, maschere, in una continua rappresentazione di sé e della propria ambigua e sempre mutante identità.  Ad essi si affiancano alcuni ritratti di Man Ray realizzati da grandi protagonisti dell’arte della seconda metà del Novecento come Andy Warhol (una splendida tela e una preziosa serigrafia), David Hockney e Giulio Paolini, a dimostrazione del rispetto e della considerazione di cui Man Ray ha sempre goduto nell’ambiente artistico.
La seconda sezione della mostra – “New York” – racconta il rapporto con la metropoli americana, dove l’artista tiene la sua prima personale alla Daniel Gallery nel 1915. In questo periodo realizza alcuni dei suoi primi capolavori, come i collages della serie Revolving Doors esposti in mostra, e le due versioni della scultura By Itself. È la stagione del Dada americano, che Man Ray vive da protagonista assieme a colui che sarà prima il suo mentore e poi l’amico e complice artistico di una vita, Marcel Duchamp, autentico faro dell’avanguardia mondiale nella prima metà del Novecento. 
 
È proprio questo rapporto creativo con Marcel Duchamp a costituire la terza sezione della mostra genovese. Qui si trovano due autentiche icone dell’arte del XX secolo come La tonsure e Elevage de poussiére (entrambe realizzate nel 1921), fotografie che rimettono in discussione l’idea stessa di ritratto e di realtà, là dove la superficie impolverata di un vetro diventa un paesaggio alieno, futuribile. 
 
La sezione che segue è dedicata a Parigi e alla “scoperta della luce”. Man Ray giunge nella capitale francese nel 1921, accolto dallo stesso Duchamp e dall’intera comunità dadaista: il racconto degli Anni Venti e Trenta e dell’evasione dell’artista dalle abitudini e dalle convenzioni sociali americane viene sviluppato interamente attraverso la fotografia, tecnica alla quale Man Ray deve la parte più consistente della sua fama. A Parigi tiene una personale alla Librairie Six di Parigi e l’anno dopo pubblica i primi Rayographs, le immagini fotografiche ottenute senza la macchina fotografica che saranno accolte con entusiasmo dalla comunità artistica parigina. Una comunità che vive, tra Dadaismo e Surrealismo, la sua stagione d’oro negli anni Venti e Trenta, e di cui Man Ray è insieme protagonista e testimone.
 
Proprio in questa sezione sono esposte le immagini dei personaggi che animavano il contesto culturale dell’epoca, che diventano protagoniste di alcuni dei capolavori assoluti dell’artista. Ad esempio, la leggendaria modella Kiki De Montparnasse (soggetto di una delle icone più celebri del XX secolo, Le Violon d’Ingres, esposto in mostra), oppure Lee Miller (assistente, compagna, musa ispiratrice e a sua volta grande fotografa, protagonista e complice di alcuni degli scatti più celebri di Man Ray), Meret Oppenheim e Nush Eluard, o artisti e intellettuali come Erik Satie, Antonin Artaud e Georges Braque. Nella  “Ville Lumière”,  Man Ray decide infatti di dedicarsi alla fotografia anche come professione, trovando uno studio, relazioni e strumenti propri per sostentarsi economicamente e instaurare legami di committenza con il mondo della moda, dell’arte e della cultura. È così che l’artista diventa il narratore per immagini di una delle stagioni più ricche di fascino della cultura del XX secolo, il ritrattista di un mondo irripetibile. 
La mostra prosegue con le sezioni “Corpo surrealista” e “Corpo, ritratto e nudo”. Temi fondamentali e ricorrenti nella ricerca visiva di Man Ray sono quelli del corpo e della sensualità, che nel periodo surrealista  diventano il centro della sua ispirazione, come dimostrano alcune delle immagini più note dell’artista  esposte in questa occasione: le fotografie come Larmes, La Prière, Blanche et Noire, dipinti e grafiche come A l’heure de l’observatoire – Les Amoureux,  con le labbra di Lee Miller ingigantite che volano sopra il paesaggio, un’altra delle grandi icone inventate da Man Ray nella sua carrieraper giungere a una scultura come Venus restaurée, ironica e geniale riflessione sulla classicità. Unpunto cardine nella storia del movimento è l’Exposition Internationale du Surréalisme del 1938, illustrata all’interno del percorso espositivo dalla serie fotografica Resurrection des mannequins(1938), e da numerosi prodotti editoriali creati a più mani per raccontare le varie modalità di rappresentare questa rivoluzione culturale e le intersezioni dell’avanguardia con il mondo reale. Nella serie Mode au Congo (1937), ad esempio, i copricapi centrafricani acquistati da Man Ray all’Esposizione coloniale di Parigi del 1931 sono sfoggiati come haute coutureda modelle femminili, tra cui la compagna dell’epoca Ady Fidelin.  In questa sezione sono mostrate anche altre opere fotografiche come i ritratti di Meret Oppenheim al torchio da Louis Marcoussis e Models (1937), nucleo di lavori che presenta una raccolta quotidiana di fotografie di modelle e artiste che Man Ray aveva frequentato durante il primo periodo parigino, espressione di come l’erotismo e l’amore libero rappresentino non solo uno dei ricordi più intimi dell’autore ma anche uno dei motori propulsori della sua creatività.
Il 1940 segna l’anno del ritorno di Man Ray in America – prima a New York e successivamente a Los Angeles  –, un ritorno causato dall’impossibilità di vivere nella Parigi occupata dai nazisti. Nella sezione “Los Angeles/Paris” vengono indagati gli anni in cui l’artista preferisce rimanere ai margini della scena e lavorare in ritiro solitario, dedicandosi in particolare alla sua prima grande passione, la pittura. Allo stesso tempo, sono tempi segnati dalla relazione con la ballerina e modella Juliet Browner, musa della sua vita e protagonista della meravigliosa serie fotografica 50 Faces of Juliet, realizzata tra il 1941 e il 1955. Si tratta di cinquanta ritratti della donna realizzati con diverse tecniche e stili, spaziando tra i vari registri per esplorare le possibilità creative offerte dalla fotografia. Continua comunque in questi anni anche la realizzazione di nuovi ready made, così come possibile vedere ad esempio in Mr Knife and Miss Fork (1944-1973).
 
La sezione finale della mostra vede Man Ray attivo nuovamente a Parigi e in Europa, dove si consolida la sua fama di maestro dell’arte delle avanguardie. È una sorta di revisione, rilettura e aggiornamento del proprio percorso, rappresentata in mostra dagli splendidi dipinti Decanter (1942) e Corps à Corps (1952), da ready made come Pêchage (1972) e Pomme à vis (1973). La mostra si chiude dunque come era cominciata, con un maestro della luce che continua a reinventare il mondo attraverso l’arte, con infinita ironia e intelligenza. 
 
La mostra evidenzia l’originalità, le innovazioni e i contributi dell’artista nell’evoluzione e nell’ideazione anche del cinema d’avanguardia, con pellicole storiche proiettate in un ambiente autonomo quali – tra le altre – Le Retour à la raison (1923), Emak Bakia (1926), L’Étoile de mer (1928) e Les Mystères du château du dé (1929). 

Dal 11 Marzo 2023 al 09 Luglio 2023 – Palazzo Ducale – GENOVA

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ELLIOTT ERWITT. FAMILY

Elliott Erwitt, <em>USA, New York</em>, 1974 | © Elliott Erwitt
Elliott Erwitt, USA, New York, 1974 | © Elliott Erwitt

Elliott Erwitt, il grande autore che ha fatto la storia fotografica del nostro secolo, con il suo stile unico, potente e leggero, romantico o leggermente ironico, affronta in modo trasversale il tema della Famiglia.

La curatrice della mostra, la Dottoressa Biba Giacchetti, ha chiesto a uno dei più importanti maestri della fotografia di creare un album personale e pubblico, storico e contemporaneo, serissimo e al contempo ironico: è nata così “Elliott Erwitt – FAMILY”.

Alla Palazzina di Caccia di Stupinigi le fotografie che nella lunghissima carriera di Erwitt – oggi 94enne – meglio hanno descritto e rappresentato tutte le sfaccettature del concetto così inesprimibile e totalizzante dell’essere famiglia. Niente è infatti più assoluto e relativo, mutevole, universale e altrettanto particolare come il tema della famiglia, che ha a che fare con la genetica, il sociale, il diritto, la sicurezza, la protezione e l’abuso, la felicità e la tristezza. Mai come oggi la famiglia è tutto e il suo contrario.

Gli scatti esposti in mostra nelle antiche cucine della Palazzina di Caccia di Stuinigi sono stati selezionati da Erwitt in persona e raccontano trasversalmente settant’anni di storia della famiglia e delle sue infinite sfaccettature intime e sociali.

Si offrono indifferentemente all’osservatore istanti di vita dei potenti della terra, come Jackie al funerale di JFK, accanto a scene intime come la madre che osserva rapita la neonata, che poi è Ellen, la primogenita del fotografo.

Scorci rigorosamente in bianco e nero da tutto il mondo.
Dalla Provenza, in Francia, un adulto che porta con sé un bambino, in bicicletta, su un viale alberato che pare non avere fine, un’immagine celebre e tanto amata.
Dall’Irlanda due anziani, di spalle, si godono la brezza del mare, curvati e appesantiti dall’età, ma insieme.
Dalla Cina un bimbo aiuta la sua mamma a spingere un carrellino pieno di povere cose.
Dagli Stati Uniti la protagonista del manifesto della mostra: un’elegante signora, vestita con soprabito e stivali alti, raffigurata mentre porta a passeggio un buffo e minuscolo cagnolino da una parte e un altrettanto imponente cane dall’altra; la celebre immagine iconica di Erwitt: Felix Gladys and Rover.

La cifra di Erwitt si esprime in questa mostra con un ritmo esilarante eppure profondo su un tema che certamente ha avuto un’importanza determinante nella sua vita personale, visti i quattro matrimoni, i sei figli e un numero di nipoti e pronipoti tutt’ora in divenire.

Come sempre Elliott Erwitt – spiega Biba Giacchetti “è voluto uscire dai canoni classici e sviluppare il concetto di famiglia in modo libero e provocatorio. Immagini romantiche si alternano a immagini di denuncia (come quella del Ku Klux Klan), fino alla ben nota ironia che vuole assolvere chi elegge a membro prediletto della propria famiglia l’animale più amato, che sia un cane, un maiale o un cavallo, e celebrare così con serietà e sorriso, il sentimento universale che ci lega a chi amiamo”.

Dal 04 Marzo 2023 al 11 Giugno 2023 – Palazzina di Caccia di Stupinigi – Nichelino (TO)

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LACHAPELLE PER CERUTI – Nomad in a Beautiful Land

LaChapelle per Ceruti | Courtesy Brescia Musei<br />
LaChapelle per Ceruti | Courtesy Brescia Musei

David LaChapelle per Giacomo Ceruti. Nomad in a Beautiful Land è una mostra fotografica originale, che presenta un’opera inedita eseguita dal celebre artista americano per Brescia e ispirata alla produzione pauperistica di Giacomo Ceruti. La Pinacoteca Tosio Martinengo, il museo che conserva il più alto numero di opere di Ceruti nel mondo, ospiterà questo scatto per narrare, attraverso un linguaggio nuovo e contemporaneo, le sale solitamente dedicate al pittore degli ultimi. Insieme alla serie Jesus is my homeboy (2003), la nuova fotografia di LaChapelle si insinuerà tra le fitte pieghe del presente, per fornirne un’interpretazione attenta e consapevole della marginalità: un’ode alla decadenza sociale.

Giocando con una smaccata ambivalenza di linguaggi, la mostra si pone l’obiettivo di strutturare un’architettura espositiva e itinerante, nella quale l’universo classico di Giacomo Ceruti incontra l’immaginario di David LaChapelle, in una sinergia museale tra Fondazione Brescia Musei e il Getty Center che vedrà le opere pauperistiche di Ceruti approdare a Los Angeles. Questa coinvolgente sfida, al contempo, farà arrivare presso la Pinacoteca Tosio Martinengo la serie Jesus is my homeboy (2003), accompagnata dalla nuovissima opera Gated Community di LaChapelle. Arte classica e fotografia si aprono al dialogo, mettendo in campo le loro differenze formali allo scopo di scuotere una contemporaneità afflitta dall’aridità relazionale. Gated Community, scattata a Los Angels nel mese di dicembre 2022, rappresenta una messa in scena ideologica del sacro e del profano, in cui una lunghissima tendopoli, rifugio dei senzatetto, affolla i marciapiedi della città, colorandosi di opulenza hollywoodiana.

Dal 14 Febbraio 2023 al 10 Novembre 2023 – Museo di Santa Giulia – BRESCIA

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EVE ARNOLD. L’OPERA 1950-1980

Eve Arnold, Actress Marilyn Monroe in the Nevada desert during the filming of "The Misfits", directed by John Huston, 1960 USA © Eve Arnold/Magnum Photo
Eve Arnold, Actress Marilyn Monroe in the Nevada desert during the filming of “The Misfits”, directed by John Huston, 1960 USA © Eve Arnold/Magnum Photo

La celebre fotografa americana Eve Arnold, che ha stretto con Marilyn Monroe un vero e proprio sodalizio artistico grazie al quale sono nati alcuni dei suoi scatti più iconici, è la protagonista della prima mostra del 2023 a CAMERA, che si aprirà a fine febbraio.

Prima donna, insieme a Inge Morath, a far parte dal 1951 dell’Agenzia Magnum, Eve Arnold ha fotografato le grandi star del cinema e dello spettacolo del dopoguerra, da Marlene Dietrich a Joan Crawford a Orson Welles, ma ha anche affrontato temi e questioni assolutamente centrali nel dibattito pubblico attuale, come la questione del razzismo negli Stati Uniti, l’emancipazione femminile, l’interazione fra le differenti culture del mondo. Tra le sue immagini più note si ricorda non a caso uno straordinario ritratto di Malcom X, che sarà esposto in mostra insieme ad altri scatti realizzati ad Harlem negli anni Cinquanta e ai raduni dei Black Muslims negli anni Sessanta. L’esposizione, composta da 170 fotografie, è realizzata in collaborazione con Magnum Photos.

Ripercorrendo le tappe salienti della sua carriera, a partire dai primi scatti in bianco e nero della New York degli anni Cinquanta fino agli ultimi lavori a colori realizzati all’età di 85 anni, la mostra vuole raccontarne l’«appassionato approccio personale», come lei stessa più volte definisce il proprio atteggiamento.

Dal 25 Febbraio 2023 al 04 Giugno 2023 – CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia – Torino

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RITRATTI AFRICANI. SEYDOU KEÏTA, MALICK SIDIBÉ, SAMUEL FOSSO

Seydou Keïta, Senza titolo, 1949-1951. Stampa alla gelatina ai sali d’argento. Courtesy Jean Pigozzi African Art Collection
Seydou Keïta, Senza titolo, 1949-1951. Stampa alla gelatina ai sali d’argento. Courtesy Jean Pigozzi African Art Collection

Ormai celebrati in tutto il mondo fra i protagonisti della fotografia dell’ultimo mezzo secolo, i tre artisti si sono stati scoperti in occidente solo in anni recenti e le loro storie personali hanno contribuito a rendere ancora più affascinanti le loro opere.

L’esposizione, prodotta e organizzata da ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia, presenta per la prima volta in Italia un’importante selezione di più di cento opere dei tre fotografi, messe a disposizione dalla C.A.A.C. The Contemporary African Art Collection di Ginevra, dalla Galleria Jean Marc Patras di Parigi, dalla Fondazione Modena Arti Visive e da numerosi prestatori privati. 

Seydou Keïta e Malik Sidibé nascono da famiglie modeste e iniziano la propria carriera in piccoli studi fotografici nella capitale del Mali, Bamako. Davanti al loro obiettivo sfilano i propri concittadini, in anni cruciali per la storia del Paese e dell’Africa. Essi immortalano con abilità straordinaria non solo una eccezionale galleria di volti e di figure, ma soprattutto catturano le aspirazioni, le mode, l’evoluzione di una società che a partire dagli anni Cinquanta muta rapidamente sia in conseguenza della riconquistata indipendenza politica del Mali nel 1960, ma anche del desiderio dei giovani africani di stare al passo con i propri coetanei europei.

Di una generazione successiva a quella di Keïta e Sidibé, Samuel Fosso riparte da dove gli altri avevano lasciato. Anche lui inizia la propria carriera in un piccolo studio fotografico senza l’ambizione di essere artista, ma la sua opera, che al bianco e nero alterna il colore, non si compone come quella di Keïta e Sidibé di ritratti di altri. Fosso inizia quasi per gioco a ritrarre sé stesso, e il suo lavoro si sviluppa attraverso autoritratti in cui egli interpreta ironicamente gli stereotipi dell’Africa vista con gli occhi dell’Occidente o in cui reincarna, a partire da Malcolm X, le figure simbolo dell’emancipazione dei neri.

Il percorso si può configurare come una “staffetta”, come lo definisce il curatore Filippo Maggia, che permette di coprire un lungo periodo di storia africana. “Keïta – scrive Maggia – è attivo negli anni che precedono l’indipendenza del Mali (avvenuta nel 1960), Sidibé vive e racconta gli anni immediatamente successivi all’indipendenza, Fosso nasce negli anni in cui diversi Paesi africani raggiungono l’indipendenza. Una staffetta che riscontriamo anche nei contenuti delle loro immagini, come se il filo narrativo tracciato da Keïta alla fine degli anni Quaranta avesse poi trovato un suo percorso evolutivo che corre di pari passo con la progressiva conquista e manifestazione di una consapevole ‘africanità’, segno distintivo che leggiamo nei loro ritratti, che non casualmente divengono autoritratti in Fosso”.

Attraverso il genere del ritratto, che per ragioni storiche, politiche, sociali e religiose è stato quello prediletto da molti fotografi africani, l’esposizione al Magazzino delle idee racconta dunque attraverso immagini di straordinaria bellezza un’Africa di rinascita e di ricerca della propria identità, documentando le aspirazioni sociali dei soggetti fotografati sullo sfondo di una realtà culturale, politica ed economica con caratteristiche e urgenze lontane da quelle occidentali.

Dal 17 Febbraio 2023 al 11 Giugno 2023 – Magazzino delle Idee – Trieste

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INGE MORATH. FOTOGRAFARE DA VENEZIA IN POI

Inge Morath, <em>Venezia</em>, 1955 | © Fotohof archiv / Inge Morath / Magnum Photos
Inge Morath, Venezia, 1955 | © Fotohof archiv / Inge Morath / Magnum Photos

Il Museo di Palazzo Grimani di Venezia celebra la figura della fotografa Inge Morath (Graz 1923 – New York 2002) con una sezione inedita per l’Italia dedicata alla città lagunare dove la sua carriera ebbe avvio.

E’ stato l’amore a condurre nel novembre del 1951 Inge Morath e Lionel Burch, neo sposi, a Venezia. E sono stati il maltempo in Laguna e Robert Capa, a far diventare lei, che con la fotografia non aveva dimestichezza diretta ma che collaborava già con la celebre agenzia fotografica parigina, la prima donna fotografa dell’Agenzia Magnum Photos.

La mostra che dal 18 gennaio al 4 giugno 2023 si ammirerà al Museo di Palazzo Grimani focalizza la Venezia di Inge Morath, attraverso il celebre reportage che la fotografa austriaca realizzò in Laguna, quando l’Agenzia Magnum la inviò in città per conto de L’Oeil, rivista d’arte che aveva scelto di corredare con scorci veneziani un reportage della mitica Mary McCarthy.

Inge Morath Fotografare da Venezia in poi” è curata da Kurt Kaidl e Brigitte Blüml, con Valeria Finocchi; promossa dalla Direzione regionale Musei Veneto (direttore Daniele Ferrara) e la società Suazes che, alcuni anni fa, ha fatto conoscere in maniera dettagliata la carriera di questa fotografa in Italia.

All’epoca del primo soggiorno veneziano, la Morath lavorava in Magnum non come fotografa ma come collaboratrice redazionale. In pratica si occupava, anche grazie alla sua conoscenza delle lingue, della realizzazione delle didascalie che accompagnavano le immagini dei suoi colleghi fotografi, del calibro di Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e Robert Capa.

Non fotografava, ma non le mancavano occhio e sensibilità. In quel novembre, la luce di Venezia sotto la pioggia la stregò, tanto da indurla a chiamare Robert Capa, responsabile della Magnum, per suggerirgli di inviare un fotografo in grado di catturare la magia che tanto la stava stupendo. Capa le rispose che un fotografo di Magnum a Venezia c’era già: era lei con la macchina fotografica. Non restava che comprare un rullino, caricarla e iniziare a fotografare.

“Ero tutta eccitata. Sono andata nel luogo in cui volevo scattare le mie fotografie e mi sono fermata: un angolo di strada dove la gente passava in un modo che mi sembrava interessante. Ho regolato la fotocamera e ho premuto il pulsante di scatto non appena ho visto che tutto era esattamente come volevo. È stata come una rivelazione. Realizzare in un istante qualcosa che mi era rimasto dentro per così tanto tempo, catturandolo nel momento in cui aveva assunto la forma che sentivo giusta. Dopo di che, non c’è stato più modo di fermarmi”.

Nel 1955, quattro anni dopo quelle prime fotografie, arriva l’incarico dalla rivista L’Oeil. Una volta a Venezia, avverte l’urgenza di esplorare la città e così “per ore andai in giro senza meta, solo a guardare, ossessionata dalla pura gioia di vedere e scoprire un luogo. Ovviamente avevo divorato libri su Venezia, sulla pittura e su quello che avrei dovuto fare. Il mio cervello ne era pieno… “.

“Il mio divertimento maggiore era quello di sedermi alla Scuola degli Schiavoni ed immergermi nelle opere di Carpaccio, quasi sempre da sola. O passare il tempo in compagnia del Tiepolo, era la fine del mondo. La sera i miei piedi erano stanchi e anche nel sonno mi trovavo ancora a camminare su innumerevoli ponti, le onde dei canali come pietrificate”.

Poi il Cimitero all’Isola di San Michele, Burano, Murano, Torcello, le processioni, il Redentore, i gatti ed i panni stesi, monumento, acqua e la gente comune…

“Come sarei felice di aver catturato con la mia macchina fotografica qualcosa che mi ha commosso, come la donna davanti al cancello del Palazzo Furstenberg con i gomiti piegati dietro la schiena o le scarpe dimenticate davanti a una fontana, la quotidianità in tutto la sua precaria bellezza”.

“Fotografare era diventata per me una necessità e non volevo assolutamente più farne a meno”.

La mostra nel suo complesso raccoglie circa 200 fotografie che avranno un focus specifico e inedito su Venezia anche con il supporto di documentazione inedita. Molte di queste fotografie veneziane, circa un’ottantina, non sono mai state esposte prima in Italia.

A corredo una selezione dei suoi principali reportage fotografici dedicati alla Spagna, Iran, Francia, Inghilterra-Irlanda, Stati Uniti d’America, Cina e Russia, oltre che la sezione dedicata ai ritratti, sezione molto importante nella sua ultima parte di carriera.
Un progetto che cade in concomitanza dei cento anni della nascita di Inge Morath (Graz 1923).

Come dichiara Daniele Ferrara, direttore regionale Musei Veneto: “Prosegue il rapporto del Museo di Palazzo Grimani, Istituto statale della Direzione regionale musei Veneto – Ministero della Cultura, con espressioni alte della creatività contemporanea Il concetto è quello di un museo laboratorio, che eredita quella funzione di crogiuolo di esperienze artistiche svolta dal Palazzo tra il Cinque e il Settecento. Successivamente ad “Archinto”, mostra site specific del maestro tedesco Georg Baselitz con opere dialoganti con lo spazio del Palazzo e la sua collezione, il museo ha accolto l’esposizione di importanti artisti italiani del fumetto, “Dopo la fine. Architetture narrative e nuove umanità”. Ora il Museo volge lo sguardo alla fotografia ed è scelta che scaturisce anche dall’impegno congiunto della Direzione Musei Veneto e dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione per lo studio, la tutela e la valorizzazione del patrimonio fotografico”.

Concetti che vengono confermati da Valeria Finocchi, direttrice del Museo di Palazzo Grimani: “Il Museo da alcuni anni è oggetto di un’importante processo di valorizzazione grazie alla fattiva collaborazione pubblico-privato con prestigiose realtà come la Fondazione Venetian Heritage e all’incessante lavoro di costruzione di nuovi contenuti e nuove prospettive di lettura del suo prezioso patrimonio artistico e architettonico, che impegnano lo staff interno e i collaboratori dalla ricerca storico-museologica fino alla progettazione di esperienze di alta divulgazione ed educative. Attraverso il riallestimento di numerosi ambienti del piano nobile, tra cui la celebre Tribuna, nel 2019, e la Sala del Doge, nel 2021, il Palazzo è tornato al centro della scena culturale veneziana e oggi si rivolge a pubblici differenziati, in un rinnovato rapporto con la città stessa grazie a progetti dedicati al recupero del patrimonio immateriale del territorio di riferimento”.

Marco Minuz di Suazes come coorganizzatore del progetto espositivo: “Questa collaborazione con la Direzione museale del Veneto e con il Museo di Palazzo Grimani valorizza un lavoro da noi intrapreso qualche anno fa per far scoprire al nostro paese la figura di questa straordinari fotografa”.

Dal 18 Gennaio 2023 al 04 Giugno 2023 – Museo di Palazzo Grimani – Venezia

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RUTH ORKIN. UNA NUOVA SCOPERTA

Ruth Orkin, Two American Tourists, Rome, Italy, 1956. Modern Print, 2021
Ruth Orkin, Two American Tourists, Rome, Italy, 1956. Modern Print, 2021

Dal 17 marzo al 16 luglio 2023, le Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino ospitano la più vasta antologica mai organizzata in Italia di Ruth Orkin (Boston 1921 – New York 1985), fotoreporter, fotografa e regista statunitense, tra le più rilevanti del XX secolo.
 
L’esposizione dal titolo RUTH ORKIN. Una nuova scoperta, curata da Anne Morin, organizzata da diChroma, prodotta dalla Società Ares srl con i Musei Reali e il patrocinio del Comune di Torino, riunisce 156 fotografie, la maggior parte delle quali originali, che ripercorrono la traiettoria di una delle personalità più importanti della fotografia del XX secolo, in particolare tra il 1939 e la fine degli anni Sessanta, attraverso alcune opere capitali come VE-DayJimmy racconta una storiaAmerican Girl in Italy, uno dei suoi scatti più iconici della storia della fotografia,i ritratti di personalità quali Robert Capa, Albert Einstein, Marlon Brando, Orson Welles, Lauren Bacall, Vittorio De Sica, Woody Allen e altri.
 
“Come curatore e storico della fotografia – afferma Anne Morin -, mi è sempre sembrato che il lavoro di Ruth Orkin non abbia ricevuto il riconoscimento che merita. Eppure, se questa fotografa ha un destino affascinante, il suo lavoro lo è altrettanto. Questa mostra si propone di rivisitare il lavoro della donna che voleva essere una regista e che, a causa delle circostanze, essendo un mondo cinematografico maschile, ha dovuto trovare il suo posto altrove. Non ha rinunciato al suo sogno, ma lo ha affrontato in modo diverso, creando un linguaggio singolare, estremamente ricco e nuovo attraverso la fotografia. Il lavoro fotografico di Ruth Orkin riguarda le immagini, il cinema, le storie e, in definitiva, la vita. Questa mostra è l’affermazione definitiva del lavoro di questa giovane donna che ha reinventato un altro tipo di fotografia.”
“Dopo il grande successo di Vivian Maier – dichiara Edoardo Accattino, Amministratore Ares srl -, portiamo a Torino una nuova mostra, dedicata a Ruth Orkin, fotografa elegante e sofisticata. La più ampia antologia mai realizzata su una delle firme più importanti del XX secolo, la cui opera è ancora oggi poco nota. Per questo, abbiamo voluto creare un percorso coinvolgente che accompagnerà i visitatori a scoprire e conoscere un’artista sensibile, la cui straordinaria opera affascinerà il pubblico torinese”.
 
“L’esposizione monografica su Ruth Orkin – sostiene Enrica Pagella, Direttrice dei Musei Reali – continua la serie di mostre dedicate alla fotografia quale cifra identitaria delle Sale Chiablese, spazio che i Musei Reali riservano soprattutto alle arti contemporanee e alla riflessione sui mezzi di comunicazione che hanno contribuito a mutare il volto della storia e della società. Dopo Vivian Maier. Inedita e Focus on Future.  14 fotografi per l’Agenda ONU 2030, questa antologica restituisce una riflessione attenta ai diversi linguaggi che hanno condotto l’artista ad accreditarsi e a distinguersi nel panorama della fotografia mondiale, attestando il primato e la visionarietà di uno sguardo ancora da approfondire, fedele alla narrazione di un’epoca in cui l’affermazione di genere era una conquista lontana, anche in ambito artistico”.
 
La mostra affronta il suo lavoro da una prospettiva completamente nuova, all’incrocio tra l’immagine fissa e l’immagine in movimento. Affascinata dal cinema, Ruth Orkin sognava infatti di diventare una regista, grazie anche all’influenza della madre, Mary Ruby, attrice di film muti, che la portò a frequentare le quinte della Hollywood degli anni Venti e Trenta del Novecento. Nella prima metà del secolo scorso, tuttavia, per una donna la strada per intraprendere questa carriera era disseminata di ostacoli. Ruth Orkin dovette quindi rinunciare al sogno di diventare cineasta o perlomeno dovette reinventarlo e trasformarlo; complice il regalo della sua prima macchina fotografica, una Univex da 39 centesimi, si avvicinò alla fotografia, ma senza mai trascurare il fascino del cinema. 
 
Proprio l’appuntamento mancato con la sua vocazione, la costringerà a inventare un linguaggio alla confluenza tra queste due arti sorelle, tra l’immagine fissa e l’illusione dell’immagine in movimento, un linguaggio che induceva una corrispondenza costante tra due temporalità non parallele. Attraverso un’analisi molto specifica dell’opera di Orkin, la rassegna permette di capire i meccanismi messi in atto per evocare il fantasma del cinema nel suo lavoro. Come avviene nel suo primo Road Movie del 1939, quando attraversò in bicicletta gli Stati Uniti da Los Angeles a New York. In quell’occasione, Ruth Orkin tenne un diario che diventò una sequenza cinematografica, un reportage che raccontava questo viaggio e la cui linearità temporale si svolge in ordine cronologico. Ispirandosi ai taccuini e agli album in cui la madre documentava le riprese dei suoi film, e utilizzando lo stesso tipo di didascalie scritte a mano, l’artista inseriva l’immagine fotografica in una narrazione che riprendeva lo schema della progressione cinematografica, come se le fotografie fossero immagini fisse di un film mai girato e di cui vengono esposte 22 pagine.
 
 
Il percorso propone inoltre lavori come I giocatori di carte o Jimmy racconta una storia, del 1947, in cui Ruth Orkin usa la macchina fotografica per filmare, o meglio, per fissare dei momenti, lasciando allo sguardo dello spettatore il compito di comporre la scena e riprodurre il movimento, ma anche le immagini e il film Little fugitive (1953), candidato al Premio Oscar per la migliore storia cinematografica e vincitore del Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia, che racconta la storia di un bambino di sette anni di nome Joey (Richie Andrusco) che fugge a Coney Island dopo essere stato indotto con l’inganno a credere di aver ucciso suo fratello maggiore Lennie e che François Truffaut riteneva di fondamentale importanza per la nascita della Nouvelle vague.
Nei primi anni Quaranta, Ruth Orkin si trasferisce a New York, dove diventa membro della Photo League, cooperativa di fotografi newyorkesi, e instaura prestigiose collaborazioni con importanti riviste, tanto da diventare una delle firme femminili del momento.
È in questo periodo che realizza alcuni degli scatti più interessanti della sua carriera. Con Dall’alto Orkin cattura perpendicolarmente da una finestra gli avvenimenti che si svolgono per strada, riprendendo alcune persone del tutto ignare di essere oggetto del suo sguardo fotografico: un gruppo di signore che danno da mangiare ai gatti di strada; un padre che, acquistata una fetta di anguria, la porge alla figlia davanti al chiosco del venditore ambulante; due poliziotti che fanno cordone attorno a un materasso logoro abbandonato per strada; due bambine che giocano a farsi volteggiare l’un l’altra; un gruppo di marinai che incedono speditamente e che divengono riconoscibili per i loro cappelli che si stagliano come dischi bianchi sul fondale grigio dell’asfalto.
A molti anni di distanza, tornò a questo genere di scatti: da una finestra con vista Central Park, l’artista riproponeva lo stesso gesto e la stessa inquadratura, nelle diverse stagioni, registrando la fisionomia degli alberi, la tonalità delle loro foglie: il soggetto è proprio il tempo e il suo scorrere, sotto forma di una sequenza che parla dell’elasticità del tempo filmico. 
 
La mostra darà poi conto del reportage per la rivista LIFE, realizzato nel 1951 in Israele a seguito della Israeli Philarmonic Orchestra e del viaggio compiuto in Italia, visitando Venezia, Roma e Firenze, città dove incontra Nina Lee Craig, una studentessa americana, alla quale chiede di farle da modella per un servizio volto a narrare per immagini l’esperienza di una donna che viaggia da sola in un paese straniero e che divenne soggetto di American Girl in Italy, una delle sue fotografie più iconiche e più famose della storia della fotografia; la scena che immortala Nina Lee Craig passeggiare per le strade di Firenze tra un gruppo di uomini che ammiccano al suo passaggio, riesce a ispirare a Ruth Orkin la foto-racconto che cercava da tempo.

Dal 17 Marzo 2023 al 16 Luglio 2023 – Musei Reali | Sale Chiablese – Torino

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Fuori dal Mondo – Marco Palombi

FUORI DAL MONDO
Più di venti anni, la voglia di conoscere, lontano da casa.
I loro occhi, i miei occhi.
Accolto con stupore nelle loro vite, spazio condiviso, cibo condiviso, gioia e tristezza.
Ma tu chi sei?
Fuori dal mondo loro, o io? o noi?
Differenze affascinanti, la natura cambia, il clima cambia.
Lasciare la terra dove sei nato, umanità in fuga con i pochi averi tutti in una valligia, a
volte in una busta.
La guerra. Sangue e merda.
Il miraggio di avere un’istruzione, cure mediche.
Fotografare come apprezzare e scoprire terre sconosciute.
Il mondo ora corre troppo, rimanere più tempo nei luoghi per scoprire una vita vera,
un sentimento di comunità che noi abbiamo perso, ritrovare un senso di grande
dignità, non di povertà.
Volti che non puoi mai dimenticare
Marco Palombi

Scatti presentati in grande formato per un site specific incentrato sugli sguardi e sui ritratti di popoli costretti alla fuga dai propri territori per le guerre, per la fame, per la siccità o per calamità naturali, destinati così alla dissoluzione delle loro civiltà. La mostra include anche una serie di foto di piccolo e medio formato a testimonianza di etnie che a breve saranno fuori dal mondo non avendo più futuro.

Marco Palombi, fotoreporter free lance, inviato di Repubblica, La Stampa ed altre testate, dagli anni ’90 del secolo scorso viaggia per raccogliere immagini per i suoi reportage, dove le minoranze etniche, i popoli nomadi e i contrasti tra occidente e oriente diventano il fulcro della sua ricerca fotografica.

Dal 1 al 31 marzo – galleria BiancoContemporaneo – Roma 

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LIBRARIUM – FULVIO MAGURNO

Alessia Paladini Gallery è lieta di presentare Librarium, fotografie di Fulvio Magurno. Un viaggio nel mondo della lettura e del libro attarverso una suggestiva serie di immagini in bianco e nero, scattate da Fulvio Magurno tra la metà degli anni Ottanta e la
metà degli anni Novanta in Europa, Africa, Asia. In queste raffinate fotografie l’oggetto scritto è l’unico soggetto, la fascinazione per la parola scritta emerge in ogni scatto: nelle pagine consumate di un antico volume, nelle pagine fermate da un sasso per impedire alla brezza marina di scompigliarle, nello sguardo assorto di un bambino immerso nella lettura, nei dorsi di volumi celati dal velo di una tenda, scolpite su pietra consumata.
Il legame di Fulvio Magurno con la letteratura è ricorrente nel suo processo creativo: sperimentatore, fotografo e sofisticato intellettuale, costantemente alla ricerca di legami interdisciplinari tra le più diverse forme artistiche, Fulvio Magurno sublima nei
suoi scatti, al tempo stesso modernissimi e classici, un universo culturale profondo e stimolante.
In un momento come quello attuale, dove la “lentezza” della lettura, il gesto di sfogliare un libro, il sentire la consistenza delle pagine tra le dite sembrano appartenere ad un mondo in via d’estinzione, sopraffatto dalla voracità del mondo digitale, Librarium appare come un’oasi di calma e di riflessione.
“Un libro, una lettera, una poesia sono parole scritte e parole lette. Librarium di Fulvio Magurno è un viaggio di immagini vicine e lontane (…) per accompagnare chi guarda dentro un mondo fatto di parole, scritte e lette, che riverberano nel bianco e nero della
stampa fotogafica, lasciando ben impressa una sensazione di passato che resta immutato. (…) “ (Anna Orlando).

1 marzo – 14 aprile 2023 – Alessia Paladini Gallery – Milano

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LUCENTE – ANNA BRENNA

Le origini del nome del fiume Lambro sono da ricercare nella parola greca λαμπρως (lampròs) che significa limpido, lucente e anche un vecchio detto in dialetto milanese recita “ciar com’el Làmber”, cioè limpido come il Lambro.

l fiume Lambro nasce in provincia di Como e lungo il suo corso attraversa la Lombardia da nord a sud, attraversando 52 comuni, toccando sei province e percorrendo silenziosamente tutta la periferia orientale della città di Milano, per poi sfociare nel Po poco a sud di Lodi, con un percorso di 130km.

Purtroppo il Lambro è noto per essere tutt’altro che limpido, è infatti uno dei grandi fiumi italiani che più ha risentito della pesantissima industrializzazione avvenuta sulle sue rive. Il corso è stato modificato e danneggiato a favore delle città e ciò è stato causa di esondazioni e inquinamento.

Solo dalla fine degli anni novanta, la situazione è decisamente migliorata soprattutto grazie agli interventi di bonifica promossi anche dall’Unione Europea e al sistema depurativo della città di Milano.

Numerosi parchi cittadini ospitano tratti del fiume Lambro, dal Parco di Monza al Parco Lambro di Milano, solo per citare i più importanti, offrendo polmoni verde a una delle zone più industrializzate d’Italia. Diverse piste ciclopedonali sono inoltre state create lungo le rive del fiume, tra cascine, mulini, campi coltivati a mais, balle di fieno arrotolate e uccelli, che numerosi popolano le aree fluviali.

Ho percorso in cinque mesi l’intero corso del fiume, dalla sorgente alla foce, cercando di catturare immagini del fiume e dell’ambiente circostante, che rappresentassero il rapporto dell’uomo con il fiume e i cambiamenti nel paesaggio che ne ospita il corso, principalmente dovuti all’intervento umano.

Ho amato perdermi nella campagna, le sensazioni di lentezza e l’immobilità che caratterizzano il fiume, le atmosfere a tratti fiabesche, la presenza umana che si perde nel paesaggio o che lascia solo tracce del proprio passaggio.

Dal 25 marzo al 6 aprile – Biblioteca Comunale di Costa Masnaga (LC)

Diachronicles Giulia Parlato

Con il progetto Diachronicles Giulia Parlato ha vinto Giovane Fotografia Italiana | Premio Luigi Ghirri 2022, ideato e promosso dal Comune di Reggio Emilia in collaborazione con Triennale Milano, GAI – Associazione per il Circuito dei Giovani Artisti Italiani e Fotografia Europea, con il contributo di Reire srl. Diachronicles racconta lo spazio storico come contenitore immaginario in cui un’apparente raccolta di prove apre al fantastico. In questo spazio, i tentativi di ricostruire il passato si perdono in vuoti fantasmagorici, dove gli oggetti vengono generati, usati, sepolti, dissotterrati, trasportati e trasferiti.

Fino al 26 marzo 2023 – La Triennale di Milano

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AARON SCHUMAN – SONATA

Sonata è un ampio corpo di lavoro composto da immagini realizzate da Aaron Schuman in Italia nell’arco di quattro anni. Presentato inizialmente in un volume monografico edito nel 2022 dagli inglesi di MACK (che trovate qui), acclamato dalla critica, trae ispirazione da Viaggio in Italia di Johann Wolfgang von Goethe (1786-1788) e ricerca quelle che Goethe definiva le “impressioni dei sensi“. Come Goethe nei suoi viaggi in terra italiana, Schuman cerca risposte alle stesse riflessioni introspettive: “L’esenziale si è, che io prendo di bel nuovo interessamento alle cose di questo mondo; che io cerco di bel nuovo di esercitare il mio spirito di osservazione, per quanto i miei lumi e le mie cognizioni lo consentono; che la mia vista è pronta ad afferrare rapidamente quanto si offre allo sguardo; e che il mio animo può di bel nuovo esercitare le sue facoltà, le quali erano rimaste oppresse ed irrigidite.”

Sonata non cerca di cogliere e raccontare la realtà oggettiva; piuttosto, la filtra consapevolmente, rileggendola attraverso i miti, le idealizzazioni, le fascinazioni e le fantasie associate al nostro paese e a ciò che ha rappresentato nell’immaginario degli innumerevoli viaggiatori che lo hanno visitato nel corso dei secoli. Schuman stesso – prima con i suoi genitori, poi con la moglie e i figli – ha sviluppato fin dall’infanzia un legame viscerale, quasi primordiale, con l’Italia; un legame che è certamente, evidentemente quello di uno straniero, ma che è comunque forte, intuitivo, profondamente sincero e personale. Con Sonata, Schuman ci invita a esplorare un’Italia tanto simbolica quanto reale: intrisa dell’euforia e del terrore, dell’armonia e della dissonanza delle sue eredità culturali e storiche, eppure sempre nuova, rinvigorente e risonante nelle sue suggestioni sensoriali e psicologiche.

Micamera è orgogliosa di presentare una mostra e un’installazione site-specific di Sonata, concepita e realizzata in collaborazione con l’artista stesso. Oltre alle bellissime stampe, l’esposizione includerà anche una selezione di oggetti provenienti dalla collezione personale di Schuman, fotografie ed ephimera che hanno imperniato questo lavoro, e dialogherà con una selezione curata di libri dagli scaffali di Micamera.

Conosci tu il paese dove i limoni fioriscono,
nel fogliame buio fulgon le arance d’oro?
– Johann Wolfgang von Goethe, 1796

dall’11 marzo al 22 aprile – MICamera – Milano

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Martine Franck, grinta ed energia

La fotografa belga Martine Frank, sposatasi nel 1970 in seconde nozze con il fotografo francese Henri Cartier Bresson  definito “l’occhio del secolo”, di trenta anni più vecchio di lei, ha rischiato di essere ricordata solo per la fama del marito, se non avesse messo grinta e energia per acquisire e imporre al pubblico una cifra stilistica e contenutistica del tutto personale. E’ significativo ricordare che la sua prima mostra personale organizzata nel 1970 a Londra dall’’Institute of Contemporary Arts, fu da lei annullata senza alcuna esitazione, quando si rese conto che gli inviti, oltre al suo nome, recavano anche quello del marito che sarebbe stato presente all’inaugurazione attirando numerosi visitatori.

FRANCE. Provence. Town of Le Brusc. Pool designed by Alain CAPEILLERES.

Nata ad Anversa nel 1938 da una madre inglese appassionata di arte e da un padre banchiere collezionista dilettante, ben presto si trasferì con i genitori a Londra; in seguito si recò a Madrid e a Parigi dove studiò materie artistiche. Nel 1963, durante un avventuroso viaggio in estremo Oriente, scoprì la passione per la fotografia grazie ad una fotocamera Leica prestata dal cugino. Tornata a Parigi iniziò a lavorare come fotografa freelance per riviste famose come Vogue, Life e Sports Illustrated, assumendo ben presto un incarico ufficiale presso il Théâtre du Soleil di cui immortalò spettacoli e back stages per quarantotto anni. Nel 1983 divenne membro effettivo dell’agenzia fotografica Magnum, incarico prestigioso e molto raro conferito ad una donna e nel 2005 fu insignita del titolo di cavaliere  della Légion d’Honneur francese.

Timida, riservata e poco interessata alla vita mondana,  le immagini documentarie e i suoi magnifici ritratti si rivolgevano con interesse al mondo degli umili, dei vecchi e delle donne: “ … la fotografia si adatta alla mia curiosità per le persone e le situazioni umane…”, affermava Martine in una intervista rilasciata al New York Time.

Cartier Bresson fotografato da Martine-Franck

Martine Franck

 Dal punto di vista letterario,  Mark Twain e Conan Doyle, conosciuti attraverso le letture che sua madre le faceva da bambina, rimarranno i suoi punti di riferimento, come il grande Hitchcock per il cinema; in campo fotografico durante numerose interviste citava spesso Julia Margaret Cameron, Dorothea Lange e Margaret Bourke-White. In sintonia con il Marito Henri Cartier Bresson, la Franck sintetizza così la sua passione per la fotografia: “. ..Ciò che soprattutto amo nella fotografia, è precisamente il momento che non si può anticipare, bisogna stare costantemente in allerta, pronti a captare ciò che è inatteso…”. Le sue immagini rigorosamente in bianconero sono potenti e suggeriscono l’emozione della fotografa e dei soggetti ritratti durante lo scatto: gli anziani ripresi nei luoghi protetti oppure i bambini spesso immortalati mentre giocano per strada anche in situazioni precarie o disagiate sprigionano tenerezza, comprensione e partecipazione alle loro difficoltà da parte di Martine che non si sottrae dall’entrare nel mondo della sofferenza e dell’emarginazione, sempre con passo lieve ed elegante. Un suo importante lavoro riguarda le immagini che immortalano i monaci tibetani Tulku da cui traspare la loro vita gioiosa fatta di ascesi e trascendenza, da trasmettere con generosità agli altri.

Hospice d’Ivry sur Seine, France Foto di Martine Frank

Dopo la morte dell’illustre marito, insieme alla figlia Mélanie, nel 2003 creò la Fondazione Henri Cartier Bresson per conservare e promuovere il prezioso materiale fotografico da lui lasciato in eredità.

IRELAND. Donegal. Tory Island. 1995. Foto di Martine Frank

Michel Foucault nella sua abitazione, Paris. Foto di Martine Frank

 Colpita da leucemia, dopo due anni di strenua lotta contro la malattia affrontata con coraggio e determinazione, morì a Parigi nel 2012 all’età di 74 anni.

Bibliografia: Martine Franck, D’un jour, l’autre, Éditons du Seuil, Paris 1998

Sitografia: www.magnumphotos.com

www.elle.com

ARTICOLO DI GIOVANNA SPARAPANI

L’articolo ha scopo didattico divulgativo. Le immagini sono di proprietà dell’autore e non possono essere vendute.