Mostre fotografiche da non perdere a febbraio

Come tutti i mesi, eccoci giunti al consueto appuntamento con le mostre di fotografia. Anche per febbraio sono previste mostre bellissime!

Date un’occhiata a quelle che vi segnaliamo di seguito.

Ciao

Anna

JOEL MEYEROWITZ. LEICA HALL OF FAME 2016

Joel Meyerowitz, New York City, 1974

Dal 25 gennaio al 2 aprile 2022 lo spazio milanese di Leica Galerie, in via Giuseppe Mengoni 4 (angolo piazza Duomo), ospita una mostra dedicata a Joel Meyerowitz, grande maestro della fotografia contemporanea, uno dei massimi protagonisti della street photography, tra i primi a fare del colore un elemento essenziale del suo linguaggio artistico negli anni sessanta e settanta del secolo scorso.

L’esposizione, curata da Karin Rehn Kaufmann, con l’adattamento di Denis Curti e Maurizio Beucci, presenta cinquanta fotografie capaci di ripercorrere i periodi più decisivi della sua carriera, scattate in diversi paesi e in molte città. Dalle immagini catturate tra le strade di New York, ambiente perfetto per osservare la vita e le persone nella grande città, a quelle raccolte durante un viaggio di un anno attraverso l’Europa nel 1966/67, a quelle, ritornato negli stati Uniti, in cui il colore divenne per lui un elemento ancora più importante.

Dal 25 Gennaio 2022 al 02 Aprile 2022 – Leica Galerie – Milano

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ROBERT CAPA. FOTOGRAFIE OLTRE LA GUERRA

Robert Capa, Henri Matisse nel suo studio, Nizza, agosto, 1949 © Robert Capa © International Center of Photography / Magnum Photos

È un Capa “altro”, quello che questa grande mostra propone. E lo dichiara già dal sottotitolo, quel “fotografie oltre la guerra”, frase emblematica dello stesso Capa, che pone l’attenzione proprio sui reportage poco noti del grande fotografo”. La annunciano Federico Barbierato e Cristina Pollazzi, rispettivamente Sindaco e Assessore alla Cultura del Comune di Abano Terme.
 
Reportage poco noti, ma non meno importanti e potenti. Semplicemente sopraffatti dall’immagine di lui come straordinario interprete dei grandi conflitti.
E’ una mostra, quella curata da Marco Minuz e promossa dal Comune di Abano Terme a Villa Bassi Rathgeb dal 15 gennaio al 5 giugno 2022, che vuole far uscire Capa dallo stereotipo di “miglior fotoreporter di guerra del mondo”, come ebbe a definirlo, nel 1938 la prestigiosa rivista inglese Picture Post. L’obiettivo è invece puntare tutta l’attenzione sulla sua fotografia lontana dalla guerra.
“Non vi è dubbio – riconosce il curatore –  che l’esperienza bellica sia stata al centro della sua attività di fotografo: la guerra civile spagnola, la resistenza cinese di fronte all’invasione del Giappone, la seconda guerra mondiale e quella francese in Indocina (1954), durante il quale morì, ucciso da una mina antiuomo, a soli 40 anni. Acquisendo, in queste azioni, una fama che gli permise di pubblicare nelle più importanti riviste internazionali, fra le quali Life e Picture Post, con quello stile di fotografare potente e toccante allo stesso tempo, senza alcuna retorica e con un’urgenza tale da spingersi a scattare a pochi metri dai campi di battaglia, fin dentro il cuore dei conflitti; celebre, in tal senso, la sua dichiarazione: Se non hai fatto una buona fotografia, vuol dire che non ti sei avvicinato a sufficienza alla realtà. Queste sue fotografie sono ormai patrimonio della cultura iconografica del secolo scorso”.
 
Ma il lavoro di Robert Capa non si limitò solo esclusivamente a testimoniare eventi drammatici, ma spaziò anche in altre dimensioni non riconducibili alla sofferenza della guerra. Proprio da qui prende avvio l’originale progetto espositivo a Villa Bassi Rathgeb di Abano Terme che vuole esplorare, attraverso circa un centinaio di fotografie, parti del lavoro di questo celebre fotografo ancora poco conosciute.
“Robert Capa. Fotografie oltre la guerra” esplora il rapporto del fotografo con il mondo della cultura dell’epoca con ritratti di celebri personaggi come Picasso, Hemingway e Matisse, mostrando così la sua capacità di penetrare in fondo nella vita delle persone immortalate.
Affascinante la sezione dedicata ai suoi reportage dedicati a film d’epoca. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale è l’attrice svedese ad introdurre Capa sul set del Notorius di Alfred Hitchcock, dove si cimenta per la prima volta in veste di fotografo di scena. Nell’arco di pochissimi anni Capa si confronta con mostri sacri del calibro di Humphrey Bogart e John Houston; immortala la bellezza di Gina Lollobrigida e l’intensità di Anna Magnani. Maturerà poi la scelta, congeniale alla sua sensibilità e all’oggetto privilegiato della sua ricerca artistica, di confrontarsi con i grandi maestri del neorealismo. Straordinarie dunque le immagini colte sul set di Riso Amaro, con ritratti mozzafiato di Silvana Mangano e Doris Dowling.
 
Completa il percorso la sezione dedicata alla collaborazione tra lo scrittore americano Steinbeck e Robert Capa che darà avvio al progetto “Diario russo”.
Nel 1947 John Steinbeck e Robert Capa decisero di partire insieme per un viaggio alla scoperta di quel nemico che era stato l’alleato più forte nella seconda guerra mondiale: l’Unione Sovietica. Ne emerse un resoconto onesto e privo di ideologia sulla vita quotidiana di un popolo che non poteva essere più lontano dall’American way of life . Le pagine del diario e le fotografie che raccontano la vita a Mosca, Kiev, Stalingrado e nella Georgia sono il distillato di un viaggio straordinario e un documento storico unico di un’epoca, salutato dal New York Times come “un libro magnifico”.
Un reportage culturale sulla gente comune di uno dei paesi meno esplorati dai giornalisti e reporter mondiali. Una lezione di umanità ed empatia che ci ricorda l’importanza di conoscere concretamente luoghi e persone per superare pregiudizi e ignoranza.
La mostra prosegue con una serie di fotografie realizzate in Francia nel 1938 e dedicate all’edizione del Tour de France di quell’anno, dove l’attenzione del fotografo si focalizzerà sempre prevalentemente sul pubblico rispetto alle gesta sportive degli atleti.
Una sezione è dedicata alla nascita dello Stato d’Israele. Robert Capa, ungherese di origine ebraica, emigrato in Germania e poi in Francia e negli Stati Uniti, fondatore dell’agenzia Magnum Photos, era giunto sul posto per documentare la prima guerra arabo-israeliana del 1948. A pochi anni dalla Shoah, con la vita che riprende nonostante le violenze ancora in corso, l’obiettivo di Capa documenta le fasi iniziali della costituzione del nuovo Stato.

Complessivamente la mostra promossa dal Comune di Abano, Assessorato alla Cultura, prodotta e organizzata da Suazes con il supporto organizzativo di Coopculture, dipana un centinaio di fotografie, in dialogo con gli ambienti storici di Villa Bassi Rathgeb.

Dal 15 Gennaio 2022 al 05 Giugno 2022 – ABANO TERME (PD) – Villa Bassi Rathgeb

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NEEEV. NON È ESOTICO, È VITALE. FOTOGRAFIE DI BEGOÑA ZUBERO

© Begoña Zubero | Begoña Zubero, Mosul, dicembre 2018

Una selezione di diciotto fotografie di grande formato di Begoña Zubero.

La selezione fa parte di un progetto realizzato da Begoña Zubero durante la sua residenza di due mesi presso la Moving Artist Foundation in Iraq, che cerca di mettere in relazione artisti che operano in zone di conflitto con quelli dei Paesi Baschi e racconta la città di Mosul nel momento della ricostruzione, dopo la terribile offensiva che ha portato alla sconfitta dello Stato Islamico.

Dal 20 Gennaio 2022 al 22 Maggio 2022 – Museo di Roma in Trastevere

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VIVIAN MAIER. INEDITA

© Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY | Vivian Maier, Chicago, IL, Gelatin silver print, 2014

Dal 9 febbraio al 26 giugno 2022, le Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino ospitano la mostra di Vivian Maier (1926-2009), una delle massime esponenti della cosiddetta street photography.
 
Fin dal titolo, Inedita, l’esposizione che giunge in Italia dopo una prima tappa al Musée du Luxembourg di Parigi (15 settembre 2021 – 16 gennaio 2022), si prefigge di raccontare aspetti sconosciuti o poco noti della misteriosa vicenda umana e artistica di Vivian Maier, approfondendo nuovi capitoli o proponendo lavori finora inediti, come la serie di scatti realizzati durante il suo viaggio in Italia, in particolare a Torino e Genova, nell’estate del 1959.
 
La mostra, curata da Anne Morin, è co-organizzata da diChroma e dalla Réunion des Musées Nationaux – Grand Palais, prodotta dalla Società Ares srl con i Musei Reali e il patrocinio del Comune di Torino, e sostenuta da Women In Motion, un progetto ideato da Kering per valorizzare il talento delle donne in campo artistico e culturale. L’esposizione presenta oltre 250 immagini, molte delle quali inedite o rare, come quelle a colori, scattate lungo tutto il corso della sua vita. A queste si aggiungono dieci filmati in formato Super 8, due audio con la sua voce e vari oggetti che le sono appartenuti come le sue macchine fotografiche Rolleiflex e Leica, e uno dei suoi cappelli.
Il percorso espositivo tocca i temi più caratteristici della sua cifra stilistica e si apre con la serie dei suoi autoritratti in cui il suo sguardo severo si riflette negli specchi, nelle vetrine e la sua lunga ombra invade l’obiettivo quasi come se volesse finalmente presentarsi al pubblico che non ha mai voluto o potuto incontrare.
Una sezione è dedicata agli scatti catturati tra le strade di New York e Chicago. Vivian Maier predilige i quartieri proletari delle città in cui ha vissuto. Instancabile, cammina per tutto il tessuto urbano popolato da persone anonime che davanti al suo obiettivo diventano protagoniste, anche per una sola frazione di secondo, e recitano inconsciamente un ruolo.
Le scene che diventano oggetto delle sue narrazioni sono spesso aneddoti, coincidenze, sviste della realtà, momenti della vita sociale a cui nessuno presta attenzione. Ognuna delle sue immagini si trova proprio nel luogo in cui l’ordinario fallisce, dove il reale scivola via e diventa straordinario.
 
Mentre cammina per la città, Vivian Maier a volte si sofferma su un volto. La maggior parte dei visi che scandiscono le sue passeggiate fotografiche sono quelli di persone che le assomigliano, che vivono ai margini del mondo illuminato dall’euforia del sogno americano. Parlano di povertà, lavori estenuanti, miseria e destini oscuri. Ognuno di questi ritratti, impassibile e austero, è colto frontalmente nel momento dello scatto. A essi fanno da contraltare quelli delle signore dell’alta borghesia, che reagiscono in modo offeso al palesarsi improvviso della fotografa.
 
Oltre ai ritratti, Vivian Maier si concentra sui gesti, redigendo un inventario degli atteggiamenti e delle posture delle persone fotografate che tradiscono un pensiero, una intenzione, ma che rivela la loro autentica identità. Le mani sono spesso le protagoniste di queste immagini perché raccontano, senza saperlo, la vita di coloro a cui appartengono.
 
Agli inizi degli anni sessanta si nota un cambiamento nel suo modo di fotografare. La sua relazione con il tempo sta cambiando, e il cinema sta già cominciando a insinuarsi e ad avere la precedenza sulla fotografia. Vivian Maier inizia a giocare con il movimento, creando sequenze cinetiche, come se cercasse di trasportare le specificità del linguaggio cinematografico in quello della fotografia, creando delle vere e proprie sequenze di film.
Come naturale conseguenza, Vivian Maier inizia a girare con la sua cinepresa Super 8, documentando tutto quello che passava davanti ai suoi occhi, in modo frontale, senza artifici né montaggi.
 
Un importante capitolo della mostra è dedicato alle fotografie a colori. Se da un lato, i lavori in bianco e nero sono profondamente silenziosi, quelli a colori si presentano come uno spazio pieno di suoni, un luogo dove bisogna prima sentire per vedere. Questo concetto musicale di colore sembra riecheggiare nello spazio urbano, come il blues che scorre per le strade di Chicago e, in particolare, nei quartieri popolari frequentati da Maier.
 
Non poteva mancare una sezione dedicata al tema dell’infanzia che ha accompagnato Vivian Maier per tutto il corso della vita. A causa della sua vicinanza ai bambini per così tanti anni, era in grado di vedere il mondo con una capacità unica. Come governante e bambinaia per quasi quarant’anni, Maier ha preso parte alla vita dei bambini a lei affidati, documentando i volti, le emozioni, le espressioni, le smorfie, gli sguardi, così come i giochi, la fantasia e tutto il resto che abita la vita di un bambino.
 

Dal 09 Febbraio 2022 al 26 Giugno 2022 Musei Reali | Sale Chiablese – Torino

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GIAN BUTTURINI. LONDRA 1969 – DERRY 1972. UN FOTOGRAFO CONTRO

© Gian Butturini | Gian Butturini, Londra, 1969. Persone alla fermata di Earl’s Court

Dal 27 gennaio al 6 marzo 2022, STILL Fotografia a Milano (via Zamenhof 11) rende omaggio a Gian Butturini (1935-2006), uno dei fotoreporter italiani più originali e apprezzati a livello internazionale.
La rassegna, curata da Gigliola Foschi e Stefano Piantini, promossa dall’Associazione Gian Butturini, presenta cinquanta fotografie, tratte da due suoi lavori e suoi libri più famosi – London by Gian Butturini e Dall’Irlanda dopo Londonderry – che raccontano, da un lato, le contraddizioni di Londra alla fine degli anni sessanta, nel periodo passato alla storia come quello della Swinging London, quando cioè la capitale inglese era diventata un crogiuolo di nuove tendenze legate alla moda, alla musica, all’arte e alla cultura in genere, dall’altro, le tensioni politiche e sociali nell’Irlanda del Nord, seguiti al Bloody Sunday, la strage avvenuta a Derry il 30 gennaio 1972 quando l’esercito inglese fece fuoco sulla folla di manifestanti, uccidendone quattordici.
Butturini, che iniziò a scattare immagini sul conflitto nordirlandese una settimana dopo i fatti di Derry, testimonia la radicalizzazione della situazione politica e militare in quel paese.
Butturini non cerca di creare immagini volutamente forti, fissando azioni belliche o di protesta, quanto, da vero fotoreporter, far vedere e far capire ciò che sta accadendo. E lo fa con grande capacità di testimonianza, di composizione fotografica unite a una altrettanto notevole sensibilità politica e umana. Nelle atmosfere così cupe e minacciose, tra barricate, cavalli di frisia, fili spinati, soldati armati di mitragliatori, auto bruciate ai lati delle strade, Butturini ritrae i bambini, vittime innocenti in un drammatico conflitto.
La sezione dedicata a Londra racconta la capitale inglese da una prospettiva nuova, critica, non patinata e documenta le incursioni di Butturini tra le strade londinesi popolate da ragazze in minigonna, immigrati, junkie, emarginati, abitanti della City che sembrano vivere in un mondo a parte. È una Londra fuori dagli stereotipi quella che emerge dai suoi scatti, cogliendone tutte le contraddizioni con un occhio innovativo, dove indagine documentaria, interventi grafici e pagine scritte si coniugano a fini espressivi.
“Questa è una mostra – afferma Gigliola Foschi – in difesa della libertà di parola, immagine e pensiero. Una mostra contro una cancel culture che, senza confronto e senza discussione, nella liberale Inghilterra ha fatto ritirare dal commercio il libro London by Gian Butturini e infangato la figura di un uomo che per tutta la vita si era impegnato contro ogni forma di razzismo e d’ingiustizia”.
Fu infatti una doppia immagine con una donna di colore che vende i biglietti della metro chiusa dentro un bugigattolo e un gorilla in gabbia che, invece di suscitare indignazione nei confronti delle condizioni di due esseri viventi, entrambi giustamente intrappolati e discriminati, com’era nell’intento di Butturini, ha scatenato un’accusa di “razzismo conclamato”, costringendo l’editore a togliere il volume dalle librerie.
La mostra si chiude idealmente con una decina di gruppo di collage situazionisti, opere in cui Butturini, fotografo, ma anche grafico, interviene con colori e scritte graffianti su strisce di fumetti degli anni settanta. Batman o Nembo Kid, ad esempio, si trasformano in eroi della controcultura che rovesciano e stravolgono, in modo provocatorio, i significati proposti dalla cultura dominante.
Accompagna la mostra un libro edito STILL/Pazzini Editore con un testo di Gigliola Foschi

Dal 27 Gennaio 2022 al 06 Marzo 2022 – STILL Fotografia – Milano

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AMALFI ANNI ’50 E ’60 – ALFONSO FUSCO, FOTOGRAFO

© Alfonso Fusco

L’Arsenale di Amalfi ospiterà dal 28 dicembre 2021 al 28 febbraio 2022 la mostra “Amalfi anni ’50 e ’60 – Alfonso Fusco, fotografo”.

Un progetto realizzato dall’Amministrazione Comunale di Amalfi – guidata dal Sindaco Daniele Milano – con la collaborazione della famiglia Fusco. L’iniziativa è promossa dall’Assessorato alla Cultura – retto da Enza Cobalto – curata da Puracultura e patrocinata dal Centro di Cultura e Storia Amalfitana.

Alfonso Fusco, amalfitano, classe 1938 e scomparso da pochi anni, ha operato come fotografo a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60: nel suo archivio rinvenuto dalla famiglia emergono migliaia di negativi che testimoniano i cambiamenti in corso in quel preciso periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale all’inizio della “dolce vita” amalfitana.
Fusco punta il suo obiettivo e cattura, in una sorta di neorealismo fotografico, tutto ciò che avviene ad Amalfi in quegli anni: scatti di vita quotidiana – matrimoni, manifestazioni pubbliche, campagne elettorali – ma anche eventi particolari, come le splendide feste con le ballerine dell’Africana o l’arrivo di Jacqueline Kennedy nella Divina.

A corredo della mostra fotografica, di 96 immagini, che si inaugurerà martedì 28 dicembre alle ore 18:00, sarà presentato il volume “Amalfi anni ’50 e ’60 – Alfonso Fusco, fotografo”, a cura della giornalista Claudia Bonasi, con l’introduzione dell’antropologo prof. Vincenzo Esposito, presenti all’evento insieme all’editore di Puracultura, Antonio Dura. Il libro di 120 pagine ospita 200 scatti accuratamente selezionati e divisi per sezioni.

Nell’Arsenale, per tutta la durata della Mostra fotografica, sarà ospitato un tavolo interattivo (realizzato a cura del Collettivo Digitale di Cesena) contenente 393 foto di ritratti realizzati da Alfonso Fusco, con cui dare vita a un gioco interattivo “Li (ri)conosci?” al quale saranno chiamati a partecipare tutti i cittadini, per tentare di dare un nome a volti amalfitani oggi sconosciuti. Verranno inoltre proiettate in loop 480 immagini scattate dal fotografo amalfitano.

“Il rinvenimento dell’archivio fotografico di Alfonso Fusco, testimone con le sue istantanee degli eventi più importanti avvenuti ad Amalfi tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, e il progetto di crearne un catalogo e una mostra ospitata nell’Arsenale della Repubblica, sono tra i più interessanti eventi di quest’anno” – precisa il sindaco di Amalfi, Daniele Milano – “Il recupero della memoria cittadina si realizza attraverso la possibilità di dare un nome a decine e decine di volti, protagonisti della vita quotidiana della nostra Comunità. Un progetto immersivo, un gioco collettivo, con cui la nostra Amministrazione intende guardare avanti, dando valore al nostro passato”.

Dal 28 Dicembre 2021 al 28 Febbraio 2022 – Arsenale di Amalfi (SA)

CARLO DALLA MURA. FOTOGRAFIE 1949-1962

Nell’ambito della 35^ edizione della rassegna Friuli Venezia Giulia Fotografia, il CRAF (Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia) di Spilimbergo inaugura sotto il segno della Bellezza la mostra antologica dedicata a Carlo Dalla Mura.
La mostra, composta da 40 fotografie comprese tra il 1949 e il 1962, è stata realizzata in collaborazione con la Regione Friuli Venezia Giulia e il Comune di Udine, con il sostegno della Fondazione Friuli e Friulovest Banca, con il patrocinio dell’Università degli Studi di Udine.

Avvocato di professione, prestato per poco più di un decennio alla fotografia, Carlo Dalla Mura tra il 1958 e il 1966 è stato collaboratore de “Il Mondo”, celebre settimanale di politica e cultura fondato e diretto da Mario Pannunzio. “Era, quella de “Il Mondo”, una fotografia anti-formalista, compendiaria e immediata, arguta e leggera, – afferma il direttore Alvise Rampini – capace di sintetizzare, più con la sua qualità evocativa che con la sua compiutezza formale, gli articoli a cui veniva associata”. Carlo Dalla Mura in pochi anni ha pubblicato su quelle pagine 59 sue fotografie, mentre altre 39 furono acquistate senza essere pubblicate in seguito all’improvvisa e definitiva chiusura di quell’esperienza editoriale.
Il percorso della mostra, curata da Alvise Rampini e Claudio Domini, vuole dare conto, attraverso una piccola selezione di immagini, proprio di questa aderenza allo spirito del tempo, per nulla frequente nei modelli da cui Dalla Mura era circondato nel suo Friuli ma ben presenti invece nella cultura fotografica nazionale più moderna e aggiornata dell’epoca. Soprattutto nella sua declinazione “stradale”, di cui proprio “Il Mondo” era testimone e promotore, a partire dalla lezione di Henri Cartier-Bresson e Robert Doisneau, fino alle prime “sconvolgenti” testimonianze visuali di William Klein, di cui Dalla Mura adorava i celebri fotolibri dedicati a New York e Roma.
“Senza mai imboccare la via del professionismo, nemmeno durante la lunga collaborazione con il trimestrale regionale “Iulia Gens”, dove invece ha pubblicato servizi fotografici più articolati e descrittivi – affermano i curatori – in quei pochi anni di serrata attività fotografica Dalla Mura ha sempre mantenuto il profilo del disincantato flâneur, perfettamente a suo agio per le vie del mondo, raccontato attraverso immagini moderne e libere dagli attempati stilemi accademici da circolo fotografico”.
Il suo “taccuino di viaggio” ospita tour che spaziano da Parigi a Tangeri e poi ancora Madrid, Lisbona, Sofia, Atene, Istanbul, e allo stesso modo del suo Friuli: “È per noi un grande onore celebrare Carlo Dalla Mura – concludono – il suo stile e i risultati del suo talento non hanno nulla da invidiare a tanti coevi nomi internazionali. Il nostro obiettivo è far conoscere un grande autore dell’archivio CRAF e farlo riscoprire sul territorio nazionale, come merita”.

11 dicembre 2021 – 13 febbraio 2022 – Castello di Udine, Museo Friulano della Fotografia

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GIORGIO GALIMBERTI. IL SOGNO DI GEORGE

© Giorgio Galimberti. Courtesy Glenda Cinquegrana Art Consulting. | Giogio Galimberti, Forme di spazio #29

“Lasciateli stare i sognatori, sono gente di carbone per vecchi treni a vapore, lasciateli stare nelle loro piccole case, che abitano come tasche, piene di spine e di more”.  (G. Nadalini)

Glenda Cinquegrana Art Consulting è lieta di presentare“Il sogno di George” la prima personale che la galleria dedicata al fotografo italiano mid-career Giorgio Galimberti.

Il titolo della mostra, “Il Sogno di George” si riferisce ad alcune peculiari caratteristiche della pratica fotografica di Giorgio Galimberti. Come se guardasse al mondo con lo stupore e l’ingenuità di un bambino, la fotografia di Galimberti è frutto di un’operazione visiva di costante spiazzamento: la realtà del quotidiano da cui costantemente attinge è trasfigurata per diventare surrealtà, o meglio scenario da sogno. Quello di Giorgio è un mondo abitato da uomini, donne o figure infantili che ne percorrono costantemente i territori urbani con semplicità e candore, che sono necessarie a guardare al quotidiano con occhi di volta in volta nuovi. Il fotografo si identifica completamente con i protagonisti delle sue immagini, che altro non sono un prolungamento di sé stesso: e così Giorgio diventa George, come la Alice di Lewis Carroll compie il suo tuffo nella realtà dello specchio. 

La fotografia di Galimberti celebra la nitidezza linguistica del bianco e nero come strumento di semplificazione visiva e crea scene che sono il risultato di un’ambiguità calcolata. È frutto di un trucco prospettico lo scatto che vede protagonista una ragazzina che cammina come un’equilibrista sulle creste dei grattacieli di New York; un omino che, ridotto alla dimensione di gnomo, si muove sullo sfondo di un paesaggio fatto di fiori e di pale eoliche in cui naturale ed artificiale coesistono (“Capracotta”, 2020). Come un funambolo, Giorgio si muove abilmente in questa realtà trasfigurata, giocando con destrezza con gli elementi della visione. 
Intessuto delle influenze fotografiche di maestri come Andrè Kértesz e Mario Giacomelli, il bianco e nero di Galimberti non è solo strumento di sintesi formale, ma soprattutto un elemento catalizzatore di poesia: l’immagine ridotta allo stato di nero assoluto si fa capace di raccogliere ed amplificare le emozioni. Fra gli scatti più belli non possiamo non citare quello in cui un uomo perso nella moltiplicazione delle arcate di un’architettura dechirichiana, racconta lo spaesamento di un bambino che esita a diventare adulto o la solitudine dell’individuo al cospetto di una mondo troppo più grande di lui (“Maddaloni”, 2020). L’immagine che ha reso celebre Giorgio è quella che vede una fanciulla prigioniera di una balena di ferro (“Camogli” #01, 2017), rappresentazione perfetta dell’inquietudine e della prigionia nella realtà altra dello “specchio”. 

Dal 27 Gennaio 2022 al 12 Marzo 2022 – Glenda Cinquegrana Art Consulting – Milano

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FRA NUVOLE E VENTO: GENTE DI CIVITA. FOTOGRAFIE DI BRIAN STANTON

© Brian Stanton | Brian Stanton, Civita nelle Nuvole, 2016 (Civita in the Clouds). Archival pigment print 27.56 x 39.37 in 60 x 90 cm.

Il 25 settembre 2021 apre a Palazzo Alemanni a Civita e a Casa Civita a Bagnoregio la mostra Fra Nuvole e Vento: Gente di Civita del fotografo newyorkese Brian Stanton, visibile al pubblico fino all’inverno 2022. Sono immagini che catturano la magia della quotidianità e delle antiche tradizioni di Civita di Bagnoregio, un’antica ed unica città collinare risalente a duemilacinquecento anni fa che, a causa dei terremoti e delle frane che minacciano la sua esistenza, si è piano piano svuotata dei suoi abitanti. 
Dal 2016 al 2019 Brian ha fotografato il paese e la valle circostante, immergendosi nella comunità e costruendo ricche relazioni con i pochi residenti restanti. “La gente di Civita ha collaborato con me con un entusiasmo contagioso. È stata un’esperienza toccante,” dice Stanton. 

Le immagini in mostra sottolineano il ruolo che le particolari condizioni geologiche di Civita e lo straordinario paesaggio della valle dei Calanchi che la circonda hanno svolto nello sviluppo della sua cultura unica nel suo genere, elementi che hanno portato la Commissione Italiana UNESCO a proporre Civita di Bagnoregio e la valle circostante a diventare Patrimonio dell’Umanità nel 2022.

“Il percorso di candidatura che stiamo vivendo è una grande occasione per riflettere sulla nostra identità e la mostra di Brian Stanton, che abbiamo voluto mettere al centro in questo anno così importante per la comunità e il territorio di Bagnoregio e dell’area dei Calanchi, racconta davvero l’anima del borgo. Un omaggio alle nostre radici, capace di raccontarci al meglio e diventare veicolo di promozione e comunicazione anche dei valori della tradizione, del rispetto dell’ambiente e di una dimensione unica della vita, fatta di lentezza e resilienza”. Queste le parole del sindaco di Bagnoregio Luca Profili.

“Abbiamo individuato nella mostra di Stanton un grande potenziale, capace di rappresentare i valori alla base del dossier di candidatura” aggiunge Francesco Bigiotti, amministratore unico di Casa Civita 
e site manager della candidatura a Patrimonio dell’Umanità “coerente con quanto riteniamo possa rappresentare un qualcosa di unico per il mondo.”

Stanton ha fotografato il paese per tre anni, immergendosi nella comunità e immortalando la quotidianità e le antiche tradizioni della gente di Civita: la raccolta delle castagne nella valle, la pigiatura delle uve nelle stesse cantine utilizzate dai loro antenati fin dall’epoca etrusca e l’eccitazione per le corse degli asini che attraversano la Piazza due volte l’anno. Una emozionante sequenza di immagini racconta la processione del Venerdì Santo, in cui gli abitanti portano un’effigie lignea del XV secolo del Cristo crocifisso, da Civita a Bagnoregio, una pratica immutata per 400 anni. Anche se Civita può sembrare un luogo dove il tempo si è fermato, questa mostra cattura la vibrante scintilla umana che ancora anima la comunità.
Le sue fotografie mostrano anche lo straordinario paesaggio che circonda il paese, la sua particolare conformazione geologica, elementi che tutti gli anni attirano centinaia di migliaia di turisti. Stampate in tonalità di bianco e nero, sono immagini che invitano il visitatore a partecipare al dramma della roccia vulcanica profondamente fessurata e delle aride creste nelle valli argillose che caratterizzano la regione.

La mostra è un evento a supporto del percorso di candidatura UNESCO che vede nel Comune di Bagnoregio e nella Regione Lazio i proponenti e in Casa Civita il site manager. 

Dal 25 Settembre 2021 al 31 Dicembre 2022 – BAGNOREGIO (VITERBO)

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ENRICO CARUSO. DA NAPOLI A NEW YORK

Enrico Caruso. Da Napoli a New York, MANN – Museo Archeologico Nazionale di Napoli

“Enrico Caruso – Da Napoli a New York”. È questo il titolo dell’originale e attesissima mostra che sarà inaugurata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. L’evento, che celebra il centenario dalla scomparsa dell’artista, è curato da Giuliana Muscio, brillante studiosa del tenore partenopeo e più in generale, del contributo degli artisti italiani al mondo dello spettacolo americano. 
L’esposizione, che si avvale della consulenza musicale di Simona Frasca, musicologa e docente dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, mette a fuoco con uno sguardo nuovo la figura di Caruso, prima star mediatica moderna e rappresentante dell’emigrazione italiana, capace di conservare e innovare le tradizioni dello spettacolo con un impatto significativo sui media statunitensi. 
La mostra è realizzata da Fondazione Campania dei Festival e Fondazione Film Commission Regione Campania, con il sostegno della Regione Campania e in collaborazione con il MANN e con l’Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi. Il percorso narrativo su Enrico Caruso e la sua carriera si basa su una documentazione quanto mai ricca: caratteristica dell’itinerario di visita è proporre un approccio rigoroso dal punto di vista storico e intermediale sotto l’aspetto comunicativo.
La mostra propone oltre 250 immagini fotografiche, provenienti dal Metropolitan Opera Archive di New York, dalla Caruso Collection presso il Peabody Institute (Johns Hopkins) di Baltimora e dal museo Enrico Caruso di Villa Bellosguardo a Lastra a Signa. Possibile ritrovare in allestimento non solo materiale audiovisivo d’epoca e cinegiornali, forniti per l’occasione dagli archivi americani e dal fondo Setti della Fondazione Ansaldo, ma anche registrazioni audio originali della produzione discografica del più famoso tenore di tutti i tempi. 
Nell’ambito della mostra è prevista la proiezione del documentario “Enrico Caruso: The Greatest Singer in the World”, diretto da Giuliana Muscio e prodotto dalla Direzione Generale per gli italiani all’estero del Ministero degli Affari Esteri. Il lavoro, attraverso materiali inediti, racconta la carriera americana di Caruso e la modernità del suo rapporto coi media, sottolineando il fondamentale contributo dei performers italiani nello sviluppo dell’industria dello spettacolo negli Stati Uniti. Sono previste tre proiezioni giornaliere: alle 12.00, alle 16.00 e alle 18.00.  
Il catalogo della mostra, edito da “ad est dell’equatore”,  potrà essere acquistato presso il bookshop del MANN.

Dal 22 Dicembre 2021 al 22 Aprile 2022- Museo Archeologico Nazionale Napoli

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MARILISA COSELLO. TRY

© Marilisa Cosello e Galleria Studio G7, Bologna | Marilisa Cosello, Try #1

Dal 12 febbraio al 3 aprile Studio G7 presenta Try, la prima personale di Marilisa Cosello negli spazi della galleria, a cura di Luca Panaro.

La mostra espone Try, progetto inedito itinerante iniziato dall’artista nel 2020, il cui lavoro è da sempre incentrato su temi quali la costruzione collettiva, il femminile, le strutture sociali, il potere ed il corpo come strumento narrativo.
Sabato 12 febbraio alle ore 15.00 e alle ore 16.00 Marilisa Cosello presenterà, negli spazi di Studio G7, Try #5il quinto atto performativo del ciclo.

Marilisa Cosello è nata a Salerno nel 1978, vive e lavora a Milano. La sua pratica artistica è incentrata sulla performance e sul corpo, attraverso cui l’artista attiva un dialogo tra storia, cultura e strutture sociali. Ripensando al ruolo della società come famiglia, e del privato come collettivo, Cosello indaga le forme del potere, sovrapponendo pubblico e privato, rituali familiari e archetipi collettivi. Attraverso fotografia, performance e video, la sua ricerca si configura come una riflessione sulla natura politica del singolo corpo come soggetto, e sull’impatto delle dinamiche di potere sulla storia di individui e comunità.

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Mostre per settembre

 

Se durante l’estate avete “staccato la spina” con la fotografia, eccovi delle mostre da cui ricominciare a settembre.

Ciao

Anna

RENE BURRI, UTOPIA + FERDINANDO SCIANNA, IL GHETTO DI VENEZIA 500 ANNI DOPO

VENEZIA, CASA DEI TRE OCI

DAL 26 AGOSTO 2016 ALL’8 GENNAIO 2017

Due progetti espositivi autonomi presentano, da un lato, 100 immagini di René Burri dedicate all’architettura e ai suoi protagonisti, dall’altro, 50 scatti inediti di Ferdinando Scianna in occasione dei 500 anni dalla fondazione del Ghetto ebraico a Venezia

Dopo il successo della mostra Helmut Newton. Fotografie, la Casa dei Tre Oci di Venezia riprende il proprio programma espositivo con due proposte dedicate ad altrettanti maestri della storia della fotografia: René Burri e Ferdinando Scianna.

Dal 26 agosto 2016 all’8 gennaio 2017, le sale dello spazio veneziano sull’isola della Giudecca si apriranno alle rassegne “René Burri. Utopia”, curata da Michael Koetzle, e “Ferdinando Scianna. Il Ghetto di Venezia 500 anni dopo”, curata da Denis Curti. La mostra dedicata a Ferdinando Scianna è frutto del lavoro fotografico realizzato su incarico di Fondazione di Venezia e realizzato appositamente per i Tre Oci in occasione del Cinquecentenario della fondazione del Ghetto ebraico a Venezia.

I due diversi progetti si snoderanno autonomamente seguendo un percorso coerente e lineare, che si svilupperà a partire dalle 100 opere di René Burri, distribuite tra pianterreno e piano nobile, e si concluderà al secondo piano, con le oltre 50 fotografie inedite di Ferdinando Scianna.

Entrambi membri della prestigiosa agenzia fotografica Magnum, Burri (che ne diverrà presidente nel 1982) e Scianna appartengono, pur nella loro diversità, a quella categoria di autori che attraverso il mezzo fotografico esprime personali visioni, sia che si traducano nella passione di Burri di documentare grandi cambiamenti politici e sociali, sia che rispondano al tentativo, nel caso di Scianna, di carpire, all’interno del flusso caotico dell’esistenza, “istanti di senso e di forma”.

Utopia di René Burri (Zurigo, 1933-2014) riunisce, per la prima volta, oltre 100 immagini del grande artista svizzero dedicate all’architettura, con scatti di famosi edifici e ritratti di architetti.

La fotografia di Burri nasce dal bisogno di raccontare i grandi processi di trasformazione e i cambiamenti storici, politici e culturali del Novecento con una forte attenzione verso alcuni personaggi (indimenticabili i suoi ritratti di Che Guevara e Pablo Picasso) che ne hanno fatto parte.

Utopia – che si tiene in contemporanea con la Biennale di Architettura 2016 – s’inserisce all’interno di questa prospettiva, in quanto Burri concepisce l’architettura come una vera e propria operazione politica e sociale che veicola e impone una visione sul mondo, e che lo spinge a viaggiare tra Europa, Medio-Oriente, Asia e America latina sulle tracce dei grandi architetti del XX secolo, da Le Corbusier a Oscar Niemeyer, da Mario Botta a Renzo Piano, da Tadao Ando a Richard Meier.

Accanto ai loro ritratti e alle loro costruzioni, in Utopia si ritrovano anche le immagini di eventi storici particolarmente densi di contrasti e di speranze, come la caduta del muro di Berlino o le proteste di piazza Tienanmen a Pechino nella primavera del 1989.

L’ultimo piano della Casa dei Tre Oci è dedicato all’opera di uno dei più importanti fotografi italiani, Ferdinando Scianna (Bagheria, 4 luglio 1943). In occasione dei 500 anni della nascita del Ghetto ebraico di Venezia (formatosi il 29 marzo 1516), la Fondazione di Venezia ha deciso di avviare una ricognizione fotografica con l’obiettivo di raccontare la dimensione contemporanea del Ghetto. Il progetto espositivo è realizzato da Civita Tre Venezie.

Scianna ha realizzato un reportage fotografico in pieno stile Street Photography, raccogliendo immagini inerenti la vita quotidiana del Ghetto, senza tralasciare ritratti, architetture, interni di case e luoghi di preghiera. Chiese, ristoranti, campi, gondole sono i soggetti che animano il panorama visivo del progetto. Da segnalare, in questa narrazione, la compresenza di una dimensione simbolica, storica, rituale, intrinsecamente connessa a luoghi e gesti, e una semplicità nella descrizione di un tempo presente e ordinario.

“Ferdinando Scianna – osserva il curatore Denis Curti – ha saputo costruire un racconto delicato […]. Ha dato forma a una memoria collettiva elevando e distinguendo singole storie: se ne avverte la bellezza e la solennità. […] Il dolore mai urlato dell’Olocausto. Le pietre d’inciampo e i segni di una vicenda destinata a restare indelebile. […] Dentro queste fotografie ci si orienta. I punti cardinali si fanno abbraccio e segnano le linee di una confidenza visiva capace di entrare nei confini dell’intimità dei molti ritratti che compongono il complesso mosaico di questa esperienza: è il linguaggio degli affetti, è la grammatica dei corpi”.

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MAGNUM SUL SET . I GRANDI FOTOGRAFI E IL CINEMA

Lu.C.C.A. – Lucca Center of Contemporary Art
2 luglio – 13 novembre 2016
a cura di Maurizio Vanni

La realtà della finzione

In tempi dove non è più la finzione a intromettersi nella realtà, ma la verità digitale a invadere i territori della fiction, la mostra degli scatti che alcuni grandi fotografi hanno dedicato al cinema ci fa riflettere sul rapporto tra realtà e finzione, tra verità e illusione, e tra quotidianità e sogno. Quello dei fotografi Magnum è un lavoro che non ha niente a che vedere con la fotografia di scena – immagini prevedibili realizzate sul set a fini promozionali –, ma è una vera e propria perlustrazione creativa realizzata senza vincoli, con onestà intellettuale e libertà espressiva, per raccontare il dietro le quinte non tanto del set cinematografico, ma dei personaggi che, di lì a poco, avrebbero fatto la storia del grande schermo. Il cinema potrebbe essere considerato lo specchio del mondo, ma anche il suo sogno e la sua invenzione: nessun’altra espressione artistica è stata mai così legata alla realtà proprio perché basata sul concetto della finzione. Sul grande schermo, il più delle volte, realtà e finzione sono talmente vicine da confondersi: più la macchina da presa viene neutralizzata, più la realtà sembra porsi in modo naturale e più si è di fronte a una fiction consapevole.

La narrazione visiva della mostra evidenzia un rapporto di complicità tra attori e fotografi, un feeling che, da una parte libera i personaggi dal dover stare in pose convenzionali; dall’altra stimola i fotografi a cercare tutti i particolari che rendono unico e irripetibile ogni momento, quindi più vero della stessa realtà. Ironia, fragilità, consapevolezza espressiva, impertinenza, emozione, vulnerabilità e devozione per la propria professione: ne risulta una galleria di ritratti, di composizioni non convenzionali, di momenti visivi talmente implausibili da proiettare il visitatore in una dimensione alternativa, più intima e riservata, anche laddove c’è la consapevolezza di essere di fronte a un obbiettivo.

Ogni scatto si manifesta come un luogo esperienziale nel quale si perde di vista la barriera tra conoscenza e inganno, tra persona e professionista, tra finito e infinito con una serie di immagini che si insinuano prepotentemente nella mente di chi guarda, stimolandolo a immaginare la scena o in certi casi a concluderla. L’immaginazione corrisponde a un lavoro inesauribile che l’artista produce sul dato fenomenico: senza realtà non potrebbe esserci fiction, ma senza finzione, probabilmente, non potrebbe esserci vera realtà.

Qua tutte le info

100 attimi – fotografia di strada

Dal 2 al 13 settembre Casa dei Carraresi ospita la mostra collettiva “100 ATTIMI. Fotografia di strada”, rassegna dedicata alla Street Photography Contemporanea Italiana.
La mostra è organizzata da Umberto Verdoliva, fotografo e fondatore del collettivo SPONTANEA ed esporranno i loro lavori i principali collettivi italiani: gruppo Mignon, collettivo Spontanea, collettivo InQuadra, collettivo Eyegobananas e alcuni autori locali.
La rassegna includerà anche lo STREET FOLIO, una giornata dedicata alla lettura di lavori e progetti fotografici dei membri del collettivo SPONTANEA e di alcuni rappresentanti dei collettivi invitati.
L’evento è stato realizzato grazie al contributo di: TOYOTA – LEXUS BIANCO, Ar-fer arte ferro, FOTOGRAFIA DIGITALE.

Umberto Verdoliva nato a Castellammare di Stabia (Na), vive a Treviso dal 2006, si dedica da oltre 10 anni alla fotografia di strada e alla sua propaganda. Ha ricevuto numerosi premi e pubblicazioni nelle principali riviste di settore. Ha esposto i propri lavori in diverse mostre. Ha inoltre pubblicato nel 2016 il suo primo volume dal titolo “An ordinary day”, curato e pubblicato dal gruppo Mignon di Padova.

Qua un’interessante intervista ad Umberto Verdolilva, curatore della mostra e fotografo di strada.

Qua altre info sulla mostra

LEONARD FREED – IO AMO L’ITALIA

 

L’Assessorato dell’istruzione e cultura della Regione autonoma Valle d’Aosta comunica che l’Assessore Emily Rini inaugura venerdì 20 maggio 2016, alle ore 18, al Centro Saint-Bénin di Aosta, la mostra Leonard Freed. Io amo l’Italia che presenta una ricca selezione di immagini scattate dal fotografo americano in diverse località italiane, dalla metà del Novecento agli inizi del nuovo secolo. La rassegna di Aosta, proposta dall’Assessorato Istruzione e Cultura della Regione autonoma Valle d’Aosta, è curata da Enrica Viganò in collaborazione con il Leonard Freed Archive e presenta al pubblico cento fotografie, tra vintage e modern print, che compongono una sorta di diario degli oltre quarantacinque soggiorni compiuti dal fotografo statunitense in Italia, terra con la quale intrattenne un rapporto che lui stesso definì “una storia d’amore”. L’Assessorato regionale, confermando il suo impegno nel sostenere la proposta culturale del territorio con un evento di richiamo, prosegue così nell’offerta di approfondimenti sulla cultura fotografica, dopo le esposizioni sui grandi nomi della fotografia del Novecento, tra cui le mostre dedicate ad André Villers (2008), Mario De Biasi (2012), Elliott Erwitt (2012), Pepi Merisio (2013) e Gian Paolo Barbieri (2014).

Centro Saint-Bénin – Aosta
20 Maggio 2016 – 20 Settembre 2016

 

HELMUT NEWTON. A Gun For Hire, Selection

Carpi, Musei di Palazzo dei Pio
Sabato 10 Settembre 2016 – Domenica 11 Dicembre 2016

Esposto per la prima volta in Italia, a Carpi, un corpus di oltre 50 fotografie dalla celebre mostra “A gun for hire”, che raccoglie le immagini scattate da Helmut Newton per le campagne promozionali del marchio Blumarine, tra le eccellenze del distretto tessile della città emiliana.

Dal 10 settembre all’11 dicembre 2016 la città di Carpi (Modena) omaggia uno tra i più grandi fotografi di moda di tutti i tempi, con un’esposizione che presenta scatti mai esposti prima in Italia.
Sono oltre cinquanta le immagini della mostra HELMUT NEWTON. A gun for hire, selection / Le fotografie per Blumarine 1993 – 1999, un evento che ricostruisce, nella cornice dei Musei di Palazzo dei Pio, la stagione che ha visto il maestro tedesco lavorare per una delle aziende simbolo del comparto tessile di Carpi, prossima a compiere il suo quarantesimo anniversario (nel 2017), ideando campagne di comunicazione che hanno coinvolto icone di femminilità come Carré Otis, Nadja Auermann, Carla Bruni, Monica Bellucci ed Eva Herzigova.

L’esposizione, a cura di Luca Panaro, è ideata e prodotta dal Comune di Carpi – Musei di Palazzo dei Pio in collaborazione con la Helmut Newton Foundation di Berlino, da cui arrivano quasi tutti i materiali inediti esposti, e Blumarine, grazie al contributo di Fondazione Cassa Risparmio Carpi e Banca Popolare dell’Emilia Romagna, CMB e Unipol Assicurazioni.

Con il titolo di A gun for hire si considera la grande retrospettiva itinerante, realizzata la prima volta a Montecarlo nel 2005, che illustra in modo puntuale il lavoro di Helmut Newton per il mondo della moda, tra campagne per le griffe più importanti del momento e servizi per le riviste più significative, a partire dagli Anni Sessanta e fino alla data della morte, avvenuta nel 2004. L’esposizione carpigiana si concentra in modo specifico su una parentesi ben definita della lunga e appassionante vicenda creativa del fotografo: quella che lo ha visto portare a compimento le campagne per sette diverse collezioni di Blumarine, partendo dalla Primavera – Estate 1993 per arrivare all’Autunno – Inverno 1998/1999.

Un progetto, per quegli anni, epocale. È la prima volta, infatti, che un marchio italiano legato all’idea tradizionale di impresa famigliare, idealmente rivolto quindi all’eleganza della donna borghese, sceglie di presentarsi in modo tanto innovativo, rivoluzionando il proprio modo di comunicare in favore di un’idea di femminilità più eccentrica, giocosamente provocante. Le campagne elaborate da Newton escono così dagli schemi abituali, rifiutando lo studio delle pose e la costruzione dello storyboard, vivendo dell’istintività e dell’immediatezza dell’ispirazione. Le modelle – tra i volti più noti e amati degli ultimi anni: da Carré Otis a Carla Bruni da Monica Bellucci a Eva Herzigova – interpretano una sensualità divertita, mai volgare, elegantemente allusiva, espressa attraverso un immaginario che filtra l’esplosiva e colorata carica energica del Pop a divertissement nonsense.

Tra i caratteri unici di questo grande esperimento di comunicazione sta l’ingresso, fisico, dell’autore stesso all’interno dell’immagine, che Newton aveva già sperimentato in alcune sue opere: ad accentuare il carattere controcorrente delle campagne, esprimendo al massimo la libertà dalle gabbie del concept, ecco Newton entrare in campo – come ombra fugace, oppure con un solo piede – e rimanere impresso sulla pellicola, dando in certi casi all’osservatore l’illusione di essere dietro la macchina fotografica.

La mostra, allestita nelle logge al piano nobile di Palazzo dei Pio, si compone di 34 fotografie di grande formato che documentano le campagne dell’artista per Blumarine e di altri dodici scatti, sempre parte del progetto A Gun for Hire e inediti per l’Italia, dedicati invece a lavori effettuati da Newton, nel medesimo periodo, per brand come Versace, Yves Saint Laurent e Thierry Mugler: un confronto serrato, dunque, che contestualizza i progetti pensati per l’impresa carpigiana all’interno dell’esperienza professionale dell’artista e dei canoni di comunicazione dell’alta moda in quel preciso momento storico.

A completare l’esposizione altri sette scatti dalle campagne Blumarine, mai esposti prima, dalla collezione privata di Anna Molinari, fondatrice con il marito Gianpaolo Tarabini dell’azienda; i book delle stagioni realizzati con le campagne fotografiche di Newton e due album inediti con le fotografie e le annotazioni dell’autore. Infine, nella Sala dei Mori, vengono presentate testimonianze video che presentano attraverso interviste e documentari la figura di Helmut Newton e il suo credo artistico.

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Lying in Between. Grecia 2016.

Dal 15 settembre 2016 all’8 gennaio 2017 Fondazione Fotografia presenta al Foro Boario di Modena la mostra Lying in Between. Grecia 2016.

Il percorso, a cura del direttore Filippo Maggia, espone le opere prodotte in occasione di una missione fotografica in Grecia svoltasi su iniziativa di Fondazione Fotografia nei mesi di maggio e giugno 2016. Alla missione hanno preso parte sette fotografi italiani caratterizzati da sensibilità e cifre stilistiche diverse: Antonio Biasucci, Antonio Fortugno, Angelo Iannone, Filippo Luini, Francesco Mammarella, Simone Mizzotti e Francesco Radino. Ad affiancare le loro opere e a completare l’allestimento della mostra ci sarà inoltre un video a tre canali, realizzato e prodotto da Fondazione Fotografia.

Negli ultimi anni la crisi economica greca è stata spesso al centro delle cronache di attualità e di molti dibattiti internazionali. Culla della civiltà occidentale, il Paese ellenico si trova a fare i conti non soltanto con le difficoltà endogene che da anni la affliggono, ma anche con la nuova drammatica emergenza rappresentata dalle migliaia di profughi che, in fuga dal Medio Oriente, quotidianamente sbarcano sulle isole più vicine alla costa turca, in alcuni casi addirittura superando per numero la popolazione in esse residente. Questi luoghi, mete turistiche per eccellenza, sono oggi emblema dell’ampio divario esistente fra il mondo occidentale, attento a preservare le proprie certezze, e un mondo altro da noi, ma a noi molto vicino, quello mediorientale, lacerato da guerre civili e di religione.

I sette fotografi impegnati nella missione hanno potuto calarsi completamente nel contesto, dapprima documentando la loro esperienza in tempo reale, attraverso una cronaca fotografica quotidiana, condivisa attraverso i canali web e social di Fondazione Fotografia; successivamente, al rientro in Italia, ciascuno ha rielaborato il materiale raccolto da una prospettiva personale e secondo la propria cifra stilistica, compiendo un’analisi più lenta e ponderata che ha dato luogo alle opere finali esposte in mostra. Contestualmente alla produzione di queste ricerche artistiche, Fondazione Fotografia ha impegnato due diversi team di professionisti nella creazione di un video a tre canali incentrato sulla situazione attuale delle isole greche: Andrea Cossu, Daniele Ferrero, Mara Mariani e il direttore Filippo Maggia hanno compiuto un viaggio attraverso quei luoghi, dando voce a abitanti, volontari, migranti e raccontando la Grecia contemporanea in tutte le sue sfumature.

La mostra Lying in Between. Grecia 2016 èpromossa da Fondazione Fotografia Modena e Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna. Rientra inoltre nel programma del festivalfilosofia 2016, che si terrà a Modena, Carpi e Sassuolo dal 16 al 18 settembre 2016. La accompagna un catalogo di Skira Editore.

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Anna